MISURE SERIE PER GLI ATENEI - I RETTORI: «LA NOSTRA AUTONOMIA NON SI TOCCA» - LA PAGELLA AI PROFESSORI - FINANZIAMENTI ALLE UNIVERSITÀ, PESA ANCHE IL VOTO DEGLI STUDENTI - SI DA UN’ARMA IN MANO A CHI NON SA GIUDICARE - E’ UNO STIMOLO A LAVORARE MEGLIO E A CORREGGERSI - REVISIONE DEL «3+2», VIA LIBERA IN SENATO - USA: LA RICERCA MINACCIATA DAI VISTI - PUBBLICAZIONI VALIDE SE DIFFUSE - CAPITALE UMANO, COME VALUTARLO - SCUOLA. CORO DI NO AI DUE NUOVI DECRETI DELLA RIFORMA - SI CELEBRA IL MATRIMONIO FRA INFORMATICA E BIOTECNOLOGIE - LA GENETICA SARDA CONQUISTA ROMA - SARDEGNA E ISLANDA POPOLI-CAVIA - GENETICA TRA SUCCESSI E SPERANZE - DUE MAXI-CAVI A FIBRE OTTICHE TRA SARDEGNA, LAZIO E SICILIA - ================================================================== GIUSTIZIA E RESPONSABILITÀ DEI MEDICI - COSTA TROPPO, IL POLICLINICO NON È ASSICURATO - INFEZIONI IN CORSIA. 130 MORTI L'ANNO - UN MINI BISTURI PER OPERARE LA TIROIDE - TUMORE ALLA PROSTATA, UN NERVO PER EVITARE L’IMPOTENZA - PIÙ LUCE SUL CERVELLO - DENTI FINTI BELLI COME I VERI, CON IL COMPUTER - CONVEGNO A MODENA: DIRITTI-DOVERI DEGLI ODONTOIATRI - CINQUE INIEZIONI PER RIPULIRE LE ARTERIE - LE NUOVE CONQUISTE DELLA CHIRURGIA - RIMEDI BIOLOGICI CONTRO LA PSORIASI - LE MALATTIE RARE DEI BAMBINI - IL MALE OSCURO DIETRO L'ANGOLO - NOVITÀ SUL FRONTE DEL FAVISMO - L’OMEOPATIA NON SUPERA L’ESAME IN TRIBUNALE - IL BATTERIO CHE BLOCCA L'HIV - AUMENTANO I TUMORI MASCHILI DEL SENO - GUIDARE IL PERCORSO DEGLI ASSONI - ================================================================== _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 29 mag. ’04 MISURE SERIE PER GLI ATENEI La modifica all'esame del Parlamento contiene norme contraddittorie DI LUCIANO GUER20N1* Il rischio di buttare via i risultati migliori della riforma del 1999 Alle Commissioni istruzione di Camera e Senato è in corso l'esame, per il prescritto parere, del provvedimento governativo di modifica del decreto ministeriale n. 509, con cui fu varata, nel '99, la riforma degli studi universitari. Se alla Camera l'argomento è stato rinviato alla ripresa dei lavori dopo le elezioni europee, la Commissione del Senato ne ha concluso invece l'esame martedì scorso, esprimendo a maggioranza parere favorevole, pur con non poche indicazioni al Governo per la stesura finale del provvedimento. Tra le più significative, la contrarietà alla scomparsa dei master universitari come titolo di studio, vista la positiva esperienza registrata con la loro introduzione, e la preoccupazione circa i tempi di attuazione della (nuova) riforma, per cui «appare quindi indispensabile sopprimere il comma 1 dell'articolo 13 e confermare l'intenzione in più occasioni manifestata dallo stesso Governo di graduare nel tempo la riforma, senza l'imposizione di termini perentori». Sorprende la scarsissima risonanza che sta avendo, dentro e fuori il mondo accademico, il provvedimento - all'esame delle Camere - con cui il Governo si accinge a intervenire su aspetti non secondari della riforma universitaria, varata dal Centro-sinistra con il decreto n. 509 del '99. La circostanza si deve, forse, alle rassicurazioni ripetutamente date dal ministro Moratti - e formalmente ribadite nella nota ministeriale di risposta ai rilievi del Consiglio di Stato - secondo cui le modifiche non intaccherebbero l'architettura complessiva della riforma e non avrebbero comunque carattere vincolante per gli atenei, configurandosi piuttosto come possibilità aggiuntive per la loro autonomia didattica. Ma le cose non stanno così. Verosimilmente non per volontà del ministro. Il fatto è che le modifiche proposte sono state inserite in un provvedimento il cui articolo unico dispone l'integrale sostituzione del decreto 509. La natura giuridica e politica dell'intervento ne risulta pertanto radicalmente mutata. Lo conferma la nota con cui il presidente della Camera ha precisato, in risposta a una richiesta di chiarimenti del presidente del gruppo Ds, che il parere parlamentare riguarda non le modifiche, ma l'intero nuovo "decreto 509", quale risultante dalla sua disposta sostituzione, ancorché nel titolo del provvedimento si parli soltanto di "modifiche". Come non bastasse, l'improvvida mano ministeriale cui si deve la confezione tecnica del provvedimento, pur disponendo l'integrale sostituzione del decreto 509, non ha provveduto al raccordo tra le "modifiche" apportate e le restanti norme del '99, riprodotte tali e quali nel nuovo decreto, con risultati grotteschi e potenzialmente dirompenti per l'intero ordinamento degli studi universitari. Così, ad esempio, la disposizione transitoria e finale dello schema di decreto (art. 13), riproducendo alla lettera la norma del '99, regola la transizione (già avvenuta!) dal vecchio ordinamento degli studi a quello della riforma, ma nulla dispone circa l'attuazione delle modifiche ora introdotte. Ne consegue l'inapplicabilità di queste ultime ovvero, stando alla lettera della norma, l'obbligo per le università di rifare tutti gli ordinamenti didattici "entro diciotto mesi" dal decreto ministeriale sulle classi (anch'esso da rifare!), buttando a mare un lavoro che ha impegnato per anni le strutture didattiche degli atenei, gli uffici ministeriali e gli organi consultivi e di rappresentanza del sistema universitario. Insomma, un colossale pasticcio. Per altro, nulla si dispone sul punto cruciale della facoltatività delle modifiche, più volte assicurata dal ministro. Ma può essere facoltativa, ad esempio, la nuova denominazione dei titoli di studio, con la conseguenza di atenei che continueranno a rilasciare la "laurea specialistica" e altri che rilasceranno invece la nuova "laurea magistrale"? A sua volta, la soppressione dei "master" universitari è vincolante o facoltativa? Se vincolante, come si porrà riparo al conseguente vuoto dell'unico titolo di studio nel segmento - vitale per il mondo del lavoro, che ne ha sancito il successo - della formazione post-laurea e della formazione permanente? Più in generale, come non tener conto del danno sociale che si produce per le classi di giovani che hanno terminato o termineranno i corsi secondo la riforma del '99, il cui titolo di studio - schiacciato tra il vecchio ordinamento pre-riforma e quello che si sta per varare - risulterà inevitabilmente declassato? E come rimediare all'incertezza del diritto nel mondo del lavoro e nell'accesso alle professioni, conseguente al repentino sovrapporsi di titoli di studio diversi? Infine, come potranno gli atenei - e con quali risorse - organizzare e tenere in vita contestualmente, per anni, tre ordinamenti didattici differenti? Che la riforma del '99, per la sua stessa radicalità e complessità, abbisognasse di aggiustamenti o rettifiche era previsto dallo stesso decreto 509, ed è ovviamente inevitabile. Ma sulla scorta di un monitoraggio rigoroso e sistematico sia delle difficoltà e delle incoerenze applicative, sia degli esiti effettivamente conseguiti. Cosa che appena ora comincia a essere possibile con dati incoraggianti, ad esempio, sulla corrispondenza tra durata legale e durata reale degli studi, mentre le modifiche all'esame del Parlamento sembrano destinate a produrre l'effetto opposto. * Ex sottosegretario alla Pubblica istruzione _________________________________________________________________ Il Messaggero 27 mag. ’04 I RETTORI: «LA NOSTRA AUTONOMIA NON SI TOCCA» RIUNITA LA CONFERENZA NAZIONALE Dai “magnifici” un sì ai voti e alla competizione tra atenei, a patto di garanzie sulla riforma di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Accettano i “voti”, la competizione tra atenei e un sistema di valutazione esterno, ma difendono compatti il principio di autonomia «culturale, gestionale e finanziaria». «La nostra indipendenza non si mette in discussione, non possiamo finire in balìa dei cambiamenti della politica», dicono i rettori. La Conferenza nazionale punta i piedi, rilancia il ruolo istituzionale dell’università e ribadisce «l’intangibilità» dei suoi principi. «Siamo un’istituzione pubblica al servizio dell’interesse nazionale - scrivono i “magnifici” nel documento che sta per essere votato in assemblea e che verrà inviato al ministro e a tutti gli atenei per una riflessione collettiva - L’università dovrà continuare ad operare in regime di piena libertà». I rettori sono preoccupati della modifica del regolamento sull’autonomia didattica degli atenei (509 del ’99), presentata dalla Moratti. Chiedono chiarimenti e garanzie. «La nuova università - dicono i “magnifici” - si trova davanti a compiti di progettazione strategica e di gestione del tutto inediti rispetto al passato, una sfida che richiede mezzi e strumenti adeguati per evitare la crisi del sistema». Altro nodo centrale della governance è l’elezione del rettore. L’ipotesi di un consiglio di amministrazione con tanti membri esterni che possa eleggere il responsabile di ateneo è respinta in blocco. «Il rettore deve essere garante dell’istituzione e deve essere eletto da tutto il corpo accademico e dalle altre rappresentanze di ateneo. Deve avere uno spazio effettivo, non di potere autocratico ma con compiti di indirizzo e di programmazione». I ”magnifici” delle 70 università italiane di fatto temono la nascita di politiche consociative, orientate da interessi e finalità estranee. Con la stessa fermezza respingono l’ipotesi che le «risorse» economiche vengano attribuite, anche se solo in parte, sul numero degli studenti “attivi” o sul numero dei laureati. «Ciò costituirebbe - dicono - un attentato alla qualità degli studi». _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 26 mag. ’04 LA PAGELLA AI PROFESSORI E’ giusto che gli studenti universitari esprimano un giudizio sull'insegnamento ricevuto, e che da questo giudizio dipenda, sia pure in piccola parte, l'entità dei finanziamenti ricevuti dall'ateneo (è questa infatti la novità presentata ieri dal ministro dell'Istruzione Letizia Moratti; si veda l'articolo a pagina 25)? Sì, è giusto e opportuno, oltre che prassi abituale nei migliori atenei dei Paesi avanzati. Da noi ad aprire la via fu l'Università commerciale Bocconi di Milano, poi seguita da molte altre. L'innovazione, accolta ovunque con favore, nelle prossime settimane sarà estesa a tutte le università. Agli studenti saranno distribuiti dei questionari con una serie di domande dettagliate: sulla chiarezza e l'efficacia dell'insegnamento, la quantità e qualità degli spazi e degli strumenti per la didattica, il carico di studio delle singole materie e la sua rispondenza con i "crediti" previsti per l'esame, la puntualità dei docenti nel presentarsi alle lezioni e alle ore di ricevimento individuale, e così via. I questionari compilati saranno raccolti ed elaborati dai «nuclei di valutazione» che esistono da tempo in tutti gli atenei, e il risultato più o meno soddisfacente sarà rilevante - è questa l'effettiva novità - ai fini dell'assegnazione dei fondi agli atenei; e precisamente di quel 30% dei finanziamenti che viene ripartito in base alla «domanda di formazione» (il resto viene assegnato in base agli esiti della formazione, alla ricerca e a obiettivi speciali). Il provvedimento non è soltanto utile ma anche, per una volta, popolare, sia tra gli studenti, sia tra i professori solerti e capaci, che sono la grande maggioranza del corpo docente. Poiché l'attuazione concreta del provvedimento dipende in larga parte, come è giusto, da decisioni autonome dei singoli atenei, è indispensabile che questi si impegnino a dovere per realizzarlo in modo efficace. L'esperienza dimostra che non ci sono da temere contraccolpi demagogici. Nei casi già previsti gli allievi hanno quasi sempre fatto buon uso del loro potere di valutazione, non per protestare contro i docenti "troppo severi" ma per chiedere a tutti rigore e serietà. _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 26 mag. ’04 FINANZIAMENTI ALLE UNIVERSITÀ, PESA ANCHE IL VOTO DEGLI STUDENTI ISTRUZIONE « La valutazione dei docenti tra i parametri per gli stanziamenti Finanziamenti alle Università, pesa anche il voto degli studenti ROMA a Gli studenti universitari daranno i voti ai docenti. Con la compilazione di un questionario potranno esprimere il loro parere sulla chiarezza dell'esposizione durante le lezioni, la puntualità del professore, la sua disponibilità a fornire spiegazioni e approfondimenti. L'eventuale giudizio negativo peserà sulla «reputazione» dell'ateneo di appartenenza e i finanziamenti saranno erogati anche in base a questi giudizi. Le novità sono state annunciate ieri a Roma dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, in occasione dell'insediamento del nuovo Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu). La valutazione della didattica dei docenti fa parte del nuovo modello di finanziamento delle università statali, proposto da Moratti, che ridisegna i criteri di ripartizione del Ffo (il Fondo dì finanziamento ordinario). Secondo il nuovo sistema, l'attribuzione delle risorse sarà legata alla valutazione dei risultati conseguiti dai singoli atenei. E per la prima volta si stabilisce una quota fissa di fondi da destinare alle attività di ricerca. Le nuove regole per il finanziamento. Lo schema di ripartizione del Ffo, messo a punto dal Miur in collaborazione con il Cnvsu (comitato nazionale di valutazione del sistema universitario), prevede che le risorse siano assegnate agli atenei in base alla valutazione di quattro elementi: il numero degli studenti iscritti (esclusi i fuori corso e le matricole, visto che, secondo stime Miur, il tasso di abbandono al primo anno è del 65°l0); il livello dei processi formativi, misurato in base al numero di crediti guadagnati dagli studenti; i risultati della ricerca scientifica e gli incentivi specifici, a sostegno di situazioni particolari. I primi tre fattori peseranno per il 30% sull'attribuzione della risorse, mentre gli incentivi per il 10°l0. Non tutti gli studenti, però, avranno lo stesso «peso». I corsi di laurea, infatti, saranno suddivisi in quattro gruppi, in base alle risorse che impiegano: chi studia nelle facoltà scientifiche, per esempio, "peserà" di più nel computo finale' saranno considerati anche i costi dei laboratori scientifici necessari allo svolgimento della didattica. I risultati della formazione saranno valutati sulla base dei crediti acquisiti da ciascun studente entro la durata legale del corso, aumentata di un anno. Nel caso di studenti part time, questi valori saranno raddoppiati. Pagelle ai prof. Già da quest'anno gli studenti potranno giudicare il lavoro dei professori compilando un questionario di 15 voci, che il ministero distribuirà nelle prossime settimane a tutti i nuclei di valutazione presenti negli atenei italiani. Strumenti di valutazione della didattica simili a questo erano già stati adottati autonomamente da alcune università (la Bocconi di Milano in primis), ma ora «l'iniziativa - ha detto il ministro Moratti - viene estesa a tutti i 27 atenei italiani». Il questionario è suddiviso in cinque sezioni di domande, relative all'organizzazione del corso di studi e del singolo insegnamento, alle attività didattiche, alle infrastrutture e al grado di interesse e di soddisfazione. Gli studenti potranno esprimere il loro giudizio sul carico didattico, sul rispetto degli orari di lezione da parte dei docenti e sulla loro reperibilità al di fuori degli orari di lezioni per chiarimenti e spiegazioni, sulla capacità del professori di stimolare l'interesse negli studenti verso la disciplina insegnate e sulla chiarezza espositiva del docente durante le lezioni. Il questionario contiene anche domande sull'organizzazione complessiva degli insegnamenti (orario, esami intermedi e finali) rispetto ai periodi di riferimento (bimestre, trimestre, eccetera), sull'adeguatezza delle strutture, delle aule e del materiale didattico. «I risultati periodici di queste rilevazioni - ha sottolineato Letizia Moratti - offriranno un quadro oggettivo della qualità dei servizi universitari, in modo da consentire, anche attraverso misure di sostegno, incentivazione e disincentivazione, dì adottare concrete iniziative». Durante l'incontro di ieri il ministro ha anche presentato la nuova edizione di «Università e professioni», una guida dedicata agli studenti in uscita dalla scuola secondaria, e ha aggiunto che «la prossima programmazione del sistema universitario assegnerà importanti risorse per le attività di orientamento». ALESSIA TRIPODI In sintesi il meccanismo dei "voti" e gli effetti sui fondi agli atenei Voti. Gli studenti universitari potranno dare i 'voti" ai loro professori, compilando un questionario di 15 voci, che l'Istruzione consegnerà ai Nuclei di valutazione degli atenei italiani Professori. Il questionario conterrà domande sul carico didattico, sul rispetto degli orari delle lezioni da parte dei professori, sulla reperibilità e disponibilità dei docenti per chiarimenti e spiegazioni al di fuori delle lezioni, sulla loro chiarezza espositiva e sulla capacità di suscitare l'interesse degli studenti Strutture. Gli studenti potranno esprimere giudizi anche sull'adeguatezza delle strutture, delle aule e delle attrezzature didattiche e sull'organizzazione complessiva degli insegnamenti. Effetti. I dati raccolti attraverso i Nuclei di valutazione serviranno a garantire la qualità dei servizi offerti dagli atenei, ma produrranno anche effetti sull'assegnazione dei fondi statali alle singole università. Fondi. Queste misure rientrano nel nuovo modello di finanziamento degli atenei, messo a punto dal Miur e dal Cnvsu, che prevede l'attribuzione delle risorse in base ai risultati raggiunti dagli atenei. Il 30% dei Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) sarà erogato in base al numero degli iscritti, il 30% in base al numero di crediti acquisiti dagli studenti, un altro 30% secondo i risultati della ricerca scientifica e il restante 10°I° per incentivi specifici. _________________________________________________________________ La Stampa 26 mag. ’04 SI DA UN’ARMA IN MANO A CHI NON SA GIUDICARE MILANO Cesare Verdoia è docente di Clinica ortopedica e traumatologica alla Statale di Milano. Professore, dia un giudizio su questa novità introdotta dal ministro Moratti. «Io ritengo che sia un’arma a doppio taglio. Perché permette una valutazione globale - sul metodo e sulla sostanza dell’insegnamento - da parte di soggetti che sono in un momento formativo e quindi non sempre hanno gli strumenti per giudicare la correttezza degli elementi che vengono loro proposti, oltre che il metodo per insegnare loro la materia. Perciò, a mio giudizio, questa novità equivale a consegnare un’arma impropria a chi non è idoneo a giudicare». A maggior ragione per chi insegna materie scientifiche, o no? «No, ritengo che il ragionamento sia uguale per un docente di Fisica o Matematica, come per uno di Filosofia. E poi, ragioniamo: lo studente viene qui in università per imparare, e naturalmente non sa niente, o quasi, della materia. Come può giudicare? Infine, mi lasci fare un’altra considerazione: l’epoca dei cosiddetti ‘’baroni’’ è finita da anni, non esistono più quei professori che trattavano gli studenti come sudditi, e nessuno poteva nemmeno parlare. Oggi il clima è diverso, è possibile dialogare con il docente». Lei ad esempio come si comporta? «Io domando sovente ai miei studenti se sono soddisfatti. E soprattutto domando anche loro se ritengono opportuno modificare, aggiungere o eliminare determinate componenti del programma formativo. Naturalmente io valuto le loro esigenze e richieste, e poi decido». Faccia un esempio. «Succede spesso nella parte clinica: gli studenti chiedono più contatto diretto con i malati, e meno teoria. Ma devono anche capire che la parte teorica è importante, seppure più noiosa. Altrimenti c’è il rischio di allevare dei praticoni, senza basi culturali per progredire. Per concludere, l’obiettivo finale dei professori è sempre quello di educare gli studenti, sennò le nostre lezioni sarebbero delle conferenze sterili, oppure dei momenti di autocompiacimento del nostro sapere» E’ mai stato contestato dai suoi studenti? «No, e sinceramente non ricordo che sia successo nemmeno ai miei colleghi. Come dicevo prima, l’epoca dei baroni è finita da tempo. Oggi l’università italiana è libera e democratica, ed è lo stesso studente che sceglie il docente che a suo avviso è più capace, più disponibile, e anche più formativo. Non per niente in Statale, e anche in altre università, abbiamo più corsi per la stessa disciplina, di modo che nessuno sia costretto a dover passare l’esame con quell’unico professore disponibile». _________________________________________________________________ La Stampa 27 mag. ’04 E’ UNO STIMOLO A LAVORARE MEGLIO E A CORREGGERSI TORINO Marco Mezzalama, prorettore del Politecnico di Torino, in linea di principio ritiene «utilissimo» estendere a tutti gli atenei l’abitudine di far stilare «pagelle ai professori» da parte degli studenti. «Purché - precisa - non diventi una ghigliottina, e non si consenta ai ragazzi di giudicare aspetti che non competono loro». Perché si dice favorevole alla novità? «Per il Politecnico non c’è nulla di nuovo: i nostri studenti compilano questionari anonimi sui docenti da 10 anni. Chiediamo loro di valutare di ogni professore numerosi parametri inerenti ad esempio la capacità di insegnare, la puntualità a lezione, la disponibilità. Si tratta di un utile stimolo per l’ateneo ma anche per i singoli cattedratici, spinti a correggersi se sonoramente bocciati. L’importante è saper valutare questi giudizi con saggezza». In che senso? «Innanzitutto, per ottenere eccellenti voti dai ragazzi basta promuoverli tutti a pieni voti. Non è questo il compito delle università. In secondo luogo, è noto che Einstein era un docente ostico e bislacco. Eppure avrei voluto essere suo allievo. Non importa soltanto il ‘’come’’, ma anche il ‘’che cosa’’ si insegna: bisogna distinguere il contenuto dal modo in cui viene proposto. Sono aspetti entrambi fondamentali: se mettiamo dietro la cattedra un istrione, agli studenti piacerà molto, ma non significa che si tratti di un buon professore. I questionari servono a valutare ‘’come’’ si eroga il sapere. E’ fondamentale però che siano i docenti a decidere ‘’quale’’ sapere si trasmette. Non da soli, ma certo non con i ragazzi». Insieme a chi? «Con il mercato e il sistema-Paese. Dialogando con gli industriali, le forze economico-sociali e la società civile gli atenei debbono comprendere quali sono le necessità del Paese, di quali professionalità ha bisogno. E’ il mercato del lavoro, poi, il vero giudice della bontà del percorso formativo: decreta, assumendolo al volo, che chi esce dal Mit o da Berkeley è più preparato rispetto ai colleghi di altre università americane». E’ giusto legare le pagelle degli studenti ai finanziamenti? «Fino a un certo punto. Trasportandoli a livello nazionale, si rendono oggettivi dei dati relativi. Mi spiego: paradossalmente, se in un ateneo i docenti sono tutti eccezionali, chi è un po’ meno bravo abbassa ingiustamente la media. Per esprimere giudizi obiettivi, gli studenti dovrebbero cioè disporre di termini di paragone, ed essere in grado di confrontare il corpo accademico di diverse università. I questionari sono utilissimi localmente. Se li si userà per sottrarre o aggiungere finanziamenti il rischio di commettere grossolani errori sarà molto alto». _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 23 mag. ’04 PUBBLICAZIONI VALIDE SE DIFFUSE Università / Da due decisioni i «paletti» agli atenei Il Consiglio di Stato fissa i requisiti formali per i concorsi degli accademici ROMA a Il Consiglio di Stato detta regole precise sui concorsi per docenti universitari e sulla valutazione delle pubblicazioni presentate. Con. la sentenza 2364 del 22 aprile scorso vengono finalmente chiarite le disposizioni del Dpr 117/2000 («Modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori, a norma dell'articolo 1 della legge 3 luglio 1998, n. 210»), in relazione alla produzione scientifica dei candidati, fissando alcuni paletti ulteriori che dovranno essere tenuti in considerazione dalle Università. Nella valutazione dei testi e delle ricerche, la Commissione, oltre a tener conto dell'originalità e l'innovazione, dovrà soffermarsi anche su requisiti. formali, come l'effettiva diffusione, l'idoneità dello stampatore e la data in cui il manoscritto risulta concluso, verificando la compatibilità con la scadenza del termine concorsuale. La pronuncia della Sesta sezione di Palazzo Spada (presidente Sergio Samtoro,estensore Giuseppe Minicone), si è resa necessaria dopo il ricorso contro l'Ateneo del Molise da parte di un partecipante alla procedura di valutazione comparativa per un posto da professore di seconda fascia in diritto amministrativo, da inserire nella Facoltà di Giurisprudenza. Il professore, ritenuto inidoneo all'insegnamento, dopo essersi rivolto con esito negativo al Tar Lazio (sentenza 10825 del 27 novembre 2002) ha vinto di fronte al Consiglio di Stato che ha riformato la decisione di primo grado, annullando gli atti della procedura di valutazione di tre concorrenti (il ricorrente ed altri due risultati idonei), ma lasciando intatto il verdetto nei confronti del vincitore. È stato, dunque, "sconfessato" l'operato della Commissione per non aver «valutato specificamente» i servizi e le attività prestate dal professore per l’Istat (classificato tra gli enti di ricerca dal Contratto collettivo quadro, sottoscritto il 2 giugno 1998) e quindi compreso tra i soggetti previsti nella normativa nazionale. È stata, invece, accettata la validità di un saggio (presentato dal vincitore) la cui stampa si era conclusa nel mese di ottobre 2000, alle soglie della chiusura del concorso, fissata per il 9 novembre successivo. «È necessario che - ha spiegato la Corte - il candidato abbia adempiuto agli obblighi definiti dal Dls 660/1945 (consegna di quattro esemplari alla Prefettura e di uno alla Procura della Repubblica) e che tale lavoro sia stato regolarmente pubblicato da un editore». Al contrario, non sono ammesse, ai fini dei concorsi, le monografie stampate in proprio dall'autore, perché mancano della diffusione. «Si tratta di un requisito ulteriore di cui l'opera "edita" deve essere in possesso, ma soltanto se stampata in Italia - si legge nella sentenza che spiega come una pubblicazione debba uscire - dalla sfera particolare del suo autore, per essere diffusa fra il pubblico ed in particolare nella comunità scientifica». Non può essere considerata, dunque, neanche un'edizione "provvisoria", se «l'affidamento ad un editore è avvenuto in un momento successivo alla scadenza dei termini concorsuali». GABRIELE MASTELLARINI _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 29 mag. ’04 CAPITALE UMANO, COME VALUTARLO Alla ricerca di parametri oggettivi Ci si deve muovere nel solco dei progetti già avviati in via sperimentale DI GIACOMO ELIAS* L’istruzione, intesa nel suo significato più ampio, è un problema per l'Europa. I ministri competenti e la Commissione ripetono da anni che un'Europa delle conoscenze è un insostituibile fattore di sviluppo sociale e umano. Nel corso del vertice di Lisbona (2000), essi si sono dati una strategia basata sull'aumento degli investimenti procapite in risorse umane e sull'efficienza di tali investimenti. Nell'ottobre del 2003, a Milano, i ministri dell'Educazione e del Lavoro dei Paesi membri hanno stimato che il capitale umano in materia di competenze attribuibile agli Usa valga circa il doppio di quello europeo. Da quanto precede emerge che la governance dei sistemi educativi sta uscendo da una dimensione meramente pedagogica, acquistando sempre più la fisionomia della gestione di un servizio alla persona, l'efficacia e l'efficienza del quale devono potersi misurare, se si vuole promuoverne il miglioramento continuo. Questa evoluzione ha portato in primo piano l'esigenza di adottare metodologie di valutazione (o, meglio, di misura) che tengano conto anche della crescente autonomia delle scuole e degli atenei e della nuova ripartizione delle responsabilità tra Stato e regioni. Per quanto attiene alla scuola, nell'ultimo triennio è stata sperimentata annualmente la valutazione degli apprendimenti d'italiano, matematica e scienze, che ha coinvolto poco meno di tre milioni di studenti; è inoltre in corso d'approvazione il decreto legge che istituisce il Servizio nazionale di valutazione dell'istruzione e della formazione. Per quanto attiene all'università, nell'aprile del 2000 è stato costituito il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, organo indipendente che interagisce autonomamente con le università e il ministero. II Comitato ha, tra gli altri, il compito di fissare i criteri generali per la valutazione delle attività degli atenei e di predisporre una relazione annuale sulla valutazione del sistema universitario. Esso, nell'ultimo quadriennio, ha costituito una base informativa allargata, dalla quale non appare però semplice ricavare i pochi, ma significativi indicatori necessari per la governance del sistema. In particolare sembra necessaria una maggiore distinzione tra valutazione interna, di competenza di ciascun ateneo, e valutazione esterna, di competenza dell'autorità centrale. Quest'ultimo tipo di valutazione deve misurare l'efficacia dei singoli corsi di laurea ai fini dell'inserimento nel mondo del lavoro e delle professioni ricorrendo, ad esempio, alla misura dell'incremento del "Capitale umano" prodotto. Il Capitale umano è un indicatore che rappresenta la potenzialità produttiva e d'accrescimento del proprio benessere sociale ed economico di un individuo, che si desume dalla sua storia educativa, dalla sua formazione post-scolare, dalle capacità e risorse personali, dalle condizioni sociali ed economiche e dall'ambiente familiare. Su questi sviluppi stanno lavorando per conto del ministero molti esperti. Ad esempio, è in atto una simulazione dell'applicazione del Capitale umano alla valutazione di singoli corsi di laurea a partire dai dati raccolti da ALmaLaurea nell'ultimo decennio. Queste attività scientifiche e di simulazione applicativa avranno certamente successo, se gli enti sopra citati ricercheranno la condivisione con gli attori del processo educativo e si apriranno alla collaborazione con tutti coloro che sono in grado di fornire contributi scientifici e d'esperienza, in un contesto non solo nazionale ma anche comunitario. A questo scopo Letizia Moratti si è fatta promotrice di un'iniziativa, in fase d'avanzata concretizzazione, che mira a costituire un Centro europeo di studi ed esperienze in materia di valutazione dell'educazione presso il Centro comune di ricerca di Ispra. * Consigliere per la valutazione del ministro Moratti _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 26 mag. ’04 REVISIONE DEL «3+2», VIA LIBERA IN SENATO ROMA o Sulla revisione del "3+2" il sì del Senato alla proposta del Miur. Ieri la commissione Istruzione di Palazzo Madama ha dato parere favorevole allo schema di decreto legislativo che modifica la struttura degli ordinamenti universitari prevista dal Dm 509/99. Ma la commissione presieduta da Franco Asciutti (Fi) ha formulata anche diverse osservazioni sul provvedimento, esprimendo «dissenso sulla scelta di qualificare la laurea di secondo livello come laurea magistrale (master)», perchè «i due termini non possono considerarsi equivalenti» e invitando, quindi, il Governo a eliminare la denominazione "master". Nel parere si sottolinea anche «la perplessità sulla scomparsa dei master veri e propri» che hanno dato luogo a «un'esperienza positiva» . «Fin dall'inizio della legislatura avevamo denunciato i difetti del "3+2" - ha dichiarato Giuseppe Valditara (An) -come la proliferazione dei corsi di laurea. Con il nuovo sistema, dopo il primo anno comune di base, lo studente potrà verificare le sue predisposizioni e scegliere tra un percorso metodologico di alto livello o professionalizzante». Alla Commissione cultura della Camera l'opposizione ha presentato un parere di minoranza con il quale si «invita il Ministro a ritirare il provvedimento», perché, secondo Franca Bimbi (Margherita), rappresenta «un caotico e pesante aggravio per le università». AL.TR. _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 23 mag. ’04 USA: LA RICERCA MINACCIATA DAI VISTI Dilip Soman, promettente e giovane professore di economia di Hong Kong originario dell'India, nel 2002 è stato oggetto di forti attenzioni da parte delle facoltà di Economia e commercio statunitensi, tra cui Harvard, Duke e la University of Chicago. Malgrado tali prestigiose offerte di lavoro, il professor Soman ha trovato così tortuoso l’iter per l’ottenimento di un visto che ha rinunciato all'idea di insegnare negli Stati Uniti e attualmente lavora presso l'Università di Toronto, in Canada. Le severe norme che disciplinano l'ottenimento del visto, destinate a prevenire l'accesso ai terroristi negli Stati Uniti, vengono ora messe sotto accusa per il fatto che molti promettenti studenti e studiosi rinunciano all'idea di recarsi presso le università statunitensi. Gli educatori segnalano che, in assenza di una riforma di tali norme, sarà messa a rischio la leadership statunitense nella sfida per i migliori studenti e studiosi a livello mondiale. Il mese scorso, il «Financial Times» scriveva che le più importanti università statunitensi stavano facendo pressione su Washington per la revisione della procedura relativa all'ottenimento del visto. Il professor Soman e sua moglie Teesta, una neurologa in ambito pediatrico, sono arrivati alla Duke, nel North Carolina, una delle migliori università del Paese. Nell'aprile 2002 l'ateneo aveva infatti offerto a entrambi un posto di lavoro: a Dilip come insegnante di marketing presso la Fuqua School of business e a Teesta presso la facoltà di Medicina. Ma dopo un anno frustrante, passato a cercare di ottenere un visto, la coppia ha perso ogni speranza di insegnare negli Stati Uniti. Il professor Soman sostiene che l’iter gli ha lasciato l'amaro in bocca: «Come esperto di marketing - racconta - il maggior problema che ho riscontrato è che le autorità preposte all'assegnazione dei visti sono ostili nei confronti dei consumatori. Non c'è rispetto per le persone che investono il loro tempo e i loro sforzi per cercare di venire a lavorare negli Stati Uniti». Domande in calo. Quest'anno, le domande di ammissione alle università statunitensi da parte di studenti internazionali sono diminuite del 32% e gli atenei ora sono preoccupati che, per questo motivo, le domande di ammissione siano proporzionalmente aumentate in altri Paesi. Per aiutare i Soman nell'iter relativo all'ottenimento del visto, i funzionari della Duke hanno assunto un avvocato e sono persino ricorsi all'aiuto di Elizabeth Dole, senatore del North Carolina e moglie di Bob Dole, il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 1996. I Soman hanno presentato richiesta per l'ottenimento di un visto di tipo «O», un permesso riservato agli studiosi di un certo rilievo. Del resto Richard Staelin, vicepreside della Fuqua School of business della Duke, credeva che il professor Soman fosse un ottimo candidato per un visto «O», sebbene sapesse che si trattava di un visto difficile da ottenere. In aprile, dunque, la Duke ha presentato la documentazione, che è stata respinta in luglio. All'epoca, la coppia si era già impegnata con una ditta di traslochi per la spedizione dei loro effetti personali da Hong Kong e il professor Soman si era già impegnato a rassegnare le proprie dimissioni all'Università di Scienza e tecnologia di Hong Kong. II professor Soman afferma che i funzionari avevano definito il visto «O» come il visto dei premi Nobel: molto più limitato, rispetto alla concezione di tale criterio che aveva il professore. La Duke è allora ricorsa in appello, avviando le pratiche per una nuova richiesta relativa al visto «O», a sua volta presentata nel mese di ottobre. L'appello è stato rigettato, anche se la Duke e il professor Soman erano certi fino all'ultimo che l'ufficio preposto all'elaborazione avrebbe preso in considerazione la seconda richiesta. I disguidi. Tali ritardi hanno rappresentato dei grattacapi per i Soman, i quali avevano informato i funzionari dell'ufficio locale per l'immigrazione che avrebbero lasciato Hong Kong nell'agosto 2002. Alla fine, il professor Soman si è visto costretto a ritirare le proprie-dimissioni dall'Università di Hong Kong stampa ad uso esclusivo del destinatario, non e la coppia ha bloccato la spedizione dei propri effetti personali verso gli Stati Uniti. È a quel punto che la Duke University ha contattato l'ufficio della senatrice Dole per ottenere aiuto: «Ci siamo rivolti al suo ufficio per ottenere la documentazione necessaria - afferma il vicepreside Staelin - e a sua volta contattare l'ufficio elaborazione visti del Texas». Ma nel febbraio 2003 l'ufficio elaborazione visti del Texas ha fatto sapere ai funzionari della Duke che avrebbero dovuto copiare la pratica del professor Soman e ripresentarla. Un mese dopo, l'ufficio visti ha chiesto alla Duke ancora maggiori informazioni - le stesse, peraltro, di cui era già in possesso - rigettando infine la domanda del professor Soman nel mese di luglio. La nuova offerta. Nel frattempo, non, si era avuta alcuna risposta in merito alla richiesta per l'ottenimento del visto «O» presentata dalla signora Soman. Ma proprio mentre la Duke presentava ulteriori documentazioni all'ufficio del Texas, il professor Soman è stato contattato da Roger Martin, preside della Rotman school of Business dell'Università di Toronto, dove nel mese di maggio gli è stato offerto un posto di lavoro. Non essendoci alcuno sviluppo per entrambe le richieste di visto, alla fine i Soman hanno optato per Toronto: «A quel punto - racconta il professor Soman - avevamo già aspettato quasi un anno senza nemmeno sapere se alla fine avremmo ottenuto il visto oppure no. Dovevamo scegliere se continuare a tentare la fortuna oppure continuare a vivere ad Hong Kong». Le università ritengono che la lezione sia chiara: «Attualmente - afferma il vice pereside Staelin - il settore dell'istruzione risente degli effetti che le norme che disciplinano l'ottenimento dei visti hanno sulla facoltà di assumere personale esperto. Ciò che non vogliamo e che la nostra competitività venga ostacolata». _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 mag. ’04 SCUOLA. CORO DI NO AI DUE NUOVI DECRETI DELLA RIFORMA "Così si riporta in auge il vecchio Avviamento" "A scuola fino a 18 anni? Giusto. Ma non mi pare che la riforma dica questo. Non mi pare che parli di obbligo di frequenza fino ai 18 anni. Dice che a 15 anni uno studente deve scegliere se frequentare un liceo, o sostituirlo con la formazione professionale....". Omar Sheata, V B, rappresentante di istituto del liceo scientifico Pacinotti, ha le idee chiare. E teme che questi due nuovi decreti attuativi della riforma "siano una fregatura: ancora una volta ci viene negata la possibilità di scegliere a ragion veduta il nostro destino". Arrivati a fine maggio, nel momento più delicato per l'attività scolastica, i nuovi pilastri della Moratti stanno sollevando una levata di scudi tra studenti e docenti. "Già da adesso", afferma Anna Maria Sanna, direttrice didattica a Quartu, "i ragazzi devono scegliere tra licei e istruzione professionale. Ora si individua un terzo percorso, l'alternanza scuola-lavoro. Rispetto al quale la riforma attribuisce pari valore di credito alla frequenza positiva di qualsiasi canale: liceo, formazione professionale, alternanza scuola-lavoro, tutti uguali. Non mi pare sia così, nella realtà. Mi sembra evidente che si arriverà a stabilire due percorsi separati. Un po' come avveniva tra avviamento e scuola media. Credo che recuperare il meglio della riforma Berlinguer, l'istituzione di un biennio comune che consentisse a ragazzi di capire le loro inclinazioni, sarebbe stato eccezionale. Purtroppo non è stato così. E questa riforma a pezzetti sta a mio parere stravolgendo la scuola". "Dalla legge di riforma traspare una grossa contraddizione", dice Giampiero Liori, preside dell'Agrario. "Mettiamo pure sia giusto un indirizzo piuttosto che un altro, liceo o formazione. Ma per come è fatto, passaggi e ravvedimenti sono impossibili. Se tuo figlio sceglie la formazione, e cambia idea, non potrà rientrare nel liceo tecnico. Il percorso è di anni differenti. E poi, era necessario introdurre l'alternanza scuola-lavoro? In molti istituti tecnici e professionali esperienze di stage soddisfacenti si stavano configurando in maniera organica. Questo nuovo decreto esaspererà un disorientamento già presente. Grazie all'obbligo formativo stanno proliferando centri privati di formazione che danno ai ragazzi buoni viaggio, mensa, qualifica, ma non garantiscono un lavoro". Sotto accusa anche la sostituzione dell'obbligo con il diritto-dovere. "Sono preoccupata da questo cambio terminologico", afferma Marinella Maucioni, docente di storia e filosofia al Siotto. "Se parliamo di diritto e dovere, stiamo dicendo che si possono esercitare o no. Mi preoccupa anche che si parli di istruzione e formazione. Istruzione significa acquisire competenze che durano nel tempo, formazione implica una competenza da usare subito. Pensare che a 15 anni un ragazzo possa decidere per l'una o per l'altra è inquietante". Alberto Melis, maestro elementare e pedagogista: "L'eliminazione della parola obbligo è solo l'ennesimo maquillage linguistico che nasconde l'anima neoliberista della Moratti, e per interpretarla va coniugata con il provvedimento che intende regalare forza lavoro a costo zero alle industrie, ovvero quegli studenti che ancora adolescenti potranno cominciare a lavorare nelle aziende facendo finta che lavorare in una azienda sia far scuola. Il risultato sarà che verranno eliminati nel giro di poco tempo tutti gli istituti professionali, nei quali si riceveva comunque anche un'istruzione culturale generale - e che la fascia debole degli studenti finirà per ingrossare anzitempo il mercato del lavoro: credo che Don Milani si stia rivoltando nella tomba...". "Questi nuovi decreti mirano a distinguere tra studenti di serie A e di serie B. Con i più forti che arrivano al diploma e i più deboli che a 15 anni scelgono la formazione professionale, e mettono da parte i libri", commenta Matteo Meloni, rappresentante di istituto al Grazia Deledda. "Ci avevano promesso la scuola delle tre I, Impresa-Internet-Inglese, mi chiedo che cosa sarà della futura classe politica italiana". (mpm) _________________________________________________________________ Repubblica 23 mag. ’04 SI CELEBRA IL MATRIMONIO FRA INFORMATICA E BIOTECNOLOGIE Elaboratori con capacità e velocità di elaborazione s di memoria superiori Visti gli avanzamenti contemporanei dell'innovazione nei computer e nella ricerca genetica, nasce tutta una nuova specializzazione industriale dedicata alla creazione di macchine sempre più potenti in grado di supportare la ricerca scientifica: un mercato da decine di miliardi di dollari AGNESE ANANASSO L’integrazione tra informatica e ricerca biomedica desta un interesse crescente sia per le aziende farmaceutiche e istituti di ricerca che per le aziende dell’It. Nell'ultima settimana sono stati ben due i convegni sull'interazione tra mondo dell'It, della ricerca e delle imprese, entrambi organizzati da istituzioni nate per studiare temi multimediali, a conferma della confluenza fra le due scienze. L'osservatorio TuttiMedia, costituito dalla casa editrice Media2000, ha riunito in una tavola rotonda ricercatori ed esponenti dell'It per fare il punto sullo sviluppo dei supercomputer e sul peso che hanno nel campo della ricerca biomedica. Al convegno I a grande mutazione continua: l'avanzata del super computer, moderato dal presidente dell'Osservatorio, Giovanni Giovannini, sono intervenuti Luigi Dadda (ordinario del Politecnico di Torino), Elio Catania (presidente di Ibm), Leonardo Santi (presidente del Comitato per la Biosicurezza). «Oggi siamo arrivati a una densità di memoria un tempo impensabile ma è importante sottolineare è che questa capacità serve non a fare dei calcoli fini a se stessi ma a rispondere alle esigenze umane, soprattutto nella medicina», spiega Dadda. Il supercomputer Earth Simulator, risposta giapponese della Nec allo statunitense Asci White di Ibm, è stato soprannominato computernik, dal nome della navicella russa Sputnik che lanciò la sfida Usa-Urssper la conquista dello spazio. La risposta di Ibm è l’Asci Purple, che arriva a una memoria di 100 Tflops (100mi1a miliardi di operazioni elementari al secondo), contro i 35.86 del Nec. Per il 2005, in collaborazione col centro di ricerca S. Raffaele di Milano, Ibm prevede la nascita di Blue Gene, con una capacità di memoria di 360 Tflops. «Siamo andati oltre ogni previsione- spiega Catania -e l'unico limite è economico, sia nei supercomputer che nelle nanotecnologie: ridurre le dimensioni dei microchip richiede miliardi in investimenti. L'alternativa è il grid computing, una griglia di computer per la condivisione di informazioni e risorse. L'era Internet porta a una democratizzazione dell'informazione e ad una fame di conoscenza. Si richiede sempre più velocità, che può essere sostenuta solo da una rete efficiente e allargata. Non bastano più i centri di eccellenza, come il S. Raffaele, occorre creare una rete capillare all'interno delle regioni, delle città, delle aziende. La ricerca cresce con la condivisione e la creazione di figure nuove, a metà tra l’ingegnere e il medico, a cavallo di due settori, distinti ma attigui». Il grid computing è uno strumento per colmare il digital divide tra ricerca e imprese. Nel campo delle scienze e della medicina la condivisione delle risorse consente un risparmio in termini di investimenti e di tempo. «L'integrazione tra informatica c biologia non va più intesa come uso del computer nelle problematiche biologiche ma come circolo virtuoso in cui esista un supporto reciproco tra informatica e biologia», spiega Leonardo Santi. «Per creare una strategia europea, nel 2002 è stato stilato un piano della ricerca e delle biotecnologie e sono stati costituiti gruppi di lavoro per la neuro informatica e per la biodiversità, per impostare uno studio coordinato e integrato nei settori di ricerca». Ancora più specifico è stato il convegno organizzato da Isimm (Istituto per lo studio dell'innovazione nei media e per la multimedialità) in collaborazione con Farmindustria su Gli investimenti in IT per lo sviluppo della ricerca biomedica in Italia. «Questo è solo un primo step di collaborazione tra Tsimm e Farmíndustria, per porre in primo piano l'importanza dell'integrazione tra informatica e ricerca biomedica - afferma il presidente di Isimm, Enrico Manca - non solo per le istituzioni e le aziende ma prima di tutto per la collettività e il progresso nella Scienza della vita». Aggiunge Claudio Ciborra, della London School of Economics: «Negli ultimi anni gli investimenti in it delle aziende farmaceutiche, che servono ad accelerare i tempi nelle varie fasi di ricerca, sono cresciute molto di più degli altri settori, arrivando al 5% del fatturato». I1 mercato della bioinformatica è in crescita: nel 2003 ha fatto registrare un giro d'affari di 18 miliardi di curo, più del doppio del 2000. Il trend è destinato a crescere ancora, assicurando così una rìduzione del 28% dei tempi di scoperta di un farmaco e un taglio dei costi del 32%. ____________________________________________ LA NUOVA SARDEGNA 25-05-2004 LA GENETICA SARDA CONQUISTA ROMA» Nell'isola la ricerca ha già ottenuto grandi risultati e potrebbe ora conoscere sviluppi con ulteriori finanziamenti . «II Dna, l’Ogliastra, le speranze nel portafogli». «Nell'isola a caccia di molecole». «Nuovi strumenti per ricostituire le ossa». «L'oasi che svela i segreti dell'uomo». I titoli dei giornali sulle ricerche del patrimonio ereditario in Sardegna si sprecano. Soprattutto negli ultimi tempi. In questa quadro è recentissima un'importante scoperta fatta a Sassari: l'individuazione di un gene nei carcinomi dell'utero. Traguardo raggiunto grazie a un lavoro d'équipe: coinvolti insieme Cnr, epidemiologi dell'Asl 1 e facoltà di medicina. Nel prossimo futuro, nuove strade per aiutare le ammalate. Ma proprio adesso si profilano nubi all'orizzonte. La convenzione che fino a oggi ha consentito l'erogazione dei fondi, e quindi gli studi su vie alternative nella battaglia contro certi tumori, ha raggiunto la scadenza. Una richiesta di proroga è già stata presentata alla Regione. Nel frattempo, però, le ricerche procedono a rilento. Di qui l'appello degli addetti ai lavori perché la situazione si sblocchi al più presto: «Tra qualche anno potremmo avere tra le mani terapie concrete per la cura in corsia: è sbagliato perdere tempo». Un passo indietro consente di capire meglio. La Sardegna è una delle aree al mondo più interessata ad approfondite analisi di settore. Le forze in campo sono numerose. Tutte puntano verso iniziative qualificatissime. E spesso sono favorite dall'isolamento che nei millenni ha caratterizzato la regione. C'è così l'inchiesta a largo spettro programmata in alcuni paesi dell'Ogliastra da Mario Pirastu, direttore dell'istituto di genetica delle popolazioni e responsabile della società SharDna. Ci sono le ricerche sulla talassemia, e non solo, attuate da Antonio Cao in questa stessa area e in altre zone. C'è lo studio sulla genomica messo in pratica con apparecchiature avveniristiche da Francesco Turrini nel centro di Porto Conte. Ci sono i progetti Akea («A kent'annos») di Luca Deiana. Ci sono quelli, specifici e mirati, realizzati negli atenei di Cagliari e Sassari, come per esempio la campagna avviata da Francesco Cucca nella lotta a quel tipo di diabete giovanile che affonda le radici appunto nel patrimonio ereditario. C'è poi il risultato conseguito nell'inverno scorso da un giovane ricercatore sassarese, il medico Enrico Pala. Che, operando tra Roma e Pittsburgh, ha trovato un gene in grado di rinnovare le ossa: una scoperta, la sua, destinata presto a interessanti sviluppi terapeutici. Infine si arriva all'attività trasversale Medicina-Cnr-Asl 1. Intrapresa a Sassari già diverso tempo fa. Una programmazione che ha portato, tra l'altro, al varo dell'unico Registro per i tumori dell'isola. Ma a che obiettivi punta con esattezza quest'équipe? E per quale motivo gli specialisti giudicano così urgente il rinnovo della convenzione? A spiegarlo sono gli stessi operatori impegnati direttamente. Che, prima di entrare nei dettagli, ricordano alcuni passaggi chiave. Innanzitutto, come l'indagine scientifica sia interamente made in Sardinia. In secondo luogo, come l'inchiesta abbia permesso d'individuare il Casc2. Infine, come questo nuovo gene così ribattezzato (Cancer susceptibility candidate due) sia stato ritrovato nel carcinoma dell’endometrio, la parte dell'apparato genitale femminile che vede le donne sarde esposte a record negativi proprio in questo genere di patologie. Tre elementi che, pur significativi, danno conto solo in parte dell'ampiezza dell'attività svolta sinora. L'opera, infatti, ha contemplato l'osservazione di ulteriori due geni. Uno, il Braf, sui melanomi. L'altro, il Prune, riguardante i tumori al seno. «Va poi ricordato come la nostra ricerca rappresenti un esempio di buona collaborazione tra enti e istituzioni che spesso seguono filoni differenti», fanno notare due dei professionisti dell'équipe, l'oncologo-genetista Giuseppe Palmieri e l’anatomo-patologo Antonio Cossu. Un'interdisciplinarità operativa, dunque, in grado di far conseguire successi. Lo staff ha lavorato su ogni tipo di neoplasia: dai tumori all'utero a quelli della mammella, dai melanomi alle più gravi patologie al colon e al retto. Uno studio durato cinque anni. Nato soprattutto, sottolineano gli operatori, grazie alla lungimiranza di Francesco Tanda, responsabile del Servizio di anatomia patologica dell'università sassarese. II quale in passato ha per primo richiesto i finanziamenti regionali, stabilito i contatti giusti e alla fine concretizzato il progetto. Nel corso del programma sono stati presi in considerazione più di tremila casi ai fini delle valutazioni connesse alla ricerca. «Naturalmente dopo che i pazienti sono stati informati della ricerca e hanno dato il loro consenso al trattamento dei campioni di Dna e dei dati personali», precisano ancora gli specialisti, non dimenticando le norme sulla privacy e le regole etiche. AL lavoro hanno dato il loro apporto - oltre al personale già in servizio nell'Asl 1, al Cnr e all'università - una quindicina di medici con contratti biennali e un'altra ventina di addetti su diversi livelli. Un'attività multidisciplinare ponderosa. «Gli studi, comunque, sono ancora lunghi - chiariscono Cossu e Palmieri - Dobbiamo agire su tre direttrici. La prima è verificare i risultati con le applicazioni cliniche: in sostanza, valutare come le nostre scoperte possano un domani portare benefici agli ammalati. La seconda direttrice, una volta dimostrato che il gene risulta alterato solo nelle cellule neoplastiche, consiste nell'intervenire con la terapia molecolare mirata. La terza è la fase più avanzata: accertare attraverso gli esperimenti di laboratorio quali farmaci possano in concreto inibire le alterazioni genetiche e quindi arrestare i processi tumorali». Indagini lunghe e accurate, dunque. Tanto complesse da portar via non meno di altri cinque-sei anni. Sempre che la ricerca avviata nel Nord Sardegna possa andare avanti. E sempre che si riesca davvero a ottenere il rinnovo della convenzione. «Forse l'unico modo efficace e serio - concludono i professionisti impegnati sul campo - per dare una validazione clinica e analitica agli studi portati a termine sino a oggi». _________________________________________________________________ Il Messaggero 29 mag. ’04 SARDEGNA E ISLANDA POPOLI-CAVIA Dalla Sardegna all’Islanda, quando le case si trasformano in laboratori a cielo aperto ROMA - Oltre Limone, Foggia, Murlo nel senese, Nuoro, Campodimele nella pianura Pontina, l’Islanda come l’isola di Tonga nel Pacifico meridionale. Qui abitano popolazioni “doc” che i genetisti hanno studiato, per capire le loro caratteristiche. Modificazioni di un gene, “segni” nell’organismo che permettono di ricostruire l’identikit degli Etruschi come l’origine della scoliosi. L’isolamento secolare di alcune popolazioni, infatti, è una vera risorsa per i genetisti impegnati a decifrare le cause di alcune malattie. ETRUSCHI Centocinquanta abitanti di Murlo, in provincia di Siena, sono stati sottoposti a prelievi di campioni di sangue per estrarvi le informazioni genetiche necessarie a ricomporre il Dna dei loro antenati. L’operazione è stata condotta dal direttore del dipartimento di Genetica di Torino Alberto Piazza e dal genetista Luigi Cavalli Sforza dell’università californiana di Stanford. E’ stato correlato il Dna estratto dai prelievi con quello ricavato dalle ossa rinvenute in tombe etrusche della zona. SCOLIOSI Il Dna degli 850 abitanti di un paesino del Cilento, dei 1200 di un centro vicino Foggia e dei 1000 che vivono nel Bergamasco permetterà di scoprire se la scoliosi è una malattia genetica. A rendere interessanti questi dati è che provengono da vere isole genetiche. Si tratta di paesini che si trovano sulla cima di monti raggiungibili con una sola strada. LONGEVITA’ Una particolare selezione genetica probabilmente causata dalla malaria è tra gli elementi che contribuiscono a creare l’eccezionale fenomeno di longevità tipico della Sardegna. Nella zona di Nuoro, dove hanno lavorato i ricercatori del gruppo Akea, questa concentrazione si caratterizza ancora di più. Fino a toccare la quota di 24 centenari ogni 100mila abitanti. Altro “villaggio dell’eterna giovinezza” è considerato Campodimele, poco distante da Latina. ISLANDA L’Islanda è il primo paese al mondo dove è stata fatta la mappatura del genoma di tutti i cittadini. L’obiettivo è stato quello di scoprire i legami genetici con malattie come il diabete, l’aterosclerosi, tumori e Alzheimer. A far gola ai biologi molecolari è stato anche il Dna dei 108mila abitanti dell’isola di Tonga acquistato da una società australiana di ricerca genetica, Autogen. C.Ma. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mag. ’04 GENETICA TRA SUCCESSI E SPERANZE Nell'isola la ricerca ha già ottenuto grandi risultati e potrebbe ora conoscere sviluppi con ulteriori finanziamenti Stop ai fondi nonostante un'importante scoperta fatta a Sassari Il lavoro per individuare il Casc2 nella lotta alle neoplasie dell'utero "La genetica sarda conquista Roma". "Il Dna, l'Ogliastra, le speranze nel portafogli". "Nell'isola a caccia di molecole". "Nuovi strumenti per ricostituire le ossa". "L'oasi che svela i segreti dell'uomo". I titoli dei giornali sulle ricerche del patrimonio ereditario in Sardegna si sprecano. Soprattutto negli ultimi tempi. In questo quadro è recentissima un'importante scoperta fatta a Sassari: l'individuazione di un gene nei carcinomi dell'utero. Traguardo raggiunto grazie a un lavoro d'équipe: coinvolti insieme Cnr, epidemiologi dell'Asl 1 e facoltà di medicina. Nel prossimo futuro, nuove strade per aiutare le ammalate. Ma proprio adesso si profilano nubi all'orizzonte. La convenzione che fino a oggi ha consentito l'erogazione dei fondi, e quindi gli studi su vie alternative nella battaglia contro certi tumori, ha raggiunto la scadenza. Una richiesta di proroga è già stata presentata alla Regione. Nel frattempo, però, le ricerche procedono a rilento. Di qui l'appello degli addetti ai lavori perché la situazione si sblocchi al più presto: "Tra qualche anno potremmo avere tra le mani terapie concrete per la cura in corsia: è sbagliato perdere tempo". Un passo indietro consente di capire meglio. La Sardegna è una delle aree al mondo più interessata ad approfondite analisi di settore. Le forze in campo sono numerose. Tutte puntano verso iniziative qualificatissime. E spesso sono favorite dall'isolamento che nei millenni ha caratterizzato la regione. C'è così l'inchiesta a largo spettro programmata in alcuni paesi dell'Ogliastra da Mario Pirastu, direttore dell'istituto di genetica delle popolazioni e responsabile della società SharDna. Ci sono le ricerche sulla talassemia, e non solo, attuate da Antonio Cao in questa stessa area e in altre zone. C'è lo studio sulla genomica messo in pratica con apparecchiature avveniristiche da Francesco Turrini nel centro di Porto Conte. Ci sono i progetti Akea ("A kent'annos") di Luca Deiana. Ci sono quelli, specifici e mirati, realizzati negli atenei di Cagliari e Sassari, come per esempio la campagna avviata da Francesco Cucca nella lotta a quel tipo di diabete giovanile che affonda le radici appunto nel patrimonio ereditario. C'è poi il risultato conseguito nell'inverno scorso da un giovane ricercatore sassarese, il medico Enrico Pala. Che, operando tra Roma e Pittsburgh, ha trovato un gene in grado di rinnovare le ossa: una scoperta, la sua, destinata presto a interessanti sviluppi terapeutici. Infine si arriva all'attività trasversale Medicina-Cnr-Asl 1. Intrapresa a Sassari già diverso tempo fa. Una programmazione che ha portato, tra l'altro, al varo dell'unico Registro per i tumori dell'isola. Ma a che obiettivi punta con esattezza quest'équipe? E per quale motivo gli specialisti giudicano così urgente il rinnovo della convenzione? A spiegarlo sono gli stessi operatori impegnati direttamente. Che, prima di entrare nei dettagli, ricordano alcuni passaggi chiave. Innanzitutto, come l'indagine scientifica sia interamente made in Sardinia. In secondo luogo, come l'inchiesta abbia permesso d'individuare il Casc2. Infine, come questo nuovo gene così ribattezzato (Cancer susceptibility candidate due) sia stato ritrovato nel carcinoma dell'endometrio, la parte dell'apparato genitale femminile che vede le donne sarde esposte a record negativi proprio in questo genere di patologie. Tre elementi che, pur significativi, danno conto solo in parte dell'ampiezza dell'attività svolta sinora. L'opera, infatti, ha contemplato l'osservazione di ulteriori due geni. Uno, il Braf, sui melanomi. L'altro, il Prune, riguardante i tumori al seno. "Va poi ricordato come la nostra ricerca rappresenti un esempio di buona collaborazione tra enti e istituzioni che spesso seguono filoni differenti", fanno notare due dei professionisti dell'équipe, l'oncologo-genetista Giuseppe Palmieri e l'anatomo-patologo Antonio Cossu. Un'interdisciplinarità operativa, dunque, in grado di far conseguire successi. Lo staff ha lavorato su ogni tipo di neoplasia: dai tumori all'utero a quelli della mammella, dai melanomi alle più gravi patologie al colon e al retto. Uno studio durato cinque anni. Nato soprattutto, sottolineano gli operatori, grazie alla lungimiranza di Francesco Tanda, responsabile del Servizio di anatomia patologica dell'università sassarese. Il quale in passato ha per primo richiesto i finanziamenti regionali, stabilito i contatti giusti e alla fine concretizzato il progetto. Nel corso del programma sono stati presi in considerazione più di tremila casi ai fini delle valutazioni connesse alla ricerca. "Naturalmente dopo che i pazienti sono stati informati della ricerca e hanno dato il loro consenso al trattamento dei campioni di Dna e dei dati personali", precisano ancora gli specialisti, non dimenticando le norme sulla privacy e le regole etiche. Al lavoro hanno dato il loro apporto - oltre al personale già in servizio nell'Asl 1, al Cnr e all'università - una quindicina di medici con contratti biennali e un'altra ventina di addetti su diversi livelli. Un'attività multidisciplinare ponderosa. "Gli studi, comunque, sono ancora lunghi - chiariscono Cossu e Palmieri - Dobbiamo agire su tre direttrici. La prima è verificare i risultati con le applicazioni cliniche: in sostanza, valutare come le nostre scoperte possano un domani portare benefici agli ammalati. La seconda direttrice, una volta dimostrato che il gene risulta alterato solo nelle cellule neoplastiche, consiste nell'intervenire con la terapia molecolare mirata. La terza è la fase più avanzata: accertare attraverso gli esperimenti di laboratorio quali farmaci possano in concreto inibire le alterazioni genetiche e quindi arrestare i processi tumorali". Indagini lunghe e accurate, dunque. Tanto complesse da portar via non meno di altri cinque-sei anni. Sempre che la ricerca avviata nel Nord Sardegna possa andare avanti. E sempre che si riesca davvero a ottenere il rinnovo della convenzione. "Forse l'unico modo efficace e serio - concludono i professionisti impegnati sul campo - per dare una validazione clinica e analitica agli studi portati a termine sino a oggi". Pier Giorgio Pinna _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 mag. ’04 DUE MAXI-CAVI A FIBRE OTTICHE TRA SARDEGNA, LAZIO E SICILIA Permetteranno collegamenti ad amplissima banda con le reti telematiche di tutto il mondo: un investimento di 13 milioni di euro CAGLIARI. Due megacavi sottomarini a fibre ottiche per stare più vicini, almeno via internet, all'Africa e all'Europa: uno partirà da Porto Torres e arriverà a Civitavecchia, l'altro traccerà una linea in mezzo al Mediterraneo tra Cagliari e Mazara del Vallo. Due snodi fondamentali, quelli laziali e siciliani, per unirsi ad altre reti di fibre ottiche che si diramano poi verso Nord Europa, Stati uniti e Maghreb. I lavori per la posa dei cavi sottomarini che uniranno Sardegna, Lazio e Sicilia partiranno nei prossimi giorni: già firmato il contratto con la ditta tedesca Nsw (gruppo Corning) che ha vinto la gara d'appalto per la realizzazione dell'opera. Per la Sardegna un passo avanti verso la new economy: l'obiettivo è convincere chi vuole fare impresa con internet a investire nell'isola. Col nuovo collegamento, infatti, Cagliari, a esempio, avrà le stesse possibilità di Roma e Milano: uguale quantità di dati da inserire in rete e tempi velocissimi. Un progetto su cui la Regione ha investito oltre 13 milioni di euro partecipando ad una società consortile per azioni, denominata Janna, composta da Tiscali, Enel.it ed Eurostrada s.p.a. La regione avrà il 49% delle azioni e diventerà proprietaria di 48 fibre ottiche (ventiquattro per cavo). I lavori per la posa dei cavi dovrebbero essere conclusi entro febbraio. Sardegna sempre più dentro la rete, dunque. La conferma arriva anche dai dati di uno studio del Crenos, Centro ricerche economiche Nord-Sud delle università di Cagliari e Sassari, anticipati ieri mattina dall'assessore all'industria Giorgio La Spisa in apertura dei lavori del convegno "Sardegna e futuro 2004, tendenze e opportunità per il settore Ict (information communication technology)". Nell'isola il numero degli occupati nel settore informatica e telecomunicazioni (9110 addetti) ha superato quello dei dipendenti dell'industria chimica (circa 8200). Le imprese in Sardegna che si occupano di telematica e comunicazioni (i dati riguardano sia colossi come Tiscali che microaziende con un solo lavoratore-imprenditore) sono 2971. L'ottantacinque per cento opera nel settore Itc, il resto in quello delle telecomunicazioni. Lo studio del Crenos specifica anche la distribuzione delle imprese nell'isola provincia per provincia: più della metà (cinquantaquattro per cento) sono a Cagliari, il ventotto per cento a Sassari, il dieci per cento a Nuoro e il sei per cento a Oristano. Stefano Ambu ================================================================== _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mag. ’04 GIUSTIZIA E RESPONSABILITÀ DEI MEDICI Un seminario sui rischi penali e civili di chi lavora nel mondo sanità  SASSARI. La responsabilità del medico nella recente giurisprudenza. È il tema generale, che ovviamente non si riferisce a inchieste in corso, scelto dalla Procura della Repubblica di Sassari per due giornate di studio e di dibattito in programma venerdì 28 e sabato 29 maggio nella sala convegni della Camera di Commercio.  Hanno lavorato alla organizzazione del seminario - patrocinato dal Banco di Sardegna e dalla Camera di Commercio - il consiglio dell’Ordine forense e la facoltà di Giurisprudenza dell’Università sassarese. Alle due sessioni dei lavori parteciperanno magistrati, avvocati, docenti universitari, studenti dell’ateneo cittadino e numerosi rappresentanti del mondo della Sanità. Questo perché l’iniziativa si propone di fare il punto su un problema di stretta attualità che coinvolge tutti i medici esposti, per il loro lavoro, all’eventualità di inchieste penali e al rischio di cause civili per il risarcimento di danni per colpa professionale.  Interessante il programma, estremamente qualificati i relatori scelti dagli organizzatori per chiarire tutti i dubbi degli addetti ai lavori. Alla fine di ciascuna sessione sarà aperto un dibattito sugli argomenti trattati.  Si comincia venerdì 28, alle 16, con l’introduzione dei lavori da parte di Giuseppe Porqueddu, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari. La presidenza è stata affidata a Ferrando Mantovani, ordinario di Diritto penale nella facoltà di Giurisprudenza dell’università di Firenze. Arriva dall’ateneo toscano anche Fausto Giunta, ordinario di Diritto penale, che intratterrà il pubblico su "La posizione di garanzia". Seguirà una relazione su "La causalità" del sostituto procuratore Paolo Piras. Chiuderà la prima sessione dei lavori Gianfranco Iadecola, avvocato cassazionista, che palerà dell’attività in équipe.  La seconda sessione dei lavori si aprirà sabato 29 alle 9.30, con la relazione su "La colpa" di Mariano Battisti, consigliere della Corte di Cassazione.  "Il rifiuto delle cure" sarà invece il tema trattato da Mariano Brianda, giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Sassari.  Chiuderà la serie delle relazioni Francesco Angioni, ordinario di Diritto penale nella facoltà di Giurisprudenza dell’università di Sassari, con un intervento su "L’atto medico arbitrario". Dopo il dibattito, ci saranno le conclusioni del professor Ferrando Mantovani.  La segreteria organizzativa del seminario è curata dallo studio "Mc Relazioni pubbliche" che può essere contattato per adesioni e richieste di informazioni telefonando al numero 079/299660. _________________________________________________________________ IL Mattino 25 mag. ’04 COSTA TROPPO, IL POLICLINICO NON È ASSICURATO Napoli. Il caro-polizza, autentico dramma per automobilisti e motociclisti della Campania, si ripropone in dimensioni ancora più allarmanti per le strutture pubbliche che devono garantirsi con una polizza assicurativa per il risarcimento di eventuali danni civili. L'ultima situazione di forte difficoltà viene denunciata dal Policlinico federiciano che da gennaio a oggi - cioè da quando si è insediato Carmine Marmo come direttore generale dell'azienda ospedaliera universitaria - non ha potuto sottoscrivere il contratto assicurativo perché esageratamente costoso. Nel 2003 la struttura universitaria aveva sottoscritto un accordo con un compagnia assicurativa per un milione e 100 mila euro, fissando la scadenza della polizza entro fine gennaio. Quando il manager ha cominciato a occuparsi del problema è rimasto senza parole di fronte all'aumento richiesto dalla stessa società che, per la copertura degli identici rischi, chiede ora cinque milioni di euro. Pari a circa dieci miliardi della vecchia moneta. Un'altra impresa assicurativa - pur di assicurarsi il Policlinico come cliente - ha proposto un accordo da circa tre milioni di euro. E il Policlinico da quattro mesi circa è senza copertura assicurativa. Problema serio e grave perché interessa i pazienti per eventuali danni riportati durante trattamenti chirurgici o clinici, ma anche i dipendenti soggetti a rischio Aids, o a infezioni fulminanti possibili anche solo pungendosi con uno strumento chirurgico infetto. Ma l'assenza di assicurazione si rivela un problema serissimo per la cittadella universitaria perché il direttore generale, senza copertura sui rischi civili, potrebbe essere costretto a pagare centinaia di migliaia di euro anche per qualsiasi visitatore che inciampa per le scale, che perde l'equilibrio in un viale o che camminando all'interno della struttura (in più punti molto fatiscente) per essere colpito da un pezzo di intonaco o di cornicione. Il caro tariffe riguarda Napoli, ma coinvolge tutta la Campania come conferma l'Asl Avellino 1 che ha rinnovato la vechia polizza con il vecchio assicuratore, ma a un costo raddoppiato anche se nel 2003 non è stato liquidato alcun sinistro. Chi paga i rischi ospedalieri, ma soprattutto chi controlla chi specula sui contratti di assicurazione? Domande che allarmano il manager Carmine Marmo. "La gara per la copertura assicurativa del Policlinico federiciano per il 2004 è andata deserta e voglio dire che trovo molto strano il comportamento delle aziende assicuratrici. Ho interpellato - chiarisce il direttore generale - la società che ha gestito la copertura assicurativa lo scorso anno ma, con mia sorpresa, ho verificato che la proposta fornitami era di importo quadruplo rispetto a quello corrisposto nel 2003. Nel bilancio 2004, peraltro, risultava apposta la stessa cifra pagata nel 2003". Sono arrivate altre offerte e Marmo spiega: "Lo sto valutando attentamente perché, amministrando soldi pubblici, ho il dovere di investire le risorse economiche a disposizione nel modo migliore evitando sprechi. Se riuscirò a risparmiare sul premio assicurativo, sarà possibile ipotizzare, se avrò la deroga da parte della Regione, l'assunzione di personale per questa azienda. Ma ritengo che tale argomento richieda una maggiore attenzione da parte delle autorità istituzionali, dalle autorità di garanzia e dell'Antitrust al fine di porre in essere uno strumento di garanzia per arginare la corsa da parte delle società assicuratrici al rialzo dei premi. Una corsa contro la quale noi direttori generali siamo spesso soli e indifesi". Bruno Buonanno _________________________________________________________________ L’ECO Dl BERGAMO 22 mag. ’04 INFEZIONI IN CORSIA. 130 MORTI L'ANNO Ma un terzo dei decessi potrebbe essere evitato con contromisure più stringenti «Indossare camice e sovrascarpe? Solo luoghi comuni che non servono a nulla» M Evitare di sedersi sul letto del malato? Precauzione del tutto inutile. Indossare un camice prima di avvicinare i pazienti più compromessi? Non seme assolutamente a nulla. Mettersi le sovrascarpe per non portare a spasso i batteri? Fatica sprecata, perché per sollevarli da terra e rimetterli in circolazione - pesanti come sono - ci vorrebbe un equilibri sta misto a un contorsionista. Quelli che ancora oggi molti di noi considerano i comportamenti più corretti da tenere in ospedale, altro non sono che banalissimi luoghi comuni, «smascherati» dalla ricerca scientifica più di vent'anni fa, ma che tuttavia sopravvivono inspiegabilmente anche tra gli stessi medici. Parola di Richard Wenzel e Al - bert Emmerson, i massimi esperti mondiali di infezioni ospedaliere, ieri a Bergamo per prendere parte al 1 ° congresso nazionale della Simpios, la Società italiana multidisciplinare per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie presieduta dal bergamasco Antonio Goglio, direttore della Microbiologia e Virologia degli Ospedali Riuniti. Quello delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie (un tempo gli ospedali, oggi anche le Case di riposo - dove peraltro l'incidenza (lei problema è più alta -, gli ambulatori medici, le abitazioni con pazienti complessi seguiti da un servizio di assistenza domiciliare) è un aspetto ancora oggi sottovalutato, ma estremamente serio, visto che in ospedale contrae un'infezione una percentuale di ricoverati compresa tra i15 e l’8%, con conseguenze mortali (soprattutto per sepsi e polmoniti) per f 1% dei soggetti colpiti. Ogni anno, in Italia, muoiono per un'infezione presa in corsia circa 7 mila persone, ma il dramma che si aggiunge al dramma è che i decessi evitabili potrebbero essere un terzo, oltre duemila. Se si considera che ogni anno, nella Bergamasca, i ricoverati nei diversi ospedali sono 160 mila, i pazienti che contraggono un'infezione ospedaliera - applicando le stime della Simpios - dovrebbero essere tra gli 8 e i 13 mila circa: di questi, ne muoiono tra gli 80 e i 130, un terzo dei quali però - tra 26 e 43 - potrebbero salvarsi se si mettessero in atto tutti gli sforzi possibili per ridurre la frequenza delle infezioni ospedaliere. Che, inoltre, allungano i tempi di degenza di una dozzina di giorni (più del doppio della media dei giorni di ricovero ordinari) con un notevolissimo aumento dei costi. Le infezioni ospedaliere restano comunque un problema di rilevanza mondiale, riducibile ma purtroppo non evitabile. Serve più formazione, nuove misure strutturali e organizzative. Ma servono anche fondi - e parecchi - che al momento scarseggiano. Si può cominciare lavando più spesso le mani (rimedio sempre efficace e che le donne - dicono le statistiche - utilizzano più degli uomini, gli infermieri più dei medici) servendosi degli ultimi ritrovati, soluzioni alcoliche (che i Riuniti stanno già sperimentando) al posto dei saponi liquidi. Alberto Ceresoli _________________________________________________________________ Corriere della Sera 22 mag. ’04 UN MINI BISTURI PER OPERARE LA TIROIDE La tecnica endoscopica "inventata" in Italia si esegue in anestesia locale attraverso un taglio di un centimetro. E' possibile, così, evitare anche l’inestetica cicatrice sul collo causata dall'intervento tradizionale. ELENA MELI Sono soprattutto le donne ad andare incontro a operazioni alla tiroide, perché sono loro a soffrire con maggior frequenza di patologie tiroidee, per le quali diventa prima o poi indispensabile togliere la ghiandola o asportare piccoli noduli. E qualunque sia il motivo dell'intervento, il chiodo fisso di molte pazienti è solo uno: cercare di evitare 2 tutti i costi quella brutta cicatrice sul collo che è inevitabile con le tecniche operatorie tradizionali. È pensando un po all'estetica, ma soprattutto alla sicurezza e al buon esito dell'intervento in pazienti d entrambi i sessi, che presso i Policlinico Gemelli di Roma si è ideata e poi messa a punto con successo una nuova tecnica operatoria mini-invasiva per la tiroidectomia: un'operazione che viene condotta per via endoscopica e che è tanto poco traumatica da poter essere eseguita in anestesia locale. I risultati ottenuti finora sono stati ottimi, così i chirurgh: romani si sono guadagnati gli onori della pubblicazione del loro lavoro sull'American Journal of Surgery. L'intervento Ma quali sono le caratteristiche salienti dell'intervento? «Innanzitutto, la ridotta ampiezza del taglio alla base del collo: siamo passati dai dieci centimetri dell'operazione tradizionale a un centimetro, massimo un centimetro e mezzo della nuova tecnica per via endoscopica» chiarisce il professor Rocco Bellantone, direttore dell'Unità Operativa di Endocrinochirurgia del Gemelli e ideatore del metodo assieme al professor Paolo Miecoli, dell'Ospedale Santa Chiara di Pisa. «Attraverso il taglio si introducono gli strumenti operatori e una telecamera di cinque millimetri di diametro, in maniera molto simile a quanto accade durante un qualsiasi intervento per via endoscopica: da questo momento in poi, le procedure operatorie sono assolutamente identiche a quelle di un'operazione standard alla tiroide. Uniche differenze, il "campo di lavoro" più limitato e l'essere costretti a controllare i movimenti attraverso il teleschermo». Tutto questo con il paziente perfettamente cosciente: per l'anestesia, infatti, si inietta un anestetico locale nella regione centrale e laterale del collo, dove passano i nervi che arrivano alla tiroide. La totale assenza di dolore è assicurata e, in compenso, si può operare anche chi presenta controindicazioni all'intervento in anestesia generale. «Qualche tempo fa abbiamo tolto un tumore maligno a una giovane donna al terzo mese di gravidanza, sulla quale un'anestesia generale avrebbe potuto comportare rischi per la salute del feto» racconta Bellantone. I vantaggi non finiscono qui, anche e soprattutto perché la nuova tecnica sembra garantire meno rischi e una migliore riuscita dell'intervento. «La telecamera, ad esempio, ingrandisce il campo visivo di tre volte: ciò significa che il chirurgo può lavorare con maggior precisione e ridurre il rischio di lesioni ai nervi circostanti o alle paratiroidi», spiega Bellantone. «Senza contare che, in caso di problemi, si può sempre tornare in breve tempo al metodo standard, con accesso diretto alla tiroide in anestesia generale». Naturalmente, si tratta di un intervento con precise indicazioni: i noduli da asportare non devono superare i tre centimetri di grandezza, la tiroide deve essere piccola o normale e non si deve essere stati sottoposti a un precedente intervento chirurgico al collo. Alternativa sicura Nonostante queste limitazioni, la tiroidectomia endoscopica in anestesia locale si sta affermando sempre di più come un'alternativa sicura ed efficace: nei due anni trascorsi dal primo caso, i chirurghi inventori del metodo hanno operato circa mille pazienti con ottimi risultati. Un vanto per gli italiani, che ora stanno iniziando a "esportare" la loro esperienza nel mondo. «Adesso ci apprestiamo a insegnare la tecnica ai colleghi stranieri, in occasione del Congresso Mondiale di Chirurgia Endocrina che si terrà il prossimo Giugno a Roma» informa Bellantone. ___________________________________________________ GIORMALE Di SICILIA 24-05-2004 TUMORE ALLA PROSTATA, UN NERVO PER EVITARE L’IMPOTENZA Illustrata una tecnica Usa per eliminare nei pazienti le complicanze post operatorie ERICE. (cn) Sarà un nervo prelevato da una gamba del paziente a impedire le complicanze di un intervento di asportazione radicale della prostata in seguito a tumore? I1 professore Peter Scardino dello Sloan memorial hospital di New York, ha illustrato ad Erice, al corso della scuola internazionale di urologia e nefrologia diretta dal professore Michele Pavone Macaluso (più di 150 urologi provenienti da tutto il mondo), un metodo da lui messo a punto per evitare le possibili conseguenze della chirurgia (deficit erettile, incontinenza) in caso di chirurgia per carcinoma prostatico. Scardino preleva dalla gamba del paziente un nervo (surale) e va ad impiantarlo nella zona operata per compensare le lesioni nervose provocate dall'intervento. Un'idea che potrebbe salvare il paziente dalle tristi conseguenze che spesso seguono l'asportazione radicale della ghiandola prostatica. Altro tema di grande attualità dibattuto fortemente ad Erice e che ha visto le scuole di due continenti contrapposte, è il dosaggio del Psa (antigene prostatico specifico) una sostanza che si trova elevata nel sangue in caso di cancro della prostata, anche in fase iniziale, ma anche in altre malattie benigne della prostata. Come ha sottolineato il professore Charles Brendler dell'università di Chicago, negli Usa c'è in atto una campagna a favore del dosaggio del Psa dedicata agli uomini di età superiore ai 50 anni, anche se privi di disturbi. L'indagine di massa non convince gli europei: ritengono prematuro uno screening generalizzato per il timore di eseguire, oltre a quelli utili, anche alcuni interventi chirurgici inutili, in seguito alla scoperta di tumori che non provocano disturbi e che, probabilmente, non avranno tendenza, in futuro, a svilupparsi e ad influenzare la durata o la qualità di vita del soggetto che ne è portatore. «Un grandissimo aiuto in tal senso verrà da nuovi ritrovati della scienza capaci di predire, all'esame istologico delle biopsie prostatiche, il potenziale di malignità del tumore, come è stato sottolineato dalla professoressa Liliane Bocconhoci dell'università di Parigi», ha osservato il professore Pavone. Un importante novità emersa ad Erice tocca il campo dei tumori renali: il professore Hein Van Poppel dell’università di Lovanio (Belgio) ha illustrato i dati di una ricerca nella quale si dimostra che i carcinomi renali non superiori a 4 centimetri possano essere trattati con l'asportazione del solo tumore e non dell'intero rene. CARMElo NICOlosi _________________________________________________________________ IL SOLE 24ORE 25 mag. ’04 PIÙ LUCE SUL CERVELLO Scoperta italiana su una rete alternativa ai neuroni Esiste una forma di comunicazione "oscura" nel cervello, rimasta sconosciuta per cinquant'anni, e che solo ora comincia a emergere grazie a studi iniziati in Italia dieci anni fa da ricercatori che oggi, in parte, si sono trasferiti in Svizzera. Sono i segnali trasmessi dalle cellule della glia, cui finora si erano attribuite solo funzioni secondarie e di supporto ai neuroni, mentre si è scoperto che sono capaci di ricevere messaggi, elaborarli e ritrasmetterli. Non usano segnali elettrici, tanto studiati negli ultimi decenni, ma chimici (che non necessariamente implicano un segnale elettrico) e potrebbero aiutare a capire tanti dei misteri che ancora oggi circondano il cervello e le malattie che lo colpiscono. L'Alzheimer, per esempio, o la sclerosi laterale amiotrofica. Questa rete di comunicazione che si affianca e probabilmente si integra ai neuroni è stata descritta in uno studio, pubblicato sul sito di «Nature neuroscience», di Paola Bezzi e Andrea Volterra (che oggi lavorano all'Università di Losanna anche se continuano a mantenere rapporti con il Centro di eccellenza per le malattie neurodegenerative della Statale di Milano) e di altri ricercatori svizzeri, tedeschi e norvegesi. «Grazie a nuovi strumenti di imaging cellulare che abbiamo a disposizione qui a Losanna abbiamo visto che le cellule della glia sono capaci di rilasciare in maniera controllata segnali chimici (neurotrasmettitori), e che lo fanno con una velocità sufficiente per avere un ruolo nella comunicazione cerebrale» spiega Volterra. Non solo, stimolando le cellule oliali. (che sono dieci volte più numerose dei neuroni) è stato possibile modificare, per esempio potenziare, il segnale trasmesso dai neuroni. Le cellule della glia hanno decine di migliaia di strutture simili a sinapsi neuronali e potrebbero funzionare come elementi computazionali, capaci di ricevere, elaborare e smistare il segnale a moltissimi neuroni. «Poiché anche le cellule della glia hanno un ruolo nella comunicazione, il malfunzionamento del cervello tipico di alcune malattie potrebbe dipendere anche da queste e non solo dai neuroni», dice Volterra. LARA RICCI ____________________________________________ IL MATTINO 27-05-2004 DENTI FINTI BELLI COME I VERI, CON IL COMPUTER Sorrisi perfetti con nuovi materiali più leggeri e resistenti. E un robot per elaborare e costruire protesi CECILIA DONADIO Dentiera addio! Al sorriso stabile c naturale oggi ci pensa il computer mettendo la tecnologia al servizio di implantologi e protesisti. E se i costi continuano a essere elevati, nuovi materiali a altissima precisione oltre a una maggiore durata nel tempo, garantiscono risultati "invisibili". «Negli -,Anni '90 si badava soprattutto agli aspetti chirurgici dell'impianto - spiega Fernando Zarone professore di protesi dentaria e primario dell'area funzionale di protesi nel dipartimento di scienze odonto stomatologiche e maxillo facciali del Policlinico federiciano -con il nuovo millennio invece la ricerca si è posta dire obiettivi primari: l'individuazione di impianti in grado di funzionare sul maggior numero possibile di pazienti e l'attenzione maggiore all'estetica delle protesi». Nel primo caso la risposta più soddisfacente la stanno dando gli impianti di titanio irruvidito in grado quindi di ancorarsi meglio all'osso. Aumentando la superficie di ancoraggio gli impiantì possono essere anche più coni e quindi più adattabili alle diverse strutture ossee. Con un abbattimento dei costi di produzione da pane delle industrie produttrici- aggiunge Zarone-e un conseguente risparmio per i pazienti». Nel secondo caso la novità importante messa a fuoco nel corso di tiri meeting internazionale su estetica e implantologia orale, riguarda le protesi. Niente più oro-platino e ceramica ma ceramiche integrali, ovvero alluminia e zirconia, molto meno costose e molto più resistenti. ,Le vecchie protesi - dice ancora Zarone - sottoposte a temperature elevatissime per la fusione dell'oro potevano subire lieci distorsioni e risultare imperfette mentre con i nuovi materiali, la cui durezza da sola dà più stabilità ed equilibrio agli impianti, si ottengono protesi pressoché perfette, anche perché guidate, nella loro realizzazione, dal computer». II sistema si chiama Cad-cam che sta per progettazione e realizzazione cornputerizzata assistita. Nella prima fase il computer scannerizza il calco di cera della bocca del paziente e ne disegna la relativa protesi. Su quel disegno con dei macchinari digitali la cui precisione è millimetrica viene molata la protesi stessa. Con questa lavorazione più industriale stiamo arrivando a una standardizzazione dei risultati molto soddisfacente ma, almeno par ora il trait d'union fra la bocca e la protesi e ancora il calco di cera. Prossimamente macchinari altamente tecnologici di ultima generazione riusciranno a leggere direttamente la bocca del paziente con un margine di errore pari allo zero». Ulteriore vantaggio dei nuovi materiali si riscontra dal punto di vista estetico: innanzitutto sotto bianchi e quindi non sì intravede l'ombra scura delle vecchie protesi con l'anima di oro, poi danno la possibilità al tecnico di giocare sulla gamma colori consentendo una integrazione cromatica molto naturale: «La buona riuscita dell'intervento è strettamente legata al lavoro di équipe, il chirurgo, il protesista, l'odontotecnico. Nel nostro dipartimento, con i colleghi MWardzzo c Di Lauro, stiamo lavorando per ridurre i tempi complessivi dell'intervento e per renderlo meno invasivo, sfruttando a esempio due impianti per tre denti. Sulla durata complessiva delle protesi, che ricordiamo possono essere avvitate o cementate all'impianto, parliamo di una metodica utilizzata da una ventina d'anni circa e non abbiamo quindi ancora termini scientifici di paragone_ Se diciamo dieci anni non esageriamo ma per alcuni pazienti è passato anche più tempo». Calco di cera scannerizzato macchinari che lavorano al millimetro, margini di errore sempre più ridotti Studi avanzati alla Federico ll «Impianti più duraturi» IMPIANTI E PROTESI Impianti di titanio irruvidito si ancorano meglio all'osso più adattabili alle diverse configurazioni ossee della bocca NUOVE TECNOLOGIE CADCAM Sistema computerizzato per la lettura del calco di cera e per la molatura delle protesi da un unico blocco _______________________________________________________ Il Giornale 25/05/2004 CONVEGNO A MODENA: DIRITTI-DOVERI DEGLI ODONTOIATRI FELICITA DONALISIO Ogni anno in Italia sono circa 18.000 le denunce che pazienti insoddisfatti sporgono nei confronti dei medici che li hanno curati. Di queste, il 15% riguardano odontoiatri e ortodontisti. Trattandosi di dati in costante aumento, sorge spontanea una domanda: da cosa deriva tanta litigiosità? Dice dottor Pietro Di Michele, odontoiatra, responsabile del Servizio di odontoiatria e ortodonzia della AUSL Modena, (info 059-438078; e-mail uff. stampa@ausl.modena.it): «Negli ultimi anni è cresciuta in modo considerevole la consapevolezza dei propri diritti da parte dei pazienti che si sottopongono a trattamenti sanitari. Questo è certamente un fatto positivo, anche se si registrano spesso degli eccessi, come testimonia il dato che, alla prova dei fatti, due contestazioni su tre si dimostrano infondate». Aggiunge il dottor Roberto Rubbiani, direttore generale della AUSL, di Modena: «E’ proprio per affrontare con strumenti e metodi corretti un fenomeno di questa importanza che la nostra unità sanitaria ha organizzato, al Palazzo Ducale dell'Accademia Militare di Modena, il terzo convegno nazionale di Ortodonzia, sul tema della prevenzione del contenzioso, una rassegna delle procedure più usate in ortodonzia, inquadrate sotto il profilo medico-legale». «Il trattamento della malaocclusione (attività principale degli ortodontisti) - secondo il professor Giovanni Dolci, presidente del Collegio dei docenti di odontoiatria - può apparire del tutto innocuo. In realtà, sé non vengono eseguite con la massima perizia professionale, le procedure per la correzione dell'architettura delle arcate dentali possono fornire ai pazienti occasioni per un ventaglio molto ampio di contestazioni. Pertanto il convegno esamina in modo molto rigoroso, col contributo di giuristi di valore, le situazioni che gli ortodontisti affrontano ogni giorno, magari senza la piena consapevolezza dei rischi legali E' uno sforzo un po' al di fuori delle consuete modalità di aggiornamento professionale che però dovrebbe essere molto apprezzato dai pazienti, poiché, come dice il professor Mario Marigo, presidente della SIMLA (Società italiana di medicina legale delle assicurazioni): «L'intento della categoria non è di barricare le proprie prestazioni specialistiche dietro una muraglia di cavilli giuridici, bensì quello di creare la massima trasparenza su tutto l'operato dell'ortodontista, in modo che il paziente possa facilmente verificare la correttezza delle metodiche applicate e la rispondenza dei risultati finali a quanto concordato con lo specialista». Perciò i professionisti saranno impegnati a discutere ad esempio sullo scostamento tra ciò che si aspetta il paziente e i risultati effettivi del trattamento. ci sono situazioni nelle quali il paziente manifesta aspettative eccessive, come quella riguardante la qualità del sorriso che si ottiene a seguito di un trattamento ortodontico. Spesso nascono contestazioni perché il paziente ignora che il raggiungimento di un buon risultato non è dovuto alla sola abilità del medico ma anche a diversi altri fattori, come le caratteristiche dei tessuti molli (labbra, mento, naso) o al fatto che un'occlusione ottimale talvolta può penalizzare anziché favorire l'aspetto estetico. Un altro ambito di contenziosi frequenti è quello della terapia ortodontica nel bambino. Qui il risultato è strettamente correlato all'accrescimento facciale, alle caratteristiche genetiche ereditarie. Conclude Di Michele: «La strada è lunga per costruire tra ortodontista e paziente un terreno comune che consenta di interpretare in modo univoco la qualità delle prestazioni». I dentisti italiani si interrogano sul delicato rapporto con i pazienti. «Spesso - dicono - le aspettative sono eccessive, a volte ci scambiano per chirurghi estetici» ___________________________________________________ il Giornale 29-05-2004 CINQUE INIEZIONI PER RIPULIRE LE ARTERIE Rivoluzionaria scoperta di un ricercatore milanese: salverà da ictus e infarti MONICA MARCENARO da Milano L'hanno battezzato A-I Milano» ed è uno straordinario spazzino delle arterie, uno sciogli placche più efficace di qualsiasi altro tutto italiano. Ricerche pubblicate sulle maggiori riviste scientifiche accreditate a livello internazionale e sperimentazioni cliniche ne hanno convalidato l'efficacia. Ma perché il farmaco-spazzino, una scoperta milanese, entri nella pratica clinica sono necessari ancora dai due ai quattro anni. Tanti ne servono, infatti, per la definizione dell'esatta formulazione del medicinale e del suo dosaggio, per avviare una sperimentazione allargata su 5mila pazienti e, soprattutto, per permettere una produzione che ne riduca i costi e quindi il prezzo di vendita che oggi si aggira intorno ai 30-40mila euro per ciascun paziente. «Potrebbe essere disponibile tra il 2007 e il 2008 - puntualizza Cesare Sirtoti, farmacologo dell'Università di Milano e scopritore della proteina rr-mutante - aiuterà le persone a rischio a difendersi da arterosclerosi, infarto e ictus rivoluzionando la terapia. Studi sull'animale e sull'uomo hanno dimostrato che la cura è quattro volte più efficace delle statine nella lotta contro le placche delle arterie». Risultati eccezionali, dice l'esperto. che fanno ipotizzare una vera e propria rivoluzione nella lotta contro il colesterolo. Responsabili di oltre cinque milioni di decessi ogni anno, le malattie cardiovascolari rappresentano la causa principale di morte in Europa per gli uomini dopo i 45 anni e le donne dopo i 65. Nell'30 per cento dei casi sono la conseguenza di attacco cardiaco o infarto. Da noi ogni anno 76mila persone nella fascia 35-64 anni sono vittime di un attacco ischemico a carico del muscolo cardiaco. Un infarto ogni 3-4 minuti. Almeno 50mila pazienti non lo superano. Chi arriva in -ospedale entro due ore ha buone possibilità di salvarsi, ma non rappresenta la maggioranza dei casi. Ecco allora che la nuova cura «pulisci arteria» può diventare la salvezza di quanti sono a rischio: La nuova terapia non sarà una pillola, ma una soluzione di "colesterolo buono", l'I-Idl, sintetizzata in laboratorio, da assumere con una sorta di flebo da 20-40 ml per 15-20 minuti - precisa l'accademico, presentando il convegno stilla nuova «7 Idl'therapy», al via oggi a 1.inxmc del Gamia - una terapia in cinque iniezioni che libererà le arterie dei pazienti a rischio, allontanando il pericolo di infarto e ictus. E che può essere ripetuta, se le placche si riformano negli anni». Ad allungare i tempi per l'arrivo sul mercato, dopo risultati «così promettenti», è il tentativo dell'azienda produttrice (Pfizer) di ridurre i costi di fabbricazione: «Oggi ogni ciclo di trattamento costerebbe 30-40mila curo a ogni paziente - spiega Sirtori - ma l'obiettivo è quello di arrivare a 50-l00mila. In Pfizer ci stanno lavorando solo da sei mesi, da quando cioè l'azienda farmaceutica ha acquisito la sua concorrente Esperion, detentrice del brevetto: Mesi che hanno permesso di mettere insieme una squadra di trenta ricercatori, tutti concentrati su A-I Milano, «con un investimento complessivo per lo sviluppo del farmaco di 20 milioni di dollari», fa sapere il padre della proteina. Insomma, in Pfizer ci credono. La cura «alternativa a molti, costosi, farmaci tradizionali, potrebbe mandare in pensione anche stent e angioplastica - aggiunge lo scienziato - portando importanti risparmi». Solo per le statine oggi in Italia si spendono circa 400 milioni di euro l'anno. La proteina A-I Milano, poi, potrebbe richiedere meno accertamenti diagnostici per verificarne l’efficacia. Per dimostrare questa ipotesi è stato messo a punto un protocollo di ricerca, coordinato da Cesare Sirtori e che coinvolge altre università italiane, che propone fuso di tecniche ecografiche e della risonanza magnetica al posto dell'angiografia, un metodo costoso e invasivo. «Anche per la diagnosi, dunque, prevediamo un risparmio: la macchina per la risonanza magnetica costa, ma richiede poco personale e funziona giorno e notte. Fra pochi anni renderà visibili le coronarie in modo chiarissimo, come l'angiografia». E si potranno fotografare anche i vasi di persone giovani, ma ad alto rischio perché obese o fumatrici. «A questo punto - conclude Sirtori - speriamo solo che il nostro progetto venga approvato nell'ambito del programma di ricerca sulla terapia biologica dell'infarto e finanziato dal ministero dell'università e della ricerca scientifica». La nuova terapia potrebbe essere disponibile già nel 2007. Ogni ciclo di trattamento costerà 30-40mila euro a paziente SALVARE IL CUORE È una proteina mutante spazza arterie. II suo nome è «A-I Milano». __________________________________________________ il Giornale 29-05-2004 LE NUOVE CONQUISTE DELLA CHIRURGIA A Napoli oltre tremila specialisti discutono su terapie e tecnologie LUIGI CUCCHI «La chirurgia per dare più anni alla vita e più vita agli anni», questo lo slogan del ventitreesimo Congresso nazionale dei chirurghi ospedalieri italiani che ha fatto giungere nella città partenopea quasi tremila medici specialisti in chirurgia generale, toracica, pediatrica, vascolare. Sono 1475 le relazioni e le comunicazioni presentate, tanti i temi dibattuti. Ne parliamo con il professor Gaetano De Donato, 61 anni, napoletano, dirige là divisione di chirurgia vascolare all'Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. Dopo aver trascorso alcuni anni all'estero a New York, Zurigo e Ginevra è tornato nella sua 'terra ed ora presiede questo congresso. Precisa De Donato: «Non basta più far sopravvivere il paziente per un numero sempre maggiore di anni, dobbiamo offrirgli una qualità di vita la più ottimale possibile. Per dirla con i napoletani: O' malato addà campà e campà buono». Per tre giorni (da giovedì a oggi) si sono succeduti a Napoli presso la Città della Scienza, incontri scientifici con un fitto calendario di sub-riunioni all'interno degli ospedali tra giovani specialisti e docenti tutor. Si discute di chirurgia laparoscopica e mininvasiva dell'aorta addominale o del colon retto, di trattamento delle metastasi epatiche, di chirurgia della mammella, di indicazioni chirurgiche nel morbo di Crohn, di endoprotesi aortiche, di trattamento delle stenosi carotidee, di aneurismi delle arterie viscerali. Dove sta andando la chirurgia? Quali sono le conquiste dei prossimi anni? «La chirurgia laparoscopica è la chirurgia del futuro, si sta diffondendo sempre di più. Ha molti vantaggi e non essendo traumatica consente il recupero quasi immediato del malato. Attraverso tre piccoli l'ori si interviene nell'addome o nel torace lasciando al loro posto le fasce muscolari che non vengono recise. Nelle sale operatorie aumenterà l'impiego della telematica e dell'informatica: un robot effettuerà parti degli interventi e il chirurgo sul posto o a distanza impiegherà questi nuovi strumenti. La macchina non lo sostituirà». Gli italiani hanno fiducia nei chirurghi? Fanno bene ad averla? Fino a che punto gli ospedali sono al servizio dei pazienti? «La chirurgia è qualche volta colpita dalla malsanità. Ci si dimentica tuttavia che migliaia di persone ogni giorno sono salvate grazie a chirurghi che hanno dedicato la vita ai pazienti. Molti sono dei sacerdoti, dei missionari. Le liste di attesa spesso sono lunghe però più per interventi minori che per quelli veramente importanti. Anche a Napoli oggi le sale operatorie funzionano minimo per 12 ore su 24, cioè sono aperte dalle S del mattino fino alle 20, tutti i giorni della settimana. Meglio sarebbe farle funzionare per 20 ore al giorno. La loro tecnologia è sempre più costosa e nell'arco di 4-5 anni diviene obsoleta; è giusto quindi impiegarla in modo ottimale». Quali sono gli ostacoli al pieno utilizzo delle sale operatorie? «Spesso in molti ospedali vi è carenza di anestesisti e di infermiere specializzate in sala operatoria. Un tempo vi erano le ferriste, infermiere specializzate, che fruivano di inventivi economici ed erano disponibili agli straordinari: oggi le infermiere hanno un unico livello, nessun incentivo e la loro disponibilità si è così ridotta». E' soddisfacente l'attuale formazione dei giovani chirurghi? E qual è la differenza tra chirurgo ospedaliero ed universitario? «Esistono i buoni ed i cattivi chirurghi, questa è la sola differenza che conta. L'attività didattica è ridotta negli ospedali e si trascorrono più ore nelle sale operatorie. Le università dovrebbero fornire il titolo di laurea in medicina e lasciare agli ospedali la formazione dei giovani specialisti che deve durare anni, sette giorni su sette, se occorre, come avviene negli Stati Uniti ed _in tutto il mondo. In Italia, nel passato un giovane, per assurdo, poteva diventare chirurgo senza aver quasi mai operato. Grazie anche alle terapie anticoagulanti ed antitrombotiche oggi si operano centenari con risultati eccellenti: una ischemia acuta è affrontata anche a 103 anni. G' una conquista della chirurgia». __________________________________________________________ il Giornale 29-05-2004 RIMEDI BIOLOGICI CONTRO LA PSORIASI INCONTRO DI MILLE DERMATOLOGI A CASTELLANETA (TARANTO) GIANNI MOZZO Mille specialisti partecipano in questi giorni al congresso della Società italiana di dermatologia, che si svolge in Puglia, a Castellaneta Marina. Per la prima volta c'è anche una delegazione giapponese. Come sempre, i temi congressuali sono tanti. Dice il professor Alberto Giannetti, presidente della Società e del congresso: «Dal melanoma alla psoriasi, agli eczemi, alle ulcere, ogni settore ha qualche aggiornamento. Tra le novità più stimolanti, voglio ricordare l'avanzata del laser e la nuova diagnosi videomicroscopica». Sul fronte della psoriasi, che colpisce in Italia oltre un milione di persone, la posizione è netta: c'è un nuovo farmaco biologico (raptiva), introduciamolo in terapia. Allo studio internazionale «Clear»; condotto in vari Paesi del mondo per sperimentare questa molecola, hanno partecipato infatti due noti dermatologi italiani: Sergio Chimenti, cattedratico a Roma Tor Vergata, e Alberto Giannetti, cattedratico a Modena. A Castellaneta, entrambi si sono dichiarati «ottimisti», riferendo che in più del 50 per cento dei pazienti raptiva attenua e qualche volta cancella le «macchie» della psoriasi, causa anche di seri danni psicologici. Il dottor Paolo Grillo della Serono (l'azienda che distribuirà il farmaco in tutto il mondo" (ad eccezione degli Stati Uniti d'America) ricorda che Serono, leader a livello mondiale nelle biotecnologie farmaceutiche, è attualmente impegnata nello sviluppo di tre molecole per il trattamento della psoriasi ed aggiunge: «Considerata la soglia di tossicità e la discontinuità di trattamento delle attuali terapie, la nostra ricerca è focalizzata su soluzioni terapeutiche che permettono un trattamento sicuro, efficace e a lungo termine, senza quelle pause che possono rimettere in evidenza la malattia». L'attenzione dei dermatologi italiani verso la psoriasi è stata riconosciuta anche dall'Associazione dei pazienti e della sua presidente Mara Maccarone, che ha partecipato al congresso, per ricordare «le gravi implicazioni fisiche e psicologiche che danneggiano pesantemente la vita dei pazienti psoriaci». La ricerca farmaceutica è attivissima, in campo dermatologico. Un'altra patologia che sembrava senza sbocco, l'eczema, può contare oggi, come ha ricordato al congresso del suo presidente, su due nuovi principi attivi (nomi chimici: tacrolimus e pimecrolimus) che sembrano destinati a risolvere il suo percorso clinico. «La prudenza non è mai troppa», conclude il professor Giannetti ama dobbiamo pur dire che stiamo vivendo una stagione di grandi speranze: mai come oggi sembra vicina la soluzione di patologie che ci hanno preoccupato per molti decenni». Una ricerca internazionale dimostra l'efficacia di un principio attivo contro le più gravi manifestazioni cutanee ________________________________________________________ il Giornale 29-05-2004 LE MALATTIE RARE DEI BAMBINI A TRIESTE RICERCHE D'AVANGUARDIA Trieste, città nobile e ricca di storia, vanta anche alcuni primati di ricerca. Un esempio: dal 1991 è attivo un «Laboratorio malattie rare», fondato da Bruno Bembi, che è genetista, neonatologo, ma soprattutto «medico dei bambini». Nel suo laboratorio, che fa parte dell'ospedale pediatrico Burlo Garofolo, vengono studiati e in un secondo tempo curati bambini affetti da patologie rare: per esempio dalla malattia di Gaucher, dalle malattie lisosomiali (il lisosotnio è la vescicola digestiva della cellula), dall'osteogenesi imperfetta, dalla glicogenosi di tipo 2, patologie che in molti casi provocano la morte. li dottor Bembi ed i suoi quattordici collaboratori lavorano in piccoli spazi ma dispongono di preziose apparecchiature, acquistate con gli aiuti di alcuni «benefattori» e della Fondazione Cassa di risparmio di Trieste. Se è necessario, lavorano anche di notte, senza recriminare. «II nostro orgoglio» dice Bembi «è di avere salvato più di trecento bambini». Questa importante struttura, che non si celebra ma pensa soltanto a dare buoni risultati è in contatto con i più importanti Centri di ricerca del mondo. A Trieste arrivano bambini non solo dall'ltalia, ma anche dall'estero. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 mag. ’04 IL MALE OSCURO DIETRO L'ANGOLO A Cagliari incontro con l'anziano psichiatra Jules Angst, allievo di Jung Oggi è a rischio un uomo su quattro I metodi di cura, dall'analisi ai farmaci. Il parere di Gessa Esaurito, stressato, in crisi. Ogni giorno se lo ripetono milioni di persone. La mattina al risveglio. Sui bus, nel traffico, al bar. La sera sulla strada del ritorno. La notte, sfiniti, quando l'unico desiderio è dimenticare la giornata appena trascorsa. Ormai, quasi, non ci si fa più caso. Lo stress è entrato nel lessico quotidiano e una umanità, sofferente e rassegnata, se lo porta dietro come una delle tante incombenze della vita. Sino a quando non si rompono gli argini e quella che, sino a un attimo prima, altro non era che una fatica del vivere, diventa ansia, depressione, panico, improvvisa euforia, irritabilità, perdita d'interesse, insonnia, pensieri di suicidio. Sintomi che gli psichiatri, con espressione apparentemente tranquillizzante, chiamano "disturbi dell'umore". Eppure per l'uomo comune, spesso, restano solo l'impossibilità di relazionarsi con se stessi e con gli altri, una fonte di disagio, magari da combattere con qualche bicchiere in più o una dose clandestina. Sino a quando l'incontro con un medico non permette di scoprire la gravità dello stato di sofferenza e allora alle cure fai da te si sostituiscono psicofarmaci, antidepressivi, stabilizzatori dell'umore. E nei casi più fortunati anche la psicoterapia. Ecco, quindi, che il "male oscuro" diventa sempre più chiaro e allarmante, non solo per chi lo subisce ma anche per l'intera società. A dimostrarlo non sono solo la valanga di giornate di lavoro perse, la diffusione massiccia delle droghe, le improvvise e inspiegabili tragedie esistenziali, ma anche l'imponente indagine sul funzionamento del cervello che in tutto il mondo impegna biologi, farmacologi, psichiatri, psicoterapeuti. Il punto su questa ricerca è stato fatto nei giorni scorsi a Cagliari durante un meeting organizzato dalla Scuola di specializzazione in psichiatria dell'Università, al quale ha partecipato Jules Angst, ottantaquattrenne psichiatra di Zurigo, allievo di Jung, uno dei massimi esperti mondiali dei disturbi dell'umore, scopritore della sindrome bipolare, l'alternanza cioè di fasi depressive e di eccitamento maniacale. Ad affiancarlo nella sua "lettura magistrale", in un'affollatissima sala del Caesar's Hotel, Gianluigi Gessa dell'Istituto cagliaritano di neuroscienze, Giovanni Biggio del Dipartimento di biologia sperimentale e Mauro Carta della Clinica psichiatrica. Temi del confronto "Gli aspetti clinici, epidemiologici, farmacologici dei disturbi dell'umore", definiti dalla Organizzazione mondiale della sanità "una delle maggiori cause di disabilità nel mondo". L'individuo liquidato comunemente come esaurito, stressato, in crisi, altro non è che un sofferente mentale incapace di far fronte efficacemente alle fatiche quotidiane. Di fronte alle afflizioni della vita (lutti, problemi economici, separazioni) soccombe. Sempre secondo l'Oms, sono 121 milioni le persone affette, con gravità diversa, dalla depressione. È la malattia numero uno al mondo in termini di anni vissuti da ammalato; occupa il 4º posto nella classifica delle malattie che più accorciano la vita. Il suo peso è destinato ad aumentare e si stima che per il 2020 salirà al 2º posto. Il dato varia da nazione a nazione. Per l'Italia quello più recente stima cinque milioni di persone colpite, con una spesa sanitaria valutabile in 15 miliardi di euro l'anno. Cifra che comprende, oltre ai costi delle cure, quelli relativi alla mancata produttività, cioè le giornate di lavoro perse.Altra circostanza allarmante l'aumento dei casi tra i giovani e giovanissimi: riguarderebbe l'8-10% degli adolescenti in Italia, un dato che coincide con quello relativo ai casi di suicidio in questa fascia di età. "I disturbi dell'umore colpiscono complessivamente il 24% della popolazione", ha detto Angst. "La patologia più diffusa è la depressione classica di tipo melanconico, mentre la mania pura è piuttosto rara. Ugualmente alto è il rischio di cadere, dopo un primo episodio, nel bipolarismo. La diagnosi della bipolarità è molto importante per decidere quale terapia seguire, e in ogni caso la terapia farmacologia è più efficace se collegata alla psicoterapia". Anche se non nega l'importanza delle recenti scoperte genetiche, Jules Angst ritiene fondamentale l'indagine sociale per avviare terapie efficaci. Il farmaco non è tutto. "La ricerca genetica", ha aggiunto lo psichiatra di Zurigo, "è utile per la diagnosi della mania; ma l'insorgere dei disturbi dell'umore resta legato a fattori ambientali e sociali". Nel suo intervento Angst si è soffermato soprattutto sui rischi di suicidio ai quali vanno incontro depressi, maniaci e bipolari. "Il rischio di suicidio - ha detto - colpisce il 20.9% dei bipolari, mentre tra gli unipolari la percentuale più alta è nei depressi, il 17.5 %, mentre nei maniaci puri scende al 5 %. La curva di rischio è decisamente più alta all'inizio del trattamento". Per far fronte a questi pericoli l'anziano allievo di Jung sostiene la necessità della diagnosi immediata. "Scoprire il tentativo di suicidio - ha aggiunto - è la prima cosa da fare per evitarlo. Infatti la percentuale di rischio aumenta di ben quindici volte, se un individuo ci ha già provato". Per scongiurarli anche lui sostiene la necessità dei farmaci. "Contro la pulsione suicida dà buoni risultati il litio, ma alla monoterapia è da preferire la combinazione di farmaci diversi; una terapia a lungo termine riduce comunque il rischio", ha concluso Angst. L'affascinante viaggio nel cervello umano è stato introdotto da Gianluigi Gessa che ha definito la corteccia prefrontale il sito della morale. Cosa accada in essa è testimoniato dall'incidente capitato a tal Phineas P.Gage nel 1848, un ragazzo bello e buono, che dopo un trauma non riesce più a distinguere il bene dal male. "Non è più lui, l'anima morale - ha detto il farmacologo citando la suora che lo ebbe in cura - se ne è andata. Risiede lì il centro del bene e del male, non è eretico dirlo". Lesioni anche minime in quell'area, rilevate su veterani di guerra, vittime di incidenti, tossicodipendenti, hanno come conseguenza alterazioni funzionali che portano i pazienti a non rispettare le convenzioni sociali, a un'etica violata. "Non riescono a imparare regole morali neanche per ciò che torna a loro vantaggio", ha aggiunto Gessa. "Esiste nella nostra corteccia un'area che controlla la biochimica del libero arbitrio. Durante la preadolescenza o nell'adolescenza l'uso droghe provoca modificazioni plastiche nel cervello in crescita, come negli alcolisti. Scoperta la dopamina, oggi sappiamo che i neuroni non solo parlano tra loro ma si parlano addosso e producono più di un neurotrasmettitore". Allievo di Gessa, il biologo Giancarlo Biggio ha introdotto il concetto di plasticità neuronale come nuova frontiera della neurobiologia. "La convinzione che le cellule del cervello possano solo decadere e morire è contraddetta dal fatto che a ogni età possono invece proliferare, migrare, imparare in fretta, se stimolate da un ambiente arricchito, esercizi di apprendimento e input positivi - ha sostenuto il biologo - Al contrario in ambiente negativo, in situazione di stress prolungati e vite travagliate gli studi mostrano ippocampo ridotto e un fattore di vulnerabilità. E quindi il consumo di droghe, gli oppiacei, provocano nel cervello una diminuita neurogenesi, atrofia e morte neuronale". L'intervento dello psichiatra Mauro Carta ha trattato i rapporti fra autoimmunità tiroidea e disturbi dell'umore. Circa il 15-20% della popolazione presenta patologie alla tiroide e questa condizione sembra predisporre all'insorgenza di disturbi dell'umore, in particolare disturbi bipolari, e a disturbi d'ansia. In particolari legate a situazioni come il post-partum e le terapie con interferone. Daniela Paba _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mag. ’04 NOVITÀ SUL FRONTE DEL FAVISMO "L'esonero dal servizio militare si rivela ingiustificato" Illustrate dal professor Ugo Carcassi le ultime tesi scientifiche Favismo punto e a capo. E' successo a un convegno di storia della medicina a Cagliari, dove Ugo Carcassi, internista con una decina di titoli accademici acquisiti in giro per il pianeta, ha lanciato un messaggio forte e chiaro alla classe medica e al legislatore responsabile dell'esclusione dal servizio militare dei giovani che debbono star lontani da fave e piselli. Dunque il messaggio è questo: non è vero che i farmaci antivirali possono causare la crisi emolitica (la rottura dei globuli rossi), non è corretto esonerare dal servizio militare i giovani forti e sani ma carenti dell'enzima G6pdh (il fattore che predispone all'attacco di favismo). "Questa affermazione - spiega Carcassi, docente di Reumatologia alla Sapienza di Roma, professore emerito di Clinica medica all'università di Cagliari - deve essere sostenuta soprattutto adesso che verrà abolita la leva e il servizio militare sarà scelto liberamente dai ragazzi. Con l'esclusione perché fabico, al giovane si preclude un'opportunità di lavoro senza un motivo valido". L'unica certezza a proposito di favismo sta nel fatto che la crisi si scatena soltanto se si mangiano fave, ma non sempre e non comunque. Il panorama è il più vario. Si va dal ragazzo che può avere una crisi a dodici anni poi ricomincia a mangiar fave e non gli succede più nulla, al fabico inconsapevole che mangia fave fino a ottant'anni e solo a quell'età gli arriva una crisi. E c'è anche lo sfortunato che finisce all'ospedale con la prima fava. Il favismo "è una brusca e improvvisa anemia, i globuli rossi vengono distrutti quasi completamente, da cinque milioni si scende fino a 700-800 mila, l'emoglobina (i pigmenti che danno colore al sangue) liberata in modo massivo conferisce un color caffellatte alle urine e ci vogliono quattro, cinque giorni perché il paziente si riprenda". La morte è infrequente. Il rischio estremo è l'insufficienza renale. Ma salvo casi eccezionali, la ripresa è regolare "e non c'è bisogno di fare trasfusioni - raccomanda Carcassi - perché sono più alti i rischi connessi alle trasfusioni (epatiti, Aids)". Gli studi sul favismo sono stati trascinati dalla talassemia. "Tutte e due sono anemie - spiega il docente - una cronica, l'altra acuta e solo tavolta fulminante. Tutte e due hanno carattere familiare. Per la talassemia s'era individuato il meccanismo di trasmissione. Per il favismo appare tuttora meno semplice. Si è scoperto che il gene che predispone al favismo, infatti, non scatena il favismo. Solo mangiando fave o respirandone il polline si può andare incontro alla crisi. Nel favismo ci sono due fattori conosciuti, la predisposizione e l'ingestione delle fave, ma nessuno dei due basta da solo o assieme a scatenare la crisi: è un terzo fattore, forse immunologico, forse climatico, forse altro, certo variabile, il quale fa sì che alcuni abbiano la crisi, altri no. In Sardegna possono esserci tra tremila a seimila G6pdh carenti, la metà di questi non sa di esserlo". Nella storia del favismo un posto assoluto lo ricopre Sassari: "Fino al 1800 la malattia era scambiata per itterizia - racconta Carcassi -. Fu Claudio Fermi, direttore dell'istituto di Igiene di Sassari, che nel 1905 classificò il favismo. Capì che si trattava di una nuova malattia: a tutti i medici sardi e dell'Italia meridionale mandò un questionario e vide che i sintomi erano frequenti soltanto in aprile e maggio. Inoltre poté stabilire che la malattie ricorreva nelle famiglie con precedenti di questo genere. Si badi che in quel periodo l'istituto di Fermi era il più importante d'Europa perché fu il primo a produrre un vaccino antirabbico sicuro. Pasteur, lo scopritore del virus, aveva lavorato su virus di strada (volpi, lupi), quindi mutevole e il vaccino così fatto poteva provocare la rabbia. Fermi lavorò con modalità più precisa su un virus fisso e il suo vaccino fu usato per quasi cinquant'anni nella vaccinazione preventiva...". Tornando al favismo, il cui gene modificato dovrebbe essere arrivato dalla Siria non oltre dieci milioni di anni fa, Carcassi (assieme a Ruggero Ceppellini e Marcello Siniscalco con i quali ha in corso una ricerca) ha annotato alcuni elementi che stabiliscono un rapporto tra favismo e altre malattie: "Osservando la distribuzione della talassemia si è visto che la distribuzione del favismo è simile. Si è visto anche che il globulo rosso malarico cresce male nel sangue del soggetto carente dell'enzima G6pdh: la malaria è stata fattore di selezione che ha fatto sopravvivere talassemici e fabici. Questo spiega perché in zone dove ci sono state endemie malariche sono rimasti così alti i numeri dei portatori del gene della talassemia e del G6pdh carente". Altre annotazioni: "La stessa crisi emolitica che dà il favismo può essere provocata dai piselli: ho descritto il primo caso al mondo di pisellismo - conclude il professore - e, dall'inalazione di pollini di piante diverse dalle fave, ho documentato una crisi emolitica". La ricerca, insomma, continua. Alessandra Sallemi _________________________________________________________________ La Stampa 27 mag. ’04 L’OMEOPATIA NON SUPERA L’ESAME IN TRIBUNALE NELLA PRATICA DELLA DILUIZIONE DELLE «TINTURE MADRI». BENVENISTE E LA «MEMORIA DELL’ACQUA» IL Tribunale di Catania ha assolto Piero Angela dal reato di diffamazione in una causa intentagli da un'associazione di omeopati: reato che sarebbe stato commesso in un servizio di «Superquark» messo in onda quattro anni fa e riguardante la scarsa plausibilità del principio delle diluizioni, uno dei capisaldi dell'omeopatia. Un principio secondo il quale il rimedio omeopatico è preparato a partire da una «tintura madre» mediante un certo numero di diluizioni, così che se, la tintura è in grado di causare certi sintomi nella persona sana, il rimedio diluito sarebbe invece capace di guarire le persone malate che quei sintomi li presentano. Perché possa farlo ancora non è dato sapere, ma in tutti i casi, nella preparazione di un rimedio si procede così. Nella prima diluizione una parte della tintura è aggiunta a 99 parti di alcol al 90 per cento così da ottenere la prima diluizione centesimale, indicata con 1 CH o C1. Al secondo passaggio una parte della soluzione 1 CH è diluita in 99 parti di alcol e il risultato è la soluzione 2 CH o C2, e così via. A ogni passaggio diminuisce la concentrazione. La diluizione C6 per esempio contiene una molecola di sostanza originale per miliardo di molecole di alcol. Oltre un certo limite non resta virtualmente traccia della sostanza di partenza. Questo limite, connesso al "numero di Avogadro" (6,023 x 10 elevato a 23), corrisponde a potenze omeopatiche di C12. Gli omeopati, e così anche la dottoressa che ha sostenuto la parte avversa ad Angela, dànno per certo che i rimedi omeopatici agiscono mediante un'azione biofisica e non per la presenza di sostanze chimiche e che, in caso d'infezioni, tendono a riequilibrare le difese immunitarie più che a contrastare il germe responsabile. Ma sui perché eventuali di una presunta azione curativa dei rimedi finora si sono fatte solo congetture. Al contrario, gli scettici non sono mai mancati, e molti si troverebbero ancora oggi in ciò che sta scritto nell'edizione dell'«Harrison's Principles of Internal Medicine» 2001: «E' difficile... un'ipotesi scientifica verificabile sul piano scientifico che possa spiegare gli effetti presunti dei rimedi omeopatici, dei quali si dice che poche o zero molecole di una sostanza attiva avrebbero effetti farmacologici». Le stesse fonti citate dalla consulente di parte si esprimono in termini possibilistici. Nel documento intitolato «Il paradigma biofisico», si legge: «E’ possibile affrontare le questioni più strettamente correlate al problema dell'omeopatia. Esse riguardano modelli teorici ed esperienze empiriche che suggeriscono l'esistenza di reali basi fisiche del fenomeno. Un gruppo di fisici dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare… sta portando avanti da diversi anni la formulazione di un modello descrittivo della fisica dell'acqua allo stato liquido che potrebbe contribuire non poco a sciogliere l'enigma dei fenomeni omeopatici o, quanto meno, potrebbe servire da supporto a quanti considerano "non teoricamente impossibile" un'attività biologica delle soluzioni ultradiluite». Nulla di più. Per avere un'idea più chiara dell'importanza di questo passaggio in tema di omeopatia è bene ricordare la vicenda della cosiddetta "memoria dell'acqua". Che ci fosse un fenomeno del genere, ovvero che l'acqua possa conservare una memoria chimico-fisica del contatto con sostanze che vi sono state diluite, fu affermato da Benveniste del Laboratoire de Biologie Numerique dell'Inserm in Francia. Benveniste pubblicò su «Nature» un articolo attestante il fatto che le molecole dell'acqua, attivate «dal contatto col principio attivo mantengono la loro efficacia anche quando la superdiluizione elimina completamente le molecole del principio attivo». I risultati dell'esperimento furono smentiti poco dopo: Benveniste fu incapace di ripeterli in presenza di osservatori estranei e un rapporto negativo fu pubblicato su «Nature» con il titolo: «Gli esperimenti ad alta diluizione si sono rivelati un abbaglio». L'acqua non ha memoria, mentre sembrano averla molti di quanti siedono in Parlamento visto che si sta discutendo un disegno di legge per introdurre la libertà di curarsi come ognuno crede: i rimedi omeopatici furono oggetto di denuncia del Tribunale antiplagio in quanto a quelle diluizioni non si può stabilire che il rimedio è davvero ciò che dice l'etichetta. Le 59 pagine della sentenza sembrano un aggiornamento sul fatto che nulla è cambiato da quando il movimento National Council Against Health Fraud (Usa) scrisse in un documento del 1994 che «L'omeopatia risponde alla definizione di ciarlataneria della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, cioè è "promozione di teorie e rimedi medici falsi o non provati al solo scopo di trarne profitto"». Sembrano un aggiornamento di queste parole perché per sostenere che nel servizio di Superquark non si era diffamato nessuno e che gli omeopati non potevano avere diritto di replica in una trasmissione del genere, nelle parole della sentenza il giudice è andato oltre Superquark. Ha sostenuto cioè che all’omeopatia non è riconosciuto un fondamento scientifico. Gli omeopati non potevano avere spazio di replica così come non lo hanno gli astrologi quando Superquark parla di costellazioni perché «la scienza non è opinione». Stefano Cagliano _________________________________________________________________ Le Scienze 29 mag. ’04 IL BATTERIO CHE BLOCCA L'HIV Potrebbe prevenire la trasmissione del virus durante l'allattamento Alcune varietà di batteri che si trovano naturalmente nella bocca umana sarebbero in grado di intrappolare il virus HIV e addirittura le cellule da esso infettate. Lo sostiene un gruppo ricercatori dell'Università dell’Illinois di Chicago (UIC), il cui studio è stato presentato a un convegno dell'American Society for Microbiology. Durante alcuni test di laboratorio, gli scienziati hanno scoperto che il batterio si attacca allo zucchero che copre il rivestimento della particella di virus, bloccando così l'infezione. Il batterio si lega inoltre agli zuccheri che rivestono le cellule immunitarie, spingendole a raggrupparsi: una caratteristica che renderebbe le cellule portatrici di HIV incapaci di infettare altre cellule. "Questa scoperta - ha dichiarato Lin Tao del College of Dentistry dell'UIC, direttore dello studio - apre la strada verso un possibile metodo di prevenzione della trasmissione di HIV da madre a figlio durante l'allattamento". Ogni anno, in tutto il mondo, questo tipo di trasmissione del virus provoca 800.000 nuove infezioni. Tao e colleghi hanno esaminato centinaia di batteri orali estratti da campioni di saliva di volontari sani, prima di identificare sei varietà di Lactobacillus che producevano proteine in grado di legarsi al tipo particolare di zucchero che riveste l'HIV (il mannosio). Ulteriori indagini hanno identificato due varietà capaci di intrappolare i virus vivi legandosi ai recettori gp120 delle glicoproteine che impediscono a HIV di essere riconosciuto dalla risposta immunitaria. _________________________________________________________________ Le Scienze 27 mag. ’04 AUMENTANO I TUMORI MASCHILI DEL SENO Ma ci sono pochi dati sull'epidemiologia, sui trattamenti e sulla prognosi Il più grande studio mai condotto sul tumore del seno negli uomini ha rivelato che, contrariamente ai risultati precedenti, questo tipo di tumore è sempre più diffuso, anche se rimane comunque raro. La ricerca, pubblicata il 24 maggio 2004 sull'edizione online della rivista "Cancer", indica che ci sono differenze significative nella presentazione del tumore nei due sessi, anche se i tassi di sopravvivenza restano simili. Lo studio completo apparirà sul numero del primo luglio dell'edizione cartacea della rivista. Il tumore maschile del seno è maligno ma raro, rappresentando solo lo 0,6 per cento di tutti i tumori del seno e meno dell'uno per cento dei tumori maschili. Essendo così raro e poco studiato, ci sono pochissimi dati sulla sua epidemiologia, sui trattamenti e sulla prognosi. Inoltre, gli studi finora sono in disaccordo sul fatto che la malattia si presenti in modo identico negli uomini e nelle donne. Per riempire questo gap, i ricercatori guidati da Sharon H. Giordano del M.D. Anderson Cancer Center dell'Università del Texas hanno analizzato i dati raccolti dal 1973 al 1998 e li hanno inseriti nel database SEER (Surveillance, Epidemiology and End Results) del National Cancer Institute degli Stati Uniti. Hanno così scoperto che negli ultimi 25 anni l'incidenza del tumore del seno maschile è aumentata in modo significativo, da 0,86 a 1,08 casi ogni 100.000 uomini. Quest'aumento, tuttavia, non è drammatico come quello nelle donne nello stesso periodo. Per entrambi i sessi il rischio cresce con l'età e i tassi di sopravvivenza sono identici. Sharon H. Giordano, Deborah S. Cohen, Aman U. Buzdar, George Perkins, Gabriel N. Hortobagyi, Breast Carcinoma in Men: A Population-Based Study. Cancer, pubblicato online (DOI: 10.1002/cncr.20312): 24 maggio 2004. _________________________________________________________________ Le Scienze 27 mag. ’04 GUIDARE IL PERCORSO DEGLI ASSONI Una nuova tecnologia consente di studiare lo sviluppo delle connessioni cerebrali Alcuni ricercatori dell'Università di Georgetown hanno sviluppato una nuova tecnologia per misurare con precisione la sensibilità delle fibre nervose nel cervello durante lo sviluppo. Hanno così scoperto che queste fibre, chiamate assoni, possiedono una sensibilità incredibilmente alta agli stimoli direzionali molecolari che le guidano verso la loro destinazione nel cervello. Lo studio è stato pubblicato sul numero di giugno della rivista "Nature Neuroscience". Durante lo sviluppo, il cervello deve creare una serie di connessioni fondamentali per funzionare in modo appropriato. Per trovare la direzione giusta, le fibre nervose devono seguire appositi segnali molecolari. Sono stati condotti molti studi per comprendere quali molecole sono coinvolte in questo processo, ma finora nessuna tecnologia aveva consentito di creare un gradiente stabile e controllabile con cui misurare la sensibilità degli assoni agli stimoli e capire come questa sensibilità influenza e guida lo sviluppo delle connessioni nel cervello. La tecnologia sviluppata da Geoff Goodhill e colleghi potrebbe avere applicazioni anche al di fuori del campo delle neuroscienze. Per esempio, nel caso dei tumori e di altri fenomeni biologici dove è importante la migrazione cellulare, potrebbe essere utile per studiare i movimenti in risposta ai gradienti.