RETTORI IN ALLARME: ATENEI FUORI LEGGE CON LA RIFORMA - CRUI: IL DECRETO MORATTI E’ INTEMPESTIVO, CENTRALISTICO, INCONGRUENTE - UNIVERSITÀ, RIFORMA ANCORA LONTANA - CON LA MORATTI, CONTRO I BARONI - RAGAZZI, APPROFITTATE DEL 3+2 - DAL «3+2» PIÙ PROBLEMI CHE RISULTATI - I PROFESSORI DELLA DISCORDIA - IIT, DOVE LA RICERCA È SOLO ALLINEATA - STRADA ANCORA IN SALITA PER IL RIORDINO DEL CNR - ECONOMIA DELLA CONOSCENZA - CALIFORNIA: TRA FONDI E ATENEI TRASPARENZA DIFFICILE - GENOMICA E NANOTECH STELLE DELLA RICERCA UE - RICERCA, UN PIANO PER SPICCARE IL VOLO - LA SCUOLA VISTA DAGLI ITALIANI "NON PREPARA, PROF BOCCIATI" - ROMA TRE AL VOTO PER IL RETTORE - SILENZIO-ASSENSO, UN ESPEDIENTE INCOSTITUZIONALE - DUE GIOVANI SARDI VINCONO LE OLIMPIADI DI MATEMATICA  - PIU’ CHE NURAGICI BRAVI AGRICOLTORI - ================================================================== CONTRATTO MEDICI, SVOLTA FEDERALE - AZIENDA MISTA: UN PROTOCOLLO CON TROPPE VIRGOLE - AZIENDA MISTA: CAPPELLI ‘NON INTENDO FARE ALCUN PASSO INDIETRO’ - IL DIALOGO CON IL MALATO È LA PRIMA TERAPIA - VACCINO PEDIATRICO ANTI AIDS IN AFRICA - IL SESSO? È SOLO UNA FORMA MOLTO EVOLUTA DI INFEZIONE - LA CERAMICA CI SALVERÀ DALLE ARTERIE OCCLUSE - TERAPIA GENICA PER L’ASMA - LE FRONTIERE DELL'ONCOLOGIA - MAMMOGRAFIE VIA GRID - LO SMOG SPORCA ANCHE IL DNA - VIA LIBERA AI FONDI PER GLI STUDI SULLE STAMINALI EMBRIONALI - CHEMIOTERAPIA, MENO DANNI CON LA NUOVA PROTEINA - FECONDAZIONE, NASCE IL «TURISMO DELLE PROVETTE» - ================================================================== _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 mag. ’04 RETTORI IN ALLARME: ATENEI FUORI LEGGE CON LA RIFORMA Appello della Conferenza in commissione Cultura Il decreto Moratti abroga la base giuridica dei corsi ROMA Atenei "fuori legge" con la riforma dell'autonomia didattica universitaria: gli attuali ordinamenti delle lauree e delle lauree specialistiche non avrebbero, infatti, più fondamento giuridico. Potrebbe essere questa la conseguenza paradossale del decreto, predisposto dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, che riscrive la struttura dei corsi universitari, abrogando, senza norme transitorie, il Dm 509/99, fondamento dell'attuale offerta formativa. Nello stesso tempo, le università non potrebbero neppure applicare la riforma Moratti perché mancano i nuovi decreti relativi alle classi di laurea e di laurea specialistica (o magistrale, secondo la denominazione del nuovo corso). La riscrittura dei decreti di area, con la proposta da parte degli atenei dei nuovi ordinamenti, è obbligata dalle modifiche delineate dalla riforma: i "percorsi a y" per le lauree con un anno comune e un biennio a doppio binario - professionalizzante o metodologico - e la nuova articolazione delle lauree specialistiche, modulate su 120 crediti. Infatti, attualmente, i decreti che stabiliscono i principi comuni dei corsi di studio sono improntati a un curriculum unitario per le lauree e a percorsi misurati su 300 crediti per i titoli di secondo livello. La denuncia è della Conferenza dei rettori che ieri, in un parere presentato alla commissione Cultura della Camera, ha fatto appello al Parlamento perché il decreto Moratti venga radicalmente corretto. Le richieste dei rettori sono tre: la concomitanza fra le modifiche al Dm 509/99 e quelle dei decreti sulle classi delle lauree; la non obbligatorietà degli adeguamenti ordinamentali «per i corsi di studio in vigore»; il ripristino del titolo di master (i corsi brevi per la formazione specialistica e ricorrente) tra quelli che possono essere ufficialmente rilasciati dalle università. Per i rettori le ripercussioni del testo proposto dal ministro Moratti non sono valutabili completamente, in quanto - oltre a non essere noti i decreti sulle classi dei corsi - ci sono «refusi ed elementi mancanti». «È il caso - si dice nel parere - dei corsi di studio finalizzati all'accesso delle professioni legali, di cui non vengono esplicitati i necessari elementi regolamentari, compresa la durata». Inoltre, al contrario degli obiettivi dichiarati, il decreto Moratti comprime l'autonomia degli atenei: i crediti vincolati a livello nazionale sono previsti «in misura non inferiore a150% per le lauree e al 40% per le lauree magistrali». Si tratta di quote superiore all'attuale: il Dm 509 fissa, infatti, il massimo del 65% calcolato, però, non su tutte le attività, ma solo su alcune, in particolare quelle di base e caratterizzanti. MARIA CARLA DE CESARI ___________________________________________________ Il Messaggero 14 mag. ’04 CRUI: IL DECRETO MORATTI E’ INTEMPESTIVO, CENTRALISTICO, INCONGRUENTE ROMA - «Intempestivo, centralistico, incongruente», la Crui, ... ROMA - «Intempestivo, centralistico, incongruente», la Crui, in un documento presentato dal presidente Piero Tosi alla commissione Cultura della Camera, boccia il decreto presentato dal ministro Moratti, che intende modificare il regolamento sull'autonomia didattica (varato nel '99). «Da un lato - dicono i rettori - è condivisibile lo sforzo di accompagnare, perfezionare e sostenere l’applicazione della riforma del sistema degli studi universitari. Dall’altro lato è indispensabile che le misure correttive siano finalizzate ad aumentare la flessibilità, senza obbligare le università ad intervenire nuovamente sulla struttura degli ordinamenti dei corsi di studio, tenendo anche conto del vistoso sotto-finanziamento delle nostre università rispetto agli standard europei». I responsabili dei 72 atenei italiani difendono l’autonomia e denunciano che il decreto del ministro, invece, va verso una direzione centralistica. Altro punto di forte dissenso riguarda il master. «L’abolizione dei master di primo e secondo livello - sottolinea ancora la Crui nel documento - solo apparentemente collegata alle nuove denominazioni dei corsi di laurea specialistici è francamente sconcertante e solleva problemi in sede internazionale. Inoltre, si elimina dall’offerta didattica universitaria un vero e proprio titolo di studio e lo si sostituisce con semplici corsi di formazione permanente, privi anche dell’obbligo di fornire i crediti, al termine dei quali verranno rilasciati solo degli attestati». Sono questi i rilievi principali mossi dai rettori al ministro, nella speranza che venga rivisto il decreto di modifica. Se l’Università è costretta a battersi per non perdere le prerogative dell’autonomia, la scuola si interroga sui suoi tanti problemi. E’ di ieri la presentazione di un’indagine svolta dall’Istituto Cattaneo e commissionata dall’associazione Treelle dalla quale emerge che gli italiani al sistema dell’istruzione danno appena la sufficienza. Ma che cosa si aspetta la gente dalla scuola? La preparazione dei giovani per il mondo del lavoro. Non hanno dubbi i cittadini del Belpaese, secondo i quali per raggiungere questo traguardo è fondamentale saper scrivere e parlare in buon italiano. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 UNIVERSITÀ, RIFORMA ANCORA LONTANA Probabile che si riesca a realizzare entro il prossimo anno accademico significative innovazioni della didattica Molte le critiche alle modifiche ipotizzate: c'è il rischio di un ulteriore indebolimento del percorso verso la laurea ROMA a Tempi lunghi per la revisione della riforma universitaria che ha introdotto il "3+2". Va avanti a fatica, infatti, la discussione nelle commissioni parlamentari dello schema di decreto del ministero dell'Istruzione che propone di rivedere il sistema introdotto nella scorsa legislatura. Un modello sottoposto a molte critiche, che articola gli studi negli atenei in un primo trienno per la laurea di base e un successivo biennio per quella specialistica. Oltre le critiche, però, non sembra ancora chiaro né certo quali saranno le modifiche che arriveranno e quando entreranno in vigore. A questo punto è comunque ormai da escludere che possano essere massicciamente introdotte per il prossimo anno accademico. La Commissione Cultura della Camera dovrebbe presentare il parere sul testo ministeriale nella seduta di martedì prossimo e chiudere l'esame entro la ime della prossima settimana. A1 Senato, invece, il provvedimento dovrebbe terminare il suo iter tra due settimane. «Le norme andavano riviste - ha detto Fabio Santulli (Fi), relatore del testo alla Camera - perché il 3+2" presentava delle criticità. E anche se c'è già un cambiamento in atto nell'università, le correzioni apportate dal testo messo a punto dal Miur - ha continuato - danno maggiore slancio alla capacità dell'università di dare risposta ai bisogni degli studenti e delle famiglie e all'esigenza di adeguare i percorsi formativi al mondo del lavoro. Entro la prossima settimana - ha sottolineato Santulli - chiuderemo l'esame dello schema di decreto e non è escluso un intervento in commissione del ministro Letizia Moratti. Lo schema di revisione - ha concluso - non comporterà, comunque, novità clamorose». Per l'opposizione, invece, la revisione prevista dal decreto «getta il sistema universitario nel caos - affermato Franca Bimbi (Margherita) - perché introduce un terzo ordinamento, che si affianca ai due attualmente presenti negli atenei». Bimbi ha sottolineato, inoltre, che «con l'attribuzione della denominazione "master" alla sola laurea specialistica non saranno più riconosciuti i master attualmente esistenti, come, per esempio, quelli di primo livello, che sono apprezzati dalle imprese e portano soldi alle università». Per Franco Asciutti (Fi), presidente della Commissione Istruzione del Senato «il provvedimento introduce significative misure correttive, con l'obiettivo anzitutto di accrescere la flessibilità del sistema universitario». ALESSIA TRIPODI _________________________________________________________ L’Indipendente 13 mag. ’04 CON LA MORATTI, CONTRO I BARONI LUIGI DE MARCHI Ricordo che nove anni fa, quando presentai a Roma il mio libro II Manifesto dei Liberisti, a metà del dibattito sì alzò un signore rosso di pelo che disse: «Sono Paolo Guzzanti e sono qui per ringraziare De Marchi perché, con questo libro, mi ha dimostrato che la Sinistra è la Destra, non solo nel senso che la spinta al cambiamento, tradizionalmente proveniente dalla Sinistra, oggi proviene dalla Destra. Ma anche perché le forze conservatrici, un tempo incarnate dalla Destra, oggi sono incarnate dalla Sinistra». Quella battuta fulminante mi sembra particolarmente calzante nei giorni in cui il furore dei baroni e dei baronetti universitari s'è scatenato sul progetto di riforma universitaria di Letizia Moratti. Il progetto del ministro suscita tanta rabbia e indignazione nel mondo accademico quanto entusiasmo suscitato in me dal primo momento. Scrissi nel 2002: « Si tratta d'una proposta fortemente innovativa che merita d'essere sostenuta da tutte le forze culturali e politiche realmente progressiste e indipendenti». Appoggiai il progetto per il semplice motivo che prevede l'abolizione del posto sicuro a vita per i professori universitari e la introduzione di contratti di collaborazione rinnovabili fino a un massimo di dieci anni. Inoltre le università potranno chiamare liberi professionisti e altre personalità esterne a tenere corsi universitari nel quadro di contratti estensibili a sei anni. Il Consiglio universitario nazionale, la roccaforte del potere baronale, poi sarà sostituito da un Consiglio scientifico nazionale che sarà composto solo per una metà da baroni e per l'altra da esperti designati dal ministro. Un colpo durissimo allo strapotere baronale che ha ridotto la nostra università all'odierno degrado e spinge tre quarti degli studenti all'abbandono. La sollevazione di baroni e baronetti conferma che la vera classe parassitaria e sfruttatrice è quella burocratica: anche in campo accademico. Che cos'è oggi la corporazione accademica, se non la burocrazia della cultura e della ricerca? _________________________________________________________ Corriere della Sera 11 mag. ’04 «RAGAZZI, APPROFITTATE DEL 3+2» SCUOLA & IMPRESA Per Almalaurea, invece, i corsi nei Paesi stranieri non aiutano necessariamente a trovare lavoro Triennio in Italia e biennio all'estero, per imparare l'inglese una volta per tutte. Lo consigliano le multinazionali Ottima conoscenza dell'inglese, scrive il neolaureato nel suo curriculum, mentendo. La sua conoscenza dell'inglese è in realtà modesta, come quella di tanti suoi coetanei. Le aziende se ne lamentano. «Fatte le debite eccezioni - dice il capo del personale di Microsoft-Italia, Marco Ornago -nelle università italiane l'inglese si studia troppo poco», e consigliano agli studenti di approfittare del nuovo ordinamento «3+2», che si è diffuso in quasi tutta Europa dividendo gli studi universitari in due cicli, tre anni introduttivi più due di specializzazione. Approfittare vuol dire fare il secondo ciclo in un'università straniera per poi presentarsi alle aziende italiane con un inglese ottimo per davvero. «A parità di titolo - dice Carlo Callieri, a lungo rappresentante Fiat in Confindustria e oggi imprenditore in proprio - l'aver frequentato gli studi all'estero è una ragione di preferenza perché indice di coraggio. Benvenga, quindi, il biennio di specializzazione all'estero anche se dubito che molti studenti italiani siano a conoscenza di questa possibilità». «Il rischio però - dice Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, centro di ricerca di Bologna che indaga sulla condizione occupazionale degli studenti italiani -è che chi va a fare il secondo ciclo all'estero poi scelga di fermarsi lì anche per lavorare. Scelta che magari gioverebbe al singolo ma non all'economia italiana». «Temo comunque – continua - che alle aziende, fatta qualche eccezione, l'inglese interessi poco». Secondo i dati di Cammelli, infatti, a un anno dalla laurea lavora il 55% di chi ha studiato sempre e soltanto in Italia, contro il60% circa di chi è stato un po' all'estero, con una borsa di studio Erasmus o simile. Una differenza effettivamente modesta. Con il «3+2» studiare all'estero sarà più facile, in teoria. In pratica, non è detto. «In molte facoltà i corsi di laurea sono stati costruiti male costringendo in tre anni contenuti che prima si sviluppavano in cinque», spiega il rappresentante degli «studenti di sinistra» dell'Università di Firenze, Thilo Besannon, ventiquattrenne iscritto ad agraria, tedesco-olandese di origine da ventidue anni in Italia. «In teoria, nella mia Università, gli studenti del terzo anno dovrebbero tra qualche mese terminare il triennio. In pratica, molti di loro non ce la faranno. Per rimanere al passo cogli esami, inoltre, devono chiudersi in casa e hanno poco tempo da dedicare a stage in azienda o periodi di studio all' estero». Altrove le cose vanno forse un po' meglio. «Qui da noi - dice Gianni Vernazza, preside della facoltà di ingegneria dell'Università di Genova - c'è uno stretto legame tra università e lavoro, a beneficio degli studenti». Anche di quelli che si fermano alla laurea di primo livello, ossia smettono di studiare dopo i primi tre anni, rinunciando al biennio di specializzazione. Per il quale c'è sempre tempo. «Chi comincia un lavoro oggi difficilmente lo porterà avanti per tutta la vita, perché è sempre più difficile trovare imprese la cui attività produttiva rimanga stabile per 50 anni», spiega Guido Fiegna, del Politecnico di Torino -. Col "3+2" gli studenti possono interrompere gli studi dopo il triennio, cominciare a lavorare e poi, anche molti anni dopo, iscriversi a un corso di laurea specialistica, che permetta loro di cambiare lavoro». Chi cerca lavoro nel settore privato può fermarsi dopo tre anni di università. «In Italia è ancora presto per dirlo, visto che la riforma universitaria è recente. Ma in Gran Bretagna, dove i corsi triennali esistono da tempo, assumiamo molti di questi "minilaureati"», dice Chiara Piatti, responsabile delle assunzioni di Ibm-Italia. Anche secondo Cammelli, non c'è alcuna discriminazione verso chi ha frequentato solo il triennio. Lo dimostrano i dati di Almalaurea, che sul suo sito www.almalaurea.it raccoglie i curricula di oltre 400mila laureati, che, a pagamento, possono essere consultati dalle ditte interessate. «Nel 2003 - spiega Cammelli - su cento ditte che si sono rivolte a noi per consultare i profili dei laureati, otto hanno espressamente chiesto laureati triennali. Otto su cento possono sembrare poche, ma si tenga presente che i laureati triennali, nel 2003 come oggi, sono ancora una minoranza». I più arriveranno tra qualche mese. Alcuni di loro si iscriveranno al biennio, altri cercheranno lavoro. «Difficile fare previsioni - dice il preside Vernazza -, qui a ingegneria credo che il 70-80% proseguirà». Anche perché il mercato del lavoro non è dei più attraenti, come ricorda Angelo Perucconi, direttore del personale di Alcatel. «Ai tempi d'oro - dice - tra il 1997 e il 2000, assumevo anche più di cento giovani ingegneri l'anno. Oggi sono tre anni che non assumo nessuno e non credo che gli altri se la passino molto meglio di noi. Date le circostanze, è meglio iscriversi al biennio, specializzarsi, presentarsi alle aziende il più prèparati possibile e con una buona conoscenza dell'inglese, prerequisito fondamentale». Francesco Margiocco ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 DAL «3+2» PIÙ PROBLEMI CHE RISULTATI DI PAOLA POTESTIO E notevole la sorpresa che suscita il testo di modifica degli ordinamenti didattici universitari varati con la riforma del '99. Com'è noto, tale riforma ha introdotto lo schema delle lauree spezzate o in successione, il cosiddetto 3+2. Com'è meno noto, nessun vero dibattito nel mondo universitario ha sorretto o accompagnato questa riforma; e un dibattito assai poco partecipato ha valutato i primi esiti della sua realizzazione. L'attenzione si è concentrata soprattutto su altri temi: la scarsità di fondi per l'università, lo stato giuridico dei docenti, la creazione di nuovi istituti di ricerca. L'insoddisfazione per i nuovi schemi didattici, diffusissima tra studenti e professori, e qualche allarme sulle trasformazioni operate non sono stati sufficienti a mettere in moto un reale processo di revisione. La modifica della riforma, in questi giorni all'esame delle Commissioni parlamentari, compie un consistente passo indietro rispetto alla bozza in circolazione qualche mese fa, eliminando le correzioni più significative. La modifica oggi proposta presenta due principali correzioni rispetto allo schema del '99. La prima è sostanziale: la separazione tra triennio e biennio, con l'esplicito riconoscimento che la regolamentazione del biennio è limitata ai 120 crediti del biennio stesso. La seconda modifica è soltanto nominalistica: nello schema 1999, il biennio era definito "laurea specialistica"; la modifica definisce il biennio "laurea magistrale (Master)". Questo ha tuttavia una rilevante conseguenza: i corsi di perfezionamento che davano luogo al conseguimento di master universitari di primo e secondo livello, oggi mettono capo soltanto a "specifici attestati dei crediti formativi universitari acquisiti". In sostanza dunque, i bienni vengono etichettati master e i master del '99 rimangono corsi di perfezionamento privi di specifico valore legale. La separazione di trienni e bienni è positiva poiché attenua la rigidità del percorso per il conseguimento del titolo del biennio. Il mutamento di denominazione del biennio è irrilevante poiché lascia intatto il principio delle lauree spezzate introdotto dalla riforma. L'eliminazione di uno specifico valore legale dei master 1999 è positivo poiché lega la rilevanza e il successo di questi corsi unicamente ai loro effettivi contenuti. Pur nei due aspetti positivi sottolineati, queste correzioni appaiono modeste e del tutto inadeguate rispetto ai problemi creati dalla riforma del 3+2. In particolare, esse non conservano la principale modifica della prima bozza, ossia l'introduzione di un percorso a Y costituito da un primo anno della laurea triennale comune, seguito da due percorsi distinti, uno per coloro che proseguono gli studi nel biennio, e l'altro più professionalizzante per coloro che puntano a una immissione più rapida nel mercato del lavoro. Il percorso a Y avrebbe ricreato una certa unitarietà del percorso di laurea, unitarietà che costituisce la prima garanzia dell'efficienza del percorso. Forse si è voluta evitare una struttura più costosa, che avrebbe richiesto investimenti e risorse aggiuntive, ma la scelta fatta è in ogni caso miope. Gli obiettivi diversi di biennio e triennio fatalmente condurranno a un indebolimento delle basi metodologiche della formazione. Nonostante l'anno in più rispetto al vecchio quadriennio, il livello medio dei laureati quinquennali rischia così fortemente di abbassarsi. Al di là del pessimo criterio delle lauree spezzate, la riforma del '99 si è dimostrata un fallimento perché ha posto una serie di vincoli inutili e non ha posto alcuni vincoli assolutamente necessari. Da un lato si è definita un'inutile rete di attività, con vincoli specifici sulle rispettive numerosità dei crediti; dall'altro nulla si è fatto per arginare le fantasie delle sedi e agevolare una qualche omogeneità organizzativa dei percorsi. La modifica oggi presentata attenua assai poco i vincoli inutili e si disinteressa totalmente dell'utilità di paletti organizzativi. La frammentazione, con la proliferazione di lauree, esami, moduli didattici, e l'anarchia organizzativa di questi anni rimarranno pertanto un carattere distintivo della nostra, nuova università. Che fare? Il compito che attendeva il ministro Moratti era certamente più che arduo. Sta di fatto però che i progetti e le iniziative in questi 3 anni non si sono finora uniti all'effettivo varo di alcun intervento di regolamentazione. A mio parere, occorre una scelta coraggiosa. Il disegno di legge su stato giuridico e reclutamento dei professori universitari appare oggi un provvedimento assai più maturo e vicino a una definizione complessivamente positiva di tale materia. Si punti dunque alla chiusura di questo disegno e si abbandoni invece l'attuale revisione della riforma del '99. In ogni caso tale revisione non sarebbe utilizzabile per modificare i corsi di laurea del prossimo anno accademico, le cui procedure di avviamento sono già iniziate. Vi è tempo quindi per approntare una modifica della riforma 3+2 più profonda, coraggiosa, incisiva. ___________________________________________________ La Stampa 14 mag. ’04 I PROFESSORI DELLA DISCORDIA RETTORI E DOCENTI «VIP»: IL NUOVO GOVERNO DELL’UNIVERSITÀ SUSCITA POLEMICHE. E ASOR ROSA PROTESTA COME i lettori di questo giornale sanno, tra i temi più caldi dell'attuale discussione sull'università sono il governo degli atenei e lo stato giuridico dei professori. Al non esperto, temi come questi possono sembrare marginali: non è così, perché incidono sulla qualità delle nostre università, vale a dire sul futuro dell'intelligenza italiana, cioè del paese. Nessuno dubita più che sia necessario rivedere i sistemi di governo (oggi dominati da un elettoralismo estremo, che a volte rende impossibile l'azione di comando), così come è urgente dare un profilo moderno e differenziato alla figura del professore. Su questi temi si sono accumulati negli ultimi tempi una varietà di documenti, prodotti sia da ambienti ministeriali sia da entità esterne (spesso dotate di una vistosa connotazione di gruppi di pressione). La quantità delle proposte sembra però aumentare l'entropia più che chiarire i problemi, dato che non riesce a focalizzare i temi centrali. Ad accrescere la pila di carte arriva ora anche un testo prodotto da un gruppo di esperti, incaricati dal presidente della Conferenza dei Rettori (CRUI) di elaborare una riflessione su «Il governo dell'università». Gli autori del documento sono Umberto Eco (che faremmo, in Italia, senza di lui?), Maurizio Bettini, Alessandro Figà Talamanca, Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Aldo Schiavone e Alberto Asor Rosa: nomi noti, anche se, magari, quasi tutti appartenenti al dominio delle discipline umanistiche, che non rappresentano certo la maggioranza del mondo dell'università. Nella prima parte del testo si riafferma il principio, oggi molto strapazzato, secondo cui l'università deve «restare un'istituzione pubblica» e deve sviluppare forme evolute di competizione tra un ateneo e l'altro. Nella seconda si suggerisce che il rettore debba avere più poteri di quelli che ha attualmente, che sono delimitati e possono perfino essere contrastati dai due organi essenziali del sistema, il Senato e il Consiglio di Amministrazione. «Va a nostro parere rafforzato il potere di indirizzo e di governo che già oggi appartiene al Rettore». Si pensa quindi a un rettore «forte», munito di estese deleghe e capacità. La parte più delicata del testo contiene una proposta che ha suscitato un vespaio. Si suggerisce che ogni ateneo abbia a disposizione un certo numero (pari al 10 per cento del totale) di «posti riservati» per professori. La prima metà di questi posti forma il ruolo dei «professori di valore eccezionale», che sono designati «tra gli ordinari dell'ateneo stesso per la particolare e riconosciuta eccellenza scientifico-culturale». Chi propone questa lista? La commissione suggerisce che sia ogni singolo preside di facoltà a proporla al rettore, che se la fa propria la porta in senato accademico per l'approvazione finale. L'altro 5% viene attribuito, invece, «per chiamata da altra sede o dall'estero di professori italiani e stranieri, di qualunque età e grado, su designazione unanime del consiglio di facoltà». Questi professori «eccezionali» possono avere uno stipendio fino al 50% superiore a quello normale, dispongono di privilegi nell'attribuzione dei fondi di ricerca e dei congedi per motivi di studio e sono esentati dall'obbligo di insegnare nei corsi triennali (quelli di base). Quest'ultima proposta, che è in realtà l'unica novità che il testo contenga (benché, sia detto tra parentesi, non riguardi affatto il «governo dell'università» a cui allude il titolo), ha fatto un po' di chiasso, anche in seno alla commissione. Asor Rosa se ne è dissociato con una nota durissima, in cui denuncia che la commissione non ha discusso alcune «parti sostanziali, anzi decisive» del testo. Asor Rosa, inoltre, ha affermato anche che «il senso politico del documento non può essere altro ... che la volontà di intrecciare un dialogo con l'attuale governo e con l'attuale maggioranza». In pratica, un pesante sospetto di collateralismo. Inoltre, si sono levate numerose proteste contro l'idea stessa di creare questa categoria speciale di «cattedratici VIP». È stato osservato, ad esempio (e giustamente), che nulla si dice dei criteri di selezione di queste persone. La paura delle clientele è ovviamente molto forte. Per quanto mi riguarda, l'idea di una fascia di professori di «valore speciale» non mi pare affatto cattiva, e mi è capitato di proporla anch'io di recente. Mi pare che una soluzione come questa potrebbe correggere il vergognoso appiattimento tra le carriere, le reputazioni e le prestazioni che viene oggi praticato e teorizzato senza ritegno, e che favorisce l'offensiva confusione fra ricercatori di alta reputazione e la vasta platea di «miracolati» che affolla l'università italiana. Altri paesi (Francia, Spagna, Germania, oltre ai paesi anglo-sassoni) hanno da tempo una figura simile, e nessuno grida allo scandalo. Ma ciò non significa affatto che questa misura sia la più urgente da prendere. Anche perché alcuni suoi aspetti non convincono. Che i professori «eccezionali» siano indicati dai presidi di facoltà, per esempio, è troppo poco. Date le note tradizioni clientelari e correntizie della nostra università, questa procedura attiverebbe furibondi circuiti di pressione. Inoltre, non mi pare che sarebbe facile far convivere le due «specie» di professori nelle stesse strutture: immaginate gli «speciali» e i «normali» negli stessi dipartimenti e nelle stesse facoltà. Quel che occorrerebbe invece è inventare una buona volta due tipologie di università, una «di base», per le lauree triennali (somigliante ai «colleges» dei paesi di lingua inglese), e una «superiore» (somigliante alle «universities») per le lauree specialistiche e i dottorati. In questa seconda troverebbero la loro naturale collocazione i professori di «valore eccezionale». Dubito molto, però, che, una proposta del genere possa passare, in un paese che, per un inveterato malinteso sindacal-cattolico, finge di credere nell'uguaglianza a tutti i costi (di magistrati, insegnanti, professori, ricercatori...). Infine, temo che, tra i tanti drammatici problemi della nostra università (primo dei quali, la generale dequalificazione), il tema dei «professori di valore eccezionale» non abbia alcun senso al di fuori di un ripensamento generale del sistema. _________________________________________________________ Il Manifesto 9 mag. ’04 IIT, DOVE LA RICERCA È SOLO ALLINEATA L'Istituto italiano di tecnologia licenzia uno dei suoi migliori scienziati. Aveva opinioni troppo libere Con grande impegno un ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, il presidente della regione Liguria, Sandro Biasotti, e un funzionario di nomina partitica, tale Maurizio Mauri, stanno autolesionisticamente distruggendo la grande operazione scientifica che appena un mese fa avevano celebrato, il cosiddetto Istituto Italiano di tecnologia, una sorta di Mit (il Massachusetts Institute of Technology, mitico centro di ricerca americano) in salsa genovese. In quella nuova istituzione è previsto un comitato di indirizzo di altissimo livello con la presenza di ben quattro premi Nobel. Ma quale di questi scienziati accetterà di collaborare con una comunità scientifica come quella genovese se essa, mentre lancia un progetto faraonico, con l'altra mano licenzia uno dei più noti ematologi al mondo, Lucio Luzzatto? Quale ricercatore straniero vorrà collaborare con un paese e una città che sanzionano uno studioso perché mantiene delle collaborazioni scientifiche con il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, uno dei più noti centri di ricerca oncologica al mondo ? Quel centro è diretto da Harold Varmus, uno dei quattro premi Nobel, il quale si va chiedendo stupito perché mai uno studioso debba essere licenziato perché collabora con lui. Questa follia è successa nel mese di aprile in Genova ed è iniziata con la lettera con cui Mauri, commissario straordinario all'Ist (Istituto tumori) ha destituito Luzzatto dalla sua carica di direttore scientifico. Il motivo che compare nella lettera è un presunto conflitto d: interessi e la violazione dell'esclusiva ma che si trattasse di una scusa penosa era a tutti evidente, dato che se c'è una cosa che gli scienziati devono fare (e guai se non lo fanno), è di intrattenere rapporti con altri centri di ricerca. Luzzatto poi in America ci andava usando le ferie e a sue spese. Quanti illustri clinici si comportano così? Che poi la scienza si possa fare sotto contratto d esclusiva è una cosa che solo i burocrati possono immaginare e di queste figurE la ricerca italiana è piena. Il motivo vero è che lo studioso, noto per la sua dolcezza ma anche per la grande limpidezza d comportamenti, in questi anni aveva cercato di svolgere davvero il suo ruolo anche esprimendo opinioni diverse da quelle del commissario. Per esempio s era opposto alla decisione del signor Mauri di togliere l'indennità medica a ricercatori laureati in biologia. Mauri pretendeva addirittura la restituzione dei soldi ricevuti «indebitamente». Aveva ragione Luzzatto e torto il Commissario, come di recente ha confermato i ministero, ma poco importa, egli se m doveva andare, essendo troppo poco docile alle gestioni politico-baronali. Lo conferma la lettera indecorosa chi nove dei dieci primari dell'Itt hanno scritto, sollecitandolo alle dimissioni i auspicando la nomina di un nuovo di rettore scientifico, a partire da candida ture interne: uno di loro insomma. Questa è la miseria di molta ricerca medica italiana e il ministro Sirchia la sta coprendo tutta, non senza far mancare a Luzzatto un ipocrita apprezzamento di facciata. Non meno pelosa la solidarietà della maggioranza del mondo accademico genovese, rettorato in testa, che nel parallelo Istituto di tecnologia vede un'ottima occasione di finanziamenti (1050 milioni di euro in dieci anni) e di poltrone e perciò non intende fare mossa alcuna che possa spiacere al governatore regionale del polo o al governo Berlusconi. Chi scrive conobbe Luzzatto di ritorno da uno dei suoi viaggi in Africa, dove lavorava all'Istituto di ematologia di Ibadan e dove adottò una splendida bambina nigeriana. Lo vide poi dirigere egregiamente l'Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica del Cnr a Napoli. Operò quindi a Londra per tornare infine speranzoso nel suo paese e nella sua città. In una lettera pubblica a Sirchia egli fa notare puntualmente che non si può separare la direzione scientifica da quella gestionale e per così dire sfida gli avversari a dimostrare sue eventuali carenze. Una sfida che resterà senza risposta perché gli interessi politicanti sono troppo elevati. Non si spiegherebbe altrimenti il potere di un oscuro commissario che può permettersi di dire, davanti a testimoni, «o via tu o via io» (queste cose se le può consentire solo il direttore generale della Rai). La perla su tutta la torta avvelenata di marca polista è costituita dalla ricca offerta che lo stesso Luzzatto nella sua lettera racconta di avere ricevuto: prima del licenziamento gli si presentò un legale a nome del ministero, offrendo un contratto di soli tre giorni alla settimana anziché a tempo pieno, ma meglio retribuito. La condizione era che cessasse di fare il direttore scientifico. Dite voi se questo non è un ministro da sostituire. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mag. ’04 STRADA ANCORA IN SALITA PER IL RIORDINO DEL CNR ROMA Prende corpo il nuovo Cnr. Ma il cambio di pelle dell'ente di ricerca più grande d'Italia non si annuncia breve e in discesa. Dopo l'apertura della procedura di nomina, lo scorso venerdì in Consiglio dei ministri, del nuovo presidente Fabio Pistella, sono al traguardo gli attesi regolamenti che dovranno disegnare l’identikit del Consiglio nazionale delle ricerche, così come tratteggiato dal riordino dell'estate passata. In una nota dei giorni scorsi ai direttori degli oltre 100 istituti che compongono il Cnr l'attuale commissario dell'ente, Adriano De Maio, ha fatto il punto sul complesso processo di trasformazione prima del cambio di guardia con Pistella che dovrebbe avvenire a giugno. Un processo, questo, che «probabilmente richiederà - ammette De Maio nel suo piano - alcuni anni per trovare una buona strutturazione» per evitare restyling «sulla carta». Intanto in attesa dei regolamenti che dovrebbero arrivar( a giorni, le aggregazioni e lo scorporo di alcuni istituti pr( visti dal riordino restano "congelati". Così come le risorse il Fondo agli enti di ricerca ( cosiddetto "Fondone") per 2004 non è stato ancora ripartito, ma gli stanziamenti in cartiere sono quasi gli stessi del 2003. Il leggero rialzo - dai 1,550 a 1,639 miliardi - è infatti in parte spiegato dall'inclusione degli osservatori astronomici, prima esclusi dal "Fondone". Per il Cnr, già da anni costretto a stringere la cinghia, non si profila dunque un futuro semplice. Dipartimenti in pista. IL punto nodale intorno al quale ruoterà il Cnr è rappresentato dai dipartimenti a cui spetterà il compito di coordinare l'attività degli istituti di ricerca. Il piano di De Maio ne prevede di due tipi: per «progetto» e «piattaforma». I primi, con strutture snelle, punteranno su risorse e conoscenze presenti all'interno e all'estemo del Cnr. Facendo da «tramite» - avverte il piano di De Maio - con tutto quel «mondo esterno che è disposto a impegnare risorse a fronte di un risultato possibile», che siano nuove conoscenze o prodotti. Sette i dipartimenti «ipotizzabili allo stato attuale»: alimentare, energia e trasporti, identità culturale, manufacturing, salute, terra e ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale. I dipartimenti «piattaforme» avranno, invece, un rapporto più «gerarchico» con gli istituti e punteranno su progetti di «lungo medio termine» e ad «alto rischio» con fonti di finanziamento «prevalentemente pubbliche». Quattro le aree tematiche: progettazione molecolare della funzionalità, scienze della materia e dispositivi, scienza della vita, tecnologia dell'informazione e della comunicazione. Infine sul fronte risorse si premieranno gli istituti che si faranno valere di più in base a specifici criteri (attrazione di talenti, capacità di creare reti e alleanze, ecc.). Il nuovo presidente. Quella di Fabio Pistella è una nomina all'insegna della continuità. Fisico, ex direttore generale dell'Enea, Pistella ha di fatto a sua volta contribuito direttamente come sub-commissario dell'Ente - carica ricoperta prima di andare all'Authority dell'Energia - alla stesura del restyling del Cnr. Spetterà al futuro presidente traghettare l'ente verso il suo nuovo assetto. Al suo fianco lo stesso De Maio che presiederà il Consiglio scientifico generale dell'Ente. MARZIO BARTOLONI ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 ECONOMIA DELLA CONOSCENZA Nella classifica dei primi cinquanta poli di ricerca avanzata si trovano distretti americani creati attorno a prestigiosi college e grandi corporation - Facilitato l'accesso ai capitale di rischio, disponibilità di servizi e sostegno pubblico Usa, modello-knowledge con il turbo LOS ANGELES a A poche centinaia di metri dal più grande centro di ricerca della Siemens in Nordamerica sorge la Sv3, società specializzata nel web design. Più avanti lungo la statale 75 c'è la sede della Rmc Tech, azienda di servizi ingegneristici, e poi la Securities Inspection, produttrice di sistemi di sicurezza per network informatici. La processione di aziende high tech si snoda per chilometri, ma attenzione: non siamo a Silicon Valley, questa è la periferia di Detroit. Il triangolo Detroit-Ann ArborFlint, un tempo "feudo" della General Motors e della Chrysler, svetta oggi al dodicesimo posto nella classifica delle Knowledge Economies, le regioni del mondo con il più alto livello di investimenti in R&S e con la maggior produttività, anche di brevetti. La classifica, compilata dalla società di consulenza inglese Robert Huggins & Associates, mette in luce l'assoluta supremazia americana nell'innovazione tecnologica e imprenditoriale, e il pericolo che la stanca Europa, distante seconda, possa farsi superare presto dall'Asia. E non stiamo parlando di Tokio o di Taiwan, ma di Mumbai e Bangalore in India. Tutte e cinquanta le prime Knowledge Economies del mondo sorgono negli Stati Uniti con due sole eccezioni: Stoccolma e Uusimaa in Finlandia. Per trovare la prima regione italiana in graduatoria - la Lombardia - bisogna scendere alla 93esima posizione. L'Italia centrale, al 116esimo posto, è a nove posizioni di distacco da Bangalore. I motivi del successo. Quali sono gli ingredienti del succes so economico del centinaio di regioni high tech sorte in ogni angolo d'America negli ultimi 10-20 anni? Le differenze abbondano tra regione e regione, ma gli elementi chiave si possono riassumere in pochi punti: vicinanza a prestigiose istituzioni universitarie e a grosse corporation; un mercato finanziario sviluppato che consente l'accesso al capitale di rischio e promuove l'iniziativa imprenditoriale; una rete di servizi professionali di supporto (ad esempio consulenza tecnica, finanziaria, legale e contabile); a volte l'accesso a finanziamenti pubblici; e infine il supporto finanziario e infrastrutturale della pubblica amministrazione locale. Tra i corridoi high tech più dinamici d'America spiccano non solo aree come la Silicon Valley, la Route 128 vicino a Boston o la culla della biotecnologia a San Diego, ma anche città mai prima associate con l’high tech come Denver, Cincinnati, Kansas City o Portland. Persino una regione come Detroit, messa in ginocchio dalle ristrutturazioni del settore dell'auto, si è reinventata per trasformarsi in una fucina di idee e innovazioni tecnologiche. «Il prodotto più all'avanguardia tecnologica del mondo è l'automobile - spiega Ken Rogers, direttore del consorzio Automation Alley, nato nel 1999 per aiutare lo sviluppo del settore high tech nella contea di Detroit - e per questo motivo Detroit ha sempre impiegato un elevato numero di scienziati e ingegneri, molti dei quali decidono di sfruttare le proprie idee scoprendo spesso applicazioni commerciali al di fuori del settore dell'auto». La concentrazione geografica di scienziati appare come condizione indispensabile per creare corridoi high tech, al fine di agevolare la circolazione di idee e mantenere vivo il dibattito intellettuale e scientifico. La concentrazione di cervelli si crea a volte per la vicinanza a grosse aziende (la Gm a Detroit, la Eastman Kodak a Rochester, la Microsoft a Seattle, la 3M a Minneapolis ecc.) vuoi per la vicinanza a prestigiose istituzioni accademiche (Stanford University nella Silicon Valley, Mit a Boston, California Technology Institute a Los Angeles, University of Michigan a Detroit e così via). Alcune grosse aziende high tech investono massicciamente in start-up companies per diversificarsi e partecipare ai proventi delle future innovazioni tecnologiche; altre investono per stimolare lo sviluppo di un mercato per i propri prodotti. Anche le università hanno interesse a favorire l'attività imprenditoriale dei propri ricercatori per diversi motivi: il loro successo aumenta il prestigio dell'istituzione e offre potenziali benefici finanziari, basti pensare al profitto che Stanford realizzerà con il collocamento in Borsa di Google, la cui tecnologia di ricerca su Internet è stata messa a punto dai due fondatori Larry Page e Sergey Brin quando erano studenti. Scienziati-imprenditori. Le università Usa non solo dividono con i propri ricercatori i proventi derivanti da brevetti, ma lasciano la porta aperta per consentire il ritorno al mondo accademico di scienziati che lo abbandonano per trasformarsi in imprenditori. «Spesso i professori universitari si mettono in aspettativa per avviare il loro business, e l'università lo permette, anzi lo incoraggia - dice Elaine Hagan, direttrice del Center for Entrepreneurial Studies della Anderson Graduate School of Management della University of California a Los Angeles -. Altrettanto spesso essi tornano all'università per potersi dedicare alla ricerca senza la preoccupazione di dover gestire un'impresa». La qualità del capitale umano e la concentrazione geografica del talento scientifico non sono ovviamente sufficienti a garantire lo sviluppo economico di una regione high tech senza un'adeguata disponibilità di capitale di rischio. Da questo punto di vista gli Stati Uniti, con il più sviluppato mercato dei capitali del mondo, ha un netto vantaggio rispetto all'Europa e all'Asia, ma l'accesso ai finanziamenti non è a sua volta garanzia di successo imprenditoriale. «Quando si parla di venture capital non si parla solo di soldi - dice Marguerite Gong Hancock, docente all'Università di Stanford e co-autrice di The Silicon Valley Edge -. Il segreto del successo di un venture capital fund sta nel network di assistenza offerto alle società finanziate. Quel che manca all'Europa non è solo un ampio accesso al capitale di rischio - afferma -, ma la struttura di supporto e l'esperienza dei fondi di venture capital americani». I finanziamenti. Il modello americano, quello "inventato" nella Silicon Valley e imitato da molte altre regioni Usa, non è necessariamente il migliore o il più adatto alle risorse e al background culturale di ciascuna regione al mondo. In India, in Giappone, in Cina o a Taiwan, ad esempio, lo Stato finanzia fondi di venture capital privati, in un'unione fruttuosa di pubblico e privato rarissima negli Stati Uniti. Negli Usa il contributo pubblico è stato soprattutto indiretto: le innovazioni tecnologiche scaturite da finanziamenti per l'industria militare sono sfociate in applicazioni commerciali. «I finanziamenti pubblici destinati all'Us Army Tank-Automotive and Armament Command (veicoli militari) hanno indubbiamente avuto ripercussioni positive sul settore imprenditoriale della regione attorno a Detroit» dice Ken Rogers di Automation Alley. Dagli Humvee progettati e prodotti per l'esercito Usa sono nati ad esempio gli Hummer, tra i fuoristrada di maggior successo degli ultimi anni. Il ruolo del settore pubblico è determinante tuttavia non solo dal punto di vista finanziario ma soprattutto di pianificazione urbanistica. «Una delle ragioni per cui un'area come quella di Cambridge in Gran Bretagna non si è mai sviluppata in un corridoio high tech paragonabile a quelli americani è proprio la mancanza di supporto dell'amministrazione pubblica» sostiene la Hancock. Nonostante la concentrazione di cervelli e l'accesso al capitale di rischio, molti start-up inglesi non sono riusciti a fare il salto di qualità e dimensione proprio per mancanza di spazio, di infrastrutture, di abitazioni e di servizi.A Detroit. In contrasto, l'amministrazione provinciale di una città come Detroit ha contribuito immensamente allo sviluppo del suo corridoio high tech con la formazione di Automation Alley, un con sorzio formato da aziende private e da funzionari pubblici, finanziato in parte da fondi statali e in parte dai contributi delle società iscritte. «Automation Alley è stata una delle prime organizzazioni regionali a lanciare una campagna promozionale per il proprio Stato - dice Jeff Mason della Michigan Economic Developrnent Corporation -. E ha contribuito a trasformare l'immagine del Michigan nel mondo». Non solo organizzando campagne promozionali in Cina e in Germania, ma pubblicizzando le opportunità professionali e la qualità della vita della regione, reclutando così i laureati delle più prestigiose università americane. Con circa 170mila lavoratori impiegati nel settore high tech, oggi la provincia di Detroit è terza in America (e nel mondo) per numero di occupati nell'alta tecnologia. «All'Europa manca una rete globale, vuoi di persone, di tecnologia o di capitale - sostiene la Hancock -. La globalizzazione consente alle aziende di abbassare i costi e di massimizzare le proprie risorse, assumendo ad esempio i migliori scienziati del mondo o andando a cercare fornitori o attività manifatturiere dove costano di meno». Le rigidità europee frenano sempre di più la crescita in settori d'avanguardia, mentre quelle che una volta erano "economie in via di sviluppo" sono ben posizionate per superare il Vecchio Continente. DANIELA ROVEDA Concentrare i «cervelli» prima mossa per creare ricercatori imprenditori e accelerare le scoperte ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 CALIFORNIA: TRA FONDI E ATENEI TRASPARENZA DIFFICILE LOS ANGELES o Piuttosto che rivelare al pubblico la performance dei loro investimenti di rischio, i Fondi di venture capital americani hanno rimandato al mittente decine di milioni di dollari inviati dall'University of California, una rete di dieci campus che include Berkeley e Ucla. Su richiesta di un gruppo di dipendenti dell'Università e del quotidiano della Silicon Valley «San Jose Mercury News», un tribunale californiano ha ordinato l'anno scorso all'University of California di pubblicare i prospetti sull'andamento degli investimenti in fondi di venture capital gestiti da prestigiose società come la Sequoia Capital, la Kleiner Perkins Caulfield & Byers e la Redpoint Ventures. A differenza della Stanford University o del Mit, l’University of California riceve fondi statali ed è quindi un'istituzione pubblica. E in quanto tale deve rispondere a criteri di trasparenza per soddisfare il diritto dei contribuenti di sapere come sono investiti i loro soldi. Gli investimenti fatti prima dello scoppio della bolla Internet, temono molti dipendenti i cui fondi pensione sono gestiti dall'Università, potrebbero essere stati disastrosi. Da parte loro i Fondi di venture capital sono sempre stati restii a rivelare l'andamento annuo dei fondi investiti in start-up companies. Questi sono infatti investimenti che danno frutti dopo magari 10 0 20 anni, e la pubblicazione di "troppi" dati potrebbe compromettere lo scopo primario del venture capital, finanziare cioè società che non sono in grado di generare profitti prima di poter mettere sul mercato un prodotto di successo. La rottura dei rapporti tra i venture capital funds e l’University of California andrà a scapito di entrambe le parti, ma soprattutto dell'Università. Solo dall'investimento in Google (finanziato da due fondi in cui aveva investito l'ateneo californiano cinque anni fa), l’University of California potrebbe realizzare ben 200 milioni di dollari. Decisi a non farsi scappare occasioni simili, alcuni Stati hanno approvato leggi ad hoc per esonerare le loro università dalla regola della trasparenza. Ma se il precedente della California dovesse dare inizio a un trend, anche i Fondi di venture capital potrebbero iniziare a preoccuparsi: il 22% dei 250 miliardi di dollari investiti in Usa in capitale di ventura è effettuato infatti da istituzioni pubbliche. D.RO. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 GENOMICA E NANOTECH STELLE DELLA RICERCA UE Presentati a Bruxelles i primi progetti finanziati dal sesto programma quadro della Commissione europea DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES a Le promesse della ricerca europea: laboratori per le analisi medi che grandi quanto un chip, strumenti per individuare nel corpo anche pochissime cellule malate, un metodo genetico per valutare con più sicurezza quale terapia prescrivere alle donne operate di cancro al seno. Ma anche materiali "arricchiti", costruiti su misura a seconda delle esigenze e capaci di svolgere più funzioni: essere biocompatibili, condurre meglio calore o elettricità, avere una maggiore durezza e resistenza. O ancora, tecnologie di automazione per fabbricare scarpe personalizzate e di alta qualità e fare fronte così alla concorrenza asiatica; treni modulari ad alta velocità, meno costosi e capaci di correre da una parte all'altra del continente adattandosi alle diverse infrastrutture dei vari Paesi (progetto Modtrain, www.unife.org). E infine una sene di strumenti integrati fra loro per proteggere i passeggeri dagli attacchi terroristici sugli aerei (progetto Safee, di cui fanno parte anche Galileo, Marconi, Teleavio e Cenciarini). Sono alcuni degli obiettivi dei primi progetti finanziati dal sesto programma quadro della Commissione europea, che ha un ammontare complessivo di 17,5 miliardi di euro, presentati nei giorni scorsi a Bruxelles. Progetti di grandi dimensioni che dovrebbero portare alle prime applicazioni tra 3-5 anni e vedono coinvolte molte decine di partner universitari e industriali, tra cui diversi italiani. E proprio ieri la Commissione europea ha deciso di sostenere con nove milioni di euro un altro progetto di ricerca che prevede l'uso di cellule staminali umane ottenute da embrioni congelati creati a scopo riproduttivo e non più utilizzati. È il primo finanziamento Ue a studi sulle staminali embrionali dopo la fine della moratoria e vede coinvolto anche un partner scientifico italiano: l'Ifom, l'Istituto Firc di oncologia molecolare di Milano. L'obiettivo sarà studiare dei metodi per inibire o sviluppare ulteriormente la crescita dei vasi linfatici per combattere tumori e malattie infiammatorie. Sempre nel campo dei tumori, il progetto Trans-Big, di cui fanno parte anche l'Istituto europeo di oncologia di Milano e il gruppo oncologico italiano di ricerca clinica, cercherà di validare un sistema per prevedere con più precisione il rischio di recidiva nelle donne operate di tumore al seno. «Anche se i linfonodi di queste pazienti risultano negativi, vi è sempre un rischio di progressione della malattia che arriva al 25-30% - dice Giuseppe Viale, professore di anatomia patologica all'Università statale di Milano e coordinatore di una parte del progetto -. Bisogna perciò cercare di valutare quale sia il rischio della singola paziente, per decidere se adottare o meno, e con quale intensità, una cura precauzionale, come la chemioterapia o la terapia ormonale. Fino ad oggi si faceva con parametri classici, per esempio osservando la morfologia del tumore, ma negli ultimi due-tre anni è emerso che informazioni utili, forse più utili, possono arrivare dall'analisi dell'espressione di 70 geni. Perciò, coinvolgendo più di Smila pazienti, confronteremo i due sistemi». L'Istituto nazionale dei tumori di Milano ha invece ottenuto il coordinamento della seconda fase di un altro progetto oncologico di grande portata: Euroochip, un'indagine pluriennale che studia le differenze tra i vari Paesi europei nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nella cura dei tumori. L'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo (Torino) si è invece aggiudicato il coordinamento del progetto Trans-Fog che cercherà di tradurre in terapie le nuove conoscenze sul cancro portate dalla genomica. MolTools (www.moltools.org), che sta per strumenti molecolari, è invece un progetto che punta, tra l'altro, a sviluppare strumenti per analizzare velocemente e a basso costo il patrimonio genetico dei singoli individui. «Per sequenziare il genoma di un solo uomo ci sono voluti dieci anni e 2,3 miliardi di curo - spiega Marc Zabeau, professore di genomica all'università di Gent e partecipante al progetto -. Tra un individuo e l'altro ci sono tre milioni di differenze genetiche, ed è questo che ci rende diversi e che fa sì che alcuni siano più predisposti a sviluppare malattie o reagiscano alle medicine in modo diverso. Vogliamo trovare metodi più veloci ed efficienti per sequenziare il genoma, ma anche per capire le funzioni dei geni e analizzare le proteine, le molecole che fanno tutto il lavoro "comandato" dai geni e per le quali la tecnologia è ancora a uno stadio molto infantile». Grandi protagonisti del progetto sono i microanay: sembrano dei vetrini da laboratorio, ma sono uno degli strumenti più potenti a disposizione della ricerca genomica. Si tratta di una griglia di tantissime e minuscole sonde stampata su un vetrino, ciascuna capace di interrogare un singolo gene. Il progetto ICmni-Nce, che vede tra i partner i Politecnici di Milano, Torino e Ancona, l'Università di Padova, il Centro ricerche Fiat e Alenia areonautica, studierà come combinare i materiali per ottenere proprietà migliori o innovative. Per esempio associare ceramiche e metalli per unire in un unico materiale le proprietà caratteristiche di queste sostanze. LARA RICCI ___________________________________________________ La Stampa 13 mag. ’04 RICERCA, UN PIANO PER SPICCARE IL VOLO LA SVOLTA DEL GOVERNO PER IL BIENNIO 2004-2006 In calo gli studenti nelle facoltà scientifiche: la tendenza va invertita ROMA Il nostro sistema economico rischia di essere travolto non solo dalla concorrenza degli altri Paesi europei, del Giappone e degli stati Uniti, ma anche e soprattutto da Cina e India che grazie ad un forte investimento su ricerca e capitale umano (cioè sulla formazione e l’istruzione) stanno diventando delle superpotenze. In Italia invece, la ricerca è stata negli ultimi dieci anni fortemente penalizzata. Per questo il governo ha approntato il secondo Pnr (Programma nazionale della ricerca), relativo al triennio 2004-2006, con l’obiettivo di monitorare eccellenze e debolezze del nostro sistema, per ottimizzare le risorse, puntare sui settori trainanti e strategici (tra cui: information and comunication tecnology, biotecnologie, nuove materiali, nano e microtecnologie, energia, ambiente, trasporti, agroalimentare e salute), aumentare il «capitale umano», potenziare la ricerca di base e quella industriale. Nelle 60 cartelle di densa scrittura del Pnr, non è chiaro però da dove verranno le risorse per fare tutto ciò che occorre. Particolarmente grave, secondo l’analisi del Programma, è la questione della competitività, dato che dobbiamo confrontarci da un lato con gli Usa, che godono di formidabili investimenti al sistema della ricerca, e dall’altra con paesi emergenti come India e Cina, che associano a questo anche un basso costo del lavoro. Nel 2000 - dice il Programma - gli Usa hanno investito in R&S (ricerca e sviluppo) 288 miliardi di euro contro i 164 dell’Europa e i 154 del solo Giappone. Va da sé che il 33% dei brevetti richiesti in Europa è effettuato da aziende americane, mentre in Usa solo il 19% dei brevetti depositati è europeo. Nel non facile quadro Ue, il nostro paese è in una situazione particolarmente penalizzante. I finanziamenti alla ricerca sono costantemente diminuiti negli ultimi dieci anni: si è passati dall’1,30% del Pil del 1990, all’1,07% del 2001 e allo 0,9% di oggi, rispetto ad una media europea che è quasi del doppio (1,93%). Queste cifre devono far riflettere, se paragonate al 2,69% degli Usa e al 2,98% del Giappone. Inoltre da noi il 50,8% delle spese per R&S è a carico del pubblico bilancio: si tratta della più alta percentuale dell’area Ocse (se si esclude il 61% del Portogallo), tant’è che dei 66.702 ricercatori in totale, 40.152 sono pagati dallo Stato e solo 26.550 dai privati. Il rapporto tra ricercatori pubblici e privati è pari a 1,51 mentre in Europa è 1,03, in Giappone 0,48 e in Usa 0,17. Dare risorse alla ricerca, dunque, significa soprattutto agevolare gli investimenti privati. Per quanto riguarda il personale, il nostro sistema accademico e di ricerca è quantomai vecchio: solo il 5% dei docenti universitari di ruolo ha meno di 34 anni (a fronte del 13% del 1990). 18.131 sono i professori ordinari, 18.502 gli associati, 20.900 i ricercatori. Negli ultimi tre anni inoltre - rileva il Programma - il numero dei docenti ordinari è aumentato del 40,4%, del 2,6 quello degli associati e del 6,8 quello dei ricercatori. Poiché il costo dell’ordinario è 2,5 volte superiore a quello del ricercatore, se le università avessero privilegiato l’immissione di giovani nel sistema, avrebbero potuto assumere 13.050 nuove leve a costi invariati. Non ci sono buone notizie neppure dal fronte degli studenti: il numero degli immatricolati alle facoltà scientifiche è in diminuzione di circa un terzo. A Matematica c’erano 2.202 immatricolati nel ‘98, che sono diventati 1.943 nel ‘99, e 1.579 nel 2000. La curva delle iscrizioni a Fisica, negli stessi anni, è stata: 2.294, 1.934, 1.630. Per Chimica i numeri sono i seguenti: 1.278, 1.007, 843. Per contro basta sapere che la Cina punta a un milione di ingegneri l’anno e che il 50% dei ricercatori Usa è già straniero. Dovremo importare matematici indiani anche noi? Per far fronte a questo quadro sconsolante, il governo si è proposto alcuni interventi, tra cui: monitoraggio delle eccellenze e delle debolezze strutturali, ripresa degli stanziamenti con un incremento del 14% nel triennio 2004-06, riforma della scuola, riordino degli enti pubblici di ricerca, approvazione del piano nazionale spaziale, varo del sistema di valutazione, creazione dei distretti tecnologici, sostegno all'inserimento dei giovani nel settore R&S, riordino dello stato giuridico docenti universitari, fondazione dell'Istituto italiano di tecnologia. Per far fronte a tutto questo le forze sociali hanno sollecitato un intervento finanziario di almeno 14 miliardi di euro nel triennio. Un quadro preciso dei finanziamenti, però, nel Pnr non c’è. ___________________________________________________ Corriere della Sera 14 mag. ’04 LA SCUOLA VISTA DAGLI ITALIANI "NON PREPARA, PROF BOCCIATI" Una ricerca condotta da "Treellle" e dall’Istituto Cattaneo Il voto degli intervistati: "Appena sufficiente" ROMA - Gli italiani non sembrano molto interessati a quanto accade nel mondo della scuola. Non si appassionano al dibattito sulle riforme. Se si sollecita un giudizio generale assolvono con un sei il mondo dell’istruzione. Ma scendendo nei dettagli sono consapevoli che molte cose non vanno: dalla preparazione professionale della maggioranza dei docenti al fallimento dell’obiettivo principale della macchina scolastica, la preparazione al lavoro. Sono i risultati, spesso contraddittori, dell’indagine sugli orientamenti dei cittadini riguardo all’istruzione realizzata dall’Istituto Carlo Cattaneo e da "Treellle", un’associazione diretta da Antonio Oliva e presieduta da Umberto Agnelli. DISINFORMAZIONE - L’aspetto che colpisce di più è lo scarso impegno degli intervistati - un campione statistico di 2.597 adulti tra i 18 e i 64 anni - a tenersi aggiornati sull’evoluzione della scuola. Il 34 per cento del campione ammette di essersi aggiornato poco o niente. Un altro 42 per cento sceglie il termine "abbastanza", piuttosto indecifrabile. Tra le fonti prevalgono l’esperienza personale (59 per cento) e dei figli (26). Solo sei cittadini su cento affermano di tenersi informati attraverso radio, tv e giornali. Se la scuola risulta essere un argomento poco interessante e trascurato dai più, di chi è la colpa? "Una parte della responsabilità - dice Attilio Oliva - va attribuita alla scarsa trasparenza della scuola stessa. In Italia accusiamo un forte ritardo per quanto riguarda gli strumenti di conoscenza e valutazione dei processi formativi, a differenza di quanto accade all’estero". Insomma una scuola autoreferenziale, opaca in qualche modo induce la gente a non occuparsi di essa. "In Europa le rilevazioni sui risultati della scuola - spiega Thomas Alexander, ex responsabile del settore Education dell’Ocse - provocano spesso accesi dibattiti". "Negli ultimi trent’anni - osserva Ferdinando Adornato, presidente della Commissione Cultura della Camera -. idee come il merito o la professionalità hanno finito con l’acquisire un significato negativo. La scuola si è trasformata in un luogo di socializzazione diventando sempre meno interessante". OBIETTIVI MANCATI - Dall’indagine dell’Istituto Cattaneo e di "Treellle" emerge che gli italiani non apprezzano molto le prestazioni del sistema scolastico. La preparazione al mondo del lavoro, l’obiettivo che l’82 per cento degli intervistati considera molto importante o importantissimo, seguito a breve distanza dagli altri: insegnare a rapportarsi con gli altri (80), accesso all’università (77), insegnare a pensare criticamente (75), continuare ad imparare da soli (75), risulta clamorosamente mancato per il 74 per cento del campione. MATEMATICA BOCCIATA - La materia-chiave per gli intervistati è l’italiano: oltre il 90 per cento dei cittadini intervistati le riconosce "molta importanza. Al secondo e terzo posto si piazzano l’inglese e l’informatica. Seguono la matematica e le scienze. Per Giancarlo Gasperoni, il direttore dell’Istituto Carlo Cattaneo che ha presentato l’indagine, la sottovalutazione delle discipline scientifiche desta forte preoccupazione anche alla luce del richiamo minimo esercitato dalle facoltà scientifiche e della scarsa competitività del Paese sul piano della ricerca di base e applicata. Le materie ritenute meno utili in assoluto risultano essere la filosofia e il latino, due pilastri della cultura umanistica. INSEGNANTI - Solo il 37 per cento degli intervistati è convinto che gli insegnanti in possesso di una buona formazione professionale siano più numerosi di quelli che ne sono privi. La valutazione negativa del corpo docente è particolarmente diffusa fra gli intervistati più giovani: ben il 70 per cento dei 18-30enni dichiara che i docenti "bravi" sono una minoranza.   Giulio Benedetti ___________________________________________ L’Unità 13 mag. ’04 ROMA TRE AL VOTO PER IL RETTORE Si vota il 7 giugno per eleggere il Rettore dell'Università degli Studi Roma Tre, secondo Ateneo del Lazio con circa 40.000 studenti, giunto adesso al suo dodicesimo anno accademico. L'unico ad aver presentato la candidatura alla carica di Rettore, che ha mandato quadriennale, è al momento l'attuale Rettore, Guido Fabiani Le candidature, comunque, si chiudono il prossimo 31 maggio Fabiani da oggi al 27 maggio, farà una serie di consultazioni con tutte le rappresentanze di Ateneo, a cui esporrà il documento programmatico che accompagnerà la sua candidatura Incontrerà tutto il corpo docente attraverso i Consigli di Facoltà, il Collegio dei Direttori di Dipartimento e il Personale amministrativo dell'Ateneo L'incontro con gli studenti avrà luogo lunedì 17 maggio, AI voto sono ammessi tutti i Professori di ruolo e fuori ruolo, tutti i Ricercatori universitari in servizio alla data di svolgimento delle elezioni, tutto il Personale tecnico-amministrativo-bibliotecario in ruolo alla data di svolgimento delle elezioni, con peso pari all 8% del numero dei Docenti con diritto al voto, i Rappresentanti degli Studenti negli Organi di Governo dell'Ateneo e nei Consigli di Facoltà, nonché i dieci studenti eletti direttamente nel Consiglio degli Studenti _________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 mag. ’04 SILENZIO-ASSENSO, UN ESPEDIENTE INCOSTITUZIONALE DI SILVIO MARTUCCELLI * Nell'imminenza della emanazione di un nuovo Codice dei beni culturali, un gruppo di accademici dei Lincei aveva lanciato un appello, formulando alcuni principi, considerati irrinunciabili, cui si auspicava che la nuova normativa dovesse ispirarsi. Tra questi principii, espressi in dieci punti, vi era indicata, la necessità di affermare l'intrasferibilità dei beni pubblici di interesse culturale distinguendoli, mediante urgenti misure di censimento, dagli altri beni di proprietà pubblica, e dunque di preservare il patrimonio storico e artistico del Paese, secondo il dettato dell'articolo 9 della Carta costituzionale, nella convinzione che i beni culturali, così come quelli paesaggistici, non siano un patrimonio da investire, bensì costituiscano un patrimonio comune su cui investire, mediante una corretta attività di tutela, diretta ad assicurarne la conservazione e la più diffusa conoscenza e fruizione. Il principio formulato dai Lincei appariva accolto nella bozza del nuovo Codice dei beni culturali e del Paesaggio, secondo il quale il vincolo di inalienabilità dei beni pubblici viene meno solo all'esito negativo di un procedimento di accertamento dell'interesse culturale effettuato dalle soprintendenze. Questo sistema, che sembrava fornire sufficienti garanzie sul fronte delle alienazioni, è oggi fortemente minato dall'ultimo comma dell'articolo 12 del Codice, che richiama l'articolo 27 DI 30-09-2003, 269, il quale impone la verifica dell'accertamento dell'interesse, storico, archeologico dei beni di proprietà pubblica entro il temine perentorio di 120 giorni, stabilendo che in caso di mancata risposta da parte della soprintendenza il bene in questione debba considerarsi privo di interesse culturale e dunque alienabile. La norma in questione sovverte per eludere pericolosamente il principio della inalienabilità dei beni di interesse culturale, attraverso il subdolo meccanismo del silenzio-assenso. Strano modo di utilizzare il silenzo-assenso. Nato per tutelare il cittadino dinanzi all'inerzia della pubblica amministrazione, per una sorta di eterogenesi dei fini diventa un espediente tecnico attraverso il quale lo Stato, a danno della collettività, elude il vincolo di inalienabilità dei beni culturali. Invece di potenziare le soprintendenze con strumenti di lavoro e personale, affinché il procedimento di verifica dell'interesse culturale possa svolgersi efficacemente e in tempi ragionevoli, lo Stato approfitta di una carenza del sistema (cui potrebbe altrimenti porre rimedio) per aggirare l'ostacolo, fastidioso inefficiente anti-economico, del regime vincolistico. L'anomalia è evidente: da un lato, in apparente ossequio al principio di inalienabilità, si richiede il parere della soprintendenza, così riconoscendo la necessità di un procedimento, tecnico e vincolante, di verifica dell'interesse culturale, senza il quale non poter operate; dall'altro, attraverso lo strumento del silenzio-assenso, si compromette gravemente il sistema di garanzie apprestato, raggiungendo, col semplice decorso di un lasso di tempo, lo scopo precipuo della immediata sdemanializzazione e della libera alienabilità. Arduo e illusorio pensare ché la scelta del silenzio-assenso non celi alcun intento politico ben preciso e che sia puramente casuale o, peggio, abbia una matrice tecnica o addirittura una giustificazione tecnico-giuridica. La massima di esperienza secondo la quale «chi tace acconsente» (qui tacet consentire videtur) non trova cittadinanza nel sistema giuridico italiano vigente. Nel mondo del diritto non vi sono fatti che di per sé abbiano la caratteristica della giuridicità; non vi sono fatti ontologicamente giuridici. Un fatto non è giuridico per sua natura, ma in quanto preso in considerazione da una norma; in quanto, cioè, un legislatore. storicamente determinato decida di regolarlo. Il silenzio 8, dunque, di per sé, neutro, adiaforo, indifferente, non significa nulla. Esso non ha alcun significato giuridico. È la legge che dà al silenzio, come fatto, uno specifico significato. È il legislatore che di volta in volta sceglie - avverta il lettore la rilevanza logica e politica del verbo "scegliere" - se e quale significato attribuire al silenzio; e, nel caso di silenzio cosiddetto "significativo" (ossia nel caso in cui abbia optato per annettere a esso una valutazione giuridica, ossia un effetto giuridico), può scegliere significati tra loro diversi, anzi diametralmente opposti. È la prescrizione normativa che può attribuire all'inerzia della pubblica amministrazione un significato positivo (c.d. silenzio-assenso) ovvero un significato negativo (c.d. silenzio-diniego o rigetto). Ma la scelta fra differenti, anzi opposte, formulazioni della norma, come è noto, è legata a una differente valutazione degli interessi in conflitto, operata a prescindere dalla considerazione delle circostanze concrete. La norma risolve un conflitto di interessi, ritenendo in astratto, tra gli interessi confliggenti; uno più meritevole di tutela dell'altro. È chiaro dunque che nel primo caso (quello del silenzio-assenso) il legislatore, dinanzi al silenzio della pubblica amministrazione, avrà ritenuto più meritevole di tutela l'interesse a una risposta positiva (ossia, per ciò che qui ci riguarda, l'interesse a vendere il bene culturale), mentre nel secondo caso (quello del silenzio-rigetto) avrà ritenute più importanti le ragioni del diniego (id est, l'interesse a conservare il bene culturale). Ma se questa è la ratio del principio del silenzio-assenso e del suo accoglimento nel nuovo Codice dei beni culturali, non ci si può sottrarre al dovere di denunciare con forza la assoluta illegittimità costituzionale di una norma che, in totale spregio dell'articolo 9 della Costituzione, lede il principio della tutela dei beni culturali, arrecando un danno irreparabile all'integrità del patrimonio storico e artistico della nazione. * Prefessore straordinario di Diritto privato all'Università di Teramo ___________________________________________________ L’Unione Sarda 14 mag. ’04 CESENATICO DUE GIOVANI SARDI VINCONO LE OLIMPIADI DI MATEMATICA     È una passione, un istinto, una dote innata quella che accomuna gli studenti che ogni anno si misurano con le gare di matematica organizzate dalle università più prestigiose della Penisola: la scuola normale superiore di Pisa e l’università Bocconi di Milano. La finale nazionale, disputatasi a Cesenatico dal 7 al 9 maggio, ha visto protagonisti due studenti cagliaritani: Fabio Lilliu, 17 anni, IV E del liceo scientifico "Brotzu" di Quartu, che ha conquistato la medaglia d’oro e l’invito alla preparazione per le finali internazionali che si terranno quest’estate ad Atene, e Carlo Metta, 17 anni, IV E del liceo scientifico "Pacinotti" di Cagliari, medaglia d’argento. Ma le prove non sono ancora finite: Fabio Lilliu, primo classificato alle selezioni provinciali di Cagliari, rappresenterà assieme a Lorenzo Perra, I A, il liceo scientifico "Brotzu" alle finali nazionali che si terranno domani a Milano. Carmela Arcoraci e Ettorina Montisci hanno svolto il ruolo di coordinatrici delle Olimpiadi nella Provincia. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mag. ’04 PIU’ CHE NURAGICI BRAVI AGRICOLTORI di Marcello Madau Nuovi fasci di luce sull'età nuragica e il nuraghe Arrubiu. All'Exma' di Cagliari, in via S. Lucifero 71 (domani, ore 17),l’archeologo Renato Peroni, Accademico dei Lincei e docente all'Università della Sapienza, a Roma, presenta il terzo volume della collana «II laboratorio della Conoscenza e della Memoria» promossa dal Comune di Orroli e diretta da Fulvia Lo Schiavo, già Soprintendente Archeologo in Sardegna e ora al Cnr. II tema della giornata è «Nuovi confini, nuovi tesori. Il Sarcidano, Orroli e il nuraghe Arrubiu». Autori e curatori sono Tatiana Cossu, Franco Campus, Valentina Leonelli, Mauro Perra e Mario Sanges; ai nomi già citati si aggiungono quelli di Fulvia Lo Schiavo, Maria Beatrice Annis, Lucia Vagnetti, Paolo Belli, Roberta Pitzalis, Federico Villanie Ornella Fonzo, che propongono un quadro articolato sull'età del Bronzo medio, recente e finale, sino alla prima età del Ferro, sulla ceramica - tipologie e tecniche -, sul vasetto miceneo rinvenuto, sulle ricostruzioni ambientali e architettoniche, le modalità dell'architettura a tholos nell'Egeo e sui principi base dell'indagine archeologica stratigrafica. È un'impresa multidisciplinare che non ha precedenti, e su quale monumento! Se la «notizia» è ancora l’alabastron miceneo presumibilmente proveniente dall'Argolide (non ci è purtroppo dato sapere le modalità del suo arrivo, ma l'eventuale rottura rituale potrebbe essere una firma o un riconoscimento), non vi è dubbio che la comprensione della vicenda Arrubiu sta, come vedremo, nella gestione del territorio. II pregevole vasetto di profumi (tecnicamente, un alabastro a spalla angolare, è esposto in una vetrina della sala nuragica del Museo Archeologico G.A. Sanna di Sassari) fu fabbricato da una bottega della regione peloponnesiaca dell'Argolide, nella seconda metà del XIV secolo a.C. Non siamo di fronte alla impressionante documentazione micenea del nuraghe Antigori qua il vasetto appare isolato, e può essere arrivato, al suo tempo, in mille modi. Ma è decisivo perché la collocazione stratigrafica lo dà subito precedente alla costruzione dell'Arrubiu. Ecco perciò, finalmente, una buona e affidabile datazione per un nuraghe a tholos complesso: non prima del 1350-1300 circa a.C. La mole del «gigante rosso» (bellissimo il modellino in scala esposto al Museo Sannai: ma andate a Orroli a vederlo dal vivo) è davvero impressionante. Lo studio in corso da parte dell'équipe di lavoro ci porta finalmente verso il superamento degli affascinanti ma limitati orizzonti tipologici dell'architettura, per iniziare ad impaginare un dossier socio-economico della Sardegna nuragica. Mi ha colpito l’interessantissima ricostruzione di due vasi (una scodella e una conca) e la capacità in rapporto di uno a dieci, vale a dire una razione personale a fronte di una misura per famiglia (due chili circa), ciò che denuncia un'organizzazione di recipienti per la mensa che si lega all'evoluta cerealicoltura presupposta, rendendo possibile l'organizzazione di razioni (non necessariamente d: solo uso familiare). L'immagine desueta dei fieri pastori-guerrieri subisce un altro smacco. Emerge infatti una crescente affermazione della cerealicoltura. Le relazioni con il Mediterraneo si consolidano nei segni del rango e nelle cerimonie di gruppi aristocratici che unificano forza economica, militare, religiosa. È possibile che il prosieguo degli studi renda meno difficoltosa l'individuazione dei modelli di funzionamento della società nuragica, provando a delineare - almeno come modelli aperti - modi e rapporti di produzione, con le necessarie forme ideali di rappresentazione degli stessi. II controllo centralizzato delle risorse che appare caratterizzare ormai la funzione stessa del nuraghe, e il nucleo di una ventina di famiglie che appare dai calcoli fra volume di un silos, grano e fabbisogno medio alimentare, se è forse un dato minimo che attende di essere ampliato, iniziano a darci almeno ombre di quell'umanità pur sempre presupposta da legioni di cocci. L'esistenza di una tale struttura - e le analisi economiche proposte ne sono una bella conferma - propone letture materiali sinora poco praticate negli studi archeologici della nostra preistoria e protostoria: la presa d'atto del potere trova una rappresentazione simbolica in una struttura che protegge la ricchezza accumulata: da chi? Da altri nuragici oppure da pastori-nomadi fuori della cerchia "palatina" e quindi fuori dal nuraghe? La strada delineata nel magnifico impegno del gruppo di lavoro aiuta a sgombrare il campo dalle montagne di esoteriche castronerie regolarmente propinateci per svelare il cosiddetto mistero dei nuraghi: per esse non basterebbero i silos del nuraghe Arrubiu. Ma episodi come queste ricerche esemplari, realizzate nella sostanza da una nuova generazione di archeologi sardi e dalla comunità residente, fanno bene al sapere della storia nuragica, preludendo a una sorta di liberazione intellettuale. ================================================================== _________________________________________________________ Italia Oggi 12 mag. ’04 CONTRATTO MEDICI, SVOLTA FEDERALE SIRCHIA: UN NUOVO ATTO D'INDIRIZZO DALLE REGIONI La trattativa per il rinnovo del contratto dei medici ospedalieri potrebbe essere a una svolta e dovrebbero essere proprio le regioni ad assicurare un nuovo atto d'indirizzo. Lo ha assicurato il ministro della salute Girolamo Sirchia al Forum p.a. in svolgimento a Roma. «L'impianto giuridico che ha portato all'atto di indirizzo precedente sarà cambiato e insieme alle regioni ne sarà votato uno nuovo», ha dichiarato Sirchia. «C'è, infatti, una buona disponibilità delle regioni a limitare le loro richieste che hanno suscitato la reazione da parte dei medici, nel senso di non esagerare sull'efficienza almeno nella prima fase, ma lasciar maturare un tempo di passaggio e quindi scrivere un atto di indirizzo più gradito ai medici, impostato cioè su un impianto liberale diverso dall'attuale». Contemporaneamente, il ministro della salute ha aspramente criticato chi accusa il federalismo di essere causa dello sfascio del Ssn: «È una vecchia favola contraddetta dallo sforzo delle regioni di migliorare i servizi e i dati lo dimostrano. Inoltre», ha aggiunto, «il centralismo e quindi lo stato che eroga le risorse è, di fatto, lontano dalla gente e non corresponsabilizza la comunità locale e ha provocato negli anni guasti inenarrabili. L'assistenzialismo del Meridione deve a questo centralismo sprovveduto i guasti che ora si ritrova :a correggere e che correggerà. II centralismo, e fassistenzialismo romano hanno creato danni alla rete ospedaliera con doppioni inutili, ecco perché serve un grande sforzo di comunicazione». Nel corso del forum romano sono stati assegnati 11 premi: tra questi, uno all'Agenzia regionale dei servizi sanitari della regione Puglia sulla prevenzione del tabagismo, alla Asll Niguarda Ca' Grande della regione Lombardia per i servizi on-line, alla Asl di Reggio Emilia per il sistema informativo sulle demenze web; un premio al portale www.ospedalebambinogesu.it dell'ospedale pediatriao romano per l'innovazione nei servizi e il premio speciale Cnr e Infoanziani.it. Spesa sanitaria. :Il Forum p.a. di Roma è stato anche l'occasione per fare il punto sulla spesa sanitaria nazionale, definita dal presidente di Farmindustria Federico Nazzari «di una quota ragguardevole, ma ancora inferiore a quella degli altri stati». Nel 2003, infatti, tra settore pubblico e privato è stata 'di circa 105 mila milioni di euro, pari iall 8,6% del pil. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mag. ’04 AZIENDA MISTA: UN PROTOCOLLO CON TROPPE VIRGOLE Tensione fra gli ospedalieri che hanno bocciato l’ultima versione della bozza sull’azienda mista Il cuore del problema: carriere, spese, orari di lavoro ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. L’assessore regionale alla sanità rende noto che il protocollo per l’azienda mista tra Regione e Università non è naufragato. L’assessore coltiva la speranza che il documento sia approvato e attribuisce alla litigiosità dei sindacati ospedalieri la responsabilità prossima ventura di un’eventuale bocciatura del protocollo. Secondo l’assessore le nove sigle sindacali che compongono l’intersindacale medica della Sardegna si sono espresse "per salvaguardare privilegi personali". Giusto per non finire nel guado di una scelta impossibile (chi ha ragione?) ecco le carte oggetto della contesa: il protocollo licenziato dalla commissione alcuni mesi fa e quello approdato in giunta. Al primo, gli stessi sindacati, quelli oggi giudicati troppo litigiosi, avevano detto sì. E’ sul secondo che è arrivato il no travolgente e secco. Perché? La lettura dell’uno e dell’altro è una sorpresa: i cambiamenti che tanto preoccupano sono affidati alla punteggiatura e a qualche parola in più o in meno. Ma, potenza della grammatica, queste cosucce sono riuscite a restituire maggiore discrezionalità al sistema universitario su carriere e orari di lavoro, tanto per fare un esempio. Oppure, stavolta grazie a un avverbio, nel capitolo della partecipazione alle spese, si sono create le premesse perché i prossimi documenti sull’argomento stabiliscano che, in caso di perdite, soltanto la Regione venga chiamata a ripianare.  Si può cominciare proprio da questo avverbio. All’articolo 18 è scritto: "La Regione e l’Università concorrono al sostegno economico finanziario dell’attività svolta dalle rispettive aziende... l’Università concorre al finanziamento delle attività dell’azienda di riferimento esclusivamente con le seguenti risorse... la Regione concorre al finanziamento delle aziende di riferimento con le seguenti risorse...". E’ l’"esclusivamente" a fare la differenza e gli ospedalieri ritenuti litigiosi sostengono che si tratta di una questione sostanziale. Cui si aggiunge un’ulteriore constatazione: nello stesso articolo si prevede che l’Università debba concedere a titolo gratuito i beni immobili individuati nel progetto di scorporo... con oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria a carico dell’azienda". Se l’ordinaria si comprende, la straordinaria secondo gli ospedalieri non avrebbe giustificazione perché "i beni restano di proprietà dell’Università" e "il protocollo ha durata quinquennale". Nella prima stesura l’"esclusivamente" non c’era.  Giova spendere due parole anche sulla commissione che ha elaborato il protocollo del miracolo, quello che aveva strappato un "sì" agli agguerriti ospedalieri: si trattava di una commissione voluta dall’assessore, dove figuravano anche i presidi delle due facoltà di Medicina e non c’erano i sindacati ospedalieri per l’ottima ragione che la legge non li prevede. Il documento elaborato da questa commissione, certo non nemica del sistema universitario, aveva strappato l’elogio più importante visto il dissidio eterno tra Università e mondo ospedaliero: l’intersindacale medica l’aveva definito "equilibrato". In una riunione finita a tarda sera gli ospedalieri avevano illustrato all’assessore e ai tecnici del suo ufficio le modifiche che secondo loro avrebbero migliorato il documento. Ma l’impostazione del documento andava "benissimo". Poi sono arrivati i punti, le virgole e gli avverbi: così pesanti, secondo gli ospedalieri, da imprimere una robusta virata all’impostazione perfino virtuosa. Per esempio: non sarà una perdita insopportabile, ma all’articolo 9, dove si indicano gli organi dell’azienda mista, si prevede una commissione consultiva dove nel primo protocollo c’era un rappresentante delle organizzazioni sindacali, nel secondo no. A proposito di perdite: l’articolo 10 entra nel merito delle direzioni delle strutture complesse, quando compete a un universitario nel primo protocollo si stabiliva che spettasse a professore ordinario, nel secondo la frase è formulata in modo che, volendo, si può ipotizzare una direzione del genere anche in capo a un semplice ricercatore. Sugli orari di lavoro la costruzione del paragrafo nel primo era tale che c’era una sostanziale parità, nel secondo gli ospedalieri vengono ancorati all’assistenza e, nel caso facciano ricerca e didattica, l’attività deve essere certificata dal referente universitario. Si badi: gli universitari, invece, autocertificano. Tra gli articoli 2 e 3, nel passaggio dal primo al secondo protocollo è sparita un’indicazione giudicata fondamentale: quella che ancorava al concerto con la Regione l’inserimento nei ruoli, quindi negli organici dei reparti, dei nuovi professori titolari di un insegnamento. Altro motivo di polemica sono gli argomenti di alcuni allegati che accompagnano il protocollo presentato in giunta. Come l’equiparazione del personale universitario dove due sistemi gestiti diversamente devono far coincidere qualifiche professionali, trattamenti economici. Alla fine: non sarebbe utile spendere i prossimi dieci giorni a parlare di tutto questo ancora un po’? ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 mag. ’04 AZIENDA-MISTA: CAPPELLI ‘NON INTENDO FARE ALCUN PASSO INDIETRO’ L’assessore alla sanità Roberto Capelli interviene sulla polemica scatenata dai medici CAGLIARI. Ai fini di una corretta informazione, vorrei rettificare l’incredibile sequela di imprecisioni e di fantasie - siamo arrivati addirittura al "si racconta che..." - contenute nell’articolo "Azienda mista: affonda il protocollo squilibrato", apparso sul vostro quotidiano. Innanzitutto, allo scopo di ristabilire la verità dei fatti, desidero precisare che sui protocolli d’intesa non ho fatto nè intendo fare alcun passo indietro. Non mi "sono dovuto riportare indietro il protocollo d’intesa sull’ospedale universitario", che è, e rimane, iscritto all’ordine del giorno dei lavori e auspico sia approvato al più presto dalla Giunta regionale.  Non corrisponde al vero che la bozza presentata all’Esecutivo sia stata scritta o "riscritta" dagli universitari), che - tra l’altro - non incontro da oltre un mese. Faccio sapere, ad ogni buon conto, che non sarà riscritta nanche dagli ospedalieri, le cui grandi e piccole necessità sono sempre state tenute nella giusta e dovuta considerazione. La Commissione da me insediata e presieduta ha lavorato con impegno, professionalità e serietà, libera da qualunque condizionamento e di concerto con tutte le parti in causa. Ho assunto ogni decisione di mia competenza senza cedere a pressioni o ricatti di chicchessia. Il che, evidentemente, ha infastidito più d’uno.  Non ho da difendere interessi di parte. Non partecipo alle tifoserie per Cagliari contro Sassari o viceversa. L’unica colpa che mi riconosco è quella di aver voluto estendere anche ad altre parti del territorio regionale, lontane dalle grandi cattedrali della scienza, la possibilità di istituire corsi di laurea e di svolgere attività didattica e di ricerca. Così è.  Sta di fatto che, nonostante tutto il lavoro e gli sforzi - anche di mediazione - profusi, la Sardegna rischia di rimanere ancora "al palo della vergogna: unica in Italia a non avere ancora un protocollo che regoli i rapporti tra università e ospedalieri".  E tutto ciò per un’asserita e non reale disparità "di orario di lavoro nei reparti ospedalieri convenzionati con l’Università", per un asserito e non reale mancato "riconoscimento per gli ospedalieri che svolgono attività di ricerca"; per una presunta disparità quanto "all’età pensionabile", tra l’altro fissata con legge nazionale; per una asserita iniqua suddivisione "delle direzioni dei dipartimenti". Ebbene sì, diciamola tutta, se i protocolli d’intesa non verranno approvati sarà solo per l’esasperata ed esasperante litigiosità interna alla categoria medica, e per responsabilità di alcune sue componenti, minoritarie ma loquaci, purtroppo più interessate alla salvaguardia di privilegi personali che alla grandezza e alla nobilità della professione e al futuro dei nostri giovani e della Sanità in senso lato. Che dire dunque a tutti quei ragazzi che potrebbero essere costretti anche quest’anno ad andare oltre Tirreno per frequentare un corso di laurea breve? Solo la verità dei fatti: che a volte grandi e piccoli interessi di parte impediscono di perseguire e realizzare l’interesse di tutti. Roberto Capelli Assessore regionale della Sanità ___________________________________________________ Corriere della Sera 12 mag. ’04 IL DIALOGO CON IL MALATO È LA PRIMA TERAPIA Veronesi ai medici: diciotto secondi per una diagnosi? Colloqui di 10-20 minuti per capire i pazienti Il dialogo è il fondamento della visita medica e non un suo momento accessorio. Un colloquio aperto di 10-20 minuti, oltre alla visita, tranquillizza, risponde alle aspettative del paziente e apre un canale di comunicazione anche con la psiche della persona, di cui, come ho detto e scritto in tante occasioni, bisogna sempre tener conto. E ha in più oggi un valore clinico e terapeutico, che sfugge ai pazienti ma anche, purtroppo, a molti medici. Invece la storia personale e clinica del paziente è l'elemento alla base della "buona cura" moderna. Bisogna che medici di famiglia e specialisti prendano coscienza della nuova dimensione della medicina, che già è, e sempre più sarà, una medicina "predittiva". Le nuove conoscenza sul genoma, che ci hanno svelato i meccanismi molecolari che all'interno della cellula indicano una più o meno elevata predisposizione ai vari tipi di malattie, ci permettono di valutare il rischio che la singola persona ha di sviluppare determinate patologie, base fondamentale per ogni tipo di prevenzione. Siamo passati quindi dallo studio e trattamento del sintomo della malattia allo studio e prevenzione del rischio di ammalarsi. Questo passaggio epocale obbliga noi medici a riconsiderare il paziente nella globalità della sua persona. Nel mio campo, ad esempio, abbiamo imparato che il cancro è una malattia largamente influenzata dall'ambiente, che origina cioè dall'interazione di determinati geni con fattori esterni come l'alimentazione; o alcune sostanze presenti in certi ambienti di lavoro; o abitudini come il fumo o l'alcol; o ancora il consumo di alcuni farmaci e così via. Ecco allora che diventa importante conoscere la vita e la storia del proprio paziente per capirne fattori di rischio. Ha un valore sapere che cosa mangia, se è o è stato in sovrappeso, se ha fumato e, se ha smesso, da quanto tempo, qual è il suo stile di vita. Per una donna, come è stata la sua storia femminile: quando ha avuto il primo ciclo mestruale, quanti figli ha avuto e se li ha allattati e quanto a lungo. Queste sono oggi le informazioni importanti per la diagnosi oncologica e, in alcuni casi, anche per la scelta della cura. E possono emergere solo da un dialogo aperto fra medico e paziente. Del resto, io lo posso testimoniare, proprio questo chiede oggi il paziente. Desidera conoscere, guardare in faccia l'uomo o la donna responsabili delle scelte sulla sua salute, spesso sulla sua vita. Vuole comunicare direttamente le sue angosce, le sue paure, raccontargli la sua situazione familiare. Senza intermediari. A questo punto ci si chiede: ma come può un professionista fare tutto? Lavorare, aggiornarsi, dedicare tempo al dialogo con ogni paziente, applicare le nuove tecnologie senza diventare un tecnoterapeuta? L'unica vera soluzione, credo, sia rivedere completamente il curriculum degli studi del futuro medico, anche se oggi nella facoltà di medicina questa auspicata rivoluzione etica fa fatica a trovare spazio. Pochi spiegano ai futuri dottori, che vengono formati in modo sempre più tecnico e specialistico, che il loro compito sarà di occuparsi dell'uomo nella sua interezza. E questo deve essere spiegato subito, a partire dagli esami del primo anno, dallo studio dell'Anatomia, perfino da quello della Chimica o della Biologia. E va ribadito con forza durante tutto il corso di laurea, permeando tutte le materie. Non si deve e non si può concentrare lo studio della medicina solo sullo studio delle malattie. E' indispensabile ragionare anche su come creare, e mantenere, un rapporto con il paziente e su quanto sia importante curare lo spirito, oltre che il corpo. Nell'Università prima, nell'ambulatorio e nell'ospedale poi, il cambiamento deve essere radicale. La medicina del futuro non può perdere la sua funzione primaria. Duemila anni fa il dottore si occupava dell'insieme della persona e la metteva al centro delle sue attenzioni, anche quando era del tutto sana. Oggi, e negli anni a venire, non potrà che ritornare a essere così. _________________________________________________________ Gazzetta del Sud 9 mag. ’04 VACCINO PEDIATRICO ANTI AIDS IN AFRICA PALERMO Firmato un accordo per la realizzazione Vaccino pediatrico anti Aids in Africa PALERMO - Firmato a Palermo un accordo per la realizzazione di un vaccino pediatrico contro l’ Aids in Africa. L' iniziativa, partita dall' Unesco e nota come «Families first Africa», è stata accolta dall'Università degli Studi di Roma 'Tor Vergatà, dal Policlinico universitario Paolo Giaccone di Palermo e dall'Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Cnr. Le tre strutture hanno stretto un rapporto di collaborazione per la ricerca e la sperimentazione. Ieri a Palermo erano presenti alla firma anche il ministro per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo e il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro. Se il fenomeno della trasmissione materno infantile dell'Hiv si è ridotto in Italia grazie all'azione combinata del parto cesareo, trattamento della madre e del neonato con i farmaci antiretrovirali e l’ allattamento artificiale, «quest'ultimo metodo - continua Colizzi- non viene praticato in Africa, dove le donne accettano solo l’ allattamento naturale. Questo comporta che se il bambino nasce sano può contrarre l’ Hiv tramite il latte materno». Il vaccino, che entro il 2006 comincerà ad essere sperimentato su un primo campione di adulti portatori sani, forma una sorta di barriera immunologica «in grado di annientare il virus contagiato dalla madre», dice Colizzi. Se i risultati delle prime sperimentazioni saranno positivi «si passerà ad un campione limitato di neonati - precisa l'immunologo di Tor Vergata -. Da qui alla somministrazione di massa». Per far sì che questo diventi al più presto realtà « è - necessario investire nella ricerca», spiega Giuseppe Silvestri, Rettore dell'Università degli Studi di Palermo». _________________________________________________________ Libero 9 mag. ’04 IL SESSO? È SOLO UNA FORMA MOLTO EVOLUTA DI INFEZIONE NEWYORN - [l.s.] La riproduzione sessuata e la distinzione tra maschi e femmine rappresenterebbero a tutti gli effetti una forma molto evoluta di infezione. È quanto afferma un nuovo studio teorico americano, realizzato da Chris Bazinet (ricercatore presso la St John's University di New York). Più in particolare secondo lo studioso la prima, rozza forma di sesso maschile ha avuto inizio quando dei primitivi parassiti batterici (che prosperavano a spese di cellule più grandi) hanno iniziato a saltare da una cellula all'altra trasportando con sé una parte dei geni del loro ospite originale (e favorendo così il rimescolamento genetico e lo sviluppo di nuove specie). A detta di Chris Bazinet tutto ruoterebbe attorno ai mitocondri, particolari organuli (che contengono del Dna) interni alle cellule viventi che fungono da vere e proprie centraline energetiche per queste ultime. Stando a diversi studi compiuti sull'argomento, i mitocondri (che vengono ereditati dalla madre e che sono legati a filo doppio con la riproduzione sessuata), sarebbero stati in origine dei Parassiti batterici che si sono poi integrati in modo stabile nelle cellule, influenzandone lo sviluppo. E, secondo quanto afferma il ricercatore americano, il loro ruolo sarebbe stato molto più importante di quanto non si pensi: lo studioso ritiene che gli attuali mitocondri in origine avrebbero avuto la funzione di veri e propri parassiti "trasportatori" di geni, e in seguito la natura avrebbe normalizzato la loro relazione con le cellule ospiti (dando così origine, nelle creature pluricellulari, agli ovuli e agli spermatozoi). Lo studioso è giunto a, queste conclusioni dopo aver comparato la struttura dei mitocondri con quella del rickettsia, un microrganismo parassitario dalle caratteristiche simili ai batteri e solo in parte ai virus), responsabile di forme febbrili più o meno gravi: secondo quanto sostengono svariati ricercatori, i primi sarebbero imparentati proprio con quest'ultimo. _____________________________________ la Repubblica 13 mag. ’04 LA CERAMICA CI SALVERÀ DALLE ARTERIE OCCLUSE Nuovi materiali progettati dal Cnr ROMA - Contro le arterie occluse la soluzione arriva dalla ceramica. Studiosi del Cnr hanno presentato a Bologna, nell'ambito di Exposanità 2004, i nuovi stent coronarici rivestiti di materiali ceramici che promettono di impedire il formarsi di nuove occlusioni post intervento. Inerti e privi di azione allergenizzante infiammatoria, sono biocompatibili. Lo stent è usato negli interventi di angioplastica coronarica, tecnica di allargamento delle arterie, e serve per mantenere aperto il vaso ostruito. __________________________________________ MF Personal 13 mag. ’04 TERAPIA GENICA PER L’ASMA Salute Un progetto per neutralizzare la patologia fin dalla gestazione L'obiettivo di Ga2len è di annullare il processo che predispone al difetto respiratorio. Attive 15 nazioni Tre i centri in Italia di Maria Cristina Sparaciari Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale di sanità le persone che nel mondo soffrono di asma sono 150 milioni (5 milioni gli italiani) e l'aumento costante della malattia negli ultimi anni fa prevedere che nel 2020 diventi, accanto alle altre patologie respiratorie, la terza causa di morte nel mondo occidentale. Gli sforzi di autorità sanitarie e ricerca medica per prevenirla con ogni mezzo stanno per dare risultati importanti. Fra pochi anni, infatti, si potrà bloccare l'asma addirittura a livello fetale, intervenendo prima della nascita su quei geni che predispongono alla malattia. È innegabile che esista una forte predisposizione ad ammalarsi. È stato accertato, per esempio, che se i genitori sono entrambi asmatici, il figlio avrà 70 probabilità su 100 di diventare un asmatico (mentre se solo un genitore soffre di asma, il rischio scende al 40%). «Le ultime ricerche hanno sottolineato l'importanza dell'interazione tra madre e feto nella successiva comparsa della malattia», afferma il professor Maurizio Vignola dell'Istituto di Medicina generale e pneumologia dell'università degli studi di Palermo e responsabile della sezione di immunopatologia e farmacologia dell'Istituto Ibim-Cnr del capoluogo siciliano. «Si è visto, infatti, che durante la gravidanza si realizza una sorta di «programmazione» che predispone al difetto respiratorio. Quindi, riuscendo a intervenire su tale programmazione in utero, si otterrà una reale prevenzione primaria». Individuare le cause genetiche dell'asma e neutralizzarle è lo scopo di Ga21en, il progetto più importante mai realizzato nell'Unione. Ne fanno parte gli scienziati di 15 nazioni e l'Italia è quasi protagonista con ben tre centri: Istituto di medicina generale e pneumologia dell'università degli studi di Palermo, Clinica di malattie dell'apparato respiratorio dell'università di Genova e Istituto di neurobiologia e medicina molecolare del Cnr di Roma. «I ricercatori italiani studieranno in particolare i meccanismi alla base dell'infiammazione tipica dell'asma», precisa il professor Walter Canonica, direttore della Clinica di malattie dell'apparato respiratorio dell'università di Genova. «E si concentreranno anche su altri aspetti, quali la nutrizione, la sensibilizzazione agli allergeni e i fattori ambientali, soprattutto inquinamento e fumo di sigaretta». Gli esperti sono ottimisti, il progetto Ga21en è partito solo tre mesi fa ma potrebbe rendere disponibile un efficace intervento genetico nel giro di pochi anni. (riproduzione riservata) _________________________________________________________ Repubblica 13 mag. ’04 LE FRONTIERE DELL'ONCOLOGIA Il primo studio congiunto svilupperà una nuova classe di farmaci DUE PROGETTI DI RICERCA ITALIA-USA PER 10 MILIONI DI EURO Poter diagnosticare una malattia in fase precoce, ottenerne una "fotografia" precisa, combatterla con armi moderne e poco tossiche e infine prevedere la capacità individuale di risposta ad un farmaco, sia in termini di risultati terapeutici che di effetti collaterali indesiderati: sono le realtà mediche di un futuro molto prossimo. Per avvicinarsi al traguardo l'Italia si è alleata con gli Stati Uniti> in un vasto programma di ricerca collaborativo, per il quale sono già stati stanziati io milioni di euro. I primi due progetti "Italia-Usa" di oncologia sono stati presentati pochi giorni fa in presenza del ministro della Salute Girolamo Sirchia, presso l'Istituto Superiore di Sanità. antitumorali di tipo molecolare. Ne è promotore un "cervello italiano all'estero", Carlo Croce, direttore del Kimmel Cancer Center di Filadelfia e collaboratore di "Salute". Si tratta di piccole molecole di acido ribonucleico o ' RNA, che regolano la proliferazione, la differenziazione e la morte cellulare e sono alterati nelle neoplasie. Definiti micro RNA (miRNA), hanno funzioni di "silenziatori", ovvero di oncosoppressori, e sono in grado di neutralizzare i gem responsabili di alcuni tumori. Potranno essere usati come farmaci, inserendoli nelle cellule in cui mancano 0 sono difettosi. Cesare Peschte, direttore del Dipartimento di Ematologia , Oncologia e Medicina Molecolare, con fISS e gli IRCSS di Alleanza contro il cancro, avranno il compito di analizzare fattività dei miRNA nelle cellule tumorali e neoplastiche e di sviluppare le nuove medicine anti cancro. Il secondo progetto si basa su tecnologie e strumenti sofisticati che consentono l'analisi dettagliata delle proteine, contenute nei sieri di pazienti o sospetti tali, e delle loro modificazioni. Lo scopo della "sieroproteomica" e della "fosfoproteomica", è di individuare "firme", ovvero assetti proteici e il loro stato di attivazione, che siano diversi tra individuo sano e persona portatrice di una neoplasia anche molto precoce. Le proteine costituiscono il prodotto finale delle attività dei geni, sono dei marker di fondamentale importanza per la diagnosi, forniscono indicazioni per un trattamento mirato e personalizzato dei tumori solidi oggetto dello studio (seno, colon retto, polmone, fegato e ovaio) e sono preziose per monitorare la terapia. la tecnica della sieroproteomica è basata sull'uso di elettroforesi per separare le proteine e della spemometria di massa, per individuarne il "peso" e la composizione. All'Istituto Nazionale della Sanità americano (NIH), la tecnologia è pienamente attiva, con risultati incoraggianti. II ruolo dell'Italia è importantissimo e si esplica in due modi: collaborare alla raccolta di materiale e installare la metodologia nel nostro paese. 1500 sono i campioni messi a disposizione dall'Istituto Regina Elena di Roma, come ha dichiarato il direttore scientifico dell'istituto, Francesco Cognetd. A sua volta Sergio Pecorelli, professore di Ostetricia e Ginecologia fornirà materiale proveniente dalla banca per i tumori dell'ovaio di Brescia. * Direttore Lab.Biotogi Molecolare, Ist, Genova _________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mag. ’04 MAMMOGRAFIE VIA GRID Il piano Mammogrid usa la potenza del calcolo distribuito per creare un database a livello continentale Un network europeo per la lettura delle mammografie. E quello che promette il progetto «MammoGrid», finanziato dalla Commissione europea. Le moderne tecniche di analisi mediche, come la tomografia computerizzata o le immagini a risonanza magnetica (Mxi), richiedono, ormai, l'elaborazione e il dominio di un sempre maggior numero di informazioni, con un aumento esponenziale della complessità dei calcoli da affrontare. Il problema riguarda tutte le scienze della vita, dalla biologia che, nell'analisi della struttura delle proteine, ha trovato un alleato prezioso nelle più avanzate tecniche computazionali, come, ad esempio, i supercomputer di nuova generazione. L'avvento della bio informatica ha, così, permesso di utilizzare queste macchine ultra potenti anche per la determinazione della struttura tridimensionale delle proteine. Un discorso analogo vale per la Grid, l'altra nuova frontiera dell'informatica. La Grid. Il termine «grid» indica un sistema di computer distribuito che, lavorando in parallelo, consente di eseguire calcoli estremamente complessi con grande facilità. L'idea è quella di distribuire il peso delle operazioni su una serie di computer, applicando le medesime tecniche che sono utilizzate da tempo, ad esempio, dai fisici per lo studio delle particelle elementari. Per questo motivo è sorto, a livello europeo, l’Healthgrid iniziative group, ossia il gruppo di iniziativa per la salute con la Grid. Il progetto Mammogrid. In Europa sono diversi i progetti di ricerca in campo medico. Tra questi, si segnala Mamrnogrid, un programma sperimentale che vede coinvolte, tra le altre, le Università. di Pisa, Sassari e Udine, assieme agli atenei di Oxford e Bristol. Lo scopo del progetto è quello di sviluppare, a livello europeo, un database delle mammografie per garantire un'analisi migliore dei risultati di que sto esame. Inoltre, l'iniziativa conta su un numero statisticamente significativo di reperti, analisi e previsioni, in modo tale da migliorare le anamnesi e raffinando nel contempo gli studi di tipo epidemiologico. Il progetto prevede anche l'utilizzo di un sistema standard per confrontare mammografie realizzate nei diversi Paesi coinvolti, e lo sviluppo di software che siano in grado di estrarre autonomamente informazioni rilevanti dalle mammografie. I ricercatori, poi, sperano dì riuscire a trovare anche correlazioni significative in modo da arrivare a comprendere meglio alcuni meccanismi dei tumori al seno. MammoGrid non è tuttavia l'unico programma sanitario che prevede l'utilizzo delle reti di computer: vi sono, ad esempio, progetti di ricerca sulla simulazione medica delle operazioni chirurgiche, o altri dedicati alla resistenza agli antibiotici o allo studio del virus dell'Hiv. La Grid, dunque, stanno diventando un alleato prezioso nella ricerca medica. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 mag. ’04 LO SMOG SPORCA ANCHE IL DNA Inquinamento / La studio di «Science» Si aggiunge un altro tassello al mosaico degli studi sugli effetti dell'inquinamento. Secondo una ricerca canadese, condotta sui topi dall'èquipe di Cristopher Sommers e James S. Quinn dell'Università Mac Master insieme a ricercatori del Lakeland College dell'Alberta, l'esposizione a inquinamento atmosferico da motori a scoppio può indurre mutazioni nel patrimonio genetico degli animali. Come se non bastasse, queste trasformazioni geniche, rilevate nel campione di topi su una serie di marcatori genetici chiave nel Dna, permangono nella prole, inducendo quindi una sorta di «modificazione» genetica legata esclusivamente all'ambiente. Lo studio, pubblicato sulla rivista «Science», ha preso in esame due gruppi di topi esposti all'aria inquinata di una zona ad alta densità industriale nei pressi di un'autostrada. L'aria respirata da uno dei gruppi è stata però «ripulita» grazie a un sistema di filtri (Hepa) in grado di bloccare il perticolato, cioè la polvere emessa dai motori. Il dato più significativo che emerge dallo studio è che dopo dieci settimane di esposizione all'aria inquinata il tasso di mutazioni genetiche rilevate nella prole della popolazione non protetta dai filtri è aumentato in misura variabile di una volta e mezza fino al doppio rispetto all'altro gruppo di ammali. Lo studio conferma, pur se solo sul campione animale, e con dati che non possono essere estrapolati direttamente all'uomo, i potenziali effetti cronici dell'esposizione agli inquinanti per gli organismi viventi. «La ricerca conferma l'attenzione che va prestata all'inquinamento urbano - è il parere di Valerio Gennaro, del dipartimento di Eziologia ed epidemiologia ambientale dell'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova - e al momento si sta cercando di capire, soprattutto, di cosa siano realmente costituite le polveri fini». In questo senso, quindi, il perticolato potrebbe rappresentare una sorta di "vettore" per altri composti potenzialmente mutageni. La grande difficoltà che si incontra nell'utilizzo pratico di indagini di questo tipo, tuttavia, sta nella difficile applicabilità immediata delle ricerche di laboratorio sul versante pratico. «In genere, quando si parla di inquinamento da traffico per indurre modificazioni nella cultura occorrono dati epidemiologici significativi su una vasta popolazione, ma questi possono essere raccolti solo dopo molto tempo dall'inizio dell'esposizione che può indurre danni cronici, praticamente indimostrabili nel breve termine», commenta Gennaro. FEDERICO MERETA ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’04 VIA LIBERA AI FONDI PER GLI STUDI SULLE STAMINALI EMBRIONALI La Nano2Life (www.nano2life.org) è un progetto che punta a far interagire le molecole biologiche con strumenti nanotecnologici. L'obiettivo sarà produrre laboratori per diagnosi mediche grandi quanto un chip (Lab on chip), strumenti per inviare farmaci direttamente alle cellule che devono essere curate, e sistemi per vedere gli effetti di alcuni composti, per esempio farmaci, su diversi tipi di cellule come quelle del fegato o del polmone (Celi on chip) o per controllare la diffusione nelle acque di sostanze tossiche o patogeni. Tra i partner, il Centro comune di ricerca di Ispra e le società italiane Silicon biosystems e Aurelia. II progetto ha ricevuto fondi Ue per 8,8 milioni di euro, il costo totale è di 13. Italia quarta nelle nanotecnologie Finanziamenti pubblici concessi nel 2003, in milioni di euro (sullo sfondo l'analisi dell'espressione dei geni effettuata tramite un microarray, Spl) ___________________________________________________ La Stampa 12 mag. ’04 CHEMIOTERAPIA, MENO DANNI CON LA NUOVA PROTEINA SI CHIAMA «YEIK»: È L’ULTIMA SCOPERTA DEI RICERCATORI DEL SAN RAFFAELE DI MILANO MILANO L’ultima scoperta dei ricercatori dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano si chiama «YeiK» ed è una «superproteina», che è in grado di rendere più efficace il trattamento chemioterapico nei pazienti ammalati di tumori solidi. La proteina è anche in grado di diminuirne, al contempo, gli effetti collaterali. Lo studio, pubblicato ieri sulla rivista scientifica «Structure», è nato dalla scoperta che la proteina in questione, presente in un batterio comunissimo, l’«Escherichia coli», riesce ad attivare e rendere efficace un composto analogo a quello utilizzato nei cicli di chemio e radioterapia: il «fluorouacile». Il «fluorouacile» è altamente tossico, ma è nello stesso tempo il composto più attivo nell’uccisione delle cellule tumorali: il tutto purché venga somministrato ad alte dosi, il che ne aumenta però gli effetti collaterali. «YeiK» è invece in grado di attivare un composto molto meno tossico: utilizzando la terapia del gene suicida, si potrà in questo modo iniettare nella cellula tumorale sia il gene che produce la proteina, sia il farmaco inattivo. Il gene attiverà il farmaco, che a sua volta agirà uccidendo la cellula cancerosa. Nei casi di tumori che colpiscono il fegato, il pancreas, il colon e la prostata, questo sistema consentirebbe una terapia selettiva verso la neoplasia, limitando l'uso del farmaco a dosi mirate e molto basse. Inoltre, la struttura della proteina è stata modificata dai ricercatori tramite la tecnica della «cristallografia a raggi X», esaltandola e facendola diventare una «superproteina», potenzialmente ancora più efficace. Attualmente, l'utilizzo di «YeiK» nei tumori in cui il tasso di mortalità resta alto, è in fase di sperimentazione e, se ne verrà confermata l'efficacia, se ne prospetta una applicazione clinica entro cinque anni circa. «La prospettiva che la scoperta apre - si legge in una nota - è l'utilizzo di questa proteina per un nuovo approccio terapeutico detto terapia del gene suicida e che consiste nell'iniettare nelle cellule tumorali sia il gene che produce la proteina sia il farmaco inattivo. Il gene produce la proteina in grado di attivare il farmaco e porta così alla morte la cellula cancerosa. La nuova proteina darebbe la possibilità di usare dosi di farmaco molto basse. Questo approccio terapeutico potrebbe essere utilizzato in ogni tumore solido per cui l'intervento chirurgico risulti troppo invasivo, o abbia elevati rischi». ___________________________________________________ Corriere della Sera 11 mag. ’04 FECONDAZIONE, NASCE IL «TURISMO DELLE PROVETTE» Per aggirare la legge sempre più coppie italiane emigrano: Grecia, Tunisia, Malta fanno concorrenza a Spagna e Austria De Bac Margherita ROMA - All' inizio un senso di impotenza, di scoraggiamento. Poi la speranza che non tutto fosse perduto, che ci fossero nuove strade per realizzare il sogno di un bebè. Le coppie hanno cercato, chiesto, navigato su Internet, si sono scambiate informazioni col sistema del passaparola. E alla fine hanno trovato. Hanno trovato centri non troppo lontani né troppo costosi dove è possibile ottenere ciò che ora è vietato in Italia per legge. Grecia, Praga, Tunisia, Malta, presto potrebbe aggiungersi l' Albania. Queste le nuove rotte del «turismo procreativo». ALL' ESTERO - Il fenomeno preannunciato dai nemici del nuovo testo di legge si è realizzato. La novità, rispetto alle previsioni, sono però le mète scelte dai genitori. Il flusso verso l' estero si è ingrossato (si presume che gli esuli della fecondazione siano almeno il 10-20% in più), le destinazioni hanno come fulcro il Mediterraneo. E spesso a consigliare questo o quell' indirizzo sono i centri italiani. Quando c' è un vero e proprio rapporto di collaborazione con i colleghi stranieri, il biologo si sposta in trasferta per assistere la sua paziente sottoposta ai trattamenti qui vietati. Tecniche eterologhe, congelamento degli embrioni, fecondazione di più di tre ovociti per ciclo, maternità surrogata. «E' impossibile quantificare il movimento, ci possiamo basare solo sui racconti - cerca un numero Monica Soldano, presidente dell' Associazione Madre Provetta, il 25 e 26 maggio un convegno a Roma contro la legge -. Non meno di 30, 40 donne ogni settimana si imbarchino per Atene e Salonicco dove per un' eterologa e la donazione di gameti si spende la metà rispetto alla Spagna». ALBANIA - Ognuno segue le rotte più abbordabili, anche dal punto di vista geografico. Per i pazienti siciliani le destinazioni più battute sono Malta e Tunisi, che offrono cliniche moderne, ben organizzate, ben felici di ricevere clienti italiani. Dalle regioni adriatiche è più facile optare per la Grecia e, secondo i racconti delle coppie, per l' Albania. Smentisce però da Tirana Orion Gliozheni, celebrità dei Balcani nel campo delle cure per la sterilità: «So che c' è un certo movimento, ma nessuna italiana ha cominciato cicli. Per ora molte coppie turche, macedoni e kosovare». Secondo Giuseppe D' Amato, direttore del Centro pubblico per la riproduzione assistita di Castellana, Bari (poche settimane fa il primo bambino nato in Puglia con la tecnica della diagnosi preimpianto) «la legge ha messo gli aspiranti genitori in grande difficoltà e sarebbe ingiusto non aiutarli ad orientarsi. Noi ci limitiamo a fornire informazioni generiche, indicando come alternative i gruppi austriaci, inglesi e spagnoli che offrono l' eterologa. Ma non diamo indirizzi. Per questo basta fare una ricerca su Internet». All' articolo 12 della legge è infatti prevista la reclusione da tre mesi a due anni e multe da seicentomila a un milione di euro a chi «in ogni forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni o la surrogazione di maternità». LE TARIFFE - Al Nord passa di bocca in bocca il nome dell' Eubios di Merano, uno degli istituti di medicina della riproduzione ed endocrinologia diretti da Herbert Zech, il ginecologo austriaco che ha fatto nascere il primo bimbo in provetta in Austria, Russia e Polonia. «Questa legge è una frustazione, c' è sempre più gente che cerca altre soluzioni. Dare assistenza a chi ne ha bisogno è nostro dovere - si ribella Paolo Netzbandt, direttore sanitario a Merano -. Riceviamo persone molto preparate, sanno tutto sulle offerte. Da febbraio le cure all' estero sono triplicate». Chi non vuole sottostare al limite di tre embrioni fecondabili vola in Svizzera, Austria, Germania. Chi ha bisogno di un' eterologa sceglie Praga, dove una Fivet costa 3-4 mila euro, più o meno come in Italia, escluse le spese di viaggio. Netzbandt esclude che siano venduti pacchetti di viaggio, comprensivi di volo, soggiorno e cure. Ma è quello che le coppie raccontano. COSTI AUMENTATI - «La quasi totalità delle strutture sono in stand by, aspettano di vedere le linee guida del ministero della Salute prima di muoversi e riorganizzarsi. Intanto è logico che si guardino attorno. Non mi risulta che colleghi bolognesi abbiano preso contatti per aprire attività a San Marino. Di sicuro, ancora nulla di concreto», fa uno zoom sul panorama italiano Luca Gianaroli, del Sismer. Contano molto su questa apertura al Centro di biologia della Riproduzione di Palermo, diretto da Ettore Cittadini prima che diventasse assessore, dove funziona un centro all' avanguardia per la diagnosi preimpianto. «Il danno della legge lo vedremo in futuro - tentano un primo bilancio -. Nei primi cicli di trattamento col limite dei 3 ovociti non abbiamo avuto nessuna perdita di successi». I clienti dei centri lamentano l' aumento di costi dovuto al maggior uso della tecnica Icsi, la microiniezione, che aumenta le percentuali di fertilizzazione dell' ovocita. LA LEGGE - Le linee guida dovrebbero essere pronte entro il 10 giugno, ma forse slitteranno strategicamente a dopo le elezioni europee. Tra i ritocchi, la possibilità per la donna di rifiutare l' impianto di un embrione risultato malformato in seguito alla diagnosi preimpianto e di farlo congelare, in attesa che sopraggiungano cure per guarirlo. Si sta cercando il modo di rendere accessibili le tecniche non solo agli sterili ma anche ai portatori di malattie cromosomiche, ora esclusi. Per loro l' unica speranza di avere figli sani senza rischiare di dover abortire i feti malformati è affidarsi alla provetta. Margherita De Bac mdebac@corriere.it IL FENOMENO 10-20 per cento IN PIU' delle coppie vanno oggi all' estero per ottenere terapie che la legge sulla fecondazione ha vietato in Italia. Fra le nuove mete: centri in Grecia, Tunisia, Malta 30-40 coppie ALLA SETTIMANA si imbarcano per Atene o Salonicco dove un intervento «eterologo» costa la metà, per esempio, rispetto alla Spagna 3-4 mila euro IL COSTO di una Fivet nei centri di Praga, più o meno quanto si spende in Italia, escluse le spese di viaggio e soggiorno 27 mila GLI EMBRIONI congelati prima dell' approvazione della legge che ora si trovano nei centri di fecondazione assistita. Sul loro destino deve decidere il ministero della Salute