RETTORI E CISL UNITI: FONDI AGLI ATENEI - LAUREE, LA RIFORMA TORNA IN PISTA - ATENEI, AVANTI CON LE RIFORME - LAUREE TRIENNALI FLOP:SI RICOMINCIA DA ZERO - ALLA RICERCA NON BASTANO GLI SLOGAN - NON SOLO PAROLE PER LA RICERCA - BASTA ESAMIFICI, LE UNIVERSITA’ FACCIANO PIU’ RICERCA - ESAME INTERNAZIONALE PER I FUTURI DOCENTI - IN CALO IL NUMERO DI SCIENZIATI NELLA UE - DUE RICERCATRICI LOCALI TRA LE PIU’ LETTE NEGLI USA - SVIMEZ, AL SUD SI LAUREANO SOLO TRE GIOVANI SU DIECI - CRESCE L'ITALIA NEL MONDO DELL'E-LEARNING - E TUTTA IN SALITA LA VIA FRANCESE ALLA RICERCA - NIENTE LAUREATI, NON SIAMO INGLESI - IL NOBEL? UNA COSA DA MASCHI - AL POLITECNICO TORNA LO SBARRAMENTO-ESAMI - ================================================================== MEDICINA: NIENTE LAUREE BREVI, MANCANO I SOLDI - PER I MEDICI SLITTA LA RIFORMA DELL'ACCESSO - PROTOCOLLO AL PALO: DELUSIONE - PROTOCOLLO: LA VITTORIA DEGLI UNIVERSITARI - AZIENDA MISTA. OSPEDALIERI IN RIVOLTA - BROTZU: SI FIRMI UN PROTOCOLLO O MEDICINA CHIUDE - ADDIO LEGGE BINDI, MENO VINCOLI AI MEDICI - AGOPUNTURA, L' ULTIMA FRONTIERA DELL' ANESTESIA - NUOVI ANTINFIAMMATORI: PRESCRIVERE CON CAUTELA - NIENTE PIU’ INFARTI COL SOFTWARE CHE SENTE I RISCHI 10 ANNI PRIMA - LA TAC DEL FUTURO PORTERA’ LA FIRMA DI UN MATEMATICO - IL CERVELLO E LA MINACCIA DEL MERCURIO - ICTUS: UN'ORA PER SALVARLE IL CERVELLO - MEDICINA PREDITTIVA E PERSONALIZZATA - ================================================================== ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 apr. ’04 RETTORI E CISL UNITI: FONDI AGLI ATENEI Maida e Mistretta: "Quadro politico troppo instabile, meglio aspettare il dopo- elezioni" Uniti per trovare le risorse per l’Universita’ sarda. Il primo passo e’ stato fatto ieri nell’incontro tra i rettori Pasquale Mistretta (Cagliari) e Alessandro Maida (Sassari) con la Cisl. Sono state illustrate le situazioni di difficolta’ delle due Universita’, e alla fine si e’ tracciato un possibile iter per rilanciare la "palestra per la formazione di figure leader". Entro un mese i due rettori prepareranno un documento dove verra’ illustrato lo stato degli atenei, per poterlo sottoporre alle altre rappresentanze sindacali, sociali ed economiche. Poi, dopo le elezioni regionali, si passera’ all’attacco per tentare di ottenere maggiori risorse economiche. Attualmente la popolazione dell’Universita’ cagliaritana e’ di circa 38 mila studenti, mentre pochi anni fa era di 40 mila. I docenti ordinari e associati toccano quota 740, con 460 ricercatori e 1180 operatori del personale tecnico amministrativo. Dieci le facolta’. "Stiamo lavorando molto sull’orientamento - ha spiegato il rettore Pasquale Mistretta - Siamo indietro sull’applicazione della riforma 3+2, essendoci ancora distanza tra il mondo universitario e quello lavorativo". Il numero uno dell’ateneo cagliaritano ha ricordato come l’Universita’ sia "l’azienda pubblica piu’ grossa in Sardegna, per la ricaduta occupazionale, per la formazione e la ricerca". Inoltre la Regione si e’ appoggiata all’ateneo di Universita’ per redigere il Piano regionale dei trasporti. "Abbiamo diverse commesse rilevanti - ha ricordato Mistretta - come quelle nel campo bio - medico, dell’ingegneria e scientifico". E a proposito di sanita’, tutto bloccato per quanto riguarda i corsi di laurea destinati alle professioni sanitarie: "Il momento politico non e’ dei migliori - ha concluso il rettore cagliaritano - anche se gli ultimi incontri con la classe dirigente regionale hanno fatto segnare qualche segnale positivo". Proprio ieri i rettori sono stati ricevuti in commissione Programmazione, e nel Dpef e nel Bilancio ci sono poche righe che riguardano il mondo dell’Universita’: "Ci deve essere un ruolo visibile e non marginale - ha sottolineato il segretario regionale della Cisl, Mario Medde - ci dovra’ essere un’azione unitaria verso capigruppo e Giunta per trovare maggiori fondi". Il sindacato ha inoltre lanciato l’idea di un Forum, dove trovare progetti e programmi per il rilancio degli atenei sardi, che potrebbe passare anche per i fondi europei: "Anche con l’uscita dall’obiettivo 1 - ha precisato il rettore sassarese - le risorse economiche possono essere trovate". Ma i rettori hanno preso tempo: "Ottima un’iniziativa unitaria, che non parta dall’Universita’ e che veda promotori sindacati e rappresentanze economiche e sociali - hanno sottolineato Mistretta e Maida - ma con le elezioni alle porte e’ meglio attendere". Con una stabilita’ politica e un interlocutore preciso l’Universita’ potrebbe trovare qualche spiraglio. Matteo Vercelli ______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 apr. ’04 LAUREE, LA RIFORMA TORNA IN PISTA UNIVERSITA’ , Dal Consiglio di Stato e’ giunto il parere favorevole allo schema di riordino per i corsi a «Y» Nel via libera dei giudici anche l'invito ad abrogare il regolamento del '99 - Titoli di secondo livello con 180 crediti ROMA a Dopo la riforma della scuola, Letizia Moratti puo’ legare il suo nome anche a quella dell'universita’. Il Consiglio di Stato, nei giorni scorsi, ha infatti dato parere favorevole allo schema di regolamento di modifica del decreto 509/99, che ha introdotto i nuovi percorsi universitari delle lauree e delle lauree specialistiche incardinate sull'autonomia didattica. Dunque, in tempi brevi, il ministro potra’ firmare il regolamento che, tra l'altro, introduce percorsi paralleli per le lauree triennali, potendo le universita’ differenziare tra corsi indirizzati all'acquisizione di specifiche competenze professionali (garantendo - si assicura - un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici) e lauree piu’ orientate al proseguimento degli studi (si tratta dei percorsi a «Y»). Per quanto riguarda le lauree specialistiche (che si chiameranno magistrali o master) il curriculum sara’ articolato su 180 crediti, al posto dei 300 attuali (che tengono conto dell'intera esperienza universitaria, anche della laurea). Le scelte del ministero. Nell'adunanza del 22 marzo, la sezione consultiva per gli atti normativi ha preso atto «sia dell'intenzione dell'amministrazione di non modificare il testo gia’ trasmesso, che di quanto affermato nel supplemento di relazione, da cui si evince il proposito di dare al problema degli ordinamenti universitari un' impostazione diversa da quella contenuta nel Dm 509/99». Va ricordato che il Consiglio di Stato, il 24 novembre scorso, aveva reso un parere interlocutorio, "rimproverando" il ministero di aver «trascurato o disatteso», senza motivazioni, i suggerimenti del Consiglio universitario nazionale, cui pure aveva dichiarato di aver attribuito la prevalenza rispetto ai pareri del Consiglio universitario nazionale (Cnsu), della Conferenza dei rettori (Crui) e del Comitato di valutazione (Convsu). Nella risposta, il ministero ha insistito sulle scelte, «finalizzate - si riporta nel parere del Consiglio di Stato del 22 marzo - a correggere i fenomeni di criticita’», evitando il loro aggravamento «nell'interesse non solo del sistema ma, principalmente, degli studenti» Il parere del Consiglio di Stato. A questo punto, la sezione consultiva non puo’ che rilevare come l'amministrazione, «nell'esercizio del potere che le compete e nella sua responsabilita’», abbia risolto la questione «dell'opportunita’ di intervenire normativamente in un momento in cui la precedente riforma si trova ancora in fase di avvio». A questo proposito e’ il ministero a far rilevare che nello schema di regolamento non c'e’ un termine per l'adeguamento da parte degli atenei (la liberta’ di scelta tra vecchio e nuovo sistema, peraltro, e’ una richiesta dei rettori). Con queste premesse, il Consiglio di Stato formula alcuni rilievi "di contorno", se si eccettua l'invito ad abrogare il Dm 509199, visto che non si tratta di ritocchi, ma di «una nuova impostazione della materia trattata». Da notare anche l'osservazione rispetto al termine «master» che dovrebbe esse re sinonimo di «laurea magistrale», di contro al significato corrente: per questo il Consiglio di Stato invita a un ripensamento. Tra l'altro, lo schema di regolamento fa dietro front rispetto al Dm 509 che prevede tra i titoli rilasciati dalle universita’ quello di master, al termine di corsi brevi (almeno 60 crediti) di perfezionamento. Nell'economia della riforma, nel parere si ritengono «soddisfacenti» le spiegazioni in merito alla scelta di disegnare i corsi di laurea specialistica (o magistrale) su 180 anziche’ 300. Il ministero punta a offrire, per ciascun corso di base ,l'accesso a una pluralita’ di lauree specialistiche, evitando «che il titolo di primo livello abbia l'esclusiva funzione di consentire l'accesso al corso di II livello, con conseguente perdita del valore e della spendibilita’ autonomi della laurea». Infine, l'anno comune per i corsi della stessa classe prima della differenziazione dei percorsi formativi costituisce - secondo il Consiglio di Stato - «una garanzia di unitarieta’». MARIA CARLA DE CESARI ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 apr. ’04 ATENEI, AVANTI CON LE RIFORME Convegno della Fondazione Liberal ROMA Il dibattito sull'universita’ in Italia sembra afflitto da un paradosso: «Si discute di riforme molto prudenti quando ci sarebbe la necessita’ di andare molto piu’ avanti. Ma l'attacco di sindacati, corporazioni e conservatori a tutti i costi - sostiene Ferdinando Adornato, presidente della commissione Cultura della Camera - testimonia la difficolta’ di fare innovazioni, anche molto urgenti, e perfino troppo caute». AL convegno della Fondazione Liberal «L'educazione e l'istruzione nel XXI secolo», che si chiude oggi a’ Milano, emerge questa verita’, che oggi dovrebbe riproporsi nel dibattito «La batta glia della riforma», destinato al riordino dell'istruzione. Ma torniamo al dibattito sugli atenei. Uno degli argomenti piu’ discussi nella tavola rotonda di ieri - peraltro regolarmente rilanciato dagli esponenti dell'accademia in queste sedi - e’ l'abolizione del valore legale del titolo di studio. In sintesi, un vero e proprio tabu’: perche’ «con questa innovazione importantissima cadrebbero il centralismo, il sistema dei concorsi e le pastoie piu’ o meno nascoste» denuncia Adriano De Maio, rettore della Luiss. Sullo stesso piano Carlo Secchi (Bocconi): «Abolire il valore legale del titolo di studio significa eliminare il centralismo e dare spazio a un'autonomia vera. Insomma, va cambiato il sistema della governance universitaria a livello centrale ma anche locale». Aggiunge il rettore Secchi: «Sarebbe ora di dire basta con questo sistema di finanziamento degli atenei. Occorre avere il coraggio, per esempio, di mettere la parola fine a un meccanismo di tasse universi tarie che si traduce, nei fatti, in un sistema di distribuzione a pioggia di pochissime risorse». Nuovi meccanismi di finanziamento, autonomia a 360 gradi ma anche, sottolinea De Maio, «un efficace sistema di valutazione, per certificare la validita’ del lavoro svolto dagli atenei». Colpisce, in particolare, l'analisi molto schietta di Sergio Belardinelli (Universita’ di Bologna) a proposito del "3+2", l'articolazione degli studi in un triennio di base e un biennio di specializzazione: «E’ deprimente e controproducente - sottolinea - la disinvoltura con la quale, da un lato, abbiamo accantonato l'idea che l'istituzione universitaria risponda a un progetto sintetico di produzione e diffusione di un sapere "alto" e, dall'altro, abbiamo accettato il ripiego sui cosiddetti percorsi professionalizzanti perfino nelle facolta’ che una volta si chiamavano umanistiche». Secondo l'accademico «le nostre universita’ rischiano di trasformarsi in centri di informazione e di insegnamento, sempre piu’ estranei alla ricerca. II nostro "3+2" sembra fatto apposta per privilegiare un'idea di universita’ dove si moltiplicano i corsi e gli insegnanti, ma dove e’ estremamente difficile coniugare universita’ e ricerca». Per Belardinelli «si potrebbe dire che abbiamo costruito un sistema secondo il modello delle facolta’ di Ingegneria, che effettivamente pare funzionare bene per quel genere di facolta’, ma che mal si concilia con altre discipline». Tutti temi, insomma, piu’ volte rilanciati in questi dibattiti tra addetti ai lavori, ma che stentano, poi, a tradursi in un'efficace azione politica. La stessa revisione del "3+2" va avanti con molta prudenza. Nel corso della giornata di oggi verra’ consegnato il Premio «Sandro Gigliotti 2004» per l'informazione scolastica al Sole-24 Ore. M.Luo. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 apr. ’04 LAUREE TRIENNALI FLOP:SI RICOMINCIA DA ZERO Dopo la protesta degli studenti il Senato accademico riapre le iscrizioni ai corsi tradizionali Migliaia di dottori senza futuro potranno ritornare al vecchio ordinamento SASSARI. Alla fine gli studenti sassaresi l’hanno spuntata. La loro secca bocciatura nei confronti della riforma dei corsi di laurea ha convinto anche il senato accademico dell’Universita’ di Sassari, che due giorni fa gli ha concesso la possibilita’ di tornare all’antico. Il provvedimento, fortemente caldeggiato dai rappresentati degli allievi dell’ateneo turritano e dalla stragrande maggioranza delle associazioni studentesche, rappresenta una grande vittoria per tutti quegli studenti che non piu’ tardi di due anni e mezzo fa avevano scelto di passare dal vecchio ordinamento a quello nuovo, che prevedeva una laurea triennale di primo livello e una specialistica per la quale sarebbe stato necessario un biennio di specializzazione. La riforma doveva essere la risoluzione a diversi problemi: negli auspici dei responsabili dei diversi atenei d’Italia, il nuovo sistema avrebbe dovuto ridimensionare il problema dei fuori corso, riducendo drasticamente il numero di anni necessari per arrivare alla laurea. In questo modo, in pratica, gli autori della riforma speravano di azzerare il gap anagrafico tra i laureati italiani e quelli del resto d’Europa, che di norma finiscono gli studi due o tre anni prima. L’obiettivo finale di tutta questa operazione, era stato sostenuto quando la riforma era in rampa di lancio, avrebbe dovuto anticipare e facilitare l’accesso al mondo del lavoro. "I fatti dimostrano che questa riforma e’ un fiasco", avevano lamentato gli studenti sassaresi. Il fatto che Sassari sia una delle prime piazze in cui il problema e’ emerso in tutta la sua gravita’ non e’ certo un caso. Ci sono almeno due motivi che rendono il caso sassarese emblematico di cio’ che sta per succedere anche in atri atenei. "In primo luogo c’e’ da considerare che in tanti avevamo scelto, su consiglio delle diverse commissioni didattiche, di transitare dal nostro ordinamento a quello nuovo, grazie al quale sembrava che ci si dovessero aprire di fronte scenari fino ad allora impensabili", rimarcano gli studenti. Soprattutto quelli di Scienze politiche, al momento i piu’ coinvolti dalla vicenda almeno sul piano numerico, dato che in tanti hanno gia’ concluso il triennio (alcuni addirittura dal luglio del 2002) e di quella laurea non sanno proprio che farsene. "Gia’, perche’ il secondo fattore che ha fatto scatenare la nostra rabbia e’ proprio il fatto che abbiamo dovuto fare i conti con l’assoluta impossibilita’ di spendere questo nuovo titolo sul mercato del lavoro", precisano i diretti interessati. A quel punto, in attesa che tutti coloro che si erano iscritti all’Universita’ quando la riforma si era gia’ materializzata sbattano il muso contro gli stessi problemi (molti di loro dovrebbero laurearsi nella prossima sessione estiva), c’era solo una possibilita’: quella di permettere a tutti di tornare indietro. Dopo una trattativa durata un paio di settimane, lunedi’ sera il senato accademico ha incontrato una nutrita e battagliera delegazione di studenti che hanno spiegato le ragioni della loro richiesta. "E il senato ha deliberato in loro favore", afferma con soddisfazione Raimondo Derudas, rappresentante degli studenti all’interno del senato dell’Universita’ sassarese. Gian Mario Sias ___________________________________________________________ Corriere della Sera 7 apr. ’04 ESAME INTERNAZIONALE PER I FUTURI DOCENTI Annuncio negli Usa della Moratti: concorsi con professori stranieri di fama nelle commissioni Il ministro illustra agli scienziati il piano per rilanciare la nostra ricerca: distretti tecnologici universita’-impresa Vecchi Gian Guido DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON - Ventiquattro incontri in cinque giorni fra Boston, New York e Washington, dagli accordi di ricerca con Harvard e Mit all' intesa di ieri fra la Nasa e l' Agenzia spaziale italiana, un «tavolo di lavoro» per definire progetti condivisi. E infine l' incontro alla Casa Bianca con John Marburger, consigliere scientifico di Bush, «Stati Uniti e Italia stanno trasportando anche nella ricerca scientifica lo stesso clima di cooperazione che c' e’ a livello politico», sorride Letizia Moratti: «Lavoreremo a diversi livelli, agenzie federali, governi locali e universita’, per rafforzare la collaborazione con gli Usa e renderla piu’ strutturata: scambio di ricercatori, progetti e laboratori comuni». Certo, a parte il sole la giornata non e’ delle migliori, intorno alla Casa Bianca si vedono i check point come a Gerusalemme e perfino negli ascensori sono montate tv che rimandano le immagini della Cnn dall' Iraq. Ma nell' universo scientifico le cose paiono procedere meglio. Per Marburger il «nuovo approccio italiano» alla ricerca e’ «una benedizione», la Moratti sorride: «Ho trovato molto interesse per la nostra idea dei distretti tecnologici tra universita’ e impresa e per la nuova strategia di ricerca italiana: non una scelta dirigista ma un processo partito dalle universita’ che ha individuato alcune aree di eccellenza - nanoscienze, bioscienze, scienze informatiche - su cui concentrare le risorse». In qualche modo l' «internazionalizzazione» riguardera’ pure il nuovo concorso nazionale per professori associati e ordinari. A Manhattan, nella «Casa italiana Zerilli- Marimo’» della New York University, Letizia Moratti ha incontrato gli scienziati italiani e risposto alle obiezioni di chi parlava di «provincialismo» dei nostri atenei. «Tornare al concorso nazionale non e’ una soluzione», osservava un ricercatore. Cosi’ il ministro ha anticipato una novita’ che fara’ discutere: «Il concorso nazionale sara’ diverso da prima. Non solo stiamo lavorando a un testo che prevede standard di valutazione europei, ma per accedere alla lista di idoneita’ per ordinari e associati le commissioni di valutazione saranno composte anche da rappresentanti internazionali». La ricerca lavora in rete: «La fuga dei cervelli e’ un concetto superato. Piuttosto intendiamo trovare formule piu’ flessibili per finanziare progetti di ricerca e collaborazioni con i nostri scienziati all' estero». Del resto, considera il ministro, «su 17 mila pubblicazioni italiane registrate dal Science Citation Index, circa 6.400 sono svolte con colleghi di altri Paesi e un quarto di questi, circa 1.600, sono americani». L' idea di rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti si spinge fino ai programmi di ricerca scientifica per gli studenti. Ieri pomeriggio la delegazione italiana, alla National Science Foundation, ha discusso un piano di scambio di universitari «undergraduate», i ragazzi del primo triennio: una sorta di Erasmus tra Usa e Italia. Gian Guido Vecchi Le novita’ CONCORSO Il ministro Letizia Moratti ha annunciato una svolta verso l' «internazionalizzazione» per il nuovo concorso nazionale per professori associati e ordinari: gli standard di valutazione saranno europei, le commissioni saranno composte anche da rappresentanti internazionali SCAMBIO La Moratti ha inoltre annunciato che e’ in corso di definizione una sorta di progetto Erasmus tra Italia e Usa. La responsabile del ministero dell' Istruzione, dell' universita’ e della ricerca ha ieri discusso alla National Science Foundation di un piano di scambio di universitari «undergraduate», i ragazzi del primo triennio ______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 apr. ’04 ALLA RICERCA NON BASTANO GLI SLOGAN DI CARLO MARIO GUERCI E VITO MARCOLONGO L’economia nazionale peggiora e le ricette per uscire dalla crisi si susseguono. L'innovazione come rimedio alla carenza di competitivita’ delle nostre imprese e’ oggi d'attualita’, ma si sta gia’ incamminando pericolosamente sulla strada dello slogan. I ripetuti appelli all'incremento di spesa nella R&S, sulla scia di una politica comunitaria che vorrebbe tutti i Paesi dell'Unione allineati a una spesa pari al 3% del Pil entro il 201.0 e la stessa creazione dell'Istituto italiano di Tecnologie sembrano il frutto di una visione concentrata sull'aspetto piu’ appariscente del problema e non sul problema nel suo insieme. Infatti: a) Il problema dell'innovazione deve essere affrontato dal punto di vista delle imprese e dei loro processi; b) vanno tenuti ben presenti i dati strutturali delle nostre imprese: dimensione, settori, dinamiche di (non) crescita; c) la politica industriale, oltre a tenere conto dei dati strutturali, deve sviluppare proposte coerenti con le scale temporali necessarie per ottenere dei risultati concreti. Per quanto riguarda il primo punto, e’ indispensabile riconoscere l'esistenza di quattro attivita’ fondamentali che spesso competono per le stesse risorse. 1) Ricerca: prepararsi al mercato. Gli obiettivi principali di questa fase sono la riduzione delle incertezze e l'esplorazione del futuro in anticipo rispetto ai bisogni del business. Il risultato principale di questo processo e’ la costruzione delle competenze che serviranno nel futuro e la definizione della strategia tecnologica, soprattutto nella scelta "make" (ricerca "sulle" tecnologie) o "buy" ricerca "di" tecnologie). 2)Innovazione: dare forma al mercato. Dal punto di vista dell'impresa e’ questo il passaggio chiave: attraverso l'innovazione si puo’ incidere sul mercato e formarlo. Questo processo avviene tipicamente attraverso la combinazione delle tecnologie per creare valore, ma anche cambiando le regole del mercato o risolvendo i problemi in moda nuovo. E’ la traduzione in termini economici delle idee e competenze messe a punto nella fase di ricerca. 3) Sviluppo: servire il mercato. Il mercato viene servito dall'impresa attraverso la creazione di prodotti nuovi e di miglioramenti del prodotto secondo un percorso stabilito, nonche’ attraverso il miglioramento dei processi. 4) Supporto: mantenere il mercato. IL mercato viene mantenuto attraverso 1a riduzione del costo dei prodotti, il miglioramento della loro qualita’, la risoluzione di problemi di produzione e di linea. E’ importante bilanciare bene le quattro attivita’ per agire in modo equilibrato sia sulla leva espansiva dello sviluppo dell'innovazione, sia sulla leva del consolidamento delle posizioni raggiunte con i processi di supporto. Le nostre imprese sono in una fase di involuzione conseguente a un' eccessiva concentrazione sui processi di consolidamento sul mercato (Sviluppo e soprattutto Supporto), e questo ha generato una reazione riflessa, altrettanto pericolosa, da parte del Governo: puntare indiscriminatamente sulla intensita’ della ricerca come soluzione del problema. Triplicando gli attuali livelli di spesa in R&S, non solo c'e’ il concreto rischio di gettare al vento alcune centinaia o addirittura migliaia di milioni ma c'e’ soprattutto il rischio di crear aspettative che deluderanno imprenditori, ricercatori e contribuenti. Per il secondo punto conviene far riferimento ai modelli di innovazione della Tavola 1. Un prodotto/servizio costituito da vari componenti: quando si cambiano le relazioni tra i componenti l'innovazione e’ di natura architetturale (ad esempio, il Pinguino De Longhi che introduce la portabilita’ nel prodotto condizionatore). Quando si cambia natura dei componenti, l'innovazione modulare (ad esempio l'introduzione della suola traspirante nelle scarpe Geox). La maggior parte delle imprese italiane e’ sostanzialmente concentrata su innovazione incrementale e innovazione architetturale. I motivi sono essenzialmente le piccole dimensioni e l’appartenenza a settori non basati sull'impiego dei risultati della ricerca scientifica L'intensita’ di ricerca, in queste condizioni, e’ strutturalmente piu’ bassa che in Paesi in cui prevalgono grandi gruppi operanti in settori come la farmaceutica la chimica, l'elettronica e il software Recentemente si e’ dimostrato, attraverso una misurazione della capacita’ di brevettazione pesata sulle citazioni, come le innovazioni piu’ importanti (essenzialmente di tipo radicale) avvengano soprattutto in settori dove la concentrazione delle aziende e’ elevata, ponendo l'accento sulla loro dimensione. In estrema sintesi, siamo un Paese che difficilmente produce tecnologie i proprio, ma siamo un Paese che sicuramente utilizza (bene) le tecnologie sviluppate altrove per creare innovazione Per il terzo punto e’ indispensabile prendere atto che i limiti strutturali delle nostre imprese non consentono di far salti improvvisi cercando di emulare le economie dei maggiori Paesi industrializzati con forti apparati di ricerca privata e pubblica. Gli interventi devono essere articolati su due scale dei tempi). Nel breve-medio termine l'unica prospettiva concreta e’ rafforzare il modello di innovazione prevalente delle nostre piccole e medie imprese. In questo caso il processo di Ricerca da sostenere e’ la ricerca "di" tecnologie, non tanto la ricerca "sulle" tecnologie. L'accesso alle tecnologie e la gestione del trasferimento tecnologico e della proprieta’ intellettuale sono i passi fondamentali di questo processo su cui vi e’ molto da fare. Altrettanto cruciale e’ la gestione del processo di Innovazione, in cui nuovamente critico e’ lo sviluppo di una cultura sulla protezione della proprieta’ intellettuale e sulla integrazione dei sistemi. Nel recente piano inglese sul sostegno all'innovazione (dicembre 2003), e’ interessante notare la creazione di un centro sulla ingegneria dei sistemi a sostegno delle Pmi. Nel medio-lungo termine e’ indispensabile introdurre un cambiamento culturale che tenti di far rientrare in corsa il Paese sui nuovi treni tecnologici. L'Italia ha una tradizione negativa di entrata nei nuovi settori: mai per prima (compresa la radio, Marconi dovette andare in Inghilterra per trovare i finanziamenti necessari a trasformare la sua invenzione in innovazione) ma sempre tra i primi (aeronautica, chimica, elettricita’, nucleare), salvo poi essere incapace di sviluppare una presenza industriale permanente. Valgano ad esempio i casi del polipropilene e del common-rail. In questo caso, il sostegno va fornito a due gruppi di imprese: le residue poche grandi imprese che devono diventare poli di aggregazione delle capacita’ di ricerca nazionali e le nuove imprese che potranno nascere, ad esempio come spin-off universitari e di centri di ricerca. Nel primo caso lo Stato, oltre che promuovere la formazione delle aggregazioni, deve farsi "compratore intelligente" promovendo programmi che consentano lo sviluppo di piattaforme tecnologiche (homeland security, sanita’, territorio, beni culturali, tra, sporti). Solo in questo caso il processo di Ricerca e’ ricerca utile sulle tecnologie con i possibili e auspicati trasferimenti successivi alle Pmi. Finora non vi e’ stata alcuna traccia di una strategia pubblica orientata nel senso che abbiamo definito. Se il Paese vuole rivitalizzarsi, e’ indispensabile formulare un intelligente Progetto per l'innovazione, accanto a quelli pur necessari orientati alle infrastrutture e alle riforme. CARLO MARIO GUERCI VITO MARCOLONGG www.evidenze.it ______________________________________________________ Il Sole24Ore 8 apr. ’04 NON SOLO PAROLE PER LA RICERCA Se c'e’ un tema su cui tutti sono d'accordo - dalla destra alla sinistra, dai sindacati agli imprenditori, da Gianfranco Fini a Giulio Tremonti - e’ l'esigenza di puntare sulla «ricerca» per rilanciare la competitivita’ italiana. Naturalmente l'ampio consenso, come avviene spesso in Italia, non si trasforma di per se’ in fatti concreti. Anzi certe volte proprio l'assenza di dialettica favorisce l'inattivita’. Anche perche’ la questione del rilancio della ricerca richiede scelte complesse, che se non gestite bene possono diventare contradditorie. Rilanciare la ricerca significa concentrare risorse, ma anche diffonderle in modo generalizzato: e se si sbaglia a concentrare quel che va diffuso e a decentrare quel che va accumulato, si possono combinare dei disastri. E evidente come per «produrre» alta ricerca si debbano mettere insieme molte risorse, molta tradizione e molti cervelli, e’ cosi’ per lo piu’ che si determina la massa critica necessaria per far scoccare la scintilla innovativa. All'opposto di quel che pare stia decidendo la Regione Friuli Venezia Giulia: cioe’ il finanziamento di un centro di alta ricerca presso l'Universita’ di Udine. Il Friuli ha gia’ un centro di’ eccellenza, che va potenziato e articolato (Trieste), non affiancato da uno che parte piu’ o meno da zero. Gia’ abbiamo liceizzato la nostra Universita’ creando un ateneo quasi ogni campanile, se ripetissímo lo stesso errore per le strutture di ricerca combineremmo un vero guaio. La ricerca, poi, va diffusa e una leva assai utile e’ quella fiscale. Silvio Berlusconi ha annunciato qualche giorno fa che da lunedi’ (cioe’ dallo scorso 5 aprile) avrebbe messo mano all'abolizione dell'Irap sugli investimenti delle imprese per le ricerca: e’ passato qualche giorno, non ha ancora mantenuto la promessa. Speriamo che lo faccia. Questi provvedimenti "minori", senza grandi investimenti, sono quelli che spesso danno risultati esemplari. Si consideri la riforma del codice della strada, i risultati prodotti per il traffico e il contenimento degli incidenti. Anche se proprio la vicenda del codice della strada ricorda come non basta varare un provvedimento per ottenere effetti permanenti: serve anche, poi, una gestione occhiuta. Il che non e’ proprio il forte dello Stato italiano. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 1 apr. ’04 BASTA ESAMIFICI, LE UNIVERSITA’ FACCIANO PIU’ RICERCA Il rettore del Politecnico, Ballio: al via sei nuovi progetti per dare lavoro a giovani che hanno idee Sacchi Annachiara Altro che «esamifici slegati dalla ricerca e dal mondo imprenditoriale». O, ancora, «docenti che se fanno ricerca non sono interessati alle sue applicazioni» e «universita’ che non hanno rapporti con le imprese». Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano, non accetta questi stereotipi legati al mondo degli atenei. Tantomeno al suo. E presenta, con i suoi piu’ stretti collaboratori, un progetto trasversale che vuole rilanciare l' importanza della ricerca universitaria. Sei i progetti in partenza. Giudicati e vagliati non solo da una commissione interna, ma anche da rettori delle universita’ di Delft, Catalunya e Zurigo e dal vice ministro dell' Istruzione, dell' Universita’ e della Ricerca Scientifica, Guido Possa, dal vicepresidente di Confindustria per l' innovazione e lo sviluppo tecnologico, Giorgio Squinzi, e dal direttore generale Ricerca e Innovazione Tecnologica della Regione Lombardia, Paolo Alli. Risultato: diciannove posti di ricercatore assegnati allo sviluppo di progetti di ricerca trasversali. «Il nostro obiettivo - ribadisce Ballio - e’ dare lavoro ai giovani che hanno idee ricordando che la ricerca viene fatta innanzitutto con le risorse umane, non solo con le attrezzature». Ecco, allora, l' impegno del Politecnico nella ricerca: piu’ della meta’ dei contratti di dottorandi e assegnisti di ricerca pagati con fondi provenienti da aziende, un autofinanziamento, solo nel 2003, di 60 milioni di euro, un network nato da poco per la valorizzazione della Ricerca Universitaria, al quale ha aderito circa il 50 per cento delle universita’ italiane. I progetti vincitori riguardano le cellule per la tecnologia, protezione civile e protezione pubblica, metodi e tecnologie per l' E-government, valutazione e gestione delle politiche pubbliche, mobilita’ sostenibile basata sull' idrogeno. Allo studio, anche la conversione della tecnologia spaziale in un dispositivo antiterrorismo che dovrebbe essere pronto in breve tempo. A. Sac. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 3 apr. ’04 IN CALO IL NUMERO DI SCIENZIATI NELLA UE BRUXELLES a Il numero degli scienziati in Europa rischia la caduta libera. Se alcuni paesi mostrano progressi, soprattutto i grandi sono alle prese con gravi difficolta’ per rispettare gli impegni e raggiungere gli obiettivi di Lisbona. L'allarme arriva dal commissario Ue alla Ricerca, Philippe Busquin. Il tasso di crescita annuale del numero di scienziati a livello europeo si fema infatti al 2,1°l0. Una percentuale troppo bassa, spiegano alla Ue, per raggiungere le altre aree del mondo e per poter attuare gli obiettivi che dovrebbero consentire all'Europa di portare gli investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo al 3% del prodotto interno lordo entro il 2010. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 apr. ’04 DUE RICERCATRICI LOCALI TRA LE PIU’ LETTE NEGLI USA Il libro, edito in America, e’ un best seller scientifico CAGLIARI. Il volume si e’ stato classificato come uno dei piu’ letti negli Usa della letteratura scientifica mondiale. Il volume Crescita cellulare ed esteri del colesterolo scritto da Alessandra Pani e Sandra Dessi’, e’ stato il quarto in termini di ‘quantita’’ di lettura nel mese di marzo. La Pani e’ docente di microbiologia nella facolta’ di Medicina di Cagliari e la Dessi’ di patologia generale nello stesso ateneo. Per avere un’idea di che cosa significhi il qaurto psoto va tenuto presente che le pubblicazioni scientifiche vengono divise in trecento categorie. All’interno si va dalla matematica alla fisica, alla medicina alla chimica e via dicorrendo con le varie specializzazioni tipiche di ciascuna disciplina. Il che significa che la mole di pubblicazioni scientifiche e’ vastissima. In questo quadro il libro delle due autrici (pubblicato in inglese ed edito negli Usa da Plenum Publisching Corporation) e’ stato tra i piu’ letti e consultati dalla comunita’ scientifica americana, considerata la piu’ ‘aggressiva’ nelle pubblicazioni specifiche. Il fatto che un lavoro scientifico venga consultato molto puo’ derivare da due fattori. Il primo dall’occuparsi di un problema di larga diffusione (il colesterolo), il secondo (che e’ piu’ importante) dalla qualita’ della pubblicazione. Ovvero dalla considerazione che la comunita’ scientifica internazionale da’ al lavoro esposto nell’articolo o libro. Per chi fa ricerca e’ indispensabile conoscere quello che di piu’ significativo e’ stato scritto sull’argomento che si sta affrontando. In particolare il libro delle due ricercatrici dell’universita’ di Cagliari tratta del metabolismo del colesterolo, ovvero di come quella che viene considerata una dei maggiori cause delle complicazioni cardiache si rapporta al nostro organismo. Pur svolgendo il colesterolo funzioni anche positive (nella sintesi di alcune vitamine), nella maggior parte dei casi, pero’, puo’ diventare una spia dell’artereosclerosi (l’ostruzione delle arterie). Il tutto, infine, in determinate situazioni, puo’ agevolare anche lo sviluppo di particolari tumori. ______________________________________________________ L’Unita’ 8 apr. ’04 NIENTE LAUREATI, NON SIAMO INGLESI Vittorio V. Alberti Come far pagare maggiori tasse per un'istruzione superiore di qualita’ per tutti senza aumentare le imposte? A gennaio il parlamento inglese ha approvato la riforma dell'universita’, presentata dal governo Blair, che prevede un innalzamento delle tasse universitarie fino a un massimo di 3000 sterline (circa 4200 curo) a partire dal 2006, contro le attuali 1125. Gli studenti piu’ poveri (il 30%) saranno esentati dalle nuove tasse: il ministro dell'Istruzione Charles Clarke ha annunciato che gli studenti piu’ disagiati potranno ottenere dal governo un prestito a fondo perduto di 2700 sterline (circa 3800 curo). Le singole universita’, per raggiungere la quota di 3000 sterline, potranno coprire le rimanenti 300 sterline con borse di studio. I e universita’ potranno decidere autonomamente se aumentare le rette. Gli atenei che le aumenteranno dovranno offrire l'accesso ai corsi a un maggior numero di studenti (le universita’ inglesi sono a numero chiuso). La riforma Blair nasce dalla necessita’ di rinnovare l'universita’ adeguandola alle sempre maggiori esigenze formative della popolazione e ai piu’ costosi progetti per la ricerca. Con l'accesso di massa, la qualita’ ha subito battute d'arresto e il sistema della ricerca, oggi, non tiene il passo con le universita’ americane sopratutto per carenza di fondi. Ugualmente, l'uniformita’ dell'offerta didattica non garantisce piu’ pari opportunita’ per tutti gli studenti: non tutti, infatti, hanno le stesse esigenze formative. L'universita’, dunque, secondo Downing Street, «deve adeguarsi alla flessibilita’». Nel `60, in Gran Bretagna, uno scolaro su venti accedeva all'universita’. Oggi la media e’ uno su tre; e 131air, sostenendo che «la competitivita’ tra le nazioni dipendera’ sempre piu’ dal grado di istruzione», vuol arrivare a uno su due entro il2010. C'e’ da dire che in Inghilterra gli studi universitari sono praticamente gratuiti, ovvero finanziati dallo stato, attraverso la fiscalita’ generale della popolazione, dunque, le universita’ inglesi devono soddisfare una popolazione di studenti sempre piu’ ampia con fondi sempre piu’ scarsi, ;mentre i costi diventano sempre piu’ alti. Una laurea a «Oxbridge» costa in media 15rnila sterline (21.000 euro)l’anno, e finora la maggior parte di quei soldi sono stati a carico delle finanze pubbliche. Conclusione: le universita’ del Regno Unito sono tutte in ristrettezze economiche. Gli Universitics e Higher Education Colleges sono completamente autonomi, sebbene statali e finanziari dal governo, assumono direttamente il proprio personale, programmano i corsi, accettano gli studenti e conferiscono i titoli accademici in maniera autonoma, anche se esistono dei sistemi di controllo stalla qualita’ dei corsi e dell'insegnamento, mirati ad assicurare un certo grado di uniformita’ sul territorio nazionale. Questi controlli sono gestiti dal Quality Assurance.Agency for Higher Education (QAA). E cosa avviene, invece, nell'universita’ italiana? Altissimo il tasso di abbandoni: circa il 70 °ó degli immatricolati al primo anno non arriva alla laurea. Mentre in Inghilterra conclude il proprio corso di studi l’85% degli studenti. In Italia la ricerca e’ molto indietro rispetto al resto d'Europa: il fenomeno del brain drain (fuga dei cervelli) ne e’ il segno piu’ evidente. Ogni ricercatore produce in Italia in media 5,6 lavori contro 11,2 in Gran Bretagna. L'Italia finanzia la ricerca con l’1% del PIL, ovvero meno della meta’ di molti paesi europei. A fare peggio sono la Spagna (0,96%), il Portogallo (0,75%) e la Grecia (0,67%). Con la riforma Moratti si accedera’ alle cattedre con un concorso nazionale per tanti posti quanti sono quelli richiesti dalle varie universita’, aumentati del 20 %. Ai vincitori non sara’ assicurato il posto per il quale hanno concorso. Le varie facolta’, infatti, saranno lasciate libere di richiamare o meno i vincitori e, se la chiamata non dovesse arrivare, l'abilitazione conseguita con la vittoria del concorso restera’ valida per un numero di anni da tre a cinque, al termine dei quali, l'aspirante professore dovra’ partecipare ad un nuovo concorso. Se il candidato dovesse essere assunto come docente, la sua assunzione sara’ provvisoria dal momento che le universita’ stipuleranno contratti a tempo determinato, rinnovabili fino a un massimo di dieci anni conclusi i quali il professore potrebbe essere allontanato. Fatto singolare e’ che non si specifica accuratamente quali dovrebbero essere i criteri per l’«allontanamento». Negli anni `70 e `80> in Italia, possibilita’ di ricerca comparabili a quelle americane nel campo della fisica nucleare, oggi chiamata fisica delle alte energie, erano offerte dall'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e, a livello europeo, dal Cern di Ginevra. La riforma intende incorporare istituti come fIsfn nel Cnr. Il fisico Federico Capasso, professore alla Harvard University e ricercatore di chiara fama presso i laboratori Bell di Murray Hiil- New Jersey, definisce irresponsabile tale provvedimento. «Se un ente funziona bene –avverte non lo si ingloba mai in un altro, il Cnr in questo caso, che, pur avendo punte di eccellenza, non e’ certo, nel suo complesso, un centro di eccellenza. Infatti, se c'e’ un ente da riformare con intelligenza, cioe’ senza smantellare quello che c'e’ di buono, e’ proprio il Cnr». Con la riforma Moratti la ricerca di base viene sacrificata sull'altare della ricerca applicata, ma la scissione tra ricerca di base e ricerca applicata e’ un anacronismo dato che, come sostiene Capasso, «risultati di grande impatto vengono sempre piu’ spesso ottenuti in settori interdisciplinari, al confine tra campi di ricerca tradizionalmente diversi. Molti di questi settori hanno una forte componente applicata; basti 'ricordare la fisica dei materiali, l'ottica fisica che e’ ormai parte integrante della fotonica, e un'intera nuova superdisciplina, alcune volte definita come nanotecnologia». Mentre la riforma Blair sostiene l'autonomia pubblica (economica e funzionale) senza cedere al «ricatto» dell'industria che renderebbe la ricerca non autonoma, la riforma Moratti pensa alla ricerca sostenuta solo se combinata con l'industria, con l’ineludibile conseguenza che l'industria avrebbe il diritto di gestire la ricerca stessa. Di piu’: non e’ chiaro se e come l'industria partecipi al finanziamento e nel quadro di quali regole. Tanto piu’ inquietante e incomprensibile e’ la decisione dell'attuale governo di chiudere fInfm (Istituto Nazionale di Fisica della Materia) e l'Istituto Papirologico Girolamo Vitelli. Come valutare, inoltre, la riforma rispetto ai problemi dei giovani laureati, ricercatori o aspiranti tali? Il ricercatore in Italia ha la possibilita’ di lavorare avvalendosi di tutti i mezzi di cui abbisogna? L'accesso ai dottorati di ricerca o agli assegni di ricerca viene incoraggiato, facilitato e snellito? La riforma Moratti prevede qualcosa che interessi i laureati? Se, come dice il Censis, in Italia divengono dottori di ricerca solo 50 studenti stranieri, ovvero il 2,3% del totale dei dottori di ricerca; e nel Regno Unito il 30 % del totale dei dottori di ricerca e’ strani :ro (cioe’ 15 volte di piu’), e’ pacifico non solo che il sistema della ricerca italiano e’ carente, ma che anche la possibilita’ e i modi di accesso ai dottorati di ricerca sono piu’ difficoltosi di quelli inglesi. Ultima conquista sulla strada dell'«eccellenza»: il ragioniere generale dello stato Vittorio Grilli, e’ stato nominato commissario del cosiddetto Mit italiano (l'Istituto Italiano di Tecnologia, di Genova). Non si capisce bene perche’ e come il ragioniere generale dello stato (cioe’ il tesoro), titolare del controllo di legittimita’ e’ di merito sulla spesa degli enti pubblici, debba e possa gestire un ente pubblico come l’Iit del quale dovrebbe essere il controllore. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 apr. ’04 SVIMEZ, AL SUD SI LAUREANO SOLO TRE GIOVANI SU DIECI EMERGENZA FORMAZIONE ROMA a Emergenza istruzione nel Mezzogiorno. Solo il 32% degli studenti arriva alla laurea e appena il 16,8% dei giovani tra i 15 e i 24 anni partecipa ai corsi di formazione professionale, contro l’81,3% del Centro Nord. Lo rivela la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) nella sua "Analisi territoriale dei percorsi scolastici e formativi", presentata ieri a Roma. Secondo i dati, su mille giovani che si iscrivono alla scuola media, 73 nel Mezzogiorno e 12 nel Centro Nord abbandonano la scuola senza aver conseguito la licenza. Tra coloro che scelgono di non proseguire gli studi, il 10% dei giovani meridionali opta per corsi di formazione professionale e il 20% per l'apprendistato, mentre al Centro Nord le percentuali raggiungono, rispettivamente, il30 e il 60%. Nella scuola secondaria superiore, invece, i tassi di scolarizzazione degli studenti del Mezzogiorno aumentano fino all'83,3%, senza raggiungere, pero’, i livelli dei colleghi del Centro Nord (88,6%). Dopo la maturita’, il 52,4% dei giovani del Sud sceglie l'universita’, a fronte del 73,4% nel Centro Nord. Il divario persiste anche negli esiti del corso di laurea: dei 354 giovani del Sud (su 1000 in Italia) che si immatricolano, solo 114 arrivano alla discussione della tesi (il 32,2%), mentre al Centro Nord su 566 matricole ben 251 (il 44,3%) giungono alla meta. Alla fine del percorso solo l’ 11,4% degli iscritti al primo anno di scuola media arriva alla laurea o al diploma universitario nel Mezzogiorno, contro il 25% del Centro Nord. Ma anche la formazione professionale non sembra rappresentare una valida alternativa agli studi universitari. Secondo gli ultimi dati Svimez (2000-2001) nel Mezzogiorno gli iscritti ai corsi professionali rappresentano solo il 16,8% dei 15-24enni in cerca di occupazione, contro l’81,3% del Centro Nord. La partecipazione degli adulti occupati o disoccupati alla formazione continua e’ «quasi inesistente» dice l'analisi. Gli occupati che scelgono questi percorsi sono appena l'1,7% nel Mezzogiorno e il 9,5% nel Centro Nord. «Una valutazione globale - dice lo Svimez - consente di stimare che, a livello nazionale, gli allievi iscritti ai corsi di formazione professionale rappresentano il 2,6% dell'utenza potenziale». L'analisi degli sbocchi occupazionali evidenzia il legame tra livello di istruzione e probabilita’ di trovare un impiego. A tre anni dal conseguimento del titolo, dicono i dati Svimez, risulta occupato il 55,5% dei diplomati, contro il 73,5% dei laureati e l’88,5% dei diplomati universitari, anche se con sensibili differenze a livello territoriale. Il confronto internazionale fa apparire il quadro italiano ancora piu’ drammatico. I 25-64enni che possiedono almeno un diploma di scuola superiore sono il 43,1 % in Italia, contro il 63,9% della Francia, l’82,6% del Regno Unito e l’87,7% degli Stati Uniti. Se si considerano i laureati, il confronto e’ ancora piu’ avvilente: i "dottori" italiani rappresentano il 9,8% della popolazione in eta’ lavorativa, contro il 21% dell'Olanda e il 28,3% degli Stati Uniti. ALESSIA TRIPODI Pochi «dottori» Popolazione che ha conseguito l'istruzione universitaria (valori percentuali) Anni 25-64 25-34 35-44 45-54 55-64 Paesi Francia 11,9 17,5 10,3 10,0 8,2 Germania 13,5 13,5 14,9 14,6 10,5 Italia 9,8 11,4 10,8 10,3 6,0 Mezzogiorno 8,9 9,2 9,5 10,1 6,1 Centro-Nord 10,3 12,6 11,5 10.4 5,9 Spagna 16,9 23,9 18,0 12,8 8,3 Regno Unito 18,0 21,0 18,0 18,0 12,0 Stati Uniti 28,3 29,9 27,9 30,0 24,1 Media Ocse 14,7 17,9 15,5 13,7 10,0 Fonte: elaborazioni Svimez su dati Ocse ______________________________________________________ La Repubblica 5 apr. ’04 CRESCE L'ITALIA NEL MONDO DELL'E-LEARNING II nostro paese passera’ nel 2006 dal sesto al quarto posto nella classifica delle nazioni che investono di piu’ in formazione on line LAURA KISS Roma Il mercato europeo della formazione on line avra’ una crescita molto sostenuta da oggi fino al 2006. Da uno studio della Idc sull'e-learning risulta infatti che per tale periodo e’ previsto un tasso di crescita medio annuo pari al 51%, mentre il fatturato passera’ dai 457 milioni di euro del 2001 ai 626milioni nel 2006. Questi valori riguardano la spesa in e-learning sia di aziende che della Pubblica Amministrazione e comprendono anche investimenti in piattaforme, contenuti e servizi di e-learning nell'ambito di progetti piu’ ampi di formazione i’n modalita’ blended, cioe’ on line e off line. Gran Bretagna, Germania e Francia in particolare investiranno in e-learning durante il quinquennio 2001-2006 circa il 60% degli investimenti totali che saranno effettuati in tutta Europa. La notizia positiva e’ che l'Italia passera’ dalla sesta alla quarta posizione nel 2006, nella graduatoria dei paesi che investono maggiormente in formazione on line. In Italia infatti il mercato dell'e-learning passera’ da un valore di 19 milioni di curo del 2000 ad un valore di 297 milioni di euro nel 2006, con un tasso di crescita medio annuo pari al 59%. Questa crescita e’ in gran parte determinata dal recupero dell'Italia nei prossimi anni, del gap di informatizzazione, della diffusione di infrastrutture a banda larga e del livello di scolarizzazione della popolazione su tecnologie Itc. Considerando che le imprese italiane spendono complessivamente in formazione circa 4,6 miliardi di euro, il peso attuale della formazione on line e’ ancora limitato (meno dell' 1 %), destinato pero’ a diventare una quota molto superiore, pari al 6% entro il 2006. Anche per le aziende la convenienza e’ notevole: non solo i dipendenti imparano piu’ velocemente, ma secondo un articolo apparso recentemente su "Fortune", la formazione di un dipendente che normalmente durava dai 6 ai 9 mesi e’ stata ridotta a 2/3 settimane. Anche in Italia lo sviluppo dell'e-learning non si arresta: secondo l'osservatorio della Ance alla fine del 2003 il valore del mercato dell'e-learning e’ passato dai 108,4 milioni di euro del 2002 a 256,3 milioni di euro. Molto ottimisti i dati delle aziende: alla Accenture gli utenti serviti attraverso strumenti tecnologici come il software «i Author» per lo sviluppo dei contenuti di e-learning e attraverso il sito www.mylearning.com. sono oltre 275.000 in tutto il mondo. La societa’ ha uffici in oltre 90 paesi e 2.300 persone che si dedicano al settore della formazione a distanza. «Le human performances a cui l’e-learning si lega sono parte importante del nostro core business», spiega Stefania Celsi, responsabile human resowces di Accenture Italia, «Attraverso l’e-learning si raggiunge una riduzione di costi per le aziende del 15% e un risparmio sui tempi di formazione del 50%». La Isvor, azienda di soluzioni elearning del gruppo Fiat, ha raggiunto a sua volta traguardi importanti: gli utenti serviti dall'e-learning sono passati dai 578 del 1998 a oltre 130.000 dei 2003. Nel campo "educational" l’esperienza italiana piu’ importante viene dal consorzio Nettuno, nato negli anni `70, che comprende Confindustria, Rai, Telecom Italia oltre a 38 universita’ pubbliche e che offre 24 corsi di’ laurea in diverse discipline. Solo nell'ultimo anno accademico in alcune universita’ consorziate, le immatricolazioni ai corsia distanza Nettuno sono quintuplicate e nel 2004 sono stati attivati altri corsi di laurea. «Siamo riusciti a sviluppare un modello didattico di grande impatto» spiega Maria Amata Garito, direttore generale del Nettuno, «Il nostro portale e’ ricchissimo di contenuti, abbiamo 450 moduli didattici, 20.000 ore di video lezioni trasmesse sia via satellite sui canali Rai Nettunosat 1 e 2, sia via Internet, e 20.000 ore di esercitazioni su Internet. Possiamo dire di essere stati l'esempio per creare l'universita’ europea a distanza e l'universita’ del Mediterraneo». Ed infatti dal sito www.nettuno.stm.it si puo’ accedere a corsi di laurea che vanno dall'area psicologica e umanistica a quella economica, da corsi come ingegneria elettronica a quelli per operatori di beni culturali. «Ormai la nostra universita’ tocca quasi ogni campo del sapere, e la tipologia dei nostri studenti non ha piu’ uno standard preciso», e’ la conclusione. Infatti chiunque sia interessato puo’ seguire i corsi non solo attraverso il collegamento televisivo via satellite ma sul sito Internet del consorzio. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 6 apr. ’04 E TUTTA IN SALITA LA VIA FRANCESE ALLA RICERCA L'INNOVAZIONE E LO SVILUPPO Dopo proteste e manifestazioni il Governo ha annunciato una battaglia agli sprechi: stop a finanziamenti a pioggia e via libera alla riorganizzazione degli enti - Ma sono in diminuzione gli studenti che scelgono la carriera scientifica DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI a «Non si puo’ sopravvivere all'infinito in apnea. Ancora un anno come questo ed e’ la morte assicurata». Siamo nel luglio dello scorso anno e questa dichiarazione di Jean Pailhous, presidente del Comite’ national de recherche scientifique appare oggi ancor piu’ di attualita’ che non allora. E in autunno, infatti, che i ricercatori francesi con la raccolta di migliaia di firme su un sito Internet> lanciano il loro grido d'allarme per sensibilizzare l'opinione pubblica e il Governo sulla precarieta’ della situazione. E’ a’ cavallo di fine anno poi che viene creato il comitato «Sauvons la recherche» e ancora a gennaio e a febbraio che i ricercatori scendono in piazza. Ed e’ infine agli inizi di marzo che 3.500 ricercatori si dimettono in massa - dimissioni peraltro non accettate - in segno di protesta. Un Sos, quello lanciato dai ricercatori francesi, che non e’ isolato in Europa e quindi espressione di un malessere collettivo che denuncia lo scarso interesse dei Governi verso un settore, quello della ricerca e dell'innovazione, che dovrebbe essere invece alla base dello sviluppo della nostra societa’ e delle nostre economie. Un'azione collegiale perche’ i migliori "cervelli" non fuggano all'estero e perche’ il gap crescente tra il Vecchio continente e gli Usa si riduca. Basti considerare il fatto che sui 740 miliardi di dollari investiti nella ricerca nel 2001 a livello mondiale, gli Usa sono largamente in testa con il 38% del totale, seguiti dal Giappone con il 14 per cento. Mentre la Francia e’ relegata nelle posizioni di retroguardia, con un modesto 5% e con risorse impegnate nella ricerca che negli ultimi 10 anni sono scese dal 2,42 al 2,2% del Pil. Eppure, a parole, la Francia si e’ impegnata - con gli altri partner europei - a compiere nei prossimi anni uno sforzo spettacolare per portare gli investimenti in R&S dall'attuale 2,2% del Pil (di cui l0 0,95% ad appannaggio dello Stato, percentuale che e’ tra le piu’ elevate a livello mondiale), al 3% nel 2010 con una tappa intermedia del 2,6% nel 2006. Una progressione che si scontra pero’ con un'allocazione di fondi al budget della ricerca ritenuta ancora largamente insufficiente, ma soprattutto con una organizzazione della ricerca pubblica in Francia che manca di progetti sul lungo periodo e che naviga quindi a vista, sprecando oltretutto quelle piccole risorse di cui gode ancora oggi. Oltre al fatto che nell'Esagono, secondo alcuni osservatori, e’ largamente insufficiente la collaborazione e il dialogo tra la ricerca pubblica e quella privata, vale a dire tra quella di base e quella applicata, per cui si assiste a uno spreco continuo di risorse umane e di mezzi. «L'etica alla francese - ha scritto Rene’ Frydman nel suo libro "Dio, la medicina e l'embrione " - e’ un'etica di chiacchiere... discutiamo, discutiamo e concettualizziamo. E di concetto in concetto ci allontaniamo dalla realta’, mentre gli altri nello stesso tempo, piu’ pragmatici hanno messo a punto dei dispositivi che inquadrano la ricerca, magari piu’ coercitivi ma sicuramente piu’ efficaci». Parole dure, ma che danno il senso di come i bei propositi di rafforzare la ricerca restino "lettera morta" e si continuino a perdere delle occasioni per recuperare una parte del tempo perduto. AL di la’ di ogni altra considerazione, l'attuale Governo qualcosa sta facendo. Il budget della ricerca che lo scorso anno era stato ridotto dell'1,3% e’ stato invece aumentato del 3,9% nella finanziaria 2004, (per un totale di 35,9 miliardi di euro di cui 15,9 per la ricerca pubblica e di questi 3,7 miliardi per il settore militare) grazie soprattutto alla creazione di un fondo speciale di "priorita’ per la ricerca" dotato di 150 milioni provenienti da una parte degli introiti delle privatizzazioni. Cifre che vengono contestate dai ricercatori che dicono che in realta’ i fondi di dotazione dei vari centri, come il Cnrs e l’Inserm, sono stati pesantemente ridotti (fino al40%), cosi’ come sono stati tagliati centinaia di posti di lavoro. Due facce della stessa medaglia che dimostrano la confusione esistente perche’ se e’ vero che i fondi sono stati effettivamente ridotti, i vari centri di ricerca devono ancora utilizzare attorno a 200 milioni di crediti relativi al 2003. Mentre sul fronte occupazionale lo Stato ha deciso di offrire posti di missione a tempo determinato, piuttosto che contratti a tempo indeterminato. L'obiettivo del Governo e’ infatti quello della lotta allo spreco, ottimizzando le risorse, gestendo una nuova politica di indirizzo della ricerca basata non tanto sull'allocazione a pioggia di fondi, quanto su progetti specifici a medio- lungo termine di interesse nazionale e collettivo. Riorganizzando nel contempo i diversi centri di ricerca, promuovendo una maggiore mobilita’ e procedendo anche a un ringiovanimento delle forze occupate. Si iscrive in questa logica la recente proposta di creare una Agenzia nazionale, sul modello della National Science Foundation americana, che avra’ il compito di definire le missioni e l'orientamento della ricerca del Paese. Cosi’ come si sta studiando la possibilita’ di "spingere" su poli scientifici di eccellenza e campus a carattere sperimentale. Un processo di trasformazione non certo facile, perche’ richiedera’ un cambio radicale di politica da parte del Governo non solo per quanto riguarda la ricerca fine a se stessa, ma anche per l'istruzione scolastica tenuto conto del fatto che sono sempre meno gli studenti francesi che abbracciano la carriera scientifica (130mila nel 1998 e solo 98mila nel 2003). Mentre sul fronte dei salari e’ necessario intervenire al piu’ presto con adeguamenti: un ricercatore di 30 anni guadagna in media solo 2.140,19 euro lordi al mese. Infine non si potra’ prescindere da maggiore integrazione tra le strutture pubbliche quelle private, che dovranno ne la parte del leone. Attualmente il comparto privato assicura alla ricerca 1,25% del Pil, quota che l'orizzonte 2010 dovrebbe passare al 2% su un obiettivo complessivo del Paese del 3 per cento. Cio’ significa che le aziende dovranno aumentare i loro investimenti in R&S del 5-7% all'anno per i prossimi sette anni. E’ dunque in quest'ottica, per stimolare e favorire il loro impegno che lo Stato francese ha messo a punto alcuni meccanismi di incentivo fiscale, come l'esonero nel 2003 della tassa professionale sulle spese di ricerca o come l'aumento del credito di imposta (nella finanziaria 2004) che di fatto raddoppiera’ da 520 milioni a un miliardo di euro. Mentre le Pmi che dedicheranno il 15% dei loro investimenti in R&S saranno esonerate per cento anni dal versare alcune categorie di contributi. Certo, pensare di crescere in poco meno di sei anni dal 2,2 al I% del Pil non sara’ semplice, specie se la congiuntura economia non sara’ favorevole. Il Governo ha pero’ degli atout da giocare. Oltre alla leva fiscale, si parla sempre piu’ insistentemente di utilizzare i fondi provenienti dalle future privatizzazioni che saranno di qualche decina di miliardi di curo. Mentre il primo ministro Jean-Pierre Raffarin ha lasciato intendere (malgrado le resistenze iella Banca di Francia) che anche l'utilizzo delle riserve d'oro del Paese non e’ piu’ un tabu’. Difficile dire quali saranno gli sviluppi di queste riflessioni, anche perche’ al di la’ delle reiterate promesse del presidente Chirac e del governo, la situazione della ricerca in Francia rimane in uno stato di forte precarieta’. Tanto che non e’ affatto sicuro che i ricercatori rientrino nei laboratori dopo aver occupato le piazze. Denuncia preoccupante di un declino della cultura dell'innovazione non solo della Francia, ma anche di buona parte dell'Europa. MICHELE CALCATERRA ___________________________________________________________ Il Messaggero 31 Mar. ’04 IL NOBEL? UNA COSA DA MASCHI Biografie/ Come gli scienziati “scipparono” due donne di ROMEO BASSOLI C’E’ stato un periodo nella storia dell’Europa, a cavallo della seconda guerra mondiale, nel quale le donne si affacciavano per la prima volta alle scienze “dure”. Alla fisica, alla chimica. Al sapere che dava potere, soldi, fama. Un mondo dominato dai maschi. Una giovane, minuta polacca Maria Sklodowska, aveva tracciato la strada nel primo decennio del 900 ed era poi passata alla storia con il cognome del marito: Curie. Ma mentre la Francia, anche sulla spinta di Maria Curie, aveva aperto le porte delle universita’ e dei laboratori alle donne, gli altri due giganti europei, la Germania e soprattutto la Gran Bretagna, tenevano ancora lontana l’altra meta’ del cielo. Eppure le donne c’erano. Ma era come se fossero invisibili. Anche quando ottenevano risultati, questi erano negati o scippati dai colleghi maschi. In questi giorni sono uscite, in Italia, due biografie di donne “scippate” del premio Nobel da consorterie scientifiche maschili (e dalla sfortuna). Sono due ebree dal carattere difficile, un po’ ombrose e tanto sole. La prima, Lisa Meitner, austriaca, ha capito per prima che era stata realizzata una fissione dell’atomo, cioe’ il processo che avrebbe portato alla bomba atomica e alle centrali nucleari. Di lei esce una biografia per ragazzi per i tipi dell’Editoriale Scienza e grazie al lavoro di Simona Cerrato ( La forza dell’atomo , 96 pagine, 13,90 euro). La seconda, Rosalind Franklin, inglese, ha trovato la prova decisiva che il Dna e’ una doppia elica. La sua biografia e’ scritta da Brenda Maddox per la Mondadori ( Rosalind Franklin. La donna che scopri’ la struttura del Dna , 346 pagine, 20 euro). Nessuna delle due ha preso il Nobel. Rosalind avrebbe dovuto condividerlo con Watson, Crick e Wilkins: mori’, giovane, di cancro prima che lo assegnassero. Ma nei libri che hanno consacrato la scoperta della doppia elica, e’ stata sempre messa in secondo piano, come una seccatrice tenebrosa che aveva trovato quasi per caso la prova decisiva. Una prova che, dice la sua biografa, Watson e Crick utilizzarono a sua insaputa. Ma Rosalind non faceva mai nulla per caso. Era una delle massime esperte al mondo di una tecnica di indagine chiamata cristallografia ai raggi X. Era stata la migliore in tutte le scuole e le universita’ (come Oxford) in cui aveva studiato. Aveva ottenuto ottimi risultati nei laboratori di ricerca di Parigi. Era tornata in Gran Bretagna per rispondere alle sollecitazioni della famiglia, ma nell’ambiente maschilista (e culturalmente depresso) del dopoguerra inglese si trovava a disagio. Cosi’, a volte era aggressiva, scostante. La sua educazione rigida le impedi’ di avere un rapporto d’amore corrisposto con un uomo. Non era omosessuale: solo, non sapeva come fare con la mente maschile. Piu’ teatrale e’ la storia di Lisa Meitner. Viennese, trasferita a Berlino, diventa il primo professore donna di Germania. Le leggi antiebraiche del Reich la costringono a fuggire. Va a Stoccolma. E li’, il 19 dicembre 1938 riceve una lettera del suo collega Otto Hanh. Lui e’ rimasto in Germania (e ci rimarra’ fino alla fine della guerra, lavorando al programma atomico tedesco). Le scrive per rivelarle che “c’e’ qualcosa di veramente molto strano” nei suoi esperimenti. Un risultato “incredibile”. E conclude: “cerca di capirci qualcosa tu”. E lei capisce. Fa i conti durante una passeggiata sulla neve. E i conti dicono che l’incredibile e’ avvenuto: il nucleo dell’atomo si e’ rotto e si e’ liberata energia. Lisa lo scrive subito a Otto. Lisa sa che cosa significa: la bomba atomica e’ possibile ed e’ terribile. Lei non se ne vorra’ occupare. La faranno i maschi, a Los Alamos, negli Stati Uniti. Dopo la guerra, a Otto Hanh verra’ dato il Nobel. E lui non la ringraziera’ nemmeno nel discorso davanti al Re di Svezia. Qualche giornale scrivera’: “Lisa Meitner, l’assistente del premio Nobel Otto Hanh”. ______________________________________________________ La Stampa 8 apr. ’04 AL POLITECNICO TORNA LO SBARRAMENTO-ESAMI. Per i futuri ingegneri tornano gli esami-sbarramento. Chi non li supera, non puo’ proseguire negli studi finche’ non ottiene la promozione. Per i ragazzi significa l'addio alla possibilita’ di lasciare per ultimo, prima della laurea, l'eventuale «bestia nera». Succede alla IV facolta’ del Politecnico, ingegneria gestionale: la nuova regola vale per le materie ritenute fondamentali ed entrera’ in vigore per le matricole in arrivo a settembre. Questo orientamento, che potrebbe valere per tutti gli esami, e’ osteggiato dagli studenti: la lista «Lavori in Corso» sta invitando gli iscritti al «Poli» a inviare e-mail di protesta all'indirizzo «organi.collegiali@polito.it» ================================================================== ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 apr. ’04 MEDICINA: NIENTE LAUREE BREVI, MANCANO I SOLDI Il preside della facolta’ Gavino Faa: "La formazione e’ sottovalutata" ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. La facolta’ di Medicina non varera’ nemmeno quest’anno le cosi’ dette lauree brevi o lauree per le professioni sanitarie. Lo ha precisato il preside della facolta’, Gavino Faa, informando della decisione presa in tal senso dal senato accademico, "su mia richiesta". Professor Faa, perche’ questa decisione? "Perche’, e nonostante l’impegno di tutti, non sono stati ancora firmati i protocolli d’intesa tra le universita’ sarde e l’assessorato regionale alla Sanita’". In che senso e’ necessario un protocollo, non si tratta di un’attivita’ - le lauree brevi - che spetta all’universita’? "Sono necessarie alcune precisazioni. Innanzi tutto il fatto che c’e’ un preciso decreto ministeriale che stabilisce che questi ‘protocolli’ siano indispensabili per individuare le strutture accreditate, della rete formativa regionale, per la preparazione del personale sanitario". Questi compiti di formazione del personale sanitario sono, pero’, passati alle Universita’... "Si’, ma sino a pochi anni fa questa formazione era finanziata dall’Unione europea e dal ministero, con fondi gestiti dall’assessorato regionale al Lavoro e alla Sanita’. Oggi e’ passato tutto all’Universita’ senza, pero’, fornire i finanziamenti necessari". Il protocollo a cui ha accennato dovrebbe regolare, quindi, anche i finanziamenti... "Non solo: regola molte altre questioni, tra queste anche le ‘lauree per le professioni sanitarie’. Trattandosi di lauree che hanno un diretto rapporto col territorio, il protocollo dovrebbe indicare i finanziamenti e raccogliere le indicazioni della conferenza Stato-Regione in termini di esigenze nazionali e di ogni singola Regione in rapporto a queste professioni". Facciamo un esempio, secondo la conferenza Stato-Regione le esigenze sanitarie territoriali del 2003-2004 indicavano per l’isola un fabbisogno di 160 infermieri. Che significa? Che a Cagliari ne occorrono x, a Sassari y, a Oristano z e a Nuoro w. Il che significa che dobbiamo organizzare le lezioni e la formazione di queste persone. Se la vogliamo fare a Oristano rispondendo alle esigenze dei quell’area, dobbiamo avere i fondi per permettere ai docenti di spostarsi e per attivare dei locali specifici. Oppure prendiamo le esigenze dei fisioterapisti: questa categoria ha necessita’ di una preparazione specifica che richiede, ovviamente, anche l’apporto di fisioterapisti con cui l’univerista’ dovrebbe fare dei contratti appositi. Ma senza risorse economiche non possiamo fare niente". Lei ha accennato ai corsi di formazione finanziati dall’assessorato al Lavoro, ma in questo caso si tratta di esigenze sanitarie... "A maggior ragione: se in un paese della Sardegna c’e’ necessita’ di alcuni fornai per il pane o di altre professioni, si fa subito un corso coi fondi regionali. Ed e’ giusto che sia cosi’. Se, invece, occorrono dei fisioterapisti, la Regione chiude i conti. Eppure per tutte le lauree brevi delle facolta’ di Medicina di Cagliari e Sassari basterebbero due milioni e mezzo di euro". Insomma: la Regione se ne lava le mani. "Direi che la facolta’ di Medicina e’ una ricchezza per la citta’ e la Sardegna. Mentre nelle decisioni che si prendono pare che non sia cosi’. La riqualificazione culturale dovrebbe essere messa al primo posto, invece sembra un accessorio secondario". La facolta’ di Medicina di Cagliari e’ agli ultimi posti nel panorama nazionale... "Ma stiamo recuperando: secondo la stessa ricerca del Censis (che ci pone al quart’ultimo posto in generale) siamo al sesto per la ricerca scientifica. E questo e’ un settore determinante". ______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 apr. ’04 PER I MEDICI SLITTA LA RIFORMA DELL'ACCESSO ROMA a Un decreto legge per i laureati in medicina, candidati alla sessione di luglio dell'esame di Stato, per prorogare il debutto della riforma dell'esame di Stato che, tra l'altro, comprende un tirocinio post laurea. E’ stata Maria Grazia Siliquini, sottosegretario all'Istruzione, ad annunciare «una soluzione normativa, di natura eccezionale e transitoria, per i tremila neolaureati in medicina che, per poter sostenere il nuovo esame di Stato per l'accesso alla professione, avrebbero dovuto sostenere un tirocinio supplementare di tre mesi, pur avendo concluso quello di tre mesi previsto nella vecchia normativa». Il provvedimento per i laureati in medicina sara’ contenuto nel decreto legge sulle graduatorie per i precari, in programma al Consiglio dei ministri di domani. «Auspico - ha detto Siliquini - che vengano adottate le opportuni misure al prossimo Consiglio dei ministri, risolvendo questa emergenza con l'istituzione di una sessione straordinaria dell'esame di Stato che si svolgera’ secondo le vecchie regole». Dalla sessione di luglio avrebbero dovuto debuttare le regole, approvate nel 2001 (Dm 445) per l'esame di Stato dei medici. La riforma prevede un tirocinio di tre mesi dopo la laurea e uno scritto. La prova pratica diventa dunque a carattere continuativo: un mese in un reparto ospedaliero di medicina, uno in un "servizio" di chirurgia e l'ultimo presso l'ambulatorio di un medico di famiglia. Solo dopo aver superato il tirocinio, il candidato potra’ misurarsi con lo scritto, suddiviso in due parti. Novanta quesiti a risposta multipla dovranno valutare la padronanza dei meccanismi fisiopatologici e la capacita’ di risolvere temi circa la clinica, la prevenzione e la terapia Maria Grazia Siliquini ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 apr. ’04 PROTOCOLLO AL PALO: DELUSIONE MEDICI OSPEDALIERI CAGLIARI. Niente protocollo oggi all’attenzione della giunta regionale. L’assessore alla sanita’ Capelli non ha portato la bozza per l’azienda mista Regione-Universita’, traccia per far nascere l’ospedale universitario. Ma se l’universita’ piange, gli ospedalieri non ridono: il protocollo avrebbe finalmente stabilito un rapporto ufficiale e normato tra il mondo universitario e quello ospedaliero che va avanti da sempre nella piena insoddisfazione degli ospedalieri. I sindacati di questi ultimi non volevano l’ultima versione del documento, ma non vogliono neppure restare senza traccia per arrivare all’azienda mista. "Mantenere lo status quo - spiega Luigi Maxia responsabile provinciale Cimo - significa prolungare uno stato di cose inacettabile. Siamo molto delusi, anche perche’ la soluzione poche settimane fa sembrava davvero a portata di mano: quando l’assessore ci presento’ la bozza di protocollo studiata dalla commissione nominata proprio dal suo assessorato e che aveva un’impostazione assolutamente corretta. Poi le richieste degli universitari hanno prevalso e il documento e’ stato stravolto. Invece c’e’ bisogno di un protocollo equo". Cresce di giorno in giorno il rischio che la legislatura si chiude senza documenti per l’azienda mista. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 apr. ’04 PROTOCOLLO: LA VITTORIA DEGLI UNIVERSITARI Il rettore e il senato accademico accolgono la richiesta: si potra’ tornare al vecchio ordinamento quadriennale LE LAUREE BREVI C’e’ la delibera ma restano ancora alcune perplessita’ SASSARI. Gli studenti hanno vinto la prima battaglia, ma le perplessita’ rimangono. Dopo due ore di discussione il Senato Accademico ha deliberato: chi dopo la Riforma aveva deciso di transitare dal vecchio al nuovo ordinamento, alla cosiddetta laurea triennale, potra’ esercitare il diritto di recesso e tornare a frequentare i corsi quadriennali. Non solo: anche i neolaueati, quelli che dopo aver conseguito il titolo si ritrovano in pratica senza una vera laurea, potranno reiscriversi alla quadriennale. E’ una data a suo modo storica, quella di lunedi’ 5 aprile: il Senato accademico, presieduto dal rettore Alessandro Maida, ha allargato la parte della seduta dedicata alla questione ad una delegazione di studenti, ascoltandone le ragioni e valutandole successivamente, all’uscita degli universitari dall’aula. "E’ stato molto importante, per l’accoglimento delle richieste - ha detto Raimondo Derudas, rappresentante degli studenti in Senato - , proprio l’intervento del rettore, che ha preso a cuore la vicenda e capito quali sono le difficolta’ di chi si trova attualmente con un titolo dal valore incerto". Una delibera segna dunque una vera e propria svolta rispetto a quanto gli scontenti si sentivano ripetere. Questa, in sintesi, la novita’: fino al 30 maggio gli studenti che avevano lasciato il vecchio ordinamento per passare al nuovo, in uno dei 20 corsi attivi, potranno fare domanda per riabbracciare il vecchio corso di studi, e la stessa possibilita’ avranno i laureati, che potranno riacquisire il vecchio numero di matricola e ripartire dal punto in cui avevano lasciato. La questione era esplosa in tutta la sua urgenza all’indomani dell’uscita del bando riguardante trenta stage presso aziende con annessa borsa di studio: alcuni neolaureati col nuovo sistema, in specie in Scienze Politiche, si erano vista respinta la domanda, e dopo la loro protesta il rettore Maida aveva fatto in modo che altre 15 borse venissero destinate ai provenienti dalla triennale. Il problema sarebbe dunque proprio questo, e sottintende nuove nuoveazioni di protesta: il nuovo titolo vale come laurea, al pari del vecchio? "Chiediamo a gran voce - sottolineano studenti e laureati - che la Regione Sardegna recepisca la circolare Bassanini che garantisce l’accesso ai concorsi pubblici e alle borse di studio post laurea; che il Senato, seguendo la strada di molte altre universita’, riconosca il titolo di dottore a tutti i laureati di primo livello, consegnando al piu’ presto i diplomi di laurea. Ancora, che il rettore, insieme alla Regione, si attivi per organizzare, a livello locale, conferenze, tavole rotonde e seminari che formino e informino il mondo del lavoro sul valore degli studi; che lo stesso rettore, infine, si attivi presso la Conferenza dei rettori, e il ministero dell’Universita’, affinche’ sia fatta presto chiarezza sull’attuale situazione normativa". L’incertezza permane, e il prossimo gradino di una scala di cui non si vede la fine e’ il biennio di specializzazione (la seconda parte del cosiddetto tre-piu’-due), che sara’ attivato solo solo da ottobre. Forse. Renzo Sanna ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Mar. ’04 AZIENDA MISTA. OSPEDALIERI IN RIVOLTA Troppi favori agli universitari: niente protocollo CAGLIARI. Snaturato: il protocollo d’intesa abbozzato dalla commissione nominata nell’assessorato alla sanita’, una virgola qua, un aggettivo la’ e una parolina omessa al punto giusto sembra diventato lo specchio fedele della maggior parte delle aspettative del mondo universitario. Si parla dell’azienda mista Regione- Universita’ che deve nascere per volonta’ di legge con lo scopo di mettere assieme assistenza, ricerca e didattica e ottenere vari risultati in un colpo solo: sfornare future leve di medici e paramedici pronti subito a curare esseri umani, travasare in modo costante nell’assistenza al paziente i risultati della ricerca avanzata. Per regolare questo nuovo insieme di rapporti l’assessore regionale alla sanita’ mesi fa aveva radunato alcuni esperti di un sistema e dell’altro chiedendo loro di stendere una bozza di protocollo per un’intesa: quella che potra’ far funzionare l’ospedalone universitario. La commissione aveva lavorato non troppo al riparo dalla polemica prodotta da ospedalieri e universitari, per ragioni diverse preoccupati dalla inedita forma di convivenza che sarebbe scaturita dalla bozza. Poco piu’ di un mese fa era successo il miracolo atteso: un organo di informazione di solito autorevole come il Sole 24 Ore Sanita’ esprimeva parole di apprezzamento per l’originalita’ dell’equilibrio trovato tra componente ospedaliera e apparato universitario. Gli ospedalieri l’avevano trovato "buono nell’impostazione" e avevano consegnato all’assessore alcune annotazioni su possibili ritocchi. Gli universitari avevano taciuto: logica avrebbe voluto che a loro la bozza piacesse, visto che in commissione c’erano i presidi delle due facolta’ di Medicina della Sardegna, ma qualcosa del malumore di certa parte universitaria (causa la troppa parita’) era trapelato e, alla fine, s’e’ visto che la "certa parte" e’ riuscita a incidere sul documento. Al punto che gli ospedalieri si sono ribellati ancora una volta e hanno annunciato opposizione a oltranza in tutte le sedi contro due aspetti del problema: il comportamento dell’assessore da cui si sentono presi in giro, il rischio di ritrovarsi a far da truppa per i generali universitari. Se l’assessorato non correggera’ il tiro c’e’ la seria possibilita’ che la legislatura finisca senza azienda mista: il documento deve andare in consiglio regionale dove le varie anime della sanita’ ospedaliera e universitaria sono rappresentate e in aula si daranno battaglia. Se non si parte tutti d’accordo, non possono bastare i due mesi scarsi che ci separano dalle elezioni. Ma che cosa e’ successo per tornare al punto di partenza, vale a dire il dissidio insuperabile tra le due entita’ chiamate a convivere? Le indiscrezioni seminate sul fronte ospedaliero sono queste: l’assessore alla sanita’ Capelli si sarebbe incontrato con il rettore Mistretta e i presidi Faa e Maida e in quella sede avrebbe accettato le modifiche sollecitate dagli universitari (mentre di quelle chieste dagli ospedalieri secondo questi ultimi non avrebbe accolto una virgola). I punti di fuoco tornano a essere l’orario di lavoro, l’eta’ pensionabile, la possibilita’ di diventare primario, il sistema di finanziamento. Non e’ piu’ sicuro che anche gli universitari dovranno adattarsi a garantire assistenza ai pazienti con un monte ore piu’ vicino agli ospedalieri, gli universitari possono stare in sella piu’ a lungo degli ospedalieri, primari possono diventare anche i semplici ricercatori universitari, il sistema di finanziamento previsto per l’universita’ esclude, di fatto, che questa dovra’ preoccuparsi di come ripianare i suoi debiti. Pare che l’assessore voglia uscire dall’impiccio riconvocando universitari e ospedalieri a un tavolo comune, ma potrebbe essere una mossa inutile se, come sembra, non si potra’ stralciare il documento di fondazione dell’azienda mista dalla razionalizzazione dell’intera rete ospedaliera, unica carta che decide dei posti letto, altro problema chiave dell’azienda mista. Alessandra Sallemi ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 apr. ’04 BROTZU: SI FIRMI UN PROTOCOLLO O MEDICINA CHIUDE SEMBRA da tutto quello che e’ stato stampato che noi "docenti" siamo mangia pane a tradimento. Se non si firma un protocollo d'intesa, le lauree brevi non si fanno. Ma dove sono i punti di contrasto: l'orario di lavoro, la didattica e la ricerca e poi il nepotismo. Per fortuna non posso esser chiamato per nessuno di questi punti, ma solamente per il mio pessimo carattere e per l'abitudine di dire quello che penso. Per fortuna essendo vicino alla fine della mia carriera non posso esser accusato di volermi creare una cattedra, sono qui da 31 anni. Si dice che uno dei punti di contrasto sia dovuto al fatto che il nostro magnifico rettore difenda posizioni di personale non docente che non sono accettabili dalla controparte. Ma questo non ha nulla a che fare con noi docenti. Per anni io, ma anche molti miei colleghi, abbiamo svolto o continuano a svolgere la propria attivita’ in aziende ospedaliere, ed abbiamo sempre adempiuto ai nostri compiti di assistenza e nello stesso tempo svolto la didattica e la ricerca, conciliando molto bene i nostri compiti. La maggioranza di noi passa ben oltre delle 38 ore settimanali, previste in contratto al lavoro. Certo vi sono gli scansafatiche, ma in quale struttura pubblica o privata non sono presenti?! Voler fare di tutta l'erba un fascio non mi sembra giusto, dato che sono la minoranza. Tra gli ospealieri vi sono solamente superman?! Il Protocollo d'intesa tra Universita’ e Regione e’ previsto per legge, e senza la sua stipula si potrebbe arrivare alla chiusura della facolta’ di medicina oltre che delle lauree e delle scuole di specializzazione. Si vuole questo?!! Giovanni Brotzu ___________________________________________________________ Corriere della Sera 2 apr. ’04 ADDIO LEGGE BINDI, MENO VINCOLI AI MEDICI Piano del governo reintroduce il diritto alla libera professione. L’opposizione: una trovata elettorale ROMA - Presto, molto presto. Prima delle elezioni europee. Nell’incontro ristretto di martedi’ sera con esponenti di Forza Italia, a casa sua, Silvio Berlusconi e’ stato molto chiaro: "Non c’e’ piu’ tempo da perdere, la riforma dei medici deve essere fatta rapidamente". Dopo quasi tre anni di annunci disattesi, attorno ai quali si e’ incentrata la campagna elettorale della Casa delle Liberta’, dottori e professori ospedalieri potrebbero assistere all’ennesimo cambiamento. Il rapporto di lavoro col servizio pubblico diventa unico, senza piu’ distinzione tra dipendenti in regime di intramoenia (libera professione svolta in reparto) ed extramoenia (nello studio privato). Questa uniformita’ di trattamento riguarda anche lo stipendio perche’, secondo l’ipotesi abbozzata, tutti i medici, indipendentemente dalla scelta, riceveranno in busta paga l’indennita’ che oggi spetta solo ai dipendenti con rapporto di esclusiva che sono l’85-90%. Insomma, verrebbe superata definitivamente la riforma varata dall’ex ministro del precedente governo di centrosinistra, Rosy Bindi. Finito l’orario di lavoro, 38 ore settimanali, il chirurgo, il radiologo o il cardiologo lasciano l’ospedale per dedicarsi ai pazienti della clinica senza essere penalizzati nella retribuzione e nella carriera. Oggi invece chi decide di fare attivita’ privata esterna deve rinunciare al primariato e alla direzione di strutture complesse. RADICALE - Revisione molto radicale del sistema bindiano. E c’e’ chi, dopo tante parole e migliaia di tentativi di controriforma, non si fa abbagliare. "E’ un’altra trovata elettorale, un pesce d’aprile", commentano una parte del mondo medico ed esponenti dell’opposizione. Scettiche le Regioni, temono che per loro la svolta si traduca in altri soldi da sborsare visto che l’indennita’ dovra’ essere assicurata a circa il 10-15% in piu’ dei dirigenti in camice: "Dovremo rifare i conti, e poi non si sono resi conto delle ricadute che questa iniziativa avra’ sugli altri comparti della sanita’. Viene spacciato come atto liberale, e’ un’iniziativa stalinista, smaccatamente di propaganda", incalza Giovanni Bissoni, assessore alla Sanita’ dell’Emilia Romagna. Il presidente dei governatori Enzo Ghigo ha scritto al governo: "Non vogliamo altri oneri". DECRETO LEGGE - Le direttive impartite da Berlusconi due giorni fa al ministro della Salute Girolamo Sirchia - che tace - e ai presidenti delle commissioni parlamentari (Giuseppe Palumbo, Camera, e Antonio Tomassini, Senato) verranno inserite nel decreto legge sulle emergenze sanitarie gia’ saltato a Montecitorio due settimane fa e riproposto in forma ridotto al Senato. L’intenzione e’ di inserire un emendamento sul rapporto di lavoro che "e’ unico e a tempo pieno". Si parla di "indennita’ medica" inclusa nel contratto collettivo come voce fissa. La bozza chiarisce che "la libera professione e’ un diritto del medico ed e’ esercitata fuori dall’impegno di servizio". Potrebbe essere previsto inoltre l’innalzamento dell’eta’ pensionabile fino a 70-72 anni, dai 67 attuali. Le anticipazioni sulla mossa del governo arrivano a quasi due mesi dallo sciopero del 9 febbraio che aveva visto la partecipazione compatta degli ospedalieri. Il 22 aprile e’ prevista la replica, con l’aggiunta di una grande manifestazione. Le rimostranze della categoria riguardavano pero’ il rinnovo del contratto, scaduto da due anni e la mancanza di risorse e attenzione per la sanita’. SORPRESA - L’idea di Berlusconi e’ stata una sorpresa per la maggioranza. Almeno cosi’ sembra di capire dalle dichiarazioni di Dorina Bianchi, deputata Udc: "Ora aspettiamo che si passi ai fatti, il contratto resta pero’ la priorita’". "E’ il modo piu’ opportuno per dare alla categoria i segnali che volevano, il governo e’ determinato", garantisce il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi. Il decreto sulle emergenze andra’ alla commissione Sanita’ del Senato dopo Pasqua. Tomassini si dice certo che "i tempi sono maturi, e’ la volta buona". Le bordate dell’opposizione provengono innanzitutto dall’ex ministro Rosy Bindi, deputata della Margherita, che interpreta la mossa come "ultimo atto di una strategia del sistema pubblico, si ignorano i veri bisogni dei cittadini, si torna al metodo De Lorenzo". I sindacati medici, riuniti in un cartello di 42 sigle: "Vogliamo fatti, non parole, confermiamo lo sciopero". Margherita De Bac ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 apr. ’04 AGOPUNTURA, L' ULTIMA FRONTIERA DELL' ANESTESIA A Pavia la tecnica usata anche per gli interventi al cuore. Il professor Pan: evita l' effetto collaterale dei farmaci IN ITALIA Bazzi Adriana PAVIA - Poteva diventare prete, musicista o medico: ha scelto la medicina. Cosi’, aiutato dai missionari cattolici, Pan Peter Hsien I e’ arrivato in Italia nel ' 70 con una laurea dell' Universita’ di Hong Kong, deciso a conquistare il corrispondente titolo italiano di dottore e a specializzarsi in chirurgia generale, con un occhio ai trapianti d' organo. «Allora non c' erano molte possibilita’ - racconta il professor Pan -. Studiavo all' universita’ di Taipei, ma non era facile muoversi da Taiwan. Soltanto grazie a una borsa di studio dei missionari ho potuto laurearmi a Hong Kong e trasferirmi, poi, in Italia. Molti sceglievano di emigrare in America. Io ho preferito l' Italia che, in campo medico e chirurgico, non era inferiore a nessuno. Avevo studiato latino e greco, cosi’ la lingua non rappresentava un problema. Fui il primo studente cinese all' universita’ e il primo laureato in medicina». Da allora il professor Pan, specializzato anche in microchirurgia e chirurgia cardiovascolare, ha cercato di far convivere la medicina tradizionale cinese e quella occidentale cosi’ come Oriente e Occidente sono presenti nel suo nome: Pan e’ quello della famiglia, Peter e’ quello con cui e’ stato battezzato, Hsien I e’ quello scelto dal padre. Al professor Pan e’ appena stata affidata la direzione scientifica di un master in agopuntura medica e fitoterapia cinese all' Universita’ di Pavia, il primo in Italia. «Il master e’ diretto dal professor Mario Vigano’, direttore della cardiochirurgia - precisa Pan - con cui collaboro dal 1980. Insieme abbiamo portato a termine interventi di cardiochirurgia, come by pass, sostituzioni valvolari e riparazioni dei difetti del setto, grazie all' anestesia praticata con l' agopuntura». Qualche tempo fa Pan, che insegna anche all' Universita’ di Hong Kong e di Pechino, ha presentato, a un congresso mondiale di agopuntura, svoltosi nella capitale cinese, una ricerca su cento pazienti operati al cuore in anestesia con agopuntura dimostrando che la tecnica permette un risparmio di farmaci e una riduzione del tempo di permanenza in terapia intensiva. Pan sta anche lavorando a un trattato di agopuntura medica in nove volumi, di cui e’ gia’ disponibile il primo: non stupisce la mole dell' opera, dal momento che con gli aghi si possono curare un' infinita’ di malattie, con qualche eccezione appena. «Fra i principali campi di applicazione - spiega Pan - ci sono le malattie croniche, a partire dall' artrosi, fino all' asma e all' ipertensione, solo per citarne alcune». Uno dei vantaggi dell' agopuntura e’ il risparmio di farmaci che, a volte, possono comportare effetti collaterali e in certi pazienti possono addirittura provocare allergie che costringono a sospendere la cura. «L' agopuntura - continua Pan - e’ particolarmente indicata nelle donne in gravidanza, per affrontare disturbi come la cefalea, la nausea o il vomito, senza ricorrere a farmaci che potrebbero essere dannosi per il feto. Poi ci sono i bambini, anche piccolissimi, di appena otto mesi: riusciamo a curare con successo intolleranze alimentari, forme di malassorbimento e allergie». L' idea di fondo e’ quella di integrare il piu’ possibile la medicina occidentale con quella cinese, per aumentare l' efficacia della terapia. «Ammettiamo - semplifica Pan - che in una certa malattia le cure classiche abbiano un effetto dell' 80% e quelle cosiddette alternative pure. La somma aritmetica sarebbe 160. E’ vero che le cose in medicina non vanno esattamente cosi’, ma e’ per dare l' idea che la sinergia fra le due medicine puo’ essere molto vantaggiosa». Le possibilita’ offerte dalle medicine complementari sono molteplici: l' importante e’ che vengano praticate da mani esperte. Ecco perche’ la possibilita’ di studiare l' agopuntura in un' universita’, come accade ora a Pavia, e’ un primo passo importante per la preparazione dei medici agopuntori, in attesa che questa disciplina trovi in futuro la sua scuola di specializzazione post-laurea. Ed ecco perche’ la Regione Lombardia ha appena istituito un Comitato tecnico- scientifico per le medicine complementari, con l' obiettivo di valutarne l' efficacia attraverso la ricerca clinica. Un altro impegno per Pan, che e’ stato chiamato a farne parte. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it La scheda CHI E' Pan Peter Hsien I si e’ laureato in medicina all' Universita’ di Hong Kong: e’ stato il primo cinese a laurearsi in medicina in Italia IN ITALIA Nel 1970 e’ arrivato in Italia, ha conquistato la laurea e si e’ specializzato anche in microchirurgia e chirurgia cardiovascolare. A Pavia gli e’ stata affidata la direzione scientifica di un master in agopuntura medica e fitoterapia cinese 15 PERCENTUALE degli italiani che si sono rivolti a un medico agopuntore: nell' 80% dei casi si tratta di donne La meta’ voleva risolvere disturbi fisici, mentre un altro 20% era sofferente di depressione e ansia 200 APPLICAZIONI dell' agopuntura la cui efficacia e’ stata riconosciuta dall' Organizzazione mondiale della sanita’, tra cui l' artrosi, il mal di testa, l' asma, le dermatiti e i disturbi dell' apparato genitale femminile LE REGOLE 1 Prima del trattamento esaminati polsi e lingua L' agopuntore esperto (che per legge deve avere svolto almeno tre anni in un istituto di medicina cinese) deve porre grande cura nel raccogliere i sintomi del paziente, osservare la lingua e tastare i polsi contemporaneamente 2 Il paziente non deve provare alcun dolore L' ambiente in cui viene effettuata l' agopuntura dev' essere confortevole e ben riscaldato. Il malato, che deve assumere una posizione comoda, non deve avvertire dolore quando l' ago penetra la cute, ne’ quando viene estratto 3 Gli aghi vanno da 1 a 20 Nel corpo per 30 minuti Dopo l' infissione dell' ago, il malato deve avvertire una delle seguenti sensazioni: indolenzimento (non dolore), formicolio, calore, pesantezza, gonfiore. Gli aghi, da 1 a 20, sono infissi di norma per 20 o 30 minuti 4 Un ciclo di cure varia dalle 8 alle 16 sedute Si puo’ verificare, per alcune patologie, un lieve sanguinamento al momento dell' estrazione dell' ago. La frequenza delle applicazioni e’ in genere di 2-3 volte a settimana. Un ciclo di trattamenti puo’ essere di 8-12-16 sedute ______________________________________________________ La Repubblica 1 apr. ’04 NUOVI ANTINFIAMMATORI: PRESCRIVERE CON CAUTELA Ai Coxib, una nuova classe di antinfiammatori a cui appartengono farmaci come il Celebrex e il Vioxx, si e’ fatto molto ricorso negli ultimi anni, perche’ presentati come privi di alcuni effetti collaterali attribuiti ai Fans, i tradizionali antinfiammatori come il Voltaren, il Brufen e il Synplex: effetti collaterali sotto forma, prevalentemente, di disturbi gastrointestinali. II loro utilizzo su larga scala sta pero’ evidenziando che i Coxib possono dar luogo a diversi effetti collaterali: non solo gli stessi disturbi gastrointestinali che si volevano scongiurati, ma anche problemi cardiovascolari, renali e ora anche visivi: sono stati infatti segnalati dall'Oms (Organizzazione mondiale della sanita’) problemi di visione anormale e offuscamento in piu’ di’ duecento casi, sia con farmaci a base di’ celecoxib (Artilog, Celebrex e Solexa i nomi commerciali) sia con quelli a base di rofecoxib (Arofexx, Vioxx e altri). In Italia, per citare alcuni dati, la spesa pubblica per questi farmaci e’ stata di molto superiore a quella de’stinata complessivamente ai Fans tradizionali, anche perche’ si tratta di farmaci piuttosto cari. E le prescrizioni, in base ai dati dell'Osservatorio nazionale sull'impiego di farmaci riferito al periodo gennaio-settembre 2003, continuano ad aumentare, nella stessa misura in cui diminuiscono quelle di Fans. Ma, come abbiamo visto, non ci sono ragioni valide per ritenere che i Coxib siano piu’ sicuri dei Fans tradizionali. Per questo preoccupa l'aumento di prescrizioni, che dovrebbero invece essere accompagnate da maggiori cautele. (Fonte: Scrip, novembre 2003) ______________________________________________________ Libero 5 apr. ’04 NIENTE PIU’ INFARTI COL SOFTWARE CHE SENTE I RISCHI 10 ANNI PRIMA RIVOLUZIONARIA SCOPERTA NEL CAMPO DELLA PREVENZIONE CARDIOLOGICA Dai vizi all'eta’ tutto registrato Anche i consigli per migliorare di GIANLUCA GROSSI LONDRA - Un software per prevedere gli infarti con dieci anni di anticipo. E’ stato approntato dalla Societa’ Europea di Cardiologia (Esc). La notizia e’ stata diffusa dal professor Jean Pier re Bassand, presidente dell'Esc: «HeartSCore (questo e’ il nome ufficiale con 1, 1ee’ stato battezzato il software) -ha commentato Bassand - e’ uno strumento eccellente per aiutare i medici a prevedere e discutere meglio i fattori di rischio con i loro pazienti. Con questo sistema la maggior parte delle malattie cardiovascolari sarebbero prevenibili o quantomeno ritardabili con miglioramenti dello stile di vita». Il metodo di distribuzione del programma e’ gratuito e per ottenerlo basta semplicemente collegarsi al sito della Societa’ Europea di Cardiologia. Il programma e’ flessibile e interattivo, ed e’ molto piu’ efficiente delle comuni tabelle di rischio: esso si avvale in particolare della consultazione di dati ricavati da 210 mila degenti e riflette i rischi piu’ bassi riscontrati in paesi come la Spagna, l'Italia e la Francia. E’ stato concepito per renderlo disponibile in ogni Paese e cultura, tant'e’ che della sua elaborazione originale in inglese, esistono gia’ 24 copie corrispondenti al numero delle lingue parlate in Europa. IL suo fine e’ quello di consentire veloci e semplici stime del rischio cardiovascolare di ogni potenziale ammalato: partendo da considerazioni standard come la pressione cardiaca, i livelli di colesterolo nel sangue, le abitudini di vita, e l'eta’ del paziente, per arrivare a fattori mutevoli come l'altalenante dipendenza dalla nicotina. L'elaborazione dei dati porterebbe infine allo sviluppo di grafici facilmente interpretabili, dai quali ogni paziente puo’ facilmente farsi un'idea precisa del suo stato di salute, e di cio’ che potrebbe accadergli in futuro. In essi verrebbero inoltre evidenziati i benefici derivanti da eventuali interventi, e le indicazioni da seguire per cambiare determinate abitudini comportamentali e alimentari nocive. "HeartSCore" e’ il risultato del lavoro dei ricercatori del Research Centre for Prevention and Health presso la Glostrup university Hospital in Danimarca. ______________________________________________________ Il Mattino 5 apr. ’04 LA TAC DEL FUTURO PORTERA’ LA FIRMA DI UN MATEMATICO E la macchina fara’ anche la diagnosi ELIO SCRIBANI Mentre parliarno, entra un ricercatore e gli spara una domanda micidiale. Dice: scusi, le derivate di una funzione convessa sono a variazione limitata? Roba da matti. Un altro ci resterebbe secco, lui, Nicola Fusco, 48 anni, una specie di Archimede napoletano, gli risponde semplicemente di si’. E poi gli suggerisce di andarsi a rivedere il libro di L.C:. Evans e R. Gariepy. Capitolo sesto, aggiunge. E’ la matematica, signori. Ci puoi impazzire, puoi odiarla, puoi Fingere per tutta la vita che non esista. O amarla perdutamente. Come fa Nicola Fusco, professore ordinario di analisi matematica presso le facolta’ di Scienze e di Ingegneria biomedica e direttore della sezione di Napoli dell'istituto per le applicazioni del calcolo del Cnr. Grande fama anche all'estero, fu proprio Nicola Fusco a portare a Napoli, giusto un anno fa, il premio Nobel John F. Nash, un genio mondiale della matematica, l'uomo che, grazie alle sue formule e al suo talento, riusci’ a sconfiggere addirittura la schizofrenia, regalando poi, con la propria esistenza, una splendida trama al film «A beautiful mind» interpretato da Russel Crown. La matematica nel Dna. Anche Nicola Pusco, enfant prodige di teoremi e altre diavolerie, ce l'aveva impressa nel libro del destino genetico. Fusco si iscrisse al classico, ma comincio’ a divorare i libriccini zeppi di numeretti che il padre gli portava a casa. Poi, la facolta’ di Ingegneria, come voleva papa’, e, infine, l'approdo al corso di laurea in Matematica, ma solo dopo aver vinto una memorabile sfida con se stesso e con il suo papa’ riuscendo ad assicurarsi nientemeno che l'iscrizione alla scuola Normale di Pisa. Bravissimo. E giovane. Per un matematico, infatti, la giovinezza e’ un bene prezioso. E la freschezza della mente puo’ contare perfino piu’ della stessa esperienza. Ecco la prova: con un lavoro che aveva realizzato a soli 25 anni, Fusco si aggiudico’ nel 1995 il premio nazionale piu’ prestigioso della categoria, il «Renato Caccioppoli», gestito dall'Unione matematica italiana, un riconoscimento che si assegna ogni 4 anni a studiosi che non abbiano compiuto i 40 anni. Un primato assoluto. Non ci sono, infatti, nomi di altri matematici napoletani nel libro d'oro del premio, ne’ prima ne’ dopo. La sua, una formula complicatissima. La giuria la considero’ geniale. Pusco aveva messo a punto un modello matematico capace di regolare il comportamento di un materiale composto da piu’ materiali sottoposto a pressione. Dice: chi se ne frega. Piano. E se fossero le ali di un aereo in volo o le parti di un edificio colpito da una frana? La sicurezza esige domande e risposte. Ali e mura si spezzeranno o si piegheranno? E fino a che punto potranno reggere un peso eccessivo e imprevisto? Saperlo puo’ aiutare a evitare una tragedia. Come? Ci pensa la matematica, che, si sa, fornisce elementi di calcolo anche a molte altre discipline scientifiche. Dunque: la matematica puo’ salvare una vita? Piu’ d'una. Con le sue ricerche di risonanza mondiale, il professor Nicola Fusco non fa che tentare di salvare vite umane. Da matematico, naturalmente. Come? Lo scopo scientifico e’ quello di migliorare le immagini prodotte dagli strumenti di diagnostica medica. Insomma, il professore progetta la Tac del futuro. E anche la risonanza magnetica. E gli impianti per la mammografia e l’ecocardiografia. Il principio e’ quello della struttura delle immagini. La macchina, utilizzando un fascio di elettroni che attraversa il corpo umano, manda su uno schermo un'immagine che il medico valutera’ per fare la sua diagnosi. Se potra’ leggerla bene, imbrocchera’ anche la vera patologia e, quindi, la cura. Se la leggera’ male, meglio non pensarci. Il guaio e’ che l'immagine che il medico ha a disposizione non e’ quasi mai perfetta. O, meglio, non ancora perfetta: ha contorni sfumati e puo’ indurre in errore. Che si fa, allora? Ci pensa Nicola Fusco. Il suo gruppo di ricercatori e’ l'unico a Napoli in contatto con i centri di eccellenza stranieri che progettano la Tac del futuro, Bonn e Lipsia, Pittsbourgh e Oxford. Messe insieme le risorse dell'Universita’ e dei Cnr, Fusco applica un recentissimo modello matematico americano di ricostruzione delle immagini che, nel rendere le forme piu’ chiare e nitide, consentira’ ai medici di applicare senza rischi capacita’ e criteri diagnostici. Tumori e cardiopatie. Non sembra, ma sara’ una rivoluzione. Non solo per la salute. Ne volete un'altra? La polizia della California ha gia’ applicato quello stesso modello matematico per ricostruire le immagini delle telecamere installate per la video sorveglianza delle strade e degli obiettivi sensibili. Un successo. E noi, che abbiamo tanti guai con la camorra e il terrorismo, perche’ dovremmo stare a guardare? NICOLA FUSCO E IL VOLTO UMANO DELLO SCIENZIATO «II calcolo mi ha cambiato la vita» Che tipo d'uomo si nasconde nei panni dello scienziato Nicola Fusco? Ecco qualche domanda «fuori verbale». Professore, meglio il calcolo o l'Intuizione? «Prima ci vuole un'intuizione, poi i calcoli si risolvono quasi da se’». C'e’ un calcolo dietro ogni cosa? «Tante cose sfuggono a ogni calcolo». Che cosa le fa piu’ paura? «Quello che non riesco a prevedere». Per esempio? «Le malattie». La matematica cambia la vita? «Ti cambia la visione della vita». Cambiano anche i sentimenti? «No, ma un matematico vede tutto attraverso il filtro della razionalita’». Un matematico e’ un cervellone? «Ha un'intelligenza selettiva». Lei crede in Dio? «Non ho avuto un'educazione molto religiosa, ma non posso dirmi ateo. Piuttosto, sono spaventato dal problema». La matematica e’ scritta nel Dna? «In parte si. Ci vuole una certa predisposizione, pero’ si impara sempre». Perche’ la matematica si ama o si odia? «E’ una scienza difficile e, a differenza di altre discipline, e’ molto tecnica: o ci si appassiona o ce ne si allontana». Che cosa l'attira della matematica? «L'idea di risolvere un problema. E’ una sfida». Che cosa le da’ la matematica? «Mi da’ certezze assolute». ______________________________________________________ Il Sole24Ore 8 apr. ’04 IL CERVELLO E LA MINACCIA DEL MERCURIO In «Alice nel paese delle meraviglie» il personaggio del cappellaio matto soffre di una malattia sociale dell'epoca legata in qualche modo all'impiego di una pomata al mercurio nel trattamento dei cappelli: dopo un po' di tempo i cappellai manifestavano evidenti segni di disturbi neurologici. Che il mercurio sia tossico e’ cosa provata: si sa che non e’ solubile in acqua ma in soluzioni oleose e che si fissa per questo nella materia cerebrale. E’ anche noto che principi di avvelenamento da mercurio sono piu’ facili in quelle popolazioni che fanno grande uso di prodotti ittici, dal momento che il mercurio presente in acque inquinate si accumula appunto del cervello dei pesci. Nuove scoperte. Ricerche, recenti condotte dallo scienziato americano Boyd E. Haley, titolare della cattedra di chimica presso l'Universita’ di Lexington (Kentucky), hanno ipotizzato una correlazione tra la tossicita’ del mercurio e alcune malattie neurologiche: il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e il fenomeno dell'autismo nei bambini. Studi condotti in Svezia hanno mostrato che la concentrazione dello ione mercurio nel sangue e’ molto maggiore in soggetti che hanno capsule dentistiche a base di amalgama; di qui il mercurio viene liberato sotto forma di vapore, va nel sangue, e poi nel cervello. Da esami condotti sui topi si deduce che la concentrazione media di mercurio nel cervello aumenta sensibilmente - da 10 a 50 volte - quando l'animale viene esposto a lungo a vapori di ossido di mercurio. Questa esposizione provoca lesioni neurocerebrali irreversibili, del tutto simili a quelle riscontrate nei soggetti affetti da morbo di Alzheimer. Mercurio e autismo. Ma ricerche piu’ precise riguardano la relazione tra il mercurio e l'autismo. E’ possibile dimostrare che molti bambini affetti da autismo sono figli di madri che hanno assorbito mercurio per motivi diversi (alimenti, medicine eccetera). Inoltre, a partire dagli anni Quaranta, si e’ riscontrato negli Stati Uniti un aumento dell'autismo direttamente proporzionale all'aumento delle vaccinazioni. II motivo si spiega con la presenza di mercurio nei vaccini. Questi contengono un composto del mercurio (acetilsalicilato di mercurio) detto thimerosal, un conservante, una sostanza battericida e fungicida che preserva i vaccini, ma provoca la morte delle cellule neuronali tanto che oggi, nel Regno Unito, il 15 per cento dei bambini non viene vaccinato. L'effetto e’ ancora piu’ devastante se viene accompagnato dalla somministrazione di antibiotici. Effetti dannosi. Ma che cosa provoca in sostanza il mercurio? Distrugge i microtubuli (citoscheletro della cellula la cui alterazione cambia la funzione della cellula stessa) che regolano, tra l'altro, il trasporto neuronale. E’ dimostrato che nei soggetti affetti da Alzheimer l’80% dei microtubuli e’ distrutto, di qui deriva appunto lo stato di demenza degli individui affetti da tale malattia. Naturalmente questi dati sono il risultato di studi non ancora definitivi. Tuttavia, c'e’ evidenza sul fatto che il mercurio e’ in qualche modo responsabile di uno sviluppo neurologico disordinato. Ricerche italiane. Presso il Dipartimento di scienze biomolecolari e biotecnologiche dell'Universita’ di Milano, un gruppo di lavoro si occupa da circa 10 anni di questi fenomeni, in particolare degli effetti del mercurio e dei metalli pesanti su cellule staminali neuronali adulte. In questo filone di ricerca si inserisce l'analisi di patologie riscontrate nei militari che hanno partecipato a guerre recenti - Iraq e Kossovo - dovute non tanto alle radiazioni, ma agli effetti nocivi del mercurio presente nei vaccini cui i soldati sono stati sottoposti in maniera massiccia. L'informazione su questi argomenti e’ nel nostro Paese abbastanza carente essenzialmente per due motivi: c'e’ il rischio che una campagna precauzionale possa essere distorta e utilizzata a fine demagogici provocando anche un rifiuto delle vaccinazioni, il che provocherebbe effetti fortemente negativi; secondo, ci sono evidenti perplessita’ da parte delle societa’ farmaceutiche che temono di vedersi al centro di bufere mediatiche gestite con scopi diversi da quelli scientifici. Ludovica Mariusai’di Carlesi ______________________________________________________ Il Sole24Ore 8 apr. ’04 ICTUS: UN'ORA PER SALVARLE IL CERVELLO Le stroke unit consentono di intervenire tempestivamente riducendo i danni - Il caso dei Policlinico di Roma Time is brain». Quando e’ sopraggiunto un ictus (come e’ accaduto recentemente anche al leader della Lega, Umberto Bossi), ogni minuto che passa prima del trattamento e’ tessuto cerebrale che muore. Percio’, tra l'arresto dell'afflusso di sangue al cervello, i primi sintomi e la terapia, non devono assolutamente trascorrere piu’ di tre ore. Ma e’ di cruciale importanza l'intervallo critico tra l'arrivo del paziente al pronto soccorso dell'ospedale e l'effettivo inizio della terapia: ora questa fase conclusiva della corsa contro il tempo puo’ essere portata a termine con successo in un'ora. Il record, condiviso soltanto con alcuni centri Usa, appartiene alla stroke unit del Policlinico Umberto I di Roma, riuscito esperimento italiano di reparto intensivo per la diagnosi e la terapia dell'ictus cerebrale in fase acuta. L'unita’ si trova nel Dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) ed e’ gestita da neurologi esperti in malattie cerebrovascolari. Il paziente arriva, e per la prima visita occorrono dieci minuti; poi gli specialisti neurologi compiono la diagnosi di sospetto ictus (sintomi indicativi: disturbi della coscienza e dell'eloquio, deficit di forza muscolare). In tutto, sono passati quindici minuti. Se il sospetto viene confermato dalla Tac e da un doppler - e, possibilmente, anche da una risonanza magnetica - che richiedono in tutto trenta minuti, dopo quarantacinque minuti dal ricovero si puo’ decidere la terapia piu’ appropriata, con farmaci trombolitici e antiaggreganti. Entro sessanta minuti, il trattamento e’ in atto. I successi. I risultati sono documentati. Nei primi mille giorni di attivita’, dall'agosto 2000 all'agosto 2003, l'unita’ di trattamento neurovascolare, del Policlinico (cioe’ dell'Universita’ La Sapienza) ha ricoverato e curato 1.215 pazienti. Il 55% e’ stato rimandato a casa, in condizioni di autosufficienza (i centri tradizionali registravano solo nel 40% dei casi un valido recupero, come riferiscono i testi di epidemiologia sull'ictus). E, se ogni cento ricoverati 55 sono tornati a casa in buone condizioni, c'e’ da aggiungere che 33 di loro sono stati dimessi entro tre giorni, e gli altri 22 hanno recuperato l'autosufficienza in meno di tre mesi, spiega Danilo Toni, responsabile dell'Utn. Nel totale dei ricoverati i decessi risultano fortemente diminuiti: non hanno superato l’8%, meno di un terzo della percentuale di mortalita’ per ictus dichiarata dalle statistiche fino agli anni 90. Approccio integrato. Prima del trattamento, occorre pero’ portare a termine, nel minor tempo possibile, una valutazione molto impegnativa. Una parte di tessuto cerebrale e’ andata completamente perduta immediatamente dopo l’ictus; si tratta di guell'area che ha sofferto direttamente per il blocco dell'irrorazione sanguigna quando il vaso si e’ otturato. Ma puo’ essere salvata tutta l'area circostante, servita nell'emergenza dal circolo collaterale, che pero’ da solo non e’ sufficiente a nutrire le cellule nervose ancora intatte. Percio’ bisogna fare presto. Per curare il paziente occorrono certezze e scelte tempestive, possibili soltanto in un addestrato team multidisciplinare. Questo approccio integrato richiede l'esperienza del neurologo, del rianimatore, del cardiologo, del chirurgo vascolare e del neurochirurgo. Un'e’quipe con una complessa strumentazione, soprattutto neuroradiologica. Bisogna individuare e riaprire il vaso occluso ma anche mettere in azione una terapia di prevenzione secondaria (con antiaggreganti o anticoagulanti): l’ictus puo’ ripetersi nei giorni successivi. Per riaprire il vaso ostruito, si ricorre ai farmaci trombolitici, ma prima bisogna accertare che questi farmaci - rivelatisi efficacissimi contro l'infarto miocardico - non danneggino il cervello del paziente, organo molto piu’ vulnerabile del cuore. I progressi. «Fino a non molto tempo fa, l'approccio tradizionale al paziente con ictus cerebrale era improntato a una sorta di nichilismo terapeutico. La convinzione di base era che contro l’ictus si potesse fare ben poco. La malattia risultava frustrante per i neurologi, che affidavano volentieri il paziente ai colleghi internisti», dice Corrado Argentino, direttore dell'Utn. In pratica, i medici potevano soltanto prendere atto dei danni prodotti dall'evento. Il paziente veniva visitato da un medico generico che non pensava al cervello, oppure da un neurologo che pensava soltanto al cervello. Una delle novita’ sostanziali della stroke unit della Sapienza e’ la sua collocazione nel pronto soccorso. Nello stesso Policlinico Umberto I, il professor Argentino aveva istituito, nel 1981, la prima stroke unit d'Europa, operante nel reparto di neurologia («Quando arrivai, i pazienti con ictus giacevano, senza grandi speranze, nella clinica medica»). Evitare l’invalidita’. L'ictus trattabile e curabile e’ una svolta nella medicina. Molto spesso si riesce a evitare del tutto l'invalidita’ da ictus perche’ - spiega il professor Argentino - altre zone del cervello possono intervenire e garantire le funzioni esercitate dal tessuto cerebrale leso. Ora questo settore attira fortemente i giovani laureati. E vengono organizzati corsi di formazione ad hoc; il primo in assoluto in Italia e’ il master biennale in malattie cerebrovascolari, attivato alla Sapienza. Sulla scia dell'esperienza romana, si sono formati centri in Lombardia e nel Veneto, in Toscana e nel Lazio. «Ma non si puo’ ancora disegnare una mappa nazionale dettagliata delle nuove stroke unit: devono essere ben definiti i criteri di accreditamento», spiega il professor Toni. Luigi Dell'Aglio ______________________________________________________ Il Sole24Ore 8 apr. ’04 MEDICINA PREDITTIVA E PERSONALIZZATA Il ventunesimo secolo sara’ quello delle scienze della vita secondo l'economista Lester Thurow. Un'epoca densa di promesse, ma anche di grandi sfide. Svelare il funzionamento dei sistemi biologici in tutta la loro complessita’, dall'informazione racchiusa nei geni alla molte possibilita’ di espressione e regolazione del nostro metabolismo, apre la strada a terapie e diagnosi piu’ accurate e meno invasive. La promessa delle nuove tecnologie molecolari e’ trasformare la medicina da preventiva a predittiva e personalizzata, abbattendo i tempi di sviluppo dei farmaci. Per svelare i meccanismi intimi della vita bisognera’ pero’ identificare miliardi di interazioni tra geni, proteine e fattori ambientali. Si tratta di una sfida che non coinvolge soltanto ricercatori accademici, ma sempre piu’ intensamente anche le aziende, che investono molto in questo settore perche’ per arrivare a nuovi prodotti non si potra’ prescindere dalla creazione di nuove conoscenze nel campo delle scienze della vita. Ancor prima che scientifica la corsa alla conoscenza e’ una competizione tecnologica nella quale la scelta degli strumenti giusti conta moltissimo. Abbiamo intervistato Danilo Cazzola, recentemente nominato responsabile europeo per le bioscienze e l'analisi chimica di Agilent technologies che, con 32mila dipendenti in 110 Paesi e un ricavo netto di 6,1 miliardi di dollari nel 2003, si e’ confermata uno dei protagonisti della ricerca nel campo dell'elettronica, della chimica, e delle scienze della vita. Quali sono le tecnologie che domineranno il settore nei prossimi anni? I progressi delle scienze della vita dei prossimi anni investiranno principalmente due campi. Prima di tutto l'espressione genica, quel processo attraverso il quale l'informazione contenuta nel Dna dei geni viene trasformata A molecole costitutive del nostro organismo e che permette di comprendere come le mutazioni genetiche possano innescare la nascita di un grande ventaglio di malattie, dal cancro alla sclerosi multipla. I tumori sono forse il campo dove i progressi della ricerca vengono recepiti piu’ rapidamente dalla professione medica, che sta gia’ cercando di mettere a punto una terapia piu’ personalizzata in base al profilo genetico individuale. Un esempio e’ la recente identificazione presso l'istituto nazionale di ricerca sul cancro di Amsterdam (Nki), dei profili di espressione del cancro al seno che potrebbe permettere di ridurre del 40% la necessita’ di chemioterapia per le donne con questo tipo di’ tumore in base al loro profilo genetico. Gli stessi metodi di ricerca impiegati per la biomedicina si stanno rivelando di grande utilita’ anche in campo vegetale e agronomico. Un esempio e’ la recente messa a punto di un test di analisi su biochip per rivelare la presenza e per analizzare il genoma del Magnaporthe grisea, un fungo che devasta le coltivazioni di riso, la piu’ importante coltivazione alimentare del mondo. II secondo campo e’ la proteomica, forse il settore piu’ giovane, ma che credo dara’ i maggiori progressi nei prossimi anni. Cosa intende per proteomica? Non si tratta semplicemente di identificare le proteine prodotte dai geni, ma di comprendere le relazioni intime tra le diverse molecole che costituiscono le vie metaboliche che, se modificate, possono innescare patologie. Questi due campi hanno molto in comune, perche’ si avvantaggiano delle stesse piattaforme tecnologiche per l'analisi molecolare: la cromatografia, la spettrometria di massa e tutta la microfluidica che comprende anche i «labonchip», dei veri e propri laboratori in miniatura, capaci di identificare la presenza di materiale genetico, Dna o Rna. Secondo le ultime analisi della Frost&Sullivan il mercato dei biochip promette di crescere con una media annua del 6,7 passando dai 596 milioni di dollari del 2003 fino a 937 milioni nel 2010. Questo sviluppo vedra’ finalmente l'arrivo di chip diagnostici? In questo campo l'area piu’ vivace e’ senz'altro l'Europa perche’ anche se il mercato americano rappresenta ancora il 57% di quello mondiale, e’ qui che stiamo vedendo i migliori risultati di ricerca che potrebbero portare a kit diagnostici. Solo in Italia parliamo gia’ di un mercato di 200 milioni di dollari l'anno per la proteomica. C'e’ pero’ ancora una forte distinzione tra kit commerciali offerti dalle aziende e quelli "home brew" (letteralmente: "fatti in casa") preparati dai ricercatori e credo che in questo momento poter combinare l'alta efficienza dei chip industriali con la flessibilita’ richiesta dai ricercatori, i quali vogliono poter adattare lo strumento alle proprie ricerche, sia molto premiante se permette di abbattere i costi. Se solo fino a qualche anno fa il costo di un biochip si aggirava intorno a un centinaio di dollari, oggi il prezzo medio e’ di due tre euro. Lei e’ laureato in chimica presso l'Universita’ di Milano, ma professionalmente guarda alla ricerca mondiale. L'Europa, e in particolare l'Italia, dove gli investimenti in ricerca e sviluppo sono sempre piu’ ridotti, che posizione avranno nel panorama scientifico dei prossimi anni? Se credera’ in questo settore il nostro Paese ha esattamente le stesse chance degli altri. E’ forse vero che negli ultimi anni non si e’ investito molto, ma c'e’ un'ampia rete di collaborazioni con centri di eccellenza che e’ un valore importantissimo. L'Europa non puo’ competere con le economie asiatiche sul piano della produttivita’, ma e’ certamente vincente nella ricerca e sviluppo, dove e’ avvantaggiata rispetto agli Stati Uniti perche’ e’ piu’ flessibile. Guido Romeo