RAPPORTO CENSIS: CAGLIARI SCALA LA CLASSIFICA ACCADEMICA - CAGLIARI: TRA I MIGLIORI ATENEI ITALIANI - I NUOVI RECORD DELL'UNIVERSITÀ DI CAGLIARI - SECONDO IL RAPPORTO CENSIS È LA MIGLIORE FACOLTÀ - SECONDO IL CENSIS È ECCELLENTE PER RICERCA, DIDATTICA E PRODUTTIVITÀ - SPECIALISTICHE IN INFORMATICA E GIURISPRUDENZA - STAGE NEOLAUREATI CON UN POSTO SICURO NEL 30% DEI CASI - UNA POLITICA PER I CERVELLI - IN TRE ANNI RIENTRATI SOLO 31 CERVELLI PRONTI A EMIGRARE DI NUOVO ALL'ESTERO - GIURISPRUDENZA: I PRESIDI BOCCIANO IL SISTEMA DELL'1+4 - I FRENI ALLA CERCA SULLE STAMINALI - LA COMUNITÀ SCIENTIFICA SCARICA BUSH - QUEL BLACKOUT TRA LA SCIENZA E LA FILOSOFIA - SCIENZE: L'ITALIA SI SALVA SOLO CON LE IDEE - AGLI STUDENTI SI PUÒ DARE (E CHIEDERE) DI PIÙ - NANOTECNOLOGIE SFIDA RISCHIOSA PER LA RICERCA - CNR: INSEDIATO DALLA MORATTI IL NUOVO CDA - GE IN EUROPA TECNOLOGIE ED ENERGIA - SERVE PIÙ AGGREGAZIONE - PIÙ VICINO IL COMPUTER QUANTISTICO - I MILIONI DELL'ATENEO DOPO I TAGLI - CAGLIARI: RADDOPPIA LA RETE A FIBRE OTTICHE - ================================================================== SARDEGNA: A SETTEMBRE IL PROTOCOLLO SULLA SANITÀ - PARTONO I BANDI PER CORSI SANITARI PROFESSIONALI - FINALMENTE LO SVINCOLO TRA "554" E POLICLINICO - NASCE IL DISTRETTO DI BIOMEDICINA FONDI PER 40 MILIONI DI EURO - ELIMINARE L’APPELLATIVO DI "AZIENDA" AD OSPEDALI PUBBLICI E ASL - UNA PUNTURA DI STAMINALI PER CURARE IL CUORE MALATO - GRAZIE ALLA GRAVIDANZA LE DONNE VIVONO PIÙ A LUNGO - UN MECCANISMO RIPARATORE PER GUARIRE DA INFARTO E ICTUS - LE ANALISI DEL SANGUE DEGLI INGLESI SI FARANNO IN INDIA - UN VIRUS LA CAUSA DEL CANCRO AL SENO - NUOVA MOLECOLA IMPEDISCE IL CONTAGIO DEL VIRUS - LA SPERANZA CONTRO L’AIDS ARRIVA DA UNA POMATA VAGINALE - IL FUTURO DELLA GOMMA DA MASTICARE - MANDIBOLE FINTE PER IL DENTISTA - PER IL TELARCA ATTENZIONE SENZA ALLARMI - NUOVI MATERIALI E TECNICHE ANTI-ANEURISMI - OBESITÀ ADDIO CON LA "REGOLA DEL QUATTRO" - LA POLITICA NON DECIDE SUI TEMI BIOETICI - UN TEST PER IL TUMORE DELLA PROSTATA - ================================================================== ___________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’04 RAPPORTO CENSIS: CAGLIARI SCALA LA CLASSIFICA ACCADEMICA: pari punti con Bologna, supera Tor Vergata e La Sapienza Doveva essere il cardine della riforma universitaria, la chiave che apre in tempi brevi le porte del mercato del lavoro. Rischia di diventare una trappola per dottori disoccupati. La laurea triennale è al centro dell'allarme lanciato ieri dal rettore Pasquale Mistretta: in troppi la snobbano, aprendo le porte dei concorsi solo agli specializzati, cioè a chi ha nel curriculum anche i due anni di approfondimento, o a chi ha conseguito il titolo seguendo il vecchio ordinamento. Mistretta aveva convocato i giornalisti per tutt'altro e più gratificante motivo, cioè per commentare la classifica qualità del Censis che vedono Cagliari scalare molte posizioni e conquistare la sesta piazza tra gli atenei medi (da 20 mila a 40 mila iscritti) con 89,5 punti. La stessa valutazione di Bologna, un'incollatura avanti rispetto alla Sapienza (rispettivamente terza e quarta nella graduatoria delle grandi università) e appena mezzo punto dietro la blasonata Urbino. Un buon piazzamento, che il rettorato vuole rafforzare con i nuovi corsi di laurea inseriti nel manifesto degli studi di quest'anno: tra le novità le specialistiche in Lingue e linguaggi per la comunicazione, Traduzione letteraria, Programmazione dei servizi sociali e Tecnologie informatiche (oltre a quella in Economia manageriale che aprirà anche ad Oristano) e le brevi in Ingegneria biomedica, Programmazione dei servizi educativi e Scienze psicologiche applicate al lavoro e al turismo. Ma proprio le lauree triennali sono il tasto dolente del rapporto sull'Università 2004. Ieri Mistretta ha letto un elenco non breve di enti e istituzioni che non ammettono ai loro concorsi "dottori brevi": si va dal Comune di Oniferi al ministero degli Esteri, in mezzo ci sono le Province di Cagliari, Sassari e Oristano, la Regione, la Camera di Commercio cagliaritana. "È un problema politico", ha detto il rettore, "Un argomento da affrontare rapidamente in modo da fare il punto insieme agli ordini professionali e alle istituzioni. Servirà una battaglia d'opinione". Ed è chiaro che per un amministratore che ha puntato tutto sulla velocizzazione dei corsi di studio, vedere i figli delle lauree triennali esclusi da molte opportunità professionali ha il sapore di una beffa. "Siamo a quota 37 mila studenti - è stato l'annuncio di ieri mattina - vale a dire un po' di meno rispetto all'anno scorso. Aggiungo: fortunatamente, perché il dato dimostra come la forte spinta verso le lauree che abbiamo impresso sta producendo risultati. La formula? Tanto per cominciare è cambiata la mentalità dei professori, hanno capito che non c'è bisogno di fare i fanatici, che una tesi di laurea non va covata per un anno e più tempo ci si impiega migliore è l'elaborato. E poi voti più alti, programmi più snelli, un miglior rapporto dialettico tra docenti e studenti. Quest'ultimo è un fattore molto importante, che ha inciso nella buona valutazione che il rapporto Censis ci ha attribuito. In particolare poi abbiamo agito sui fuoricorso, incoraggiandoli a passare dal vecchio al nuovo ordinamento: in molti casi avevano già abbastanza crediti da poter conseguire la laurea triennale senza aggiungere un solo esame". Peccato che una volta proclamati dottori, si siano dovuti rendere conto che non tutti avevano altrettanta fretta di assumerli. (cel. ta.) la tendenza : sempre meno i fuoricorso Rapidità. Sono sempre meno i fuoricorso all'Università di Cagliari. Ieri Pasquale Mistretta ha annunciato che tra gli iscritti non ci sono più i super- ritardatari (oltre dieci anni dopo quelli di corso regolare) e la tendenza è a un'ulteriore riduzione. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’04 CAGLIARI: TRA I MIGLIORI ATENEI ITALIANI Record dell'università CAGLIARI. Trentaquattro mila iscritti, dieci facoltà, quasi 90 tra corsi triennali e specialistici, 378 anni di storia. E un balzo in avanti da record nella classifica Censis-La Repubblica: dall'ultimo al sesto posto tra gli Atenei italiani. Università, da ultimi a sesti ed è boom di dottori A fine mese ci saranno tremila nuovi laureati Balzo in avanti nella classifica Censis/Repubblica Alla base della scalata investimenti in ricerca e informatizzazione CAGLIARI. Trentaquattro mila iscritti, dieci facoltà, quasi novanta tra corsi triennali e specialistici, 378 anni di storia. Un centro di eccellenza riconosciuto dal ministero in Neurobiologia delle dipendenze. Un nuovo polo scientifico in costruzione a Monserrato. E un balzo in avanti da record nella classifica Censis-La Repubblica: dall'ultimo al sesto posto tra gli Atenei di media grandezza, decimo assoluto. È l'"Universitas studiorum caralitana", che nel 1696 iniziò la sua attività con quattro collegi di insegnamento (Teologia, Leggi, Medicina e Filosofia e arti), e entro luglio farà diventare dottori (tra laureati e laureandi) 2972 studenti, ed entro la fine dell'anno potrebbero arrivare a 5.000. Numeri da record per l'Ateneo retto da Pasquale Mistretta, che sottolinea soddisfatto i tanti progressi fatti ma, seguendo il suo personalissimo e ormai noto stile, non risparmia critiche e suggerimenti. Ma il rettore, al suo quinto mandato consecutivo, mette prima in evidenza il fiore all'occhiello dell'anno accademico in corso. Il vero e proprio boom di nuovi dottori: 348 (tra laureati e laureandi) in economia; 126 in farmacia, 200 in giurisprudenza, 551 in Ingegneria, 215 in Lettere e filosofia, 144 in lingue e letterature straniere, 190 in medicina e chirurgia, 606 in scienze della formazione, 309 in scienze Mm.ff.nn, 283 in scienze politiche. "È il frutto di un grande lavoro - spiega Mistretta - portato avanti da tutti. Innanzitutto recuperando i fuori corso: nonostante una vita universitaria media ancora alta non abbiamo più fuoricorso oltre i dieci anni. Poi convincendo studenti e professori che laurearsi in fretta è un bene. Si risparmiano anni da dedicare alla ricerca del lavoro, si è più giovani per i concorsi, c'è meno concorrenza. Si decongestiona tutto il sistema. Inutile dedicare un anno o più a fare una tesi di laurea. Inutile affrontare, e rimandare, esami sterminati, perdendoci mesi e mesi. Programmi più snelli, lavoro più cadenzato. E i risultati si vedono. Abbiamo più laureati, si danno più esami, si prendono voti più alti". Proprio da qui parte il balzo in avanti nella classifica, curata dal Censis per il quotidiano al Repubblica, dell'Ateneo cagliaritano. Sesta tra le università medie (tra 20.000 e 40.000 iscritti), decima in assoluto, preceduta da "mostri sacri" come Siena, Pavia e Urbino, ma con dietro università del calibro di Genova, Perugia e Tor Vergata. Alla base della scalata il miglioramento dei servizi, l'informatizzazione delle facoltà e il buon numero di borse di studio (3300) in rapporto al numero di studenti. Inoltre, secondo il rapporto del Censis, Cagliari si distingue per un costo degli affitti "mediobasso" e una discreta qualità della vita. La produttività dell'Ateneo è raddoppiata nell'arco di quattro anni: la percentuali di laureati in rapporto agli iscritti è passata dal 7,3% del 2000 al 14,1% del 2003. "Il sesto posto in classifica è stato conquistato - sottolinea il Rettore - grazie a un maggior impegno nella ricerca nazionale e internazionale, al miglioramento del sistema dei servizi e al fortissimo impegno di tutti". Gli abbandoni rimangono numerosi (circa il 20% degli iscritti al primo anno non sostiene neanche un esame), ma sono da imputare alle carenze del "sistema socio- economico e culturale", sostanzialmente - osserva - stiamo raggiungendo l'equilibrio tra immatricolazioni e lauree". "Sono fiducioso - conclude Mistretta - conscio del fatto che è sempre più difficile trovare un percorso finalizzato con esiti certi, conscio della miriade di problemi che investono la nostra università. Ma comunque fiducioso. Perchè andiamo avanti, riuscendo a mantenere aree di eccellenza. E preparandoci alla vera scommessa da vincere. Combattere il nostro localismo, aprirci all'Europa e al mondo". ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’04 I NUOVI RECORD DELL'UNIVERSITÀ DI CAGLIARI CAGLIARI. Trentaquattromila iscritti, dieci facoltà, quasi novanta tra corsi triennali e specialistici, 378 anni di storia. E un balzo in avanti da record nella classifica Censis-La Repubblica: dall'ultimo al sesto posto tra gli atenei di media grandezza, e piazzandosi al decimo assoluto È l'"Universitas studiorum caralitana", che entro luglio farà diventare dottori (tra laureati e laureandi) 2.972 studenti Sono quindi numeri da record per l'ateneo retto da Pasquale Mistretta, al suo quinto mandato consecutivo "Il sesto posto in classifica è stato conquistato - sottolinea il rettore Mistretta - grazie a un maggior impegno nella ricerca nazionale e internazionale, al migioramento del sistema dei servizi e al fortissimo impegno dei docenti". Il prossimo anno accademico vedrà un ulteriore ampliamento dell'offerta formativa, con l'istituzione di nuove lauree. Al via tra gli altri i corsi in Ingegneria biomedica e la laurea specialistica in Informatica. Via libera anche alla riattivazione delle lauree brevi per le professioni sanitarie. Pronto il bando di ammissione ai sette corsi di laurea per infermiere, ostetrico, fisioterapista, ortottista, tecnico di laboratorio biomedico, radiologo e igienista dentale. Sul loro avvio pende, tuttavia, una clausola: "L'attivazione nell'anno accademico 2004-2005 - ha sottolineato Pasquale Mistretta - è subordinata alla stipula del protocollo di intesa per la costituzione dell'Azienda sanitaria mista Università-Regione". Il presidente della giunta, Renato Soru, e l'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, hanno però rassicurato nei giorni scorsi i rettori dei due atenei sardi, garantendo, entro settembre, l'operatività della convenzione sul riordino del sistema universitario nell'isola, disattesa fin dalla prima stesura nel 1986. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’04 SECONDO IL RAPPORTO CENSIS È LA MIGLIORE FACOLTÀ La stella che brilla più di tutte è quella di Scienze Politiche CAGLIARI. Ottocento novantatré immatricolati solo nell'ultimo anno, 320 nuovi laureati, un voto medio di laurea pari a 103, 7 punti. La facoltà di Scienze politiche brilla nella galassia delle facoltà cagliaritane, e adesso anche in quella delle altre università. A dirlo è l'ultimo rapporto Censis-La Repubblica, dove Scienze politiche occupa l'undicesimo posto della classifica sulle facoltà italiane. Per stilare il suo rapporto il Censis (Centro studi investimenti sociali) ha fatto riferimento a cinque parametri principali: produttività, didattica, ricerca, profilo docenti, rapporti di cooperazione internazionale. Su tutti i risultati sono stati più che soddisfacenti, ma è sul primo dato, calcolato tenendo conto del numero di studenti in corso, fuori corso e dei laureati, che si sono registrate le migliori performance: 92 punti, 21 in più rispetto allo scorso anno. Un salto di qualità che permette alla facoltà di superare persino la sua illustre collega di Bologna. Oltre all'aumento della produttività, un altro punto di forza si son rivelati i "rapporti di cooperazione internazionale", peraltro sempre ben coltivati dalla facoltà: qui i punti registrati sono stati 91, sette in più rispetto alla precedente rilevazione. Più limitato, ma pur sempre da segnalare, l'incremento alla voce ricerca, per la quale i punti totalizzati sono 87. Considerando anche la didattica, intesa come offerta formativa (84 punti) e il profilo docenti (93 punti) Scienze politiche registra in totale una media di 89, 4 punti, raggiungendo i primissimi posti in Italia, e il primo tra le facoltà cagliaritane dove è riuscita a scalzare persino mostri come Medicina, Ingegneria, Giurisprudenza ed Economia. Insomma, una facoltà giovane, ma ben radicata e che ancora ha voglia di crescere. Per farlo, ha detto durante la presentazione del rapporto, il preside Raffaele Paci, occorre intervenire sui problemi ancora irrisolti. Come quello che lui chiama dei "fantasmi": un 30-40% di studenti che pur iscritti, non danno esami: ‹‹Dobbiamo intervenire - dice Paci - perché a lungo andare questo significherebbe ritrovarsi pieni di fuori corso, avere quindi una facoltà che non funziona e di conseguenza con meno fondi››. In questo senso importantissimo è il ruolo svolto dall'Ufficio di orientamento e tutorato didattico: istituito quest'anno, il suo scopo è di aiutare gli studenti nell'orientamento e affiancarli nel loro percorso di studi. Sabrina Zedda ___________________________________________________ L’Unione Sarda 14 lug. ’04 SECONDO IL CENSIS È ECCELLENTE PER RICERCA, DIDATTICA E PRODUTTIVITÀ Undicesimo posto tra le facoltà italiane e prima piazza nell'Ateneo cagliaritano per produttività, didattica e ricerca. Accanto a questo lusinghiero riconoscimento, nella classifica stilata dal Censis, la facoltà di Scienze politiche registra però anche un piccolo neo: nel primo semestre, nei quattro corsi di laurea, una media del 40 per cento di matricole non dà esami. Le molte luci (c'è anche l'aumento costante delle immatricolazioni, passate da 540 nel 2000 alle 893 di quest'anno, e l'incremento del numero dei laureati, con il picco del 2003 a 320, rispetto ai 220 del 2002) sono state evidenziate ieri nel corso della presentazione del rapporto dell'attività di monitoraggio, effettuata dal nuovo ufficio orientamento e tutorato didattico della facoltà. Un servizio attivo da quest'anno accademico, che serve ad accogliere i nuovi iscritti, a indirizzare gli studenti. L'ufficio si divide in tre aree: didattica (presieduta da Cristina Roveda), dell'orientamento e dei tutor dei corsi di laurea. Proprio al manager didattico è spettato il compito di illustrare i risultati della ricerca. "La facoltà cresce per iscritti e laureati, così come si registra un miglioramento nella valutazione dell'indagine del Censis, con un voto medio complessivo di 89,4, rispetto all'85,6 del 2003". Una media che colloca la facoltà di Scienze politiche al primo posto nell'ateneo cagliaritano: al secondo Scienze (87,2), al terzo Economia (86), fino all'ultimo gradino occupato da Lingue (79). La graduatoria (che vede gli indirizzi universitari più conosciuti attestarsi a metà, con una media voto di 81) è stilata assegnando un punteggio alla produttività (studenti in corso, fuori corso e laureati), didattica (offerta formativa), ricerca (finanziamenti erogati), profilo dei docenti (età, idoneità ai concorsi) e rapporti internazionali (legami con università straniere). Tra i lati negativi, invece, la difficoltà nel partire con gli esami: "Nelle quattro lauree di primo livello abbiamo una media di studenti che non dà esami, nel primo semestre, che varia dal 37 al 51 per cento", ha ricordato Cristina Roveda. "È necessario intervenire", ha sostenuto il preside, Raffaele Paci, "per migliorare la vita universitaria degli studenti: la nostra facoltà si sta muovendo in questa direzione per combattere il fenomeno dei fuori corso e degli studenti fantasma, che si iscrivono e non danno esami". D'accordo sulla necessità di lavorare in questa direzione anche il rettore Pasquale Mistretta: "Il fenomeno delle iscrizioni senza poi dare esami non deve essere trascurato, così come quello degli studenti fuori corso per più di otto anni, che spariscono dalla facoltà restando però iscritti". Tra le battaglie che Mistretta porterà avanti, quella della pari opportunità nel settore pubblico tra vecchio e nuovo ordinamento: "Non è possibile che le nuove lauree triennali non vengano riconosciute valide per i concorsi nelle amministrazioni pubbliche". Matteo Vercelli ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’04 SPECIALISTICHE IN INFORMATICA E GIURISPRUDENZA Offerta formativa più ricca CAGLIARI. Molte le novità presenti nel manifesto generale degli studi dell' Università per il prossimo anno accademico. Nella facoltà di economia, spazio anche nella sede di Oristano alla laurea specialistica in Economia manageriale. Taglio del nastro anche per la specialistica in Giurisprudenza, e, per la facoltà di Ingegneria, laurea in Ingegneria Biomedica, con importanti spazi di sviluppo legati al Parco di Pula. Al via due specialistiche anche in Lingue straniere: Lingue e linguaggi per la comunicazione (numero chiuso 60 studenti) e Traduzione letteraria (60 studenti). Nella facoltà di Scienze della formazione, via alla laurea in Scienze e tecniche psicologiche applicate al lavoro, alle organizzazioni e al turismo (250 studenti). Ripartirà poi, dopo lo stop dello scorso anno, la laurea specialistica in Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi (100 posti). Al via la specialistica in Tecnologie informatiche, e, in Scienze politiche, la specialistica in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali. (g.bua) ___________________________________________________ Italia Oggi 12 lug. ’04 STAGE, NEOLAUREATI CON UN POSTO SICURO NEL 30% DEI CASI Le indicazioni da seguire per fare il tirocinio all’estero DI GNSEPPE CARISSIIVII Sostenere un colloquio di lavoro dopo aver conseguito una laurea, un diploma di specializzazione e nondimeno ottimi voti, oggi non è più sufficiente per avere tutte le carte in regola per guadagnarsi un buon posto. Potrebbero invece rivelarsi decisivi altri fattori, come «l'essersi laureati in un'altra città, aver fatto un'esperienza di studi all'estero, aver fatto l’Erasmus, aver viaggiato e aver lavorato durante il corso di laurea anche come semplici commessi o camerieri, dimostrando dinamicità e soprattutto indipendenza», come spiega a ItaliaOggi Sette Andrea Accornero, partner dello studio legale Lovells e responsabile del recruiting. Sul mercato di lavoro serve ormai poter dimostrare di avere la cosiddetta marcia in più. Fanno certamente la differenza fattori legati all'intraprendenza e al carattere, magari già forgiato da un buon numero di esperienze e di relazioni interpersonali. Resta comunque il fatto che la domanda decisiva per essere assunti resti la seguente: «Ha fatto stage o tirocini in azienda?» E a questa domanda, la risposta deve essere sempre e comunque: «Si». E se lo stage è stato seguito all'estero, magari quel posto sarà sicuramente vostro. Lo stage, infatti, è sempre più spesso garanzia di assunzione. Oggi circa il 30% delle posizioni lavorative vengono ricoperte da ex stagisti, assunti al termine della loro esperienza o anche dopo qualche mese. Secondo i dati presentati dalla presidenza del consiglio per il 2002, le aree di interesse degli studenti italiani per seguire uno stage sono il settore dell’It al 18%, quello agroalimentare al 16%, ambientale e di qualità sempre al 16%, quello delle risorse umane all’11%, marketing e comunicazione al 10%, ricerca al 10%, editoria all’ 8%, amministrazione e finanza al 5% e legale al 3%. Ma il tirocinio è diventato parte integrante del proprio curriculum di formazione e, infatti, i nuovi ordinamenti ne prevedono l'obbligatorietà (introdotto dalla «legge Treu» 196/97 e disciplinato dal decreto ministeriale 142/98). È basato sulla compilazione di un progetto che dovrà essere sottoscritto dal tutor dell'università, ovvero da un docente, dal tutor del soggetto ospitante, che sia un'azienda, un ente pubblico 0 uno studio professionale, e naturalmente dallo stesso studente. In teoria lo stage è un banco di prova, il primo approccio con il mondo delle professioni e anche un ottimo modo per cominciare a imparare, a guardarsi intorno e ottenere contatti, conoscenze e impratichirsi con il futuro lavoro, con la speranza di farsi magari assumere proprio dalla stessa azienda dove si è potuto svolgere il tirocinio. In teoria sarebbe questo il senso, ma in pratica la questione può risultare più complicata, come riferisce Stilla Graf, iscritta al 3° anno di Architettura nella II Facoltà-Bovisa del Politecnico di Milano, di madrelingua tedesca e da diversi anni residente in Italia. Dice: «Spesso si è costretti a cercare da soli. Nessuno ci aiuta, ci indirizza, e l'università non si è ancora attrezzata per farlo, senza dimenticare che gli studi professionali non sono ancora preparati e né informati su come convenzionarsi con le università e accogliere gli studenti. Per quanto mi riguarda, direi che sono stata proprio fortunata a trovare e fare pratica nello studio dell'architetto Timothy Power, imparando a utilizzare nuovi software e cimentandomi in un progetto concreto, la realizzazione di un nuovo parco a Zurigo. Ma questo non sempre capita, anzi. Il più delle volte, come ho potuto sentire in giro, noi stagisti veniamo sfruttati per fare fotocopie e portare il caffè al capo, e nessuno se ne preoccupa se abbiamo potuto imparare qualcosa. L'importante è fare le nostre 150 ore, punto e basta, oltretutto non pagate, e questo è un altro punto dolente». Per Stilla Graf, cosi come è stato pensato, il nuovo ordinamento non funziona: troppe regole, impedimenti e nessuna valutazione sul proprio percorso, e nessun compenso. Sulla questione, alcuni atenei hanno predisposto un ufficio di valutazione, con tanto di questionario di fine stage, grazie al quale si potranno correggere e migliorare eventuali sfasature. Ci vorrà qualche tempo per ottimizzare questi percorsi e probabilmente per inserire anche un rimborso spese o un minimo di compenso in favore degli studenti. In fin dei conti lo stage non è la scuola, ma un lavoro vero e proprio, come fosse un periodo di apprendistato. L'esperienza dell'università Orientale di Napoli è significativa sull'importanza dello stage nell'attuale ordinamento e naturalmente per le aziende, anche quelle pubbliche. I dati dell'ufficio stage e tirocini sono inequivocabili: si è passati da 60 opportunità alle attuali 500, quasi decuplicate in soli due anni, con più di 150 convenzioni tra aziende e studi professionali (per avere maggiori informazioni, il link di riferimento è: www.unior.it/tutor/itinere/stagetirocini/info.htm). Spiega Luigi Mascilli Migliorini, presidente del centro di ateneo orientamento e tutorato: «L'obiettivo da noi raggiunto è motivo di grande soddisfazione soprattutto perché sempre più spesso i ragazzi, dopo lo stage, rimangono in contatto con la struttura ospitante. L'azienda per il turismo e soggiorno di Napoli, per esempio, ha confermato molti dei nostri stagisti, a dimostrazione che l'interscambio che sta avvenendo tra aziende e università è davvero importante. Accanto a queste opportunità, un altro servizio fondamentale per i nostri laureati è Career service (www.unior.ibtutor/oru), che li aiuta nella ricerca attiva del lavoro. È ormai diventata una struttura ben consolidata e dedicata esclusivamente al servizio di orientamento e placement per i suoi diplomati». Stage all'estero: come fare Per meglio posizionarsi in azienda, può fare la differenza uno stage all'estero, con l'appoggio di una nota università americana o inglese, che sia quella di Cambridge piuttosto che di Oxford. In Italia è considerato ormai un "must" poter scrivere sul proprio curriculum di aver conseguito un percorso di formazione di questo tipo, uno stage all'estero appunto, qualcosa di cui un'azienda terrà in dovuto conto. In alcuni casi è addirittura indispensabile, come avviene per gli studi d'avvocati d'affari, che quasi pretendono un costosissimo tirocinio oltreoceano prima dell'assunzione. Per sapere dove andare, come fare e quali stage seguire, si può cliccare e scaricare informazioni da: www.eurocultura.itlstage.php, www.councilexchanges.org, www.sportellostage.it. Orientativamente, bisogna prima individuare il paese di destinazione, poi preparare una lettera di motivazione, nella lingua del paese prescelto, e naturalmente convincente, comprensiva di curriculum e di informazioni relative alla propria scelta. Gli indirizzi utili da ricercare non sono solo quelli delle aziende, ma anche di istituzioni, camere di commercio, associazioni e naturalmente atenei. Le associazioni studentesche, come Elsa, Aiesec o Aegee, possono servire allo scopo orientativo. La risorsa fondamentale resta comunque Internet e i suoi motori di ricerca, in primis Google e Yahoo!. Ci sono anche agenzie che offrono un servizio di collocamento in stage all'estero, ma pretendono commissioni fino a 1.500 euro, anche se possono rivelarsi sempre utili o comunque l'ultima carta da giocarsi. Si dovrebbero preferire le aziende di grandi dimensioni, per il solo fatto che sono conosciute anche in Italia e possono mettere a disposizione un know how di tutto rispetto, anche se le maggiori opportunità di lavoro arrivano dalle piccole e medie imprese. Le domande vanno poi spedite almeno qualche mese prima dell'inizio dello stage. ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 lug. ’04 UNA POLITICA PER I CERVELLI La "piccola" Italia è sul tetto del mondo della ricerca. Secondo uno studio apparso oggi su «Nature» (si veda l'articolo a pagina 9) il nostro Paese è al settimo posto per numero di pubblicazioni scientifiche, sinonimo di scoperte e avanzamenti nella ricerca di base. Nel quadriennio 1997-2001, l'Italia ha pubblicato 147mila paper, surclassando Paesi come Spagna, Svezia e Cina pur potendo contare, ad esempio, solo sulla metà dei ricercatori rispetto alla Francia e su un terzo di quelli della Germania, e su investimenti pubblici e privati esigui rispetto ai primi sei della classifica. I nostri ricercatori, dunque, dimostrano ancora una volta di saper impiegare al meglio la loro preparazione e creatività. Non a caso, sono inseriti ad alto livello nelle più prestigiose università estere e negli enti di ricerca internazionali, spesso in ruoli chiave. Proviamo allora a immaginare quali risultati potrebbero ottenere se potessero contare su maggiori fondi pubblici e privati e se gli investimenti del Paese in ricerca fossero davvero portati al 3% del Pil, come promesso. Con tutta probabilità, si aprirebbero ottime prospettive di progresso scientifico e trasferimento tecnologico all'industria, se soltanto la ricerca diventasse una priorità del Paese. Invece; se si escludono alcune oasi di efficienza, dietro i nostri scienziati c'è il vuoto. Burocrati che non assegnano fondi già stanziati, strumentazioni e strutture in perenne emergenza, diffidenza verso la ricerca di base stanno scavando un baratro tra i migliori scienziati e il loro Paese. Un dirigente inserito in un ruolo chiave in una grande organizzazione di ricerca internazionale, di recente, ha raccontato con amarezza: «Quando devo prendere una decisione importante, che può influire anche sull'industria hi-tech italiana, mi giro idealmente verso il mio Paese per chiedere suggerimenti, ma nessuno mi risponde: avverto il disinteresse e l'incapacità di pianificare a lungo termine». È tempo di invertire la rotta, di attribuire alla ricerca il valore che merita. Abbiamo le menti giuste per costruire il futuro, ora bisogna dar loro un sistema-Paese in cui operare senza ostacoli. ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 12 lug. ’04 IN TRE ANNI RIENTRATI SOLO 31 CERVELLI PRONTI A EMIGRARE DI NUOVO ALL'ESTERO Il rischio è che anziché di rientro si debba parlare di transito di cervelli. Due anni, tre, forse anche qualcuno di più. Ma poi gli studiosi italiani e stranieri venuti a lavorare in Italia grazie agli incentivi previsti dal decreto ministeriale 20 marzo 2003 si trovano davanti alle difficoltà di tutti i ricercatori: ottenere una cattedra e prendere servizio come docenti. E allora preferiscono tornare all'estero. Dal 2001 a12003 sono stati stipulati in Italia 291 contratti di rientro, regolati da due diversi decreti del ministero dell'Istruzione, università e ricerca (Mìur). Con il secondo (20 marzo 2003), il Ministero si fa carico della copertura del 90% delle spese di tali contratti. Su 291 contratti, 31 interessano gli atenei del Sud. In testa la Campania, con 11 progetti finanziati (sette alla Federico II, due a Salerno, uno alla Parthenope e uno all'Università del Sannio). Cinque i progetti approvati in Puglia (due all'Università di Lecce, due al Politecnico di Bari e uno all'Università di Bari), in Sicilia (quattro a Palermo e uno a Catania) e in Calabria (quattro all'Unical e uno a Catanzaro); tre in Basilicata e due in Molise. Sulle opportunità aperte dal programma sembrano d'accordo molti degli interessati: gli incentivi hanno favorito gli scambi e il confronto tra realtà e competenze diverse. uno strumento valido - dice Erminio Monteleone, referente di un progetto alla facoltà di agraria dell'Università della Basilicata - soprattutto per i piccoli atenei come il nostro». Ma rimangono perplessità: «Allo scadere del contratto - dice Nicola di Cagno, rettore della facoltà di economia all'Università di Lecce - queste persone non hanno una collocazione nell'organico. Alcuni aspettano un concorso per diventare docente, ma il rischio è che i più bravi prendano altre strade». Come ha fatto Lapo Boschi, fisico di 32 anni. Dopo un periodo di studio negli Stati Uniti, nel 2001 ha ottenuto un contratto di rientro alla Federico II per lavorare sulla tomografia dei vulcani. Ma dopo due anni ha preferito l'offerta di un ateneo di Zurigo: un contratto di sei anni can uno stipendio molto più alto. Un rientro temporaneo anche quello di Maurizio Trevisan, napoletano di 52 anni, laureato in Medicina nel capoluogo campano e dal 1985 assunto alla Buffalo University (Usa), dove è preside di facoltà dal 2002. «Ho lavorato a Napoli per sei mesi - dice -. Mi piacerebbe tornare in Italia, ma negli Stati Uniti c'è una disponibilità di fondi, personale e strutture che non ha confronto». Altri invece sperano che questi contratti siano l'occasione per restare. Come il palermitano Antonio Pantano, ingegnere meccanico di 33 anni, che dopo master e dottorato alla Michigan State University si è occupato di nanotecnologie al Mit di Boston. Ora vorrebbe continuare in Italia, «dove la ricerca sulle nanotecnologie è ancora poco seguita e potrei portare le conoscenze che ho acquisito all'estero». ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 16 lug. ’04 GIURISPRUDENZA: I PRESIDI BOCCIANO IL SISTEMA DELL'1+4 ROMA a Preservare l'autonomia universitaria. Con questa motivazione la Giunta della Conferenza dei presidi delle Facoltà di giurisprudenza boccia la bozza di tabella approvata dalla commissione Siliquini. Tabella in base alla quale dovrebbe essere ricostruito il percorso di studi della laurea "magistrale" in legge, sostituendo l'attuale modello "3+2" con quello cosiddetto "1+4" (si veda «Il Sole-24 Ore» del 12 luglio). La Giunta - in attesa dell'assemblea generale della Conferenza che si riunirà nei prossimi giorni - ha approvato, martedì scorso, una mozione che mette seriamente in discussione il progetto. La commissione insediata presso il ministero dell'Istruzione, guidata dal sottosegretario Ma 'ria Grazia Siliquini, ha concluso lunedì i lavori. E, sempre lunedi, sono stati inviati a tutti i soggetti che hanno partecipato all'attività di predisposizione del progetto - in rappresentanza del mondo accademico (Conferenza dei presidi, appunto, Crui e Cun) e dell'avvocatura (Cnf, Oua, Aiga e Camere penali) - i risultati di quattro mesi di confronti per il parere definitivo prima del recepimento della tabella nel decreto ministeriale che dovrà cambiare il volto di giurisprudenza (correggendo il Drr 509/99 che, meno di cinque anni fa, introdusse il 3+2) Provvedimento che, secondc quanto annunciato dallo stessc Miur, dovrebbe essere emana to entro luglio per consentir( l'avvio del nuovo modulo uni versitario (l’1+4) già a partire dal prossimo anno. Il parere dei presidi non si è fatto attendere. E, come detto, non è affatto positivo. Nel giudizio della Giunta si scontrano l'esigenza di una modifica all'ordinamento degli studi per la laurea quinquennale, che renda l’iter effettivamente "unitario" (senza lo sbarramento intermedio che contraddistingue il 3+2), con la soluzione prefigurata dalla commissione Siliquini. Che «pur riaffermando l'obbligatorietà delle 15 discipline fondamentali - si legge nella mozione - nel fissare a 232 su 300 i crediti vincolati, introduce una eccessiva rigidità e limita gravemente l'ambito di autonomia delle Facoltà, precludendo ogni articolazione curriculare, peraltro in contraddizione con gli obiettivi formativi che accompagnano la tabella stessa». Le preoccupazioni della Conferenza, quindi, si appuntano sull'assenza di spazi idonei per strutturare curriculum "professionalizzanti" (anche in rapporto al territorio). «Pertanto - continua, infatti, la mozione - è indispensabile che la tabella venga incisivamente rivista e che i crediti vincolati siano riportati ad una misura non superiore ai 2/3, consentendo cosi alle Facoltà di confermare e sviluppare gli indirizzi già esistenti secondo la tabella 22/S attualmente in vigore». Il timore è che non sia possibile, allo stato, sovrapporre i piani di studio ideati dagli atenei o scelti dagli studenti secondo il vecchio ordinamento con quelli derivanti dall' 1+4. MARCO BELLINAZ20 ___________________________________________________ Il Mattino 12 lug. ’04 QUEL BLACKOUT TRA LA SCIENZA E LA FILOSOFIA Humanitas. Il paradigma di "natura umana" tra scienza e filosofia» è il tema di un convegno che si terrà oggi e domani a Firenze, a Villa Ruspoli, promosso dal Cnr e dall'Istituto italiano di Scienze umane. Tra i relatori, Edoardo Boncinelli, Giulio Ciorello, Roberto Esposito, Carlo Ossula, Giacomo Marramao, Salvatore Veca ed Eugenio Mazzarella, di cui pubblichiamo di seguito un intervento. EIIGENIO MAZZARELLA La filosofia è un blackout. Accendere la luce, o una stentata candela. Forse perché nella luce una volta siamo stati. Forse perché la luce è alle nostre spalle, nel bagliore- che si spegne del mito: nel distacco dall'animale Mondo che si racconta come è nato, dove la luce cieca, abbagliante, di un'appartenenza s'inabissa nel sorgere della coscienza; luce che ricomincia il suo cammino in ciò che resta del lumen naturale, del venire insieme alla luce di tutto ciò che nasce. L'animale sta nella luce, l'uomo vede la luce - e questo è il suo problema. Ne è ancora traccia il racconto dell'Eden, o il passaggio dal sapere dell'anèr philosophos di Eraclito che Heidegger legge come colui che sta nel sophòn, in armonia nell'Uno, con l'Uno Tutto, alla disarmonia dell'òrexis platonica, che anch'essa a quella luce delle origini deve già tornare mentre comincia ad essere filosofia. Da allora il problema sarà come si appartiene al inondo da cui ci si distacca nel modo di un necessario rimanervi che crede di cadervi perché, alla fine, ci si vede restituito. L'uomo è quell'animale che comincia ad andare a tentoni quando ci vede. II re Edipo ha sempre un occhio di troppo. A questa sfida dell'ente, che di questo si tratta, la filosofia come sapere ha sempre organizzato la risposta, sospesa tra l'episteme delle scienze ed un sapere riflessivo di sé; ha da sempre organizzato la risposta all'emergenza del fatto che, per qualcuno, che vuole continuare a starvi di fronte, qualcosa c'è, e questo fatto deve rimanere, perché si tratta di nient'altro che il proprio rimanere. Come sapere che si sa, come sapere che viene al sapere, la filosofia questo lo ha fatto talvolta in eccesso, dandosi per scontata nell'ordine della natura o per voluta (liberamente magari, ma voluta) nel piano della creazione - in sostanza proponendo un principio antropico, debole nel secondo caso, forte nel primo, all'opera nel cosmo. Questo principio potrebbe ben essere, nell'una e nell'altra versione, una pia illusione. E l'ontologia del caso, che non vi crede, è nata molto presto. E tuttavia, posto come sia che sia principiato, questo principio - nel modo in cui è principiato, vale a dire difendendo le condizioni interne ed esterne, a contorno, che lo rendono possibile - va difeso. I,'essenza di qualcosa è il dispiegarsi delle possibilità custodite nella sua origine. In effetti è il principio che Vico ha forse individuato meglio di altri (e vale tanto per un'ontologia del caso che per un'ontologia della necessità o di una creazione che lasci le cose alla loro legge) - «natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali, sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon cose» -, nella sottolineatura ontologica (natura di cosa come nascimento) dell'essenza di tutto ciò che nasce come funzione evolutiva del suo originario orizzonte «modale», ancorata ad un range non trascendibile di possibilità. E questo vale anche per il modo umano, per quanto aperto e progettuale esso voglia pensarsi. Se questo è il principio - «dov'è l'inizio per quell'esserci che sa di averlo?: presso se stesso, ma non solo da se stesso, questo è il filo del labirinto» -, un'ontologia della labilità, sia essa per caso o programmata o voluta, allora la filosofia non può sfuggire alla sfida della prescrizione. Anche come fenomenologia, come fenomenologia dell'evento, sapere in ultima istanza solo di ciò che si vede, essa non può limitarsi ad essere descrittiva, ma deve avere il coraggio ermeneutico non solo della «riduzione» eidetica, o della chiarificazione del contesto destino di una cosa, dell'eidos, dell'idea come svolgimento di una cosa, ma anche della «costituzione» eidetica di una cosa, del suo eidos come programma da assolvere o da mantenere, come qualcosa da tenere in vista - innanzi tutto la propria vita. ________________________________________________________ L’Unità 15-07-2004 I FRENI ALLA CERCA SULLE STAMINALI Mentre arrivano nuovi risultati scientifici, l'Europa è bloccata dalla mancanza di decisioni su ciò che è lecito fare Cristiana Pulcinelli Ha fine di giugno scorso, John Kerry, possibile futuro presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato di voler eliminare il bando alla ricerca sulle cellule staminali imposto da George Bush. Il bando, per la verità non è totale. L'Amministrazione degli Stati Uniti ha stabilito infatti che le ricerche in questo campo non possono venir pagate con i fondi federali, ovvero con i soldi pubblici. Il motivo è che finanziare ricerche su embrioni umani sarebbe immorale. Tuttavia, se i ricercatori trovano fondi privati per lavorare sulle cellule staminali, padroni di farlo. Kerry ha gettato in modo chiaro sull'arena politica una questione scientifica che, però, lungi dal restare chiusa nell'ambito di ciò che vale la pena studiare, divide gli animi e crea dubbi bioetici come mai era successo finora. Anche in Italia, un Comitato trasversale composto da parlamentari e associazioni ha appena presentato quattro referendum per abrogare alcuni punti della legge sulla fecondazione assistita. Uno degli scopi è proprio quello di garantire la libertà di ricerca sulle cellule staminali che, con la legge italiana, sarebbe del tutto impossibile. Trovare una mediazione tra chi crede che la ricerca su queste cellule in grado di differenziarsi in qualsiasi tessuto sia immorale perché avviene soprattutto su embrioni e chi crede invece che immorale sia il bando di ogni ricerca in questo campo perché chiude la strada della nuova medicina capace di rigenerare gli organi non è facile. Tuttavia, è il momento di affrontare la questione. La prestigiosa rivista inglese The Lancet, in un editoriale che accompagna un numero speciale dedicato completamente alle staminali, chiede agli scienziati di fare un passo avanti e aprire un pubblico dibattito sui potenziali benefici e i costi connessi con queste ricerche. II problema - scrive l'editorialista - è che le cellule staminali hanno catturato l'attenzione pubblica troppo presto, quando ancora non ci sono benefici clinici tangibili. Come fare a ottenere il consenso solo con vaghe promesse? Tuttavia, le ricerche stanno andando avanti abbastanza velocemente e, sullo stesso numero della rivista, vengono pubblicate due articoli interessanti. Il primo riporta i dati di uno studio, condotto all'università di Friburgo in Germania, secondo cui il trasferimento di cellule staminali adulte derivate dal midollo osseo può migliorare la funzionalità del cuore dopo un infarto. I ricercatori hanno analizzato 60 pazienti che erano stati sottoposti con successo a un intervento per aprire le coronarie. A cinque giorni dall’intervento, i medici hanno iniettato a trenta di essi cellule staminali prelevate dal midollo osseo degli stessi pazienti, agli altri trenta sono stati dati farmaci considerati efficaci nel trattamento di questa patologia. Ebbene, i pazienti trattati con le staminali hanno avuto un miglioramento della funzionalità del ventricolo sinistro del 7%, contro l0 0,7% di quelli sottoposti a terapia medica. II secondo articolo, firmato dal professor Chandran dell'università di Cambridge in Inghilterra, sostiene che cellule staminali della pelle possono trasformarsi in precursori di cellule del sistema nervoso. II che avrebbe delle implicazioni interessanti per la cura di disordini neurodegenerativi come il Parkinson. Entrambe queste ricerche sono state svolte utilizzando cellule staminali adulte> cosi come la ricerca pubblicata sul nuovo numero di Nature e di cui diamo conto nell'articolo qui a fianco. La difficoltà a lavorare con cellule embrionali è evidentemente sempre più pressante e si cercano strade alternative, benché in molti siano ancora convinti che le cellule embrionali sono molto più promettenti di quelle adulte> perché cosi plastiche da poter differenziarsi in qualsiasi tipo cellulare. Le difficoltà in cui ci si muove sono ben spiegate da un altro articolo contenuto nello speciale del Lancet. Carol Tauer, del centro di bioetica dell'Università del Minnesota, spiega come due organismi internazionali si sono impantanati in questo fango bioetico. Innanzitutto, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite non è riuscita a far passare un trattato che bandisse la clonazione riproduttiva perche alcuni paesi hanno insistito affinché il trattato includesse anche il bando della clonazione per la ricerca (ovvero di qualsiasi ricerca sulle staminali). Tauer suggerisce che, visto che sull'importanza di vietare la clonazione riproduttiva sono tutti d'accordo, sarebbe il caso di separare 1e due questioni: come i ricercatori sanno bene, la clonazione di poche cellule per la ricerca non ha niente a che fare con la clonazione di un essere umano per dar vita ad un altro essere umano. L'altro organismo in difficoltà è l'Unione Europea che non è riuscita a trovare un accordo sui finanziamenti alla ricerca sulle staminali per l'estrema diversità di vedute dei paesi che ne fanno parte. Il risultato è una situazione di stallo che è peggio di qualsiasi decisione: se gli scienziati non sanno quali sono le ricerche che possono venir finanziate, presentare dei progetti diventerà impossibile. E la ricerca europea, ancora una volta, ne uscirà sconfitta. ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 lug. ’04 LA COMUNITÀ SCIENTIFICA SCARICA BUSH Al via una campagna contro la rielezione per avere distorto i dati su ricerca e ambiente a proprio uso DI ANTONIO REGALADO La comunità scientifica americana, solitamente accomodante e riservata, sta organizzando una campagna politica contro la rielezione di Bush, accusando la sua amministrazione di avere distorto i dati scientifici per adattarli alla propria politica. I democratici sostengono che i trascorsi del presidente sulle questioni scientifiche e ambientali potrebbero influenzare se non altro gli elettori ancora indecisi. I repubblicani fanno invece notare che Bush ha appoggiato la ricerca sui combustibili all'idrogeno e sulle nanotecnologie. L'Office of science & technology policy ha dichiarato che, dall'inizio delfaniininistrazione Bush i budget federali per la ricerca e lo sviluppo sono aumentati del 44%. Steve Schmidt, portavoce della campagna Bush-Cheney, ha affermato: «I trascorsi del presidente in campo scientifico sono eccezionali». Tuttavia, il mese scorso 48 vincitori del premio Nobel hanno pubblicamente appoggiato la candidatura di John Kerry. Un gruppo di importanti esponenti del mondo scientifico sta per lanciare il programma «Scientists and engineers for Kerry>,. Uno degli obiettivi del gruppo è di conquistare il voto di stati quali l'Ohio e la Pennsylvania, dove si trovano grandi strutture ospedaliere, istituti universitari di ricerca e istituzioni mediche. La coalizione ha tra i suoi organizzatori Harold Varmus, presidente del Memorial Sloan-Kettering cancer center, Henry Kelly, presidente della federazione degli scienziati americani (Fas), e Gilbert Omenn, presidente dell'American association for the advancement of science. «Questo gruppo avrà un ruolo molto attivo nel paese e richiamerà finteresse dei cittadini con l'appoggio di alcuni vincitori del premio Nobel, ha affermato Kelly. La campagna a favore di Kerry ha cercato di inglobare il messaggio degli scienziati nei punti relativi all'occupazione nel settore high tech. In un discorso, il candidato democratico ha espresso il desiderio di diventare il presidente «che sarà ricordato per aver rinnovato l’impegno verso la scienza». <,Se si considerano le quattro tematiche chiave: occupazione, sanità, energia e sicurezza, è chiaro che la scienza svolge un ruolo fondamentale», ha affermato Jason Furman, consigliere economico di Kerry. «Per i cittadini, la credibilità scientifica è uno degli indicatori più importanti della credibilità del presidente. La gente capisce quando l'intera comunità scientifica afferma una cosa e l'amministrazione la nega. Questa settimana i democratici hanno annunciato che Ronald Reagan jr, in seguito alla morte dell'ex presidente Reagan a causa del morbo di Alzheimer, terrà un discorso nel quale chiederà a Bush di abolire le limitazioni relative alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. L'intensificazione dell'attività politica degli scienziati è dovuta anche al timore che gli Usa stiano perdendo la propria predominanza tecnologica e alla preoccupazione per gli scarsi stanziamenti previsti per la ricerca scientifica. In base ai dati forniti dall’American association for the advancement of science, l'aumento di finanziamenti, citato dalla Casa Bianca, è stato destinato al collaudo di armi e altri prodotti industriali. Alcuni repubblicani hanno affermato che gli scienziati non sono obiettivi nella scelta delle questioni da mettere in evidenza. «Ci sono questioni sociali che gli scienziati stanno cercando di definire in un contesto scientifico, ma che dovrebbero rimanere all'interno del sociale», ha dichiarato David Winston, repubblicano del Winston group. William Happer, fisico della Princeton university, fa notare che non tutti gli scienziati sono democratici o oppositori del presidente. Non è chiaro quanto peso avranno le questioni scientifiche all'interno della campagna elettorale. Molte tematiche scientifiche non vengono comprese dagli elettori, le cui preoccupazioni si concentrano in primo luogo sull'economia e sulla questione irachena, seguite dalle pensioni, dalla sanità e dall'istruzione. ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 lug. ’04 L'ITALIA SI SALVA SOLO CON LE IDEE L’Italia è tra le 31 nazioni scientificamente più produttive del mondo, ma non può riposare sugli allori. 1: quanto emerge dall'analisi pubblicata oggi da David A. King, primo consigliere scientifico del governo Blair, sulla rivista britannica «Nature» che ha esaminato la relazione tra eccellenza scientifica e spesa in ricerca nel mondo. Con i14,3% delle pubblicazioni più importanti tra il 1997 e i12001, siamo infatti ottavi nella classifica mondiale, davanti a Svizzera (4, 1), Paesi Bassi (3,8) e Australia (2,8), ma ben staccati da Canada (5,8), Francia (6,8) e Giappone (6,9). Per non parlare poi degli Stati Uniti, con più del 62% degli articoli al loro attivo, seguiti dal Regno Unito (12,8%). Siamo settimi> inoltre (si veda la tabella qui a lato) per le pubblicazioni scientifiche in assoluto. «All'Italia non mancano i punti di forza, ma soffriamo anche di gravi lacune- ammette Jacopo Meldolesi, direttore del dipartimento di neuroscienze dell'Istituto San Raffaele di Milano e presidente della Federazione italiana delle scienze del la vita -. Tra i Paesi del G-8, per Numero di pubblicazioni esempio, spicchiamo per i risultati per Paese 1997-2001 fisica e matematica, dove possiamo vantare una lunga tradizione e una fitta rete di collaborazioni internazionali, ma per quanto riguarda la biologia siamo superiori solo alla Russia e staccati da tutti gli altri in medicina clinica, preclinica, ingegneria e studi sull'ambiente». Una differenza visibile anche nel numero di ricercatori. Tra i 1.222 scienziati più quotati del mondo ci sono 17 italiani, ma è giusto quanto basta per farei entrare, insieme alla Svezia, come ultimi della lista dominata da Stati Uniti (851) e Regno Unito (100) seguiti da Germania (62), Francia (29) e Svizzera (26). A onore dei nostri ricercatori va detto che sembrano riuscire a fare molto con poco. Per numero e importanza di articoli pro capite superano americani, giapponesi, francesi e tedeschi e sono secondi solo a canadesi e inglesi, nonostante lo stanziamento pubblico italiano in ricerca e sviluppo e nella formazione avanzata resti il più basso di tutti. Non è quindi un caso se abbiamo il numero di dottorati più basso del G-7. Appena sei ogni mille abitanti, ben al di sotto dei 15 di media europea e lontanissimi dai 30 tedeschi. Non va meglio per gli investimenti privati. Con l0 0,53% del Pil speso in ricerca e sviluppo, te aziende italiane sono ultime nella classifica del G-8 dietro anche a quelle russe (0,72) e lontanissime non solo dai campioni giapponesi (2,I2) e americani (1>97), ma anche dalla media europea (1,19). «Spendere di più non significa però produrre ricerca migliore - osserva King al termine della sua analisi -, il Regno Unito per esempio è appena quinto nel G-8 per spesa in ricerca e sviluppo, ma è secondo solo agli Stati Uniti per importanza di pubblicazioni scientifiche». La spiegazione? Il lavoro di "potatura" delle istituzioni di ricerca tra il 1980 e il 1995 che ha permesso di selezionare i gruppi di ricerca più produttivi. Nel Regno Unito, inoltre, gli stanziamenti per la ricerca sono raddoppiati negli ultimi cinque anni e quest'autunno sarà avviato il nuovo piano che prevede di alzare la spesa in ricerca al 5,6% entro il 2014. Una ricetta valida anche per l'Italia? «Certamente - osserva Meldolesi -, a patto di cominciare subito». GUIDO ROMEO 1,265.808 342.535 318.286 336.858 232.0,° 166.21 147.023 Fonte: Nature ___________________________________________________ Corriere della Sera 12 lug. ’04 AGLI STUDENTI SI PUÒ DARE (E CHIEDERE) DI PIÙ di Maurizio Dècina L'università e la ricerca costituiscono non soltanto i pilastri portanti dello sviluppo di un Paese moderno, ma rappresentano anche una sorta d'assicurazione per il futuro del Paese stesso, al di là dei cicli recessivi dell'industria nazionale, dei declini e delle riprese. Mi vengono a mente alcuni esempi eccellenti di questa sorta d'assicurazione sul futuro. Sono i regimi comunisti del passato e del presente. Recentemente sono stato in Romania, un Paese devastato per decenni dall'oscurantismo della dittatura comunista, che tendeva a mantenere condizioni di sviluppo medievali. La Microsoft ha aperto a Bucarest un centro per la sicurezza informatica basato su tecnologie antivirus sviluppate da società locali: nonostante la dittatura di Ceaucescu, le università tecniche romene hanno continuato a sfornare ingegneri ben preparati e in gran quantità. Cosi la Romania può affrontare il ventunesimo secolo forte del bagaglio di conoscenze che il regime non è riuscito a sopprimere. Legioni di ingegneri Per non parlare della Cina, che sforna centinaia di migliaia d'ingegneri l'anno e, a differenza dell'Europa, è capace di costruire i grandi router per Internet, in competizione (anche se a volte non esattamente corretta), con l'industria americana, con le Cisco systems e le Juniper networks. Nicola Rossi e Gianni Toniolo, qualche mese fa su Italiani europei, hanno affrontato il tema dell'università italiana posta oggi al bivio tra decadenza e autonomia. Gli autori individuano nell'autonomia finanziaria la vera soluzione riformista al problema dell'università. L'autonomia si applica anche alla gestione delle risorse umane: studenti, docenti e personale non docente, amministrativo e tecnico. Per quanto riguarda gli studenti, ad esempio, anche nei citati Paesi del l'Est, è in vigore sia il numero chiuso -il cosiddetto governo degli accessi-sia il controllo degli avanzamenti, con l'espulsione degli studenti che non superano soglie minime di prestazione nell'iter accademico. La contropartita per lo studente che è il cliente e quindi dovrebbe essere il centro del sistema -è il diritto ai servizi universitari. In Italia, invece, a questione è stata da sempre liquidata con la scelta al minimo livello riassumibile in questa frase: «Dare poco agli studenti e in compenso dare poco». L'autonomia richiede una riforma radicale che coinvolge i meccanismi di finanziamento della didattica e della ricerca. Seguendo il modello inglese, va tenuto sotto controllo e riequilibrato nel tempo il peso delle varie fonti finanziarie: fondi nazionali e territoriali, Fondazioni, tasse d'iscrizione, sgravi fiscali. Più onore al merito C'è la necessità di erogare risorse agli atenei che più le meritano, secondo trasparenti procedure di valutazione, e di perseguire una politica di concentrazione delle risorse. Per la didattica, ad esempio, soltanto gli atenei meritevoli dovrebbero continuare ad erogare lauree e master di secondo livello. C'è inoltre la necessità di far pagare il servizio agli studenti abbienti e di agevolare i meritevoli non abbienti (da verificare con procedure efficaci), tramite borse di studio e prestiti d'onore. In altre parole, l'autonomia favorisce la competizione tra gli atenei, in termini d'attrazione delle risorse finanziarie, dei professori e degli studenti migliori (anche di quelli stranieri). Un punto cruciale dell'autonomia è quello di riformare i meccanismi di governance del sistema universitario a livello nazionale e d'ateneo. Va controbilanciata la peculiare autoreferenzialità del sistema, con riferimento alla composizione dei consigli d'amministrazione e alla loro rappresentanza nazionale, alle funzioni dei consigli accademici, del senato e del Cun. II ruolo dei dipartimenti va invece potenziato a livello di business unit (come quelle aziendali), degli atenei per le attività didattiche e di ricerca. II caso inglese è un importante riferimento per la riforma della governance universitaria da adottare al caso italiano. Responsabilità «L'autonomia non è stata metabolizzata né dal ministero, né dalle università», citano Rossi e Toniolo, e chiamano in causa vocazioni ministeriali napoleoniche e «terrore» del personale universitario ad assumersi la piena responsabilità. All'obiezione che in Italia non esistono le «condizioni politiche» per attuare una riforma radicale, i nostri autori rispondono formulando una proposta concreta per la trasformazione spontanea delle università in Fondazioni universitarie, assumendo cosi una piena autonomia finanziaria. Per questa proposta è indispensabile la preventiva abolizione del valore legale del titolo di studio. Le Fondazioni universitarie dovrebbero poi competere per quei fondi oggi allocati all'iniziativa chiamata Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Lasciando L'università alla deriva ancora per qualche anno, senza favorire l'autonomia con riforme coraggiose, rimangono poche speranze per la nostra «assicurazione sul futuro», quella base di conoscenza, il know-how, che nel ciclo di ripresa garantisce sviluppo e modernizzazione. ___________________________________________________ La Repubblica 12 lug. ’04 NANOTECNOLOGIE SFIDA RISCHIOSA PER LA RICERCA CARLO PRINCIPE DI GALLES SONO perfettamente consapevole che stimolare il dibattito pubblico sulla nanotecnologia è aleatorio. Il mio primo timido tentativo di attirare maggior attenzione sull'argomento è sfociato in titoli come «Il principe teme l'incubo grey goo (ecofagia)». Per la cronaca, non ho mai usato quell'espressione né credo che dei robot autoreplicanti, più piccoli dei virus, un giorno si svilupperanno fuori da ogni controllo e divoreranno il pianeta. Meglio lasciare questo genere di credenze al loro posto, nel regno della fantascienza. L'importante è progredire con consapevolezza nel dibattito che dovrebbe accompagnare l'introduzione di tecnologie che operano a livello degli elementi fondamentali costitutivi della vita stessa. Le nanotecnologie interessano particelle minuscole oltre ogni immaginazione. Lo spessore di un capello umano equivale a 80.000 nanometri e l'ampiezza di una capocchia di spillo si calcola generalmente in un milione di nanometri. La capacità di operare a queste dimensioni, a livello delle singole molecole, è un trionfo dell'ingegno umano. Possiede enorme interesse scientifico e potenziale commerciale per il semplice fatto che la materia si comporta in modi fondamentalmente diversi in nanoscala. Queste nuove proprietà consentiranno nuove applicazioni, molte delle quali saranno di apprezzabile vantaggio alla nostra società. In caso contrario non verranno commercializzate. Ma come possiamo assicurarci che si presti -adeguata attenzione anche ai rischi che potrebbero derivarne? Scoprire i segreti dell'universo è una cosa, altro è garantire che di tali segreti venga fatto un uso saggio ed appropriato. SONO quindi lieto che la Royal Society e la Royal Academy of Engeneering abbiano intrapreso uno studio congiunto sulla nanotecnologia. Sarà di aiuto a distinguere i dati di fatto scientifici dalla fantascienza e la speranza dal sensazionalismo, ponendo le basi di un dibattito assai più ampio. Pubblicheranno un rapporto tra qualche settimana, ma le testimonianze ottenute da un'ampia gamma di parti in causa sono già disponibili sul sito web www.nanotec.org.uklevidence. Le testimonianze coprono un ampio ventaglio di opinioni in gran parte ovviamente preoccupate di fare in modo che i potenziali benefici derivanti dalla nanotecnologia non vengano sminuiti nel rapporto. Mi ha particolarmente colpito la testimonianza di un professore di ingegneria dell'Università di Cambridge, da poco in pensione, John Carrol. Carrol si augura che l'indagine "tenga seriamente in considerazione le preoccupazioni dei non specialisti senza liquidarli come mal informati o luddisti". Riferendosi alla tragedia del talidomide afferma che "non ci sarebbe da sorprendersi se la nanotecnologia presentasse simili rovesci della medaglia in assenza di adeguata attenzione e umiltà". Conclude sottolineando che "non sarà forse semplice barcamenarsi tra una reazione luddista e la capitolazione al mondo nuovo della tecnologia, soprattutto quando sono a rischio denaro, posti di lavoro e imprese". Sono anch'io di questa opinione, e auguro alla Royal Society e all’Academy di governare con successo questa difficile rotta. È tuttavia importante interrogarsi, a questo stadio iniziale, su come far si che la valutazione del rischio tenga il passo con lo sviluppo commerciale. Si tratta di un settore scientifico a rapidissima evoluzione che interessa numerose discipline, ma uno sguardo al programma di ricerca dell'Ue per le nanotecnologie mostra che, secondo le stime, solo un 5% del totale dei finanziamenti è destinato all'esame delle dimensioni ambientali, sociali ed etiche di queste tecnologie, un dato certo non incoraggiante. Si pongono importanti interrogativi anche circa il controllo e la proprietà delle tecnologie in oggetto. Alcune possono essere di fondamentale vantaggio alla società, consentendo ad esempio la costruzione di pile a combustibile molto meno costose, o nuove opportunità di combattere le malattie, ma si tratta di tecniche operative sulla stessa scala a cui avviene l’ "autoassemblaggio" dei processi naturali. Non corriamo il rischio di concedere brevetti sulla natura? Concludo affrontando il tema della ripartizione dei benefici e dei rischi. Queste tecnologie dispenseranno ampi benefici sia a chi vi investirà con successo sia a chi sarà in grado di utilizzarle, ma inevitabilmente andranno a sostituirsi a quelle attuali. Chi verrà danneggiato da questo processo? I divari esistenti tra nazioni ricche e povere si accentueranno? Quali sono esattamente i rischi legati a ciascuna delle tecniche in discussione, chi ne porterà il peso e chi sarà imputabile se e quando la vita reale non seguirà un roseo copione? Il dibattito è ancora allo stadio iniziale. Lo studio della Royal Society mostra che solo il 29% della popolazione oggi è a conoscenza del significato del termine "nanotecnologia", chi è al corrente di queste tecniche ha un atteggiamento generalmente fiducioso circa il loro potenziale. Sospetto che un più ampio consenso possa essere ottenuto e mantenuto solo se si incoraggerà una crescita nell'opinione pubblica e uno sviluppo di processi di regolamentazione che procedano di pari passo con la tecnologia stessa e se si baderà ad attuare un approccio cautelativo. Credo che i proponenti delle nanotecnologie dovranno dare dimostrazione di maggiore consapevolezza sociale, umiltà ed apertura rispetto a quanto abbiamo sperimentato negli ultimi anni con altri cosiddetti "progressi tecnologici". Il mio auspicio è che il rapporto della Royal Society e dell’Academy incoraggi soprattutto questi aspetti. ______________________________________________ IL PICCOLO 15-07-2004 CNR: INSEDIATO DALLA MORATTI IL NUOVO CDA Si è insediato ieri, alla presenza del ministro dell’istruzione Letizia Moratti, il nuovo consiglio di amministrazione del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche). termine dei mandato del commissario Adriano De Maio, e dopo la nomina, il 22 giugno di Fabio Pistella a presidente, con l'insediamento del consiglio di amministrazione inizia la nuova fase di rilancio del Cnr, Sette i membri: Roberto de Mattei, professore di Storia moderna; Luigi Rossi-Bernardi, professore di Biochimica all'università di Milano; Renato Ugo, presidente del l’Associazione italiana ricerca industriale; Piero Tosi, nominato dalla Conferenza dei Tettori; Federico Rossi, università di Cassino; Diana Bracco, presidente di Federchimica; Vico Valassi, per conto dell'Unioncamere. ___________________________________________________ La Repubblica 12 lug. ’04 GE IN EUROPA TECNOLOGIE ED ENERGIA IL NUOVO CENTRO DI MONACO E’ il terzo centro di ricerca globale dopo ' quelli di New York, Banqalore e Shangai LAURA KISS Centocinquanta scienziati e ingegneri che lavoravano su nuove tecnologie nel campo dell'energia alternativa e dell'imaging medicale e molecolare. Questo lo staff che da quest'anno lavorerà nel centro di ricerca europeo della General Electric, inaugurato a Monaco di Baviera, ultima iniziativa di un programma di sviluppo tecnologico da 4 miliardi di dollari intrapreso a livello mondiale. Per la costruzione del centro sono stati investiti 52 milioni di dollari e entro il 2005 sarà completamente operativo. Gli ambiti di ricerca saranno la generazione di energia alternativa in particolare idrogena, le biomasse e le celle a combustione. Saranno studiati anche i sistemi elettrici per le fonti di energia rinnovabile, come l'energia solare, eolica e idrica, e lo sviluppo di sensori speciali per le applicazioni in campo automobilistico, biologico e in condizioni ambientali disagevoli. La decisione di GE di investire in questo centra fa parte dell'impegno dell'azienda nello sviluppo di nuove tecnologie. «Conquistiamo il mercato offrendo ai clienti soluzioni innovative in grado di cambiare la vita», dice il presidente Jeffrey Immelt. «Stiamo investendo oggi sulla crescita futura, ampliando la competenza nell'innovazione e avvicinando ' ai clienti europei il nostro sviluppo tecnologico». Quello europea é il quarto centro di ricerca globale - aperto da GE. Si va ad affiancare all'headquarters di Niskayuna nello stato di New York con 1.800 dipendenti, a quello di Sangalore in India e quello di Shangai. «Grazie alla tecnologia possiamo rivoluzionare il modo in cui il mondo lavora», afferma Scott Donrielly, vice president di GE Global Research: «Vogliamo creare un nuovo paradigma del modo in cui il mondo genera e consuma energia, trasformare l’healthcare dall'attuale approccio "vedere e curare" al modello "predire e prevenire»: La Gensral Electric Global Research è impegnata da oltre 100anni nello sviluppo di innovazioni. E' proprio nel campo delle energie alternative cha il centro di Monaco si impegnerà. Già attiva nel settore energetica tradizionale, GE sta puntando sulle energie quali il fotovoltaico, l'eolico, le biomasse e l'idrogeno, nonché su una nuova generazione di impianti a ciclo combinato per la produzione di energia mediante celle a combustione. Si tratta di una sorta di "batterie" ad elevata temperatura in grado di generare elettricità attraverso una reazione chimica e non meccanica come nelle turbine a gas tradizionali. 11 calore disperso viene convogliata in una turbina e combinato all'energia sviluppata dalle celle a combustione. ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 lug. ’04 SERVE PIÙ AGGREGAZIONE di Renato Ugo* Grandi aspettative nascono dalla nanoscienza. La possibilità, grazie alle tecniche messe a punto negli ultimi due decenni, di controllare la nanostruttura e di conoscere sempre meglio le proprietà funzionali di sistemi complessi sia atomici sia molecolari, fa infatti prevedere un importante futuro tecnologico. Che le proprietà della materia fossero regolate dalla sua nanostruttura era già evidente prima della messa a punto di modernissime tecniche che hanno permesso di "vedere" atomi e molecole. Per esempio il chimico che si occupava negli anni 70 di catalisi sapeva che le proprietà catalitiche delle particelle metalliche variavano bruscamente nel passaggio delle loro dimensioni dalla micro alla nanoscala. Ma non sapeva perché. Oggi la nanoscienza permette di dare risposte a questi interrogativi. Risposte che permettono di progettare e produrre a priori nanostrutture e nanoaggregati (sia atomici sia molecolari) con proprietà potenzialmente molto diverse da quelle della materia come la conosciamo. Questa è la base scientifica delle nanotecnologie. Le prospettive. Come è già avvenuto nei primi anni 80 con lo sviluppo delle biotecnologie a partire dalla biochimica e dalla biologia molecolare, oggi le ormai solide conoscenze della nanoscienza, basate sui progressi della chimica supramolecolare e macromolecolare e della fisica della materia, fanno prevedere un impetuoso sviluppo delle nanotecnologie. Un settore ancora più vasto rispetto alle biotecnologie, che promette quindi applicazioni emergenti in una molto ampia serie di campi industriali o di servizi avanzati. Il mondo politico, forse prima del mondo industriale, si è reso conto sotto la pressione del mondo accademico di questo grandissimo potenziale. Una presa di coscienza con date ben precise: negli Usa con il lancio della National nanotechnology iniziative (Nni) da parte del presidente Bill Clinton nel 2000, seguita dal «21st century nanotechnology development act» per il 2005-2008; per l'Europa con il VI Programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, lanciato nel 2002, dove le nanotecnologie hanno un ruolo rilevante. Siamo solo all'inizio di una poderosa crescita degli investimenti pubblici in nanoscienza e nanotecnologie. Infatti nel 1997 gli investimenti nel mondo erano stimati 400 milioni di euro, oggi sono circa 3 miliardi. Si prospetta inoltre una crescita di 3-4 volte per il 2008-2010. Anche l'industria, per lo meno negli Usa e in Giappone e, più timidamente, in Europa e Cina, sta iniziando a investire significativamente: oggi si valuta siano stati investiti nel mondo 2 milioni di euro. Il censimento italiano. Rendendosi conto dell'importanza delle nanotecnologie per la competitività dell'industria nazionale, anche a livello delle piccole e medie industrie di medio-alta tecnologia, l’Airi (l'Associazione italiana della ricerca industriale) ha lanciato nel 2003 Nanotec-It (info@nanotec.it o www.nanotec. it), per favorire l'incontro e la collaborazione degli attori nàzionali della nanoscienza e nello sviluppo nanotecnologico. Oggi fanno parte di Nanotec-It i principali operatori pubblici e privati del settore. Si spera che nel prossimo futuro si aggiungano anche piccole e medie industrie cui uno sviluppo in una nicchia nanotecnologica potrebbe portare un risolutivo vantaggio competitivo a livello mondiale. È con questo fine che è stato progettato questo primo censimento condotto da Nanotec-It, che richiederà certamente nel prossimo futuro un approfondimento e un "fine tuning". Il censimento ha anche lo scopo di approfondire su quali strutture e su quali competenze può consolidarsi l'avventura italiana nella nanoscienza. Già questo primo tentativo di censimento permette infatti di evidenziare alcuni pregi e i molti difetti dell'attuale realtà italiana. Pregi. I pregi consistono in una inaspettatamente ampia e diffusa serie di istituzioni pubbliche che operano nel settore delle nanoscienze. Molte sono aggregate nell' Infm (Istituto nazionale di fisica della materia), nell'Instm (Consorzio interuniversitario per la scienza e la tecnologia dei materiali) e infine nel Cnr (Centro nazionale delle ricerche) dove è confluito l’Infm. Il loro ruolo è rilevante. Permette di attivare collaborazioni tra e con le realtà universitarie e quindi di favorire la creazione di masse critiche, per lo meno in termini progettuali. Sta creando infrastrutture con dotazioni di strumentazioni adeguate alla sfida della nanoscienza e si prende carico delle partecipazioni internazionali per la gestione e sviluppo di grandi strumentazioni. Difetti. Tuttavia, anche in seno a queste aggregazioni, vi è una forte frammentazione in un troppo ampio numero di istituti, centri, laboratori, molti dei quali non sembrano poter raggiungere la massa critica di infrastrutture e l'ampiezza di competenze necessarie per operare con successo nell'arena internazionale. Ancora più parcellizzato e molto più oscuro è lo scenario universitario, anche perché le università italiane, con alcune lodevoli eccezioni, non hanno creato, a differenza di molte università straniere, siti Web che presentino le loro reali competenze nella nanoscienza e nelle nanotecnologie. Recentemente sono stati istituiti dal ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca scientifica alcuni Centri di eccellenza in ambito universitario nella nanoscienza, ma l'informativa delle Università al riguardo è ancora cosi scarsa che già nel censimento ne è sfuggito uno. La difficoltà di conoscere il mondo universitario nei suoi dettagli nasce probabilmente dall'estrema parcellizzazione della loro ricerca nelle nanoscienze, con l'eccezione delle aggregazioni di realtà universitarie nello Infm e nello Instm. Questa polverizzazione, abbastanza diffusa in Europa, trova nell'università italiana un vero e proprio trionfo, che non può che destare preoccupazione se si annida anche in settori come la nanoscienza e le nanotecnologie che richiedono masse critiche adeguate e importanti infrastrutture strumentali. Non a caso la Commissione europea nel recente documento «Towards a European strategy for nanotechnology» lamenta l'assenza di poli di eccellenza con le necessarie masse critiche. È quindi evidente la necessità in Italia di un processo di aggregazione, almeno per le infrastrutture, intorno a centri di nucleazione come il Cnr, processo che si potrebbe estendere alle non trascurabili attività di ricerca e di sviluppo tecnologico svolte dall'Enea o dall'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare). Infine è molto preoccupante lo scenario industriale dove, malgrado alcune significative realtà in settori importanti come trasporti, microelettronica, fotonica e biomedicale,lo sforzo di ricerca e sviluppo nelle nanotecnologie appare del tutto inadeguato per risorse finanziarie e umane, in particolare se paragonato al diffuso anche se frammentato impegno pubblico. Nel censimento la cronica difficoltà di trasformare il sapere scientifico in tecnologia appare quindi evidente se si paragona l'impegno nella nanoscienza e la molto limitata presenza nelle nanotecnologie. E spesso si spacciano per nanotecnologie spunti, anche interessanti, ma limitati alla nanoscienza. I messaggi che nascono dal censimento sono evidenti e possono costituire la base su cui costruire politiche nazionali della ricerca pubblica e definire indirizzi di politica industriale, poiché le competenze scientifiche, anche se terribilmente diffuse, parcellizzate, frammentate, non sembrano mancare. * Presidente Airi ___________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 lug. ’04 PIÙ VICINO IL COMPUTER QUANTISTICO INFORMATICA La risonanza magnetica potrebbe essere usata per leggere i dati negli elaboratori del futuro I progressi maggiori si otterranno nella velocità di accesso alle informazioni La risonanza magnetica potrebbe essere utilizzata per leggere i dati nei futuri computer quantistici ma, perché questo avvenga, è necessario servirsi anche dei microscopi a forza atomica. La rivista «Nature» nel numero che esce oggi pubblica infatti il risultato di un gruppo di studiosi del Centro Ibm di ricerca Almaden a San José,,coordinato da Daniel Rugard, che è riuscito a conciliare la potenza della risonanza magnetica con il potere di risoluzione e la sensibilità dei microscopi a forza atomica. In questo modo, i ricercatori sono riusciti a "vedere" il valore dello spin di un singolo elettrone. Lo spin è una caratteristica fondamentale degli elettroni e delle particelle atomiche che può essere rivelata solo osservando il loro comportamento sotto l'influenza di un campo magnetico. Si tratta di un parametro quantistico, che si esprime solo attraverso due valori discreti, indicati convenzionalmente come «su» e «giù». Le tecniche attuali di risonanza magnetica per elaborare un'immagine hanno bisogno che la materia esaminata generi un segnale sufficiente e, per ottenere questo risultato, occorrono almeno dieci milioni di elettroni. Il gruppo di Rugard è quindi riuscito in un solo colpo a migliorare di dieci milioni di volte la risoluzione degli attuali strumenti di risonanza magnetica. Il nuovo metodo utilizza la sonda del microscopio a forza atomica e si basa sulle reazioni di una linguetta di silicio cha reca sulla sua estremità una punta ampia 150 miliardesimi di metro di Cobalto e Samario. La linguetta risulta estremamente sensibile ai campi magnetici e reagisce in maniera differente a seconda dello spin dell'elettrone sotto esame. Il risultato ottenuto non ha solo conseguenze nel campo delle tecniche di visualizzazione, ma costituisce un passo importante nella realizzazione dei computer quantistici. Cosi come in un circuito elettronico si leggano le cariche elettriche e le si spostano, analogamente la decifrazione del singolo valore di spin costituisce un passo fondamentale per imparare a manipolare anche questa informazione. La scoperta dei ricercatori Ibm avvicina l'obiettivo della e nelle memorie non volatili spintronica, l'elettronica basata sui valori di spin. In un commento su questo risultato pubblicato su «Nature» Chris Hammel, ricercatore di Fisica dell'Università dell'Ohio, ricorda come «lo sfruttamento dello spin potrebbe condurre a significativi progressi nei sistemi di manipolazione dell'informazioni elettroniche, comprese memorie non volatili»: in altre parole, i computer potrebbero essere dotati di sistemi di memorizzazione con un accesso ai dati veloce come quello delle Ram> ma le cui informazioni permangono anche quando si stacca la corrente, cosi come avviene per i dischi rigidi magnetici. A questo stesso traguardo stanno lavorando anche altri gruppi, come quello di Arthur J, Epstein, dell'Università dell'Ohio, e quello di Joel Miller, dell’Università dello Utah, che stanno sperimentando dischi di plastica su cui orientare gli spin degli elettroni da utilizzare come supporti di memoria. In Italia Organic spintronics, società nata come spin-off del Consiglio nazionale delle ricerche, sta lavorando alla realizzazione dispositivi spintronici realizzati con materiali e chip organici. Soprattutto, la manipolazione degli spin rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione dei computer quantistici. Spiega Hammel, infatti, che «lo spin dell'elettrone costituisce il sistema a due stati quantistico naturale - qubit - per la computazione quantistica». Il gruppo di Rugard ha cosi quasi realizzato la tes6na per leggere i dati nei futuri elaboratori quantistici. Certo, attualmente il sistema è molto lento ma, come spiega lo stesso Rugard il risultato ottenuto «rappresenta un miglioramento di dieci milioni di volte rispetto all'esperimento originario». Nulla quindi esclude che in poco tempo si riuscirà a ottenere l'aumento richiesto nella velocità di lettura dei dati. Allora> le memorie a spin e i computer quantistici saranno davvero più vicini. ANDREA CAROBENE ___________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’04 I MILIONI DELL'ATENEO DOPO I TAGLI Fondi e investimenti Ventiquattro milioni: a tanto ammontano i finanziamenti che l'Università di Cagliari mette in campo tra edilizia e didattica per il prossimo futuro. Una cifra ragguardevole, che si sposa male con la denuncia dei tagli sanguinosi imposti agli atenei dal governo. Ieri Pasquale Mistretta ha spiegato che in parte si tratta di fondi già concessi, e in altri si tratta del frutto di una politica di investimenti lanciata dal consiglio d'amministrazione per mettere fine ai sacrifici imposti per troppo tempo agli studenti. Nel dettaglio, l'Università ha impegnato 8 milioni nei cantieri della cittadella di Monserrato, 10 nella facoltà di Ingegneria a Is Maglias (fondi concessi dal Cipe), 13 milioni in arrivo grazie a un mutuo ministeriale per il polo di Medicina, 2 milioni e mezzo da investire tra Sa Duchessa e Palazzo Cugia, 2 milioni per interventi edilizi sulle biblioteche (che verranno informatizzate con un altro investimento da 250 mila euro) e 450 mila euro che si aggiungeranno ai 350 mila già inseriti nel bilancio per libri e attrezzatura didattica. Le tasse al Banco. A proposito di bilanci e di entrate, il rettore ha spiegato così il monopolio concesso al Banco di Sardegna per la riscossione delle tasse universitarie (di recente al centro di un'interrogazione da parte di un docente e tre studenti che siedono nel Cd'A): "Intanto per un pizzico d'affetto verso un istituto che è pur sempre di Sardegna, e poi perché il Banco ha un sistema di agenzie molto capillare su tutto il territorio isolano. Forse ha qualche problema a interfacciarsi con le altre banche, ma su questo chiederò lumi. I problemi di ressa per il pagamento delle tasse comunque dipendono soprattutto dalla tendenza degli studenti a fare i versamenti l'ultimo giorno utile". ___________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’04 CAGLIARI: RADDOPPIA LA RETE A FIBRE OTTICHE Via le parabole con la città cablata Prima la realtà: una rete di 75 chilometri, tra le più lunghe in Europa, a banda larga in fibra ottica per collegare cento sedi di Comune, Regione, Asl e Università. Poi il sogno: eliminare da Castello parabole e antenne, grazie a un sistema di connessione ad alta velocità sotterranea. Per il primo progetto tutto è pronto: il finanziamento europeo (5 milioni e 300 mila euro dal Por Sardegna, il 27 per cento in coofinanziamento, assorbito da Asl e Università per ottenere l'utilizzo della banda larga), i dettagli (la posa di 42 chilometri di cavi, che si andranno ad aggiungere ai 33 già esistenti, per collegare tra loro uffici dell'amministrazione comunale e regionale, scuole, facoltà universitarie, mercati, ospedali) e i tempi (lavori ultimati entro giugno del 2005). Per la seconda idea si è ancora nella fase ipotetica: "Stiamo iniziando a studiare il procedimento - ha anticipato l'assessore alla Pianificazione dei servizi, Giorgio Angius - un intervento del genere ha senso se serve ad abbellire il centro storico, eliminando antenne e parabole dai tetti del quartiere di Castello". RISPARMIO ED EFFICIENZA Grazie alle 24 coppie di cavi in fibra ottica, che garantisce una trasmissione di ogni genere di dati alla velocità di 2,5 miliardi di bit al secondo (come ha spiegato il progettista Gianni Fenu, della facoltà d'Ingegneria, si otterranno due risultati: "S annulleranno i costi delle telefonate interne e si abbatteranno quelli delle esterne - ha sottolineato Angius - inoltre i collegamenti tra uffici saranno più rapidi". Difficile quantificare il risparmio per le casse comunali: "Siamo sulle centinaia di migliaia di euro in un anno", ha spiegato il sindaco Emilio Floris. Dai 21 siti (uffici comunali e circoscrizioni) già collegati, si passerà a cento. I 42 chilometri della nuova rete si sommeranno ai 33 già esistenti, messi in posa con un altro finanziamento europeo di 2 milioni 400 mila euro. NESSUN DISAGIO I dirigenti dell'assessorato, Paolo Pintor e Roberto Mascia, hanno tranquillizzato i cittadini: "La posa dei cavi avverrà utilizzando i tubi già sistemati per i sottoservizi, dunque non ci saranno nuovi cantieri e scavi". IL BUSINESS Comune, Regione, Università e Asl 8 utilizzeranno solo otto delle 24 coppie di cavi a banda larga. Risultato: ne restano libere 16. "Alcuni privati si sono già fatti avanti- ha ammesso Floris - prima però realizzeremo i progetti che riguardano il Comune come la telesorveglianza, i semafori intelligenti e il telecontrollo della rete idrica". Poi si potrebbe aprire un interessante giro d'affari per il Comune, unico gestore della rete. Matteo Vercelli ================================================================== ___________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’04 A SETTEMBRE IL PROTOCOLLO SULLA SANITÀ Patto con la Regione "Ho deciso di fare una scommessa. Sulla Regione, certo, ma in primo luogo con me stesso". Così ieri mattina Pasquale Mistretta ha spiegato il patto con la Regione sul protocollo d'intesa per la sanità: l'accordo in sostanza prevede che l'Università faccia partire gli insegnamenti rimasti congelati per mancanza di fondi e viale Trento, a settembre, firmi la convenzione con l'ateneo. Un appuntamento rinviato da molto, troppo tempo: "È dal 1986 che la Regione non rispetta gli impegni", ha spiegato il rettore, "Ho sempre pensato che per la Sardegna avere due Università come Cagliari e Sassari fosse un fiore all'occhiello, spero di non essermi sbagliato". Infermieri cercansiIl banco di prova arriverà presto: "Se effettivamente il protocollo sarà firmato entro settembre, il primo ottobre partiranno i corsi". In particolare Mistretta si riferiva a quello che dovrà laureare gli infermieri professionali, una categoria particolarmente richiesta visto che "oggi siamo costretti a importarli dal Brasile per soddisfare le richieste del mercato sanitario sardo", ma anche a Ostetricia, Fisioterapia, Ortottica, Igiene dentale, Tecniche di laboratorio biomedico e Tecniche di radiologia. Siglare il protocollo significherebbe risolvere un problema di soldi (sarebbe la Regione a dover finanziare molti corsi di studio di carattere sanitario) ma anche amministrativo, visto che decollerebbe l'azienda mista per la gestione del Policlinico. Ieri Mistretta, che pure aveva giurato di non riprendere i contatti con viale Trento fino alla firma dell'intesa, sembrava ottimista: "Nei giorni scorsi ho incontrato insieme al mio collega di Sassari Alessandro Maida il presidente Soru e l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin e ho preso atto del loro impegno". ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’04 PARTONO I BANDI PER CORSI SANITARI PROFESSIONALI La scommessa con Soru CAGLIARI. Una scommessa, sulla nuova Giunta. Così il rettore commenta il bando di ammissione per i corsi di laurea delle professioni sanitarie approvato il nove luglio. Attivati corsi in Infermieristica (30 posti), Ostetricia (8 posti), fisioterapia (8 posti), ortottica e assistenza oftalmologica (3 posti), tecniche di laboratorio (10 posti), tecniche di radiologia medicha per immagini e radioterapia (20) e igene dentale (12). Tutte le prove di ammissione saranno il nove settembre alle 11 alla cittadella universitaria di Monserrato. Con una postilla pesante messa in calce al bando: "L'attivazione dei corsi è subordinata alla stipula del protocollo d'intesa per la costituzione dell'azienda sanitaria mista Università/Regione Sardegna". Come dire: se il protocollo non sarà firmato i corsi non si faranno. "Abbiamo preso atto - spiega il rettore, Pasquale Mistretta - della buona volontà da parte del governatore Renato Soru e dell'assessore alla sanità Nerina Dirindin, e abbiamo deciso di fare questa scommessa. Anche perchè questi corsi sono una necessità vera per tutta l'isola. Abbiamo fatto il bando a scatola chiusa, convinti che, dopo quasi vent'anni di attesa, alla fine il protocollo sarà davvero firmato. Ma che sia chiaro che se così non fosse i corsi non partiranno. E chi di dovere se ne accollerà tutte le conseguenze". (g.bua) ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 lug. ’04 FINALMENTE LO SVINCOLO TRA "554" E POLICLINICO Affidati i lavori, ci vorranno quattordici mesi MONSERRATO. Sei anni di attese, rinvii e speranze, ma ora il nuovo svincolo della cittadella universitaria è pronto a partire: i lavori sono stati aggiudicati alla ditta Pellegrini, una delle imprese impegnate a Is Pontis Paris. Prima dell'apertura del cantiere, però, bisogna sciogliere il nodo degli espropri: un problema che riguarda un centinaio di proprietari terrieri. C'è stato un incontro, promosso dal consigliere provinciale Paolo Trudu, a Casa Foddis con tutti i proprietari della zona. Argomento: tempi e prezzi degli espropri. Durante l'assemblea è stata affrontata anche la questione dei disagi per le attività commerciali nell'area intorno al cantiere che sarà aperto nelle prossime settimane. La situazione più critica è quella del distributore di carburante a cinquanta metri dall'incrocio. Ma anche altri imprenditori attendono di conoscere il loro destino. Anche perché i tempi di realizzazione saranno molto lunghi. Almeno quattordici mesi, aveva spiegato l'assessore provinciale ai lavori pubblici Renzo Zirone nel corso del sopralluogo di due mesi fa. Sempre che la ditta che si è aggiudicata i lavori decida di mantenere aperto il cantiere 24 ore su 24. Il costo dell'opera è di 9 milioni e 700 mila euro: i soldi arrivano dalla Regione e in più c'è un contributo di 500 mila euro dalla Provincia. Sembrano risolti intanto i problemi della viabilità interna dei rioni, primo tra tutti Terra e Teula, che si affacciano sulla statale dal lato della cittadella. Nel progetto originario della Provincia non c'erano i soldi per rifare le strade una volta terminati i lavori di ponte e svincolo. Con l'approvazione dell'ultima variante al puc, il consiglio comunale di piazza Maria Vergine ha chiesto, e forse ottenuto, l'impegno della Provincia a risolvere il guaio. Il progetto per eliminare il tappo della 554 all'incrocio con via San Fulgenzio, la strada per Sestu e il policlinico è partito da un accordo di programma siglato nel 1998 da Regione, Provincia, Anas, Sestu e Monserrato. La Regione ha finanziato il piano e nel 2000 è arrivato il progetto preliminare. Qualcosa di simile al quadrifoglio di Cagliari: niente semafori e niente stop per snellire un traffico che, dopo l'apertura del policlinico, la 554 non è più in grado di sopportare. E in più un ponte che scavalca la strada: un'opera dall'estetica avveniristica che nei mesi scorsi aveva creato qualche polemica. Secondo il comune di Monserrato il disegno del ponte elaborato dai tecnici della Provincia era diverso da quello concordato anni fa nella conferenza di servizio. Qualche battibecco, ma poi i malintesi erano stati risolti: avveniristico o tradizionale, il ponte serve subito. Anche perché i pendolari non ne possono più di rimanere bloccati anche per un'ora nello svincolo trappola. Stefano Ambu ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 lug. ’04 NASCE IL DISTRETTO DI BIOMEDICINA FONDI PER 40 MILIONI DI EURO Matrimonio industria-università ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Il 14 luglio, a Pula, il meglio della ricerca tecnologica e scientifica sul grande tema della salute umana si incontrerà per inaugurare ufficialmente una nuova stagione di scambi tra il sistema della ricerca universitaria e quello degli studi industriali. Un’opportunità ghiotta per un sistema e per l’altro, fra le prime in Sardegna per il tipo di struttura, che nasce con la benedizione di un finanziamento erogato di recente dal Cipe e afferrato in un giorno da un dirigente dell’assessorato regionale alla programmazione. Per avere le carte in regola si è dovuto correre un po’, rischiando di lasciare a terra protagonisti indispensabili per un programma del genere. Ma la buona volontà ha premiato il dirigente tempestivo e anche il delegato del rettore per la ricerca universitaria catapultato in una riunione dove l’università sembrava tagliata fuori. Da giovedì scorso, le facoltà di Medicina di Cagliari e Sassari, nonché le facoltà di Biologia, lavoreranno assieme all’istituzione di un distretto di ricerca scientifica e tecnologica di biomedicina. Dietro l’operazione una corsa contro il tempo che, causa la fretta, ha sfiorato la gaffe di un’istituzione verso l’altra (le facoltà di Medicina e di Biologia non erano state invitate agli incontri), ma il delegato per la ricerca scientifica dell’ateneo cagliaritano, Adolfo Lai, ha riempito il vuoto con qualche telefonata che ha coinvolto i presidi delle facoltà escluse. I presidi, naturalmente, non si sono fatti pregare e hanno chiuso gli occhi ben volentieri sull’esordio un po’ distratto. In ballo, infatti, ci sono 40 milioni di euro su una legge, la 297, che finanzia la ricerca scientifica condotta dalle imprese. Nell’azione dovevano rientrare anche le università e infatti in altre regioni sono stati promossi rapporti tra le diverse entità citate dalla legge. La Sardegna, al solito, rischiava di perdere il treno. L’ha scoperto un dirigente dell’assessorato, (Desogus, un ingegnere), il quale s’è trovato di fronte a un’opportunità interessante e quasi perduta: il Cipe, infatti, per la Sardegna aveva stanziato 40 milioni di euro, ma ci voleva un progetto che non c’era. In un amen sono stati stabiliti i contatti e il progetto, pur di massima, è saltato fuori (dal Consorzio 21), col risultato di portare nell’isola i 40 milioni di euro. Tirato il fiato, il piccolo gruppo di burocrati e ricercatori ha chiamato l’università e il delegato della ricerca con un paio di telefonate ha gettato il ponte che serviva: le facoltà sempre impegnate a rastrellare finanziamenti si sono ritrovate inserite in un’operazione che loro stesse giudicano di estremo interesse. Lo spiega il preside di Medicina (Cagliari), Gavino Faa: "Per Medicina il grande risultato di un prodotto scientifico sta nella pubblicazione del lavoro sulle riviste internazionali accreditate, per l’industria il risultato di un buon prodotto scientifico è il brevetto. Mettersi in sinergia tra sistemi universitari e industriali significa esprimere un potenziale immenso e aprirsi a un mercato enorme. La facoltà di Medicina - dice ancora il preside - ha una grande realtà di ricerca scientifica e ha necessità di interagire con il sistema industriale. Al Parco scientifico e tecnologico di Pula, al Consorzio 21 ci sono professionalità notevoli, diverse dalle nostre, con le quali è di nostro grande interesse interagire e diventare complementari". Al tavolo di giovedì scorso si è preso l’impegno per un ulteriore incontro tra Medicina e Consorzio 21: "Ripeteremo la giornata della ricerca scientifica a Medicina promossa al policlinico universitario di Monserrato dove - ricorda il preside - presentammo tutto ciò che è in corso di studio nelle varie discipline. Da parte nostra c’è tutto l’interese a favorire la conoscenza reciproca". Lo si ripete da tempo: la Sardegna potrebbe avere grandi possibilità di crescita se imprimesse un’accelerata alla ricerca e all’innovazione. Perché succeda, secondo il preside di Medicina "ci deve essere voglia di collaborare e di partecipazione paritaria tra l’industria e l’università". ___________________________________________________ Liberazione 13 lug. ’04 BATTIAMOCI PER TOGLIERE LO SBALLATO APPELLATIVO DI "AZIENDA" AD OSPEDALI PUBBLICI E UNITÀ SANITARIE TERRITORIALI Caro Sandro Curzi, riprendo il dibattito che si è aperto da diverso tempo su "Liberazione" iniziato dal prof. Pietro Nisli. Giustamente è stato detto occorre proporre da subito delle idee ed un lavoro per arrivare alla stesura di un programma comune fra tutte le opposizioni sociali e politiche in funzione delle prossime elezioni regionali. L'attuale governo non solo è in difficoltà, ma mostra sempre più segni di squilibrio, le forze che lo compongono, però, non mostranotúaverealtrasceltachetenereipropripezziassieme,aggravando la condizione complessiva non solo dell'economia, ma anche dello stato sociale. Insomma il governo, pur disastrato, non vuole andarsene. Il governo ha preso recentemente un provvedimento sui farmaci poiché la spesa per questo settore ha superato il tetto previsto del 13%. Ha imposto, mediante decreto legge, alle aziende farmaceutiche degli sconti ulteriori, in relazione a quanto precedentemente definito da un'altra legge. Nessuno più, fra "lor signori" parla di ticket, ed ovvio, perché dovrebbe riconoscere che ciò che prevalentemente porta all'aumento della spesa riguarda da un lato una serie di mancate misure,e insieme,l'immissione di una sede di specialità mediche, quasi tutte, rispetto al principio attivo, già esistenti, ma rimesse a nuovo sul mercato, quindi a prezzo maggiorato. Non pensiamo che avremo problemi con il centro sinistra su questo argomento: i ticket vanno eliminati, senza dimenticare di prendere contromisure in ordine all'efficacia dei trattamenti, alla eliminazione dei prodotti per i quali viene richiesto il certificato complementare di protezione (un sistema che tiene in vita i brevetti per un tempo ben superiore a quello stabilito dalla UE),nonché il controllo dell'emissione di nuovi farmaci con principi attivi già noti, ed altro. Piuttosto ci sta a cuore ragionare su di un tema generale dove fino ad ora noi, insieme a tutto il Movimento di lotta per la salute, abbiamo trovato difficoltà a fare intendere. E'dagli inizi degli anni 90 quando si è cominciato a parlare di razionalizzazione della spesa che ci battiamo perché non venisse introdotta (e quindi venisse eliminata) la parola, il concetto, il sistema "azienda" in sanità. Non solo non ci siamo riusciti allora, quando la sanità era retta da un liberale, ma nemmeno dopo, quando partecipavamo alla maggioranza di governo. Nel 1999 con il decreto Bindi le Usl e i più grandi ospedali sono ridiventati aziende. In alcune regioni di centro sinistra anche oggi si ribadisce che il processo di aziendalizzazione deve essere completato. Tanto che anche ricercatori illustri, come ad esempio il professor Rodolfo Saracci, epidemiologo del Cnr di Pisa asserisce: «... Purtroppo idee affini hanno insidiosamente impregnato larghi strati della società, da destra a sinistra, come denota ad esempio l'accettazione, avversata da Giovanni Berlinguer, dell'appellativo totalmente sballato di "azienda" per ospedali pubblici e unità sanitarie territoriali. In italiano un'azienda è "un organismo composto di persone e beni, diretto al raggiungimento di un fine economico, di interesse sia pubblico che privato", laddove il fine di un servizio sanitario pubblico non è economico, ma è la salute (Rodolfo Saracci: Le condizioni della ricerca scientifica in Italia: come prima peggio di prima, in Epidemiologla e Prevenzione n. 28 marzo -aprile 2004). Il problema è proprio questo: non è stata inventata la Asl per organizzare meglio la sanità, per evitare gli sprechi, per essere più efficienti, ma proprio per dare ad essa, alla erogazione dei servizi sanitari e sociali un senso economico, per uscire fuori dalla logica stringente dell'articolo 32 della Costituzione e sottomettere le necessità di salute alle compatibilità economiche. Non è dunque un tema ideologico che si vuole mettere in prima pagina, ma una necessità pratica quotidiana. All'azienda non interessa ridurre ed eliminare il numero di infortuni sul lavoro e di malattie professionali (chi parla ancora di prevenzione?); ancora meno all'azienda interessa coinvolgere i cittadini nel controllo e nella verifica del funzionamento dei servizi e delle strutture sanitarie (partecipazione), e nemmeno l’azienda è volta ad avere un'idea lungimirante che parte dall'epidemiologia e stabilisce iniziative e percorsi per ridurre malattie e morti evitabili (programmazione). Dunque ci vogliamo battere per togliere questo "appellativo totalmente sballato" dalla sanità? FULVIO AURORA ___________________________________________________ Il Giornale 11 lug. ’04 UNA PUNTURA DI STAMINALI PER CURARE IL CUORE MALATO MONICA MARCENARO Le cellule staminali escono dal laboratorio ed entrano in sala operatoria per riparare i danni che ha subito il cuore. Succede nel mondo dove attualmente sono trecento i pazienti curati con queste tecniche e in alcuni ospedali italiani. Tra i primi nella penisola a sperimentare il «trapianto cellulare», chiamato anche «cardiomioplastica cellulare», è stato il Centro cardiologico Monzino di Milano, dove un anno fa è stato trattato con un'iniezione di sole cellule staminali al cuore un uomo di mezza età affetto da ischemia cronica, che non poteva essere curato con tecniche come l’angioplastica o il by pass coronarico. Il malato, dopo i test di controllo, ha mostrato un significativo miglioramento dell'ischemia cardiaca e questo, spiegano gli esperti, lascia ben sperare per il proseguimento delle ricerche sull'applicazione delle staminali. «Per il momento si tratta solo di uno studio pilota che ha coinvolto quattro persone e che non deve indurre false speranze», avverte Giulio Pompilio, cardiochirurgo del Monzino che ha condotto la ricerca. Lo studio, infatti, doveva dimostrare solo la fattibilità della tecnica dell'uso delle staminali e la sicurezza del metodo. Tant'è che altre sperimentazioni sono state condotte sempre a Milano all'ospedale Sacco e al Policlinico dove nello scorso mese di giugno sono stati trattati con le staminali prelevate dal midollo osseo due pazienti infartuati. I risultati a breve termine sono stati incoraggianti e hanno aperto la strada a uno studio che coinvolgerà un ventina di malati. Esperimenti analoghi sono già stati condotti a Padova e Mestre e, in Germania, a Francoforte. Attualmente sono in corso una decina di studi al mondo che prevedono strategie diverse. Le staminali vengono prelevate dallo stesso paziente: alcuni utilizzano quelle del midollo, altri quelle dei muscoli (ma quest'ultime hanno provocato disturbi al ritmo cardiaco). Alcuni le iniettano direttamente nel muscolo cardiaco, altri nelle coronarie. Chi subito dopo l'infarto acuto, chi dopo qualche giorno. Solo i risultati delle ricerche diranno qual è la tecnica migliore. È partito proprio nei giorni scorsi il Progetto europeo, denominato Application and process optimization of stem cell products myocardial repair (1.900.000 euro), a cui parteciperanno 10 centri in Italia, Germania, Olanda, Polonia, coordinato dall'Istituto dermopatico dell'Immacolata di Roma, e che coinvolgerà una trentina di pazienti. Ed è proprio nell' ambito della presentazione del progetto che sono emersi i risultati ottenuti al Monzino. Dei quattro malati trattati, tre hanno ricevuto oltre all'intervento di by pass coronarico un' iniezione di cellule staminali. La quarta solo staminali. «I test funzionali che sono seguiti ai trattamenti - ha spiegato Pompilio - hanno dato risultati positivi e si sono potuti documentare i miglioramenti della funzione del cuore». «Fino a oggi - ha precisato Maurizio Colognesi-Capogrossi, direttore del Laboratorio di patologia vascolare dell'Idi e coordinatore del Progetto europeo - nelle diverse sperimentazioni sull'uso di cellule staminali nella riparazione dei danni da infarto, sono state impiegate cellule differenti». Alcune derivate dal midollo osseo, dal tessuto adiposo, dal muscolo scheletrico, dallo stesso tessuto cardiaco. I migliori risultati si sono avuti su alcuni tipi originati dal midollo osseo, mentre le performance peggiori dalle cellule muscolo- scheletriche che danno aritmia. «Ora invece vogliamo una cellula staminale che sia in grado di sopravvivere a lungo e che funzioni come le cellule proprie del tessuto cardiaco. Ma, nonostante gli importanti risultati ottenuti fino ad oggi in questo campo - ha concluso Capogrossi - siamo ancora lontani dall'avere certezze sulla riparazione dei danni al cuore». II prossimo obiettivo è, quindi, approfondire quei meccanismi che consentono alla cellula staminale di diventare cellula miocardica. Nel mondo trecento pazienti sono in cura con questa nuova tecnica sperimentale. E in Italia per la prima volta un uomo affetto da ischemia cronica ha registrato un recesso della malattia ___________________________________________________ Il Giornale 11 lug. ’04 GRAZIE ALLA GRAVIDANZA LE DONNE VIVONO PIÙ A LUNGO Gli scienziati pensano di avere scoperto perché le donne in media vivono più a lungo degli uomini. II segreto della longevità femminile è racchiuso nella gravidanza: le cellule del feto in via di sviluppo passano nel midollo osseo della madre durante le prime fasi della gestazione. Secondo i ricercatori del Queen Charlotte's Hospital di Londra che hanno effettuato la scoperta, le cellule trasmesse dal feto potrebbero ringiovanire quelle della madre stessa aiutandola cosi a riparare i danni dell'organismo e a combattere le malattie. Lo studio pubblicato oggi sulla rivista britannica The Lancef potrebbe dunque spiegare come mai le donne che hanno avuto figli sono meno predisposte a soffrire di artrite, sclerosi multipla e cancro al seno. ___________________________________________________ Il Giornale 11 lug. ’04 UN MECCANISMO RIPARATORE PER GUARIRE DA INFARTO E ICTUS Grazie al loro fiuto infallibile per l'aria viziata, cellule staminali si muovono senza perdersi nei meandri dell'organismo e vanno a riparare danni ai tessuti. A scoprire la toro tattica e le molecole che fungono da richiamo nella sede del danno è stata l'équipe della New York University School of Medicine. Imitando i meccanismi molecolari scoperti, spiegano gli scienziati sulla rivista Nature Medicine, il comportamento naturale delle cellule riparatrici potrebbe essere intensificato al punto da incrementare l'efficienza della riparazione endogena messa in atto dal nostro corpo dopo un danno, per esempio in seguito a un trauma, un infarto o un ictus. Gli scienziati ritengono che debba esistere un meccanismo capace di attivare tutto l'ingranaggio, partendo dalla stimolazione dal fattore Hif-t che si attiva in ambiente colpito da anomalie. ___________________________________________________ Il Giornale 11 lug. ’04 LE ANALISI DEL SANGUE DEGLI INGLESI SI FARANNO IN INDIA PER ABBASSARE I COSTI da Londra I bilanci dello Stato hanno bisogno di manovre votate al risparmio? In Gran Bretagna hanno trovato il rimedio: per tagliare i costi della sanità pubblica il governo sta infatti pensando di far fare in India gli esami del sangue e delle urine dei pazienti. Nel paese asiatico, infatti, un tecnico che lavora in un laboratorio per le analisi cliniche può essere ingaggiato per poco più di 6.000 euro all'anno, circa un terzo del salario di un tecnico britannico. Un bel risparmio anche considerando le spese di invio dei campioni da analizzare dall'altra parte del mondo. Alcuni ospedali privati britannici stanno già sperimentando questo sistema che potrebbe ridurre i costi degli esami di circa un terzo. Ora Srl Ranbaxy, una società indiana che opera nel settore delle anali si cliniche affiliata alla Fortis Healthcare, ha presentato una simile proposta al ministero della Sanità nel tentativo di espandere lo schema anche al settore pubblico. Alcuni esperti di patologia tuttavia, scrive il tabloid DailyMail, avvertono che lo schema potrebbe rivelarsi dannoso per i pazienti in quanto la qualità e l'attendibilità degli esami potrebbero risultare compromesse. «Sono preoccupato del fatto che i test di laboratorio e la loro qualità vengano considerati separatamente dall'interpretazione clinica dei risultati data da patologi adeguatamente preparati che lavorano all'interno del servizio sanitario nazionale», ha detto il professor lames Underwood, presidente del Royal College of PatologiSTS. Preoccupati sono anche i 15.000 tecnici di laboratorio che lavorano nelle strutture pubbliche del paese che temono di dover affrontare una competizione dall'Est simile a quella che ha già gravemente colpito il settore informatico e dei call center. E la conferma che le loro preoccupazioni sono legittime arriva proprio da Harpal Singh, presidente di SRL Ranbaxy, che ha dichiarato: «Come nel settore informatico ed in quello dei servizi, il settore sanitario indiano ha raggiunto una maturità sufficiente». La società stima che circa il 40% degli esami clinici condotti in Gran Bretagna potrebbe essere eseguito nei laboratori indiani, anche se un portavoce del ministero della Sanità non ha confermato che per il momento vi sia allo studio il piano. Li un biologo percepisce un terzo di un collega britannico. Il ministero per ora nega, ma in 15.000 rischiano il posto ___________________________________________________ Libero 13 lug. ’04 UN VIRUS LA CAUSA DEL CANCRO AL SENO E stato rintracciato nei tessuti di pazienti di ogni continente WASHINGTON - [l.s.] Tra le cause del tumore al seno potrebbe esserci un virus in parte ancora misterioso-, è ,quanto emerge da un nuovo studio Usa, condotto da un team della George Washington University (a Washington) diretto da Paul Levine. Gli studiosi sono giunti a questa conclusione dopo aver esaminato campioni di tessuto canceroso mammario prelevati a pazienti di tutto il mondo; le analisi effettuate hanno rivelato la presenza in essi di un virus chiamato Mmrv (che sta per "mouse mamrrxary' tumour virus"), un agente patogeno noto perla sua capacità di causare tumori mammari nei topi. Più in particolare, Levin ha rintracciato la presenza di questo microrganismo nel 74 per cento dei campioni prelevati da pazienti tunisine, nel 42 per cento dei campioni provenienti dall'Australia e percentuali lievemente inferiori in quelli provenienti da Stati Uniti, Argentina e Italia (in quest'ultimo caso il virus è stato rintracciato nel 38 per cento dei campioni). Stando a Levine si profila la possibilità che i tumori mammari umani siano collegati in qualche modo alla presenza di Mmtv; resta tuttavia ancora da dimostrare in modo esaustivo che tale virus sia in grado di provocare il cancro anche negli esseri umani. A favore di quest'ultima ipotesi si schiera la distribuzione geografica delle suddette percentuali, che, secondo lo studioso americano, sarebbe compatibile con quelle registrate nei topi. Ma secondo Helen Graham ricercatrice inglese che si occupa di tumori mammari, il numero globale dei campioni esaminati da Levine è piuttosto esiguo, e per una risposta definitiva sono necessari quindi studi di più ampio respiro. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 16 lug. ’04 NUOVA MOLECOLA IMPEDISCE IL CONTAGIO DEL VIRUS Nelle sperimentazioni in laboratorio ha funzionato nel cento per cento dei casi Una crema contro l’Aids Una nuova molecola potrebbe impedire il contagio del virus Hiv sulle donne. La scoperta vale una speranza e nel campo della ricerca questo vuol dire già un successo. Ma vale soprattutto 3,8 milioni di euro stanziati dalla Commissione Europea per continuare lo studio e, se tutti i test saranno positivi, creare un prodotto per la prevenzione del contagio dell’Hiv a basso costo e quindi utilizzabile anche nei paesi più poveri ma anche più colpiti dal virus. La molecola MC1220 è nata a Roma, ma sarà l’Università di Cagliari, in collaborazione con partner italiani e europei, a sperimentarla. In sostanza, si agisce sulla mucosa vaginale, là dove avviene il contagio. La funzione di quella che sarà presumibilmente una crema, dovrebbe essere come quella di un profilattico. Si creerà una sorta di filtro che impedirà al virus di penetrare nell’organismo e infettarlo. Se così fosse, almeno nelle donne sarà possibile prevenire la malattia. Ieri mattina, nell’aula magna della facoltà di Architettura di Cagliari, il virologo Paolo La Colla ha spiegato quali sono le tappe del progetto Shiva, di cui è il coordinatore e che dovrà portare alla creazione di questa crema da usare prima, durante e nella migliore delle ipotesi anche fino a poche ore dopo il rapporto sessuale e che sarà in grado di uccidere il virus. "Speriamo di creare un prodotto da usare una volta a settimana, che magari potrebbe funzionare anche come rimedio del giorno dopo, entro poche ore dal contagio e prima che il virus si sia moltiplicato". "Forse, speriamo, dovrebbe", non c’era frase senza condizionali nel discorso del virologo. La prudenza è d’obbligo, in questi casi, non ci sono certezze. Quello che è sicuro, però, è che la molecola in vitro, cioè negli esami di laboratorio, ha avuto successo nel cento per cento dei casi. Quello che i ricercatori hanno fatto non è stato altro che prendere delle cellule e inserire la molecola prima, durante o dopo averle infettate con il virus. I risultati sono sorprendenti. Dopo 40 giorni nessuna cellula ha sviluppato l’hiv. Difficile allora non farsi prendere dall’entusiasmo per dei risultati mai raggiunti da altre molecole sperimentate e che agivano con lo stesso principio di prevenzione. "Il fatto che siano efficaci in laboratorio non significa però che daranno gli stessi risultati sulle cavie animali e poi sull’uomo", tiene i piedi per terra il virologo. Il segnale è comunque incoraggiante. E il progetto quadriennale Shiva va dunque avanti. Iniziato appena quattro mesi fa, la fase uno, quella della dimostrazione dell’efficacia della molecola nel prevenire la moltiplicazione del virus ha già dato risultati positivi. Si tratta ora di verificare se MC1220 agisce sui diversi tipi di virus esistenti. Funziona con quelli diffusi in Usa e in Europa, ma il grande risultato sarebbe che agisse anche su quello dell’Africa dove c’è il maggior numero di malati. La fase due inizierà a marzo 2005 e prevede la sperimentazione sulle scimmie, cui saranno iniettati il virus e la molecola. Se i risultati confermeranno quelli di laboratorio, un anno dopo, nel 2006, la molecola sarà testata su donne che hanno molti rapporti sessuali non protetti, su prostitute quindi che daranno il loro consenso a usare il farmaco. Non ci potrà essere certezza che abbiano contatti con uomini malati, ma sicuramente aumentano, rispetto alla norma, le possibilità. "La molecola non ha effetti sulla flora batterica vaginale e non è tossico", spiega ancora La Colla. Sulla carta, meglio, in laboratorio, funziona. Ci vorranno tre anni per vedere se la speranza si trasformerà in realtà e per sapere se l’università di Cagliari avrà avuto un ruolo centrale nella prevenzione di una delle malattie più temibili del secolo. Alice Guerrini ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 lug. ’04 LA SPERANZA CONTRO L’AIDS ARRIVA DA UNA POMATA VAGINALE Lo studio del virologo Paolo La Colla esce dai laboratori per essere sperimentato sugli animali e poi sulle donne CAGLIARI. Gli addetti ai lavori la chiamano MC1220, una molecola capace di inibire il virus dell’Aids, distruggendolo. I profani, invece, se tutto andrà come si spera, la chiameranno semplicemente "pomata": un preparato rivoluzionario che permetterà alle donne di avere una protezione completa, e in assoluta indipendenza dal partner, contro l’Hiv. Sarà questo il futuro della prevenzione? La sfida è ambiziosa, a lanciarla sono undici gruppi di ricerca sparsi tra Europa e Africa. Guidati dall’Università di Cagliari, dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche: è qui che lavora Paolo La Colla, virologo e coordinatore del progetto. Un progetto, il suo nome è Shiva, finanziato dall’Unione europea con una cifra ragguardevole: 3, 8 milioni di euro, assegnati dopo una selezione severissima. Un traguardo importante per Paolo La Colla, sessant’anni, una vita passata tra insegnamento e ricerca, impegnato sin dal 1990 nello studio. "Tutto è cominciato - racconta - con il Progetto Aids, uno dei più bei progetti guidati dall’Istituto superiore di sanità: cento milioni di lire ogni anno, per dieci anni". Altri tempi: tempi in cui "ricerca", significava possibilità d’acquisto di nuove apparecchiature, borse di studio, possibilità di costruirsi il proprio gruppo di lavoro. "Da lì a breve cominciò la collaborazione col professor Marino Artico, dell’Università la Sapienza di Roma: loro isolavano le molecole, noi facevamo i test". È così che è stata isolata la molecola MC 1220, capace di "fulminare" il virus dell’Aids. Da lì, alla richiesta di ammissione ai finanziamenti all’Unione europea il passo è stato breve. Così a marzo si è cominciato con la nuova sperimentazione: "Abbiamo preso alcune cellule bersaglio e le abbiamo bombardate con migliaia di cellule infette - dice La Colla - contemporaneamente, ad alcune cellule abbiamo dato la molecola MC 1220". Il risultato? Nelle cellule cui non era stata data la molecola, il virus dell’Hiv si è propagato, nelle altre invece, è stato letteralmente ucciso. "Questo - dice La Colla - ci dà la speranza di arrivare alla fine a qualcosa che funzioni: un microbicida che prodotto sotto forma di crema vaginale, diventi un’efficace alternativa al profilattico". Ad incoraggiare i già entusiasmanti risultati, sono stati recentemente gli esiti di nuove sperimentazioni, secondo cui la molecola pur essendo micidiale nei confronti del virus dell’Hiv, sarebbe comunque non dannosa per la flora vaginale. A questo punto molti dubbi sono ancora da sciogliere: la molecola funziona con tutti i sottotipi di virus Hiv? E ancora, è efficace solo se applicata prima di un rapporto sessuale a rischio, oppure potrebbe esserlo anche dopo? E se sì in che misura? Andrebbe applicata ogni giorno o anche solo una volta la settimana? Le risposte le daranno le sperimentazioni che a breve partiranno sulle scimmie. Dopo un anno, se ancora una volta i risultati saranno positivi, si comincerà ad arruolare volontarie, soggetti a numerosi rapporti sessuali e a frequenti cambi di partner. Se l’obiettivo più semplice è quello di un prodotto da usare prima del rapporto, quello più alto è un prodotto da usare a posteriori, ben tollerato e accessibile: una soluzione per i paesi in via di sviluppo, quelli dove si concentra il 90% dei casi di Aids. Sabrina Zedda ___________________________________________________ La Stampa 16 lug. ’04 IL FUTURO DELLA GOMMA DA MASTICARE ALLO STUDIO APPLICAZIONI TERAPEUTICHE NATA CIRCA 150 ANNI FA, E’ ANCORA UN PRODOTTO IN PIENO SVILUPPO: NEI PROSSIMI ANNI POTREBBE DIVENTARE UN MODO PER SOMMINISTRARE VACCINI RILASSA i nervi e i muscoli, allenta la tensione nervosa, aiuta nell'attenzione alla guida. Nelle razioni militari statunitensi era presente già nelle guerre mondiali: rilassava, ma allo stesso tempo aiutava a stare svegli e in allerta. Si tratta della gomma da masticare, incubo di maestri e professori, il cui uso si perde nella notte dei tempi. Già gli antichi greci e i popoli mediorientali masticavano una resina che ottenevano dalla corteccia di una varietà di lentisco; le donne, in particolare, l'apprezzavano perché rendeva l'alito fresco e puliva i denti. In America i Maya usavano allo stesso scopo il lattice della sapotilla, pianta delle foreste pluviali; i pellerossa, invece, la resina dell'abete nero. I coloni inglesi, osservando questa abitudine, non si fecero sfuggire l'occasione e, all'inizio dell'800, crearono un commercio di zollette di quella sostanza, poi soppiantata da cera di paraffina. L'era della moderna gomma da masticare cominciò però più di mezzo secolo dopo. Antonio Lopez de Santa Anna, conquistatore di Forte Alamo e più volte presidente del Messico, in esilio negli Stati Uniti incontrò Thomas Adams, giovane fotografo newyorchese che si voleva dare al commercio. Il messicano gli propose un affare, dicendosi convinto che il giovane avrebbe saputo come fare a mischiare opportunamente gomma e lattice di sapotilla per creare ruote per le carrozze. L'esperimento fallì: che fare di tutto il lattice acquistato? Adams rimuginava un'idea molto poco ecologica: gettarlo nell'East River. Il fiume fu salvato da una ragazzina che all'emporio in cui egli era entrato a fare la spesa chiedeva un chewing gum di paraffina da un penny. La classica lampadina si accese nella testa dell'uomo. Ecco come utilizzare le scorte rimaste: quante volte, emulando i messicani, aveva masticato quel lattice chiamato chicle. A proposito, una curiosità: da questo nome, deformato, deriva la "cicca" di certe parti d'Italia. Brevettati i primi macchinari per la produzione della gomma da masticare, Adams dette a quest'ultima vari sapori, tra cui famoso è rimasto quello alla liquirizia. Gli anni che seguirono videro un susseguirsi di innovazioni. John Colgan, farmacista di Louisville, per primo aggiunse lo zucchero; Edward Beeman, medico dell'Ohio, pensò a una formulazione contenente pepsina, per aiutare la digestione; William White, venditore di popcorn di Cleveland, scoprì che mescolare sciroppo di mais ed aromi prima di unire questi ultimi al lattice li faceva permanere più a lungo. Egli stesso introdusse l'arcinoto gusto di menta piperita; chiamò quella formula Yucatan e la portò a far conoscere a Edoardo VII re d'Inghilterra. Gli aromi di frutta e di menta verde si devono invece a William Wrigley, la cui ditta presto divenne la maggior produttrice mondiale. Durante il proibizionismo venne molto in voga il gusto di garofano, ideale per camuffare l'odore di alcol nel respiro. Il 1928 segnò poi una novità importante: la gomma che faceva le bolle, commercializzata come Double Bubble. Ben presto si pensò a un uso che non fosse di solo piacere. Già nel 1899 Franklin Canning aveva creato Dentyne (forma contratta per dental hygiene), benefica per i denti. Poco dopo il 1960 arrivarono le formule prive di zucchero e nel 1978 fu brevettata la prima gomma contenente nicotina, per aiutare chi voleva smettere di fumare. In farmacia si trovano anche gomme contro il mal d'auto o il mal di mare, oppure contenenti vitamina C o fluoro, elemento utile in gravidanza - per i futuri denti del nascituro - e nei bambini. L'assorbimento di sostanze utili attraverso le mucose della bocca avviene in modo graduale; ha il vantaggio che i succhi gastrici non lo rallentano, e allo stesso tempo lo stomaco non viene danneggiato. Per il futuro non si sa cosa ci possiamo aspettare. Studi in corso fanno sperare che una semplice masticatina ci vaccini contro la carie e l'influenza. E per i problemi d'impotenza la Wrigley ha brevettato gomme al Viagra, che però potranno essere in commercio solo nel 2011, quando scadrà il brevetto del farmaco. Per ora si può dire che la gomma da masticare è di grande aiuto per l'igiene orale: rimuove i residui di cibo e stimola la salivazione, rallentando il crescere della placca. Questo è ancor diminuito se come sostituto dello zucchero è presente lo xilitolo, dolcificante vegetale, come segnala Pier Francesco Porciani, professore del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentale all'università di Siena. Utile quindi che due importanti produttori dolciari italiani, la Perfetti e la Loacker, distribuiscano sul mercato gomme di questo tipo. Anna Buoncristiani ___________________________________________________ La Stampa 14 lug. ’04 LE TECNICHE DELL’ODONTOIATRIA MANDIBOLE FINTE PER IL DENTISTA PRIMA DI PROCEDERE ALLA COLLOCAZIONE DELLA PROTESI VERA E PROPRIA SI PUO’ PROGETTARE L’IMPIANTO SU UN MODELLO STEREOLITOGRAFICO UN modello in resina della propria mascella o mandibola, permette ora di andare dal dentista con maggior tranquillità: l'implantologo può pianificare l'iter terapeutico studiando il modello, e solo successivamente procedere all'intervento vero e proprio e alla collocazione della protesi. Ciò avviene a quattro-sei mesi dall'intervento chirurgico se si è scelto il carico ritardato oppure entro le 24 ore se le condizioni anatomiche consentono di optare per il carico immediato. «I modelli stereolitografici - spiega Emilio Francini Naldi, implantologo - inizialmente si sono usati per simulare interventi chirurgici complessi come quelli delle malformazioni craniche congenite nei bambini o per sistemare protesi d'anca. L'applicazione in odontoiatria evita al paziente molte sedute, attese, nervosismo, in quanto si opera dapprima sul modello, e soltanto quando tutto il lavoro è stato attentamente pianificato, si posizionano gli impianti, in alcuni casi anche senza incidere la gengiva e fissando la protesi in bocca immediatamente, dal momento che questa è stata costruita prima sul prototipo». Il modello stereolitografico si ottiene facendo una Tac della mascella o della mandibola i cui risultati vengono inviati a un’azienda che, con apposita apparecchiatura e in tempi brevi, restituisce la riproduzione dell'osso con una approssimazione inferiore a 0,4 millimetri. Se necessario si può fare anche il modello separato della gengiva, utile per la preparazione delle guide chirurgiche. Con i due modelli l'odontoiatra può valutare la reale dimensione ossea del sito che riceverà l'impianto, ma soprattutto costruire una guida chirurgica che fornisca la giusta inclinazione e la profondità d'inserimento degli impianti e che guidi le frese durante la perforazione. Pia Bassi ___________________________________________________ La Stampa 14 lug. ’04 PER IL TELARCA ATTENZIONE SENZA ALLARMI IL telarca è una patologia che si manifesta nelle bambine con lo sviluppo precoce di una o entrambe le mammelle prima dell'ottavo anno di vita. La manifestazione è benigna e l'ingrandimento mammario è privo di pigmentazione dell'areola mammaria e dei capezzoli in bambine sotto i tre anni. L’andamento è ciclico, alternato da momenti di maggiore o minore sviluppo mammario, sino alla regressione spontanea senza compromettere la crescita della statura e l'inizio dello sviluppo puberale. Varie le ipotesi sulla causa. La più probabile, il temporaneo aumento degli ormoni femminili dovuto alla transitoria attività della ghiandola ipofisaria. In alternativa, un aumento di sensibilità della mammella agli ormoni femminili che possono esser presenti in modeste quantità prodotti dall'organismo. Oltre a queste cause naturali, vanno prese in considerazione possibili esposizioni acute o prolungate a contaminazioni ambientali o alimentari con estrogeni. Le sostanze chimiche impiegate in numerosi processi produttivi possono residuare principi attivi ad azione estrogenica in sostanze materiali di impiego quotidiano, nell'ambiente ed in alcuni casi, attraverso le filiere produttive, contaminare gli alimenti. Tra questi, quelli che destano maggiore attenzione sono le diossine, i policlorobifenili, i pesticidi, i fenoli presenti in alcune materie plastiche gli alchifenoli presenti in quasi tutti i detersivi e detergenti; questi ultimi non svolgono attività ormonale come tali, ma possono acquisirne le caratteristiche nelle fasi di degradazione. Anche frutta, verdura, cereali presentano ancora un'elevata contaminazione da sostanze impiegate per migliorarne la crescita. I campioni irregolari in Piemonte per il 2001 ed in Italia nel 1998 sono risultati dell'1,3%. La presenza di più residui nello stesso campione, pur entro i limiti consentiti dalle norme, è stata riscontrata nel 20% dei controlli in Piemonte e nell''1% di quelli a livello nazionale. Un ruolo può essere svolto anche dagli ormoni impiegati in modo fraudolento per l'ingrasso degli animali da reddito come dimostrano gli episodi di ginecomastia e telarca verificatisi negli anni '80 a causa di omogeneizzati contaminati da un estrogeno di sintesi: il dietilstilbestrolo. Nel 2000 la Commissione europea ha confermato il divieto permanente dell'ormone naturale estradiolo 17 beta, ed il divieto provvisorio per gli ormoni progesterone, testosterone, zeranolo, trembolone e melengesterolo acetato, per dare il tempo ai ricercatori di completare le indagini sull'effettivo rischio in cui potrebbero incorrere i consumatori. "Attualmente - precisa Bartolomeo Griglio, responsabile dell'Ispezione e Controllo degli alimenti di origine animale della Asl 8 di Chieri (Torino) - le carni e i prodotti di origine animale risultano essere tra gli alimenti più controllati. I risultati delle indagini per la ricerca di ormoni in Piemonte (regione particolarmente attenta al problema della sicurezza alimentare, ndr) nel 2001 hanno evidenziato irregolarità nello 0,34% dei controlli, mentre in Italia lo 0,35% nel triennio 1997-1999 su oltre 60 mila campioni". Gli fa eco Roberto Lala, endocrinologo pediatra all'infantile Regina Margherita di Torino che spiega: "Al di là di pochi casi acuti eclatanti, modificazioni del sistema endocrino da parte di contaminanti ambientali o alimentari non sono ancora del tutto dimostrate anche a causa della specificità e alla varietà delle azioni svolte dai diversi presidi impiegati e dalla loro combinazione nell'alimento e nell'organismo umano. I dati attualmente disponibili non consentono di attribuire cause specifiche ai casi di telarca riscontrati, che rientrano in un fenomeno parafisiologico che si manifesta in un numero elevato di bambine, ma tende a regredire spontaneamente senza conseguenze per la salute". Occorre quindi, per gli esperti, evitare ingiustificati allarmismi senza però abbassare la guardia nei confronti dei controlli volti a individuare e ridurre le contaminazioni chimiche legate all'uso di sostanze potenzialmente pericolose per migliorare i prodotti alimentari o derivanti dall'inquinamento ambientale. Anche le mamme possono fare la loro parte evitando l'acquisto di alimenti a prezzi troppo bassi ed adottando, soprattutto per i bambini, una dieta il più possibile varia. Ernesto Bodini ___________________________________________________ La Repubblica 15 lug. ’04 NUOVI MATERIALI E TECNICHE ANTI-ANEURISMI Nuovi materiali e metodiche mininvasive per gli aneurismi cerebrali. Si muore di più e sempre più spesso sono i pazienti giovani a pagare con la vita la rottura dellanomala dilatazione vascolare. L'unica cura era fino a dieci anni fa l'intervento neurochirurgico. Oggi c'è il trattamento neuroradiologico endovascolare. Quale è la migliore? Se lo sono chiesti neuroradiologi e neurochirurghi intervenuti al recente congresso sugli aneurismi cerebrali che si è tenuto a Vietri sul Mare. Da uno studio (Isat, International subaracnoid aneurysm trial) pubblicato su Lancet nel 2002, emerge che con la metodica mininvasiva il rischio morte è più basso del 22.6 per cento rispetto all'intervento classico. "I dati sono così confortanti", dice Giovanni Sirabella, primario neuroradiologo dell'ospedale San Leonardo di Salerno, "che il trial clinico previsto della durata di due anni con l'arruolamento di 2.500 pazienti, è stato interrotto dopo aver tenuto sotto controllo 2.143 soggetti per soli 12 mesi". La procedura senza bisturi usa una sonda indirizzata nella sede dell'aneurisma. "La spirale che si trova in cima alla sonda", spiega Sirabella, "viene portata a destinazione, cioè all'interno della dilatazione vasale, per essere poi lì rilasciata, occludendo così la sacca aneurismatica". La spirale, di materiali tecnologicamente evoluti, è il raffinato congegno che va ad occupare la sacca dell'aneurisma, escludendola dal circolo vascolare e, quindi, impedendone una rottura fatale. "Una soluzione alternativa", puntualizza Renato Saponiero che fa parte dello staff di Sirabella, "è l'impiego di uno stent che può correggere il restringimento di un vaso oppure rimodellarlo per facilitare l'introduzione della spirale". I nuovi materiali, costituenti le "spirali attive" sulla ricostruzione della parete arteriosa rappresentano un punto a favore della metodica endovascolare. Raffaele Elefante presidente dell'Associazione italiana di Neuroradiologia ed Enrico de Divitiis ordinario di Neurochirurgia all'università Federico II di Napoli condividono i vantaggi del protocollo: "Le procedure minime sostituiranno sempre più spesso le ampie terapie chirurgiche dei vasi. Ma è fondamentale prevedere un lavoro di équipe multidiciplinare". (giuseppe del bello) ___________________________________________________ La Repubblica 15 lug. ’04 OBESITÀ ADDIO CON LA "REGOLA DEL QUATTRO" Non solo dieta: occorre bruciare in attività fisica un numero di calorie quadruplo rispetto al peso di Alessandra Margreth Muoversi fa bene, ma quanta attività fisica occorre fare per mantenersi entro i giusti limiti di peso, e prevenire possibili future malattie? Ora c'è la "regola del quattro", utile ricetta che consente di calcolare quante calorie bruciare per tenere sotto controllo la bilancia. In sostanza, bisogna consumare 4 calorie al dì per ogni chilo del proprio peso (200 per chi pesa 50 Kg, 280 per chi ne pesa 70 ecc) oltre a quelle spese nelle normali attività quotidiane (di natura sempre più sedentaria), in un'attività fisica a scelta. La regola, apparsa su Obesity Reviews, è stata proposta al convegno "Physical Activity, Obesity, and Health", di recente a Milano. L'attività fisica non deve essere per forza spiacevole (anzi...): si può camminare per oltre un'ora di buon passo, andare in bicicletta o ballare. Ma anche un paio d'ore di giardinaggio ottengono l'effetto desiderato, così come mezz'ora di tennis o qualcosa in meno di nuoto (tab.). Ognuno deve scegliere le attività preferite, senza sforzi, molto più importante è la regolarità del movimento quotidiano per mantenere il peso sotto controllo. Spesso infatti si tende a parlare delle calorie mettendole in relazione alla dieta, mentre è altrettanto importante il "consumo" legato all'attività fisica. Le diete, insomma, non bastano a prevenire sovrappeso e future conseguenze. Secondo i dati Oms (2002) l'inattività fisica sarebbe la causa di 1,9 milioni di morti all'anno nel mondo; la sedentarità causerebbe globalmente il 10-16 per cento dei casi di cancro del seno, del colon e diabete, e circa il 22 per cento dei casi di malattie cardiovascolari. Il 60 per cento della popolazione mondiale non raggiungerebbe i livelli di attività fisica che sarebbero indispensabili per la salute. "Trenta minuti di attività fisica Spiega Klaas Westerterp, Università di Maastricht, "da svolgersi se possibile quotidianamente, sono in grado di ridurre il rischio di malattie croniche come diabete e patologie cardiovascolari. Tuttavia, ma mancano dati certi, per evitare di assumere peso o di riacquistare chili dopo averli perduti, dovrebbero essere necessari circa 60- 90 minuti di attività fisica moderata o un tempo inferiore di attività intensa". Le sane abitudini andrebbero adottate fin da bambini, quando invece si comincia ad essere pigri. Colpa anche della tv, ricorda Claudio Maffeis, pediatra, Università di Verona: "I bambini italiani sono sempre più sedentari. Ogni ora trascorsa davanti al piccolo schermo aumenta del 6 per cento il rischio di diventare obesi, rischio aumentato di un altro 30 per cento se la tv è in camera da letto". Aggiunge Riccardo Bonadonna, endocrinologo all'Università di Verona: "La sindrome metabolica, ritenuta responsabile di un significativo numero di malattie e morti dovute a problemi cardiovascolari, è legata all'inattività fisica. Studi recenti dimostrano che la sedentarietà è un fattore di rischio per obesità, diabete, e malattie cardiovascolari. ___________________________________________________ Le Scienze 17 lug. ’04 LA POLITICA NON DECIDE SUI TEMI BIOETICI I diversi campi della ricerca andrebbero discussi separatamente In un articolo pubblicato sul numero del 10 luglio della rivista "The Lancet", Carol A. Tauer del Centro di Bioetica dell'Università del Minnesota, negli Stati Uniti, discute dei recenti fallimenti delle organizzazioni internazionali nello stabilire politiche chiare riguardo alla ricerca sulle cellule staminali e sulla clonazione a scopi riproduttivi. Secondo Tauer, i fallimenti avranno gravi implicazioni per i ricercatori, senza sufficienti certezze sul tipo di programmi di ricerca che potranno essere finanziati pubblicamente o che saranno permessi legalmente in futuro. Tauer sottolinea come l'anno scorso due organismi internazionali non siano riusciti a risolvere controversie legate a temi di bioetica. Per prima, l'assemblea generale delle Nazioni Uniti non è riuscita ad approvare un trattato sulla clonazione riproduttiva a causa dell'insistenza di alcuni paesi per includere anche un veto sulla clonazione a scopo di ricerca. Secondo Tauer, l'importanza di emanare una legge sull'argomento avrebbe reso preferibile separare i due aspetti e valutarli ciascuno per contro proprio. In secondo luogo, l'Unione Europea non ha trovato un accordo sui finanziamenti delle ricerche sulle cellule staminali a causa delle differenti politiche dei diversi paesi dell'unione. Lo stallo nelle trattative farà sì che le decisioni sui finanziamenti nel prossimo futuro verrano prese caso per caso. ___________________________________________________ Le Scienze 16 lug. ’04 UN TEST PER IL TUMORE DELLA PROSTATA La crescita dei livelli di PSA aumenta il rischio di decesso Un esame del sangue per individuare il tumore della prostata in un paziente potrà anche prevedere la probabilità di morire per la malattia. Il test si basa sulla teoria secondo cui i pazienti con un cancro della prostata producono livelli alti di una proteina chiamata PSA (antigene specifico della prostata). Ma il nuovo studio, condotto da ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston e pubblicato sulla rivista "New England Journal of Medicine", suggerisce che il fattore più importante sia piuttosto il tasso di incremento di PSA. Gli autori hanno scoperto che quando i livelli di PSA crescono di almeno due punti nel corso dell'anno precedente l'intervento chirurgico, un paziente su quattro è destinato a morire per la malattia entro i successivi sette anni. Si tratta di un tasso superiore di dieci volte rispetto alla media dei malati di tumore della prostata, il tipo di cancro più comune nei pazienti maschi. Se invece i livelli di PSA aumentano lentamente prima dell'intervento chirurgico, ci sono poche probabilità che il paziente soccomba alla malattia. "Lo studio - commenta il principale ricercatore, Anthony D'Amico - fornisce per la prima volta prove solide sull'efficacia dell'esame del PSA come possibile indicatore del rischio di decesso per il tumore della prostata". Lo scienziato consiglia agli uomini di 35-40 anni di sottoporsi a esami annuali per determinare il proprio livello di base di PSA.