LISTE APERTE PER SCEGLIERE I DOCENTI - ATENEI, LA RABBIA DEI DOCENTI - ATENEI, «NO» ALLA RIFORMA - RICERCATORI CONTRO LA RIFORMA - RICERCATORI UNIVERSITARI VERSO IL BLOCCO DEI CORSI - PISA, PALERMO, FERRARA, RICERCATORI, PROTESTA OVUNQUE - UNIVERSITA’, CRESCE LA PROTESTA DEI RICERCATORI - LA REGIONE DIA RISPOSTE CERTE AI LAUREATI TRIENNALI - TOSI: L'UNIVERSITA’ HA TROPPI CANTIERI APERTI - RICERCA., L'ATTESA DEI CERVELLI GABBIA - LA RIFORMA E’ UN CANTIERE SENZA FINE - FONDI PER LA RICERCA, LA MORATTI A MANI VUOTE - RICERCA, IL FUTURO HA L’ORO IN BOCCA MA SERVONO LEGGI - PIU’ LIBERTA’ ALLA RICERCA - IN FORSE LA RIFORMA DELLA RIFORMA - IL FUMOSO PROGETTO DEL MINISTRO MORATTI - DOCENTI, LA CARRIERA BASATA SUL MERITO - PRIMI INGEGNERI CON "DOPPIA LAUREA" MILANO-PAVIA - PIU’ COMPUTER NELLE CLASSI: MA SONO SEMPRE PIU’ VECCHI - LAUREE SANITARIE: RIFACCIAMO I TEST DI INGRESSO - 2005, ANNO MONDIALE DELLA FISICA - MASTER PER INSEGNARE «A DISTANZA» AI MEDICI - BIOINFORMATICA A CACCIA D'INFORMAZIONI NASCOSTE - POCHI «PICCOLI» SCIENZIATI - ECCO LA VITA SENZA INTERNET - ================================================================== GIUDICI, IL DILEMMA DELL'ERRORE IN CORSIA - I BISTURI FANTASMA DEL POLICLINICO - SOS DEGLI INFERMIERI: «DATECI UN CONTRATTO, BASTA COL PRECARIATO» - OLTRE DUECENTO PAZIENTI, NELLA CLINICA «FINLANDESE» - IL PONTE DELLA CITTADELLA RESTA CONGELATO - MIRACOLI" TECNICI AL SERVIZIO DELLA CHIRURGIA - LA GENETICA NUOVA FRONTIERA DELLA LOTTA AL CANCRO - RIVALITA’ BINOCULARE - GRAVIDANZA E CANNABINOIDI - UNA SUPER TUBERCOLOSI - NUOVE ARMI NELLA LOTTA AL CANCRO AI POLMONI - INFEZIONI INFANTILI E LONGEVITA’ - E ORA SI SCOMMETTE SULLA «NANO-ORGANICA» - GLI ANZIANI GRANDE SFIDA DELLA MEDICINA - ================================================================== _____________________________________________ Il Sole24Ore 21 Sett.04 LISTE APERTE PER SCEGLIERE I DOCENTI Nei concorsi le commissioni dovrebbero dichiarare idonei tutti quelli che ne sono degni, senza limiti numerici: alle facolta’ il compito poi di assumere, a seconda dei bisogni, all'interno dell'elenco DI DARIO ANTISERI Questa e’ la situazione della docenza universitaria in Italia: 36.633 sono i docenti di ruolo (18.131 ordinari e 18.502 associati); 2lmila i ricercatori. Di questi, piu’ di mille sono ultra sessantenni; 7.600 ultracinquantenni; 6.500 tra i 40 e i 50 anni; solo 200 sono sotto i 30 anni. Nel giro di 16 anni, vale a dire entro il 2020, andranno in pensione, raggiunti i 70 anni, circa 23mila docenti di ruolo - e, precisamente, 13.977 ordinari e 9.977 associati. Di conseguenza, il problema di trovare un buon sistema per il reclutamento dei docenti a’ davvero "il" problema della’ nostra universita’. La commissione Cultura della Camera ha licenziato un testo relativo allo stato giuridico dei docenti universitari, in cui il ruolo dei ricercatori viene posto a esaurimento e, dove, simultaneamente, vengono fissate le nuove modalita’ dei concorsi per professori ordinari e associati. Per ciascuna fascia (di ordinari e associati) e per i diversi settori scientifico-disciplinari, «il numero massimo dei soggetti che possono conseguire l'idoneita’ scientifica e’ pari al fabbisogno indicato dalle universita’, incrementato di una quota non superiore al 20 per cento». Le commissioni giudicatrici vengono elette a livello nazionale e si prevede «la partecipazione, in queste commissioni, di docenti designati da atenei dell'Unione europea». La durata dell'idoneita’ scientifica e’ «non superiore ai cinque anni». Le universita’, con procedure disciplinate da propri regolamenti, coprono i posti di prima e seconda fascia con un primo incarico di durata non superiore a tre anni, rinnovabile eventualmente per altri tre anni. «Entro tale periodo le universita’, sulla base di una valutazione di merito secondo modalita’ e criteri definiti dall'universita’ stessa, possono nominare in ruolo il medesimo docente, ovvero docenti titolari di incarico presso altro ateneo». Qui, di seguito, alcuni rapidi rilievi che sottopongo all'attenzione dei lettori del Sole-24ore e, in particolare, dei colleghi universitari. 1)La carriera universitaria e’ una delle piu’ lunghe e difficili. Viene da chiedersi: quanti sono o saranno in grado di sopportare anni e anni di insicurezza? Che poi un ricercatore sia maggiormente stimolato a produrre qualora lo si lasci vivere in stato di precarieta’ e’ semplicemente una sciocchezza. 2) E’ palpabile, all'interno delle nostre universita’, una diffusa ostilita’ nei confronti dei ricercatori, quasi fossero un branco di fannulloni, con un posto di ruolo che li appagherebbe privandoli di ogni stimolo per la ricerca e la docenza. Simile ostilita’ e’, nella generalita’ dei casi, completamente immotivata. Tutti siamo a conoscenza di ricercatori che sono fior di uomini di scienza, con ottimi curricula, e bravissimi docenti. 3) Nessuno degli attuali ricercatori ha intrapreso la carriera universitaria con la mira di restare ricercatore a vita. Se molti ricercatori hanno segnato il passo e’ perche’ non sono stati per loro chiesti concorsi; se alcuni di loro non hanno prodotto un granche’, la causa non ultima di cio’ va anche ricercata nel fatto che da anni sono impegnati in grossi "carichi didattici", supplendo non di rado i "loro" ordinari indaffarati magari in lucrosi studi privati. E gli ordinari che all'unanimita’ affidano insegnamenti anche di discipline fondamentali a ricercatori, si guardano poi bene di chiedere concorsi per loro. 4) La proposta del nuovo regolamento dei concorsi tenderebbe - come e’ stato ripetuto anche in questi giorni - a eliminare lo "scandalo" del localismo. Ora, in primo luogo, non si capisce perche’ se un ricercatore ha dato per anni buona prova di se’ all'interno di una facolta’, sia nel campo della ricerca che in ambito didattico, una facolta’ non dovrebbe essere ben felice nel vedere un giovane progredire nella carriera e nel desiderare di non farselo sfuggire. I candidati "locali", in breve, sarebbero degli asini quasi ex definitione; mentre gli "esterni" no. Come se gli "esterni" non fossero "locali" di altri "loci". 5) Senza tirare in ballo la mentalita’ scientifica, e’ questione di semplice buon senso porre attenzione alle conseguenze. E la conseguenza non difficilmente prevedibile della nuova proposta sara’, contrariamente ai fini attesi, il piu’ rigido localismo. Difatti, nel caso che un associato si senta pronto per l'ordinariato, e’ chiaro che chiedera’ alla facolta’ di bandire il posto solo se avra’ una qual certa sicurezza sulla disponibilita’ dei colleghi a chiamarlo e se si sara’ accertato che la comunita’ scientifica di riferimento e’ ben disponibile nei suoi confronti - altrimenti seguitera’ a essere associato. Dunque: o il piu’ rigido localismo o blocco dei concorsi. 6) Una commissione "nazionale" sarebbe in grado di assicurare obiettivita’ e imparzialita’. Mi chiedo: da chi mai sono composte siffatte commissioni nazionali? Parziali e non obiettivi nelle commissioni attuali, i nostri docenti subirebbero una improvvisa metanoia appena immessi in una commissione nazionale. Una nuova Pentecoste portera’ la salvezza alla nostra universita’: non piu’ consultazioni previe, non piu’ patti "scellerati", non piu’ maggioranze (variabili dalla sera alla mattina) interessate ai propri candidati e cosi’ via. 7) La proposta di includere nelle commissioni docenti designati da atenei europei (ma: perche’ solo europei?) non e’ una cattiva proposta. Ma solo a patto che docenti italiani vengano chiamati nelle commissioni degli altri Paesi europei o siamo diventati, agli occhi dei nostri politici, terra di trogloditi da colonizzare? 8) I concorsi attuali per professori di ruolo universitari si chiudono con due idonei per ogni posto messo a concorso. Se si presentano 20 candidati, e se su questi 20 ce ne sono, per esempio, 10 che meritano l'idoneita’, la commissione e’ costretta a promuoverne solo due e, per ,non incorrere in possibili ricorsi, i commissari si arrampicano sugli specchi per formulare giudizi in qualche modo limitativi nei confronti degli altri otto meritevoli. Ed e’ cosi’ che commissari coscienziosi escono dal concorso con l'animo a pezzi e sensi di colpa. E i candidati meritevoli e non idoneati con il disgusto di una ingiustizia subita e di un'umiliazione non meritata. 9) Una via ragionevole e praticabile per risolvere il problema del reclutamento dei docenti universitari esiste, e da tempo, e consiste nella proposta della lista aperta. Le commissioni dichiarano idonei tutti quelli che ne sono degni. E questo e’ il compito della comunita’ scientifica. Dopodiche’, le singole facolta’, a seconda delle loro esigenze, chiameranno i docenti scegliendoli all'interno delle liste degli idonei. Si tratta di una proposta in grado di rispettare il lavoro dei ricercatori, di non mettere in imbarazzo morale le commissioni e di offrire alle facolta’ la possibilita’ di ampie scelte. Questa e’ la proposta che, nella situazione attuale, risulta la piu’ liberale. 10) Si obietta: la proposta della lista aperta genererebbe troppi idonei, i quali poi farebbero pressione per ottenere un posto di ruolo all'universita’. Replica: a) se il Paese e’ cosi’ fortunato da aver prodotto parecchi ricercatori di livello, perche’ la comunita’ scientifica non lo dovrebbe ufficialmente riconoscere?; b) in una lista aperta ricercatori di talento almeno non sarebbero bocciati; c) per gli idonei che non venissero chiamati dalle facolta’ o che non optassero per specifiche professioni (magistrati, avvocati, tributaristi, architetti, ingegneri, dirigenti di azienda, psicologi ecc.) si potrebbero immaginare vie preferenziali - in base alle loro competenze - per l'ingresso nella pubblica amministrazione o nello scuola secondaria superiore. E solo Dio sa quanto ce ne sarebbe bisogno. Ulteriore e piu’ recente obiezione: ci sono degli illustri docenti e insigni ricercatori i quali sono contrari alla lista aperta. Ma, a parte che questo e’ un locus ab auctoritate facilmente rovesciabile, verrebbe qui da ripetere che "grandi uomini possono commettere grandi errori". E, a mio avviso, il loro (sicuramente non intenzionale) grande errore e’ un errore di irresponsabilita’ nei confronti delle generazioni future. E questa la strada giusta per non penalizzare i ricercatori di talento _____________________________________________ Il Manifesto 24 Sett.04 ATENEI, LA RABBIA DEI DOCENTI La legge Moratti sulle universita’ arriva in aula alla camera e in tutta Italia riesplode la protesta. Lezioni bloccate in decine di atenei. Allo sciopero dei ricercatori partecipano anche i professori. Anno accademico a rischio Lezioni universitarie a rischio: negli atenei torna la protesta proprio mentre la camera sta per discutere la legge che riforma la docenza universitaria, alla quale si somma la drammatica carenza di fondi. Stavolta il la’ alla mobilitazione lo danno quelli che in teoria dovrebbero essere «i garantiti»: i docenti e i ricercatori strutturati, segno che la misura e’ ornai colma. Il Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari ha annunciato nei giorni scorsi l.'indispcrnibilita’ dei ricercatori a ricoprire incarichi didattici di supplenza e affidamento fino a quando il ddl Moratti non sara’ ritirato. Protesta a cui hanno aderito subito i docenti di molti atenei, causando il blocco delle lezioni e in qualche caso il rinvio dell'anno accademico: accade a Roma e Milano Bicocca, ma anche nelle universita’ toscane e della Calabria, a Lecce, Palermo, Padova e Venezia. Si calcola che almeno il 45% delle lezioni universitarie italiane sia tenuto da ricercatori. [In compito che per legge non competerebbe loro. I professori ordinari e associati solidarizzano con la protesta e si impegnano a non ricoprire i corsi scoperti. Ad innescare la miccia la decisione della ministra Moratti di non ritirare il ddl di riforma dello stato giuridico dei docenti (che cancella la figura di ricercatore) ma anzi di accelerarne l'approvazione alla camera. Nell'universita’ della Calabria l’anno accademico slitta di 15 giorni. A Roma Tor Vergata e a La Sapienza il rinvio sara’ di una settimana, ma ieri si sono dimessi tutti i presidenti dei consigli di area didattica di ingegneria. A Padova, Medicina e chirurgia, accade altrettanto: una protesta - scrivano i docenti - che tenta di sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema cruciale per lo sviluppo stesso del paese». E' evidente che tutti i nodi degli anni scorsi stanno venendo al pettine. I ricercatori protestano per la cronica mancanza di fondi, accusano lo stato di «disimpegno verso l’universita’ pubblica», criticano la massiccia «precarizzazione del lavoro», il blocco delle assunzioni e la mancata entrata in servizio di chi ha vinto il concorso, Anatole Fiiksas, uno dei ricercatori che ha vinto la lotta dell'anno scorso ed e’ finalmente al lavoro a Cassino, rilancia l’allarme: «I problemi non riguardano questa o quella categoria ma l'universita’, pubblica italiana nel suo complesso, il governo la vuole smantellare». Fuksas pensa che sia sempre piu’ necessaria una protesta di sistema- dagli studenti ai rettori - e fa temere che potrebbe affacciarsi la tentazione di affidare i corsi rifiutati dai ricercatori di ruolo ai precari, manovalanza piu’ ricattabile. Timori che Sonia Gentili, della Rete dei ricercatori precari (Rnrp), nega decisamente: «I precari non faranno i crumiri, se i ricercatori di ruolo si mobilitano lo faremo tutti insieme, come l'anno scorso; la legge Moratti deve essere ritirata». Ormai e’ una lotta per la sopravvivenza, fa capire Barbara de Rosa del Coordinamento ricercatori senza presa di servizio: «Gia’ il blocco delle assunzioni ci fa sentire come fantasmi, ma se passa il ddl Moratti scompariremo del tutto, perche’ la legge ci dichiara una `categoria in esaurimento». La pausa estiva dei lavori parlamentari non sembra aver portato consiglio alla ministra. L’impianto complessivo della sua legge e’ sostanzialmente identico, ad eccezione dell'articolo 1 che sancisce il principio della valutazione e tutela l'autonomia degli atenei. A palazzo Chigi e’ imminente la presentazione del piano nazionale di ricerca (2004-2006), gia’ approvato dal Crtr. Secondo le indiscrezioni il governo puntera’ sulle indagini finalizzate, promettera’ un aumento dei fondi e incoraggera’ gli investimenti privati. Le solite promesse: sembra infatti che in finanziaria sta previsto il blocco degli aumenti automatici degli stipendi nella scuola e nelle universita’. Soluzioni drastiche che farebbero lievitare la protesta ancora di piu’. la responsabile universita’ dei Ds, Flaminia Sacca’, sostiene le ragioni della protesta: «Le universita’ sono allo stremo, e’ emergenza per i pochi finanziantenti e per i giovani ricercatori, ma per tutta risposta il governo non finanzia le riforme gia’ fatte, blocca le assunzioni e istituisce un sistema di precariato infinito che scoraggerebbe chiunque», «Moratti ha gettato nel caos tutto il sistema educativo, e ricostruire sara’ piu’ difficile che distruggere» aggiunge il verde Mauro Bulgarrelli. Paolo Saracco (Cgil) annuncia che il sindacato sta gia preparando manifestazioni interregionali (si partira’ dal nord est a Padova), ma aggiunge che «se la legge Moratti arriva in aula ricorreremo a ogni forma di protesta nell'ambito della legge». _____________________________________________ Il Sole24Ore 18 Sett.04 ATENEI, «NO» ALLA RIFORMA Chiesta al ministro la tutela dei diritti dei ricercatori Due documenti di critica da parte della Crui e del Cun ROMA • II mondo accademico dice "no" alla riforma dello status giuridico dei docenti universitari. Proprio all'indomani del via libera delle Commissioni Finanze e Politiche europee della Camera al disegno di legge delega del Ministro dell'Istruzione, che ridisegna le carriere dei professori, torna a infiammarsi la protesta. La Crui (Conferenza dei Rettori delle universita’ italiane) e il Cun Consiglio universitario nazionale) hanno appena approvato due documenti che bocciano il ddl, mentre i sindacati e le associazioni di categoria dei docenti (Adu, Andu, Apu, Cisl-Universita’, Gnu, Snals-Universita’, Snur-Cgil, Uilpa-Ur) in un testo congiunto minacciano di bloccare le universita’ nel momento in cui il provvedimento — definito «pessimo non solo per il destino individuale di chi gia’ lavora o vuole lavorare ali'Uuiversila, ma soprattutto per il futuro dell'Universita’ nel suo insieme» — sara’ inserito nel calendario dei lavori della Camera. L'accelerazione dell'approvazione del provvedimento — che prevede, tra l'altro, il ritorno al concorso nazionale, la messa a esaurimento del ruolo dei ricercatori, il titolo di "professore aggiunto" per i ricercatori che hanno svolto attivita’ didattica, contratti a tempo determinato per i professori e i giovani che svolgono attivita’ di ricerca, la fine della distinzione fra tempo pieno e tempo definito e l'obbligo di 120 ore di didattica annuale — e’ giudicala «sconcertante» dalla Crui che, in un documento del Comitato di presidenza, si appella al ministro Moratti per «rivedere le modalita’ di reclutamento dei giovani, tutelando i diritti maturati dagli attuali ricercatori universitari» e «ribadisce la richiesta di un provvedimento a stralcio delle procedure concorsuali», un punto, quest'ultimo, pienamente condiviso dai rettori. La Crui chiede poi di «proseguire il confronto avviato con il Cun e il Miur» e ribadisce la convinzione che «una riforma significativa non possa che essere approvata contestualmente a una revisione radicale degli attuali meccanismi di attribuzione delle risorse finanziarie agli atenei». Anche per il Cun le risorse rappresentano un nodo centrale. «Senza un serio intervento finanziario — si legge nel documento appena approvalo dal Consiglio — la riforma potra’ avere solo esiti nulli o negativi». Secondo il Cun, inoltre, la «caduta della distinzione fra tempo pieno e tempo definito appare ingiustificata» mentre la «definizione dei rapporti di lavoro, dei meccanismi di formazione dei docenti, dei requisiti di ingresso alla professione e della valutazione in itinere non puo’ essere rinviata al successivo esercizio della "delega». Intanto, mentre martedi’ prossimo la Crui presentera’ la "Relazione 2004 sullo stato delle universita’ italiane", i Senati accademici delle universita’ di Pisa e di Palermo hanno firmato mozioni contro lo schema di riforma e i ricercatori dell'universita’ della Calabria hanno annunciato che «rinunceranno a tutti gli incarichi didattici fino a quando il ddl Moratti non sara’ ritiralo» AL.TR. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Sett. 04 RICERCATORI CONTRO LA RIFORMA CAGLIARI. La rivolta dei ricercatori dell'Ateneo parte dalla facolta’ di Scienze naturali. Ieri pomeriggio in consiglio di facolta’ e’ stata approvata all'unanimita’ una mozione che ribadisce la contrarieta’ alla soppressione della loro figura e va contro "un precariato lungo e dalle prospettive incerte". Contro, insomma, il disegno di legge del Governo Berlusconi che rivoluziona lo stato giuridico dei docenti universitari. Un provvedimento ancora in itinere, ma che se dovesse passare rischia di provocare il blocco dell'attivita’ didattica di molte universita’. Verrebbe cosi’ annullato il trenta per cento dei corsi attivati. Nessuna diserzione, comunque, perche’ per i ricercatori l'insegnamento non e’ definito come attivita’ obbligatoria. Gia’ a marzo, sempre durante una seduta del Consiglio di facolta’ di Scienze, si era discusso della riforma Moratti con un testo simile firmato da 47 su 60 ricercatori, ma allora nessuno aveva ritenuto credibile la possibilita’ del blocco dei corsi. Ora e’ diverso e se non ci saranno cambiamenti nel documento governativo "l'impossibilita’ di garantire un regolare avvio dell'anno accademico e di assicurare un'attivita’ didattica completa - si legge nel testo della mozione che verra’ inoltrata ora al Senato accademico - e’ un rischio reale". (d. ca.) _____________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Sett. 04 RICERCATORI UNIVERSITARI VERSO IL BLOCCO DEI CORSI CAGLIARI. E’ ormai alta tensione tra i ricercatori universitari di Cagliari e d’Italia, sul piede di guerra da ormai otto mesi. Oggi, nella Facolta’ di Scienze matematiche, fisiche e naturali, si terra’ una seduta in cui sara’ presentata una mozione in cui verra’ chiesto l’appoggio di tutti i ricercatori della facolta’. Simili iniziative sono state approvate dal senato accademico dell’Universita’ di Palermo, Padova e La Sapienza di Roma. In occasione dell’anno accademico, i ricercatori sono fermamente intenzionati a non presentare domanda per affidamenti dei corsi. Una soluzione che portera’ al blocco dei corsi, visto che la didattica nella facolta’ di Scienze matematiche fisiche e naturali e’ ricoperta per il trenta per cento dai ricercatori. Nel mirino dei ricercatori, dunque, il disegno di legge delega del Governo che ridefinisce lo stato giuridico dei professori e i meccanismi di accesso alla carriera accademica. Secondo i rappresentanti della protesta nazionale, i ricercatori sono la frangia piu’ colpita dal disegno di legge delega di Letizia Moratti (approvato dalla commissione Cultura della camera) che prevede l’eliminazione della loro figura professionale. La categoria e’ composta da ventiduemila persone che rappresentano un terzo della docenza. _____________________________________________ L’Unita’ 24 Sett.04 PISA, PALERMO, FERRARA, RICERCATORI, PROTESTA OVUNQUE ROMA Si allarga a macchia d'olio la protesta dei ricercatori nelle universita’ italiane: per ribadire il proprio «no» al disegno di legge delega sullo stato giuridico della docenza, hanno annunciato di essere pronti a bloccare l'avvio dei corsi, rendendosi «indisponibili» a ricoprire incarichi di supplenza e affidamento fino a quando il ddl non sara’ ritirato. Una protesta partita dal Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari e che sta raccogliendo decine di adesioni dal nord al sud. Il rischio che l'anno accademico parta «zoppicante» (con decine di corsi bloccati, dal momento che circa il 45% dei corsi totali dei vari atenei e’ tenuto da ricercatori) diventa sempre piu’ concreto. La lista delle adesioni, ha infatti confermato il responsabile del Coordinamento Marco Merafma, continua ad allungarsi. Ultimi, in ordine cronologico, ad aver aderito alla protesta, sono stati i ricercatori e i dottorandi della Facolta’ di Scienze dell'Universita’ di Roma Tor Vergata. In particolare, i ricercatori ribadiscono la propria opposizione al «disimpegno economico dello Stato verso l'universita’ pubblica; alla messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori universitari; alla precarizzazione del lavoro universitario e al reiterato blocco delle prese di servizio dei vincitori di concorso». All'iniziativa di protesta hanno pero’ gia’ uniti moltissimi altri atenei. Le punte maggiori di adesione (oltre il 75%) si registrano negli atenei di Firenze, Ferrara, Padova, Roma, Palermo e Pisa (in quest'ultimo partecipano alla protesta tutte le facolta’). In numerosi altre sedi, invece, a rimanere bloccate potrebbero essere da una a piu’ facolta’: e’ la situazione che, stando alle adesioni attuali, si prospetta negli atenei di Siena, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Venezia, Trieste, Milano, L'Aquila, Torino (Politecnico), Sassari, Lecce, Salerno, Napoli Federico II e Universita’ della Calabria. «Insomma, l'adesione alla protesta si allarga a macchia d'olio - ha affermato Merafina - e anche le facolta’ piu’ timorose hanno rotto gli indugi prendendo delle decisioni drastiche». Al momento pero’, ha sottolineato il rappresentante dei ricercatori, «con il ministro Moratti c'e’ un muro contro muro: se continuera’ in questo modo abbiamo tutte le intenzioni di alzare ulteriormente il livello della protesta».. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 Sett. 04 "LA REGIONE DIA RISPOSTE CERTE AI LAUREATI TRIENNALI" RIFORMA UNIVERSITARIA E CONCORSI SASSARI. L’anno accademico sta per ricominciare e niente e’ stato fatto per fare chiarezza sul riconoscimento legale del titolo di laurea di primo livello. Spetta alla Regione, secondo il ministero dell’Universita’ e Ricerca Scientifica, approvare le norme che vincolino gli enti locali ad ammettere i laureati triennali ai concorsi pubblici. Non sarebbe invece dello stesso avviso l’assessorato regionale alla Pubblica istruzione. In un incontro che si e’ tenuto a Cagliari tra i rappresentanti degli studenti dell’Associazione della facolta’ di Scienze politiche e l’assessore Elisabetta Pilia, quest’ultima ha evidenziato come la materia dell’accesso ai pubblici concorsi dei nuovi laureati non e’ competenza primaria della Regione ma dello Stato. Era stato invece il ministro Moratti a rispondere diversamente ad un’interrogazione del consigliere regionale Silvio Lai. Da Roma, a precisa domanda, si era detto che: "in riferimento all’ormai nota circolare Bassanini, spetta agli enti locali individuare quali siano i requisiti per l’accesso alle qualifiche non dirigenziali, previsti dai contratti collettivi di lavoro". La delegazione che si e’ recata a Cagliari era composta da Simone Campus, presidente dell’Asp, da Omar Hassan, rappresentante degli studenti nel Cda dell’Ersu, da Raimondo Derudas, presidente del consiglio degli Studenti, e da Giuseppe Bertotto, consigliere per gli studenti nel Cda dell’ateneo turritano. "Ricordiamo - scrivono dall’associazione di Scienze politiche - che molti studenti con la laurea di primo livello sono stati esclusi da concorsi pubblici riservati a laureati indetti da comuni e province sarde. Il presidente Soru si era impegnato durante la campagna elettorale, a ratificare la circolare Bassanini con un atto d’indirizzo che induca gli enti locali a tenere conto della riforma universitaria. Segnaliamo comunque la disponibilita’ dell’assessore Pilia che promuovera’ una riunione con i rettori delle due universita’ sarde per scegliere una strada d’azione comune". Sergio Ortu _____________________________________________________ Il Messaggero 24 Sett. 04 UNIVERSITA’, CRESCE LA PROTESTA DEI RICERCATORI IL DISEGNO DI LEGGE MORATTI L’ultima adesione formale e’ arrivata ieri dalla facolta’ di Scienze di Tor Vergata Si sta allargando a macchia d'olio la protesta dei ricercatori nelle universita’ italiane: per ribadire il proprio no al disegno di legge delega sullo stato giuridico della docenza universitaria hanno annunciato di essere pronti a bloccare l'avvio dei corsi, rendendosi «indisponibili» a ricoprire incarichi di supplenza e affidamento fino a quando il ddl non sara’ ritirato. Una protesta partita dal Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari e che, col passare dei giorni, sta raccogliendo decine di adesioni dal nord al sud. Il rischio, dunque, che l'anno accademico parta “zoppicante” (con decine di corsi bloccati, dal momento che circa il 45 per cento del totale dei vari atenei e’ tenuto da ricercatori) diventa sempre piu’ concreto. La lista delle adesioni, ha infatti confermato il responsabile del Coordinamento Marco Merafina, continua ad allungarsi. Ultimi, in ordine cronologico, ad aver formalmente aderito alla protesta, sono stati i ricercatori e i dottorandi della Facolta’ di Scienze dell'Universita’ di Roma Tor Vergata: «Riteniamo necessario attivarci urgentemente - scrivono in un documento approvato dall'assemblea - per difendere l'universita’ pubblica, che gia’ soffre di un impegno finanziario dello Stato inadeguato a sostenerne il funzionamento ordinario ed a rendere effettivo il diritto allo studio, e che con l'approvazione del DDL Moratti sarebbe definitivamente ridotta a luogo di basso livello di riproduzione della conoscenza e privata dei mezzi e delle possibilita’ per lo svolgimento di un'adeguata attivita’ di ricerca». In particolare, i ricercatori ribadiscono la propria opposizione al «disimpegno economico dello Stato verso l'universita’ pubblica; alla messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori universitari; alla precarizzazione del lavoro universitario e al reiterato blocco delle prese di servizio dei vincitori di concorso». Per questo, annunciano, «saremo indisponibili a ricoprire incarichi di supplenza, affidamento e ci asterremo dallo svolgimento di ogni attivita’ didattica allo scopo di ottenere il ritiro del DDL Moratti o l'interruzione formale del suo iter parlamentare». All'iniziativa di protesta hanno pero’ gia’ aderito moltissimi altri atenei. Al momento, ha sottolineato Merafina, le punte maggiori di adesione (oltre il 75 per cento) si registrano negli atenei di Firenze, Ferrara, Padova, Roma, Palermo e Pisa (in quest'ultimo partecipano alla protesta tutte le facolta’). In numerosi altre sedi, invece, a rimanere bloccate potrebbero essere da una a piu’ facolta’: e’ la situazione che, stando alle adesioni attuali, si prospetta negli atenei di Siena, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Venezia, Trieste, Milano, L'Aquila, Torino (Politecnico), Sassari, Lecce, Salerno, Napoli Federico II e Universita’ della Calabria. «Insomma, l'adesione alla protesta si allarga a macchia d'olio - ha affermato Merafina - e anche le facolta’ piu’ timorose hanno rotto gli indugi prendendo delle decisioni drastiche». Al momento pero’, ha sottolineato il rappresentante dei ricercatori, «con il ministro Moratti c'e’ un muro contro muro: Se continuera’ in questo modo - ha annunciato - abbiamo tutte le intenzioni di alzare ulteriormente il livello della protesta». Merafina ha quindi ribadito che i ricercatori sono pronti al dialogo _____________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Sett. 04 IN FORSE LA RIFORMA DELLA RIFORMA I ragazzi sono disorientati dalle formule come il 3+2 e il 4+1 Giurisprudenza l'anno prossimo potrebbe dare i numeri. Dall'attuale 3+2 si passerebbe dal 2005/6 all'1+4 o all'1+2, allo studio del governo e del ministro dell'Universita’ Letizia Moratti. Ma la conferenza dei presidi, e Francesco Sitzia e’ con loro, dice basta alle addizioni e opta per il 5 meno 2. Cosa significa questo minestrone giuridico-algebrico? Che l'anno prossimo andrebbe in pensione l'attuale ordinamento, un triennio di base piu’ un eventuale biennio specialistico (a regime dall'anno accademico 2001/2 e che sta laureando in questi mesi i primi dottori), per far posto a un corso di studi che ricalcherebbe la laurea tradizionale in leggi, ovvero quella attuale di secondo livello. La conferenza dei presidi, invece, propone il cinque meno due: "Formule a parte, questo non significa abbandonare l'attuale sistema, anzi migliorarlo. Oggi, se si finisce il triennio per esempio a febbraio, occorre immatricolarsi nuovamente per il biennio specialistico e non lo si puo’ fare prima di settembre, perdendo cosi’ mesi utili. Con il 5 meno 2 si salta la doppia iscrizione e si da’ la possibilita’ agli studenti di continuare per cinque anni e, nel caso, fermarsi prima". Sitzia in particolare non e’ molto favorevole a cestinare il 3+2: "Ancora non ne conosciamo vantaggi e difetti, perche’ allora non aspettare?". Ma qual e’, in percentuale, il rischio che il ministro Moratti riformi nuovamente l'universita’? "C'e’, indubbiamente, ma non saprei dire di piu’, anche perche’ negli ultimi dieci giorni non ho seguito molto l'iter". Rivoluzioni del domani a parte, il preside lamenta i problemi dell'oggi, cioe’ la cronica carenza di fondi: "Ormai non abbiamo piu’ i soldi neanche per comprare libri e riviste per aggiornare la biblioteca". (d. ca.) _____________________________________________ Il Sole24Ore 22 Sett.04 TOSI: L'UNIVERSITA’ HA TROPPI CANTIERI APERTI La conferenza dei rettori / Piero Tosi: «II cambiamento non puo’ cadere dall'alto» ROMA mLa revisione del 3+2 e’ «inopportuna», le risorse investite in universita’ e ricerca ancora troppo scarse e la riforma dello status giuridico dei docenti «non e’ finanziata». Sono questi i «cantieri sempre aperti» degli atenei italiani descritti ieri a Roma da Piero Tosi, presidente della Crui (la Conferenza dei rettori delle universita’ italiane) nel corso della sua «Relazione annuale sullo stato delle universita’». «L'universita’ italiana e’ disposta a cambiare pelle e lo sta gia’ facendo - ha detto Tosi - ma il cambiamento deve essere condiviso e non puo’ essere imposto dall'alto». La questione piu’ urgente e spinosa riguarda il nuovo status giuridico dei professori universitari. proposto dal Ministro dell'istruzione, Letizia Moratti: una legge che per Tosi «non e’ finanziata» e che «interviene in un'area delicatissima, senza affrontare in modo definitivo la condizione del docente, non risolvendo il problema della tutela dei ricercatori». Secondo i rettori, infatti, l'ipotesi di contratti a tempo determinato per i giovani che fanno attivita’ di ricerca «sarebbe accettabile solo se i livelli di retribuzione fossero vicini a quelli europei» e «se ci fosse la reale possibilita’ di concorrere all'inserimento nei ruoli». Anche il ritorno ai concorsi nazionali, previsto dalla riforma, incontra il favore della Crui ma «a condizione - sottolinea Tosi - che il numero degli idonei siano legato alle richieste degli atenei e che ci siano precise garanzie sul rispetto delle scadenze dei bandi». E mentre il testo di riforma e’ pronto per approdare in aula a Montecitorio, Tosi ha annunciato per il prossimo 30 settembre un incontro con il ministro Moratti per discutere su eventuali modifiche. La stessa maggioranza, nel corso di un vertice svoltosi nei giorni scorsi con il ministro, ha discusso della possibilita’ di introdurre ulteriori cambiamenti all'articolato definito dalla commissione Cultura della Camera. «L'attuazione della legge delega sul riordino dello status giuridico sara’ graduale e correlata ai necessari finanziamenti», ha assicurato il ministro Moratti, che ha espresso «piena condivisione sul disegno strategico della Crui» ribadendo l'intenzione di «allargare la base accademica attraverso l'immissione di nuove leve di ricercatori, che dovranno peraltro essere adeguatamente retribuiti». Ma anche la trasformazione del "3+2" nel nuovo "percorso a Y" non incontra il favore dei rettori perche’, ha sottolineato il presidente Crui, «interviene su una riforma ancora in fase di attuazione e che ha gia’ dato risultati positivi, come l'aumento del numero dei laureati del 15% nell'ultimo anno e la diminuzione del tasso di abbandono dal 70 al 39% in tre anni». Le risorse impegnate, poi, sono insufficienti. «Nel 2003 - ha detto Tosi - l'Italia si e’ piazzata all'ultimo posto tra i 25 Paesi dell'Unione europea per gli investimenti nella ricerca». Proprio sul nodo risorse e’ intervenuto il vicepresidente di Confindustria per l’Education, Gianfelice Rocca, secondo il quale «e’ necessario che i finanziamenti destinati all'educazione debbano crescere oltre il tetto massimo di spesa del 2%». Lo stato di salute dell'universita’ italiana mostra, comunque, qualche segno di ripresa, anche se la percentuale di Pil che l'Italia investe in istruzione e’ ancora la piu’ basse dell'Ue (0,9%). Secondo alcuni dati riportati ieri nel corso della relazione Crui, le immatricolazioni negli atenei italiani sono aumentate di 33mila unita’ in due anni, mentre gli abbandoni prima della laurea sono passati dal 24,3% del '98-99 al 18,5% del 2001-2002, tornando, pero’, a quota 20% nel 2002-2003. La percentuale dei laureati italiani e’ una tra le piu’ basse d'Europa (possiede il titolo 1'11% dei 25-44enni), ma tra il 1987 e il 2003, dice la Crui, il numero della lauree conseguite e’ passato da 78mila a 230mila. Tra il 1990 e il 2004 i docenti sono aumentati del 31,8% e gli studenti del 32,5%. Sempre piu’ donne scelgono la professione docente: nel 1981 le prof erano i124,4%, nel 2003 sono arrivate a quota 31 %. ALESSIA TRIPODI ___________________________________________________ La Stampa 22 Sett. 04 LA CRITICA DAGLI ATENEI: «LA RIFORMA E’ UN CANTIERE SENZA FINE» Universita’, i rettori contro la Moratti Il ministro replica: non facciamo passi indietro ROMA Lo stato giuridico dei docenti non puo’ essere affrontato se non in una cornice strategica che abbracci tutta l’universita’ (bocciato). Il contratto dei ricercatori puo’ si’ essere a tempo ma va allora adeguatamente retribuito (bocciato). I finanziamenti per l’universita’ restano solo una pia intenzione (pollice verso). La riforma della riforma crea solo confusione (bocciata). Le universita’ telematiche sono il corrispettivo didattico delle televendite di tappeti (il paragone e’ nostro- ndr), bocciate. Sono nette le bordate contro la politica del governo nelle 39 cartelle della «Seconda relazione sullo stato delle universita’ italiane», lette al presidente dei rettori delle universita’ italiane Piero Tosi, ieri pomeriggio all’Auditorium di Roma. Ma ci sono tuttavia apprezzamenti al ministro Moratti per la sua sensibilita’, e per la sua disponibilita’. Insomma - e’ il senso che se ne trae - il problema non e’ tanto la solista quanto il coro. E c’e’ anche una novita’ nella lunga relazione del professor Tosi, e cioe’ il tono di chi non intende piu’ rappresentare un’accademia arroccata sulla difensiva, che si deve difendere dalle accuse autoreferenzialita’ e di baronia, ma piuttosto una istituzione consapevole del proprio ruolo e perfino orgogliosa di esserne investita. Al punto che in sala stampa qualcuno ironizzava sulla manifestazione di ieri chiamandola «Il Tosi Pride». Di che cosa si lamentano i rettori? Intanto del fatto che l’identita’ «alta» dell’universita’, come istituzione di didattica e di ricerca, e’ minacciata da una proliferazione di pseudo-atenei telematici che sono solo trasmettitori freddi di conoscenze. Poi dell’insidia dei «troppi cantieri»: una riforma non ancora attuata e gia’ placcata da vicino dalla riforma successiva in itinere, per cui nella stessa universita’ possono coesistere tre studenti in tre regimi di studio diversi. Un caos assoluto. Inoltre del ddl sullo stato giuridico dei docenti- questione centrale - che ridefinisce il ruolo dei ricercatori senza dire che cosa accadra’ di quelli in servizio, rivoluziona il sistema concorsuale e stravolge il tempo di lavoro e di didattica. Una proposta percepita dalla categoria come una irruzione inavvertita della politica nel proprio campo. Infine c’e’ la vexata quaestio dei finanziamenti. Tosi ha riferito che «Il gia’ commissario europeo alla Ricerca, Philippe Busquin, ha rilevato che nel 2003 l’Italia si e’ piazzata all’ultimo posto tra i 25 paesi dell’Unione allargata per gli investimenti in ricerca». E questo nonostante sia stato riconosciuto il costante impegno del Ministro per perorare la causa dell’universita’ e della ricerca. Il ministro medesimo - presente all’assemblea - ha fatto sapere poi attraverso un comunicato, che condivide molte delle criticita’ espresse dal presidente dei rettori ma che, tuttavia, il ddl sul riordino della docenza non verra’ ritirato. Si sa anche che su questo tema e sulle assunzioni dei ricercatori Tosi e la Moratti si incontreranno il 30 settembre. Secondo il segretario dei ds Piero Fassino, la relazione di Tosi «e’ un atto di denuncia molto forte contro un Governo che in questi anni ha fatto una politica negativa verso l'universita’». Per il segretario della Cgil-scuola e universita’, Enrico Panini, le risorse per l’universita’ «sono costantemente in calo e i progetti di legge di iniziativa del Governo ostili allo sviluppo qualitativo dell'universita’», per questo - ricorda il sindacalista - partono fin da oggi iniziative di interruzione della didattica nei vari atenei. Il vicepresidente di confindustria per l’Education, Gianfelice Rocca ha proposto che i finanziamenti destinati all'educazione, e in particolare all'universita’, debbano crescere oltre il 2% previsto come tetto massimo di spesa, come segno concreto che questi settori rappresentano delle priorita’ per l'Italia. _____________________________________________ Il Sole24Ore 18 Sett.04 RICERCA., L'ATTESA DEI CERVELLI GABBIA Gli studiosi che sono rimasti in Italia sperano ancora nelle possibilita’ del cambiamento, nonostante le delusioni: burocrazia pesante, pochi finanziamenti, provette da lavare e concorsi ingiusti - Le testimonianze raccolte dall'Adi ROMA a «Fare ricerca in Italia e’ come nuotare col paracadute». «Emigrare e’ facile; e’ a restare in Italia che ci vuole coraggio». «Nel mondo delle universita’ e della ricerca ti devi abituare a sentirti giovane anche a quarant'anni: sei a carico della famiglia a tempo indeterminato e sei sempre a caccia di borse o contratti». Ecco alcune delle voci dei tanti «cervelli» italiani che non sono fuggiti all'estero o hanno deciso di tornare a fare ricerca tra i banconi e in mezzo a provette e microscopi di laboratori, universita’ e aziende di casa. E che ora scrivono un messaggio nella bottiglia: siamo pronti a restare, ma non fateci sentire «in gabbia». Il loro grido di aiuto suona ancora piu’ vivo dopo il forte appello di Confindustria, di giovedi’ scorso, a scommettere sul serio sull'innovazione made in Italy. Un allarme che sembra non trovare del tutto sordo il Governo che promette un rilancio, gia’ dalla prossima Finanziaria. Il menu’ delle misure a favore della R&S italiana non potra’, infatti, non tenere conto di loro. I tanti ricercatori, dottorandi, docenti tra i trenta e i quarant'anni a volte diventati imprenditori, magari con un passato di "cervello in fuga", che hanno deciso di restare. Anche se mal pagati e costretti a lavorare con budget di poche migliaia di curo, tra inefficienze, burocrazia e stipendi da fame. A raccogliere le loro storie, gli aneddoti e le loro confessioni spesso amare e’ l’Adi (l'Associazione che riunisce i dottorandi e i dottori di ricerca italiani) che sta per pubblicare un libro (per Avverbi editore) dal titolo eloquente: «Cervelli in gabbia». Tante storie diverse che sembrano, pero’, scritte da una sola mano: quella di chi critica e contesta il sistema di ricerca italiano e nonostante tutto continua a crederci. Eppure di motivi per sperare non ce ne sono tanti. La ricerca pubblica, anche quest'anno, dovra’ scavare il fondo del barile. Le risorse per il 2004 sono praticamente quelle dell'anno scorso: circa 50 milioni in piu’ per gli enti di ricerca (il 3% in piu’) e 300 milioni per il Fondo ordinario delle universita’ (+5 per cento). A questo va aggiunto il blocco delle assunzioni e una carenza cronica di ricercatori - sono circa 40mila nel pubblico e solo 20mila nel privato - che negli enti di ricerca e nelle universita’ hanno un'eta’ media media tra i 40 e i 50 anni. «Ci conforta - spiega Flaminia Sacca’, ex segretario dell'Adi, ricercatrice a Cassino e responsabile ricerca e universita’ dei Ds - sapere che il ministro Moratti sostiene la necessita’ di aumentare i ricercatori italiani, spero che questo auspicio si trasformi in realta’, investendo in questa Finanziaria, rimuovendo il blocco delle assunzioni e desistendo dal Ddl sullo stato giuridico della docenza, che mette di fatto a esaurimento proprio i ricercatori». Intanto, in attesa delle misure che saranno, il giovane ricercatore e’ meglio che non si faccia troppe domande. «In un certo senso - spiega, Christian Barbato, uno dei ricercatori ascoltati dall'Adi, se hai deciso di fare ricerca e’ meglio che non ti chieda il perche’». Barbato e’ assegnista al Dipartimento di Neuroscienze dell'Universita’ di Tor Vergata di Roma, dove ha svolto il suo dottorato, e collabora anche con il Cnr. Il suo e’ il perfetto identikit del "cervello in gabbia": «Arrivi in laboratorio e naturalmente non c'e’ un tecnico che si occupi di preparare i materiali per gli esperimenti e il tempo che dovresti impiegare per studiarne di nuovi, lo perdi lavando cilindri di vetro». Piu’ tardi dovrai occuparti di «rimediare piu’ materiali possibile», cercando i «prodotti piu’ economici» e cosi’ tra fax e fotocopie - «naturalmente non c'e’ personale amministrativo» - passa meta’ giornata. Alla fine, dopo anni di questa "routine" «ti convinci che fare il ricercatore in Italia significa lavare provette, fare fotocopie, mandare fax, amministrare finanziamenti da poche migliaia di curo e invecchiare da lavoratore precario a 5 curo all'ora». Non e’ molto diverso il destino di Fabio Monforti, 35 anni, dottore di ricerca in Fisica, attualmente impegnato all'Enea di Bologna, che ha visto molti dei suoi colleghi "fuggire" all'estero. Lui, nonostante le offerte, e’ rimasto in Italia perche’ «ci crede» e «per crederci ci vogliono qualita’ sovrumane» perche’ il sistema «ti rema contro», ti propone ostacoli «a livello gestionale o amministrativo», uniforma retribuzioni e riconoscimenti, a prescindere dall'impegno e dal rendimento del singolo. Allora perche’, conclude Monforti, rimanere in Italia? Perche’ si possono anche incontrare «persone degne ed entusiaste del loro lavoro» con cui «mettere su una piccola azienda che riesce a fare il miracolo di coniugare produttivita’ economica e qualita’ della ricerca». Per Alessandro Torcini, classe 1961, fisico e ricercatore mai assunto, la carriera accademica e’ stata un'odissea. Che gli ha insegnato un comandamento infallibile: «Ai concorsi vincono sempre i prescelti». Nel 2002, dopo 12 anni dalla laurea, 5 borse o contratti post-doc (di cui uno in Germania), 3 anni di insegnamento, circa SO pubblicazioni, 3 congressi organizzati, un paio di libri editi, cento o duecento domande di concorso spedite in tutto il mondo, «e’ arrivato il concorso per cui io ero il prescelto». Con una beffa: il blocco delle assunzioni. «Cosi’ al momento usufruisco di un assegno di ricerca per lavorare dove dovrei essere assunto». Infine, tra i ricercatori c'e’ anche chi ha deciso di fare il salto dall'altra parte, abbandonando, dopo 12 anni, la ricerca pubblica per un approdo piu’ sicuro in un'azienda farmaceutica. Una scelta che Giampiero Piccinini, dottore in biochimica, non rinnega, anzi: «Mi ero proprio stufato dell'ambiente - ricorda -, delle borse di studio da fame, delle meschinita’, di stare sempre a rincorrere i lavori degli americani senza neanche i soldi per la carta igienica...». Eppure quello che ha convinto Piccinini a "lasciare" non sono stati i sacrifici: «La cosa peggiore e’ diventare come loro, i baroni, quelli che mantengono cosi’ il sistema, quelli che vanno in televisione a piangere sui guai della ricerca e poi vanno a Roma e non cambiano niente». A ,questo punto sorge spontanea una domanda: consigliereste a vostro figlio o a un amico di fare il ricercatore? Forse no. E cosi’ la pensano in molti: basta guardare il recente crollo delle iscrizioni alle facolta’ scientifiche (ben il 50% di matricole in meno per chimica, fisica e matematica). «E l'annuncio che la perdita di competitivita’ in Italia sta diventando strutturale - avverte Giampietro Ravagnan, docente dell'Universita’ di Venezia Ca' Foscari -, speriamo, per le nuove generazioni, che un accordo bipartisan possa far uscire dalle secche, in cui e’ ormai incagliata, la barca dell'innovazione italiana». MARZIO BARTOLONI _____________________________________________________ La Stampa 19 Sett. 04 RICERCA, IL FUTURO HA L’ORO IN BOCCA MA SERVONO LEGGI [CL801']«L'INNOVAZIONE dipende da individui creativi che sognano nuove idee e le traducono in realta’» scrive l'Economist, che questa settimana dedica al tema un inserto di 40 pagine. Vi si legge di videogiochi che diventano tecniche di produzione cinematografiche, di trucchi da film di fantascienza che diventano prodotti di comunicazione, di scarpe da ginnastica con micromotori che ne cambiano la configurazione correndo, di sistemi informatici che potrebbero rivoluzionare il modo di scegliere e acquistare prodotti. Vi si parla di idee improbabili che hanno avuto successo e di sviluppi che sembravano imminenti e non sono mai decollati. L'innovazione e’ elusiva: ex ante la si puo’ promuovere, ma solo ex post e’ dato conoscere quella vincente; la storia passata influenza gli sviluppi futuri, ma lungo direzioni che non si possono prevedere. Questa e’ la difficolta’ che si incontra nel disegnare politiche per l'innovazione: proverbiale il caso del Giappone, dove il MITI spese somme gigantesche per sviluppare i computer di quinta generazione, e fini’ per copiare i personal nati in un garage. «L'attenzione di un Paese nella ricerca e nell'innovazione e’ anche l'indicatore della sua voglia di futuro» scrive Ferruccio de Bortoli (Il costo del futuro, La Stampa, 16 Settembre): e allinea i dati desolanti di «un atteggiamento culturale, piu’ che economico, miope e rinunciatario». Io non credo che il problema stia nel costo della ricerca, come il titolo del suo editoriale potrebbe far pensare, e che il rimedio stia nel ridurlo. Del futuro, piu’ che quanto costa, importa quanto rende. Se un imprenditore appare "miope", e’ perche’ l'incertezza in cui e’ immerso il futuro gli consiglia di limitare il proprio orizzonte temporale e di perseguire il ritorno a breve. Se appare "rinunciatario" e’ perche’ conosce gli impedimenti che rendono il successo piu’ improbabile e i gravami che lo rendono meno allettante. Per aumentare la propensione a investire nel futuro, e’ sulle aspettative per il futuro che si deve agire, non sulla contabilita’ del passato. Ma davvero e’ pensabile che, riconoscendo un bonus fiscale che abbatta i costi, poniamo del 20%, si faranno ricerche che altrimenti sarebbero finite in un cassetto? Sgravi fiscali per le ricerche effettuate, come chiede Confindustria, riducono i rischi (anche se cosi’ si riduce la competizione e la selezione tra i progetti): ma per mettere il turbo ci vorrebbe la riduzione del carico fiscale sugli utili futuri generati dalla ricerca. La collaborazione tra imprese e universita’ e’ uno strumento potente di innovazione: ma non ci sara’ credito d'imposta che valga a svilupparla su basi solide, finche’ le universita’ continueranno a selezionare sia gli allievi sia i maestri con criteri diversi da quelli del merito, e finche’ i ricercatori, al contrario di quanto avviene negli USA, rimarranno nelle Universita’ che li hanno promossi, e li’ resteranno parcheggiati per anni, perche’ il sistema manda in cattedra i cinquantenni. Molto e’ quello che il pubblico puo’ fare per promuovere l'innovazione, ricorda Corrado Passera sul Sole 24 ORe di venerdi’: fornire infrastrutture, garantire il funzionamento dell'amministrazione e della giustizia, rimuovere il «clamoroso ostacolo» di una legge fallimentare datata anni Quaranta. E, aggiungo io, evitare di mandare segnali opposti alla politica che si vorrebbe attuare. Ho, in materia, ricordi inquietanti. Quando fu stipulato con l'Olivetti il «contratto di programma», si convenne di usare il finanziamento, centinaia di miliardi di vecchie lire, prevalentemente per nuovi sviluppi software. Ma per ottenere l'approvazione del piano, l'amministrazione richiese un segno tangibile. Cosi’, buona parte dei soldi, anziche’ per scrivere righe di software, fu giocoforza spenderla per costruire un edificio in cui ospitare i softwaristi ed i loro computer. Cosi’ il messaggio, forte e chiaro, fu che l'innovazione passa per il mattone... _____________________________________________ Il MAttino 22 Sett.04 FONDI PER LA RICERCA, LA MORATTI A MANI VUOTE Siniscalco: per ora nessun incremento ROMA «Con l'incremento del 10% del t'ondo per il finanziamento ordinario dell'Universita’ tutti i problemi sarebbero risolti». E si potrebbe lavorare tranquilli. Ma la richiesta formulata dal ministro Letizia Moratti nel corso di un incontro, tenutosi ieri sera a Palazzo ("bigi, con il ministro dell'Economia, Denteo Siniscalco e il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta, non ha dato gli esiti sperati. La Moratti ha chiesto 650 milioni di euro in piu’ all'anno, per cinque anni, per l'Universita’. In sostanza uno sfondamento del tetto del 2% imposto da Siniscalco. F.d e’ tornata a casa a mani parzialmente vuote. Ma e’ stato solo il primo round, perche’ la ricerca non puo’ piu’ aspettare e su questo punto ha convenuto anche il ministro dell'Economia. Sono diversi i nodi che ancora devo no essere sciolti, ma certo il piano ambizioso, quello nazionale pluriennale per la ricerca, appena approvato dal ministro Moratti, presentato al Cipe, ed annunciato a Confindustria (da tempo lamenta la mancanza di un rilancio della ricerca industriale), per il momento avra’ una battuta d'arresto anche se parziale. I punti sui quali potrebbe arrivare l'accordo sarebbero allo stato cinque, anche se sul «via libera» al ministero c'e’ molto scetticismo. Si parte dal taglio del l'irap sul personale che fa ricerca, un provvedimento piu’ volte annunciato dal ministro e condiviso da buona parte della maggioranza. Il taglio costerebbe allo Stato 284 milioni di euro. Non solo. C'e’ poi la questione del bonus fiscale per i ricercatori che rientrano in Italia, per i quali la Moratti ha chiesto 20 milioni di euro. L'altro punto e’ la proroga della Tecno-Trernonti fino al 2006 anche per far emergere le imprese innovative e i relativi progetti di ricerca. E il rifinanziamento dei Fondi destinati alla ricerca industriale (Fai ) e di base (Fibr). Per la ricerca di base le modalita’ della destinazione delle- risorse ipotizzata dal ministro e’ diversa rispetto al passato: non piu’ finanziamenti a pioggia ma una selezione dei progetti per la ricerca e lo sviluppo in ambiti specifici e strategici per il Paese. Ultimo punto gli sgravi fiscali per chi investe nella ricerca, ed e’ questo l'elemento che ha, in termini economi ci, il peso maggiore. Per il solo 2005, e’ stato calcolato, un impegno finanziario pari a 650 milioni di euro, prendendo in considerazione il volume degli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo. Un piano ambizioso che prevede come traguardo finale una spesa (entro il 2010) pari al 3% del prodotto interno lordo. Un obiettivo al quale pero’ non corrisponde nell'immediato la disponi bili tu di risorse che ora come ora mettono anche a rischio, non solo il piano di rilancio della ricerca ma, anche e soprattutto, le riforme in discussione, quali ad esempio il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari. C'e’ il rischio che anche quest'anno l'Italia, come e’ accaduto nel 2003, si piazzi all'ultimo posto tra i 25 Paesi Ue per gli investimenti nel settore. Un rischio ricordato ieri da Tosi che ha approvato la nuova fase del Cnr ed ha bocciato la creazione dell'Istituto di alta tecnologia di Genova (il Mit italiano) che entra in competizione con le Universita’. e.r. _____________________________________________ Il Sole24Ore 24 Sett.04 PIU’ LIBERTA’ ALLA RICERCA DI GIAN MARIA GROS-PIETRO II Programma nazionale della Ricerca 2004-2006 e’ all'esame del Cipe; la legge Finanziaria e’ in preparazione. E’ il momento delle decisioni per l'innovazione e per la competitivita’. Lasciando ad altri le valutazioni politiche, proviamo a vederne il lato manageriale. Le risorse scarse andrebbero messe dove rendono di piu’, in particolare dove possono attivare capacita’ sotto utilizzate. Nel campo dell'innovazione il nostro Paese conta tre formidabili bacini di capacita’ male utilizzate: le imprese minori, il sistema pubblico di ricerca, la collaborazione, gia’ esistente ma insufficiente, tra ricerca (pubblica e privata), industria e finanza. In ciascuno di questi bacini si deve ottenere il massimo effetto con il minimo sforzo. Le imprese piccole e medie attuano un'innovazione fortemente applicativa, che va rimodulata in continuazione. Un mestiere da .lasciare all'imprenditore e alla sua rapidita’ nel correggere gli errori, senza coinvolgere esperti e burocrati. Occorrono incentivi semplici, certi, stabili nel tempo, capaci di far partire innovazioni che altrimenti sarebbero accantonate. Se l'incentivo non e’ certo, se la sua durata nel tempo non e’ garantita, si avviano solamente progetti che sopravvivono anche senza. Pero’ su di essi si impostano ugualmente pratiche per ottenere l'aiuto, che se arrivera’ costituira’ una soprav-venienza per l'impresa e un poco efficace impiego di risorse per la collettivita’. Soprattutto se una parte delle risorse sara’ stata inghiottita dalle spese amministrative e burocratiche. Attualmente agli sportelli Far e Fit sono fermi in attesa di fondi progetti per 6 miliardi di euro, una cifra enorme nel nostro bilancio innovativo, un terribile segnale negativo per tutte le iniziative meritevoli di sostegno. Si abbia il coraggio di passare, per le iniziative di limitata dimensione, a incentivi totalmente automatici e stabili, facendo leva, nei limiti delle risorse disponibili, sull'iniziativa delle imprese. E si spiani con urgenza la montagna dei progetti fermi agli sportelli. Il sistema pubblico di ricerca e’ pagato dalla collettivita’: abbiamo diritto ad aspettarcene un ritorno anche in termini di posti di lavoro competitivi e attraenti. Come dirigere le energie intellettuali dei ricercatori verso scopi socialmente utili? In primo luogo lasciandoli piu’ liberi di creare, senza ingabbiarli in camere di tipo impiegatizio. Nessuno puo’ essere garantito della propria creativita’ futura. Un sistema che pretende di farlo espelle verso l'esterno i capaci. Soprattutto se non permette loro di accedere alle responsabilita’, magari proteggendo chi ha avuto il solo merito di invecchiare in salute. Gli eccellenti ricercatori italiani che arricchiscono i centri esteri sono uno spreco che deve cessare. Diamo loro piu’ liberta’ e piu’ responsabilita’. E anche piu’ prospettive, non nel senso di impiego a vita, ma in quello di un numero limitato di grandi temi indicati dall'alto, sui quali ricerca e industria possano investire risorse considerevoli per tempi sufficienti a raggiungere risultati. Valorizziamo le energie prigioniere nel sistema delle universita’ e della ricerca pubblica, in termini di compartecipazione economica ai risultati e ancor piu’ di responsabilizzazione scientifica. Solo se chi lavora per la collettivita’ arrivera’ ai posti di comando, avremo un sistema pubblico della ricerca piu’ capace di riprodurre, ai fini sociali, piu’ risorse di quelle che assorbe. La capacita’ di moltiplicare il valore delle risorse investite nella ricerca e’ tipica delle societa’ avanzate. Deriva dall'interazione di ricerca, industria e finanza, un circuito fatto di capitale umano, istituzioni e comportamenti difficilmente riproducibile; per questo costituisce un vantaggio competitivo cosi’ robusto. In Italia non mancano le persone idonee: ne abbiamo cosi’ tante e cosi’ brave che le vediamo collocate ai posti di comando di industrie, istituti di ricerca, compagnie finanziarie ai vertici mondiali. Pero’ quasi sempre all'estero. Abbiamo i pezzi del motore, ma il motore non gira e i pezzi si disperdono. Uno dei punti carenti del sistema, che forse ne potrebbe avviare il movimento, e’ proprio la finanza per l'innovazione. In Italia stenta perche’ il mercato e’ ristretto, quindi i costi sono elevati, quindi l'efficienza e’ penalizzante. Una iniziativa capace di incidere sui costi, per esempio fiscali, accompagnata dalla mobilitazione di limitati capitali potrebbe avviare il circolo virtuoso, in un momento in cui finalmente la domanda per questo tipo di interventi sembra affacciarsi. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 Sett. 04 IL FUMOSO PROGETTO DEL MINISTRO MORATTI Questo e’, infatti, l'anno della "grande riforma", fortemente voluta dal ministro Letizia Arnaboldi in Moratti, che per ora interessa esclusivamente la scuola primaria. E’ una riforma che, a sentire docenti, dirigenti e sindacati, avra’ vita molto difficile, perche’ nient'affatto chiara sia negli obiettivi che nell'organizzazione. Occorre dire, comunque, che una vera riforma, prima o poi, la si dovra’ pur fare, perche’ l'ennesima bocciatura del sistema scolastico italiano, da parte dell'Ocse (l'ufficio statistico dell'Unione europea), e’ ancora una volta implacabile. Soltanto il 45 per cento degli italiani raggiunge la maturita’ e meno della meta’ dei diplomati tocca il traguardo della laurea; ma quel che e’ peggio e’ che poco piu’ del 50 per cento dei nostri ragazzi raggiunge la licenza media. Dunque, una riforma ci vuole. Ma questa che tenta di decollare oggi e’ davvero quella giusta? Gia’ il precedente governo di centrosinistra si era posto il problema di allineare i parametri formativi dei nostri ragazzi a quelli europei, con la cosiddetta legge Berlinguer, che avrebbe dovuto decollare a regime fin dal 2001. Ma l'avvento del governo Berlusconi ha spinto subito per un nuovo progetto di riforma piu’ rispondente alla nuova filosofia "liberista", tanto da indurre la ministra a togliere dal suo ministero l'aggettivo "pubblica", assegnando a quella parola non il concetto storico di "scuola di tutti", bensi’ quello di antitesi all'aggettivo "privata". E molti degli atti legislativi del suo ministero tenderebbero a potenziare proprio il settore delle scuole private. D'altro canto, la legge nº53 del 28 marzo 2003, approvato dal Parlamento, e’ un vero e proprio decreto di delega al governo, al quale spetta cosi’ il compito di emanare i decreti attuativi, senza tuttavia stravolgere l'impianto basilare della legge stessa. Questo principio, pero’, secondo le parti sociali, non sempre viene rispettato. Nella legge di delega, ad esempio, nei paragrafi relativi all'organizzazione della scuola primaria non si parla affatto di insegnanti con un numero di ore prevalenti rispetto ad altri, all'interno dell'organizzazione scolastica, ne’ tanto meno di "tutor", a cui il decreto Moratti attribuisce orari, ruolo e funzioni che, in regime di autonomia scolastica, spetterebbero invece ai collegi dei docenti (mai aboliti), oltre che alla contrattazione sindacale. Su questo principio, si segnala una sorta di posizione di stallo un po' in tutta Italia, che difficilmente potra’ essere superato durante quest'anno scolastico. Tutto fermo invece per la scuola superiore. Troppo complicate le soluzioni proposte, quasi da "pasticcio pedagogico", e troppi soldi da cacciar fuori per la realizzazione. D'altro canto, l'Europa sembra essersi ormai rassegnata ai progetti fumosi del nostro Paese. Con buona pace dell'Ocse e delle statistiche. Franco Enna _____________________________________________________ Il Corriere della Sera 24 Sett. 04 DOCENTI, LA CARRIERA BASATA SUL MERITO Il piano della maggioranza: i professori si divideranno in iniziali, ordinari e esperti Benedetti Giulio ROMA - Docente «iniziale», docente «ordinario» e docente «esperto». Con un aumento, dal primo al terzo livello, di responsabilita’ e di retribuzione. Quanto? Con l' ordinario siamo nell' ottavo livello dell' inquadramento del personale dello Stato, con l' esperto entriamo nel nono. Fatta salva la contrattazione sindacale, qualche anno fa il doppio salto - un prof che diventava preside - equivaleva a 500 mila vecchie lire in piu’ nella busta paga. Al docente esperto viene riconosciuto il peso di qualche responsabilita’ in piu’: si occupa di formazione, di aggiornamento e di valutazione. Insomma, lavora di piu’. Ecco la carriera dei prof, cosi’ come l' intende la maggioranza. Un disegno di legge, intitolato «Statuto dei diritti degli insegnanti», frutto dell' unificazione di varie proposte, e’ all' esame della Settima Commissione della Camera. Il primo firmatario, Paolo Santulli (Fi), azzarda una previsione: «la Commissione potrebbe completare il suo lavoro entro ottobre». Nonostante il fuoco di sbarramento dei sindacati, l' idea della carriera dei prof va avanti. Lo slogan «no all' appiattimento, agli stipendi uguali per tutti a prescindere dal merito», e’ un po' datato. Ma la proposta guarda al futuro: ai nuovi 300 mila insegnanti che nei prossimi 10 anni colmeranno i vuoti prodotti dell' esodo ormai sempre piu’ prossimo dei docenti entrati negli anni ' 70. Per loro, i futuri professionisti della scuola, la proposta prevede organismi rappresentativi invece delle rsu e area contrattuale separata. LA CARRIERA - La progressione automatica per anzianita’ resta, nel senso che all' interno di ciascun livello sono previsti scatti biennali (come nel passato) che sopravvivono nei vari passaggi della carriera. Ma deve fare i conti con la Commissione permanente di valutazione della scuola. Se l' azione didattica e formativa del prof risulta inefficace e l' impegno professionale nell' istituto scarso - stiamo parlando di casi gravi e documentati - lo scatto biennale di anzianita’ viene temporaneamente sospeso. Se invece il docente e’ valido, la valutazione gli consente di acquisire crediti utili per la carriera. L' esame avviene ogni quattro anni. L' insegnante non puo’ passare al livello successivo prima di cinque anni. La carriera fondata sul merito funziona cosi’. L' ingresso nella professione avviene dopo il conseguimento della laurea specialistica e dopo il successivo tirocinio in una scuola, se questo si conclude con un giudizio positivo. A quel punto il laureato si iscrive all' Albo nazionale dei docenti e puo’ partecipare ai concorsi indetti dalle scuole attraverso un' apposita commissione presieduta dal dirigente. I LIVELLI - Siamo al livello iniziale, ovvero al settimo livello. Non ci sono limiti. C' e’ posto per tutti. Ma i successivi passaggi di carriera: docente ordinario e poi esperto, prevedono il numero chiuso. I posti sono programmati. L' ulteriore selezione, su un contingente di posti autorizzati, avviene per soli titoli. La Commissione permanente di valutazione della scuola stila le graduatorie degli aspiranti docenti ordinari dopo aver valutato le competenze professionali, dopo aver tenuto conto del giudizio del dirigente scolastico e dei crediti e dei titoli presenti nell' immancabile portfolio. I posti di «esperto» sono meno di quelli di «ordinario». La selezione diventa piu’ severa e si svolge, sotto il profilo amministrativo, a livello regionale. L' accertamento dei requisiti culturali e professionali avviene anche in ambito universitario. Lo strumento e’ quello del corso-concorso. COMMENTI - «Non c' e’ collegamento con l' organizzazione della scuola - dice Piero Romei, docente di teoria dell' organizzazione all' universita’ di Bologna -. La proposta non spiega cosa e’ il merito professionale». Giulio Benedetti LE NORME E IL DISEGNO DI LEGGE LA CARRIERA ATTUALE Tutti gli insegnanti a parita’ di anzianita’ percepiscono lo stesso stipendio. Il primo scatto automatico, con relativo aumento della busta paga, avviene dopo tre anni. I successivi tre scatti vengono calcolati ogni 6 anni, gli ultimi due ogni 7 IL DISEGNO DI LEGGE Il ddl, intitolato «Statuto dei diritti degli insegnanti», all' esame della Settima Commissione della Camera, prevede tre livelli che definiscono la carriera dei prof: docente «iniziale», «ordinario» ed «esperto». Ogni passaggio non potra’ avvenire prima di 5 anni LA COMMISSIONE Nei livelli vengono reintrodotti gli scatti biennali di anzianita’, ma una Commissione di valutazione potra’ sospenderli se giudichera’ scadente il lavoro del prof. L' esame cade ogni 4 anni: i «meritevoli» ottengono crediti per diventare ordinari o esperti I NUMERI 300mila insegnanti LA RIFORMA La nuova carriera ipotizzata dal ddl e’ rivolta ai nuovi 300.000 insegnanti che nei prossimi 10 anni dovrebbero sostituire quelli che andranno in pensione 4 anni GLI ESAMI LA RETRIBUZIONE Per diventare ordinario o esperto bisogna superare una selezione per titoli. Esami per guadagnare crediti si svolgono ogni 4 anni 3 livelli Con il passaggio di livello aumenta lo stipendio: la paga «iniziale» corrisponde all' attuale 7° livello d' inquadramento, quella dell' «esperto» al 9° _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 Sett. 04 PRIMI INGEGNERI CON "DOPPIA LAUREA" MILANO-PAVIA Gli studenti possono scegliere tra le specializzazioni e i servizi offerti da entrambi gli atenei PAVIA - Da ieri sono ingegneri meccanici laureati non in una sola ma in due universita’: l'universita’ degli studi di Pavia e il Politecnico di Milano. Si e’ svolta ieri a Pavia la prima sessione di laurea del corso di ingegneria meccanica interateneo: un'esperienza pilota in Italia nata dalla collaborazione tra i due atenei lombardi che hanno dato vita a una laurea triennale rilasciata da entrambi gli atenei, come e’ messo nero su bianco sul diploma timbrato dalle due universita’. I primi sei laureati con il duplice titolo hanno discusso la loro tesi elaborata con professori sia pavesi che milanesi, cosi’ come da entrambi gli atenei provenivano i docenti dei corsi frequentati a Pavia durante gli anni accademici. "E' una novita’ entusiasmante - spiega Giovanni Mimmi, presidente del consiglio didattico di ingegneria meccanica e fondatore del corso - che apre l'universita’ ad una dimensione regionale. I vantaggi cominciano da un'offerta piu’ ampia a livello formativo: gli studenti possono scegliere tra i servizi offerti da entrambi gli atenei (biblioteche, archivi, laboratori) e gli orientamenti e le specializzazioni caratteristici delle due universita’. Inoltre e’ piu’ ampio il collegamento con il mercato del lavoro e dell'industria. Si pensi solo che una volta laureati si possono iscrivere alle associazioni di Milano e di Pavia. Ma le prospettive che questa iniziativa apre sono inusitate e tutte da scoprire". A presiedere alla proclamazione dei neo-laureati, ieri, nel laboratorio di ingegneria meccanica dell'ateneo pavese, c'erano il preside della facolta’, Virginio Cantoni e Gian Francesco Biggioggero, ordinario di Disegno di macchine presso il Politecnico di Milano. La maggior parte dei neo-ingegneri, ora, ha in programma di proseguire gli studi iscrivendosi alla laurea specialistica presso il politecnico milanese. Donatella Mele _____________________________________________________ Il Corriere della Sera 21 Sett. 04 PIU’ COMPUTER NELLE CLASSI: MA SONO SEMPRE PIU’ VECCHI Indagine del ministero. «Ultima in Europa appena tre anni fa, oggi l' Italia e’ tra i Paesi piu’ tecnologici» Gasperetti Marco Dati alla mano, piu’ che un balzo in avanti sembra un miracolo hi-tech. Ultima in Europa appena tre anni fa, l' Italia del computer a scuola oggi e’ nella top ten dei Paesi tecnologici. L' 85% degli istituti e’ collegato a Internet, i laboratori informatici sono piu’ di 23 mila, in 700 scuole c' e’ la connessione senza fili e lo scorso anno 198 mila insegnanti hanno partecipato al corso di alfabetizzazione del ministero. Il Mezzogiorno svetta per cultura digitale e dotazioni: la Basilicata (un pc ogni 8 studenti) supera Emilia Romagna e Piemonte (1 a 9), Lombardia, Toscana e Veneto (1 a 10). E tutte le regioni migliorano il rapporto medio studente-computer di ben 17 punti rispetto al 2001, da 1 computer ogni 28 ragazzi a uno ogni 11. Insomma, l' ultima indagine del ministero (che nel frattempo sul sito www.istruzione.it ha anche lanciato il progetto «PC ai Docenti - Un portatile per la didattica», offrendo ai docenti la possibilita’ di acquistare un portatile a prezzo agevolato) sembra l' elenco di un trionfo. Ma nel dossier manca un dato fondamentale: le ore realmente dedicate nelle scuole al pc. «Le tecnologie non si sono integrate con la didattica - dice Marco Santagata, ordinario di Letteratura italiana all' Universita’ di Pisa ed esperto di tecnologie dell' educazione -. Il pc in classe e’ quasi sempre spento». Se poi a parlare sono studenti e insegnanti, ecco l' altra faccia del «miracolo»: macchine vecchie, assistenza inesistente, corsi di aggiornamento a numero chiuso, collegamenti a Internet lenti. Quasi la meta’ dei computer nelle scuole, innanzitutto, e’ obsoleta. Su un totale di 534 mila pc, 37 mila sono quasi inservibili (microprocessore 486), 75 mila funzionano solo con software di due o tre anni fa (Pentium 1) e 89 mila (Pentium 2) non riescono a far funzionare i programmi multimediali di nuova generazione. Alle superiori la distribuzione non e’ omogenea: il 61% dei personal e’ nei tecnici e nei professionali, il 19% nei licei classici e scientifici e solo il 2,4% negli istituti artistici. Anche l' acquisto e’ spesso un problema. «Con l' autonomia dobbiamo scegliere noi docenti - dice Gabriella Mortarotto, dirigente scolastico di una media ed elementare di Torino - ma manca la competenza. E non sempre le indicazioni dei venditori sono adeguate». I problemi arrivano pure dal cyberspazio: l' 85% delle scuole e’ collegato a Internet e la banda larga e’ in ascesa, ma l' accesso e’ spesso unico, non in rete e a volte cosi’ lento da essere inutilizzabile. Altro guaio e’ il blackout informatico. «C' e’ un numero verde del ministero - spiega Claudia Pacher, dirigente scolastico di un istituto comprensivo di Roma - ma non puo’ sostituire un esperto». Critici anche i sindacati: «Ci sono scuole dove i computer invece di aiutare la didattica la ostacolano - sottolinea Enrico Panini, segretario generale Flc-Cgil - bloccandosi spesso per inconvenienti risolvibili semplicemente da un tecnico». «Nella scuola stenta a formarsi una vera cultura informatica - spiega Antonio Calvani, ordinario di Tecnologia dell' istruzione e membro della Societa’ italiana di e-learning -. Il computer e’ un ottimo strumento per costruire. Ma bisogna capire come e quando le tecnologie vanno usate». Racconta Mirko Tavoni, presidente del primo corso italiano di laurea in Informatica umanistica, a Pisa: «In Olanda le scuole sono collegate via Internet e auto-producono software didattici. In Italia sono lasciate sole. I pc restano golem vuoti». Dunque il «miracolo» e’ solo virtuale? «Alcuni buoni risultati il governo li ha ottenuti - riconosce Fedele Ricciato, segretario generale Snals -, ma bisogna fare di piu’. Manca un piano pluriennale di investimenti. Il computer e’ un mezzo formidabile, ma deve essere riempito di contenuti». Marco Gasperetti _____________________________________________________ La repubblica 23 Sett. 04 LAUREE SANITARIE: RIFACCIAMO I TEST DI INGRESSO Il commento Per essere dei validi "operatori sanitari" requisito indispensabile a comprensione delle emozioni, lontana dagli esami di ammissione Cosa avevano in testa quelle centinaia di ragazze e quelle poche decine di maschi, che il 9 settembre alle ore 13,30 uscivano dal cancello dell'Universita’ di Pisa, di via Buonarroti dopo aver tentato di rispondere ad ottanta quiz? Chiedevano d'essere ammessi ad una scuola che li avrebbe diplomati "operatori sanitari": infermieri, fisioterapisti, logopedisti, ostetrici tecnici d'ogni tipo. Per realizzare quel sogno, hanno dovuto rispondere a domande su quale citta’ ospitera’ l'American Cup nel 2007 (Napoli, Porto Cervo o Valencia?), cosa avesse scritto Italo Calvino e quale fosse il risultato di un'equazione a due incognite. Nessuna domanda su etica, igiene, organizzazione sociale o assistenziale. Nulla su psicologia, emozioni, compassione, qualita’ di vita. Niente che avrebbe permesso di non scartare i migliori: quelli con un'autentica predisposizione a farsi carico delle sofferenze altrui. Le paia di zoccoli bianchi consumati per corridoi d'ospedale in trent'anni sono cosi’ tante che posso affermare con certezza che nessun medico puo’ lavorare bene senza avere accanto infermieri onesti, attenti, motivati, compassionevoli. Lo stesso vale per ostetriche, tecnici di radiologia, fisioterapisti e di ogni altro professionista della salute. Diplomati selezionati su sport, letteratura, matematica, chimica e varie amenita’ saranno tali? Forse, ma solo per caso. Quanto e’ piu’ importante da apprendere per essere medico, infermiere o altro operatore sanitario, non passa da tecniche o teorie, ne’ dall'apprendere come funzionano macchine e computer, ma da canali emotivi. Compassione, paura, felicita’, frustrazione, rabbia, invidia ed ogni altra forma di emozione sono strumenti cognitivi, attraverso i quali chi lavora coi malati memorizza, trae esperienza, evita di ripetere errori, aggiusta procedure, trova gratificazioni. L'intelligenza emotiva e’ realta’ viva in ospedale, ma nessuno lo insegna. I corsi universitari di medicina e scienze infermieristiche, infatti, trascurano la potenza delle emozioni nel processo di apprendimento. I docenti ne vedono aspetti deteriori, insistendo, piuttosto, su come contenere e respingere le emozioni. Alimentano freddezza e distacco professionale, essenziali, a parer loro, ad evitare coinvolgimento nelle disgrazie altrui, fonte d'errori e di stress. Nulla di piu’ falso. Facile verificarlo scoprendo che l'80% degli errori e’ da cattiva organizzazione e che lo stress nasce da una scadente qualita’ della comunicazione con colleghi, malati, familiari. Nonostante tutto cio’ sia evidente, in spregio all'enorme numero di anziani che i neo-sanitari dovranno assistere nel prossimo decennio, si continua ad insegnare tecnologia e non etica, computer e non comunicazione, cinismo, ragioneria e freddezza professionale. Si tenta di convincere (noi e loro) che efficienza, efficacia, farmaci, budget e danaro sono primi strumenti di cura. Ma diciamolo forte e chiaro: non e’ vero! Bisogna affrettarsi a cambiar rotta! Preparare sapienti in robotica, biologia, trapianti, bilanci e strategie aziendali, significa dimenticare che il 90% dei sanitari fara’ tutt'altro: curera’ a domicilio persone sole ed anziane, che di tecnologia non sanno che farsene. Rifacciamo i test d'ingresso! Scegliamo futuri infermieri con attitudine e spessore morale per "farsi carico" del malato. Costruiamo cosi’ la sanita’ pubblica sostenibile del futuro. Frugale, ma capace di scelte condivise, di evitare costi inutili, sprechi e rischi. Equa e universale, basata sulla qualita’ dei rapporti. Per farlo bisogna conoscere le proprie ed altrui emozioni, farne strumenti di lavoro, apprendimento, comunicazione. Insegnare tecnologie che permettono di non toccare e neppure vedere il malato, sterilizza emozioni, impedisce i rapporti, lascia in chi soffre solitudine e frustrazione. Costa troppo e non serve. _____________________________________________________ La Stampa 22 Sett. 04 2005, ANNO MONDIALE DELLA FISICA PROCLAMATO DALLE NAZIONI UNITE E’ STATO VALUTATO CHE LA RICADUTA DEGLI INVESTIMENTI FEDERALI DELLA RICERCA DI BASE NEGLI STATI UNITI HA SUPERATO IL 30% RACCOGLIENDO l'invito dell'Unesco, l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2005 Anno mondiale della Fisica argomentando che «la fisica fornisce una base importante per lo sviluppo e la conoscenza della natura», «la fisica e le sue applicazioni sono alla base di molte applicazioni tecnologiche» e l'educazione in fisica «fornisce gli strumenti per costruire le infrastrutture scientifiche essenziali per lo sviluppo». L'occasione per questa scelta e’ il centenario dell’«annus mirabilis» di Albert Einstein, il 1905, durante il quale egli pubblico’ tre dei suoi lavori piu’ celebri, che avrebbero cambiato non solo la prospettiva scientifica ma la vita stessa dell'uomo. Si tratta dei lavori sull'effetto fotoelettrico (fondamentale per la nascita della meccanica quantistica), sul moto browniano (fornisce la prima evidenza dell'esistenza degli atomi e se Boltzmann, il padre della statistica, l'avesse capito meglio, forse non si sarebbe suicidato) e, infine, piu’ celebre di tutti, quello sulla relativita’ speciale. Insieme con la meccanica quantistica, la relativita’ ha non solo rivoluzionato le nostre conoscenze scientifiche, ma ha posto le basi per un processo conoscitivo che e’ tuttora estremamente fecondo e non completamente capito. E’ ormai riconosciuto da tutti che la ricerca e’ la base dello sviluppo tecnologico ed economico di ogni paese e gli esempi in cui il forte impulso dato alla ricerca ha cambiato le prospettive economiche di un paese si moltiplicano, dalla Finlandia (in misura maggiore), alla Svezia, al Regno Unito (in misura molto minore). Cosi’ pure si moltiplicano le evidenze che altri paesi stanno rischiando di perdere l'ultimo vagone del treno e, ahime’, l'Italia e’ uno di quelli che rischiano di piu’, benche’ ormai tutte le voci, da quella del presidente Ciampi a quelle del ministro della Ricerca a quella del presidente di Confindustria a quella dell'ex commissario del Cnr risuonino insieme a quelle di tutti gli operatori scientifici. E’ un elemento importante che gli scienziati non siano piu’ soli a segnalare questa indifferibilita’ che copre moltissimi aspetti, ma che parte dall’evidenza che bisogna costruire una nuova coscienza civile che riproponga la scienza come uno dei pilastri del benessere economico e non come un di piu’ inutile quando non addirittura uno spauracchio. In un'audizione di fronte alla Commissione Finanze del senato americano, Eamon Kelly, presidente del National Science Board degli Usa, segnalava che «mentre il ritorno complessivo annuale degli investimenti in America e’ stato circa il 9%, da una stima prudente la ricaduta complessiva degli investimenti federali nella ricerca di base ha superato il 30%». Cosi’ pure vale la pena ricordare, per esempio, fra tanti altri esempi che si potrebbero fare, che la vita media dell'uomo e’ quasi raddoppiata in poco piu’ di un secolo per le innovazioni scientifiche e che oggi, almeno nei paesi occidentali, (quasi) tutti lavorano molto meno e mangiano senza troppi problemi. Al di la’ delle difficolta’ comuni a tutti i paesi industrializzati, l'aspetto che rende il caso italiano in un certo senso unico, e sul quale stiamo da tempo cercando di attirare l'attenzione pubblica, consiste nel fatto che la cultura scientifica dell'italiano medio e’ estremamente ridotta. E questo, non solo per colpa dei docenti che per troppo tempo hanno ignorato il problema, non solo per mancanza di informazione per cui un fallimento tecnologico (una petroliera che si incaglia, un reattore nucleare in cui un pazzo fa esperimenti pericolosi, una semente geneticamente modificata, ecc.) vengono attribuiti a fallimenti della scienza e non ad una cattiva applicazione tecnologica, ma soprattutto per ignoranza della scienza stessa. Quanti saprebbero rispondere correttamente alla domanda di cosa succede se uno si lancia da un treno in movimento o quanti saprebbero che andare a sbattere contro un muro a 35 chilometri all'ora e’ piu’ o meno come cascare dal balcone del primo piano? Quanti, infine, saprebbero che fisica in greco vuol dire natura e che la frase che si sente cosi’ spesso ripetere, «Io la fisica non l'ho mai capita», si potrebbe tradurre «io la natura non l'ho mai capita»? Sarebbe bello se, approfittando dell'Anno mondiale della Fisica riuscissimo a far nascere anche in Italia la consapevolezza della necessita’ di una vera cultura scientifica. La comunita’ internazionale dei fisici, quella nazionale e, localmente, quella di ogni sede universitaria, sta muovendosi per questo fine e sta mettendo a punto una serie di interventi culturali di concerto con la scuola e con tutti gli attori scientifici. L'inaugurazione dell’«Anno mondiale della Fisica» a Torino sara’ il 7 ottobre alle ore 15 ad Atrium. _____________________________________________________ La Stampa 23 Sett. 04 MASTER PER INSEGNARE «A DISTANZA» AI MEDICI CORSO D’AVANGUARDIA CHE COINVOLGE SOLO UNDICI UNIVERSITA’ D’ITALIA NOVARA La teledidattica applicata alla Medicina: la facolta’ di Novara partecipa a un master d’avanguardia che coinvolge soltanto 11 universita’ d’Italia (l’«Avogadro» e’ l’unica del Piemonte). Il corso, attuato per la prima volta, e’ finanziato dal ministero e prevede l’utilizzo di collegamenti terrestri e satellitari assicurati da Telecom Italia. Lo scopo del corso e’ formare chi insegnera’ Medicina a distanza. Un metodo gia’ utilizzato anche a Novara per professioni sanitarie come fisioterapia e infermieristica: gli studenti devono dividersi fra pratica e teoria e per annullare le distanze ed evitare di concentrare tutti in citta’ (dove non ci sarebbero spazi per cosi’ tanti tirocinanti), le lezioni vengono tenute a distanza a Verbania, Biella, Alessandria e in altri centri piemontesi. Anche il master si tiene, ovviamente, in teledidattica. Alla caserma Perrone si sta gia’ allestendo un’aula con venti postazioni computerizzate. Qui faranno lezione i docenti seguiti anche dagli studenti delle facolta’ di Milano Statale, Napoli II, Ancona, Catania, Catanzaro, Bari, Ferrara, Genova, Pisa e Roma La Sapienza II. Nello stesso modo i ragazzi novaresi saranno coinvolti nelle lezioni tenute nelle altre sedi del master. «Insegnare a distanza non e’ facile. Alla fine del corso - illustra il preside di Medicina, Guido Monga - i partecipanti avranno le cognizioni tecniche e le capacita’ didattiche necessarie da trasmettere al corpo docente della facolta’». Il master e’ aperto ai laureati di qualunque facolta’, anche se l’interesse prevalente e’ la Medicina. Le materie vanno dalla Pedagogia all’Informatica, alla Trasmissione dati, agli insegnamenti piu’ classici della professione sanitaria. «Noi sfrutteremo le esperienze gia’ avviate per il master europeo di Medicina dei disastri - prosegue Monga - con lezioni di Anestesiologia e Medicina d’urgenza e con il supporto tecnico dell’area informatica del gruppo di Biologia». Le undici facolta’ stanno predisponendo i programmi. Per Novara se ne occupa il professor Francesco Della Corte, direttore dell’altro master. In realta’ l’universita’ avrebbe affidato l’organizzazione del corso al professor Eugenio Inglese, medico nucleare dell’ospedale: «Noi l’abbiamo nominato ma purtroppo non lo possiamo assumerlo per il blocco imposto dal Governo - si rammarica il preside -. Speriamo di riuscirci presto». _____________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett.04 BIOINFORMATICA A CACCIA D'INFORMAZIONI NASCOSTE E’la bioinformatica il braccio tecnologico dei team impegnati nella ricerca nel biotech. Questa (relativamente) nuova disciplina supporta, -ori metodiche proprie delle scienze dell'informazione, i problemi della biologia. E soprattutto nel campo della ricerca si rivela un alleato indispensabile, perche’ le soluzioni di bioinformatica sono in grado di elaborare e gestire le enormi quantita’ d'informazioni che vengono utilizzate nella genomica e nella proteomica. «Con la bioinformatica si lavora alla ricerca di informazioni nascoste - sottolinea Diego Liberati, dirigente di ricerca del Cnr al Politecnico di Milano, tentando di evidenziare delle variabili significative tra decine di migliaia di geni. In pochi minuti si analizzano contemporaneamente migliaia di geni, mentre in laboratorio servirebbero settimane o mesi di lavoro-uomo». Questo taglio dei tempi, pero’, non comporta un risparmio. «Sono tecnologie veloci e costose - continua Liberati -. Secondo me, i costi non sono cambiati di molto, ma sono stati spostati dall'uomo alla tecnologia». Le apparecchiature di bioinformatica fanno il lavoro di acquisizione e di calcolo "grezzo", mentre team di professionisti progettano le tecniche di analisi che estraggono le correlazioni tra le variabili piu’ significative. Poi si costruiscono modelli dinamici che "spiegano" l'andamento nel tempo della concentrazione delle proteine e della vita della cellula. Segue la fase di scoperta del farmaco, per esempio, con simulazioni guidate al computer oppure studiando molecole con un potenziale uso farmaceutico. In tutti i casi la mole di dati da gestire e’ enormemente grande e la tecnologia dei microarray si rivela essenziale. «La tecnica del microarray e’ una tecnologia ad alta capacita’ di trattamento - spiega Walter Lanzani, direttore marketing di Sas, societa’ specializzata nei software analitici - che permette di analizzare, interpretare e correlare i risultati degli esperimenti di microarray con altri dati rilevanti, provenienti da .fonti differenti». Dalla collaborazione tra statistici e biologi si puo’ arrivare alla personalizzazione degli strumenti, aggiungendo nuovi processi d'analisi e sviluppando rigorosi modelli statistici per l'analisi d'espressione genetica. Tutti i processi e i risultati, poi, vengono registrati e centralizzati, possono quindi essere riutilizzati e condivisi all'interno del team di ricercatori, permettendo maggior efficienza e rapidita’ nel raggiungimento degli obiettivi. _____________________________________________ Il Sole24Ore 20 Sett.04 POCHI «PICCOLI» SCIENZIATI Iscritti sotto la media, piu’ nei corsi applicati La percentuale di laureati in materie scientifiche che si iscrive a un master e’ dell' 11,4%, quasi cinque punti sotto la media nazionale. Segno che la prospettiva occupazionale resta ancorata ad altri ambiti, come la ricerca o l'insegnamento. Ma l'offerta di corsi si moltiplica di anno in anno: si va dall'astrofisica (a Teramo) alla riduzione del rischio sismico (a Pavia) alla fitoterapia (a Roma). Le scienze messe fra parentesi. Scorrendo la lista dei 167 master di area scientifica, si ha tuttavia l'impressione che le meno rappresentate siano le scienze nell'accezione piu’ classica: la fisica e la matematica. Scalzate dai percorsi applicati. «Il problema esiste — afferma Fabrizio Bolletta, preside della facolta’ di scienze dell'universita’ di Bologna — E difficile far capire ai ragazzi che la ricerca di base e’ essenziale. Perche’ non ha un immediato riscontro economico. Un esempio in controtendenza e’ proprio il master di Bologna in matematica delle applicazioni: alla ricerca dei modelli che stanno dietro a ogni aspetto della realta’, dal traffico in una rotatoria agli spostamenti pedonali in una metropoli». I settori del futuro. Tra i settori applicati piu’ innovativi, uno e’ l'ambito del restauro, con master "dedicati" a Roma e Bologna: «Finalmente — spiega Bolletta — si afferma l'idea che il restauratore debba avere competenze sia umanistiche sia scientifiche. Altri ambiti in crescita sono l'informatica, le scienze dei materiali, le nanotecnologie». Proprio alle nanotecnologie e’ dedicato un master delle Universita’ di Padova e di Venezia Ca' Foscari. Spiega il coordinatore Pietro Busnardo: «II master si svolge nel distretto tecnologico del Veneto, uno di quelli sponsorizzati dal Miur. Il nostro obiettivo e’ creare un polo di eccellenza in un territorio naturalmente predisposto alla ricerca nanotecnologica, visto che oltre meta’ delle imprese opera nel campo dei materiali. Cerchiamo di attrarre cervelli con borse di studio e un laboratorio all'avanguardia». Soprattutto in ambito scientifico, il rapporto con le realta’ produttive e’ la chiave del salto di qualita’: «La stessa ragion d'essere di questi corsi — conclude Bolletta — e’ di costituire il trait d'union tra atenei e lavoro». Per chi gia’ lavora. Ma alcuni master sono utile strumento anche per chi nel mondo del lavoro ha messo gia’ piede: molti si svolgono su piu’ weekend, per essere fruibili anche agli occupati. Espressamente rivolto a chi lavora e’ ad esempio quello in marketing farmaceutico della facolta’ di farmacia di Pavia. Spiega pero’ Carla Caramella, preside di facolta’: «A Pavia e altrove non mancano, comunque, numerosi master dedicati alla ricerca farmaceutica: sia allo sviluppo di nuove molecole, sia allo studio delle vesti in cui una sostanza puo’ essere somministrata». E la preside ha parole di speranza per chi pensa alla ricerca: «E’ vero che l'Italia e’ lontana dalle multinazionali. Ma stanno nascendo, soprattutto al Nord, molte piccole aziende del settore che aprono prospettive interessanti anche in campo alimentare e cosmetico». _____________________________________________________ La repubblica 23 Sett. 04 ECCO LA VITA SENZA INTERNET Per uno studio oltre mille persone si sono private per due settimane del web. "Impossibile rinunciarci" Soli, depressi, in crisi di astinenza La Rete e’ entrata nella vita quotidiana di molti per questioni pratiche. Ma la sua assenza porta a conseguenze emotive di ALESSANDRA RETICO UNA specie di coperta di Linus, che quando ti manca non senti solo freddo, ma ne hai nostalgia. Difficile rinunciarci, perche’ non solo risolve problemi, velocizza e snellisce le mille cose da fare in una giornata, ma ti fa stare "nel giro" e anzi ti aiuta ad allargarlo sentendoti al centro delle cose. Insomma, una presenza cosi’ pervasiva nella vita quotidiana e nelle abitudini che con lei abbiamo ormai instaurato un rapporto di tipo emotivo. Cosi’ profondo che se ce la tolgono reagiamo come se venisse meno un affetto. Questa e’ diventata Internet secondo uno studio congiunto di Yahoo!, il provider piu’ famoso e trafficato al mondo, e OMD, agenzia leader di comunicazione, che hanno sottoposto un gruppo di persone a un esperimento che molti hanno ritenuto insopportabile: stare senza connessione al web per due settimane. Il risultato dell'Internet Deprivation study - come e’ stato chiamato l'esperimento su un campione di 1000 utenti e 13 famiglie per 28 componenti in totale - e’ che molti dei partecipanti hanno sopportato con grandi sforzi l'astinenza, raccontando di aver resistito con molta fatica alla tentazione di connettersi e scoprendo, in tanta difficolta’, una cosi’ profonda familiarita’, se non dipendenza, che non sospettavano di avere prima di dover fare senza. Il fatto e’ che per molti prenotare viaggi, controllare i risultati dello sport preferito, comunicare con amici e famiglia o pagare le bollette sono pratiche che si consumano ormai sul web. Per l'esperimento, hanno detto i partecipanti, due settimane sono state una concessione alla scienza ma sarebbero improponibili in condizioni normali: se proprio uno e’ costretto a stare offline, il tempo medio sostenibile e’ di non piu’ di cinque giorni. "Si tratta di uno studio meramente indicativo delle miriadi di maniere in cui internet, in appena dieci anni, abbia irrevocabilmente cambiato la vita quotidiana dei consumatori", ha spiegato il capo ufficio vendite di Yahoo! Wenda Harris Millard, per la quale e’ gia’ molto significativo "come sia stato difficile trovare cavie da sottoporre alla deprivazione da internet". Uno studio "profondamente etnografico" per il provider californiano, il che vuol dire non tanto e non solo osservare le tendenze di consumo, "ma accendere una rara luce sul motivo per cui la gente fa’ le scelte che fa’ e in che modo vi sia emotivamente coinvolta". Obiettivo alto e certamente persuasivo, ma certo e’ che i soggetti coinvolti nello studio neutri non sono: Yahoo! infatti non lo nega ("aiutiamo il marketing ad applicare questi risultati per raggiungere il loro pubblico") e il contesto in cui lo studio e’ stato presentato, la settimana della pubblicita’ in corso a New York, lo e’ tanto meno. Fatto sta che, indipendentemente dall'eta’, reddito o cultura, i 'deprivati' dello studio hanno tutti lamentato astinenza e un senso di perdita, frustrazione e disconnessione dal mondo. Per motivi pratici: usare Internet significa trovare prezzi piu’ bassi, avere servizi piu’ veloci, che sia trovare un numero di telefono o guardare il "tutto citta’" per cercare una strada. Cosi’ utile in questo senso, che quasi nessuno piu’ usa il telefono o le pagine gialle. Prima di comprare qualsiasi cosa nel mondo reale chi usa il Web e’ solito navigare molto in cerca delle offerte migliori ma anche per conoscere in dettaglio le caratteristiche del prodotto che sta per acquistare. Dalla parte delle aziende, cio’ significa che chi meglio descrive la propria merce su Internet ha piu’ opportunita’ di veder varcare la soglia del proprio negozio. Ma alle ragioni di utilita’ se ne aggiungono altre piu’ intangibili e quasi pulviscolari, e che hanno a che fare col ruolo che internet ha assunto in questo secolo. I per forza astinenti se hanno tutto sommato superato il trauma di non poter conoscere, prenotare, spedire, pagare, hanno invece piu’ duramente affrontato il veto alla comunicazione. Scrivere mail o partecipare a chat, stare in contatto coi familiari o allargare il cerchio della propria socialita’, creare insomma comunita’, e’ uso e quasi 'sentimento' cui nessuno vuol rinunciare. "Sentirsi fuori dal giro" e’ stata infatti l'obiezione piu’ comune, un giro di privato e intimo che chi usa il web riesce a mantenere e coltivare anche quando il pubblico invade. Per esempio in ufficio: amare o lasciare per e-mail, mentre il capoufficio si aggira tra i tavoli, e’ abitudine che molti denunciano come conveniente e a riparo da inevitabili indiscrezioni. Se tu gliela togli, certo che viene la depressione: i sentimenti va a finire che tocca affrontarli faccia a faccia. ================================================================== _____________________________________________ Il Sole24Ore 21 Sett.04 GIUDICI, IL DILEMMA DELL'ERRORE IN CORSIA Precisati dalle sentenze della Cassazione civile e penale gli ambiti della «cattiva pratica» Ambito sanitario Piu’ responsabilita’ per i medici, con le attenuanti date da carenze organizzative o da condotte autolesioniste dei pazienti ROMA a Un contenzioso "malato" di incertezza. Nessuna stima ufficiale sulla mole di cause per errore medico pendenti nelle aule giudiziarie italiane. Nessuna coerenza interpretativa in una giurisprudenza intasata di casi e orfana di principi universalmente validi. A fronte di un simile quadro, la richiesta di punti fermi e’ l'unico sbaglio che si e’ sicuri di non commettere quando si parla di responsabilita’ per colpa medica. I professionisti lamentano 15mila denunce all'anno da parte di presunte vittime della negligenza professionale o, all'inglese, della cosiddetta malpractice. Le assicurazioni lanciano l'allarme sull'Rc medica, i cui sinistri sono aumentati di quasi il 150% negli ultimi otto anni. Eppure, a oggi, sono solo 1.293 le controversie per «danno iatrogeno» monitorate e catalogate ufficialmente. Di queste, 768 si sono risolte in un accertamento giuridico di responsabilita’ del dottore. Si tratta di tutti i casi segnalati, a partire dal 2001, all'Osservatorio nazionale sulla malpractice, finanziato dal ministero dell'Universita’ e della ricerca. Sono coinvolte dieci Universita’, con altrettanti gruppi di studio che convogliano in una giovane banca dati ogni causa da errore sanitario di cui si ha conoscenza. «L'obiettivo - spiega Luigi Palmieri, ordinario di Medicina legale e coordinatore del progetto - e’ sviluppare una conoscenza quanto piu’ vasta possibile del fenomeno, per riportarlo, rispetto alle enfatizzazioni recenti, in quei parametri di realta’ che una professione a rischio non puo’ eliminare in assoluto». E pensare che proprio la rischiosita’ della professione aveva portato, in origine, a una sorta di «invulnerabilita’» giudiziaria dei medici. Fino ai primi anni Settanta, infatti, le parole d'ordine dei magistrati erano «larghezza e comprensione» per chi ha sulle spalle l'ulteriore, grave «fardello» della possibilita’ di un errore fatale. Il trend e’ cambiato di pari passo con l'evoluzione scientifica. Negli anni, la giustizia si e’ mostrata sempre meno comprensiva con una categoria tanto sostenuta dal progresso tecnologico. A1 punto da mutare l'aspettativa nei confronti della prestazione sanitaria. Non obbligazione di mezzi, come per tutti gli altri professionisti, ma sempre piu’ obbligazione di risultato. La complessita’ della materia ha addirittura indotto parte della dottrina a sostenere che il contenzioso da errore medico rappresenti un sottosistema della responsabilita’ civile, una sorta di «parte speciale» rispetto al generale problema della tutela risarcitoria. E forse la stranezza principale e’ quella che alcuni definiscono «giurisprudenza sociale», sempre piu’ propensa a riconoscere il ristoro del danno alle vittime della sanita’. Il discorso si complica in ambito penale, dove si sono registrate le sentenze maggiormente deflagranti. Dagli anni Ottanta, i giudici hanno cominciato a non aver piu’ bisogno di certezze; ammettendo, a base della colpevolezza del dottore, anche la buona probabilita’ di un esito positivo del suo intervento. Addirittura nel- 1992 e’ arrivata la prima condanna per omicidio preterintenzionale a carico di un medico, nella famosa sentenza «Massimo». Solo nel 2002 c'e’ stata, finalmente, la prima vera boccata di ossigeno per la categoria. La quarta sezione penale ha investito le Sezioni unite del problema, nella speranza di ricevere linee guida di giudizio. E cosi’ e’ stato: con la sentenza 30328, il massimo collegio ai fini della punibilita’ penale ha posto il limite del «ragionevole 'dubbio» sul nesso di causalita’ tra condotta del medico ed evento dannoso:`Un -principio ribadito di recente, con l'ulteriore esortazione a circoscrivere la responsabilita’ del sanitario davanti ad atti di palese autolesionismo del paziente (si veda «Il Sole-24 Ore» del 17 agosto scorso). Si tratta di vedere se l'orientamento garantista rappresentera’ d'ora in poi un faro di riferimento, in quel mare di contenzioso che, sebbene riesca a sfuggire a una catalogazione statistica, sembra essere percepito con chiarezza dagli addetti ai lavori. Giudici, avvocati, medici legali non hanno remore nel dichiarare una crescita costante delle controversie. La cura al problema si muove su piu’ fronti: introduzione dell'assicurazione obbligatoria; maggiore ricorso all'arbitrato; potenziamento della prevenzione con l'introduzione del risk management in corsia. Nel frattempo, ai giuristi non resta che continuare a studiare il fenomeno caso per caso, anzi causa per causa. BEATRICE DALIA _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Sett. 04 I BISTURI FANTASMA DEL POLICLINICO Basterebbero per intervenire su 100 pazienti ma Monserrato deve ospitarne solo 20 Quattro sale operatorie su sei bloccate dalla burocrazia Al Policlinico universitario ci sono sei sale operatorie. Le prime due hanno tavoli tecnologicamente impeccabili, illuminazione ben calibrata, dimensioni regolamentari. Le altre quattro, pure. Le prime due hanno apparecchiature informatizzate, camere pre-operatorie a regola d’arte, percorsi sterili che introducono chirurghi e pazienti all’intervento senza lasciar passare batteri e impurita’. Le altre quattro, pure. Alle prime due, tra materiali ed equipaggiamenti di ultima generazione, autorizzazioni burocratiche e collaudi, non manca nulla. Alle altre quattro, ad essere pignoli, qualcosa manca: i pazienti. A tenere bloccate quattro sale operatorie su sei nella struttura di Monserrato non e’ un complotto ne’ un guasto tecnico, ma un meccanismo amministrativo di per se’ neutro. Lo strumento che calcola la domanda e l’offerta di salute in Sardegna, vale a dire le esigenze dei pazienti isolani e le strutture che le devono soddisfare, e’ il piano sanitario. Un documento che in futuro verra’ ricalibrato, ma per il momento prevede che il Policlinico ospiti venti pazienti di chirurgia. Data questa previsione, il resto diventa un problema di aritmetica piuttosto elementare. Una sala operatoria con due letti basta per un reparto con sedici pazienti: se tutte e sei le sale entrassero in funzione potrebbero servire novantasei malati. Troppi. Per cui le quattro sale restano linde, sterile e vuote da cinque anni. Amministrativamente non fa una grinza, umanamente fa stringere il cuore. Perche’ e’ inevitabile immaginare quanto potrebbero essere utili quelle strutture, che oggi accolgono solo gli addetti alla pulizia e alla manutenzione, ma anche per motivi piu’ prosaici. Nel 1999, quando le sale vennero installate, si ragionava ancora in lire. E le lire investite furono tante: un miliardo per la centrale sterile, due per il blocco dei sei ambienti. E’ l’equivalente sanitario di un motore milleotto ridotto a 600 con le strozzature. Ma c’e’ anche un altro elemento che impedisce alla macchina di girare se non a un terzo del suo potenziale, ed e’ la mancanza di personale. Un esempio e’ la sala operatoria per gli interventi odontoiatrici su pazienti disabili. Nel mostrarla ai visitatori, il preside della facolta’ di Medicina Gavino Faa e il direttore generale del Policlinico, Rossella Coppola, hanno un tono che oscilla tra l’orgoglio e la malinconia. La struttura in Sardegna e’ unica o quasi, moderna e attrezzata. Di recente e’ arrivata anche l’autorizzazione a operare, e per completare il quadro ci sono anche gli odontoiatri dell’Universita’ che da tempo si sono detti piu’ che disponibili. A bloccare tutto e’ la carenza di infermieri, un problema abbastanza diffuso da rappresentare una severissima spina nel fianco della sanita’ sarda. La domanda di personale specializzato nei nostri ospedali e’ molto piu’ alta dell’offerta, tanto da doverlo importare da latri Paesi. Dal Brasile, ad esempio, e dalla Polonia. Con un’altra considerazione obbligatoria: il bilancio del Policlinico difficilmente consente di proporre contratti a lungo termine a questi operatori, che a quel punto vanno altrove. Stesso discorso per le sale per la terapia semi- intensiva, allestite per accogliere i pazienti dopo l’operazione: sono perfette, ma non c’e’ personale a sufficienza per farle marciare a regime. Tenerle chiuse come le quattro sale operatorie sarebbe stato uno strazio: sono diventate camere destinate ai pazienti, in attesa che un colpo di bacchetta burocratica e un’ossigenazione al bilancio le restituiscano alla loro funzione. Celestino Tabasso ________________________________________________________ Con il protocollo d’intesa Regione-Universita’ il piano sanitario verra’ riscritto MA TRA SEI MESI POTREBBE CAMBIARE TUTTO E’ il protocollo d’intesa tra la Regione e le Universita’ lo strumento che potrebbe - o dovrebbe - eliminare situazioni paradossali come quella delle sale operatorie inutilizzate di Monserrato. Dopo la presentazione ufficiale della scorsa settimana, quando nel giro di 72 ore prima l’ateneo di Sassari e poi quello di Cagliari approvarono il documento, il secondo passo determinante e’ stato compiuto giovedi’. Il 16 infatti la giunta regionale ha approvato il testo dell’intesa, che dovrebbe diventare operativa nel giro di 180 giorni. Il protocollo di fatto stabilisce le regole per la nascita dell’azienda sanitaria mista Regione-Universita’. Un obiettivo piu’ volte sfuggito all’ultimo momento (in aprile la giunta Masala non riusci’ a chiudere la partita perche’ nel frattempo cambiarono le regole del gioco a livello nazionale) e che adesso pero’ e’ decisamente piu’ a portata di mano. Nella nuova azienda confluira’ il personale medico e amministrativo dell’Universita’ e delle strutture dell’Asl 8 coinvolte nel progetto. Per quanto riguarda gli ospedali che il nuovo soggetto riunira’ sotto la sua guida, oltre al Policlinico e al complesso pediatrico di via Porcell ci sono l’ospedale San Giovanni di Dio (portato in dote dall’Asl 8) e le cliniche universitarie distribuite tra gli ospedali cagliaritani. Queste ultime pero’ nel medio periodo dovrebbero traslocare a Monserrato, in modo da creare un polo unico anche per motivi didattici, in modo cioe’ da offrire agli studenti e agli specializzandi il ventaglio piu’ ampio possibile di cliniche nello stesso complesso. Restano ancora dei nodi da risolvere, in particolare come rendere omogeneo il trattamento salariale di lavoratori che oggi hanno due contratti differenti. Ma si tratta di uno scoglio decisamente meno ingombrante rispetto ai problemi politici che il progetto ha dovuto superare. Facile prevedere che uno dei passaggi piu’ delicati sara’ la scelta dei vertici dell’azienda: a guidarla sara’ un direttore generale nominato con decreto dal presidente della Regione d’intesa col rettore dell’Universita’. La giunta regionale nominera’ il collegio sindacale, mentre l’organo di indirizzo avra’ cinque componenti: due designati dall’assessore regionale alla Sanita’ (uno dei quali dev’essere un dirigente ospedaliero), due dall’Universita’ (uno e’ il preside di Medicina) e uno nominato di concerto da assessore e rettore. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Sett. 04 Molti gli impieghi a tempo SOS DEGLI INFERMIERI: «DATECI UN CONTRATTO, BASTA COL PRECARIATO» Sono un centinaio tra infermieri e agenti sociosanitari accomunati da uno stesso destino: la vita da precari oppure quella di disoccupati, dopo la mancanza di rinnovo del contratto con il Policlinico Universitario di Monserrato. La delusione e’ tanta e si accompagna ad aspettative di un futuro che ai piu’ appare sempre piu’ incerto. Ignazio Medda, infermiere nel reparto chirurgia, parla anche a nome degli altri suoi trenta colleghi: «Abbiamo iniziato con un contratto interinale, ci siamo inseriti appieno in un settore che e’ quello per cui abbiamo studiato tanto e a costo di grandi sacrifici. La struttura e’ ormai di alto livello e tutti, dai medici agli agenti, sino ai malati si sono sempre complimentati ringraziandoci per l’ottimo lavoro svolto. Peccato pero’ che le nostre assunzioni non diventino mai a tempo indeterminato, ma restino sempre legate ad un precariato che non ci consente di progettare un futuro. Le uniche migliorie avute sinora sono state proroghe dei contratti a tempo determinato ma a tutti noi non puo’ bastare». In prevalenza si tratta di giovani, eta’ media trent’anni, che all’avvio del contratto presumevano che presto si sarebbe potuti passare a una collocazione fisso. Cosi’ sinora non e’ stato e in tanti sperano che almeno la firma del protocollo tra Regione e universita’ diventi un’occasione di promozione del loro lavoro. La creazione dell’azienda sanitaria mista, insieme alla riorganizzazione dell’offerta sanitaria sarda, dovrebbe avere come conseguenza la stabilizzazione di lavoratori indispensabili e altamente professionalizzati. Un timore pero’ c’e’: «Non vorremmo - continua Medda, - che diventasse invece occasione per dare un taglio alle selezioni fatte sinora, magari non tendendo conto dgeli anni che noi abbiamo passato qui dentro dedicandoci con totale passione e massima professionalita’ al nostro lavoro, al servizio della realta’ ospedaliera. Ora su cinque reparti ben due e mezzo sono tenuti in piedi dai contrattisti universitari e di questo, chi decidera’ le sorti della struttura e dei suoi dipendenti, non potra’ non tenere conto». Intanto con i contratti a tempo indeterminato che restano lontani come un obiettivo irraggiungibile, si bloccano anche i sogni dei lavoratori che hanno scelto un percorso professionale e si trovano costretti loro malgrado a ripiegare su altre soluzioni. Come per Rinfranco Anguion, agente sociosanitario, una figura che affianca quella degli infermieri nel rapporto a tu per tu con le esigenze dei malati: «Sono costretto a vendere verdura e frutta qui davanti al mercato di San Benedetto perche’ io e altri miei trentacinque colleghi ci siamo ritrovati in mezzo a una strada. Non riusciamo ad andrea avanti cosi’». Beatrice Saddi _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Sett. 04 OLTRE DUECENTO PAZIENTI, NELLA CLINICA «FINLANDESE» Sono 220 i degenti nel policlinico universitario di Monserrato, rispetto a un’accoglienza potenziale di 280. Quanto al personale medico, sono grossomodo 40 i camici che lavorano a contratto, oltre ovviamente a professori ordinari, professori associati e ricercatori della facolta’ di Medicina. Complessivamente i dipendenti di ruolo sono 475. Circa 500 sono gli utenti che si rivolgono all’ufficio ticket. Sono i numeri dell’ospedale di Monserrato, una struttura che conserva nelle atmosfera e nello standard quel tanto di scandinavo che si porta appresso fin dal progetto. La struttura infatti e’ di concezione finlandese, come sanno bene i dirigenti che dopo qualche tempo hanno dovuto far modificare le vetrate: concepite per catturare fino all’ultimo raggio del pallido sole nordico, trasformavano l’estate sarda in un forno a microonde. Ma a parte gli inconvenienti termici, rapidamente risolti, la struttura di nordeuropeo ha conservato la qualita’ dell’accoglienza. Sono molte, ad esempio, le camere con bagno autonomo e telefono, e il tono generale dell’edificio ha molto piu’ dell’alberghiero che dell’ospedalizio. Tra i ritocchi in programma, l’allestimento di scrivanie da mettere a disposizione degli studenti (oltre alle aule gia’ esistenti, collegate in diretta via maxischermo alle sale operatorie) che al Policlinico preparano e i sostengono esami. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Sett. 04 IL PONTE DELLA CITTADELLA RESTA CONGELATO Manca la concessione edilizia, Balletto rinvia l'inizio dei lavori Posa della prima pietra nella 554, proteste per gli espropri La prima pietra del grande ponte per la Cittadella e’ stata posata ieri. Sotto terra, ne conserveranno memoria il progetto e la pergamena firmata dal presidente della Provincia Sandro Balletto, dai deputati Michele Cossa e Piergiorgio Massidda. Piccolo particolare: sarebbe dovuta essere una festa, invece sono fioccate le contestazioni. Nelle previsioni di Provincia e Comune, l'opera servira’ per eliminare gli ingorghi nell'incrocio della circonvallazione 554 verso l'Universita’, ma i lavori non sono stati consegnati all'impresa appaltatrice - la Pellegrini - che ha garantito di essere in grado di portarla a compimento in cinquecento giorni. Tutto rimandato per decisione del presidente della Provincia: "La consegna all'impresa e’ sospesa per mia scelta", ha detto Sandro Balletto, "in attesa di definire tutte le questioni ancora aperte con l'amministrazione comunale". Il sindaco, Antonio Vacca, non era presente (per motivi personali). E in sua vece non si e’ presentato alcun assessore. Assenze che non sono passate inosservate e che da qualche parte hanno fatto gridare alla strumentalizzazione politica: "Siamo stati rispettosi nei confronti del Comune e della cittadinanza", ha chiarito Balletto, mettendo sul piatto le ragioni della discordia. "Non abbiamo dato il via al cantiere nonostante i nostri tecnici avessero garantito che potevamo farlo". Ma il Comune non avrebbe ancora firmato la concessione edilizia, perche’ dalla Provincia non sarebbe ancora arrivata risposta alle osservazioni presentate dai cittadini. Un groviglio, che non e’ stato ancora sbrogliato. La protestaL'incrocio della Cittadella ieri e’ diventato il punto caldo della rivolta. Quella di quattrocento proprietari spodestati di terreni piu’ o meno grandi (sei ettari in tutto), di un piccolo rione che rischia di restare isolato. A rappresentarli un gruppo con cartelloni polemici e tanta rabbia in corpo. Nel capannello, anche qualche amministratore comunale. Ideale Argiolas, capogruppo Ds in Consiglio, con i fratelli ha ereditato un terreno di 1.700 metri quadrati: "Ne perderemo 1.324", spiega Argiolas, "dopo che ce ne hanno tolto quattromila quando fu costruita la Cittadella universitaria. Critico l'assenza dell'amministrazione della quale faccio parte e la Provincia: non sono state fissate regole chiare, neppure per gli indennizzi. Il valore di mercato dei terreni e’ di 50 euro a metro quadro, i piu’ fortunati ne avranno la meta’, per via della cessione volontaria. Ma se le aree verranno considerate agricole, mi risulta che la contropartita sara’ inferiore a quattro euro". Ha gia’ messo la pratica in mano a un avvocato Vincenzo Dessi’, titolare di un distributore di benzina in via San Fulgenzio: "Perche’ questo intervento ci mandera’ in rovina", esclama Dessi’. "Abbiamo visto il progetto, il ponte ci passa proprio a fianco, siamo tagliati fuori. Eppure basterebbe qualche piccola variazione". Gli interventiIn ogni caso nessuno tra i manifestanti si e’ detto contrario a priori all'opera, che costera’ 9 milioni di euro (concessi dalla Regione) e che, come ha ricordato Michele Cossa, deputato di Sestu, "rappresenta un'occasione unica per il territorio". E poi - e’ la sintesi del discorso di Piergiorgio Massidda, coordinatore regionale di Forza Italia - "un ponte di solito unisce, non divide". Lorenzo Piras _____________________________________________________ La repubblica 23 Sett. 04 MIRACOLI" TECNICI AL SERVIZIO DELLA CHIRURGIA Congresso a Lipsia: valvole cardiache che si mettono senza aprire il torace e mini-ossigenatori La cardiochirurgia vola alto all'annuale Congresso europeo (EACTS) tenuto di recente a Lipsia. Dallo stent a rilascio lento di farmaci assorbiti dal vaso coronarico ma non dal sangue, ai mini-ossigenatori personalizzati sul peso dei pazienti pediatrici, fino alla riparazione della valvola cardiaca, in particolare la mitrale, per finire alla protesi valvolare percutanea impiantata senza aprire il torace. Made in Italy le valvole cardiache meccaniche e biologiche, i sofisticati sistemi per la circolazione extracorporea e gli ossigenatori, progettati e realizzati dal gruppo Sorin, leader mondiale nel settore. Anche i numeri superano le aspettative: un milione e 200 mila procedure di cardiochirurgia nei paesi industrializzati, 300 mila in Europa dove scopriamo che almeno mezzo milione di persone vivono con una valvola sostituita. In Italia le procedure eseguite nel 2003 ammontano a 53 mila, 7-8 mila le sostituzioni valvolari che in Germania arrivano a 10 mila. Meta’ delle procedure cardiochirurgiche riguarda la cardiopatia ischemica, l'altra meta’ la patologia valvolare (30%), le cardiopatie congenite (20%), e da ultimo l'aorta. Il 50% degli adulti operati ha piu’ di 70 anni, il 10% e’ ultraottantenne. I cardiochirurghi si aprono alla globalizzazione - grande partecipazione al Congresso di Turchia, Egitto, Libia e dei paesi dell'est europeo - e puntano a due tipologie di paziente: il neonato e l'anziano. A livello mondiale gli interventi eseguiti su neonati per correggere difetti cardiaci congeniti rappresentano il 7% della cardiochirurgia. Piu’ di 20.000 sono le procedure eseguite in Europa dove ogni anno 90.160 bambini dei quali 12.800 solo nei paesi dell'est esclusa Russia e Polonia, necessitano di un intervento di cardiochirurgia. Presentata anche la Banca dati europea degli interventi effettuati per le malformazioni congenite del cuore per affrontare meglio e tempestivamente i problemi di questi pazienti. Scarsa ancora la cultura della diagnosi prenatale. "Le coppie devono sapere che tra la 12 e la 15 settimana di gravidanza e’ possibile individuare "vizi" cardiaci e che molti di questi oggi possono essere curati e il bambino avra’ una vita normale", ha spiegato il professor Giovanni Stellin dell'Universita’ di Padova. (mp. s.) _____________________________________________________ Il Messaggero 22 Sett. 04 LA GENETICA NUOVA FRONTIERA DELLA LOTTA AL CANCRO LA RICERCA La genetica nuova frontiera della lotta al cancro: in arrivo medicinali “intelligenti” e meno tossici BOLOGNA - Se la nascita e lo sviluppo dei tumori e’ legata sempre piu’ a errori o difetti biologici scritti nel Dna delle cellule, le molecole che stanno diventando il bersaglio privilegiato dei ricercatori sono diventati ora i fattori di crescita, i recettori cellulari, gli enzimi. Colpendo queste sostanze si pensa di mettere a punto i nuovi farmaci intelligenti, meno tossici e piu’ efficaci da affiancare all'attuale chemioterapia. Al congresso degli oncologi italiani in corso a Bologna e’ stato David Johnson dell'universita’ di Nashville a indicare alcune aree diventate chiave per la ricerca. Secondo il clinico statunitense sono ora 4 i settori nei quali e’ concentrato l'interesse degli scienziati e che decideranno il futuro delle terapie oncologiche. Gli approcci piu’ promettenti, spiega Johnson, sono gli studi sul blocco dell'angiogenesi, cioe’ la crescita dei vasi del sangue che portano nutrimento e sostegno al tumore; la traduzione di alcuni segnali molecolari da parte delle cellule neoplastiche; la terapia genica e quella immunologica che tenta di potenziare le difese dell'organismo per aiutarlo a combattere «l'ospite indesiderato». Intanto molti studiosi, in prima fila alcuni italiani come il biologo molecolare Pier Paolo Pandolfi del Memorial Sloan Ketterng di New York, stanno indagando sui meccanismi di base che danno l'avvio nella cellula ai primi passi del tumore _____________________________________________________ Le Scienze 24 Sett. 04 RIVALITA’ BINOCULARE Il fenomeno dimostra come il cervello interpreta l'immagine visiva Si dice spesso "non credo ai miei occhi", quando si e’ sorpresi da quello che si vede. Recenti studi scientifici hanno suggerito che e’ giusto essere scettici, e che cio’ che si vede dipende in parte anche da quello che ci si aspetta di vedere. In un lavoro pubblicato sulla rivista "Current Biology", alcuni ricercatori hanno studiato come i meccanismi di segnalazione nel cervello consentono alle attese di influenzare la percezione visiva. E’ normale pensare che la visione cominci con la formazione di un'immagine sul retro dell'occhio, che a sua volta stimola una cascata di impulsi nervosi per inviare segnali fino al cervello, dove vengono interpretati nella corteccia visiva. I segnali nella corteccia visiva viaggiano anche in direzione opposta, a mo' di "feedback", ma di questi e della loro funzione si sa ben poco. Ora Tamara Watson, Joel Pearson e Colin Clifford dell'Universita’ di Sydney suggeriscono che questi segnali di feedback trasportino informazioni su cio’ che ci aspettiamo di vedere, influenzando in qualche modo la nostra interpretazione delle informazioni visive in arrivo. I ricercatori hanno dimostrato l'importanza del feedback sfruttando il fenomeno della cosiddetta "rivalita’ binoculare". Di solito, il cervello fonde le informazioni provenienti dai due occhi per aggiungere profondita’ alla visione. Ma se le due immagini sono cosi’ differenti da non poter essere fuse insieme, il cervello sceglie l'immagine di un solo occhio e sopprime l'altra. Ogni pochi secondi, la percezione passa spontaneamente da una all'altra immagine. Questo fenomeno, che si verifica di rado nel normale ambiente visivo, fornisce un potente mezzo per studiare il funzionamento delle regioni visive del cervello ed e’ stato sfruttato da Clifford e colleghi per dimostrare che di fronte a due segnali contraddittori, un'osservatore "sceglie" quello che si attende di piu’. Tamara L. Watson, Joel Pearson, Colin W.G. Clifford, "Perceptual Grouping of Biological Motion Promotes Binocular Rivalry". Current Biology, vol. 14, n. 18 (21 settembre 2004), pp. 1670–1674. DOI 10.1016/j.cub.2004.08.064 _____________________________________________________ Le Scienze 23 Sett. 04 GRAVIDANZA E CANNABINOIDI La marijuana potrebbe influenzare le gravidanze extrauterine Alcuni ricercatori negli Stati Uniti hanno scoperto che una sostanza chimica naturale, simile ai principi attivi della cannabis, potrebbe avere un ruolo fondamentale nel normale processo di gestazione. Gli esperimenti sugli animali hanno mostrato che le reazioni ai cannabinoidi sarebbero determinanti per il movimento dell'embrione lungo la tuba di Falloppio verso l'utero. In un articolo pubblicato sulla rivista "Nature Medicine", i ricercatori della Vanderbilt University di Nashville sostengono che le loro scoperte potrebbero aiutare a comprendere come mai si verificano gravidanze extrauterine, nelle quali l'embrione comincia a crescere all'esterno dell'utero. Secondo gli scienziati, tuttavia, saranno necessari ulteriori studi per determinare se l'uso di cannabis possa aumentare il rischio di gravidanze extrauterine. Nelle gravidanze normali, le cellule uovo passano dalle ovaie all'utero attraverso la tuba di Falloppio, dove possono essere fertilizzate da uno spermatozoo. Le uova fecondate si impiantano poi nella parete dell'utero e continuano a crescere. Nelle gravidanze extrauterine, invece, le uova fecondate seguono una strada diversa e possono impiantarsi all'esterno dell'utero, spesso nella stessa tuba di Falloppio ma a volte anche nell'ovaia, nell'addome o nel collo dell'utero. Sudhansu Dey e colleghi avevano gia’ scoperto recettori negli embrioni di topo che rispondevano a sostanze di tipo cannabinoide. Ora gli stessi recettori sono stati individuati anche negli uteri di esseri umani. Nel tentativo di capire quale fosse il ruolo di questi recettori, Dey e colleghi hanno bloccato la loro azione nei topi, scoprendo che in questo modo gli embrioni non completavano il proprio viaggio attraverso la tuba di Falloppio fino all'utero. "Questo risultato - ha dichiarato Dey - non e’ pero’ sufficiente per affermare che l'incidenza delle gravidanze extrauterine sia associata all'uso cronico di cannabinoidi" _____________________________________________________ Le Scienze 24 Sett. 04 UNA SUPER TUBERCOLOSI Stanno nascendo nuove varieta’ resistenti agli antibiotici Nuove varieta’ di tubercolosi resistenti ai farmaci potrebbero provocare un'epidemia globale: basterebbero solo piccole mutazioni per renderle in grado di diffondersi rapidamente. Lo sostengono alcuni ricercatori negli Stati Uniti in due studi separati che mostrano come questa "super tubercolosi", che puo’ essere curata soltanto con un cocktail di farmaci calibrato con cura, potrebbe cominciare facilmente a diffondersi in modo piu’ comune. Gli studi, pubblicati sulla rivista "Nature Medicine", coincidono con un altro rapporto pubblicato la settimana prima, secondo il quale i tentativi dell'Organizzazione Mondiale della Sanita’ per controllare la TBC resistente agli antibiotici non stanno funzionando bene come si sperava. Se questo fosse vero, la TBC potrebbe compiere una pericolosa riapparizione con nuove varieta’ ancora piu’ difficili da combattere di quelle vecchie. Nonostante gli sforzi per tenerla sotto controllo, si stima che la TBC infetti 8,7 milioni di persone ogni anno, uccidendone 2 milioni l'anno. La malattia e’ diffusa da batteri che si insediano nei polmoni e provocano un'infezione a lungo termine. Molte persone che vengono infettate non si ammalano ma possono diffondere ulteriormente la malattia. Anche se l'igiene e le terapie la limitano in Europa e in Nord America, l'AIDS e i suoi attacchi al sistema immunitario hanno aiutato la TBC a fare la sua riapparizione negli anni novanta. _____________________________________________ Il Sole24Ore 18 Sett.04 NUOVE ARMI NELLA LOTTA AL CANCRO AI POLMONI SANITA’ » Test in corso allo Ieo di Umberto Veronesi MILANO • «La nostra esperienza clinica dimostra che la diagnosi e la cura, allo stadio iniziale, possono guarire l'80% dei tumori polmonari», afferma Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Ieo (Istituto europeo di oncologia), in occasione della First Milan lung conference, tenutasi ieri a Milano. Scopo dell'incontro: creare una collaborazione tra gli istituti piu’ avanzati del mondo e mettere in atto una strategia mirata a ridurre il tasso di mortalita’. Un tasso che e’ rimasto molto elevato, l'85%, perche’, secondo Umberto Veronesi, oltre il 70% delle diagnosi viene fatto in fase avanzata. In Italia si registrano 30mila vittime l'anno, di cui 6mila donne. «Mentre tra gli uomini la mortalita’ e’ diminuita, grazie all'abbandono del fumo — sottolinea Umberto Veronesi — e’ aumentata quella femminile». Oltre a campagne contro il fumo nelle scuole e interventi mirati alla popolazione femminile, la strategia dell'Ieo prevede: un programma di screening che coinvolgera’ per cinque anni 5mila volontari fumatori o ex fumatori che, pur avendo fumato almeno un pacchetto di sigarette al giorno, hanno superato i 50 anni; un'indagine sui geni che predicono la risposta ai farmaci del singolo paziente e l'applicazione della radioterapia intra operatoria. Sul cancro al polmone, finora considerato incurabile per la difficolta’ che la diagnosi precoce presentava in mancanza di una tecnologia appropriata, l'Ieo e’ focalizzato da cinque anni con uno studio condotto su mille volontari. «Dei 15- 20 tumori sviluppati si ogni anno tra i partecipanti, tutti sono stati curati e guariti, perche’ la diagnosi e’ stata fatta al primo stadio», precisa Umberto Veronesi. I successi sono dovuti al fatto che la Tac (Tomografia assiale computerizzata) della generazione detta "spirale", che ha una decina d'anni, associata alla Pel (Tomografia a emissione di positroni), consente di individuare persino noduli polmonari con un diametro di 0,6 millimetri, e di distinguere tra essi i maligni. «La Tac — spiega Massimo Bellomi, direttore della Divisione di radiologia dell'Ieo — permette di esaminare tutto il volume del polmone. La Pet, oltre alla morfologia dell'organo, ne evidenzia l'attivita’ metabolica che, in corrispondenza di una neoplasia maligna, e’ molto piu’ elevata che nel tessuto sano». L'indagine sul profilo genico di ogni malato, per prevederne la risposta ai farmaci, ha lo scopo di personalizzare la chemioterapia, onde ridurre i casi di insuccesso. Un insuccesso attribuibile, secondo Giulia Veronesi, vicedirettore della Divisione di chirurgia to-racica dell'Ieo, al fatto che il trattamento e’ stato prescritto finora in modo empirico. Riducibile anche la tossicita’ della radioterapia, se applicata durante l'intervento in dose molto elevata solo sulla parte da trattare. «Ai tumori del polmone — spiega Giulia Veronesi —, e’ sconsigliabile applicare alte dosi di radiazioni dall'esterno del corpo, per non danneggiare gli organi vitali vicini». ROSANNA MAMELI _____________________________________________________ Le Scienze 21 Sett. 04 INFEZIONI INFANTILI E LONGEVITA’ L'infiammazione cronica nel sangue provoca attacchi cardiaci e tumori A partire dal 1850 gli esseri umani hanno cominciato a vivere piu’ a lungo. La causa, secondo gli scienziati, risiederebbe nel miglioramento delle condizioni di vita, della nutrizione, dei redditi e delle medicine. Ma due gerontologi dell'University of South California hanno ora scoperto una causa invisibile che potrebbe avere importanti implicazioni per la cura della salute. In un articolo pubblicato sul numero del 17 settembre della rivista "Science", Caleb Finch ed Eileen Crimmins associano l'incremento della durata della vita umana, graduale ma stabile, a tassi inferiori di esposizione dei bambini a malattie infettive come tubercolosi e malaria. La teoria si basa su una sola parola: infiammazione. Le malattie infettive causano infiammazione cronica nel sangue che, decenni piu’ tardi, conduce ad attacchi cardiaci, colpi apoplettici e tumori, le principali cause di morte in eta’ avanzata. Finch e Crimmins hanno preso in esame i dati sulla salute e i tassi di mortalita’ in Svezia fra il 1751 e il 1940, scoprendo che, da quando e’ calata l'esposizione alle malattie infettive durante l'infanzia, la gente ha cominciato a vivere meglio e piu’ a lungo. "Abbiamo avanzato un'ipotesi coerente, basandoci su fatti evidenti che sono davanti a tutti. - scrive Finch - Nei tempi antichi, quando la mortalita’ infantile era molto elevata, anche i bambini che sopravvivevano erano soggetti a infezioni croniche che acceleravano l'insorgere di disturbi vascolari e altre malattie". _____________________________________________ Il Sole24Ore 22 Sett.04 E ORA SI SCOMMETTE SULLA «NANO-ORGANICA» La microelettronica, negli ultimi venti anni, ha prodotto la piu’ imponente corsa innovativa nell'industria mondiale. Oggi un chip di pochi millimetri di lato contiene quasi un centinaio di milioni di componenti elementari, un intero palazzo di computer dei primi anni Ottanta, Tanta innovazione solo per produrre sempre piu’ gigahertz sulle piastrine di silicio? Oppure la possibilita’ di sfruttare il patrimonio tecnologico della microelettronica per riversarlo anche in altri campi, come l'energia, la diagnostica, l'ottica? E qui che nasce la scommessa dell'area "nano-organica" della St Microelectronics. Due centri di ricerca con meno di tre anni di vita ma che oggi — dice Salvo Coffa, un passato al Cnr come ricercatore di fotonica e oggi responsabile dell'area R&S — sono cresciuti, tra Catania e Napoli, a circa 100 ricercatori, con 1.200 metri quadrati di laboratori, di cui 600 in impianti microlettronici avanzati. I tre campi principali di queste attivita’ di ricerca sono la fotonica, i chip capaci di leggere e interpretare il Dna e gli studi sui materiali avanzati. Tra cui il progetto chiave sui polimeri fotosensibili e conduttori, centrato sulle strutture di Napoli-Arzano. Si tratta di campi in un certo senso "laterali" rispetto alla ricerca centrale di St Microelectronics che, in grandi laboratori quali quelli di Crolles e Agrate, lavora sulla miniaturizzazione sempre piu’ spinta dei componenti elettronici — spiega Coffa — la siamo alla scala nanometrica. E gli investimenti per raggiungerla sono enormi, al punto che tutti i big della microelettronica hanno stretto alleanze tra loro per sostenerli. Noi invece non abbiamo bisogno di simili miniaturizzazioni. Per realizzare un chip in grado di leggere le rifrazioni di colore del Dna ci bastano tecnologie di qualche anno fa. Piuttosto, puntiamo sulla creativita’ di gruppi interdisciplinari. Qui abbiamo ingegneri, fisici, biologi, medici al lavoro. Eppure la competenza microe-lettronica conta. Faccio un esempio: il nostro progetto su una micro-cella a combustibile capace di convenire metano in idrogeno e quindi in energia elettrica. Tutto il problema sta nell'interfaccia tra la membrana in polimeri speciali e il chip di silicio che la alimenta e controlla il processo energetico. Se non avessimo le competenze microelettroniche sul silicio complesso non saremmo in grado di realizzarla. Invece siamo a buon punto. Ed entro l'anno prossimo avremo i primi prototipi pronti per il percorso di industrializzazione. Altrettanto vale per altri due campi, dove l'area di Catania, ha lavorato sodo nei suoi tre anni di decollo: i chip fotonici (a microspecchi, capaci anche di sorprendenti effetti ottici interni) e i nuovi materiali polimerici, siano essi schermi luminosi in plastica sia le futuribili celle fotovoltaiche a basso costo. Dall'anno prossimo, insomma, la scommessa di St Microelectronics sulla possibilita’ di esportazione "laterale" della ricerca e tecnologia del silicio comincera’ a ripagarsi concretamente. Con nuove generazioni di prodotti, alcuni dei quali — osserva Coffa — su mercati ancora tutti da inventare, dove saremo i primi. _____________________________________________ Il Sole24Ore 23 Sett.04 GLI ANZIANI GRANDE SFIDA DELLA MEDICINA ROMA • Lo stile di vita e’ determinante per prevenire l'Alzheimer, malattia senile che interessa, nella sola Italia, 600mila persone. Uno studio pubblicato sul «Journal of the’ American medicai association» e condotto su 2.200 uomini americani e giapponesi, ha dimostrato che i sedentari, cioe’ quelli che in un giorno camminavano per meno di un quarto di miglio (400 metri), avevano una probabilita’ all'incirca due volte maggiore di sviluppare la demenza — compreso l'Alzheimer — rispetto a quelli che camminavano per piu’ di due miglia (oltre 3,2 chilometri) al giorno. Gli uomini del campione erano tutti non fumatori e di eta’ compresa tra i 71 e i 93 anni. L'Alzheimer interessa nel mondo 12 milioni di persone. Negli Stati Uniti, tra l'altro, e’ iniziata la prima sperimentazione di terapia genica su pazienti che si trovano ai primi stadi della malattia. La terapia si basa sul trasferimento del gene che controlla la produzione del fattore di crescita delle cellule nervose scoperto dal Nobel italiano Rita Levi Montalcini. Intanto dal Censis arriva un dettagliato identikit del pianeta «anziani e salute» che fotografa umori e condizioni degli over 65 d'Italia. Secondo l'indagine, presentata ieri e condotta per l'Agenzia dei servizi sanitari regionali, tra gli anziani prevale una positiva percezione della salute e del proprio benessere. 165-69enni giudicano «buono o ottimo» il proprio stato di salute nel 64% dei casi; sono in grado di fare tutto da soli (l'83,3%); non sono per lo piu’ affetti da malattie (47,1%) e si dichiarano «felici» nel 77,1% dei casi. Le cose cambiano con l'andare avanti dell'eta’: gli over 85 sono in grado di fare tutto da soli nel 29% dei casi; sono condizionati nella mobilita’ da ostacoli (55,9%) e da patologie gravi (il 25% da malattie molto gravi e il 28% da patologie di una certa gravita ma curabili). Infine gli anziani sono soddisfatti del proprio medico di famiglia e promuovono gli ospedali, ma denunciano il difficile accesso alle strutture. Per il benessere degli anziani, comunque, il regime alimentare e’ di fondamentale importanza. E due studi pubblicati dalla rivista «Journal of the’ American medicai association» e realizzati anche da studiosi europei, tra i quali un team di italiani della Seconda Universita’ di Napoli, hanno dimostrato che la dieta mediterranea abbassa del 23% il rischio di decesso nelle persone di oltre 70 anni. MAR.B.