PERCHE’ L'UNIVERSITA’ VA RIFORMATA – ATENEI: AUTONOMIA E RESPONSABILITA’ – UNIVERSITA’ AL GUADO – CRUI:IDEE NUOVE PER PREMIARE L'ECCELLENZA – DOTTORATI, TANTI POSTI E POCHE BORSE – PRIMI SPIRAGLI PER IL NODO DEI RICERCATORI – RICERCA SCIENTIFICA, LAICA E’ PIU’ DIFFICILE – NUMERO CHIUSO, SUI «TETTI» DECIDONO LE UNIVERSITA’ – CACCIOPPOLI, «'O GENIO» – MA IL MIT IN ITALIA NON TROVA SPONSOR – MISTRETTA A BUOCAMMINO (apre l’universita’ ai detenuti) – SACCONI: NEL LAVORO ASSISTENZIALISMO ADDIO – GESSA IL "PREMIO SILONE" – E GOOGLE SCONFISSE LE BIBLIOTECHE – LE BIBLIOTECHE? ESISTERANNO ANCHE DOPO GOOGLE – ================================================================== DON VERZE’: SONO IL BISTURI DI DIO – POLICLINICO: NO AL PROTOCOLLO DEI GENERALI – POLICLINICO: PROTOCOLLO, OSPEDALIERI ALLA GUERRA – POLICLINICO: "PATTI CHIARI TRA OSPEDALI E ATENEO" – CAMICI BIANCHI IN PIAZZA A ROMA – OSPEDALI ITALIANI PIU’ ATTREZZATI PER CURARE I TUMORI – MOLTE CURE, UNA SOLA BIOLOGIA – L'OMS CONTRO IL VINO – L'ECCESSIVO TESTOSTERONE PUO’ CAUSARE L’AUTISMO – NUOVO MARCATORE DEL CANCRO AL SENO – UNA MAPPA ELETTRONICA PER COMBATTERE I TUMORI – DORMIRE TROPPO FA MALE – ================================================================== _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 19 apr. ’04 PERCHE’ L'UNIVERSITA’ VA RIFORMATA di Geminello Alvi Dei volti che si direbbero non nati per studiare ci salutano dai manifesti o tra le pagine dei giornali: e annunciano ogni volta sempre piu’ esami all'universita’ passati per anno. E la memoria ritorna alle ragazze in divisa blu, dedite qualche tempo fa a volantinare al portone dell'universita’ locale. Non volantini di sdegni rivoluzionari, madepliants; inviti a corsi come quelli reclamati dai calciatori, per passare esami. Corsi che dicono quale sia il pregio di esami e universita’ in Italia... ma ecco accanto alle hostess poppute, sfilare i docenti universitari. Acceleranti, per non apparire sdegnati. Invecchiati male, erano non pochi trent'anni fa a distribuire altri volantini, ma allora rivoluzionari, e pero’ servivano pure quelli a passare esami... Eppure adesso i rettori parlano d'altro; protestano e poi non si accontentano, reclamano aumenti di fondi. Offesi, quasi che le nostre universita’ fossero mirabili fabbriche d'idee e brevetti. E anche il proliferare di corsi privati si spiega altrimenti che con le esecrazioni. Comparando le statistiche si scopre che in Spagna e Germania i professori dedicano alle lezioni 200 ore all'anno, circa 8 ore a settimana. In Italia come sempre il dato non e’ chiaro, ma la riforma Moratti imporrebbe di passare almeno a 120 ore. E c'e’ poi tutto il turbinio delle supplenze. Cosi’ ci sono 19,7 studenti in corso per professore, nella media europea, ma pure 30 mila contrattisti. Quanto ai ricercatori, essi, reduci in molti ma senza carriera degli anni di altri volantinaggi, tengono circa la meta’ dei corsi. Insomma in Italia insegnano tutti, sospettiamo persino le procaci hostess degli esami fai date, e meno quelli che dovrebbero. Risultato: nelle universita’ italiane la meta’ circa delle matricole arriva al titolo e in media ci si laurea a 27,6 anni ovvero dopo piu’ di sette anni pieni. La situazione delle universita’ e’ plasmata senilmente al peggio. II 21,6% dei 56.475 docenti di ruolo italiani ha piu’ di 60 anni e la prima fascia, quella dei ricercatori che dovrebbe essere la piu’ vitale, ha l'eta’ media di 50,6 anni. Reduci non pochi delle sanatorie politiche di quella «peggio gioventu’», che gia’ negli anni '70 fece il pieno di posti, come conferma la demografia. E anche l'uso recente dei concorsi persevera nella cooptazione per cosche. Ci sono certo meritorie eccezioni, ma il fine primo dell'universita’. in Italia, non pare la ricerca o gli studenti. Non e’ colpa solo dei ministeri, dunque, se i laureati sono in Italia solo l'8,7% della popolazione attiva contro il 23,6% e il 20,6% di Gran Bretagna e Francia. Neppure la corporazione degli universitari e’ in Italia migliore delle tante altre che vi prosperano. Altro che pagelline alla sovietica di valutazioni come quelle richieste dai rettori in cambio di piu’ soldi! La spesa per il personale accademico e’ superiore in Italia a quella del Regno Unito; e se i soldi non bastano e’ perche’ si sono fatte troppe promozioni di massa di docenti. Ma grazie alla demografia un'epoca finisce: nel 2007 andra’ in pensione circa il 47% dei professori universitari. E allora si prenda atto che una generazione ha fallito: l'esito dei suoi slanci sono appunto gli odierni esamifici, e nemmeno pubblici ma privati. Percio’ e’ un gran bene che la ministra Moratti non stia ai giochi consueti. Non e’ la destatizzazione radicale che ci vorrebbe, ma almeno la sua riforma introduce una terza via vera tra Stato e mercato: le fondazioni. S'accorda alla riforma delle fondazioni bancarie di Ciampi ministro del Tesoro e alla sana idea del ministro Tremonti e di Vittorio Grilli per un lit italiano, fuori dei giochi accademici. Passi rischiosi ma sani per mantenere pubblica l'universita’ senza fidarsi piu’ di chi la ha gestita finora cosi’ male per conto dello Stato e ora recrimina pure. Urge una riforma del potere universitario, con degli organi di gestione diversi, fatti di meno politica e corporazioni. _______________________________________________________ Il Giornale 22 apr. ’04 ATENEI: AUTONOMIA E RESPONSABILITA’ Gli atenei italiani hanno bisogno di liberta’ d'iniziativa per tornare ad essere protagonisti della cultura e della ricerca. La riforma Moratti e’ l'occasione per liberare l'universita’ dallo statalismo A mio avviso, e’ necessario rovesciare la diffusa e alla fin fine comoda convinzione che la riforma universitaria ci stia dando (o imponendo) un nuovo, definito e definitivo "tipo" di universita’. Occorre invece comprendere e applicare la riforma nella sua natura strumentale: vale a dire, come il mezzo per conseguire l'obiettivo di un differente "modello" di studi universitari. Un modello che, certamente diverso da quello delineato da Wilhelm von Humboldt e stratificatosi per larga parte dell'Ottocento e del Novecento, e’ ormai indispensabile se si vuole corrispondere (e, nei limiti in cui ne saremo capaci, se si intende dare il giusto orientamento) alle grandi trasformazioni del paese e del sistema globale: le trasformazioni ormai in atto da tempo, quelle che recentemente sembrano averci colto di soprassalto, e quelle infine che gia’ si annunciano all'orizzonte con una folla di segnali. Per questo credo che l'occasione della riforma non debba essere persa o sciupata. Solo cosi’ diventa possibile ritrovare, attualizzare e utilmente impiegare quel "valore", che l'universita’ ha nel suo stesso corredo genetico e che ha saputo tenere alto per un lunghissimo tratto della sua storia secolare: il valore, cioe’, dell'autonomia. Un'autonomia autentica e bene intesa, naturalmente. Che ha, a suo fondamento, il principio della responsabilita’. Responsabilita’ nella gestione delle risorse, certo, ma anche - e soprattutto - nella scelta dei curricula da proporre agli studenti, nella selezione dei docenti, nelle modalita’ con cui avviare i piu’ giovani alla carriera accademica, nella costruzione di rapporti privilegiati con istituzioni, realta’ associative e altri atenei, nazionali e internazionali. E' la "liberta’ d'iniziativa" la vera posta in gioco di questa riforma universitaria. Non e’ un'alchemica formula medievale, quella che lega in un reciproco scambio la formazione e l'educazione dello studente alla scienza del docente. Lo e’ ancor meno oggi che la dimensione interdisciplinare della cultura e il sempre piu’ ampio respiro internazionale di ogni percorso di formazione rendono ancora piu’ forte la necessita’, per un ateneo, di essere contemporaneamente e in modo connesso luogo di elevata qualificazione professionale e centro di alta ricerca scientifica. La liberta’ d'iniziativa richiede che gli atenei non vengano imbrigliati o legati con rigide pastoie. Ne’ tantomeno sopporterebbe che la riforma - anziche’ dar vita a un nuovo e piu’ fecondo rapporto tra le istituzioni politiche e l'universita’ - producesse come suo esito inintenzionale quello di una omologazione destinata a far riprendere fiato a un mai morto vetero-statalismo, con cui continuano a camuffarsi e autoalimentarsi gli interessi di parti e di fazioni. La riforma, con tutte le necessarie correzioni che i primi anni di sperimentazione suggeriranno, deve mettere ogni ateneo nella situazione di dare il meglio di se’, potenziando e arricchendo quei settori della formazione e della ricerca scientifica cui maggiormente lo sospingono la sua storia, la sua vocazione, il suo spirito d'intrapresa e la sua capacita’ d'innovazione. A queste condizioni, e ognuno rimboccandosi le maniche, sapremo realizzare davvero l'autonomia di tutti gli atenei, statali e non statali. E diventera’ possibile, attraverso la riforma, costruire il futuro dell'universita’, riportando quest'ultima al suo ruolo di protagonista della cultura e della ricerca. *Rettore dell'Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Milano _______________________________________________________ Il Giornale 22 apr. ’04 UNIVERSITA’ AL GUADO La riforma dei cicli ha determinato la rigidita’ del sistema anziche’ flessibilita’, provincialismo anziche’ scambio di idee, e la valutazione e’ ancora imperfetta. Le proposte del ministro Moratti pero’ sembrano andare nella gista direzione. Alcuni spunti per cambiare ancora di piu’ Italia, sulla via della modernizzazione del sistema universitario, si trova ancora in mezzo a un guado, ma intanto si e’ mossa. La riforma dei cicli si e’ dimostrata, alla prova dei fatti, farraginosa e dirigistica e ha finito per mortificare l'autonomia degli atenei. Alla Bocconi ne abbiamo toccata la rigidita’ nella programmazione dei bienni specialistici: il potenziale innovativo dei due livelli di laurea e’ quasi annullato e i percorsi e gli abbinamenti piu’ intelligenti e innovativi sono resi impossibili da una pletora di vincoli e codicilli. Il sistema deve ad ogni costo recuperare flessibilita’, premessa alla mobilita’, che e’ uno dei motivi principali del processo di riforma avviato in Europa dopo la "Dichiarazione di Bologna" e deve trovare il coraggio di responsabilizzare le singole universita’ di fronte ai propri studenti e agli altri stakeholder. Anche sul reclutamento e sullo status giuridico dei docenti, le proposte del ministro Moratti mi sembrano andare nella giusta direzione. Nei loro sei anni di vita i concorsi locali hanno, purtroppo, evidenziato effetti perversi che ne fanno auspicare l'abolizione: l'universita’ italiana, anziche’ diventare piu’ efficiente, si e’ ulteriormente provincializzata, a scapito della circolazione delle idee e della produzione e condivisione della ricerca di qualita’. 'I'ornando ai concorsi nazionali si ripropone, pero’, l'esigenza di flessibilizzare la fase iniziale della carriera accademica. Un'universita’ che aspiri alla qualita’ non puo’ permettersi di assicurare il posto a vita a giovani docenti che non abbiano ancora dimostrato le proprie capacita’ e i giovani studiosi, da parte loro, farebbero bene a tenersi aperta piu’ di una porta fino a quando non si siano convinti dell'effettiva corrispondenza tra la carriera accademica e le loro inclinazioni. E' per questo che la Bocconi ha abolito, gia’ da alcuni anni, il ruolo dei ricercatori, sostituendoli con gli assistant professor, attraverso contratti a tempo determinato, durante i quali i giovani hanno la possibilita’ e il dovere di dimostrare le proprie capacita’ di raggiungere gli standard richiesti dalla loro disciplina a livello internazionale. Si mettono alla prova prima di accedere, se ne hanno qualita’ e volonta’, al ruolo. Quella di questi giovani e’ un'esperienza spendibile anche in altri mercati del lavoro, qualora decidessero di abbandonare l'accademia. Il nuovo direttore generale di Cinecitta’, solo per fare un esempio, viene da un percorso di questo genere alla Bocconi. Il processo di modernizzazione e’ stato avviato, con fatica, in tutta Europa. In Italia sembra fare piu’ fatica che altrove a causa di un sostanziale conservatorismo del mondo universitario che non trova corrispondenza nelle pronunce pubbliche. In definitiva e’ giusto cambiare e, per abbandonare il guado, sarebbe meglio cambiare ancora di piu’. Il sistema di valutazione e accertamento delle performance degli atenei rimane un problema aperto, perche’ i parametri utilizzati oggi sono quasi esclusivamente quantitativi e non costituiscono un incentivo sufficiente al perseguimento dell'eccellenza. L'esistenza di un Consiglio Universitario Nazionale con le sue attuali prerogative limita, anziche’ stimolare, le autonomie. E, soprattutto, i meccanismi di governance degli atenei creano vischiosita’ che ostacolano il cambiamento. Fino a quando chi gestisce un ateneo sara’ condizionato da una base elettorale giunta in posizione di relativo privilegio grazie allo status quo, certe rendite sono destinate a perpetuarsi e l'attuazione di un disegno strategico di cambiamento rimarra’ sempre difficile. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 apr. ’04 CRUI:IDEE NUOVE PER PREMIARE L'ECCELLENZA Particolare enfasi sulla necessita’ di favorire la qualita’ della ricerca Nel documento della commissione Cultura della Crui i principi per la governance degli atenei ROMA m L'universita’ «deve restare un'istituzione pubblica al servizio dell'interesse nazionale», operare «in regime di autonomia culturale, gestionale e finanziaria» e sviluppare «forme avanzate di competitivita’ e differenziazione specialistica fra atenei». «La valutazione dei risultati, affidata a un organismo autonomo e terzo sia nella composizione, sia nel funzionamento, deve diventare la filosofia dell'intero sistema universitario». A questi giusti e importanti principi s'ispira il documento sul «governo del sistema universitario» che la commissione Cultura della Conferenza dei rettori propone alla riflessione degli atenei. Al di la’ dei dettagli tecnici, che andrebbero esaminati punto per punto, il documento va considerato un passo avanti sia nel metodo sia nel merito, in un mondo come quello universitario che spesso tende a respingere il cambiamento. Per quanto riguarda il metodo, e’ un buon segno che i sette firmatari, autorevoli intellettuali e cattedratici di diverse tendenze politiche (Maurizio Bettini, Umberto Eco, Alessandro Figa’ Talamanca, Ernesto Galli Del la Loggia, Massimo Panebianco, Aldo Schiavone e Alberto Asor Rosa, il quale pero’ ha approvato sol tanto i «principi generali»), superando le reciproche appartenenze ideologiche si siano accordati sulla sostanza dei problemi, in una prospettiva imperniata sulla valutazione dei risultati accertata in modo obiettivo e indipendente. Nel merito e’ da condividere la visione di fondo del documento, che - senza lasciarsi lusingare da velleita’ di privatizzazione integrale all'americana poco realistiche nel contesto italiano, in cui l'universita’ e’ destinata a restare un'istituzione pubblica alimentata in primo luogo da contributi pubblici - mira a risolvere in modo innovativo l'attuale «crisi di governabilita’». Il documento propone, in sintesi, di conservare il carattere rappresentativo degli organi di governo degli atenei, accrescendone pero’ in modo significativo i poteri, in particolare dei rettori e dei presidi di facolta’. Respinta, come «potenzialmente lesiva della liberta’ di ricerca e d'insegnamento», l'ipotesi di organi di governo «titolari della gestione strategico-amministrativa composti da non universitari di nomina politica», i firmatari chiedono che il rettore continui a essere eletto da tutte le componenti universitarie, mentre il consiglio d'amministrazione, «braccio esecutivo economico delle scelte strategiche compiute dal rettore», sara’ nominato per un terzo dal rettore, per un terzo dal corpo docente e per un terzo «dalle forze politiche, sociali ed economiche del territorio». Innovative sono anche le proposte dirette a garantire un'elevata qualita’ della ricerca e dell'insegnamento ponendo fine al livellamento degli stipendi e delle carriere. Per quanto riguarda i professori associati il documento propone che «ogni universita’ indica periodicamente una prova di valutazione comparativa con un numero ristretto di vincitori», che comportera’ «l'avanzamento immediato di tre scatti di stipendio». Per i professori ordinari si propone che il 10% dei posti sia riservato. per il 5% a docenti «di valore eccezionale» (la formula e’ tratta dal sistema francese), scelti dal Senato accademico a scrutinio segreto con maggioranza dei due terzi, e per il 5% a chiamate da altra sede o dall'estero. A questo 10% di docenti sara’ assegnato uno stipendio che potra’ essere fino al50% maggiore di quello ordinario. ANDREA CASALEGNO _______________________________________________________ Il Sole24Ore 19 apr. ’04 DOTTORATI, TANTI POSTI E POCHE BORSE UNIVERSITA’ tft Nel 2003 ammessi ai corsi 9.424 studenti, con un aumento del 7% rispetto al ciclo precedente trend positivo continua da 5 anni ma molti interessati (30-40%) non ricevono compensi o solo assegni annuali Continuano a crescere i posti disponibili per chi aspira a raggiungere il piu’ alto livello di formazione post-laurea in Italia, il dottorato di ricerca. Lo dicono i dati appena elaborati dal ministero dell'Istruzione, che mostrano come nel 18°ciclo (quello del 2003) siano stati ammessi ai corsi 9.424 studenti, segnando un aumento del 7°lo rispetto al ciclo precedente. Questa crescita e’ il frutto anche dell'aumento di 24,5 milioni di euro per la mobilita’ dei dottorandi, soldi che si aggiungono al fondo ministeriale per la formazione post-laurea che oggi ammonta a circa 161 milioni di euro. Il futuro di questi studenti resta pero’ incerto. Fino a ora mancano dati ceni (un primo monitoraggio e’ stato avviato quest'anno), ma le stime dicono che. poco piu’ del 50% dei dottori di ricerca si dedica alla carriera accademica, il 20% viene assunto dagli enti presso i quali ha svolto il proprio lavoro di dottorato e rimane un 30°lo di "dispersi". Piu’ posti. I nuovi ingressi portano a 28.760 il numero dei giovani attualmente iscritti ai corsi; l'ateneo che ha aperto le porte in maniera piu’ decisa agli aspiranti e’ il Federico II di Napoli, che ha accolto 604 nuovi iscritti, seguito dall'Alma Mater di Bologna (543) e dall'Universi’ta’ di’ Firenze (479). Tra le aree di studio, invece, spiccano le scienze mediche e quelle biologiche, che nel 2002 hanno incoronato rispettivamente 598 e 342 nuovi dottori, ma anche i vari rami dell'ingegneria si mostrano piuttosto prolifici. L'aumento dei posti disponibili per i dottorati e’ partito cinque anni fa, in seguito agli effetti della legge Berlinguer che ha conferito agli atenei l'autonomia organizzativa. Prima di allora, infatti, i bandi di concorso erano curati dal ministero e la quota annuale di nuovi posti si fermava attorno alle 4.500 unita’ (limite praticamente invariato dal primo ciclo istituito nel 1983). La letterale esplosione del numero dei dottorandi (il primo ciclo post-autonomia aveva fatto segnare piu’ 60% rispetto all'anno precedente) e’ pero’ spiegata soprattutto dalla possibilita’, data dalla nuova impostazione, di avviare dottorati di ricerca senza borsa di studio. In questi casi chi frequenta non riceve l'assegno mensile (che oggi e’ di circa 800 euro) ed e’ tenuto a pagare le tasse iscrizione. Senza borse. Secondo le stime i dottorati senza borsa abbracciano oggi una quota che oscilla tra il 30 e il 40% dei posti disponibili e molti atenei hanno sfruttato a fondo questa possibilita’, determinando situazioni di assoluto squilibrio. La legge 210/98 stabilisce che almeno la meta’ dei posti, di’ ogni corso sia coperta da borsa di studio, ma nell'ultima relazione sui dottorati del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu), datata febbraio 2004, si legge che «non poche situazioni sono fuori dalla norma». L'assenza del contributo, pero’, e’ parzialmente compensata dal fatto che molti dei titolari dei posti senza borsa sono assegnisti di ricerca. Accanto al dottorato, l'assegno di ricerca e’ infatti l'altro pilastro per chi muove i primi passi nella formazione di eccellenza. Si tratta di sovvenzioni annuali, attribuite con appositi bandi di concorso, che secondo gli ultimi dati (non ancora pubblicati) riguardano 10.024 persone, con un'eta’ media di 32,8 anni. L'ateneo con piu’ assegnisti all'attivo e’ Firenze (812) seguito da Roma La Sapienza (650) e da Bologna (626). Quadro disomogeneo. Oltre ad aumentarne il numero, l'autonomia ha reso molto disorganico il panorama dei dottorati. A complicare il quadro e’ anzitutto l'estrema specializzazione dei titoli: su circa 1.200 corsi attivi in Italia si registrano un migliaio di titoli diversi, moltissimi dei quali ricorrono una sola volta, ed e’ mancato finora un controllo di qualita’ dei corsi e un'analisi degli sbocchi professionali. Sono questi i due fronti in cui e’ impegnato il Cnvsu, che recentemente ha stilato un fitto elenco di requisiti minimi necessari ad avviare un corso: oltre alla quota minima di posti con borsa, gia’ accennata, gli atenei dovranno scegliere i tutor fra i docenti che possono vantare una produzione scientifica di livello, e dovranno indicare gli atenei italiani e stranieri consorziati e le tipologie di finanziatori esterni. Anche 1e modalita’ di ammissione - oggi stabilite dai singoli atenei - dovranno armonizzarsi. Un parziale ritorno al "centralismo" e’ anche nei piani del Miur. «La ricerca - spiega Antonello Masia, direttore generale del Miur per l'Universita’ - deve concentrarsi soprattutto sugli aspetti strategici per un Paese. Per questo servono indirizzi uniformi: rientra in questo ambito la creazione di singoli centri di eccellenza su specifiche materie, come la biologia applicata a Pavia, che costituiranno dei poli di attrazione per i dottori di ricerca non solo italiani». - Un altro problema storico dei dottorati e’ infatti la scarsa presenza di studenti stranieri (si veda l'articolo in basso): «A questo riguardo - aggiunge Masia - abbi’amo stanziato 400 milioni di euro per la costruzione di 15mila nuovi alloggi dedicati alla mobilita’ internazionale». A CURA DI FEDERICA MICARDI GIANNI TROVATI _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 apr. ’04 PRIMI SPIRAGLI PER IL NODO DEI RICERCATORI ALESSIA TRIPODI ROMA e Sale la protesta del mondo universitario contro le politiche del Governo. Ma dal ministero dell'Istruzione arrivano i primi segnali di apertura e la "questione ricercatori" sembra avviarsi verso una soluzione meno drastica della semplice "messa ad esaurimento del ruolo". Ieri docenti, ricercatori, personale tecnico e studenti aderenti a Cgil-Snur, Cisl Universita’, Cisl Fir, Uil Pa-Ur, Adu, Andu, Cnu e Snals Universita’, hanno manifestato a Roma per «il ritiro del ddl di riforma dello status giuridico dei docenti, i rinnovi dei contratti di lavoro, lo stanziamento di risorse adeguate, il superamento del precariato e la riapertura del reclutamento di personale». Un primo obiettivo della protesta e’ gia’ stato raggiunto: nella riunione di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato l'atto d'indirizzo per il contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale tecnico amministrativo delle universita’. Dopo il corteo - che, secondo gli organizzatori, ha coinvolto oltre 15mila persone i sindacati hanno incontrato a Viale Trastevere il capo di gabinetto e il direttore generale del Miur. Ufficialmente l'incontro non ha soddisfatto le associazioni, che in una nota unitaria hanno commentato: «Le risposte e le dichiarazioni del Miur oscillano tra lo stupefacente e il provocatorio, in una difesa a oltranza dei provvedimenti adottati». Per il ministro Moratti si e’ trattato, invece, di un confronto «utile» e di un'occasione nella quale «si sono date ampie rassicurazioni che il disegno di legge sul reclutamento dei docenti e’ un testo aperto. II nostro obiettivo di fondo -ha precisato Moratti in una nota - e’ costruire, con il contributo di tutti, un sistema universitario di maggiore qualita’». AL di la’ delle dichiarazioni ufficiali, sembra che il ministero si sia mostrato disponibile a risolvere il problema del riconoscimento del ruolo di docente a quei ricercatori che da anni svolgono attivita’ didattica negli atenei. I termini esatti della questione restano pero’ ancora da definire, perche’ legati alla quantita’ di risorse che lo stesso Miur riuscira’ a reperire per finanziare la riforma. Con ogni probabilita’, pero’, la questione non sara’ risolta con l'introduzione nel testo di riforma della terza fascia di docenza, come ipotizzato nei giorni scorsi da Mario Pepe (Fi), relatore alla Camera della legge sullo status giuridico. A questa ipotesi sono nettamente contrari anche l’Uspur, l'Unione sindacale dei professori di ruolo, e Alleanza Nazionale: «Per l'universita’ - ha detto il responsabile scuola e universita’ di An, Giuseppe Valditara - ci vogliono piu’ risorse, piu’ meritocrazia, meno rigidita’». Per il segretario dei Ds, Piero Fassino, «il ddl Moratti toglie ogni prospettiva per il futuro a migliaia di ricercatori e docenti», mentre secondo Enrico Panini, segretario del nuovo sindacato della Cgil che rappresenta il mondo della conoscenza (Flc), _______________________________________________________ L’Unita’ 20 apr. ’04 RICERCA SCIENTIFICA, LAICA E’ PIU’ DIFFICILE Gli intoppi italiani e i progressi all'estero: quando di mezzo ci si mettono le staminali Cristiana Pulcinelli Se i ricercatori coreani che pochi mesi fa hanno ottenuto per la prima volta . cellule staminali usando la tecnica della clonazione avessero svolto la loro ricerca in Italia sarebbero stati arrestati. Negli Stati Uniti, ha spiegato recentemente Jose’ B. Cibelli, lo scienziato americano che ha collaborato con l'Universita’ di Seul, probabilmente non si sarebbe arrivati all'arresto, ma quel lavoro non si sarebbe potuto fare. E: invece, proprio quel lavoro e’ stato pubblicato dalla prestigiosa rivista americana Science e salutato dalla comunita’ scientifica come un importante passo in avanti verso la «donazione terapeutica». Basta solo questo per far sentire come un'impellente necessita’ una discussione sulla liberta’ di ricerca. E Il settore Nuovi Diritti della Cgil, assieme alla Fondazione Critica Liberale, ha deciso di dedicare un seminario della serie Conversazioni sulla laicita’ proprio questo tema. Il problema della liberta’ di ricerca non e’ solo italiano, naturalmente. In realta’, ha spiegato lo storico della medicina Gilberto Corbellini, negli Stati Uniti se ne discute animatamente da 2-3 anni, in pratica da quando Bush ha deciso di intervenire su alcune questioni che riguardano strettamente la comunita’ scientifica. E la comunita’ scientifica americana e’ potente. Tutto ruota attorno alle cellule staminali. E forse vale la pena ricordare perche’. Le staminali sono cellule e hanno la capacita’ di «trasformarsi» in qualsiasi (o in molte) cellule del nostro organismo. Queste cellule si trovano sia negli embrioni che negli adulti, ma quelle embrionali sembrano essere piu’ capaci delle altre di dare vita a tutti i tessuti dei nostri organi. Inserendo le staminali laddove ce ne fosse bisogno (ad esempio un tessuto cardiaco deteriorato) si potrebbe pensare di riparare i danni. Per evitare problemi di rigetto, si e’ pensato di ricorrere alla tecnica della clonazione: prelevare il nucleo di una cellula del paziente da curare e inserirlo in una cellula uovo, La cellula uovo, con il patrimonio genetico del paziente> si potrebbe far moltiplicare e poi si potrebbero estrarre le cellule staminali che verrebbero indotte a trasformarsi in cellule di qualsiasi tessuto ci possa servire. Una vera rivoluzione per la cura delle malattie degenerative che affliggono le nostre societa’. Tutto questo in teoria, perche’ ancora molte cose sul funzionamento delle staminali ci sono oscure. Tuttavia, i primi risultati delle ricerche sono promettenti e potrebbe valer la pena andare a verificare. Se non ci fossero due problemi: il coinvolgimento dell'embrione e la tecnica di clonazione (sia pure terapeutica e non a fini riproduttivi). Su questi due punti la Chiesa ha posto il suo veto. Un veto cosi’ potente che ha s-ubito avuto ripercussioni politiche. E se in Inghilterra i vescovi protestanti hanno appoggiato la legislazione che consente di creare embrioni per la ricerca sulle staminali (vietando pero’ la clonazione riproduttiva), negli Stati Uniti Bush ha bloccato la ricerca senza ricorrere a divieti formali, ma nei fatti: togliendo i finanziamenti pubblici a questo tipo di studi. In Italia, le cose sono andate ancora in un altro modo: la legge sulla procreazione assistita, operativa da marzo 2004, vieta la sperimentazione sull'embrione, la clonazione, la selezione degli embrioni e la produzione di embrioni a scopo di ricerca. Un divieto totale che impedisce a molti malati di nutrire una speranza sul proprio destino. F in nome anche di questi pazienti che i radicali hanno deciso di raccogliere le firme per un referendum abrogativo della legge. E’' una strada percorribile? Per Roberto Polillo, responsabile del settore politiche della salute della Cgil, si’. Perche’ «su alcune questioni della bioetica, questioni sulle quali c'e’ uno scollamento tra le decisioni dei tecnici e cio’ che pensano i cittadini, questi ultimi hanno il diritto di esprimersi in prima persona». C'e’ invece chi e’ contrario al referendum, ad esempio Enzo Marzo, fondatore di Critica liberale. Nonostante, infatti, un sondaggio Gallup ci dica che il 65°,degli italiani (e il 55% degli europei) e’ favorevole alla donazione terapeutica. I referendum si perdono e si vincono su altri fatti: Al rischio e’ di regalare a Berlusconi una vittoria che metterebbe una pietra tombale su questa questione». Come possono i laici, dunque, affrontare questa contrapposizione con la cultura del mondo cattolico? Secondo il docente di diritto ecclesiastico Bellini, i laici devono fare uno sforzo per capire le ragioni degli altri. Senza arrivare a uno scontro sterile, quindi, si dovrebbe fare riferimento al principio della tolleranza e del male minore per raggiungere una mediazione. Ma per la giurista Betta Cescu non c'e’ possibilita’ di mediazione e confronto su una legge impositiva come quella sulla procreazione assistita. Insomma, la discussione in Italia rischia di impantanarsi mentre a livello internazionale si assiste a tendenze contrapposte: da una parte i ricercatori cominciano a muoversi dai paesi con le leggi piu’ restrittive per proseguire le loro ricerche in paesi come Israele, il Giappone o la Corea; dall'altra crescono le pressioni perche’ l'Onu approvi una Convenzione internazionale contro la clonazione umana, togliendo le castagne dal fuoco ai governi che hanno preso iniziative restrittive su questo tema. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 18 apr. ’04 NUMERO CHIUSO, SUI «TETTI» DECIDONO LE UNIVERSITA’ Spetta alle singole universita’ stabilire i tetti per l'accesso ai corsi di laurea a numero chiuso. Il contingente stabilito su base nazionale dal ministero, infatti, altro non e’ che la somma dei posti messi a disposizione dagli atenei. Sulla base di questo principio il Tar Toscana (sentenza 956/04, scritta dal giudice Andrea Migliozzi) ha respinto il ricorso di tre studenti contro la decisione del Senato accademico dell'Universita’ fiorentina di confermare, per l'anno 1999/2000, il limite di 30 posti messi a bando per il corso di Odontoiatria. All'esito sfavorevole della prova di ammissione, i tre si erano rivolti ai giudici amministrativi contestando l'illegittimita’ della scelta dell'ateneo. Quest'ultimo, secondo i ricorrenti, avrebbe infatti disatteso le prescrizioni dettate dai decreti ministeriali in merito al potere delle universita’ di limitare l'accesso ai corsi. In sostanza, secondo gli studenti, la programmazione dell'accesso sarebbe avvenuta senza un'adeguata giustificazione, cioe’ senza l'enunciazione dei fini di tale operato e senza che sia stata preceduta da un'adeguata attivita’ istruttoria. Per il Tar Toscana, il ricorso si concentra sulla proposta del Senato accademico di riconfermare il limite d'accesso al corso di laurea in odontoiatria, gia’ fissato per gli anni precedenti, a soli 30 posti. Ma la tesi dei ricorrenti, per i quali tale atto non rispetterebbe i criteri richiesti dalla normativa, non convince il collegio, che infatti ne ha bocciato le richieste. La legge 341/1990 sugli ordinamenti didattici universitari, ricordano i giudici, «ha previsto la possibilita’ per il ministro dell'Universita’ di introdurre nelle facolta’ il numero chiuso» e la legittimita’ di tale limitazione e’ stata confermata dalla Corte costituzionale con la decisione 383/98. Naturalmente, il potere di limitare il numero di iscrizioni e’ ancorato all'osservanza di determinati criteri. In particolare, il Tar Toscana rammenta il Dm 245/1997, che tra i criteri da utilizzare indica «la sussistenza di requisiti qualitativi necessari per lo svolgimento dei corsi, connessi alla disponibilita’ di strutture, attrezzature e docenti». Con riferimento ai principi contenuti in questa normativa, il ministro dell'Universita’ fissa il numero di posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di laurea ad accesso limitato sulla base della determinazione del contingente fissato dalle singole sedi universitarie. Spetta, dunque, a queste ultime indicare il numero di iscrizioni consentite. A questo proposito, il Tar Liguria (sentenza 482/99) ha avuto modo di precisare che «in sede di fissazione del limite di immatricolazioni l'Universita’ deve ancorare il numero delle iscrizioni alle strutture didattiche disponibili, ai docenti in forza al corso di laurea, alle aule e ai laboratorí utílízzabíli si’ da dare conto del rapporto tra tali circostanze lo gistiche e il numero degli studenti iscrivibili e cio’ a mezzo di una idonea istruttoria». A parere del Tar fiorentino, che alla fine ha rigettato il ricorso delle tre matricole, la procedura richiesta dalla normativa per esercitare il potere di limitazione del numero di studenti e’ stata «correttamente posta in essere» nel caso in esame. Il Senato accademico dell'Universita’ di Firenze ha, infatti, proposto la riconferma dei 30 posti solo dopo aver rilevato che non si erano verificati cambiamenti nella disponibilita’ di risorse e di strutture. A nulla rileva il fatto che la ricognizione delle risorse sia stata comuni cata «con una formulazione sintetica», perche’ questo e’ comunque sufficiente a soddisfare le due esigenze indispensabili ai fini della possibilita’ di limitare l'accesso al corso di laurea in Odontoiatria: quella di tener conto dei criteri prescritti dalla normativa regolamentare e quella di aver svolto un'idonea attivita’ istruttoria. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 18 apr. ’04 CACCIOPPOLI, «'O GENIO» Cent’anni fa nasceva il matematico napoletano. Uno stile scientifico e di vita fuori dalle regole DI UMBERTO BOTTAZZINI Semplicemente 'o genio. Cosi’ Renato Caccioppoli era conosciuto nella Napoli degli anni del fascismo e del primo dopoguerra. L'istintiva intuizione della fantasia popolare aveva colto nel segno. Non solo perche’ Caccioppoli era un matematico dalle capacita’ davvero geniali, che a soli ventisei aveva vinto la cattedra all'universita’. Fin dai suoi primi lavori aveva affrontato problemi di analisi funzionale, la nuova branca della matematica che si andava allora elaborando, in cui si considerano spazi di dimensione infinita. Da certi punti di vista tali spazi sono molto simili agli spazi di dimensione finita come l'ordinario spazio tridimensionale, per altri versi richiedono un'analisi estremamente raffinata delle loro caratteristiche. «L'arte di persone come Caccioppoli», ricordava il grande matematico Ennio De Giorgi che lo aveva conosciuto «solo per un numero esiguo, anche se decisivo di anni» della sua formazione, «e’ in fondo la capacita’, eccezionale in lui, di muoversi in questi spazi di dimensione infinita con estrema sicurezza intuitiva, comprendendo a prima vista dove l'analogia col finito funziona e dove l'analogia con gli spazi di dimensione finita cessa di funzionare». Le conversazioni con De Giorgi avvenivano in genere in un bar o in una trattoria. Caccioppoli «prendeva un foglio di carta, dicendo: «Le cose vanno cosi’...», tracciava due o tre segni abbastanza sommari, univa a questi segni un discorso abbastanza sintetico, ma estremamente profondo, e dava, in tempi brevi, l'idea di come in realta’ stavano le cose a proposito di un certo problema». Affrontando ardue teorie con la sicurezza di chi nelle questioni riesce a cogliere l'elemento essenziale, «a scorgere la prima radice delle cose, spesso celata da soprastrutture ingombranti e irte di difficolta’», Caccioppoli ha dato contributi fondamentali alla moderna analisi matematica. E tuttavia, racconta chi lo ha conosciuto, si aveva l'impressione che tra i suoi molteplici interessi quello per la matematica non fosse il principale. Le testimonianze raccontano di una personalita’ complessa e tormentata, di grande cultura letteraria e filosofica, di un singolare esprit de finesse, e soprattutto di una straordinaria sensibilita’ musicale. La musica infatti lo aveva sempre attratto almeno quanto la matematica. Era un ottimo pianista e avrebbe potuto diventare un eccellente direttore d'orchestra. La ricchezza di esperienze intellettuali della Napoli dei primi decenni del Novecento aveva alimentato di suggestioni e stimoli culturali la sua giovinezza. Nato in una delle famiglie piu’ in vista della citta’, di casa con Benedetto Croce. II padre un noto chirurgo, la madre Sofia Bakunin, figlia del rivoluzionario russo che, costretto all'esilio, nel suo girovagare per l'Europa soggiorno’ qualche tempo a Napoli. 'O genio non era solo un grande matematico. Era un personaggio pubblico, che in breve tempo nella fantasia popolare era diventato una sorta di mito. Battute taglienti, sarcasmi, sortite imprevedibili, una trasandatezza proverbiale nel vestire, scandalosa per il perbenismo piccolo borghese dell’Italietta dell'epoca. Un mito alimentato dai suoi atteggiamenti tramandati in una serie di aneddoti. Come quando, negli anni Trenta, Caccioppoli si fece vedere con un gallo al guinzaglio passeggiando per Toledo fino all'universita’ con un codazzo sghignazzante al seguito. Era la sua reazione a una circolare di Starace, lo zelante segretario del partito fascista, che vietava di portare cani al guinzaglio, manifestazione di un costume decadente che mal si addiceva al virile «cittadino fascista». «Gusto per il alamour e tendenza a dissacrare non conoscevano limiti», racconta chi lo ha conosciuto. Del resto, «l'ottusita’ del regime forniva di continuo occasione per i suoi scatti di fantasia e di dignita’. Il suo antifascismo pote’ sembrarlo, ma non fu ne’ salottiero ne’ di maniera». E le conseguenze non mancarono. Vegli anni Trenta, quando ,l'ubriacatura per il partito unico si andava sempre piu’ estendendo, il suo disgusto e il suo disprezzo per il regime imperante crescevano a dismisura, e i suoi discorsi con gli amici erano continuamente inframmezzati da aspre tirate polemiche e da pungenti commenti negativi sulla politica italiana del tempo», ricordava il matematico Gianfranco Cimmino, amico e poi collega di Caccioppoli a Napoli. «Questo suo aperto parlare da dissidente e un diverbio piuttosto animato che ebbe con una autorita’ del partito lo portarono all'internamento in una casa di cura psichiatrica, concessione ottenuta al fine di evitare che gli venissero inflitte piu’ gravi sanzioni punitive». Dopo la Liberazione Caccioppoli e’ tra i protagonisti dell'intensa stagione di impegno culturale e civile che caratterizza la vita napoletana. Presiede il Circolo del Cinema, che la domenica mattina presenta i capolavori del cinema, da Renoir a Chaplin a Eisenstein, che la censura fascista aveva impedito di proiettare, anima l'attivita’ di associazioni come Cultura Nuova e le riunioni del Gruppo Gramsci che all'universita’ discute di storia dell'Italia moderna. Senza aderire a nessun partito, si impegna con passione nel movimento dei Partigiani della Pace. Vengono poi anni di eventi internazionali dolorosi e laceranti. Della denuncia dei crimini di Stalin e dei "fatti" d'Ungheria. Il tramonto degli entusiasmi e delle speranze. Anni difficili per Caccioppoli, che nel maggio del 1959 si toglie la vita. «Renato Caccioppoli a cent’anni dalla nascita» e’ il convegno che si terra’ a Roma il 19 aprile presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (p.le Aldo Moro 7). In chiusura del convegno un omaggio teatrale dal titolo «II gallo al guinzaglio» _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 19 apr. ’04 MA IL MIT IN ITALIA NON TROVA SPONSOR I «cervelli» di altri Paesi vorrebbero venire in Italia, almeno per_ un periodo, ma e’ difficile trovare sponsor che coprano le loro spese. E’ il problema principale che frena il decollo del Mit-Italy Program, un programma di scambi fra Usa e Italia avviato nel 2000 dal Massachusetts Institute of Technology. Se ne e’ discusso anche durante la recente visita del ministro dell'Istruzione Letizia Moratti alla prestigiosa universita’ di Boston, specializzata nelle materie scientifiche, nell'Information Technolgy, nell'economia e nel managenment. «Siamo l'unico dei programmi europei del Mit a non disporre di un aiuto governativa - spiega Serenella Sferza, co-direttore del Mit-Italy Program, scienziata sociale italiana con PhD della stessa universita’ americana -. Ed e’ molto difficile anche trovare sponsor fra le aziende private italiane». Cosi’ resta in gran parte insoddisfatto il crescente interesse verso l'Italia da parte dei giovani di tutto il mondo che frequentano il Mit. L'anno scorso, per esempio, solo 15 studenti sui 50 che ne avevano fatto domanda-sono riusciti a trovare un'impresa o un'istituzione italiana che li ospitasse per uno stage di tre mesi in estate, pagando circa 1.000 dollari al mese piu’ il viaggio. Il beneficio dello sponsor e’ notevole-sostiene Sforza-, sia perla possibita’ di sfruttare le conoscenze dei giovani del Mit, di solito a livello post-laurea e con un'esperienza di ricerca, sia per il futuro accesso alle risorse dello stesso » gli studenti non si fanno scoraggiare: a marzo un gruppo di 15 della Sloan School of Management ha partecipato a Milano al primo seminario di tre giorni «Fashion and Luxury Goodsu, ideato da una di loro, l'italiana Silvia Battigelli e sponsorizzato dalla societa’ di consulenza Roland Berger. Hanno incontrato top manager di case della moda come Versace, Luxattica e Paul&Shark e messo le basi per arricchire l'esperienza il prossimo anno. M. T. C _______________________________________________________ LA Nuova Sardegna 20 apr. ’04 MISTRETTA A BUOCAMMINO apre l’universita’ ai detenuti Carcere. Firmato un protocollo d’intesa tra il rettore e il dirigente di Buoncammino L’Universita’ aperta ai detenuti Iscrizione gratis, agevolazioni per chi studia in cella CAGLIARI. I detenuti nel carcere di Buoncammino potranno iscriversi alle facolta’ universitarie senza pagare le tasse e le loro richieste di partecipare alle selezioni per i corsi di studio a numero chiuso verranno valutate da commissioni specializzate. E’ quanto prevede, fra le altre cose, il protocollo d’intesa firmato dal rettore Pasquale Mistretta e dal direttore della casa di pena Gianfranco Pala, destinato nelle intenzioni a "offrire nuove opportunita’ formative ai detenuti". La collaborazione tra Universita’ e Casa circondariale era in corso gia’ da alcuni anni, il documento firmato nei giorni scorsi servira’ a ratificare gli accordi e a consolidarli. Il protocollo - uno dei primi in Italia - prevede "la promozione di opportune attivita’ formative all’interno della Casa circondariale di Cagliari nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e per valorizzare gli scopi educativi e di reinserimento sociali ai quali la pena deve tendere". L’accordo avra’ una vlidita’ triennale e sara’ operativo a partire dal prossimo anno accademico. Le prime facolta’ ad aprirsi ai detenuti saranno quelle di Scienze e di Lingue, ma il comitato costituito per gestire l’applicazione del protocollo si impegnera’ ad attivare corsi di cinema, storia della Sardegna, geografia, ambiente, antropologia ed economia. "Il protocollo - ha spiegato il direttore del carcere Pala - risponde a una serie di esigenze manifestate dalla popolazione carceraria e avere un interesse motivante come lo studio e’ da sempre tra le prime richieste dei reclusi. Da noi - ha spiegato Pala - ha avuto un grande successo il corso per ragionieri e due studenti hanno poi intrapreso con buoni risultati la carriera universitaria. Ora - ha aggiunto Pala - bisognera’ individuare il personale di supporto all’attivita’ didattica". Compito non facile con gli investimenti ridotti all’osso. _______________________________________________________ Il Giornale 22 apr. ’04 INTERVISTA n MAURIZIO SACCONI" SACCONI: NEL LAVORO ASSISTENZIALISMO ADDIO Legge Biagi e riforma Moratti sono contestate insieme dall'opposizione di piazza perche’ entrambe segnano la fine della tradizionale logica dell'abbandono dell'individuo alla passivita’ e all'esclusione sociale. Maurizio Sacconi racconta a Tempi la sua idea di welfare attivo «Nel nostro sistema sono stati troppi gli incentivi all'uscita precoce dal mercato del lavoro. Dobbiamo rimuoverli e scoraggiare l'uso della pensione di anzianita’ come ammortizzatore sociale» «Il nostro welfare deve passare dalla tradizionale tutela passiva ad una tutela attiva per indurre le persone a non adagiarsi in uno stato di esclusione sociale» C’e’ una propaganda, di tradizione comunista, che vuole che una menzogna ripetuta dieci volte diventi verita’. Proprio per questo motivo si e’ confusa volutamente la flessibilita’ della legge Biagi, con la precarieta’. In realta’, nella legge Biagi, la flessibilita’ e’ utilizzata proprio contro la precarieta’, cioe’ come strumento utile a contrastarla. Il sottosegretario di Stato al Welfare Maurizio Sacconi non ha dubbi. Esiste un filo rosso che lega la riforma del mercato del lavoro a quella della scuola: ambedue sono state oggetto di attacchi ideologici privi di qualsiasi riscontro oggettivo. Basta leggere questa intervista per capire che non si tratta di un caso. Mercato del lavoro e scuola, due riforme duramente contestate, perche’? Il governo, all'inizio della legislatura, ha riscontrato delle vere e proprie emergenze: da un lato la bassa dotazione di capitale umano e dall'altro lo squilibrio demografico. Chi, come noi, muove dai paradigmi dell'economia della conoscenza, sa che lo squilibrio demografico e la bassa dotazione di capitale umano sono fattori tanto di bassa competitivita’ quanto di bassa inclusione sociale. La nostra parola d'ordine e’ stata percio’ lavorare per una societa’ attiva. E' stato proprio per questo motivo che le riforme della scuola e del lavoro sono state disegnate in modo integrato, poiche’ miravano allo stesso obiettivo: alzare la dotazione di capitale umano. Questo ha fatto si’ che, anche nella contestazione, le due riforme venissero accomunate. Puo’ dettagliarci meglio qual e’ oggi la situazione italiana? L'Italia e’ il paese che ha i piu’ bassi tassi di occupazione in Europa. Purtroppo in Italia si e’ sempre guardato ai tassi di disoccupazione che, pero’, ci forniscono un'idea molto parziale del grado di impiego delle risorse umane. AL contrario, come ci insegna la strategia europea delineata a Lisbona, non c'e’ nulla piu’ del tasso di occupazione fra i 15 e i 64 anni che puo’ descriverci qual e’ il grado di vitalita’ di una societa’. L'Italia ha il piu’ basso tasso di occupazione in Europa, il piu’ basso tasso di occupazione femminile, ha uno tra i piu’ bassi tassi di occupazione degli over 55, il piu’ alto squilibrio territoriale e il piu’ alto tasso di disoccupazione di lungo periodo. In Italia ci sono persone che, per oltre 12 mesi, non ricevono neppure l'opportunita’ di un colloquio di orientamento e sono, di fatto, abbandonate a se stesse. E questo cosa c'entra con la scuola? Sull'altro versante, quello della scuola, noi registriamo bassissimi tassi di scolarizzazione soprattutto se consideriamo il numero di diplomati e laureati in relazione alle fasce di eta’. In particolare l'Italia ha il piu’ basso numero di laureati e diplomati nelle materie scientifiche, tecnologiche e matematiche in Europa. Condividiamo le ultime posizioni con Grecia e Portogallo che pure hanno economie molto piu’ deboli della nostra. Purtroppo si tratta di un dato cronico. L'Italia, cronicamente, ha sottoimpiegato le proprie risorse umane, ha consentito alti tassi di abbandono scolastico e si e’ mostrata come un paese assolutamente indifferente rispetto ai percorsi scolastici scelti dai nostri giovani. Non e’ un caso che i nostri studenti si siano indirizzati molto piu’ verso materie umanistiche che non verso materie scientifiche e tecnologiche. O comunque, non e’ un caso che i nostri giovani non abbiano completato un'utile base umanistica con queste discipline. Ma cronici sono anche i bassi tassi di occupazione che, se potevano essere accettati o accettabili nell'economia industriale, oggi risultano un handicap di competitivita’. Le due riforme puntano percio’ a produrre un "effetto crash": un effetto di innalzamento dei tassi di occupazione e di scolarizzazione in un arco temporale ragionevolmente breve. Anche le politiche di welfare devono seguire questo percorso? Assolutamente si’. Nel senso che le nostre politiche di welfare hanno un limite che oggi si rivela molto importante. Noi dobbiamo riconvertire il nostro welfare ad una logica di societa’ attiva. C'e’ un'espressione anglosassone che indica le politiche di welfare funzionali all'ingresso e alla permanenza nel mercato del lavoro: welfare to work. Nella logica italiana, invece, sembra valere una logica di welfare to rest. Noi al disoccupato abbiamo sempre dato un pesce, ma mai una canna per pescare. Le forme di integrazione del reddito sono state fini a se stesse. Oggi noi stiamo lavorando per mettere a disposizione di colui che e’ disoccupato involontario un insieme di’ servizi che includano anche l'integrazione del suo reddito. Cio’ che e’ fondamentale e’ che questa integrazione si coniughi con servizi all'impiego che, attraverso l'anagrafe di ciascun lavoratore, siano in grado di prevenire il formarsi di esclusione sociale intervenendo in modo mirato. Insomma il nostro welfare deve passare dalla tradizionale tutela passiva a una tutela attiva che mescoli questi servizi e queste protezioni in modo tale da indurre la persona a non adagiarsi in uno stato di esclusione sociale. Eppure vi accusano di aver aumentato la precarieta’. Questa e’ un'accusa davvero offensiva nei confronti di un socialista cattolico come Marco Biagi che, invece, voleva diffondere un lavoro di qualita’, cioe’, innanzitutto, un lavoro a tempo indeterminato. Noi abbiamo ereditato dalla precedente legislatura fenomeni di precarizzazione. Mi riferisco in particolare a quei fenomeni di disoccupazione di lungo periodo, di insistenza nel lavoro sommerso 0 di ripetizione di forme precarie subite che costituiscono la vera precarieta’. Tutta la nostra politica percio’ e’ stata mirata a contrastare questa precarieta’ e i risultati si vedono. Presto, ad esempio, in alcune grandi aziende, la somministrazione di manodopera a tempo indeterminato sostituira’ molto lavoro precario. Cosi’ come i contratti a tempo parziale e quelli di lavoro a coppia sono tendenzialmente contratti a tempo indeterminato. Questo governo ha avuto il coraggio di entrare in collisione con tanti e diffusi interessi che si erano creati intorno alle collaborazioni coordinate e continuative (un vero e proprio lavoro subordinato di serie B). Purtroppo siamo stati oggetto di polemiche che ci hanno accusato, falsamente, di maggiore rigidita’. In realta’ noi non potevamo tollerare l'impropria flessibilita’ che, sotto gli occhi colpevolmente distratti della sinistra politica e sindacale; si era sviluppata nella seconda meta’ degli anni Novanta. Il boom dei co.co.co., infatti, coincide oggettivamente con la scorsa legislatura. Non e’ un caso che la nostra azione faccia registrare un innalzamento del tasso di occupazione senza che vi sia innalzamento del livello del precariato. Ma cos'e’ che genera precarieta’? Il buio. Un mercato buio e opaco. Il fatto che una persona che cerca lavoro e’ abbandonata completamente a se stessa. La prima lotta alla precarieta’, non dimentichiamolo, e’ la costruzione di una rete di servizi pubblici fondata sull'anagrafe del lavoratore. In questa anagrafe affluiranno i dati del ministero dell'Istruzione, dei centri per l'impiego, dell'Inps, dell'Inail e di tutte le attivita’ formative delle Regioni. In questo modo la persona sara’ al centro di un mercato trasparente ed efficiente. Secondo passo sara’ la creazione di una Borsa del lavoro. Un luogo di incontro tra domanda e offerta al quale accedera’ una pluralita’ di operatori pubblici e privati. Lo scandalo, insisto, era che tutto cio’ non c'era. Avete lavorato molto anche sulla formazione continua. La cosa su cui stiamo lavorando di piu’, per quanto riguarda la formazione, e’ il decollo dei fondi per la formazione continua che saranno gestiti dagli organismi bilaterali e che si alimenteranno can l'accantonamento dello 0,3 % sul monte salari. La mia speranza e’ che tali fondi vengano destinati anche a coloro che sono in transizione da un posto di lavoro all'altro, a coloro che sono titolari di una co.co.co. a monocommittenza e ai titolari di contratti a termine. Ma piu’ in generale mi auguro che questi potenti strumenti per la formazione vengano integrati, nella logica del welfare to work, con gli altri servizi all'impiego. Un appuntamento importante e’ la disciplina, da parte delle Regioni, dei nuovi contratti di apprendistato. Una volta disciplinati questi contratti diventeranno un modo importante per realizzare una vera alternanza scuola-lavoro. Coloro che hanno deciso, magari precocemente, di entrare nel mercato del lavoro non devono compiere una scelta irreversibile perche’ devono avere, attraverso il lavoro, la possibilita’ di conseguire una qualifica o lm diploma. Ma anche la possibilita’ di accedere all'universita’ o di compiere un percorso universitario contemporaneamente a un lavoro coerente con il percorso di studi. Mi auguro che, entro questa legislatura, le Regioni realizzino questa disciplina. Ma riuscirete a realizzare una vera bilateralita’? A mettere insieme sindacati e imprenditori? Tutta la nostra legislazione e’ di sostegno alla cosiddetta bilateralita’. La valorizzazione del capitale umano e’ un interesse convergente che unisce i datori di lavoro e i lavoratori. Gli organismi bilaterali diventano il luogo di questa convergenza, il luogo cioe’ per realizzare progetti condivisi. Il modo attraverso cui le parti, soprattutto a livello territoriale, possono governare insieme lo sviluppo delle risorse umane. L'Italia ha anche un problema di fuoriuscita precoce dal mercato del lavoro. Cosa state facendo? E’ vero, noi abbiamo un'uscita precoce dal mercato del lavoro, quanto meno un'uscita precoce dal mercato del lavoro regolare. Per le donne, addirittura, il momento critico avviene subito dopo i 40 anni, mentre per gli uomini la fase critica inizia dopo 150. Purtroppo nel nostro sistema sono stati troppi gli incentivi a questa uscita precoce. Il nostro compito e’ quello di rimuoverli e di costruire incentivi che aiutino la permanenza. Allo stesso tempo, pero’, dobbiamo avere un sistema previdenziale che incoraggi sempre meno l'improprio impiego della pensione di anzianita’ come ammortizzatore sociale. Dobbiamo investire in formazione sugli anziani, anche su quelli che non lavorano. Anzi, a maggior ragione su coloro che non lavorano. Cosa dobbiamo aspettarci in futuro dal mercato del lavoro? Dobbiamo attenderci una possibilita’ maggiore per la persona di realizzarsi. Mi piace molto la definizione che ha dato il cardinale Angelo Scola, quando ha detto che una persona completa e’ quella che sa distribuire il proprio tempo tra lavoro, riposo e affetti. Questo e’ l'uomo moderno. Un uomo piu’ felice e anche economicamente piu’ competitivo. *Sottosegretario del ministero del Welfare _______________________________________________________ LA Nuova Sardegna 23 apr. ’04 GESSA IL "PREMIO SILONE" CAGLIARI. Sara’ consegnato oggi, a Sulmona, al neuroscienziato Gianluigi Gessa il Premio internazionale Silone, creato dalla Fondazione omonima. Il riconoscimento istituito dal 1995 e intitolato al grande scrittore (autore, tra le altre opere, di Fontamara) viene attribuito "a personaggi che abbiano particolarmente brillato nella loro attivita’ o che, nell’ambito della cultura, della politica o attraverso i mezzi di comunicazione, abbiano contribuito in modo rilevante all’affermazione dei valori della liberta’, dei diritti delle persone e del cittadino, nello spirito e nel significato indicati dal pensiero e dall’opera dello scrittore". Silone e’ stato particolarmente attento ai diritti umani e a quelli dei piu’ umili ed emarginati. Gianluigi Gessa, fondatore della scuola sarda (nota in tutto il mondo) di neuroscienze, si trovera’ in buona compagnia. Negli anni passati, infatti, sono stati premiati personaggi come Nelson Mandela, Gigi Proietti, Enzo Bettiza e Vittorio Sgarbi. La premiazione avverra’ nel pomeriggio. _______________________________________________________ Corriere della Sera 20 apr. ’04 E GOOGLE SCONFISSE LE BIBLIOTECHE (ANCHE LA CULTURA?) Negli Usa sale di lettura sempre meno frequentate. Su Internet migliaia di risposte su ogni tema Le biblioteche elettroniche prendono il posto di quelle tradizionali. I motori di ricerca annullano i libri cartacei. Internet da’ migliaia di risposte a ogni parola e trasforma la cultura e la vita. Google ha superato da un anno tutti i concorrenti, con i suoi 200 milioni di utenti, in media, al giorno. E gli altri sono pronti a reagire: A9.com, il nuovo motore lanciato da Amazon, punta a caratterizzarsi come "biblioteca delle biblioteche". Ma qualcuno si chiede anche se non ci si trovi di fronte alla piu’ grande perdita di tempo del mondo. Come le biblioteche elettroniche prendono il posto di quelle tradizionali: viaggio attraverso il mondo dei navigatori da computer La conoscenza a misura di mouse: l’ultima guida in Rete ci cambia la vita Certo il mondo non e’ piu’ quello di una volta, dice lo scrittore americano Michael Chabon. "Gli scrittori del passato avevano l'assenzio, il whisky o l'eroina. Io ho Google. Ci vado con l'intenzione di passarci cinque minuti, e sette ore dopo mi accorgo che sono ancora li’, e tutto quello che sono riuscito a scrivere sono quarantatre’ parole". Il celebre autore di Wonder Boys , nonche’ vincitore del premio Pulitzer, mette il dito sulla piaga. Da un anno a questa parte Google ha superato tutti i motori di ricerca concorrenti - da Yahoo! ad Altavista a Infoseek - con una media di 200 milioni di utenti al giorno, meta’ dei quali fuori degli Stati Uniti. E ora intende quotarsi in borsa con un'operazione da 20-25 miliardi di dollari, che potrebbe addirittura innescare un secondo boom del "nuovo mercato". Ma il dubbio persiste: Google e’ il fenomeno che sta modificando di piu’ la cultura e i costumi di oggi, o e’ la piu’ grande perdita di tempo del mondo? Per i pochissimi che ancora non lo sanno, Google e’ il piu’ efficiente motore di ricerca al mondo, con 3 miliardi, 307 milioni 998 mila pagine web, che se fossero impilate una sull'altra supererebbero i 200 chilometri d'altezza. Quando due ventenni ricercatori della Stanford University, Sergey Brin e Larry Page, lo hanno lanciato a Palo Alto nel 1998, ha fatto la figura della Cenerentola. Ma mentre i giganti Yahoo! e Altavista facevano l'errore di allargarsi troppo al commercio e diventare portali, Google manteneva il suo profilo di ricerca - e di efficienza: con 753 mila documenti su una qualunque parola chiave, disponibili in 0,34 secondi. Di questo passo, scrive il Washington Post , presto i nostri figli chiederanno "Mamma, cos'e’ una biblioteca"? Conferma il professor Peter Luyman dell'universita’ di Berkely: "C'e’ stata una guerra tra i bibliotecari e i computer scientist per il controllo della cultura, e l'ha vinta Google". Il che non e’ senza conseguenze. Innanzitutto le biblioteche, negli Stati Uniti dove Google e’ piu’ usato, hanno perso il 20% dei frequentatori. E poi molti studenti sono tratti in inganno: se una cosa su Google non c'e’, non esiste. Un grande storico della letteratura come Harold Bloom puo’ anche permettersi di dire: "Per me Internet e’ come il Congo: so che esiste ma non ci andro’ mai". Ma il resto del mondo usa Internet attraverso Google per gli scopi piu’ svariati: come dizionario, agenzia di investigazioni, generatore di ricette, biblioteca, almanacco, agenzia per piazzare scommesse, combinatore di incontri galanti, e per sapere cosa gli altri pensano di te. "Lo utilizzo per accarezzare la mia vanita’, per leggere le notizie e per scoprire qualunque cosa", dice l'ideatore e produttore dei Simpson Matt Groening. Vuoi sapere cosa pensano gli altri di te? Vai a www.googolism.com. Vuoi sapere, tra due contendenti, chi vince la guerra delle citazioni? Vai a Googlefight.com e scoprirai se e’ piu’ forte Bush o Kerry. Hai il frigo quasi vuoto? Metti i nomi degli ingredienti che hai su www.reserchbuzz.org/archives/001404.shtml, e avrai piu’ di una ricetta pronta all'uso. E da qualche mese c'e’ anche Google News in versione italiana, che accede a 250 fonti di notizie. Mentre con il servizio Googlealert.com puoi farti tenere aggiornato quotidianamente su qualunque argomento a scelta. Insomma Google lavora per te. Ma se e’ vero che i produttori televisivi lo usano per indagare sul passato degli aspiranti concorrenti ai reality show , che le single prima di uscire con uno sconosciuto si accertano che qualcuno su Google non ne dica male, e che ragazzi come Orey Stenmann, 17 anni, di Los Angeles, digitando il proprio nome hanno scoperto di comparire in una lista di bambini rapiti dalla culla e hanno ritrovato i propri veri genitori, che influenza puo’ avere uno sconfinato oceano di informazioni come Google sulla cultura contemporanea? "Ti scarica addosso troppe informazioni, molte delle quali inaffidabili e inutili", ha detto al New York Times il presidente del Bard College e direttore artistico della American Simphony Orchestra, Leon Botstein. "La considero una scorciatoia per la truffa intellettuale". "E’ un buon punto di partenza per una ricerca superficiale", dice il capo della Library of Congress James Billington, "ma troppo spesso e’ pieno di sciocchezze e materiale inintelligibile". Tuttavia, molti lo ritengono la nuova Biblioteca di Alessandria, e come dice il professor Joseph Janes, che ha tenuto un seminario su Google all'universita’ di Washington questo semestre, "qualche anno fa se avevi problemi di artrite o non sapevi a quale universita’ mandare tuo figlio, ne parlavi con un amico fidato. Ora ti rivolgi a Google". Lo fanno anche registi, artisti visivi, scrittori e video artist di tutto il mondo a caccia di sollecitazioni creative. In Inghilterra, per esempio, Dave Gorman ha scritto una commedia di successo, un libro e una serie televisiva, basandosi sull'avventura di rintracciare tutti e 54 i suoi omonimi nel mondo, trovati dal motore di ricerca. "Soltanto negli ultimi sette giorni" ha detto il responsabile degli effetti speciali del film Matrix , John Gaeta, "Google ha cambiato il mio modo di vedere i tulipani, le scarpe giapponesi, i dittatori africani, la carta da parati ad alta definizione tridimensionale, i piatti di pollo, le vasche da bagno, gli schemi di immagini biologiche, l'igiene dei chihaua e molti altri argomenti critici. E’ chiaro che non sono piu’ lo stesso uomo". Ora, poi, che Google ha cominciato a stringere accordi con moltissimi editori per digitalizzare brani di libri, recensioni e altre informazioni bibliografiche, la posta in gioco si e’ alzata. Innanzitutto, digitando una frase si avra’ a disposizione la pagina dell'opera da cui e’ tratta - o delle opere, perche’ verranno a galla tutti i plagi. Inoltre, se andra’ in porto il cosiddetto "Project Ocean", Google mettera’ a disposizione degli utenti tutti i volumi della Stanford Library precedenti al 1923 - cioe’ quelli liberi dai vincoli del diritto d'autore. Vale a dire milioni di volumi, in barba ai 120 mila lanciati a Amazon.com lo scorso inverno, con il servizio "Search Inside The Book" (cerca nel libro). La gente comprera’ ancora libri? E lo fara’ di piu’ o di meno di prima? Una volta era una domanda che teneva svegli solo gli editori e i librai, ma anche questo e’ cambiato. Se l'informazione e’ potere, Google ha il potere di cambiare il mondo. E se la Microsoft questa volta e’ rimasta indietro, Bill Gates annuncia che la corsa a creare un motore di ricerca ancora piu’ efficiente e’ aperta. Nel 2006 Microsoft sara’ in grado di inserire nella prossima versione del proprio sistema operativo - nome in codice Longhorn - un grande motore di ricerca proprio. Cosa accadra’ allora a Google? Sara’ travolto come e’ accaduto a Netscape? Impossibile fare previsioni, in un momento di evoluzione frenetica della tecnologia. Come ha fatto notare l'autore di Jurassic park , Michael Crichton, una persona che nel 1900 avesse calcolato quanti esseri umani avrebbero popolato la Terra nel 2000, si sarebbe chiesto come trovare cavalli per tutti. "E che ne avrebbero fatto, si sarebbe domandato, di tutto quello sterco di cavallo?". Manera e Pratellesi _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 21 apr. ’04 LE BIBLIOTECHE? ESISTERANNO ANCHE DOPO GOOGLE" Un responsabile dell’associazione europea interviene nel dibattito sul futuro di un’istituzione che "Internet non ha ancora condannato a morte" "La cultura made in Google? Fantastica. Provi a digitare "Dante", in 26 secondi il motore di ricerca le fornira’ la bellezza di 2.690.000 voci da controllare. Avendo un paio d’anni a disposizione c’e’ da farsi una cultura". Non smette di sorridere Igino Poggiali, presidente dell’Istituzione biblioteche di Roma, ex presidente dell’Aib, ma soprattutto uno degli italiani chiamati a rappresentare il nostro Paese negli organismi internazionali per la tutela della conoscenza. Alla sentenza di morte che Internet avrebbe pronunciato nei confronti delle biblioteche non crede proprio: "E’ un imbroglio, anzi e’ un imbroglio atroce". Ma come si fa a negare che le biblioteche elettroniche stiano spodestando le biblioteche tradizionali? "Le biblioteche - spiega Poggiali - sono gia’ state date per morte mille volte, l’ultima quando sono usciti i primi supporti audiovisivi. Invece, si sono limitate a mettere sugli scaffali anche le cassette mentre la gente continuava furiosamente a chiedere libri. Anzi a chiederne sempre di piu’". Ma Internet e’ un’altra cosa... "Anche i libri, che puoi prendere, sfogliare, lasciare, leggere al tuo ritmo che non e’ quello della macchina, sono altro. Sono qualcosa di insostituibile". Resta il fatto, come ha documentato il Corriere di ieri, che negli Stati Uniti il pubblico delle biblioteche pubbliche e’ diminuito del 20%, tutto a vantaggio dei navigatori della rete. "Bisogna che ci intendiamo - insiste Poggiali - la differenza che c’e’ tra Internet e una biblioteca e’ simile a quella che c’e’ con una libreria. Dove magari trovi cataste di libri e, a parte qualche libraio competente, c’e’ solo qualcuno che, in fretta, cerca di venderti qualcosa. In biblioteca ci sono persone che hanno acquisito i documenti, selezionato un tema, confrontato i vari punti di vista e che sono in grado di offrire un quadro perche’ il cittadino si formi la propria personale opinione. Sa cos’e’ questo? E’ il principio fondamentale della liberta’". Vuole contestare Internet come luogo principe della liberta’? "E perche’ non dovrei: come ha dimostrato il recente summit voluto da Unesco e Ifla a Ginevra sull’informazione il primo problema della Rete e’ l’accesso. Perche’ la stragrande quantita’ di informazioni spazzatura sono gratis, ma le banche dati, dove c’e’ la qualita’ quelle sono a pagamento". Insomma Poggiali, detta cosi’, sembra una difesa d’ufficio delle vecchie biblioteche. "Vecchie? ma se dopo i militari siamo stati i primi al mondo a usare Internet. Lo sa che il sistema bibliotecario nazionale era in Rete nel 1986 quando aziende italiane andavano avanti allegramente con penna e calamaio. La verita’ e’ che le biblioteche sono protagoniste dello sviluppo piu’ avanzato della rete e oggi non c’e’ una struttura, anche piccolissima, che apra e che non abbia alcune postazioni collegate alla Rete. Che ha cambiato profondamente il nostro modo di lavorare". Per esempio? "Ora dobbiamo occuparci di selezionare una mole di materiale infinitamente piu’ vasta cercando di garantire che ogni idea, lecita naturalmente, possa arrivare al pubblico, senza censure. E selezionando l’autorevolezza delle fonti. Perche’ una norma trovata sul sito dell’Unesco e’ una cosa, le chiacchiere trovate chissa’ dove sono un’altra". E’ l’autorevolezza la sfida su cui Internet gioca il suo futuro? "Senz’altro e’ il tema centrale dell’inganno. Oggi la rete e’ uno strumento utile per chi sa ed e’ capace di discriminare una notizia. Per questo serviranno sempre le biblioteche, per consentire e aiutare tutti quelli che non possono permetterselo, di conquistare almeno un po’ di quella conoscenza che il potere acquisisce per se’". Paolo Fallai ================================================================== _______________________________________________________ L’Espresso 29 apr. ’04 DON VERZE’: SONO IL BISTURI DI DIO Ha fondato un grande polo sanitario e di ricerca. Ha trattato con i grandi della terra. E a 84 anni da’ ancora battaglia. A Bush Don Luigi Verze’ sta dritto come un fuso nei suoi 84 anni e guarda il mondo dall'alto. Non per l'eta’, che lo ha lasciato indenne nel fisico e nello spirito, non per la superbia che non sarebbe sentimento da prete, ma per la compiaciuta consapevolezza di stare in cima a un' impresa notevole. Da solo, su una testarda idea giovanile, scavalcando con disinvoltura gli ostacoli e considerando ogni aiuto un dono della provvidenza, ha edificato quel monumento alla buona sanita’ che e’ l'ospedale San Raffaele di Milano. Lo ha poi esportato dove ha potuto, gli ha affiancato un imponente centro di ricerca e un'universita’ in cui insegnano star della filosofia come Cacciari e Severino. Ci sarebbe di che fermarsi a bearsi del gia’ fatto, se non fosse che don Verze’ si sente e si muove come un guerriero nel pieno della forza, in perenne battaglia contro la malattia e la mortalita’ del corpo umano. Non possiamo che cominciare da questa sfida. Il suo istituto presto ci dara’ il segreto delle cellule staminali. Ma lei e’ uomo di Chiesa. Non sta correndo in un territorio proibito, non sta sfidando il potere di Di’o? «No, perche’ dove arriva l’intelletto umano c'e’ ancora moltissimo spazio prima di arrivare a Dio. Noi siamo il prodotto del suo amore, ma di un amore intelligente. Quando Dio ha fatto l'uomo gli ha trasmesso la sua intelligenza e gli ha dato mandato di usarla». Fino a quale limite? Lei ne ha trovato uno? «Per me scienza e fede sono sorelle gemelle. Stanno entrambe dalla stessa parte, non una di fronte all'altra come pensano molti ecclesiastici. L'unico limite e’ la ricerca seria, quella che da’ risultati veri e importanti». Anche quella che aspira all'immortalita’? «Secondo il mio parere, Dio non ha creato la morte». Davvero? «Lo dice il libro della Sapienza. Dio ha assunta forma tangibile affinche’ l'uomo lo conoscesse meglio attraverso i sensi. E noi che cosa facciamo del nostro aspetto carnaceo? Lo ignoriamo e non lo studiamo perche’ non siamo veri cristiani». Lei invece io studia. «Ho dedicato la mia vita a questo. Io sono un prete medico. Gesu’ disse predicate il regno di Dio e guarite gli infermi. Predicare senza guarire e’ dimezzare il mandato divino». Viene da pensare, come disse Cacciari, che la sua sia un'eresia umanistica. « Rispondo a lei come risposi a lui-. "No questa e’ teoantropologia", termine da me coniato che significa identificazione dell'uomo con Dio». Decise per queste idee di farsi prete? «Decisi a 12 anni, poi affinai il mio pensiero con la filosofia metodica. Ma c'e’ anche un fattore genetico che mi viene da mio padre. Era un logico con una netta idea del si’ e del no. I contadini ricorrevano sempre a lui per dirimere le cause. Anche con me fu netto quando mi diseredo perche’ andavo a farmi prete». Addirittura! Come mai era cosi’ contrario? «A distanza di anni ho capito che sperava che prendessi in mano A patrimonio di famiglia. Il giorno che me andai definitivamente da casa, cerco’ anche di fermarmi gettando sul tavolo un portafoglio gonfio di soldi. "Ti do tutta l'eredita’ se resti", mi disse. Mi sbarrava la porta con il corpo, ma io lo tirai da parte e citando il Vangelo, gli dissi che avrei avuto il centuplo in questa vita e poi la vita eterna». II centuplo l'ha gia’ realizzato. Si e’ poi riconciliato con suo padre? «si, ma sono rimasto senza eredita’. Ho avuto una miseria, quella obbligatoria per legge. Del resto mio padre pensava che stessi rinunciando all'insieme della vita: al patrimonio, ma anche alle ragazze. "Pensa che buggerata per te se l'inferno non c'e’, mi diceva. E io rispondevo: "Pensa che buggerata per te, se invece c'e’" ». E lei ha mai patito per quella rinuncia? «Io avevo avuto una buona educazione. Come san Luigi Gonzaga non guardavo mai in faccia mia madre, anche perche’ lei non e’ che si prestasse molto. Mi ricordo quando mi ha dato l'unico bacio della sua vita: era il giorno della mia cresima». Pero’ non mi ha risposto. « La sensibilita’ non l'ho mai persa, se e’ questo che vuole sapere. II controllo dei sensi non e’ una cosa impossibile. Le ragazze mi guardavano perche’ ero piuttosto bello, ma io avevo fatta una scelta. Vuole che le spieghi che cosa e’ per me il peccato?». Che cosa e’? «E’ la rottura della salute perfetta, cioe’ dell'armonia di corpo, psiche e spirito. E’ la disumanizzazione. Uccidere e’ peccato, fare la guerra e’ peccato. A Bush ho contestato di essersi abbandonato a una violenza personale, caratteriale, senza lavorare di intelligenza, cosa che avrebbe risparmiato molti guai a tutti. Ha commesso l'errore di portar via la regina delle vespe, e le vespe, che sono dappertutto, si sono messe a pungere all’impazzata » . Gli ha parlato veramente o lo ha contestato in cuor suo? «Questo non glielo posso dire, ma ci sono tanti modi di far sapere le cose. Avrei voluto anche parlare con Saddam, avevo preparato tutto e stavo per partire quando hanno chiuso lo spazio aereo». Ma davvero pensava di ammansire Saddam? «Ci avrei provato. Sono un pover'uomo che tentava di fare quello che non hanno fatto i grandi della terra. Del resto ci ero gia’ riuscito con Fidel Castro. L’ho aiutato molto ad evolversi. Ha visto come ha cambiato atteggiamento nei confronti della Chiesa? E’ venuto anche dal Papa, tanto che il Papa in seguito e’ andato a Cuba. Chi ha preparato tutto questo!». Lei? «Non lo sapeva? Lo sa tutto il mondo. Poi ovviamente c'e’ stato il decisivo intervento delle diplomazie. Stavo facendo un buon lavoro anche con Gheddafi, ma un attentato gli ha ucciso la figlia e non ha voluto piu’ andare avanti. Ma per Saddam ancora mi chiedo perche’ non hanno cercato di incontrarlo invece di mandare i cannoni. Forse perche’ ci sono di mezzo i pozzi di petrolio? ». Se Saddam era irraggiungibile, poteva almeno parlarne con il suo amico Berlusconi. «Ne abbiamo parlato, eccome. Guardi che Berlusconi la pensa come tutti noi, ma deve far vedere cosa vuol dire essere italiano». Cosa vuol dire? «Vuol dire essere coerenti. Lui dice che se si appartiene alla comunita’ occidentale, purtroppo bisogna fare anche quello che non si vorrebbe. Io so per certo che fino all'ultimo Berlusconi ha tentato di tutto, ha pregato Bush di non fare la guerra ma quello non ragionava piu’». Queste cose come le sa? «Non glielo diro’ mai. Ma Bush e’ un uomo cosi’. Dopo la caduta di Saddam gli ho mandato una lettera per dirgli che volevo fare un San Raffaele sul Tigri. Gli chiedevo un finanziamento ricordandogli che Baghdad e’ stata per secoli la culla della civilta’ e si merita anche un ospedale di alta cultura medica». Bush cosa le ha risposto? «Mi ha fatto scrivere: "Non e’ nel nostro costume finanziare ospedali, questo e’ compito delle fondazioni". Controrisposta di don Verze’: "E’ bravo a far la guerra, non e’ capace a far la pace" ». Lei ha molti amici, ma si e’ fatto anche un po' di nemici. «Macche’, le persone sono tutte uguali per me, non ho amici ne’ nemici. Quello che comanda e’ uno solo. Il presidente e’ Lui e sta lassu’». Qui giu’ pero’ qualcuno l'ha aiutata e altri no. Tra i primi chi ricorda con piu’ affetto? «Don Calabria, di cui sono stato segretario e il cardinale Schuster. Un santo e un beato che mi hanno spronato a portare avanti i miei progetti. La stessa cosa non si puo’ dire del cardinal Montini, poi papa Paolo VI». Vede che spuntano i nemici... «Non un nemico, ma una persona che quando era a Milano talvolta ascoltava troppo i suggerimenti della Curia. Dopo aver accolto con entusiasmo la mia idea per un ospedale che desse dignita’ e cura al malato, un giorno del 1959 mi disse seccamente: Lasci stare tutto e torni a fare il buon prete" ». Ma lei non ubbidi’. «Certa che no. Risposi: "Se non faccio cio’ che devo non saro’ mai un buon prete". I fatti mi hanno dato ragione». Non sempre. «A che casa si riferisce? ». A Roma non e’ riuscito a fare cio’ che sognava. Ha perso il suo ospedale modello. «A Roma c'era Rosy Bindi che faceva il ministro. Ancora non posso credere che una donna possa essere cosi’ cattiva, cattiva proprio dentro, nelle viscere. Mi disse: "Lo so bene che questo e’ l'ospedale piu’ bello d'Europa, ma lei lo deve vendere" ». Non le ha chiesto perche’? «Non ce n'era bisogno. Qualcuno aveva capito che il San Raffaele era una concorrenza terribile. A Roma c'e’ tutto; la sanita’ pubblica e quella privata di ogni colore politico». C'e’ anche ]'Universita’ Cattolica. «E’ lei che l'ha detto. Non io. Quando il sommo sacerdote Caifa chiese a Gesu’ Cristo: "Tu sei il figlio di Dio?, lui rispose "Tu lo hai detto". Capito? ». Capito. Ora pero’ sia piu’ esplicito. Che opinione ha di papa Wojtyla? «Questo grande papa ha adempiuto alla sua missione che era quella di traghettarci nella nuova epoca. Ma il prossimo passo dovra’ essere diverso». Diverso come? «La nuova era e’ tutta da disegnare e la persona che il Signore scegliera’ per fare il Papa dovra’ assumere atteggiamenti e decisioni piu’ realistici. Se Cristo si e’ fatto uomo per l'uomo, la Chiesa non puo’ lasciar scappare l'uomo troppo davanti a se’. Deve accompagnarlo e se l'uomo corre deve correre con lui». Si riferisce alla scienza? «Penso a molte cose, ma non voglia fare esempi. Dico solo che bisognerebbe sempre ricordare che non e’ l'uomo fatto per la Chiesa, ma il contrario». E’ da questa convinzione che le viene l'energia per costruire ancora? «Era ora che me lo chiedesse. Sto per varare grandi progetti e ancora non ne abbiamo parlato. A voi giornalisti interessa piu’ il passato che il futuro. Invece tra pochi giorni inaugurero’ quattro prime pietre che duplicheranno la capacita’ del San Raffaele». Allora mi perdonera’ se la tratto solo per un momento come se fosse anziano e le faccio la domanda di rito. E’ soddisfatto della sua vita? «Le confido la mia ultima ispirazione. L'ho avuta stamattina mentre pregavo e me la sono scritta. Eccola: mi sento al servizio di Dio per l'uomo e sono felice». Berlusconi ha detto che la dovrebbero fare beato in vita. «Se e’ per questo Fidel Castro, in due visite successive, mi ha detto: la Chiesa la canonizzera’ ». Le ha fatto piacere? «Per lui, perche’ taceva un bel pensiero. Devo dirle rutto? A me non importa proprio niente. Quello che io vorrei davvero, quando saro’ di la’, e’ raccogliere le lacrime dei troppi malati che piangano. Sto gia’ promettendo a molti che mi occupero’ di loro». Religione e ricerca 1920 Luigi Maria Verze’ nasce a il 14 marzo a Illasi, in provincia di Verona. E’ uno dei sei figli di Emilio, ricco proprietario terriero e dalla nobildonna Lucilla Bozzi. 1947 Novizio nel seminario di Don Luigi Calabria, poi santo, si laurea in Lettere e filosofia e l'anno successivo e’ ordinato sacerdote. 1952-1959 Si trasferisce a Milano, dove crea un centro di addestramento per ragazzi. Con la protezione dei cardinale Ildefonso Schuster, poi beato, comincia a progettare un "ospedale per i borghesi". 1960 Fonda l'Associazione San Romanello (nel 1969 ribattezzata Monte Tabor) per l'assistenza ai bambini e agli anziani. 1971 Realizza a Milano il primo nucleo dell'ospedale San Raffaele, oggi forte di 1300 posti letto per tutte le specialita’. 1990 Inaugura a Salvador de Bahia in Brasile l'ospedale Sa’o Rafael. Esportera’ il suo modello anche in Polonia, India, Cile, Israele. 1993 Fa nascere il Dibit (dipartimento di Biotecnologie) che, con oltre 300 scienziati, e’ il piu’ grande centro di’ ricerca privato in Italia. 1996 Affianca all'ospedale l'Universita’ Vita-salute, di cui e’ rettore e dove oggi sono attive le facolta’ di medicina, psicologia, filosofia e diversi corsi di laurea triennali. 1994-99 Costruisce a Roma il gemello del San Raffaele, grande ospedale che suscita molte ostilita’ e che viene venduto dopo lunghe polemiche. 2004 Decide di raccontarsi in un'autobiografia dal titolo "Pelle per pelle" che uscira’ a giugno per Mondadori. UN IMPERO A CACCIA DI FINANZIAMENTI Sara’ presente Berlusconi, il prossimo 3 maggio, quando Don Verze’ porra’ le prime pietre di quattro nuovi edifici: un centro di ricerche, il Dibit 2 (dipartimento di biotecnologie dedicato alla proteomica) con annesse aule universitarie; un albergo di 250 stanze per parenti di malati provenienti da fuori Milano; un nuovo pronto soccorso con vicino una sezione di ginecologia e di malattie materno-infantili; un asilo nido per i figli dei dipendenti. Il tutto per un costo previsto di 175 milioni di euro. E’ l'ultima iniziativa della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, costituita nel 1969, societa’ no-profit da 330 milioni di euro di fatturato annuo, che ogni anno investe in nuove strutture. L'attivita’ piu’ importante e’ rappresentata dall'Istituto scientifico universitario San Raffaele che ha oltre 3.400 dipendenti e compie oltre sei milioni di interventi sanitari l'anno. C'e’ poi il dipartimento di Biotecnologie (Dibit 1, al quale appunto si affianchera’ il secondo polo) che oggi e’ il piu’ grande centro privato di ricerca biomedica. Nel 1996 e’ stata fondata l'Universita’ Vita-Salute San Raffaele, con la facolta’ di Psicologia, cui si affianca, nel 1998, quella di Medicina e Chirurgia e, nel 2003, quella di Filosofia presieduta da Massimo Cacciari. Attraverso l’Aispo, Associazione Italiana per la solidarieta’ tra i popoli, la Fondazione opera in Europa, India, Africa, Israele e Brasile. L impero di don Verze’, infine, controlla diverse societa’ per azioni in campo medicale, tra cui Laboraf e Hsr Resinati. Nella piu’ importante, Mo1Med, il 18 marzo hanno fatto il loro ingresso con un capitale complessivo di 20 milioni di euro Fininvest, Herule Finance e Leonardo Finanziaria (Del Vecchio). Ma le spese (nonche’ i debiti) corrono e Don Verze’ lancia la sua prima campagna di raccolta fondi per le malattie cardiovascolari dal titolo "Un gesto di cuore per il cuore". D.V. _______________________________________________________ LA Nuova Sardegna 23 apr. ’04 POLICLINICO: NO AL PROTOCOLLO DEI GENERALI Ospedale universitario: scrive il sindacato in rivolta ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Lettera a tutti gli assessori regionali, ai presidenti della giunta e del consiglio, ai consiglieri della commissione sanita’, ai rettori degli atenei, ai direttori generali delle Asl di Cagliari, Sassari e Nuoro: gli stati generali dei sindacati dei medici sardi dettano le condizioni per evitare uno scontro molto temuto con le elezioni alle porte. Ci pensano da settimane, ma la scoperta degli ultimi giorni e’ considerata uno schiaffo inaccettabile alla dignita’ e agli interessi della categoria. La bozza di protocollo elaborata da una commissione nominata mesi fa dall’assessore alla sanita’ aveva il pregio di stabilire equita’ di trattamento tra universitari e ospedalieri ma questa equita’, valore riconosciuto del documento non soltanto per i medici ospedalieri, risulterebbe adesso azzerata in seguito ad alcuni ritocchi chiesti dagli universitari. E sarebbe proprio il documento a equita’ zero che la giunta si prepara a discutere nella seduta di martedi’ prossimo. Nella vicenda c’e’ anche un retroscena che spiega da un lato l’attesa dei sindacati medici e dall’altra lo sbigottimento di questi giorni. Due settimane fa le otto sigle che compongono l’intersindacale medica/sanitaria avevano tirato fino all’una del mattino in un incontro informale dove, in sintesi, si era parlato di riscrivere ancora la bozza con l’impegno di ristabilire l’equita’ del primo documento. Da allora i sindacati hanno puntualizzato pubblicamente almeno in un paio di occasioni quali siano le necessita’ della componente ospedaliera, secondo loro questo non e’ bastato a restituire l’equilibrio necessario alla bozza, ma il documento, martedi’, andra’ in giunta lo stesso (qui sta la ragione dello sbigottimento). Cosi’ (siamo alla reazione) hanno scritto alle figure politiche che riceveranno il documento perche’ si sappia qual’e’ l’idea degli ospedalieri, formalmente fuori dai patteggiamenti (per legge il protocollo lo devono fare Regione e Universita’), ma sostanzialmente dentro fino al collo perche’ nell’azienda mista, se gli universitari saranno tutti generali, a far da truppa dovranno adattarsi loro. Ecco i sei punti chiave. Rapporti convenzionati. Devono cessare dal momento in cui entra in vigore il protocollo, gli universitari ora sparsi tra Binaghi, Santissima Trinita’ e Marino devono andare nell’azienda mista. Impensabile quel che e’ stato chiesto: mantenere alcuni professori nei loro attuali reparti dentro gli ospedali. Si tratta di strutture ospedaliere di cui e’ universitaria solo la direzione: la Asl 8 deve potersi riprendere quegli spazi per destinarli a dirigenti ospedalieri oppure per chiuderli e convertirli in qualcos’altro. Orario di lavoro. Gli universitari devono dedicare il 50 per cento del loro orario all’assistenza, il resto alla didattica e alla ricerca. Per gli ospedalieri si vorrebbe che l’intero orario di lavoro fosse di assistenza: didattica e ricerca eventualmente svolte dovrebbero andare fuori dalle 38 ore settimanali. Un no secco a questa discriminazione, incomprensibile vista la quantita’ di ospedalieri che fanno ricerca e seguono gli specializzandi. Pensione degli universitari. Per legge, didattica e ricerca devono essere legate all’assistenza. Sempre per legge un medico che assiste pazienti deve andare in pensione a 67 anni. Ma, ancora per legge, gli universitari possono continuare a insegnare e a studiare fino a 72 anni. Ecco percio’ che gli ospedalieri esigono che si fissi la quota di assistenza minima necessaria per gli universitari che continuano a insegnare e a far ricerca: altrimenti di fatto i professori lavorano a tempo pieno fino a 72 anni e gli ospedalieri se ne devono andare cinque anni prima. Primariati. Gli ospedalieri non accettano che semplici ricercatori universitari diventino direttori di dipartimento. Scelta. Gli ospedalieri che entreranno nell’azienda mista devono mantenere le attuali qualifiche e devono poter decidere di restare nella Asl. Informazione. Nel protocollo va precisato che l’Universita’ ha l’obbligo di informare la Regione sugli atti che possono incidere sulla gestione dell’azienda mista. Traduzione: l’Universita’ puo’ nominare i professori che vuole e avviare i corsi di insegnamento che preferisce. Ma non deve pretendere, come e’ successo in passato, che per tutti il sistema sanitario costruisca una divisione con posti letto, personale ecc. _______________________________________________________ LA Nuova Sardegna 22 apr. ’04 POLICLINICO: PROTOCOLLO, OSPEDALIERI ALLA GUERRA I sindacati temono che la Regione vari la bozza sbilanciata sull’universita’ CAGLIARI. Giallo politico-sanitario a un passo dalla fine della legislatura col rischio che, per accontentare qualche appetito di troppo sull’ospedale universitario, resteranno tutti a bocca asciutta. Vale a dire senza protocollo d’intesa per l’azienda mista, con gli ospedalieri in subalternita’ eterna degli universitari e questi ultimi che continueranno a lavorare in una facolta’ con una marcia in meno: quella europea. Il giallo e’ questo: gli ospedalieri rappresentati dai sindacati sono in rivolta di nuovo contro il rimaneggiamento a sorpresa della bozza di protocollo che teneva in buon equilibrio le aspettative degli uni e degli altri, ma negli uffici della Regione e’ arrivata la voce che, invece, gli ospedalieri sono d’accordo anche sui rimaneggiamenti. A rigor di logica non sembra possibile: la bozza seconda versione contiene alcuni interventi giudicati troppo favorevoli per gli universitari e per questo respinti da tutte le sigle sindacali dei medici ospedalieri sia attraverso comunicati divulgati immediatamente dopo il rimaneggiamento, sia con interviste. Com’e’ che circola la voce secondo la quale i sindacalisti si sono ritrovati improvvisamente tutti d’accordo su punti quali la differenza di pensionamento tra dottori e professori, la possibilita’ che un semplice ricercatore diventi primario e altre correzioni tutte sbilanciate sul sistema universitario? Si racconta che la vicenda del protocollo rimaneggiato abbia creato non pochi problemi nella maggioranza. Per esempio sembra che stia succedendo questo: in Forza Italia c’e’ chi si sente molto vicino all’Udc che appare sensibile alle richieste degli universitari, ma nella base di Forza Italia c’e’ una vasta rappresentanza del mondo ospedaliero che comincia a esprimere un malcontento pericoloso alle soglie delle elezioni. Poi Sassari: dove tutto e’ pronto per varare l’azienda mista e gli interventi che hanno squilibrato la bozza di protocollo non sono stati visti con favore anche in ambiente universitario perche’ rischiano di respingere in alto mare un lavoro faticosamente condotto proprio dai due presidi delle facolta’ di Medicina sarde. Le rappresentanze sindacali dei medici si preparano a rispondere per iscritto: per denunciare lo sbigottimento di fronte al fatto che qualcuno si venda un consenso mai ottenuto e per ribadire, ancora una volta, che mai si accettera’ di far da truppa per i generali dell’universita’. C’e’ approvazione negli ambienti ospedalieri intorno a questa posizione e i sindacati si muovono con sicurezza al punto da lanciare l’avvertimento che la categoria puo’ decidere di denunciare il problema all’opinione pubblica attraverso il primo sciopero esclusivamente regionale dei medici sardi. Altro aspetto di primaria importanza nella vicenda del protocollo riguarda i posti letto che devono essere assegnati all’azienda mista. La legge stabilisce che i posti letto siano parametrati sul numero di iscritti al primo anno di Medicina. Ma gli ospedalieri accusano gli universitari di voler un’aggiunta di posti letto per le scuole di specializzazione. Questo farebbe crescere il parco letti. Che male c’e’? I sindacati ospedalieri temono che, senza un piano sanitario che fissi il tetto di posti letto ammesso in Sardegna e quindi li ripartisca, se l’azienda mista nascera’ prima che sia fissato il tetto potra’ sperare di fare man bassa e poi, i tagli, andranno a discapito degli altri ospedali, grandi e soprattutto piccoli. (a. s.) _______________________________________________________ LA Nuova Sardegna 20 apr. ’04 POLICLINICO: "PATTI CHIARI TRA OSPEDALI E ATENEO" L’intesa fra le due istituzioni deve disciplinare la didattica e la ricerca CAGLIARI. Se il matrimonio tra ospedale e universita’ s’ha da fare, non potendo essere un matrimonio per amore, sara’ un matrimonio per interesse, ma facciamo almeno in modo che l’interesse sia reciproco: e’ l’invito contenuto in una nota stampa diffusa ieri da Anaao Assomed, Anpo, Cimo Asmd, Aaroi, Cgil medici, Cisl medici, Snabi e Cumi-Uil. Le organizzazioni dei medici accusano il rettore Pasquale Mistretta di aver fatto confusione, in alcune dichiarazioni pubbliche, tra protocollo d’intesa Regione-Universita’ e la creazione delle aziende miste: "Il protocollo - scrivono i sindacati - deve disciplinare i rapporti fra le due istituzioni per quanto concerne l’attivita’ istituzionale di quest’ultima, ovvero la ricerca e la didattica". Per le organizzazioni sindacali "le aziende miste sono una delle modalita’ attraverso le quali si realizza quest’integrazione tra Universita’ e Servizio sanitario nazionale, ma la loro istituzione non puo’ prescindere dal piano di razionalizzazione delle rete dei servizi ospedalieri". Proseguono i sindacati: "Se il rettore si preoccupa tanto della validita’ europea delle lauree brevi puo’ mettersi d’accordo con la Regione per un protocollo che non disciplini l’istituzione di nuove aziende e contenga solo la parte dedicata alla formazione. Tuttavia - va avanti la nota - se il protocollo contempla l’istituzione di aziende miste ospedaliero-universitarie e’ quantomeno ragionevole che la componente ospedaliera, che vi dovra’ confluire, si adoperi perche’ si addivenga a un documento condiviso". Riconosciuto che "il protocollo - come ha detto Mistretta - assicura la partecipazione piena degli ospedalieri alle attivita’ formative" i sindacati affermano che lo stesso protocollo "non disciplina compiutamente alcuni aspetti che appaiono essenziali, in particolare l’eta’ di pensionamento dei professori universitari e la possibilita’ che anche i ricercatori possano dirigere strutture complesse". Dubbi e perplessita’ restano infine - secondo i sindacati dei medici - sulla disciplina dell’orario di lavoro, materia complessa da regolamentare soprattutto nella sanita’. "Cio’ che i medici ospedalieri chiedono con forza - si conclude la nota - e’ che gli atti che disciplineranno i futuri rapporti tra mondo ospedaliero e universitario siano improntati alla massima chiarezza e al rispetto assoluto dei rispettivi ruoli, rispetto che non puo’ non contemplare pari opportunita’ di sviluppo e di carriera". _______________________________________________________ Repubblica 24 apr. ’04 CAMICI BIANCHI IN PIAZZA A ROMA Trentamila medici hanno sfilato per le vie di Roma per chiedere il rinnovo del contratto e per difendere il diritto alla salute "No alla devolution sanitaria" Il ministro Sirchia: "Hanno ragione a protestare per il contratto. Meno credibili se paventano la fine del Servizio sanitario" Il corteo dei camici bianchi ROMA - Chiedono il rinnovo del contratto, ma soprattutto sono scesi in piazza per difendere il "diritto alla salute". C'e’ scritto proprio cosi’ sul grande cartello che trentamila medici (secondo gli organizzatori della minifestazione), hanno innalzato sotto il Campidoglio. La manifestazione che oggi ha portato a Roma i camici bianchi ha un nemico preciso: la devolution sanitaria. E un obiettivo: la difesa del servizio sanitario pubblico minacciato dai continui tagli, che mettettono appunto in pericolo la salute dei cittadini. Un obiettivo sostenuto da tutte le sigle sindacali della categoria che dicono "no a una sanita’ per i ricchi e una per i poveri". Un pericolo che il ministro della Salute Girolamo Sirchia non sembra intravedere. "I medici - ha dichiarato il ministro intervenendo a un convegno sulla terapia del dolore a Parma - hanno ragione a protestare per un contratto scaduto ormai da tempo. Meno credibile e’, invece, la ragione delle loro lamentazioni riguardo a una paventata scomparsa del sistema sanitario nazionale". Il ministro ha assicurato che sta lavorando affinche’ il contratto venga firmato al piu’ presto, ma si e’ detto meno d'accordo sulle altre ragioni che hanno indotto lo sciopero di oggi. "Mi sembra - ha spiegato - che si sia creata una paura eccessiva sul federalismo sanitario", mentre "sono ancora meno credibili le proteste su una possibile scomparsa del servizio sanitario nazionale". A sfilare, camice bianco indosso, sono arrivati da tutta Italia. E ci sono tutte le categorie rappresentate: medici e dirigenti ospedalieri, medici di famiglia, guardie mediche, pediatri, specialisti di ambulatorio, veterinari. Si sono dati appuntamento alle 10.30 in piazza della Repubblica. E si sono ritrovati in tanti: secondo i sindacati l'adesione alla manifestazione ha superato l'80 per cento. "Siamo molto soddisfatti: in trentamila abbiamo detto di no all'attuale politica sanitaria", ha spiegato Domizio Antonelli, segretario nazionale del Coas, uno dei sindacati piu’ rappresentativi dei medici ospedalieri. Presenti anche le tre federazioni di categoria dei medici aderenti a Cgil, Cisl e Uil. Il segnale che arriva al governo e’ chiaro: o un'immediata convocazione a palazzo Chigi o si profilano altri scioperi della categoria. "Ognuno si assuma le sue responsabilita’ - ha dichiarato Serafino Zucchelli, segretario nazionale dell'Anaao-Assomed, associazione dei medici ospedalieri - noi siamo pronti a tutto". _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 apr. ’04 OSPEDALI ITALIANI PIU’ ATTREZZATI PER CURARE I TUMORI ROMA e Passi avanti rilevanti nell'oncologia italiana degli ultimi tre anni, soprattutto al Sud. Almeno secondo la fotografia del secondo libro bianco dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), illustrato ieri a Roma. Motore di questa accelerazione nella lotta al cancro sono le apparecchiature diagnostiche: le strutture definite d'eccellenza (dotate di almeno una Tac e una risonanza magnetica) sono passate dal 9,3% del totale, registrato nel 2001, a oltre il 50 per cento. E la Pet (tomografia a emissione di positroni), quasi una sconosciuta tre anni fa, oggi funziona nel 10% dei centri. Ma i segni del balzo in avanti non finiscono qui: i posti letto in day hospital sono aumentati del 30%, i servizi di terapia del dolore sono piu’ che triplicati, l'assistenza psicologica e domiciliare e’ diventata appannaggio di 7 centri su 10 (contro i 2 su 10 di tre anni fa). «Risultati sorprendenti e insperati - ha commentato il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, intervenuto alla presentazione dello studio -: non dobbiamo sederci sugli allori ma basta denigrare il Servizio sanitario nazionale. Una volta si moriva di tumore al 100%, oggi guarisce ti 50% dei casi. Un progresso enorme, ottenuto grazie ai medici oncologi e allo sforzo delle Regioni». II censimento ha riguardato 319 strutture (sulle 362 esistenti in Italia), 39 in piu’ rispetto al libro bianco del 2001. «Spicca la riscossa del Meridione», ha sottolineato il presidente dell'Aiom, Roberto Labianca. Il Sud (dove pero’ le strutture sono il 26% del totale, contro il 50% del Nord) ha scavalcato il resto del Paese per numero medio di oncologi medici e di psicologi presenti in ogni struttura: 3,8 i primi (contro i 3,6 di Nord e Centro) 1,6 i secondi (contro l'1,3 di Nord e Centro). Anche gli infermieri sono cresciuti ovunque: erano 8 per struttura, ora sono 10. Piu’ operatori, piu’ attivita’: le visite ambulatoriali sono aumentate del 14,5% in tutta Italia. «Al Nord - ha aggiunto Carmelo Iacono, segretario nazionale Aiom - 4 strutture di radioterapia su 10 hanno posti letto, mentre al Sud sono quasi 6 su 10. E il Meridione e’ arrivato al62% di strutture con un servizio di cure palliative, vicino al 67,5% del Nord, anche se resta indietro nel day hospital: la disponibilita’ di posti letto e’ inferiore del 30% rispetto a Nord e Centro». «La ricetta vincente e’ la struttura a rete - ha ribadito Sirchia -: sono indispensabili centri di riferimento, che sostengano i presidi ospedalieri e favoriscano l'implementazione di linee guida per uniformare i protocolli di diagnosi e cura». Ma molto resta da fare, ha precisato il ministro, in termini di stili di vita e prevenzione. E rimane il tasto dolente delle attese. Secondo l'ultimo rapporto del Tribunale dei diritti del malato, riferito al 2003, occorre aspettare quattro mesi per quasi tre quarti delle mammografie, 60 giorni per meta’ delle risonanze magnetiche e fino a cinque mesi per una Tac. Per non parlare della radioterapia: i tempi oscillano tra i 30 e i 90 giorni, in particolare al Sud e nelle Isole. Dove i centri sono la meta’ rispetto al Nord. MANUELA PERRONE _______________________________________________________ Il Sole24Ore 18 apr. ’04 MOLTE CURE, UNA SOLA BIOLOGIA Pranoterapia chiropratica shiatsu, riflessologia e altre tecniche non vanno demonizzate, ma non devono neppure sottrarre risorse preziose alla ricerca scientifica convenzionale DI CLAUDIO RUGARLI E GIORGIO COSMACINI Abbiamo letto su «II So1e-24 Ore» di domenica 4 aprile la lettera di Daniele Biondelli e la risposta dei professori Antiseri e Federspil, autori di un articolo pubblicato la settimana precedente, e vorremmo fare qualche osservazione sulle medicine cosiddette non convenzionali e sulla legge che sara’ presentata tra poche settimane alla Camera dei Deputati sulla disciplina del loro insegnamento e della loro pratica. Precisiamo che su questo argomento siamo pienamente d'accordo con i professori Antiseri e Federspil; ma precisiamo anche che, come loro, non e’ nostra intenzione mandare nessuno al rogo o comunque dare, anche se in forme piu’ blande, manifestazioni di intolleranza. AL contrario, possiamo assicurare che non abbiamo mai sollevato un contenzioso con gli ammalati che si affidano alle nostre cure qualora essi decidano, per loro libera volonta’, di rivolgersi anche a coloro che esercitano le cosiddette medicine alternative, pero’ con la riserva di esprimere onestamente la nostra opinione in proposito e di sconsigliarli vivamente se questa frequentazione ci sembrasse andare a scapito di pratiche terapeutiche di provata efficacia e senza le quali la salute dei nostri assistiti potrebbe essere compromessa. A questo proposito deve anche essere aggiunto che noi mancano, nella nostra esperienza, casi nei quali questo e’ realmente avvenuto. Danni alla salute si sono verificati in pazienti che si sono affidati alle medicine alternativi mentre avevano bisogno di buoni medici con competenze "convenzionali", per usare il linguaggio dei proponenti della legge in discussione. Per fortuna cio’ e’ accaduto raramente, poiche’ ben noto che i praticanti in medicine non convenzionali sono pronti a indirizzare loro pazienti ai colleghi che praticano la medicina "scientifica" quando percepiscono che, sotto i disturbi lamentati dai loro pazienti, esistono problemi organici di una certa importanza. Tuttavia possibile che, a causa della mancanza di una esperienza questa si "convenzionale” la sagacia clinica di questi professionisti non sia di altissimo livello e che essi tardino a riconoscere situazioni pericolose e a consigliare per il meglio i loro pazienti. Le conseguenze, in tali casi, possono essere anche molto spiacevoli. Non e’ pero’ questo argomento, pur non irrilevante, che ci spinge a scrivere la presente lettera. La nostra e’ una preoccupazione culturale. E perche’ la discussione sia pacata saremo grati ai nostri eventuali interlocutori se si astenessero dall'attribuirci arroganza accademica e conservatorismo, cosi’ come noi riteniamo di dover raccomandare a chi la pensa come noi di astenersi dal parlare di interessi economici da difendere. Siamo convinti che, anche tra chi crede nelle cosiddette medicine non convenzionali, vi siano persone con passione morale e curiosita’ intellettuale. Lo studio delle scienze, e della medicina che su queste si basa, e’ un esercizio faticoso e difficile e qualcuno e’ forse tentato dalle scorciatoie. Ma e’ ben vero che la ricerca di vie alternative alla medicina scientificamente fondata riflette una delusione diffusa verso i limiti delle scienze e della medicina stessa, delusione che talora o sovente e’ alimentata dai medici medesimi per difetto di comunicazione e di partecipazione. La medicina scientifica moderna nasce dalla consapevolezza che la vita umana non si sottrae alle leggi della biologia, nonche’ della fisica e della chimica, cui non possiamo in alcun modo esimerci dal fare ricorso quando la vita stessa e’ cimentata dalle malattie e da queste messa a repentaglio. E’ pur vero che limitarsi a pensare all'uomo considerandone soltanto la corporeita’ biologica, biofisica, biomolecolare e’ riduttivo, ma tal corporeita’ e’ il ricettacolo primo della vita e della morte, e comunque, se ci si rivolge - com'e’ doveroso - alla completezza biografica della persona umana, non e’ la chimica, fisica, biologia alternativa che bisogna ricorrere, bensi’ al rapporto antropologico interpersonale, tra il medico e il malato, e alla psicologia, alle scienze umane, alla filosofia. _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 18 apr. ’04 L'OMS CONTRO IL VINO Mentre l'abuso di alcol e’ una piaga mondiale, diversi studi convalidano l'idea che il consumo moderato faccia bene. Ma quanto «moderato»? Ora, gli esperti internazionali denunciano l'ambiguita’ di questo messaggio, che promuove gli eccessi. FRANCA PORCIANI Secondo l’Istat ogni anno in Italia 40mila persone muoiono per patologie dovute all'abuso di alcol e un milione sono alcolisti cronici Vuoi un bicchierino? Domanda lecita, anzi, cortesia d'obbligo nella nostra cultura. Nessuno pensa di mettere a repentaglio la salute altrui con un'offerta del genere. Ma il terreno della cortesia diventa scivoloso se si ragiona in termini di tasso alcolico: il drink in Italia corrisponde a 12 grammi di alcol, in Gran Bretagna a 8, negli Stati Uniti a 14, in Giappone a oltre 19. Paese che vai etanolo che trovi, insomma. Una variabilita’ che fa capire la pericolosa approssimazione di quel «il vino fa buon sangue» che recitava un vecchio proverbio. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanita’ l'insidia per la salute sta proprio nell'ambiguita’ dell'invito alla moderazione che, impreciso in termini di dosi, finisce per enfatizzare i lati positivi dell'alcol allontanando l'idea del danno. Le prove a favore Qualche anno fa un programma televisivo americano, Sessanta Minuti, dedico’ alcune puntate ai benefici di un consumo moderato di alcolici; nel mese successivo le vendite di vino aumentarono del 40% in tutti gli Stati Uniti. Ma da dove e’ scaturita l'idea dell'effetto benefico del vino a piccole dosi? Una base scientifica c'e’, in realta’. Le ricerche hanno dimostrato che per gli uomini dai 45 anni in su e per le donne oltre i cinquanta, bere due o tre bicchieri di vino al giorno (circa 30 grammi di etanolo) riduce il rischio di infarto del 20-30%. Il perche’ non e’ ancora chiaro: alcuni studi hanno messo in evidenza la capacita’ del vino di alzare il colesterolo "buono", altre l'azione dilatante sulle arterie. I danni certi «Che bere faccia bene alla persone giovani e’ tutto da dimostrare; e’ certo, invece, che l'alcol aumenta il rischio di incidenti alla guida, ha un effetto tossico diretto sul fegato, e’ coinvolto nella comparsa di diversi tumori, altera i processi di memorizzazione» sottolinea il Report dell'Oms. Gli effetti cancerogeni dell'alcol, pur ben documentati sulla laringe, l'esofago, il fegato, il seno e il colon, sono rimasti nell'ombra da quando si e’ scoperto che nella buccia dell'uva nera (quindi, nel vino rosso) e’ presente il resveratrolo. La rivista Science nel 1997 ne ha "consacrato" l'azione antitumorale, ma lo studio era sul topo; per l'uomo il beneficio e’ per ora ipotetico. Ciononostante questa notizia, come altre, ha contribuito ad alimentare la certezza che il vino sia salutare. Mica tanto: solo in Italia 40.000 persone muoiono ogni anno in seguito a malattie dovute all'abuso di alcol, compresi gli incidenti stradali, e un milione sono alcolisti cronici (dati Istat). Il Report dell'Oms, mentre sottolinea il fallimento del messaggio «bere poco fa bene», chiede misure forti per limitare il consumo: ridurre la pubblicita’ degli alcolici e alzarne il prezzo, come si e’ fatto con le sigarette. Che il costo della bottiglia abbia il suo peso e’ dimostrato da ricerche condotte in Inghilterra e da quanto avvenne in Russia nel 1985 quando Mikhail Gorbaciov dichiaro’ guerra alla produzione illegale di alcolici: il numero di decessi correlati all'abuso nei cinque anni successivi calo’ dell'll%. Da noi la legge quadro sull'alcol del marzo 2001 ha proibito la vendita di superalcolici in autostrada dalla 22 alle 6 del mattino e la pubblicita’ radiotelevisiva nella fascia oraria 16-19. Una campagna "forte" Ma quella che ora invoca l’Oms e’ una guerra al vino, destinata ad incontrare la granitica resistenza di un'industria piu’ che fiorente. «Le campagne di penalizzazione di certi costumi in nome della salute mi lasciano perplessa - commenta Nerina Dirindin, docente di economia sanitaria all'Universita’ di Torino - perche’ finiscono, come e’ successo col fumo, per colpevolizzare il singolo. Un braccio di ferro con l'industria non e’ possibile; bisogna piuttosto lavorare d'intesa con quest'ultima per promuovere una campagna d'informazione precisa sul consumo moderato. I limiti oltre i quali si mette a rischio la salute non sono chiari? Vediamo di chiarirli». La consapevolezza Ma puo’ esserci davvero un ruolo dell'industria nella prevenzione? «Credo di si’ - risponde Riccardo Gatti, Direttore del Dipartimento per le dipendenze dell'Asl di Milano -. Oggi in ambito commerciale si comincia ad essere consapevoli che il mercato dello "sballo" e dell'alterazione mentale non paga. Chi si ubriaca provoca danni a se’ e agli altri, non e’ un buon testimonial dei prodotti che usa. L'industria si sta accorgendo che i clienti sono una risorsa fondamentale del mercato e lo sono ancora di piu’ se si’ conservano in buona salute». Sara’ questa new economy della consapevolezza il punto d'incontro fra gli intenti dell'Oms e gli interessi dell'industria? Bere nuoce gravemente alla salute, esattamente come fumare. E come non c'e’ pieta’ per le sigarette leggere, non c'e’ dose moderata di alcol che tenga. Vino e superalcolici sono dannosi quanto la nicotina e il catrame che si liberano dal mozzicone acceso. Con questo messaggio forte l'Organizzazione Mondiale della Sanita’ annuncia dalle pagine della rivista Nature una campagna di sensibilizzazione sui danni dell'alcol intensa quanto quella combattuta di recente contro le sigarette. il documento, appena elaborato da una commissione di esperti, sara’ al centro del meeting annuale dell'Oms che si terra’ a Ginevra in maggio: ne dovrebbero scaturire linee di azione rivolte ai governi, all'industria del settore (floridissima, nel mondo si producono ogni anno 267 milioni di elettolitri di vino), ai media, al pubblico. Ma l'allarme e’ giustificato? Lo e’ in particolare in Italia, secondo produttore di vino nel mondo, ma anche Paese con un tasso di alcolismo tutto sommato modesto? DOVE IL "ROSSO" FA BUON SANGUE Uno dei fenomeni che piu’ ha contribuito al messaggio bere con moderazione fa bene, e’ il cosiddetto "paradosso francese". Tutto comincio’ negli anni Ottanta dalla scoperta che fra i’ francesi, grandi consumatori di grassi animali (burro anzitutto), la mortalita’ per malattie di cuore era sensibilmente piu’ bassa rispetto agli abitanti degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti. La chiave di lettura di questa apparente contraddizione fu individuata nell'elevato consumo di vino rosso; comincio’ cosi’ la corsa a scoprire quale magico fattore terapeutico si nascondesse nel calice del Bordeaux. Tante le sostanze individuate: flavonoidi e tannini con il loro benefico effetto antiossidante, fino al resveratrolo, che oltre a proteggere dai tumori, svolgerebbe una marcata azione a favore del colesterolo "buono", capace di tenere pulite le arterie. Uno studio recente ha rivelato che i polifenoli contenuti nell'estratto di vino rosso bloccano, addirittura, la produzione di endoteli’na-1, un potente vasocostrittore. La questione non e’ ancora risolta, comunque: il ruolo centrale del vino nella salute dei francesi e’ contestato da altri ricercatori che sostengono l'origine genetica di questa parziale immunita’ alle malattie cardiache. _______________________________________________________ Libero 20 apr. ’04 L'ECCESSIVO TESTOSTERONE PUO’ CAUSARE L’AUTISMO La produzione di troppi ormoni rende incapaci di comunicare di EliO SPAffTI CAMBRIDGE – Una recente scoperta inglese apre nuove prospettive di cura dell'autismo. L autismo potrebbe infatti essere collegato alla presenza di un livello elevato di testosterone nel sangue del nascituro. E’ quanto emerge da una nuova ricerca britannica, condotta da un team dell'Universita’ di Canibridge e diretta da Simon Baron-Cohen. Tale scoperta va a corroborare un'ipotesi avanzata di recente'da questo studioso, stando alla quale i tratti comportamentali dei soggetti affetti da autismo rappresenterebbero a tutti gli effetti un'estremizzazione delle caratteristiche psicologiche maschili. Non solo, ma lo studio di Baron-Cahen suggerisce anche che tale patologia sia di origine genetica, e che possa quindi essere rilevata con degli appositi test pre-natali. Gli studiosi britannici si sano focalizzati su 70 bimbi le cui madri si erano sottoposte prima della nascita all'amniocentesi (un test che permette di identificare la presenza di gravi malformazioni nel feto). Baron-Cohen e colleghi hanno esaminato i’ livelli di testosterone (il principale ormone maschile) contenuti nei feti durante la gravidanza; non salo, ma all'eta’ di quattro anni tutti i piccoli sono stati sottoposti a dei test psicologici atti a rilevare ogni sintomo di difficolta’ sociali e comportamentali (caratteristiche che sono associate normalmente all'autismo). " E, stando ai dati raccolti dal team inglese, i bambini che durante la gravidanza hanno prodotto un livello elevato di testosterone hanno dimostrato di incontrare difficolta’ di inserimento sociale molto maggiori della media: In alcuni studi precedenti Baron-Cohen ha evidenziato-che gli uomini sarebbero mediamente molto piu’ metodici e molto piu’ metodici ed empatici (cioe’ capaci di comprendere le emozioni altrui e socializzare) delle donne, due tratti che contraddistinguono anche (in forma estrema) il comportamento degli autistici. Di conseguenza lo studioso ha ipotizzato che tale patologia possa rappresentare una sorta di "Radicalizzazione" della psicologia maschile e grazie a tale studio, questa idea riceve ora una conferma sperimentale. _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 22 apr. ’04 NUOVO MARCATORE DEL CANCRO AL SENO Pillole dall'estero PARIGI - Un marcatore del cancro al seno, in grado di migliorare la diagnosi e la scelta della terapia piu’ adatta alla paziente e’ stato scoperto da un gruppo coordinato da Genevie’ve Almouzni del Curie Institute di Parigi. Battezzato Caf1, e’ un fattore prodotto dal tumore che induce la proliferazione delle cellule e quindi la sua crescita. La relazione scientifica della scoperta e’ stata pubblicata sulla rivista "Cancer Research". La validita’ di Caf-1 come marcatore tumorale potrebbe essere estesa anche alla diagnosi di altri tumori. «CAF-1, spiega la Almouzni e’ una sigla che sta per "fattore di assemblaggio della cromatina". che non e’ altro che il DNA completo delle proteine attorno alle quali la doppia elica stessa si attorciglia, compattandosi in pochissimo spazio e assumendo la forma di una collana di perle». L'assemblaggio e la disaggregazione della cromatina, operazione quest'ultima che permette al DNA di attivarsi, sono passaggi critici per una cellula perche’ preludono a molte sue fasi tra cui quella di moltiplicazione. CAF-1 aiuta la proliferazione delle cellule proprio perche’ favorisce questi passaggi fisici della cromatina. _______________________________________________________ Il Corriere della Sera 22 apr. ’04 UNA MAPPA ELETTRONICA PER COMBATTERE I TUMORI Nasce «Sportello Cancro», iniziativa della Fondazione Veronesi e di Rcs. Un esperimento senza precedenti in Europa. «La mortalita’ e’ in calo» Gia’ online sette regioni italiane, censiti 700 ospedali e 3.500 medici Pappagallo Mario MILANO - «La lotta contro il cancro va avanti con successo, tanto che per tutte le tipologie della malattia la curva della mortalita’ e’ discendente. Ma c' e’ un' eccezione in cui gli studiosi stanno verificando un incremento dei casi di morte: il tumore del polmone nella donna». L' oncologo Umberto Veronesi ha fatto il punto sul «male incurabile», che incurabile non e’ piu’, alla presentazione di «Sportello cancro», un' iniziativa del Corriere online e della «Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle scienze». Un archivio elettronico sulle neoplasie in Italia, nato dalla collaborazione tra esperti della divisione sistemi di Rcs Media Group e specialisti dell' Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, senza precedenti in Europa e forse nel mondo. Perche’? Perche’ a crearlo e’ stato un giornale e non un' universita’ o un ministero. Ieri e’ stato presentato nella sala Montanelli, in via Solferino, dal presidente di Rcs Cesare Romiti, dal professor Umberto Veronesi, dal direttore del Corriere della Sera Stefano Folli e dal responsabile del Corriere online Marco Pratellesi. «Quando all' inizio del 2003 - ha ricordato Folli - abbiamo deciso, sull' esempio americano, di realizzare un sito di informazione sull' oncologia non pensavamo di arrivare cosi’ lontano. Volevamo realizzare un servizio per i cittadini che affrontano una malattia tanto difficile. Una "mappa della speranza", immediatamente disponibile e facilmente raggiungibile da tutti. Un aiuto "concreto", con informazioni sempre aggiornate nella scelta di un centro adeguato. Ma l' incontro con la Fondazione Veronesi, che ha arricchito la nostra capacita’ specifica di fare informazione e divulgazione medico-scientifica, ha reso questo progetto molto piu’ ambizioso. Per la prima volta in Europa, e forse nel mondo, un giornale si impegna a fare un censimento completo e costantemente aggiornato di tutti i reparti ospedalieri che si occupano di oncologia, con quanti e quali interventi vengono eseguiti, segnalando quelli piu’ efficienti per ogni tipologia oncologica». E qui e’ la vera novita’. Lo stesso Veronesi, quando e’ stato ministro della Sanita’, voleva creare una «mappa» elettronica dei centri e dell' incidenza dei tumori in Italia. E non solo dei tumori. Non fece in tempo. Ma l' idea non e’ morta e ha trovato realizzazione con «Sportello cancro». La cui scientificita’ e’ garantita da una fonte «obiettiva»: le Schede di dimissione ospedaliera (in gergo Sdo) che ogni struttura deve compilare e spedire alla Regione per legge. Attualmente sono online i dati relativi a sette regioni: Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Puglia, Toscana e Veneto (pari al 58% della popolazione italiana, dato Istat). Nelle prossime settimane verranno inserite Emilia Romagna, Piemonte, Valle d' Aosta e Sardegna. Entro la fine dell' anno il database sara’ completo. Poi verra’ aggiornato continuamente. Al momento sono state elaborate oltre 920 mila Sdo, che hanno permesso di censire oltre 700 ospedali italiani e quasi 3.500 medici. Un paziente virtuale aiuta i visitatori del sito: basta cliccare su una parte del corpo per entrare in un mare di informazioni. Un forum raccoglie segnalazioni, domande, considerazioni, storie. E le news aggiornano cittadini e medici sulle novita’ nel campo della lotta al cancro. «A parte il tumore al polmone nella donna - ha detto ancora Veronesi -, che e’ l' unica curva ascendente che stiamo registrando e che deriva dal fatto che le donne oggi fumano piu’ degli uomini, tutti gli indicatori dicono che di cancro si guarisce sempre piu’ frequentemente in tutta Europa». La diagnosi precoce e l' informazione sono fondamentali. Insieme potrebbero veramente far «crollare la mortalita’». Ha sottolineato Veronesi: «Quasi tutti i tumori presi nella fase iniziale possono arrivare a guarigione. E' un concetto che deve entrare nella cultura di un popolo. Obiettivo che si puo’ raggiungere con una corretta ed efficace informazione. Anche la volonta’ di lottare deriva dalla conoscenza e se un malato sa subito a chi rivolgersi ne trae un grande aiuto psicologico per sconfiggere la malattia». «Sportello cancro» e’ un importante passo in quest' ottica. Avrebbero dovuto realizzarlo le istituzioni, ma e’ nato grazie al Corriere della Sera. Mario Pappagallo www.corriere.it/sportello-cancro In rete il sito con tutte le informazioni, il database e il video della presentazione I NUMERI 12.000 utenti Gli ospedali italiani attualmente censiti da Sportello cancro sul sito del Corriere online sono 723, i medici presenti nel database 3.500. Ai Forum sul sito www.corriere.it/sportello-cancro i lettori possono dialogare con alcuni tra i maggiori oncologi italiani. I messaggi arrivati ai forum finora sono stati 1.200: di questi il sessanta per cento (vale a dire 700) e’ stato pubblicato. Nella prima fase di attivita’ il sito e’ stato visitato da 12.000 utenti in un mese, che hanno sfogliato 350 mila pagine. Un visitatore su dieci ha poi partecipato attivamente ai forum di approfondimento. _______________________________________________________ Le Scienze 22 apr. ’04 DORMIRE TROPPO FA MALE Non e’ salutare superare le otto ore di sonno I pericoli dovuti al dormire troppo poco sono ben noti. Una nuova ricerca, pero’, suggerisce che anche dormire troppo puo’ causare gravi conseguenze. In particolare, i ricercatori dell'Universita’ della California di San Diego hanno scoperto che le persone che trascorrono a letto fino a 9-10 ore ogni notte sembrano avere piu’ problemi ad addormentarsi, oltre a maggiori disturbi legati al sonno, rispetto a chi dorme 8 ore. Anche chi dorme solo 7 ore lamenta di avere difficolta’ ad addormentarsi e a risvegliarsi fresco e riposato. Secondo Daniel Kripke, uno degli autori dello studio pubblicato sulla rivista "Psychosomatic Medicine", queste scoperte dimostrano che una perfetta nottata di riposo non dovrebbe superare le otto ore. Il ricercatore suggerisce a coloro che dormono di piu’ di provare con cautela ad accorciare la durata del proprio sonno, anche se saranno necessarie ulteriori ricerche per confermare i benefici di questa strategia. Kripke e il collega Michael Grandner hanno interrogato 1004 volontari adulti a proposito delle loro abitudini per quanto riguarda il sonno. I partecipanti dovevano indicare quanto a lungo dormivano in una settimana e se soffrivano di disturbi legati al sonno, per esempio frequenti sveglie notturne, difficolta’ ad addormentarsi o stanchezza durante il giorno. I ricercatori hanno cosi’ scoperto che coloro che dormono 9-10 ore a notte hanno piu’ probabilita’ di soffrire di questi disturbi rispetto a coloro che dormono 8 ore.