LA SCUOLA DEI SINDACATI - UNIVERSITA’: PASSI NELLA DIREZIONE GIUSTA - PROFESSORI: QUEGLI INTERESSI PARTICOLARI CONTRO LE RIFORME - SOLO PROFESSORI ECCELLENTI CERCANSI - ATENEI: PULIZIE DI PRIMAVERA - ATENEI, LA VIA DELLE FONDAZIONI - FONDI AGLI ATENEI, SÌ AI CRITERI DI MERITO - VIA AL CONFRONTO GOVERNO-RETTORI - DE MAIO: I CERVELLI RESTINO FUORI DALLA GESTIONE DEL BUSINESS - TRIPLICARE LE SPESE IN RICERCA E ISTRUZIONE - GLI STUDIOSI E LA RICERCA PERDUTA - COME LIMITARE IL PRECARIATO TRA I RICERCATORI - LA RICERCA E IL TEMPO PERDUTO - PARIGI FINANZIERÀ LA RICERCA CON LE RISERVE AUREE - RICERCATORI FRANCESI IN RIVOLTA - E’ SCONCERTANTE L'ISTITUTO TECNOLOGICO DI TREMONTI - IN LOMBARDIA LA LAUREA A CARO PREZZO - MA I «BARONI» ESISTONO DAVVERO? - =========================================================== I LAUREATI IN MEDICINA CHIEDONO CORREZIONI AL MINISTERO - MEDICI OSPEDALIERI, RIUSCITO LO SCIOPERO - PROPOSTA DELL’API SARDA: OSPEDALI SEPARATI DALLE ASL - TICKET SUI FARMACI, SARANNO ABOLITI DAL PRIMO APRILE - QUARTUCCIU: NASCE LA FABBRICA DELLE CELLULE - UNIVERSITÀ: IL RILANCIO PARTE DAL POLICLINICO (A MESSINA) - UIL: SANITÀ E UNIVERSITÀ IN CERCA DI EQUILIBRIO - CAGLIARI CALCIO: IL RETTORE BOCCIA L’ACCORDO - TAC PIU’ DOLCI CON MAGNETON - PIÙ DI 10MILA ITALIANI IN ATTESA DI TRAPIANTO - UN VACCINO CONTRO IL TUMORE DEL RENE - AIDS IN ITALIA AUMENTA L'INCIDENZA DI UN VIRUS RESISTENTE AI FARMACI - SCOPERTE 1800 NUOVE SPECIE DI MICROBI - TABACCO E CECITÀ - EPATITE G CONTRO HIV - NEI CAROTENOIDI IL TESORO DEI POMODORI - =========================================================== ________________________________________ Corriere della Sera 9 mar. ’04 LA SCUOLA DEI SINDACATI Ulivo, nessuna autocritica sulle corporazioni Panebianco Angelo Molti professori universitari (fortunatamente, non tutti) sono oggi in grande agitazione, occupano rettorati, proclamano scioperi. Sono forse impegnati a ottenere dal governo un eccellente provvedimento che, come quello voluto da Tony Blair in Gran Bretagna, aumentando le tasse studentesche, possa servire al rilancio dell' Università? Oppure protestano perché il governo non ha ancora rimediato ai guasti prodotti dalla applicazione della riforma detta del «tre più due», voluta dal precedente governo di centrosinistra? Assolutamente no. Disinteressati alle vere ragioni del degrado del sistema universitario, si agitano per tutt' altro. Protestano contro quella che, in perfetto sindacalese, chiamano «precarizzazione». Ce l' hanno con la ventilata riforma dello stato giuridico dei docenti volta a introdurre anche in Italia ciò che esiste in tutte le buone università straniere: contratti di ricerca, anziché «posti di ruolo», nella fase iniziale della carriera accademica. Spalleggiati dalla sinistra strillano in difesa del «posto fisso». Questo brutto episodio di agitazione corporativa può essere l' occasione per dare la sveglia a chi fa orecchie di mercante sullo stato del nostro sistema di istruzione. Mentre si discute del «riformismo» e dei suoi limiti all' interno della sinistra, mi pare utile porre qualche domanda ad alcuni colleghi professori che sono anche, guarda caso, leader dello schieramento detto riformista: il professor Romano Prodi, il professor Giuliano Amato (cui spetta la responsabilità di redigere il programma della sinistra riformista), il professor Arturo Parisi, e altri ancora. Come mai non si è sentita ancora una parola di autocritica, da parte della sinistra riformista, sulle politiche dell' istruzione (Università, ma anche scuola) dell' epoca del centrosinistra? E come mai la suddetta sinistra riformista non ha ancora preso le distanze dalle rivolte corporative in atto? Vi siete chiesti perché le corporazioni sono in rivolta contro la Moratti ma non lo furono contro i ministri di centrosinistra? Non fu forse perché quei ministri si guardarono dal fare riforme in contrasto con gli interessi corporativi vigenti? Penso che i suddetti professori-leader sappiano che, per come è stata attuata, la riforma del «tre più due» sia stata, soprattutto nelle Facoltà umanistiche, una iattura. E penso che sappiano che la riforma dello stato giuridico proposta dal ministro Moratti sia, nel complesso, una buona riforma. Perché non lo dicono? E, soprattutto, perché non ci dicono cosa faranno di diverso da quello che fecero quando erano al governo se vinceranno le elezioni nel 2006? Lo stesso discorso vale per la scuola. I sindacati fanno la guerra al ministro Moratti. Si capisce perché. È dai tempi della Dc che la scuola è gestita, di fatto, da una alleanza perversa fra i sindacati della scuola e i funzionari della Pubblica Istruzione. Ma solo dei folli possono pensare che una scuola sul cui funzionamento i sindacati hanno l' ultima parola possa essere una buona scuola. L' ipoteca sindacale sulla scuola non venne affatto spezzata all' epoca del centrosinistra. E persino un buon ministro come Letizia Moratti, quando fa passi falsi, li fa per tenere buoni i sindacati. Ai riformisti della sinistra è lecito chiedere di non perseverare, di non lasciare più l' ultima parola ai sindacati il giorno in cui torneranno al governo. Non so se la si possa qualificare «riformista» ma è certo che una «buona» politica dell' istruzione, se davvero tale, è il frutto di una elaborazione autonoma, non dell' asservimento al volere di corporazioni e sindacati. ________________________________________ Corriere della Sera 9 mar. ’04 DAI PROFESSORI AI NEGOZIANTI: QUEGLI «INTERESSI PARTICOLARI» CONTRO LE RIFORME Ministri di destra e sinistra hanno dovuto rinunciare ai loro piani. E in Parlamento si torna a parlare di modifica degli ordini PROFESSIONI & POLITICA Rizzo Sergio ROMA - Rosy Bindi rifiuta qualsiasi paragone con Girolamo Sirchia. Mentre il ministro della Salute del governo di Silvio Berlusconi si è trovato a dover fronteggiare, per la prima volta nella storia, una clamorosa agitazione dell' intera categoria dei medici, compatta, l' ex ministro della Sanità del governo dell' Ulivo rivendica di «non aver avuto neanche un' ora di sciopero, nemmeno durante le fasi più dure del confronto sulla riforma» (anche se per la verità uno sciopero è registrato nelle cronache del giugno 1999). Eppure, suo malgrado, qualcosa che la accomuna a Sirchia c' è. Ed è la stessa cosa che unisce, per esempio, i destini di Letizia Moratti e Luigi Berlinguer: ministri dell' Istruzione del centrodestra e del centrosinistra che si sono cimentati in tentativi di riforma diversissimi, ma contrastati con analoga veemenza dalla categoria degli insegnanti. Berlinguer ci rimise il posto, come Rosy Bindi, che aveva osato imporre a un' altra potente categoria, quella dei medici, la regolamentazione dell' attività privata fra le mura ospedaliere. Con un paradosso: gli stessi medici che allora contestavano l' «intramoenia» oggi invece la sostengono, e gli stessi medici che all' epoca di Rosy Bindi lamentavano di essere trasformati in dipendenti pubblici oggi vedono nella svolta federalista il rischio di un' eccessiva «aziendalizzalizzazione» della Sanità. «Pochi rammentano», dice l' ex ministro dell' Ulivo, «che quando venni sostituita i medici andarono in delegazione a Botteghe Oscure a chiedere che restassi al mio posto». Ma senza esito. Così i «riformatori» Berlinguer e Bindi vennero sacrificati sull' altare delle corporazioni. E i loro colleghi Sirchia e Moratti non sono stati sacrificati, sullo stesso altare, soltanto perché non c' è stato quel rimpasto di governo che tutti davano per scontato. Nel caso di Sirchia, anche perché il segretario dell' Udc Marco Follini ha rifiutato il suo posto. «La verità», commenta amaramente Rosy Bindi, «è che qualche volta la politica è più realista del re. Non capisce che se le riforme che toccano gli interessi delle categorie e delle corporazioni certamente costano, costa ancora di più non farle». Ragion per cui, da quella della scuola a quella della sanità, non ce n' è una sola che abbia davvero superato lo scoglio. Il responsabile economico di Forza Italia Luigi Casero spiega che in Parlamento «abbondano i professionisti, come avvocati e commercialisti, che difendono le proprie categorie». Si appella a entrambi gli schieramenti perché «gli interessi particolari non vengano usati come clava nello scontro politico». E afferma la necessità di rilanciare, «subito dopo le elezioni europee», la riforma degli ordini professionali, arenata da anni a Montecitorio. Per dare almeno un segnale. Ma con poche speranze. Quella riforma l' aveva voluta strenuamente il governo di Romano Prodi. La melina delle categorie, cementata nel Cup, il Comitato unitario delle professioni, si rivelò però insormontabile. Esasperato, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli sbottò: «Le associazioni professionali sperano in un cambio di maggioranza, ma sbagliano i calcoli». Infatti la riforma ricomparve anche nel programma del centrodestra. Ma i calcoli non erano del tutto sbagliati. La riforma fu presto retrocessa da provvedimento di iniziativa governativa a proposta di legge dell' Udc. E ora sta in un cassetto, in attesa di essere (forse) riesumata. Esito migliore non hanno avuto le varie ipotesi di riformare l' ordinamento giudiziario, che si sono regolarmente infrante contro l' opposizione dei magistrati. Un primo (sospetto) tentativo di separazione delle carriere fra pubblico ministero e magistratura giudicante venne sventato già nel 1992, in piena Tangentopoli. Poi ancora due anni più tardi, all' epoca del primo governo Berlusconi. Il braccio di ferro è ripreso da un paio d' anni e non si è ancora risolto. Né è stato più facile fiaccare la resistenza dei commercianti. Secondo il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano l' inflazione in Italia continua a essere alta perché i governi regionali, probabilmente temendo di perdere consensi, non hanno tradotto in pratica la riforma del centrosinistra, targata Pierluigi Bersani, che aveva l' obiettivo di liberalizzare il commercio. Le Regioni non ci stanno. I commercianti neppure. Ma intanto non cambia nulla. E non fa passi avanti nemmeno la razionalizzazione della rete dei benzinai. Con il risultato che il prezzo della benzina, in Italia, è il più alto d' Europa. Sergio Rizzo CATEGORIE E BLOCCHI ISTRUZIONE Il «no» bipartisan Letizia Moratti e Luigi Berlinguer, ministri dell' Istruzione del centrodestra e del centrosinistra, hanno proposto riforme diverse, tutte e due contrastate dai docenti PROFESSIONISTI Gli ordini La riforma degli ordini professionali è ferma da tempo. Voluta dal governo Prodi, era stata bloccata dalle categorie rappresentate dal Cup, il Comitato unitario delle professioni. Ora è ricomparsa sotto forma di proposta di legge dell' Udc, ma attende di essere discussa GIUSTIZIA Il braccio di ferro Varie ipotesi di riforma dell' ordinamento giudiziario si sono scontrate con l' opposizione dei magistrati. In particolare il tentativo di separare le carriere di pm e giudice COMMERCIANTI La «resistenza» Le Regioni non hanno mai messo in pratica la riforma del Centrosinistra che liberalizzava il commercio, invisa alla categoria ________________________________________ Il Sole24Ore 6 mar. ’04 UNIVERSITA’: PASSI NELLA DIREZIONE GIUSTA Punti di forza il meccanismo dei concorsi e il ruolo a tempo per i ricercatori - PISA a Un paradosso incombe in Italia sull'universo dell'istruzione, dall'asilo all'università: tutti lo giudicano severamente e sono scontenti dei suoi risultati, ma guai a tentare di cambiarlo! Contro ogni nuovo provvedimento, di qualunque Governo, si lanciano invettive e si levano barricate. Il disegno di legge sull'università approvato dal Consiglio dei ministri non fa eccezione. Contro le principali innovazioni - il ritorno al concorso nazionale per le nuove cattedre, l'aumento delle ore d'insegnamento dei docenti, la soppressione del ruolo del ricercatore, e la sua sostituzione con contratti di cinque anni, rinnovabili una volta sola - è subito scattata la mobilitazione; in molti atenei si sono occupati i rettorati, persino con la solidarietà di qualche rettore. Ma non si criticavano, fino a ieri, il «provincialismo» dei concorsi locali, che invece di nominare i migliori premiavano quasi sempre i candidati interni all'ateneo, la chiusura degli spazi per i giovani studiosi e l'elevata età media dei «ricercatori a vita», i professori «assenteisti» che trascurano gli studenti a favore dell'attività professionale? Salvatore Settis, storico dell'arte di fama internazionale e direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa (uno dei tre Istituti di «alti studi» esistenti in Italia), si dissocia dalle critiche: «Il disegno di legge del Governo ha il torto di comparire isola-io, al di fuori di un quadro complessivo. Altri provvedimenti sono, a quanto mi consta, imminenti: i più importanti dovrebbero intervenire sulla governance degli atenei e sui nuovi criteri di valutazione. Ma contiene buone idee, accanto a cose da correggere. Quanto all'aumento del carico didattico, le ore complessive restano molto al di sotto di quelle prestate da tutti i docenti che conosco. Non ha senso, però, distinguere burocraticamente le ore di ricerca dalla "didattica frontale". L'istruzione superiore è un continuum in cui la ricerca svolge un ruolo maggiore o minore ma essenziale». Settis approva, in particolare, il nuovo meccanismo dei concorsi e il ruolo a tempo per i ricercatori. «I concorsi locali erano stati la risposta ad anni di sostanziale blocco nelle assunzioni causato dalla macchinosità del vecchio sistema. Negli ultimi anni però si è esagerato in senso inverso. Adesso un momento di controllo nazionale sulla qualità dei nuovi docenti è più che opportuno. Fondamentale è soprattutto l'immissione di professori stranieri nelle commissioni. La loro presenza è un forte incentivo morale alla trasparenza.: un conto è "lavare i panni sporchi", cioè favorire le proprie consorterie. "in famiglia", un conto è perdere la faccia di fronte ad autorevoli colleghi degli altri Paesi. L'importante è però che i docenti stranieri siano scelti davvero con l'unico criterio dell'autorevolezza». «Neppure per quanto riguarda i ricercatori - continua SeCtis - comprendo le critiche. II ricercatore a vita è un'anomalia inconcepibile nelle università straniere. E non è affatto un'anomalia "italiana". Quando divenni assistente, quel ruolo era temporaneo: chi entro dieci anni non riusciva a ottenere la libera docenza lasciava l'università, e poteva andare a insegnare nella scuola superiore. Un bravo ricercatore può diventare associato, con il primo concorso, anche dopo sei mesi; dieci anni (cinque più cinque) sono un tempo più che sufficiente per valutarne le capacità. Naturalmente bisogna prevedere, come allora, una dignitosa via d'uscita e gli anni trascorsi all'università devono fare punti nei concorsi pubblici». Quali sono nel disegno di legge gli errori da correggere? «Nei concorsi - risponde Settis - sono risolutamente contrario alle quote riservate. Se, come si pretende, si ha davvero a cuore la qualità dei docenti, perché riservare il 15% dei nuovi posti da professore associato ai ricercatori e una percentuale analoga agli associati nei concorsi per i professori ordinari? È anche sbagliato limitare al 6% la nomina dei professori "per chiara fama". Perché restringere il numero dei migliori? Se il criterio viene applicato con rigore, il limite quantitativo non ha significato». Oggi l'università italiana è soffocata dalla penuria di fondi: per aumentarli possiamo percorrere la via indicata in Gran Bretagna dal premier Tony Blaír, aumentando le tasse pagate dagli iscritti? «In parte si - risponde Settis - ma a patto di agire contestualmente su tre piani: elevare il finanziamento pubblico, incentivare le donazioni private attraverso la defiscalizzazione e accrescere le borse di studio, riservandole in modo rigoroso ai meritevoli (oggi anche qui il lassismo è eccessivo). Per quanto riguarda i contributi privati, non dobbiamo credere che possano giungere soltanto dalle grandi imprese. L'università americana di Harvard, per esempio, riceve ogni anno più di due milioni di dollari, da più di 185mi1a donatori. Il contributo medio, non supera i 12mila dollari: una cifra che molti sarebbero disposti a versare anche in Italia per un'istituzione culturale in cui hanno fiducia, se le somme potessero essere detratte dalla dichiarazione dei redditi». «Ricerca e istruzione - conclude Settis - sono beni primari della collettività. In tutto ciò che li riguarda l'interesse comune dovrebbe prevalere sulle ragioni di schieramento politico: una convergenza tra maggioranza di Governo e opposizione per costruire una riforma condivisa non dovrebbe essere impossibile». ANDREA CASALEGNO ________________________________________ Il Messaggero 10 mar. ’04 SOLO PROFESSORI ECCELLENTI CERCANSI La concorrenza all’americana è la via maestra per rilanciare le Università di SERGIO GIVONE DAVVERO un momento cruciale per la scuola italiana. Questo vale sia per la scuola sia per l'università, investite da ambiziosi progetti riformistici. Ma vediamo intanto di distinguere fra la riforma della scuola primaria e secondaria e la ridefinizione dello stato giuridico dei docenti universitari. Per quel che riguarda la riforma della scuola è opportuno rinviare al lucido articolo di Gaetano Quagliariello apparso su questo giornale il 4 marzo. Quanto invece alla ridefinizione dello stato giuridico, resta più che mai aperto un problema fondamentale: quello del reclutamento del personale docente. E' su questo piano che si gioca il destino dell'università. Chiunque comprende che l'università avrà futuro se saprà selezionare e scegliere i suoi studiosi migliori, non avrà futuro in caso contrario. Partiamo da un dato di fatto: la cooptazione. C'è chi guarda con sospetto al principio della cooptazione. A cui però è inevitabile far ricorso quando si tratta di valutare scientificamente il lavoro dei ricercatori. Chi se non l'esperto di una materia può giudicare il lavoro di un altro esperto o presunto tale? Da questo punto di vista nessuno scandalo se i diversi centri di ricerca e i "maestri" cercano di promuovere, cooptandoli, i propri allievi. Scandaloso è che questo avvenga a favore dei peggiori e a scapito dei migliori. Come evitarlo? Un modo forse c'è. Far sì che siano i singoli atenei ad aver interesse a che il proprio corpo docente sia formato dagli studiosi più preparati e più prestigiosi. E' chiaro che finché studiare in una università eccellente oppure in una università scadente non fa differenza, dal momento che i titoli di studio acquisiti nell'una o nell'altra si equivalgono, questo interesse non c'è. Non così se il valore legale dei titoli di studio fosse abolito. E se a determinare la scelta di un ateneo piuttosto che di un altro da parte degli studenti fosse la qualità dell'offerta formativa. Si innescherebbe in tal modo un processo virtuoso. Dove si studia e si impara meglio ci sarebbero più studenti. Dove ci sono più studenti, ci sono più risorse economiche. Per avere più risorse economiche, bisogna avere i migliori docenti. A questo punto si potrebbero tranquillamente affidare i concorsi di ogni ordine e grado ai singoli atenei. Saremmo sicuri che li gestirebbero al meglio. Per cominciare, le commissioni giudicatrici potrebbero essere nominate dalle facoltà. Le quali verosimilmente cercherebbero i componenti di queste commissioni fra gli studiosi italiani e stranieri che danno maggiori garanzie: è nel loro interesse. E viceversa impedirebbero il formarsi di lobbies o cordate trasversali: non è nel loro interesse. Discutendo sullo stato giuridico dei docenti, si cerca oggi di capire se i contratti a termine previsti dalla legge favoriscano l'accesso dei giovani alla docenza o non creino nuove forme di precariato. Sacrosanta discussione. Il rischio però è di sollevare un polverone e di nascondere il vero problema. Che riguarda non tanto la figura del professore universitario. Bensì le modalità della sua formazione e selezione. Un problema, in fondo, di deontologia professionale. Il fatto è che all'università rigore scientifico e rigore morale sono la stessa cosa. Solo ponendosi all'altezza del loro compito, i docenti potranno salvare l'università. Altrimenti affonderanno con essa. Solo professori... resta più che mai aperto un problema fondamentale: quello del reclutamento del personale docente. E' su questo piano che si gioca il destino dell'università. Chiunque comprende che l'università avrà futuro se saprà selezionare e scegliere i suoi studiosi migliori, non avrà futuro in caso contrario. Partiamo da un dato di fatto: la cooptazione. C'è chi guarda con sospetto al principio della cooptazione. A cui però è inevitabile far ricorso quando si tratta di valutare scientificamente il lavoro dei ricercatori. Chi se non l'esperto di una materia può giudicare il lavoro di un altro esperto o presunto tale? Da questo punto di vista nessuno scandalo se i diversi centri di ricerca e i "maestri" cercano di promuovere, cooptandoli, i propri allievi. Scandaloso è che questo avvenga a favore dei peggiori e a scapito dei migliori. Come evitarlo? Un modo forse c'è. Far sì che siano i singoli atenei ad aver interesse a che il proprio corpo docente sia formato dagli studiosi più preparati e più prestigiosi. E' chiaro che finché studiare in una università eccellente oppure in una università scadente non fa differenza, dal momento che i titoli di studio acquisiti nell'una o nell'altra si equivalgono, questo interesse non c'è. Non così se il valore legale dei titoli di studio fosse abolito. E se a determinare la scelta di un ateneo piuttosto che di un altro da parte degli studenti fosse la qualità dell'offerta formativa. Si innescherebbe in tal modo un processo virtuoso. Dove si studia e si impara meglio ci sarebbero più studenti. Dove ci sono più studenti, ci sono più risorse economiche. Per avere più risorse economiche, bisogna avere i migliori docenti. A questo punto si potrebbero tranquillamente affidare i concorsi di ogni ordine e grado ai singoli atenei. Saremmo sicuri che li gestirebbero al meglio. Per cominciare, le commissioni giudicatrici potrebbero essere nominate dalle facoltà. Le quali verosimilmente cercherebbero i componenti di queste commissioni fra gli studiosi italiani e stranieri che danno maggiori garanzie: è nel loro interesse. E viceversa impedirebbero il formarsi di lobbies o cordate trasversali: non è nel loro interesse. Discutendo sullo stato giuridico dei docenti, si cerca oggi di capire se i contratti a termine previsti dalla legge favoriscano l'accesso dei giovani alla docenza o non creino nuove forme di precariato. Sacrosanta discussione. Il rischio però è di sollevare un polverone e di nascondere il vero problema. Che riguarda non tanto la figura del professore universitario. Bensì le modalità della sua formazione e selezione. Un problema, in fondo, di deontologia professionale. Il fatto è che all'università rigore scientifico e rigore morale sono la stessa cosa. Solo ponendosi all'altezza del loro compito, i docenti potranno salvare l'università. Altrimenti affonderanno con essa. ________________________________________ Corriere della Sera 12 mar. ’04 ATENEI: PULIZIE DI PRIMAVERA POLEMICHE *Atenei, professori e ricercatori in agitazione. E ora sui soldi... La rivoluzione dello stato giuridico dei docenti sarà seguita da quella sui finanziamenti di WALTER PASSERINI Un caldo vento di primavera sta soffiando sulla scuola e sull'università, che congiuntamente «incroceranno le braccia» il 26 marzo, per uno sciopero contro «le» riforme Moratti: quelle dell'istruzione e dello stato giuridico dei docenti universitari. Per quanto riguarda gli atenei, la riforma del corpo docente è inserita in un quadro di altri cambiamenti: il meccanismo di finanziamento delle università, che, come ha annunciato il ministro al «Corriere della Sera», verrà rivoltato come un guanto, e una politica di valutazione dei risultati dell'attività accademica, ricerca compresa, come guida dell'erogazione dei fondi. Intanto, sul fronte della riforma dello stato giuridico dei docenti e dei ricercatori permango no le differenze tra i diversi contendenti in campo: da un lato la maggioranza dei professori universitari e dei ricercatori, che si oppongono a una riforma che definiscono «precarizzant~Dall'altro, il ministero e una parte del corpo docente, che invece affermano che il disegno di legge delega, appena firmato dal presidente Carlo Azeglio Ciampi e approdato alla Commissione cultura della Camera, ci avvicina agli altri Paesi europei. I nodi restano quelli della figura del ricercatore «a tempo», cinque anni più cinque anni; il meccanismo del concorso nazionale; l'abolizione tra tempo pieno e tempo definito; l'aumento delle ore di attività didattica dei docenti; i contratti triennali per ordinari e associati. Su questi temi, Letizia Moratti ha ribadito la sua volontà di dialogo con tutti. Ma il vento del cambiamento investirà da subito i meccanismi di finanziamento degli atenei, che sta già gettando altra benzina sul fuoco. La bozza elaborata dal ministero dell'Università prevede una formula sintetizzabile nel «30+30+30+10». Mentre sino a questo momento le risorse arrivano alle singole università in base al numero degli iscritti (ciò che ha spesso scatenato la fantasia e il marketing degli atenei, non sempre con il necessario rigore scientifico, al fine di accaparrarsi studenti), una volta approvato il nuovo meccanismo sarà basato su quattro parametri: il primo 30% di risorse verrà erogato ancora sulla base del numero di iscritti, ma togliendo dal calcolo, per impedire mosse distorsive, sia le matricole che gli studenti fuori corso (lasciando quindi solo il parametro degli studenti regolari). Il secondo 30% sarà erogato sulla base dei risultati della ricerca scientifica degli atenei (punto di «qualità», oltre che di «quantità», su cui si stanno particolarmente battendo Piero Tosi e la Conferenza dei rettori). Il terzo 30% verrà influenzato dai risultati legati agli studenti: quanti di essi sono regolari e in corso, quanti hanno trovato lavoro ed entro quali tempi, e cosi via. L'ultimo 10% delle risorse sarà a discrezione del ministro. Ora, dopo l'occupazione dei rettorati effettuata giovedì della scorsa settimana nei principali atenei italiani, fervono i preparativi per l'altra prossima manifestazione del 26 marzo. Per ora, nonostante qualche tentativo di apertura, le posizioni restano distanti. Si prevedono interruzioni dell'attività didattica, esami all'aperto, scontri di tipo mediatico e il coinvolgimento anche degli studenti. «La riforma è flessibile, parte come sperimentazione - ha dichiarato il ministro -. Nel giro di 18 mesi vedremo le cose che funzionano e quelle che non funzionano. Nel frattempo continuerò a confrontarmi e ad ascoltare tutti». E a chi parla di «resistenze culturali» al cambiamento da parte delle università, risponde Piero Tosi della Crui: «Forse questa situazione si poteva evitare aprendo prima il dialogo. Comunque non credo che nell'università ci siano difese corporative; anzi, c'è la consapevolezza che si deve migliorare, a tutti i livelli». ________________________________________ Il Sole24Ore 9 mar. ’04 ATENEI, LA VIA DELLE FONDAZIONI Riforma dell'Università / Proposta DI NICOLA ROSSI E GIANNI TONIOLO Il disegno di legge delega per la riforma dello stato giuridico dei professori universitari non manca di aspetti positivi, primo fra tutti la sostituzione del ruolo (a vita e sottopagato) del ricercatore con ben pagati contratti di ingresso a tempo definito, come avviene nei Paesi dove l'università funziona bene. Esso è tuttavia inficiato alla radice dal male antico del nostro sistema: centralismo ministeriale con regole minute, uguali per ogni ateneo, per ogni professore, dalla Alpi al Lilibeo. Constatiamo come l'autonomia - perno dell'organizzazione universitaria dal Medioevo sino ai migliori sistemi odierni - non sia stata metabolizzata né dalla burocrazia ministeriale, per atavica vocazione napoleonica, né dagli atenei, per il terrore di amministratori, professori e personale non docente di fronte all'assunzione di responsabilità e rischi. La chiave di volta di un'efficace politica universitaria si chiama autonomia degli atenei. In tutti i Paesi dove le università funzionano bene esse sono libere nell'assunzione del personale docente e non docente (questo ultimo è assolutamente decisivo), nelle remunerazioni, nella formulazione dei curricula, nei criteri di ammissione degli studenti: in genere, nella gestione delle proprie risorse. A ciò corrisponde una piena responsabilità per gli esiti dei propri bilanci. Una dimostrazione dei benefici dell'autonomia viene dalla Spagna il cui sistema universitario era, in gran parte è tuttora, simile al nostro per centralismo burocratico, atenei mastodontici e ingestibili, concorsi nazionali. Alcune università sono tuttavia riuscite a conquistare una maggiore autonomia e sono queste che oggi stupiscono l'Europa per la loro vitalità, testimoniata dal numero crescente di studenti stranieri che attraggono e dal numero dei loro dottori di ricerca che trova lavoro presso le università di tutto il mondo. È tempo che, anche in Italia, si prenda atto che il sistema centralistico- burocratico non è riformabile. In un mondo ideale, la riforma del sistema si baserebbe su due pilastri da attivare contempo raneamente verrebbe resa effettiva la finta autonomia attuale degli atenei Q tutte le risorse pubbliche destinate all'università verrebbero allocate solo sulla base di precise valutazioni di qualità scientifica. Quanto agli incentivi didattici, gli atenei verrebbero lasciati liberi di fissare le rette e nel contempo verrebbero create forme accessibili, eque ed efficienti, di "prestito d'onore" e borse di studio. Il passaggio alla vera autonomia richiederebbe una serie di misure di accompagnamento. Sarebbe eliminato il valore legale del titolo. Esso reca un duplice danno: distorce l'efficienza delle assunzioni nella pubblica amministrazione e ingessa le università. Lo stato giuridico pubblico dei professori non si applicherebbe più ai nuovi assunti e si studierebbero incentivi per un passaggio al nuovo regime privatistico, almeno dei più giovani (e produttivi) tra i docenti oggi in servizio. La gestione degli atenei non sarebbe appannaggio esclusivo della corporazione dei docenti. Le residenze universitarie, oggi largamente di competenza regionale, tornerebbero agli atenei per metterli in grado di attrarre gli studenti anche sulla base della qualità dei servizi. II finanziamento dei privati alle università godrebbe d'importanti vantaggi fiscali. Infine, nel passaggio al nuovo regime sarebbe probabilmente favorito lo scorporo delle facoltà di medicina - che hanno problemi propri del tutto disomogenei con quelli delle altre facoltà - dagli atenei, creando autonome strutture di ricerca e didattica medica. Questa sarebbe la strada maestra in un mondo ideale. Ma manca in gran parte dell'accademia italiana una cultura dell'autonomia e, salvo rari casi, la politica ne sembra ben contenta. Una proposta del genere sarebbe> dunque, bloccata sul nascere con mille pretesti. È necessario, dunque, seguire una strada meno radicale: quella dell'adesione volontaria. Entro una data prefissata, gli atenei che lo decidessero potrebbero trasformarsi in fondazioni universitarie e godere della più completa autonomia finanziaria, gestionale, didattica e scientifica. Essi sarebbero liberi di assumere il personale docente e non docente con contratti di diritto privato sottoposti solo al vincolo della legge, di organizzare l'intera struttura della didattica (dai corsi di laurea di primo livello ai dottorati di ricerca), di stabilire le norme per l'ammissione degli studenti e di fissare le rette di frequenza, di provvedere ai servizi connessi (dalle mense agli alloggi), di acquisire risorse da destinare alle attività statutarie della Fondazione. Nel bilancio dello Stato verrebbe creato un "Fondo per le Università autonome" costituito dai trasferimenti già in essere verso le università che avessero optato per la trasformazione, aumentati di una significativa percentuale incentivante. Il fondo verrebbe ripartito in due distinti capitoli. Il capitolo della ricerca verrebbe allocato sulla base di una rigorosa valutazione dei risultati scientifici dei singoli dipartimenti effettuata, almeno inizialmente, con l'ausilio di docenti stranieri. Il capitolo della didattica verrebbe, invece, interamente utilizzato per il finanziamento di un programma di borse di studio (inclusive del pagamento delle rette di frequenza) riservato agli studenti capaci e meritevoli e privi di mezzi che volessero accedere alle università autonome. Sarebbe ovviamente necessario prevedere numerose disposizioni transitorie, anzitutto per quanto riguarda il personale che non optasse per il nuovo regime. Le università che non scegliessero la trasformazione in fondazioni rimarrebbero nella loro situazione - giuridica, finanziaria> gestionale, didattica e scientifica - attuale. Nessuno sarebbe costretto a essere "autonomo" ma le singole università potrebbero decidere di esserlo. Gli oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato sarebbero con ogni probabilità modesti. Qualora alcune coraggiose università decidessero di spingersi sulla via della trasformazione, sarebbe facile valutare concretamente sia i vantaggi dell'autonomia sia l'entità e la distribuzione degli oneri (finanziari e dovuti all'inefficienza) impliciti nella situazione attuale. ________________________________________ Corriere della Sera 7 mar. ’04 FONDI AGLI ATENEI, SÌ AI CRITERI DI MERITO Piero Tosi, presidente dei rettori, apre alla Moratti. «Ma servono valutazioni sulla qualità e un piano delle risorse» LA RIFORMA DELLA SCUOLA. IL DIBATTITO Jacomella Gabriela «Il nuovo sistema di finanziamento agli atenei? Quello che posso dire è che noi siamo da sempre favorevoli all' introduzione di modelli di valutazione di tutte le attività universitarie: formazione, ricerca, attività amministrative». Piero Tosi, rettore dell' università di Siena e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, commenta così l' intervista di ieri del ministro Moratti al Corriere. Nessuna perplessità, dunque. «Al contrario. E' da tempo che invochiamo l' introduzione di un modello di valutazione degli atenei, tanto è vero che la Conferenza dei rettori sta lavorando all' elaborazione di un modello da proporre e discutere con il ministro. Credo però che sia necessario un chiarimento. Ogni valutazione si basa su due serie di parametri. La prima è quantitativa: gli studenti iscritti, gli esami fatti, i laureati che trovano lavoro. Nella ricerca, la quantità di progetti nazionali approvati. Sono i parametri indicati dal ministro (30% dei fondi distribuiti in base agli iscritti, 30% in base ai risultati della ricerca, 30% in base alla qualità dei risultati degli studenti, 10% di «incentivi» liberi a scelta del ministero, ndr). Ma sono dati puramente quantitativi. Accanto ci sono quelli qualitativi, che non vanno dimenticati. Nella formazione, è vero, possono confondersi: è chiaro che quanti più laureati saranno assorbiti dal mondo del lavoro, tanto maggiore sarà la qualità dell' ateneo. Ma per la ricerca serve una valutazione delle ricadute basata anche sui risultati». Quello che propone è un' aggiunta alla bozza del ministero. «Intendiamoci, sono lieto che parta un' operazione di questo tipo, ma penso che il modello debba comprendere entrambi gli aspetti. E poi c' è un rischio: se si adottano parametri che prendono in esame solo le performances degli studenti, si potrebbe implicitamente fornire agli atenei uno stimolo ad abbassare la qualità. Ovviamente questo non lo vuole nessuno, tanto meno il ministro. Ecco perché è necessario introdurre criteri qualitativi e non puramente numerici». Ma c' è un modello valido per ogni facoltà? «E' chiaro che è più difficile valutare la ricerca in campo umanistico che non in campo scientifico, ma ci sono esperienze consolidate, all' estero e in Italia. Poi va detto che alla valutazione che serve per la locazione di risorse ne andrebbe affiancata un' altra, per il miglioramento della qualità degli atenei: un meccanismo interno, con una fase di autovalutazione e una di valutazione da parte di esperti esterni». Un sistema a due livelli, presumibilmente costoso. «Ma necessario, se vogliamo introdurre un modello di valutazione serio. E prima ancora bisogna tener conto della necessità di un riequilibrio del sistema: in Italia convivono università storiche e di recente istituzione, piccole e grandi. E' un intervento che stiamo attuando da diversi anni. Una volta realizzato si dovrà andare con decisione verso la ridistribuzione dei fondi basata sulla valutazione. Che poi significa allinearsi con l' Europa. Anche se mancano ancora le strutture: non abbiamo un' anagrafe nazionale degli studenti, né della ricerca o dei laureati (la banca dati di AlmaLaurea comprende per ora 37 atenei). E poi c' è lo snodo dei finanziamenti. Il sistema di valutazione non potrà limitarsi alla ridistribuzione della spesa storica, ma deve poter contare su risorse aggiuntive. Credo che i tempi siano maturi per elaborare un piano di investimenti sull' università, magari quinquennale». Il ministro ha riferito dati positivi sull' aumento dei fondi. «E' vero, nell' ultimo anno l' investimento dello Stato sull' università è stato in crescita. Un segnale importante, ma non è servito a coprire se non una minima parte, a esempio, delle maggiori spese per il personale derivanti dagli adeguamenti di stipendio. Ripeto, un piano d' investimento è essenziale». Come valuta i cambiamenti nelle carriere universitarie? «Condivido la necessità di investire sui giovani, e sono d' accordo anche sull' introduzione di risorse riservate a tale scopo. Già due anni fa abbiamo chiesto che si elaborasse un programma con fondi da destinare al reclutamento dei giovani. Magari anticipando risorse che si sarebbero liberate solo tra un certo numero di anni, quando il turnover negli atenei sarà forte: a partire dal 2008-09 il numero di docenti che lasceranno il servizio sarà molto alto». E il rischio di «precarizzazione»? «Il reclutamento iniziale a tempo determinato può andare bene. Ma dev' essere un tempo definito, non troppo lungo, soprattutto accompagnato da risorse adeguate per far sì che l' offerta sia competitiva. Ma il punto critico sarà fornire ai giovani una chance reale di accedere ai ruoli. C' è poi una puntualizzazione da fare sul ruolo dei docenti». La famosa ridefinizione dello status giuridico. «Esatto. Noi siamo determinati a ottenere che si definiscano diritti e doveri dei docenti, ma tra questi ci dev' essere anche quello della ricerca. Nell' attuale disegno è dimenticata, mentre è fondamentale per la natura stessa del professore universitario. Che è tale solo se fa ricerca, altrimenti è un dispensatore di nozioni. Abbiamo aperto un tavolo col ministero e il Cun, il Consiglio universitario nazionale, e mi pare ci sia un' ampia prospettiva, vista anche la disponibilità dimostrata dal ministro. L' obiettivo è migliorare l' università, ma vanno introdotti correttivi sostanziali. Altrimenti si rischia di fare peggio». Secondo il ministro le proteste sarebbero il frutto di una «resistenza culturale». «Questo è un tema che tocca la radice stessa dell' essere universitari, è evidente che ci sia fermento. E che di conseguenza ci fosse la necessità di interpellare tutti i membri della comunità accademica. Forse questa situazione si poteva evitare aprendo prima il dialogo. Comunque non credo che nell' università ci siano difese corporative; anzi, ritengo ci sia la consapevolezza che si deve migliorare, a tutti i livelli. Ma bisogna stare molto attenti a non sbagliare». Gabriela Jacomella I CONTRIBUTI Per il 2004 i miliardi saranno 6,5 Oggi gli atenei sono finanziati in base al numero degli iscritti. Il fondo ordinario di finanziamento dell' università era 5,8 miliardi di euro nel 2000, 6,1 nel 2001, 6,2 nel 2002, 6,3 nel 2003. Per il 2004 è di 6,5 miliardi. L' incremento previsto nella finanziaria per le spese di ricerca a carico dello Stato è di 1,6-1,7 miliardi di euro (+22-25%). Secondo i nuovi criteri i finanziamenti saranno assegnati per il 30% in base al numero degli iscritti (esclusi matricole e fuori corso), per il 30% in base ai risultati della ricerca, per il 30% in base alla qualità dei risultati degli studenti (quanti sono in corso, quanti trovano lavoro). Il restante 10% è riservato a «incentivi» da valutare caso per caso. GLI STUDENTI Una matricola su due arriva alla laurea In Italia oggi ci sono 77 università. Nell' anno accademico 2002-2003 gli iscritti erano 1.773.245, di cui 640.759 fuori corso (il 36,13% del totale). Solo il 52% delle matricole arriva alla laurea (nel 1994 erano il 36%) e un quarto degli studenti abbandona l' ateneo dopo il primo anno. La percentuale di laureati sul totale della popolazione attiva è dell' 8,7%, contro il 20,6% di Francia, il 23% di Germania e il 23,6% di Gran Bretagna. L' età media di un universitario italiano è di 23,4 anni. Ci si laurea all' età di 27,8 anni, per un totale di sette anni passati tra esami, lezioni e biblioteche. Il 54 per cento degli allievi lavora, a tempo pieno o part time, per mantenersi durante gli studi. 30% Il piano della Moratti prevede che il 30% dei fondi derivi dagli iscritti (esclusi matricole e fuori corso) 70% Il 30% sarà determinato dai risultati della ricerca, il 30% dai successi degli studenti, il 10% da incentivi ________________________________________ Il Sole24Ore 11 mar. ’04 VIA AL CONFRONTO GOVERNO-RETTORI ROMA a Valutazione, autonomia e nuove risorse per le università. Sono alcune delle priorità dell'azione del Governo secondo il vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, che ieri ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), Piero Tosi, il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, il sottosegretario all'Economia, Giuseppe Vegas e Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di An. All'ordine del giorno i finanziamenti per università, programmazione e valutazione delle attività degli atenei. «Il vicepresidente Fini - ha detto Valditara - ha garantito l'autonomia dell'università, sottolineando come da questo principio non si torna indietro. E ha ribadito che per il Governo gli investimenti nel capitale umano rappresentano un fattore strategico». Valditara ha fatto notare, poi, che «la prospettiva è quella di passare da un sistema che attribuisce risorse in base ai numeri a un altro che mira, invece, a incoraggiare la qualità della didattica e della ricerca» in modo da «collegare finanziamenti e valutazione dei risultati raggiunti». Inoltre «tutti si sono trovati d'accordo - ha sottolineato il responsabile università di An - sulla necessità di prevedere una griglia di controllo che garantisca il rispetto dei limiti di legge tra spese per il personale e fondo di finanziamento». «Si è trattato - ha detto Tosi - di un'occasione di confronto importante e significativa. È stata ribadita la necessità di verificare le modalità di riassunzione da parte dello Stato degli oneri derivanti dagli aumenti stipendiali già a partire dal 2004 per assicurare, da una parte, il pieno rispetto dell'autonomia universitaria e, dall'altra i necessari controlli sui comportamenti delle università». AL.TR. ________________________________________ Il Sole24Ore 6 mar. ’04 DE MAIO: I CERVELLI RESTINO FUORI DALLA GESTIONE DEL BUSINESS Intervista i Parla Adriano De Maio (rettore della Luiss) MILANO a Come la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla decidere ai generali, allo stesso modo l'innovazione non va delegata agli scienziati. Adriano De Maio, ricercatore, docente al Politecnico, rettore dell'università Luiss, attualmente commissario del Cnr ha imparato alla Sloan school, l'istituto di management del Mit (Massachusetts institute of technology) di Boston, le sofisticate tecniche di gestione della ricerca che poi ha applicato negli otto anni in cui è stato rettore del Politecnico di Milano sviluppando numerosi progetti con l'industria privata. Professor De Maio, lei è nato come ricercatore, poi è diventato un manager. Quali sono le principali differenze tra i due ruoli? Prima vorrei parlare di pre condizioni essenziali. Il presupposto è che ci siano risorse valide. In secondo luogo, "ceteris paribus", nella ricerca il successo arriva più facilmente con una buona gestione manageriale. Anche sul versante prettamente scientifico l'intuizione, serve, ma non basta. Ci vuole un organizzatore. Chi scegliere per un ruolo di questo genere? Vince il manager o lo scienziato? Ci sono diversi livelli. Per gestire un gruppo di ricerca bisogna indubbiamente avere capacita e conoscenze scientifiche. Quando invece si passa a dimensioni più grandi o a livelli sofisticati, allora la prevalenza deve essere data agli aspetti gestionali. Ma gestire un business o una ricerca, è la stessa cosa? Assolutamente no. Quali le differenze? Nel secondo caso, cioè per la ricerca, esistono peculiarità specifiche. Certo, c'è sempre il nodo dell'efficienza delle risorse, ma il tipo di approccio ai problemi è completamente diverso. Esistono sensibilità molto caratteristiche e situazioni che richiedono particolare delicatezza. Serve quindi uno scienziato manager? A una condizione. Molto precisa. Per evitare di combinare guai troppo grossi, quando fai l'organizzatore devi "dimenticare" le tue conoscenze tecniche. Come ricercatore è sempre in agguato, anche inconsciamente, il rischio di fare in qualche modo prevalere i tuoi interessi "scientifici" su quelli applicativi che invece rappresentano il vero motore del progresso. La tecnologia va vista come un fattore strategico di sviluppo e non va fatta gestire agli scienziati. Ci devono essere obiettivi fissati a livello politico generale (o aziendali, cioè in genere dagli azionisti o dal consiglio di amministrazione). Esistono modelli vincenti? Parecchi. In primo luogo quelli delle università americane, ormai abbastanza noti, e piuttosto articolati. Il principio base è quello di una partecipazione congiunta tra ricercatore e istituzione, sia nello sfruttamento dei brevetti sia come successiva nascita di nuove iniziative imprenditoriali per lo sfruttamento dell'innovazione. Ci sono inoltre altri poli molto avanzati. Per esempio? Technion, ad Haifa, è di altissimo livello. Come pure l'istituto, sempre israeliano, Weizmann. In base alla sua esperienza, quali sono i punti sui quali concentrare l'attenzione? Non esistono ricette per tutte le stagioni. Dipende in primo luogo dagli obiettivi. Se penso alle mie esperienze, devo dire che ho utilizzato molteplici strumenti. Dalle joint venture ai joint labs, ad esempio il Corecom (Consorzio ricerche elaborazione commutazione ottica Milano) con la Pirelli per promuovere gli studi sulle reti in fibra ottica. Il Politecnico ha lavorato anche con Mapei, St-Microelectronic e altre aziende. C'è poi stata la gestione dei brevetti, degli spinoff, degli incubatori tecnologici... Dal punto di vista manageriale ci sono punti irrinunciabili? In primo luogo bisogna accettare l'insuccesso come normalità. Nel senso che fare ricerca è sempre un rischio. Detto questo, bisogna concentrarsi sull'impostazione dei progetti, sulla pianificazione, sulla gestione, sulla valutazione delle persone e sul controllo dei risultati. Sotto l'aspetto strategico, quali risultano gli aspetti chiave? A1 primo posto ci sono gli obiettivi che devono essere focalizzati con la massima attenzione: bisogna fare scelte precise e valutazioni molto attente anche sulle modalità con le quali intendo raggiungere i miei target. Qui ci si muove nella direzione "top-down". Trattandosi di ricercatori, il percorso va integrato in senso opposto, cioè dal basso verso l'alto. Dalla curiosità, dalle intuizioni e dagli stimoli degli scienziati possono nascere nuovi progetti, o modifiche significative a quelli esistenti. Quali sono le tecniche organizzative da scegliere? Quelle utilizzate a Los Alamos, prima ancora che venissero teorizzate. Bisogna cioè realizzare un modello a matrice che consenta, nello stesso tempo, di approfondire le competenze specialistiche e di integrarle tra di loro. Oggi è poi indispensabile fare progetti multidisciplinari. Nei nuovi materiali, per esempio, bisogna mettere a lavorare insieme chimici, fisici, biologi, ingegneri, matematici, ecc. Determinante è infine la "colocation", cioè lo riuscire a far lavorare sotto lo stesso tetto gli scienziati. Spesso è lo scambio informale, il vivere gomito a gomito che pub far decollare la qualità della ricerca. FRANCO VERGNANO ________________________________________ Il Sole24Ore 9 mar. ’04 TRIPLICARE LE SPESE IN RICERCA E ISTRUZIONE Il programma della Commissione europea per il 2003-2007 prevede un forte stimolo alle competenze verso la «società della conoscenza» DI VIVIANE REDING* A metà febbraio la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta di prospettive finanziarie per l’Unione europea per il periodo 2007-2013: la comunicazione raccomanda di triplicare gli stanziamenti a favore di tutte quelle politiche, quali la ricerca, l'istruzione e la formazione, che sostengono la competitività, la crescita e l'occupazione. Per quanto concerne più specificamente la rinnovata importanza riconosciuta all'istruzione e alla formazione, vorrei chiarire i termini del dibattito in corso, spiegando le ragioni di fondo alla base di questa nuova ambizione europea. Riemergono, in primo luogo, le tradizionali obiezioni e riaffiora il tema delle competenze dell'Unione europea. A questo proposito, un ministro delle Finanze non ha tralasciato di esprimere - l'altro giorno - il suo scetticismo affermando: «Non capisco come si possa voler spendere cosi tanto in un settore, quello dell'istruzione e della formazione, in cui l'Unione è titolare di cosi poche competenze». Questo dibattito richiama quello suscitato venti anni fa dalla proposta avanzata dalla Commissione Delors, il cui obiettivo era la promozione della mobilità degli studenti in Europa; oggi quella proposta è entrata nella prassi corrente. Nel 2003, 120mi1a studenti Erasmus hanno effettuato un periodo di studio in un altro paese europeo, un dato cento volte superiore a quello di venti anni fa. Parallelamente, sono state concesse circa 50mila borse di studio Leonardo che hanno consentito a giovani o adulti di svolgere un tirocinio professionale in un altro paese. Nel corso degli ultimi venti anni, sono stati in totale 1,5 milioni i giovani europei che hanno usufruito di un sostegno comunitario per svolgere un periodo di studio o di tirocinio professionale in un altro paese europeo. Tutti coloro che hanno avuto l'opportunità di vivere tale esperienza ne sono rimasti soddisfatti. Per questi giovani il "concetto astratto" di Europa ha acquisito un significato tangibile. Lo stesso vale per le migliaia di insegnanti e formatori che collaborano tra loro a livello transnazionale nel quadro dei programmi europei. Per loro l'Europa dell'istruzione costituisce una realtà, un'Europa che tra l'altro non è gestita da Bruxelles ma direttamente negli Stati membri. L'Unione europea dispone oggi di un mercato unico delle merci e dei servizi, nonché di una moneta unica, l’euro. La realizzazione di un mercato del lavoro europeo e di un'effettiva mobilità dei cittadini, invece, risulta ancora incompleta. Senza dubbio l'Unione europea ha conseguito progressi in questo settore negli ultimi venti anni. Resta tuttavia molta strada da fare: in effetti 120mi1a borse di mobilità l'anno corrispondono all' 1 % soltanto della popolazione studentesca europea. Si tratta di un valore troppo modesto e di una situazione ingiusta per coloro che non hanno I' opportunità di diventare "studente Erasmus". Per questo motivo ho proposto per il prossimo programma obiettivi all'altezza della sfida. Nel settore dell'insegnamento secondario (programma Comenius) dovrebbero essere coinvolti il 10% degli studenti e il 10% degli insegnanti; nell'insegnamento superiore {programma Erasmus} occorrerebbe triplicare il numero annuale delle borse, in modo che entro il 2010 oltre tre milioni di europei abbiano l'opportunità di seguire un periodo di studio all'estero, mentre nel campo della formazione professionale (programma Leonardo) il numero dei tirocini presso le imprese dovrebbe triplicare nel periodo compreso tra i12003 e il 2013. L'ingresso a pieno titolo nella società della conoscenza costituisce una sfida importante per l'Europa. I capi di Stato e di governo hanno stabilito a Lisbona nel 2000 e successivamente a Barcellona nel 2002 obiettivi molto ambiziosi, secondo i quali entro il 2010 l'Europa deve diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, e i suoi sistemi d'istruzione e di formazione devono diventare un punto di riferimento a livello mondiale. Ovviamente in questo setto re l'impegno maggiore compete alle autorità pubbliche nazionali o regionali e al settore privato. Ma alla Ue spetta un ruolo di propulsione e di coordinamento: innegabile è inoltre il valore aggiunto che essa apporta. L'Unione sostiene lo sviluppo delle regioni meno favorite: una quota consistente degli stanziamenti per la coesione (quasi 400 miliardi di euro ipotizzati per il periodo 2007-2013) sosterrà gli investimenti a favore delle risorse umane delle regioni dell'Unione in ritardo di sviluppo. L'intervento dell'Unione non deve tuttavia esaurirsi in questo: senza uno sforzo di ammodernamento dei propri sistemi di istruzione, i ricchi di oggi rischiano di diventare i poveri di domani, giacché lo sviluppo del capitale umano è indispensabile ai fini di una qualsiasi ripresa economica. Contemporaneamente è essenziale un rinnovamento dell'insegnamento superiore, in modo che l'Europa possa di nuovo attrarre gli studenti di tutto il mondo, far recuperare alle sue università una posizione di primo piano a livello mondiale e bloccare la fuga dei ricercatori, centinaia di migliaia dei quali si sono trasferiti negli Stati Uniti. Peraltro il programma Erasmus Mundus - operativo dal prossimo mese di settembre - va proprio in questa direzione. Solo un impegno paneuropeo e la realizzazione di una sinergia tra le migliori capacità di insegnamento e di ricerca consentiranno quindi di arrestare questa emorragia. La dimensione europea dell'istruzione superiore rappresenta una "conditio sine qua non" per la società della conoscenza. * Commissario europeo per Istruzione e Cultura ________________________________________ La Repubblica 10 mar. ’04 GLI STUDIOSI E LA RICERCA PERDUTA A ROMA UNA SINGOLARE PROTESTA SIMONETTA FIORI Roma Per qualche studioso la ricerca l'impegno speculativo come scelta di vita è stata rivelazione improvvisa, fulminante. La possibilità di vivere in un modo diverso. Accadde a Giorgio Careri - fisico ottuagenario di fama internazionale - una mattina di sessant'anni fa. «Sulla scalinata della facoltà di Ingegneria di San Pietro in Vincoli vidi Edoardo Amaldi con altri più giovani assistenti, che saltava dalla gioia e inforcava la bicicletta gridando a gran voce: "Evviva, sono finiti gli esami, andiamo subito a far misure". Quelle parole, quel volto felice sottolineato dal basco, ebbero su di me un effetto determinante: era possibile vivere in quel modo, come il mio professore». La fisica come disposizione affettiva, qualcosa di molto personale. «La bellezza delle equazioni di Maxwell m'incantava fisicamente, come potrebbero incantare un geroglifico, delle incisioni cuneiforni su argilla, la calligrafia araba». L'incanto di Giorgio Careri non è dissimile dall'emozione di Tullio Regge per le oscillazioni Le testimonianze di Arnaldi, Careri, Canfora , Regge e Levi Montalcini del buco nero, dall'entusiasmo del medievista Girolamo Arnaldi dinanzi a un verso dantesco, dalla passione dell’antichista Luciano Canfora per le gesta dell'ufficiale cesariano Cecilio Basso. Sottratta alla vaghezza di formule astratte, la ricerca acquista la dimensione concreta del vissuto, la vitalità dell'esperienza biografica. "Ricerca libera tutti" è anche l'espressivo logo scelto da un folto gruppo di professori universitari, ordinari e associati, che hanno promosso per il 16 marzo a Roma una giornata contro il declino dell'Università italiana. L'iniziativa, nell'oceano delle manifestazioni promosse contro la riformatrice Moratti, si distingue per originalità: non un appello generico pur sacrosanto ai valori della ricerca scientifica, bistrattata dall'attuale governo di centro-destra («ma prima non era meglio», dicono i promotori, polemici anche con Luigi Berlinguer), piuttosto un atto di testimonianza su cosa essa abbia significato - negli esiti, nella scelta del metodo, nella strumentazione, nell'incontro con i maestri - per insigni studiosi nelle discipline più diverse. All'Università degli Studi di Roma Tre, ospitati dal rettore Guido Fabiani, interverranno in forma autobiografica storici della qualità li Girolamo Arnaldi e Luciano 'anfora, scienziati quali Rita Levi dontalcini, Carlo Bernardini, Tulio Regge, Giorgio Careri e Alberto Giazza, gli storici dell'arte Marisa Galai e Bruno Toscano, l'archeologo Andrea Carandini, il filologo Ceare Segre, il giurista linceo Angelo Lalzea, l'etologo Enrico Alleva, e tanti altri ancora. «L'intento è dar voce alle diffuse preoccupazioni per la perdita del legame tra ricerca didattica», spiegano gli organizzatori, che si celano dietro due improponibili acrostici - Cpi, ossia i vincitori di concorso già interni all'Università, e Copins, ossia i professori idonei che però sono rimasti fuori per il blocco delle assunzioni imposto dalla finanziaria. Il rischio oggi è che le lezioni universitarie, piuttosto che divulgare gli esiti d'una ricerca originale, si traducano in "vani sproloqui intorno a banalità". L'espressione è di Canfora, che ricorda i suoi esordi all'Università - nel luglio del 1960 - al seguito di Carlo Ferdinando Russo, abile nell'illustrare la grammatica greca con i suoi originali studi su Aristofane. «Insegnamento elitario? No, affatto. La ricerca non è accessibile soltanto a pochi, ed è falso che quei pochi siano tutti figli della borghesia affluente». Tullio Regge, fisico riconosciuto sul piano internazionale, proviene da una famiglia di contadini. Eppure «il personaggio più importante nella mia vita di ricercatore è stato mio padre», racconta. «Zappatore per necessità, riuscì miracolosamente a ottenere un diploma da geometra. Scrisse anche un libro di scienza :in cui sosteneva che la legge gravitazionale di Newton era sbagliata. Non riuscì a convincere gli esperti, ma convinse me a studiare scienza». Ricerca e didattica, binomio imprenscindibile. Girolamo Arnaldi confessa di rimpiangere l’insegnamento universitario, lasciato in anticipo cinque anni fa: «Mi ero proposto di limitarmi a concludere saggi lasciati incompiuti, invece non resisto alla tentazione di produrre ancora lavori nuovi. Ed. è per questo che rimpiango l’insegnamento,perché facendo lezione mi è capitato più volte di cambiare idea su qualche punto anche importante». Un metodo che stimola nei ragazzi "spirito critico". Ed è questo, in fondo, il senso ultimo della ricerca. Un esercizio considerato oggi quanto mai superfluo. Tullio Regge Girolamo Arnaldi ________________________________________ La Stampa 9 mar. ’04 COME LIMITARE IL PRECARIATO TRA I RICERCATORI LETTERA-PROPOSTA AL MINISTRO MORATTI: UN PIANO PLURIENNALE CON CONTRATTI LUNGHI E CONCORSI CHE la ricerca scientifica in Italia, e in particolare quella universitaria, abbia bisogno di ossigeno è un fatto di cui non si può dubitare. Poiché il tema è troppo complesso per essere trattato in una lettera al giornale, ci concentriamo su quello che riteniamo il problema dei problemi: l'immissione dei giovani nella carriera universitaria, nell'ottica delle facoltà scientifiche. Le proposte del ministro su questo tema (abolizione del ruolo dei ricercatori e ricorso a contratti pluriennali a termine), rischiano di avere, temiamo, effetti fortemente negativi. Per brevità, anziché spiegare nei particolari le ragioni di questi timori, preferiamo suggerire uno schema che, se ben articolato, potrebbe accogliere le motivazioni positive delle proposte ministeriali evitandone gli aspetti negativi. Per rilanciare la ricerca scientifica nelle nostre Università e per compensare il ridotto afflusso di giovani negli ultimi anni (causato anche da scelte discutibili dell'Accademia), si determini un piano pluriennale, definito nei numeri e nelle risorse, di apertura ai giovani di età non superiore a 30-35 anni con un dottorato di ricerca e una chiara esperienza post-dottorale. A questi giovani siano assegnati, con rigorose procedure di ingresso, contratti di ricerca di lunga durata, per esempio quinquennale, con uno stipendio adeguato e competitivo a livello europeo. Infine sia loro garantito, entro il penultimo anno di contratto, un concorso su base nazionale per l'immissione nel ruolo di professore associato, con un numero chiuso di posti pari a una frazione predeterminata del numero di contrattisti stessi. Il vantaggio di questa proposta dovrebbe essere evidente: tempi chiari e definiti per la carriera, con prospettive chiare di promozione e di immissione in ruolo al termine del contratto; libertà di ricerca, autonomia, dignità. Agli studiosi che non ottengono la conferma si potrebbe inoltre garantire l'immissione in ruolo per l'insegnamento nella scuola superiore, con il vantaggio di immettere nella scuola piccoli numeri di insegnanti molto qualificati. In Francia, ad esempio, una misura analoga è riservata a tutti i diplomati dell'Ecole Normale Superieure. In questo modo si sopperirebbe, almeno in parte, alle inevitabili incertezze della carriera accademica, ferma restando la possibilità per gli studiosi di cercare impieghi presso altri settori come l'industria o l'Amministrazione Pubblica, che pure trarrebbero grande beneficio dall'impiego di personale così altamente qualificato. Mutatis mutandis, questo non è altro che il ben collaudato sistema "tenure-track" dei paesi anglosassoni, da contrapporsi ad un sistema di contratti senza chiaro sbocco che rischia di generare un nuovo precariato e di allontanare dalla ricerca le menti più brillanti delle nuove generazioni. Pensiamo che l'articolazione di questa proposta possa contribuire a risolvere il più importante dei problemi almeno nelle facoltà scientifiche delle nostre Università, dando certezza di stipendio, tempi e carriera ai migliori giovani interessati alla ricerca. Per fortuna ce ne sono ancora. Ancora per quanto ne resteranno nel nostro Paese? Riccardo Barbieri (Scuola Normale Superiore), Pietro Fré (Universita' di Torino), Augusto Sagnotti (Università di Roma Tor Vergata), Mario Vietri (Scuola Normale Superiore, Pisa) ________________________________________ Il Foglio 12 mar. ’04 LA RICERCA E IL TEMPO PERDUTO Quella dei ricercatori in Francia e in Italia è una rivolta conservatrice Duemila responsabili dei centri di ricerca francesi hanno lanciato un ultimatum al governo. Si asterranno dallo svolgimento delle loro funzioni amministrative e, se non otterranno risposte "pienamente soddisfacenti" entro una settimana scenderanno in piazza, alla vigilia del primo turno delle elezioni amministrative, invitando tutta la cittadinanza a sostenerli. Hanno anche inviato una lettera al presidente Jacques Chirac, chiedendogli - "se vuole che si creda alla sua intenzione di fare della ricerca una priorità del quinquennio di presidenza" - di sconfessare il suo governo. Pochi mesi fa in Italia si erano avute manifestazioni contro la riforma del Consiglio nazionale delle ricerche, i cui temi riecheggiano in quelle proclamate contro la riforma dell'università. Se le circostanze specifiche sono diverse, il problema è lo stesso e investe tutta l'Europa. La crescita del gap tecnologico dell'Europa rispetto all'America (e in qualche campo, come l'informatica, anche all'India) ha spinto vari governi a puntare su una maggiore integrazione tra ricerca pura, tecnologia e ricadute produttive; il che significa limitare quel carattere astratto e "disinteressato" della ricerca, all'ombra del quale sono cresciute burocrazie conservatrici e inconcludenti. Le corporazioni dei ricercatori, invece, chiedono che gli sforzi finanziari vadano a rafforzare le istituzioni scientifiche cosi come sono, cioè inefficienti. L'idea della scienza come libera attività dell'uomo, sottratta alle miserie della vita pratica è molto affascinante, ma non si capisce perché essa debba essere pagata a piè di lista dai contribuenti. In America, anni fa, il Congresso decise di tagliare alla Nasa i fondi per le indagini astronomiche sugli Ufo, considerate non essenziali. Intervenne una fondazione privata, che riprese le ricerche con fondi propri e ora ha costruito un immenso telescopio. Ma li, oltre allo Stato che definisce le priorità pubbliche, c'è un capitalismo che sa fare da sé. In Europa, invece, i grandi dell'economia sono prodighi di consigli e richieste, da pagare però col denaro altrui. ________________________________________ Il Sole24Ore 11 mar. ’04 PARIGI FINANZIERÀ LA RICERCA CON LE RISERVE AUREE PARIGI La Francia potrebbe usare una parte delle cospicue riserve auree per finanziare la ricerca e frenare la fuga di cervelli. Per il momento è solo un'ipotesi, ma è stata lanciata da Claude Haignère, ministro della Ricerca, proprio pochi giorni dopo il rinnovo dell'accordo con cui 15 banche centrali europee hanno deciso di limitare la cessione di oro "ufficiale" a 500 tonnellate annue complessive. È la prima volta che la Francia parla di utilizzare il proprio oro: si tratterebbe di circa 285 tonnellate, su 3.025 contenute nei caveau della Banca nazionale francese, per ricavarne 3 miliardi di euro necessari alla ricerca nel triennio 2005-07. Nei giorni scorsi la tedesca Bundesbank aveva confermato l'intenzione di cedere 120 tonnellate all'anno per 5 anni, e il suo presidente Ernst Welteke aveva prospettato uno scopo analogo (il ricavato in questo caso sarebbe di 5 mld di euro). Il ministero tedesco delle Finanze si è anche detto d'accordo con la Banca centrale nel ritenere che tali riserve siano oggi uno strumento monetario molto meno importante di quanto non fosse in passato. In Italia, detentrice di ben 2.452 tonnellate d'oro, né la Banca centrale né il ministero del Tesoro si sono ancora espressi in merito. ________________________________________ Le Scienze 11 mar. ’04 RICERCATORI FRANCESI IN RIVOLTA È scontro con il governo per i tagli alla ricerca Il 9 marzo, più di 2000 direttori di laboratori e di team di ricercatori francesi hanno mantenuto la loro minaccia di abbandonare i propri incarichi amministrativi. Anche se è probabile che le loro dimissioni non saranno accettate, la mossa mette sotto pressione il governo francese che deve risolvere una lunga controversia sui finanziamenti e i tagli alla ricerca. Sin da gennaio, più di 60.000 ricercatori francesi avevano chiesto al governo di ripristinare i fondi e i posti di lavoro cancellati (si veda la rivista "Science" del 13 febbraio, p. 948). La risposta del governo, secondo il portavoce della protesta Alain Trautman, biologo cellulare dell'Istituto Cochin di Parigi, è sembrata inadeguata. E se il governo non farà qualcosa, il 19 marzo i ricercatori prenderanno in considerazione ulteriori iniziative, come la chiusura di alcuni laboratori. Nel frattempo, i ribelli hanno deciso di entrare a far parte di un comitato nazionale sulla ricerca che sarà guidato dal presidente dell'Academie des Sciences Émile Baulieu e dal vice presidente Edouard Brézin. Il governo ha due mesi di tempo per decidere se accettare le dimissioni, ma è probabile che le respingerà. http://recherche-en-danger.apinc.org/sommaire_petition.php3 ________________________________________________ L'Unità 9 mar. ’04 PAROLA DI RETTORE: E’ SCONCERTANTE L'ISTITUTO TECNOLOGICO DI TREMONTI PADOVA «La scelta del governo di investire ingenti risorse nella creazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che nasce con preoccupante improvvisazione senza alcun coinvolgimento della comunità universitaria del Paese e anzi, almeno cosi pare, addirittura in alternativa rispetto ad essa e allo stesso sistema nazionale della ricerca, è sconcertante. Se questa impressione fosse confermata dai fatti, sarebbe stato commesso un altro gravissimo errore, le conseguenze del quale ricadrebbero sull'intera collettività». Parole al fulmicotone quelle che il rettore dell'Università di Padova, Vincenzo Milanesi, in occasione dell'apertura dell'Anno Accademico ha indirizzato all'ultima creazione di Tremonti sul nuovo polo tecnologico di Genova. «Siamo pronti ad aprire un discorso serio ed immediato - ha detto Milanesi - con il ministero sul tema della valutazione degli atenei, delle attività accademiche di didattica e di ricerca che in essi si svolgono, contestualmente al confronto sui temi del finanziamento». Ma l'affondo prosegue: «Quello che non accettiamo sono i giudizi sommari sul nostro sistema universitario come quelli attribuiti dai media (e non smentiti dall'interessato) al ministro dell'Economia, che tenendo a battesimo a Genova la sua nuova creatura, l’IIT ha dichiarato che il nuovo istituto è necessario perchè le università italiane non funzionano bene: giudizi sommari di questo genere che fanno di ogni erba un fascio, che gettano indiscriminatamente discredito verso l'opinione pubblica sul sistema universitario italiano noi non le accettiamo, signor ministro Tremonti, perchè neppure un ministro della Repubblica ha il diritto di screditare un'istituzione che avrà certo bisogno di riforme e di trasformazioni del suo assetto ma che ha formato e forma milioni di giovani italiani, che diventano ottimi professionisti e che ci sono invidiati da molte delle nazioni più avanzate, pur soffrendo non solo per carenza strutturale di risorse finanziarie dell'entità or ora ricordata ma altresì per una evidente mancanza di ragionevolezza e di equità nella distribuzione delle risorse tra gli atenei». ________________________________________ Il Sole14Ore Sera 12 mar. ’04 IN LOMBARDIA LA LAUREA A CARO PREZZO A Milano Bicocca il record con 2.607 euro l'anno per l'ultima fascia di reddito; seguono l'Insubria e Milano Statale. Tasse più contenute al Sud. Tutti i risultati di un'inchiesta su 49 atenei. Quanto si paga Il costi di iscrizione al primo anno di laurea In ordine sparso Confronto tra i costi di iscrizione al primo anno di tre corsi di laurea Quanto costa una laurea? Quello delle tasse universitarie è un tema spinoso ovunque. Per rivoluzionare il sistema inglese un mese fa Tony Blair ha rischiato grosso, spuntando in extremis una maggioranza risicata che gli ha consentito di portare dal 2006 le rette da 1.125 a 3.000 sterline (circa 4.200 euro), aumentando nel contempo gli aiuti finanziari agli studenti meritevoli, mentre in Germania si discute la creazione di atenei d'eccellenza sul modello di Harvard. Ma che cosa accade nelle Università del nostro Paese? Tasse record a Milano. Nel 2003 le tasse pagate dagli studenti italiani hanno subito solo un adeguamento al tasso d'inflazione, senza aumenti significativi, ma il dato che spicca è l'estrema diversificazione dei contributi a seconda degli atenei, come appare evidente dall'inchiesta condotta dal Sole-24 Ore del lunedì a cui hanno risposto 49 sui 77 atenei italiani interpellati. Escludendo la facoltà di medicina, mediamente più cara rispetto alle altre, l'iscrizioneagli atenei più cari costa fino a cinque volte tanto quella alle università più economiche (senza calcolare l'incidenza delle borse di studio).I conti più salati sono quelli presentati in Lombardia: all'Universitàdi MilanoBicocca gli studenti con famiglie più abbienti arrivano a pagare per iscriversi al 1° anno 2.607 euro all'anno (2.280 solo di contributi), all'Università dell'Insubria il prezzo massimo supera i 2.500 euro mentre alla Statale di Milano il tetto è di 2.317 euro. «Da quest'anno - spiegano all'ateneo della Bicocca - è stato introdotto un nuovo sistema di aliquote, che redistribuisce in maniera più equa l'onere a carico dei singoli studenti, aumentando il prelievo in presenza di alti «Ice», indicatori calcolati sommando al reddito netto Irpef il 20% del patrimonio familiare. Il prelievo medio, comunque, rimane invariato». I più modici. All'altro capo della classifica ci sono gli studenti di Macerata, che pagano al massimo 550 euro e, in caso di andamento brillante, vedono scendere la soglia limite a 369 euro. A mostrarsi più modici sono in genere degli atenei del Sud, che raramente superano i 1.000 euro anche per le fasce di reddito più alte. Molto varie anche le differenze tra l'importo minimo e massimo da pagare nelle università pubbliche: in media la fascia più alta paga il 62% in più di quella più bassa, ma questa divaricazione arriva all'80% negli atenei lombardi, mentre la giovane università della Val d'Aosta e l'ateneo di Camerino prevedono un contributo unico. Le tendenze degli atenei "generalisti" si mantengono inalterate anche nel caso dei politecnici dove Milano, con 2.775 euro per la fascia più alta, rimane la città più cara e Bari, con una forbice che va dai 252 ai 681 euro, conferma le dinamiche più contenute che si registrano al Sud. Questione di chiarezza. «Le differenze riscontrate sul territorio - commenta Guido Fiegna, membro del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu) - non sono sempre giustificate, mentre si spiega meglio il costo minore degli atenei meridionali, perché in queste realtà un aumento dei costi precluderebbe a molti la strada verso la laurea. In Lombardia ci sono molti più ricchi che a Bari». Il primo passo da compiere, secondo il Cnvsu, è un'operazione - chiarezza: «La scelta degli studenti - sottolinea Fiegna - deve basarsi sulla possibilità di fare confronti, ma oggi le informazioni sulle tasse non sono per nulla pubblicizzate. A questo riguardo stiamo studiando una pagina standard, che segue il modello della banca dati dell'offerta formativa, che riporti i costi e i servizi offerti in tutte le università». Le private. Più care, come è ovvio, le università non statali, dove il costo d'iscrizione può superare gli 8mila euro, come accade negli atenei milanesi della Bocconi e del San Raffaele. Molto più diffuso, rispetto a quanto si verifica negli atenei pubblici, il sistema della fascia unica, applicato in quattro Università su nove. ________________________________________ L’Unione Sarda 9 mar. ’04 MA I «BARONI» ESISTONO DAVVERO? concorsi e vincitori La rubrica «Prima pagina», messa in onda da Radio Tre ogni mattina, ha consentito a tutti gli italiani di conoscere una realtà sino a oggi nota a pochi. Venerdì scorso (5 marzo, alle 8 e qualche minuto) un ascoltatore, che si è presentato con nome e cognome, comunicando inoltre la città da cui parlava (sede di una nota Università, ndr) raccontava di un concorso bandito a Roma dall’Università «La Sapienza» per due posti di un dottorato di ricerca. Tutto regolare, ovviamente. Se non fosse stato per un dettaglio che ha suonato, quanto meno, singolare: il bando è stato prima rinviato e quindi ripetuto. Anche questo costituisce un fatto non eccezionale: può infatti capitare un disguido burocratico che complichi la prassi. È però singolare che lo stesso bando venga rinviato e ripetuto per una seconda volta. A questo punto l’ascoltatore ha indagato e ha rivelato il motivo di tali complicazioni: nessuno dei due “vincitori predestinati” aveva presentato la domanda. La storiella, se è vera, ha ovviamente la sua morale. Anzi più di una. La prima sta nell’immoralità del duplice rinvio; la seconda sta nell’immoralità dei “vincitori predestinati” che non fanno neppure la fatica di presentare la domanda; la terza, e forse più grave, sta nell’immoralità di chi (qualche barone di vecchia data?) decide chi deve vincere il concorso, magari senza neppure sostenere le prove d’ammissione. Tutto ciò non significa, ovviamente, che dietro ogni bando, ogni concorso ci sia nascosto il tranello. Né che ogni docente sia un “barone” capace di manipolare a suo volere tutto ciò che riguarda la sua facoltà. È però vero che segnali di questo tipo sono pericolosi e che devono riacutizzare l’attenzione. Pena la riconsegna delle facoltà ai soliti prepotenti e arroganti. (G.P.) =========================================================== ________________________________________ Il Messaggero 9 mar. ’04 MEDICI OSPEDALIERI, RIUSCITO LO SCIOPERO I neo-dottori oggi in piazza contro la Moratti ROMA - Successo per lo sciopero degli ospedalieri. Un’ora di astensione dal lavoro, ieri, per sollecitare il rinnovo di un contratto scaduto più di due anni fa. Con i medici hanno protestato anche i veterinari, i biologi, i chimici, i dirigenti tecnico-amministrativi e gli specializzandi. Un’adesione attorno al 75-80% e pochi disagi per i cittadini, hanno assicurato i sindacati. L’inizio dell’attività è slittato dalle 8 alle 9: ritardi per le visite, come per gli interventi chirurgici. Secondo il sindacato degli anestesisti Aaroi, sarebbero state circa 10mila le operazione che hanno subito uno slittamento. Per oggi è previsto, sempre per protesta, che l'equivalente di un'ora di lavoro venga devoluta alla Caritas. Sciopero di un'intera giornata lunedì 22 marzo. Anche se non sarà possibile avere una stima della somma raggiunta prima della fine del mese, già risulta, a parere dell’Anaao- Assomed che moltissimi dipendenti abbiano già inviato la richiesta di trattenuta alla propria amministrazione. Allo stesso tempo i sindacati si dicono sconcertati per il «persistente silenzio del governo». Corteo a Roma, sabato 24 aprile. Protestano anche i medici neolaureati. Appuntamento oggi, alle 14, davanti al ministero dell’Istruzione. Contestano le nuove regole per accedere alle scuole di specializzazione e per sostenere l’esame di Stato dopo la laurea. Riforme decise nell’ultimo mese dal Ministro Moratti. Ad organizzare la manifestazione è il comitato universitario “E.R Emergenza riforma” che fa riferimento ai neo- dottori della Sapienza. Sarà un sit-in pacifico, assicurano, ma una delegazione chiederà di essere ricevuta per dimostrare l’inapplicabilità, a tempi brevi, delle norme appena varate. Esame di Stato: non più sei mesi di tirocinio in ospedale e poi le prove pratiche ma tre mesi divisi tra corsia e medico di famiglia. Il sì definitivo alla riforma è datato 23 febbraio scorso. «E il 5 marzo - spiega Alessia De Stefano coordinatrice del comitato “E.R” - è stato dato come termine ultimo per presentare la domanda di esame. Per giunta, i sei mesi che abbiamo fatto secondo il vecchio ordinamento, li dobbiamo buttare via e ricominciare tutto ad aprile. Niente più prove, ma quiz. Chiediamo di far slittare l’applicazione delle nuove regole». C’è anche il nodo delle scuole di specializzazione: non più domande di iscrizione in diverse università ma tutte, al massimo due, nello stesso ateneo. Sempre con quiz che contano cinquemila quesiti. «La data dei concorsi è fissata per i giorni 20,21 e 22 aprile ma ancora - aggiunge la De Stefano - i quiz non sono stati resi pubblici. Forse, questa settimana». C.Ma. ________________________________________ L’Unione Sarda 9 mar. ’04 PROPOSTA DELL’API SARDA: OSPEDALI SEPARATI DALLE ASL Qualche accusa e molte proposte, tra cui quella di Paolo Deriu, presidente dell’Unione sanità dell’Api sarda: «Rivedere il sistema sanitario sardo, scorporando gli ospedali dalle Asl». L’idea, lanciata durante il seminario tenuto ieri sul «Ruolo della sanità privata», ha trovato facile sponda nell’assessore regionale. «È la proposta che porterò alla riunione dei capigruppo», ha anticipato Roberto Capelli. A chi parla di un comparto vitale, ma a due velocità, l’assessore Capelli ha ribattuto che «esiste soltanto la sanità al servizio del cittadino». Capelli ha ammesso che «c’è una sottostima da parte dello Stato. Ma, in un settore così importante, non si può ragionare soltanto in termini di bilancio. Al momento, ci manca una competenza primaria: noi vorremmo arrivare a una netta differenziazione della medicina territoriale da quella ospedaliera». Diego Casu, presidente dell’Api, ha invece battuto sul rispetto dei tempi di pagamento alle piccole e medie imprese. ________________________________________ Il Sole24Ore 10 mar. ’04 I LAUREATI IN MEDICINA CHIEDONO CORREZIONI AL MINISTERO ESAMI DI STATO Il sottosegretario all'Istruzione, Maria Grazia Siliquini, promette «una soluzione soddisfacente» ai neolaureati in Medicina che protestano contro la nuova disciplina dell'esame di Stato. La riforma, in vigore da quest'anno, sembra vanificare il tirocinio di sei mesi già svolto da oltre 3mila studenti, obbligandoli a compiere un ulteriore periodo di tirocinio di tre mesi. Su questo punto il sottosegretario Siliquini (nella foto Imagoeconomica) ha assunto l'impegno di risolvere quella che ritiene «essere una errata interpretazione del regolamento del 2001». La delegazione di studenti, ricevuta ieri dal sottosegretario, ha chiesto che venga indetta una sessione di esami straordinaria per sostenere la prova di abilitazione secondo il vecchio modello. L'esito dell'incontro è stato valutato piuttosto negativamente dalla delegazione: in particolare i laureati in Medicina contestano le nuove modalità dell'esame di Stato, che prevede la risposta a 180 domande estratte su un totale di 5mila quesiti. Dallo stesso archivio saranno ricavate anche le domande per i test di accesso alle scuole di specializzazione che si terranno negli stessi giorni a livello nazionale. ________________________________________ L’Unione Sarda 9 mar. ’04 TICKET SUI FARMACI, SARANNO ABOLITI DAL PRIMO APRILE Delibera già pronta Dal primo aprile i ticket per i farmaci saranno aboliti. L’assessore alla Sanità Roberto Capelli sta predisponendo la delibera che libererà i sardi dal balzello sui medicinali. Chi andrà in farmacia, dunque, non pagherà più 1,50 euro a ricetta o 0,75 centesimi a pezzo. Non solo: se il bilancio lo consentirà sarà abolito anche il ticket sulle visite al pronto soccorso. Via i ticketIn farmacia, dunque, non si pagherà più il ticket. Una vera e propria rivoluzione, dato che quasi tutte le regioni italiane, invece, applicano regolarmente la tassa sui medicinali. Erano stati i sindacati a chiedere all’assessore il rispetto dei patti, vale a dire l’abolizione del ticket dal primo di gennaio. «Non è stato possibile - spiega l’assessore alla Sanità - perché la spesa farmaceutica era troppo elevata». Anzi, era salita alle stelle. «Avevamo un tetto da rispettare - aggiunge Capelli - il 16 per cento della spesa sanitaria complessiva (farmacia e ospedali) e il 13 per cento per la spesa territoriale». Invece alla fine del 2003 era stata abbondantemente superata la soglia del 13 per cento. Situazione che si è improvvisamente modificata nei primi mesi di quest’anno. «I dati di gennaio e di febbraio - prosegue l’esponente dell’Udc - evidenziano una riduzione della spesa». Un risultato ottenuto grazie al maggior controllo sulla distribuzione dei farmaci affidato direttamente agli ospedali. «Abbiamo raggiunto un riequilibrio che ci permette - dice ancora Capelli - di abolire il ticket sui farmaci. Anche se è bene precisare che attualmente il 75 per cento dei sardi non paga il balzello: sono esentati i pensionati, i disoccupati, gli inoccupati i lavoratori in mobilità». La trattativaQuella per l’abolizione dei ticket è stata una trattativa lunga, andata avanti per ben due mesi. Giunta e sindacati si sono ritrovati più volte faccia a faccia per esaminare i conti. Tanto che a fine gennaio era stata la Cisl a criticare duramente l’assessorato alla Sanità. «Avevamo sperato - aveva spiegato la sindacalista Oriana Putzolu - che questa tassa iniqua sulla malattia venisse finalmente cancellata da fine dicembre, soprattutto perché fa sentire i suoi effetti più deleteri sulle famiglie. Anche chi ha un reddito medio oggi fatica a sostenere il costo dei ticket, particolarmente gravoso quando si ha necessità di acquistare per molte settimane di seguito i medicinali». I sindacati hanno chiesto più volte il rispetto dell’intesa siglata nel giugno scorso e che prevedeva l’abolizione totale dei ticket a partire dal primo gennaio di quest’anno, dopo la riduzione concessa nell’estate dall’ex assessore Oppi. Analizzando l’evoluzione della spesa farmaceutica in Sardegna, Capelli aveva rilevato un aumento del 6,83% annuo, da quando i ticket sono stati dimezzati. Da qui la necessità di non farli sparire del tutto, per mantenere sotto controllo la spesa. «L’aumento della spesa non può essere attribuito - avevano rilevato i sindacati - solamente ai farmaci acquistati in farmacia, anche perché non si hanno dati sul consumo in aumento dei medicinali. Allo stesso modo non risulta che siano intervenute, come previsto dall’accordo di giugno 2003, azioni di monitoraggio sul consumo nelle strutture ospedaliere e controlli presso i medici di base». L’assessore Capelli a gennaio aveva inoltre promesso che entro il 31 marzo sarebbe intervenuto sugli altri fattori che incidono sulla spesa farmaceutica. «Questo rinvio - aveva detto Putzolu - interviene in un contesto socio-sanitario ricco di incompiute, cose da fare e realtà da razionalizzare per un servizio completo e rispondente ai reali bisogni dei sardi». Ma Capelli è stato di parola: dal primo aprile non ci saranno più ticket. Lite in famiglia Udc L’assessore alla Sanità Capelli si autosospende Giovedì il suo segretario lo aveva sconfessato per la decisione di abrogare i ticket sui farmaci e ieri ha rotto gli indugi: si è autosospeso dal partito, l’Udc, e ha rimesso il mandato di assessore alla Sanità nelle mani del partito. È dura, durissima, la risposta di Roberto Capelli dopo le esternazioni del leader del suo partito, e suo predecessore in Giunta, Giorgio Oppi. Una polemica durissima, che ha scosso fin nelle fondamenta l’Udc. Polemica che, però, potrebbe presto rientrare: per mercoledì è stata convocata la direzione regionale dello scudocrociato, anche se già ieri mattina Oppi ha annunciato che confermerà piena fiducia a Capelli. Ma per ora l’assessore regionale alla Sanità è determinato. «Non capisco più - spiega - il mio partito, dal quale fin da oggi mi autosospendo e nelle cui mani, se richiesto, rimetto il mio mandato. Fino ad allora continuerò la gestione dell’ordinaria amministrazione dell’assessorato alla Sanità, per senso di responsabilità e di rispetto verso il presidente Masala e l’intera coalizione e per portare a conclusione, spero, atti che ritengo importanti per il futuro della nostra isola». F. Melonia pagina8 ________________________________________ L’Unione Sarda 9 mar. ’04 QUARTUCCIU: NASCE LA FABBRICA DELLE CELLULE Presentato il Centro di ricerca italiano per interventi terapeutici Brotzu: le staminali potranno servire per le protesi Quartucciu, e quindi la Sardegna, da oggi hanno ufficialmente il primo Centro di ricerca tissutale e cellulare al servizio della scienza. Un progetto imprenditoriale unico in Italia, di cui si hanno esempi soltanto negli Stati Uniti. La sede è quella dell'Azienda Italiana Depuratori, fondata 25 anni fa dagli imprenditori Maria Grazia Angioni e Paolo Massimino. Un'azienda prima in Italia, nel settore del trattamento dell'acqua, ad essere stata certificata nelle procedure di qualità Iso 9001 e che, d'ora in poi, sarà anche in prima linea nella ricerca per interventi terapeutici in Sardegna e sul territorio nazionale. L'ambiziosa innovazione nasce da un'idea e da lunghi studi nelle migliori Università italiane ed estere dei coniugi Massimino, in sinergia con l'Università di Cagliari come partner scientifico. Ieri sera, la presentazione ufficiale è avvenuta in una gremita Casa Angioni alla presenza di varie autorità ed esponenti del mondo scientifico tra cui Licinio Contu, direttore del Centro Regionale trapianti della Sardegna, con cui nei giorni scorsi ci sono state polemiche però prontamente risolte. Un'occasione per assegnare anche la prima edizione del Premio scienza nuova al conduttore televisivo Alessandro Cecchi Paone. Della nuova realtà, iscritta allo schedario dell'Anagrafe Nazionale delle ricerche e autorizzato dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, farà parte un team di ricercatrici sarde, laureate tra l'altro in Fisica, Chimica, Biologia, Tecnologie farmaceutiche, Medicina. Il Centro si avvarrà della costante formazione in sede di altri ricercatori e della collaborazione delle più prestigiose sedi di ricerca internazionali. Le protagoniste in ogni caso saranno in particolare loro: le cellule staminali. Cellule allo stadio iniziale del loro sviluppo ma presenti anche negli adulti. Possono essere prelevate tra l'altro da aspirato spinale, cordone ombelicale ed essendo dotate di grande plasticità, hanno la capacità di evolversi in un tessuto particolare, riparandolo o ricreandolo ex-novo, così da essere impiegate nella cura di malattie degenerative tra cui quelle del tessuto nervoso e muscolare. Solo per citarne alcune, morbo di Parkinson, sclerosi multipla, diabete o nella sostituzione di tessuti lesionati, come quelli cardiaci in seguito ad esempio ad un infarto. Come ha spiegato Giovanni Brotzu, direttore della Struttura di Chirurgia vascolare del Dipartimento di chirurgia del Policlinico, e responsabile scientifico del progetto, «il futuro ci vedrà impegnati tra l'altro negli studi dell'uso delle staminali per protesi o pancreas». Il centro di ricerca è destinato a fornire ad istituti di ricerca e strutture sanitarie, materiale biologico e in particolare cellule staminali nel pieno rispetto delle norme di sicurezza microbiologica. Ad aprire la serata è stato l'intervento della fondatrice Maria Grazia Angioni Massimino, pluripremiata nel mondo come imprenditrice, per la sua attenzione all'universo femminile e recentemente eletta all'Università La Sapienza di Roma, presidente regionale dell'Aprom Sardegna. «Noi come imprenditori ci mettiamo al servizio della ricerca. Alle strutture medico scientifiche, dunque il compito di renderci tutti uguali e con uguali diritti per essere sani». L'idea dei coniugi Massimino, nasce tre anni e mezzo fa anche da una ricerca sulla disoccupazione al femminile della fondazione Bellisario, che alla Massimino ha assegnato l'omonimo premio. «Si rilevavano», conclude l'imprenditrice, «le difficoltà per molte valide professioniste, di poter andare all'estero per fare ricerca nei centri di eccellenza. Ne parlai con il professor Umberto Veronesi e con Cecchi Paone. Mi diedero forza e coraggio dicendomi di non mollare. Ora ce l'abbiamo fatta e con questo progetto vogliamo quindi dare una risposta concreta a questa esigenza, che conseguentemente diventerà motivo di speranza. Per chi studia e per chi confida nella ricerca». Beatrice Saddi ________________________________________ L’Avanti 8 mar. ’04 UNIVERSITÀ DI MESSINA, IL PROGETTO DI RILANCIO PARTE DAL POLICLINICO Giovanni Dugo, candidato a rettore dell'ateneo della città dello Stretto, illustra le linee guida del suo progetto, che privilegia le mega strutture Entra nel vivo a Messina la lotta per la successione al Magnifico Rettore Silvestri. Presenta il suo programma, dopo Franco Tomasello, anche il candidato professor Giovanni Dugo, ordinario di Chimica degli alimenti alla facoltà di Scienze matematiche. Il approccio è quasi confidenziale: "Il programma che presento al giudizio dei colleghi, dei dirigenti, del personale tecnico amministrativo e degli studenti enuclea numerose linee di intervento, che per altro non esauriscono la materia. Più che un progetto in sé concluso intende essere una proposta aperta alla riflessione di tutti, come, se mi sarà affidato l'onore e l'onere della futura gestione, questa vorrà essere ancora aperta alla collaborazione di tutti. Non è questo un periodo facile della vita universitaria in generale, e del nostro Ateneo in particolare. E' un periodo di profondi mutamenti: ma proprio questi siffatti periodi, accanto all'affanno del presente, possono portare il germe di una esaltante progettualità, di una luminosa crescita futura. E' questo il compito della nostra generazione, governare il mutamento e consegnare nobilmente il testimone a coloro che verranno dopo. Ed è una responsabilità che investe tutti. Alla Città e al Territorio voglio dire una cosa semplice: il nostro Ateneo costituisce eredità preziosa; facciamo di tutto perché sia custodito e protetto, fuori dai giudizi e dagli interessi di parte, come bene comune e segno di comune riferimento culturale e civile.". Secondo il professore Dugo, in sintesi, l'Università italiana è stata oggetto, soprattutto nell'ultimo decennio, di sostanziali e profonde trasformazioni, che ne hanno modificato la struttura stessa oltre che la fisionomia esteriore. In Italia, afferma, la politica di intervento ha accusato mancanze e lacune macroscopiche e sono stati trascurati alcuni settori rilevanti della materia riformabile, come ad esempio la costruzione di nuovi Atenei nel territorio o la possibilità di differenziare i percorsi dell'istruzione terziaria in gruppi convenzionalmente definiti. Ciascun Ateneo, secondo Dugo, è stato investito di grosse responsabilità, all'interno di un quadro normativo insieme insufficiente e rigido. L'Ateneo di Messina, più di altri, si 8 dimostrato sostanzialmente impreparato a sostenere la sfida, sopportando per questo disagi e sofferenza. E' necessaria quindi, secondo la sua analisi, attuare per l'università messinese una progettualità forte ed un impegno programmatico di alto profilo, che induca a ripensare e ad adattare tutta la materia. Per attuare questo Dugo propone una sostanziale modifica al Governo dell'Ateneo che è costituito da un Rettore, un consiglio di amministrazione e da un senato accademico. Quest'ultimo originariamente composto dai presidi delle facoltà è stato poi allargato alle rappresentanze delle aree e degli ordini di docenti, nonché alle componenti studentesche. E' quindi il momento per una spinta propulsiva e democratica, secondo l'aspirante Rettore, di allargare la presenza in senato accademico a favore dei dipartimenti e del personale tecnico amministrativo. Si esamina inoltre nel documento programmatico la necessità di costituire dei Centri di Ricerca per far convergere le competenze particolarmente vitali e produttive dei diversi settori universitari. I centri dovranno operare come motori propulsivi di incremento della ricerca, nonché come modelli di sviluppo. Un'attenzione particolare va dedicata, si evidenzia, ed in questo il documento non si differenzia da quello degli altri candidati, visto il peso che esso ha nel determinare l'elezione a Magnifico Rettore, al Policlinico. Per quel che concerne quest'importante struttura universitaria e sanitaria Dugo punta l'accento sulla necessità di una sua profonda revisione, visto che esso appare eccessivamente sbilanciato sul versante del risanamento dei conti, questo a scapito del miglioramento dei servizi. ________________________________________ L’Unione Sarda 11 mar. ’04 UIL: SANITÀ E UNIVERSITÀ IN CERCA DI EQUILIBRIO di Giancarlo Cocco* Sull’Unione del 21 febbraio è apparsa un’intervista al rettore dell’Ateneo cagliaritano Pasquale Mistretta, riguardo all’istituzione dell’Azienda ospedaliera mista. Come è noto, concorrono a formarla due componenti: la parte universitaria, rappresentata dal Rettore, e la parte ospedaliera, rappresentata dalla Regione. Spieghiamoci meglio: le Aziende miste nascono per l’esigenza di supportare economicamente le Università nei loro compiti primari: la didattica e la ricerca. Ma, poiché è impensabile uno spostamento di capitali dal ministero della Sanità al ministero dell’Università senza niente in cambio, si è assegnato alle Università come terzo compito primario l’assistenza, fino ad oggi esclusivo del Sistema sanitario nazionale e solo sussidiario delle Università. Il rettore Mistretta appare ben conscio dei propri diritti, non altrettanto dei propri doveri. Conosciamo la crisi dell’Università, ma ciò non vuol dire che essa si defili dalle proprie responsabilità per accollarle alla Sanità, che pure è in crisi, soprattutto quando ciò avviene a scapito dell’assistenza. Se proprio dobbiamo ricercare delle priorità... “mens sana in corpore sano”. La Legge 517 non dice che il Policlinico cagliaritano può sottrarre 400 posti letto all’assistenza... dice esattamente il contrario. E cioè che l’Università, con la creazione dell’azienda mista, attrae risorse economiche della Sanità, ma l’agevola, affiancandola nel compito primario dell’assistenza. Quanto ai «gioielli» recati in dono dall’Università, il Policlinico, attivo per cinque sedicesimi, è una cattedrale nel deserto. In uno spazio cinque volte superiore a quello del San Giovanni di Dio ospita circa la metà dei degenti. Questo non è esattamente «garantire assistenza» e giustifica appieno la prudenza della Regione. Gli Istituti Pediatrici, poi... Si stava sviluppando una perla, l’Istituto di Puericultura e poi eisi sculau tottu. L’Università italiana purtroppo è dimensionata non tanto sulla ricerca quanto sullo sfruttamento dei ricercatori che, quando possono, scappano all’estero. La didattica, con il proliferare delle cattedre, alcune doppie e triple, spesso non garantisce altro che il posto al titolare. Chiedo scusa agli emeriti professori, ma non vedo uomini come Valdoni, Provenzale o Tagliacozzo e neanche uomini come Larizza, Aresu o Lenti. Nessuno ha intenzione di misconoscere lo stato giuridico degli universitari. È piuttosto l’Università che deve riconoscere uno stato giuridico adeguato alla componente ospedaliera che confluisce nell’Azienda. È vero poi che l’Università non può farsi gestire da altri nella elaborazione della didattica e della ricerca, ma non può neanche pretendere che la Regione le ceda per intero la gestione dell’assistenza. È giusto un apporto paritario delle due componenti all’interno dell’Azienda mista. Mistretta dice: «Sono un ingegnere e non difendo il baronato... ». Mi permetto di osservare che baroni non ce ne sono più (qualcuno dice purtroppo); ma ci sono molti cavalieri. In quanto ai tre posti per ogni studente, come si è sempre fatto, possono essere destinati all’assistenza, ove si espletano anche ricerca e didattica. Segreteria provinciale Uil Sanità ________________________________________ L’Unione Sarda 12 mar. ’04 CAGLIARI CALCIO: IL RETTORE BOCCIA L’ACCORDO L’accordo tra il Cagliari e il Policlinico universitario per l’effettuazione degli esami chimico-metabolici sui rossoblù sembrava fatto. Giunto sul tavolo del rettore, Pasquale Mistretta, l’accordo è stato cassato, senza troppe spiegazioni. E il Cagliari, che aveva effettuato due terzi degli esami, ha dovuto far ricorso a un altro laboratorio per il restante terzo. Un piccolo giallo che risale a qualche settimana fa. Secondo l’accordo, il Policlinico avrebbe effettuato le analisi sui giocatori rossoblù ottenendo in cambio di poter utilizzare gli esiti per uno studio sul comportamento del fisico dei calciatori professionisti. Tutti d’accordo: il presidente rossoblù, Massimo Cellino, il direttore del Laboratorio, Paolo Emilio Manconi, il direttore della clinica medica, Sergio Del Giacco. Tutti tranne Mistretta, rettore magnifico e consigliere comunale di opposizione. Che c’entri qualcosa? ________________________________________________ Repubblica 8 mar. ’04 TAC PIU’ DOLCI CON MAGNETON Uno degli esami clinici più completi per la diagnosi di gravi malattie è la risonanza magnetica. Ma spesso i pazienti delle struttuna pubbliche devono attendere mesi per poterla effettuare. La Divisione medica della Siemens ha realizzato un nuovo sistema perla risonanza magnetica a corpo intero denominato MAGNETOM Avanto, che incorpora la tecnologia Tim (Total Imaging Matrix) la quale consente di scandire e analizzare l’intero corpo del paziente in una sola seduta di 12 minuti. Con il nuovo sistema sarà possibile fare una diagnosi complessiva con una matrice unica che garantisce l'elevata definizione di tutte le parti dei suo corpo. Questa . soluzione promette di facilitare la diagnosi dei tumori e delle metastasi, o l'analisi vascolare e dei sistema nervoso centrale. Il malato sarà sottoposto ad un minore stress perché le scansioni iniziano dai piedi, lasciando libera la testa dal tunnel fino all'ultimo momento. Il MAGNETOM Avanto è già in funzione presso l'University Hospital di Tubingen in Germania e al New York University Medical Center in Usa. (Lor. Brib.) ________________________________________ Il Giornale 10 mar. ’04 PIÙ DI 10MILA ITALIANI IN ATTESA DI TRAPIANTO MA MANCANO I DONATORI MARISA DE MOLINER da Milano L'Italia? È il fanalino di coda per numero di donatori. Una carenza che si scontra con l'elevata necessità di trapianti. Sono, infatti, oltre diecimila i nostri connazionali in attesa di un organo. Questo bilancio è stato tracciato ieri alla Sala reale della stazione Centrale di Milano dov'è stata presentata «fai viaggiare la ricerca», un'iniziativa per sensibilizzare l'opinione pubblica. Da venerdi a domenica nelle principali stazioni e sui treni a media e lunga percorrenza verranno distribuite centomila confezioni speciali di caramelle Golia in cambio di 5 euro che saranno devoluti dall'Associazione ricerca trapianti che li destinerà a un progetto sulla tolleranza immunologica al Centro ricerche di Ranica dell'istituto Mario Negri. Chissà se quest'operazione servirà ad aumentare le donazioni che sono circa la metà di quelle spagnole. «In diverse regioni, soprattutto del sud, purtroppo - spiega Giuseppe Remuzzi, ricercatore del Mario Negri - il rifiuto a donare raggiunge il 50%. Una percentuale che va abbattuta drasticamente: bisogna scendere al dieci per cento». Una meta che i ricercatori sperano di raggiungere al più presto: sono oltre 10.477 gli italiani in lista d'attesa per un cuore, un fegato, un rene, un polmone, un pancreas. «Ciò che si deve far capire agli scettici è che ogni rifiuto condanna a morte almeno cinque persone». L'Italia è al quinto posto per numero di donatori, una situazione che ha permesso di effettuare l'anno scorso 2.500 trapianti: meno di un quinto delle persone in attesa nei vari ospedali italiani. Ma questo non è l'unico grande problema a proposito dei trapianti, i ricercatori di tutto il mondo sono alle prese con i pesanti effetti collaterali dei farmaci antirigetto. «Questi medicinali espongono i pazienti anche al rischio tumori - spiega Bruno Gridelli, direttore medico dell'Ismett di Palermo - e il fatto che si sottopongano ai trapianti persone sempre più giovani, con aspettative di vita di decenni, aggrava la situazione. È il caso di un nostro paziente che a quindici anni dal trapianto di cuore ha dovuto ricorrere alla dialisi perché i farmaci gli avevano danneggiato i reni». Il fine che si prefiggono i ricercatori è cercare d'«imbrogliare» l'organismo facendogli credere come suo l'organo ricevuto, in modo d'annullare, o ridurre al minimo, i farmaci antirigetto. ________________________________________ Repubblica 11 mar. ’04 UN VACCINO CONTRO IL TUMORE DEL RENE SULLA RIVISTA "LANCET" UNA RICERCA APRE NUOVE SPERANZE PER UNA PATOLOGIA OGGI POCO CURABILE di Aldo Franco De Rose * n vaccino potrà forse aiutarci a guarire definitivamente dal tumore del rene. Si tratta di una terapia adiuvante, in quanto si fa dopo il trattamento chirurgico con l'obiettivo di stimolare la reazione immunitaria contro eventuali cellule tumorali residue, responsabili spesso di recidive locali o a distanza. E' quanto riporta una ricerca clinica durata circa sei anni e pubblicata recentemente su "Lancet" da un gruppo di ricercatori dell'Università di Lubeck. Nello studio, coordinato dal professor Dieter Jocham, sono stati inseriti 379 pazienti operati di tumore confinato al rene. Dopo l'intervento chirurgico un gruppo di soggetti precedentemente randomizzati è stato trattato con il vaccino antitumorale autologo, in quanto ricavato da cellule del tumore asportato, ed iniettato successivamente mediante G applicazioni intradermiche. Dopo 5 anni e 70 mesi, rispettivamente nel 77,4% e 72% non si è osservato alcun segno di ripresa malattia. A1 contrario dopo lo stesso periodo , nel gruppo di controllo, cioè dei soggetti non vaccinati, solo il 67.8% e 59.3% erano liberi da malattie. ________________________________________ L’avvenire 12 mar. ’04 AIDS IN ITALIA AUMENTA L'INCIDENZA DI UN VIRUS RESISTENTE AI FARMACI Nascono nuove preoccupazioni nella lotta all'Aids. I dati presentati all'Università Cattolica di Roma, in occasione del "Second European Hiv Drug Resistance workshop" attestano, infatti, la resistenza ai farmaci di un nuovo tipo di virus hiv "non-b",tipico in origine di Africa e Asia e già sbarcato in Europa, tanto da superare il 10% de contagi. Nel nostro Paese, il "nonb" è ormai responsabile di molti nuovi casi - dal 5 al 30% - in prevalenza a carico di eterosessuali. «La mortalità dovuta all'Aids è notevolmente diminuita, grazie alle terapie antiretroviralí - spiega Roberto Cauda, direttore dell'Istituto di clinica delle malattie infettive della Cattolica -, ma le resistenze ai farmaci rappresentano uno dei problemi da fronteggiare se non vogliamo perdere terreno nella battaglia contro la malattia». Quali sono le armi migliori? Una scrupolosa adesione alle terapie da parte del paziente e la combinazione di farmaci antiretrovirali che sopprimano il più possibile la replicazione del virus. ________________________________________ Le Scienze 11 mar. ’04 SCOPERTE 1800 NUOVE SPECIE DI MICROBI Sono stati identificati quasi 800 geni di fotorecettori Alcuni esperti di genomica dell'Institute for Biological Energy Alternatives (IBEA) hanno esaminato un campione di acqua del Mar dei Sargassi, sequenziando il genoma dei microbi in essa contenuti. Craig Venter e colleghi hanno analizzato i minuscoli organismi con la tecnica cosiddetta "a mitraglia" (shotgun), già utilizzata per la mappatura del genoma umano. Grazie a potenti computer per mettere insieme i codici genetici, i ricercatori hanno individuato 1,2 milioni di nuovi geni. Basandosi sulle attuali conoscenze genetiche degli organismi già identificati e sul campione esaminato, gli scienziati stimano che questi geni rappresentino almeno 1800 nuove specie. "Prelevando campioni di acqua e di terreno relativamente piccoli, - spiega Venter - e usando gli strumenti e le tecniche dell'analisi a mitraglia, siamo in grado di identificare e caratterizzare un gran numero di organismi finora sconosciuti che vivono in un determinato ambiente. Si stima che più del 99 per cento delle specie non sia ancora stato scoperto. Il nostro lavoro nel Mar dei Sargassi, un'area ritenuta a bassa diversità, dimostra che conosciamo ancora molto poco degli oceani e dei suoi abitanti". Sorprendentemente, ben 800 dei nuovi geni sono per fotorecettori, le strutture usate dagli esseri viventi per raccogliere la luce. Finora, in tutte le specie già note, erano stati scoperti solo circa 150 geni di fotorecettori. Ciò suggerisce che i microbi di quell'area usino la luce solare in modi completamente nuovi. Lo studio, pubblicato sul numero del 4 marzo della rivista "Science", è stato finanziato dal Dipartimento dell'Energia (DOE) degli Stati Uniti. © 1999 - 2003 Le Scienze S.p.A. ________________________________________ Le Scienze 9 mar. ’04 TABACCO E CECITÀ Un caso di AMD su cinque sarebbe attribuibile al fumo In un articolo pubblicato sulla rivista "British Medical Journal", un team di ricercatori britannici mette in guardia i fumatori: avrebbero fino a quattro volte più probabilità dei non fumatori di diventare ciechi in tarda età a causa della degenerazione maculare, ma la maggior parte di loro ignora completamente questo rischio. La degenerazione maculare senile (AMD) è la causa di cecità più diffusa fra gli adulti, e provoca una grave e irreversibile perdita della visione centrale. Un caso di AMD su cinque sarebbe attribuibile al fumo. Le prove raccolte dagli scienziati mostrano che smettere di fumare può rallentare lo sviluppo della malattia, mentre continuare a farlo può avere effetti sulla risposta a lungo termine alle cure, per esempio alla terapia laser. Gli autori, Richard Edwards dell'Università di Manchester e colleghi, auspicano una campagna di informazione pubblica per rendere più noto il legame fra tabacco e cecità. ________________________________________ Le Scienze 9 mar. ’04 EPATITE G CONTRO HIV Il virus GBV-C interferirebbe con il virus dell'AIDS Secondo un nuovo studio, durato 15 anni, essere infettati da una varietà di epatite può aiutare i pazienti di HIV a vivere più a lungo. Alcuni scienziati negli Stati Uniti hanno esaminato i dati di 271 pazienti positivi all'HIV e hanno scoperto che quelli con l'epatite G stanno meglio di quelli senza il virus. Hanno infatti meno probabilità di sviluppare l'AIDS o di morire per la malattia. In un articolo pubblicato sulla rivista "New England Journal of Medicine", i ricercatori spiegano che la scoperta potrebbe condurre a nuovi farmaci. Il virus dell'epatite G, noto come GBV-C, è stato scoperto solo nel 1995 e gli scienziati stanno ancora cercando di comprendere i suoi meccanismi. Alcuni indizi suggeriscono che non provoca gravi danni al fegato. Gli studi indicano addirittura che molti pazienti possono portare il virus per anni senza manifestare sintomi. Negli Stati Uniti GBV-C infetta l'1,8 per cento di donatori di sangue per il resto sani, mentre in Sud Africa il tasso è molto più alto e sale fino all'11 per cento. Si ritiene che venga trasmesso sessualmente e che infetti dal 15 al 40 per cento dei pazienti positivi all'HIV. Nel nuovo studio, i ricercatori dell'Università dello Iowa e di altre istituzioni hanno individuato l'epatite G nell'85 per cento dei soggetti esaminati. I pazienti privi di questo virus avevano circa tre volte più probabilità di morire nell'arco di tempo considerato rispetto a coloro che lo avevano contratto. Non si conoscono i motivi di questa differenza: i ricercatori ritengono che in qualche modo l'epatite G interferisca con l'HIV, rallentando la sua progressione. Saranno però necessari ulteriori studi per capire se la scoperta potrà portare a nuovi farmaci contro l'AIDS. Carolyn F. Williams et al., Persistent GB Virus C Infection and Survival in HIV- Infected Men. New England Journal of Medicine Volume 350:981-990, Number 10 (4 Marzo 2004). ________________________________________ La Stampa 10 mar. ’04 NEI CAROTENOIDI IL TESORO DEI POMODORI QUESTI PIGMENTI COLORATI PROTEGGONO VISTA E PELLE. IL LICOPENE PREVIENE IL CANCRO ALLA PROSTATA) I NUOVI alimenti suscitano sempre diffidenze fra i consumatori. Basta pensare alle attuali controversie sugli OGM. La patata, arrivata dal Nuovo Mondo grazie a Cristoforo Colombo, fu apprezzata dagli europei solo due secoli dopo, il mais fu accusato di provocare la pellagra, e il pomodoro dovette subire una quarantena ancora più lunga. Inizialmente il pomodoro fu accolto come il frutto di una pianta esotica decorativa da appartamento per le famiglie benestanti. Poi destò l’interesse dei botanici, che però diffusero la convinzione che fosse velenoso. Nel 1544 l’erborista senese Pietro Andrea Mattioli lo definì «mala aurea», mela d’oro (aveva preso in considerazione una varietà giallastra). Altri botanici diedero delle indicazioni personali, senza validazione scientifica. L’olandese Dodoens definì il pomodoro un afrodisiaco, e questa fama spiega il termine di «pomme d’amour» che diedero i francesi. Fu l’ottima adattabilità dimostrata dal clima mediterraneo dell’Italia a convincere qualche cuoco coraggioso a tentare i primi tentativi gastronomici. La prima citazione della «pommarola» risale al 1839 grazie al manuale di cucina napoletana scritto da Ippolito Cavalcanti. La storia cita anche una «salsa di pomodoro alla spagnola» del 1692 che non ebbe successo. La pizza Margherita fu ideata nel 1889 per la regina d’Italia consorte di Umberto I. Al crescente gradimento ha corrisposto, nel tempo, l’esigenza di trovare efficaci sistemi di conservazione per consumare il pomodoro anche fuori stagione. Nasce così l’industria conserviera grazie alle esperienze del francese Nicola Appert (effettuate nel 1804) e di Francesco Cirio, nato a Nizza Monferrato nel 1836, e successivamente trasferitosi a Torino. In Italia, oggi, il consumo pro-capite è stimato in 50 chilogrammi annui. L’importanza attuale del pomodoro dal punto di vista nutrizionale è dovuta alla scoperta dei carotenoidi, una classe di pigmenti colorati (più di 400) sintetizzati dai vegetali ad attività antiossidante. Il beta-carotene si trova anche in cibi di colorazione diversa dal giallo arancione tipico della carota. I vegetali ricchi di foglie verdi, ad esempio, sono importanti fonti alimentari di beta-carotene (in questo caso il colore del betacarotene è mascherato dalla clorofilla). Paul Karrer nel 1931 ebbe il premio Nobel per aver notato come dal betacarotene si origina la vitamina A, indispensabile per favorire la crescita e l’attività vitale di tutti i tessuti organici e in particolare di quelli epiteliali, mucose, occhio (tessuto corneale). La carenza di vitamina A rimane la prima causa di cecità infantile nei paesi in via di sviluppo. Di recente si è visto che due altri carotenoidi, la luteina e la zeaxantina, svolgono un’azione protettiva per gli occhi contro le malattie legate all’età, come la degenerazione maculare senile e la cataratta: queste due sostanze formano i pigmenti maculari, una sorta di filtro che impedisce alle radiazioni nocive (la «luce blu») di raggiungere e danneggiare il tessuto sensibile della retina. Il pomodoro è ricco di un carotenoide chiamato licopene. Un alto tasso di licopene nel plasma sanguigno è associato alla bassa incidenza di cancro alla prostata. L’apporto di licopene nel plasma è più rilevante quando proviene da prodotti a base di pomodoro cotto rispetto a quello fresco. Nello stesso modo, la disponibilità di licopene nel succo di pomodoro lavorato a caldo è superiore a quella del succo di pomodoro fresco (aumenta l’assorbimento intestinale). Peter Bramely e la sua équipe del Royal Holloway (Università di Londra) hanno aumentato la concentrazione di carotenoidi nel pomodoro inserendo il gene di un batterio. Per ora non sono ancora conclusi i test di sicurezza per l’alimentazione umana.