IN AMERICA LA FORZA E’ TUTTA NELLE UNIVERSITA’" - L'ECCELLENZA SI FA A PAROLE - UNA SCUOLA DI COMPETENZE - USA: COSI’ SI PREMIA IL MERITO - RICERCATORI UNIVERSITARI «PROTESTA CHE NON CONDIVIDIAMO» - VITA DA PRECARIO IN FACOLTA’ - RICERCATORI: LA RIVOLTA DEGLI ETERNI PRECARI - CAGLIARI: I RICERCATORI LANCIANO L'ULTIMATUM - UGO: VI SPIEGO IO COME FARE RICERCA - SPAZIO ILLUSORIO AI LAUREATI TRIENNALI - FESTA PER I DOTTORI-LAMPO MA IL TITOLO E’ DIMEZZATO - RUBBIA DELINEA LA RIFORMA DELL'ENEA - BREVETTI, ITALIA A MARCIA INDIETRO: CRESCE IL DEFICIT CON L' ESTERO - EUROPA: LA RICERCA ESCLUSA DAL PATTO - DE MAIO (LUISS): COSI’ SI CORREGGE IL "3+2" - L'ALLEATO DELLE DONNE STUDIA ALL'UNIVERSITA’ - L’ UNIVERSITA’ E LE SCELTE - IN UN LIBRO LA STORIA DELL’ATENEO DI CAGLIARI - UN SALTO DI QUALITA’ PER LE FUEL CELL - ================================================================== SANITA’, ARRIVANO I TAGLI - LANUSEI: DIMISSIONI "SUGGERITE" AL MANAGER ASL - FARMACI, ARRIVANO LE MONODOSI - UN ITALIANO SU DUE SCEGLIE LA CLINICA PRIVATA - MEDICI DI BASE, CHIESTO UN AUMENTO DELL'8% - PRIMARIO OSPEDALIERO, PROFESSIONE AD ALTO RISCHIO - QUELLA RAI SALVA CELLULE - ORTOPEDIA, LE OSSA ARTIFICIALI - DUE RICERCHE ITALIANE FANNO LUCE SU ICTUS E DANNI DA SMOG - LA SFIDA E’ IL RICAMBIO NEURONALE - EX NIHILO NIHIL FIT - LENTI A CONTATTO PER CURARE IL GLAUCOMA - NUOVA TECNICA ELIMINA LE BORSE SOTTO GLI OCCHI - IL DIABETE E’ SEMPRE PIU’ GIOVANE - LA MACULOPATIA DEGENERATIVA SENILE E’ LA VERA EMERGENZA" - SE LA CHIRURGIA E’ MININVASIVA - LA SIFILIDE E’ TORNATA A FARE PAURA - LE INFEZIONI TRASMESSE DALLE ZANZARA - GLI EFFETTI NEGATIVI DEL CESAREO - SCONFIGGERE LE ALLERGIE - ================================================================== ___________________________________________________ Repubblica 25 ott. ’04 "IN AMERICA LA FORZA E’ TUTTA NELLE UNIVERSITA’" L'economista Joel Mokyr non ha dubbi: Il sistema della formazione superiore rappresenta una levatale che da sola bastera’ ad allontanare il pericolo della crisi economica. E con la tecnologia quest'importanza e’ aumentata" EUGEMOOCCORSIO L’economia americana non e’ in quella gran salute che l'amministrazione vuol farci credere. La guerra in Iraq e’ stata un errore senza precedenti. La riforma fiscale favorisce in modo vergognoso chi e’ gia’ ricco e sta creando nuove fasce di poverta’. Tutto questo ci spingera’ verso l'apocalisse? No. E lo sa perche’? Per quello straordinario polmone di liberta’, di sviluppo e di progresso costituito dalle grandi universita’». Joel Mokyr, economista della Northwestern University di Chicago, israeliano di nascita e da 25 anni in America, parla con entusiasmo trascinante: «Istituzioni come Harvard, Yale, oppure il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena o il Massachusetts Institute ofTechnology, dove altro le troviamo al mondo?». Incontriamo Mokyr a Romain occasione del convegno "Nuova scienza, nuova industria" organizzato dalla Fondazione Edison con l’ Accademia dei Lincei nella sede storica dell'accademia stessa in via della Lungara. Ha appena finito un applaudito discorso sul contributo della tecnologia allo sviluppo economico, e sta lasciando il podio ad Umberto Quadrino, presidente della Fondazione Edison, che a sua volta confermera’ che «il dibattito sulle interdipendenze tra scienza e industria, tra ricerca di base e ricerca applicata e’ cruciale e vivace sia a livello europeo che italiano, dove e’ essenziale capire come indirizzare le risorse disponibili per aumentare la competitivita’ del sistema Italia». Il nodo principale resta la formazione permanente, che poi e’ il perno della supremazia americana nel mondo. Mokyr e’ impietoso: «L'America e’ governata da una banda di guerrafondai senza cervello ne’ cultura. Speriamo che vinca Kerry che almeno qualche libro l'ha letto. L'intelletto e’ una virtu’ rara da noi: l’Urss si e’ dissolta per suo conto, ma fra Cia e Kgb chi vinceva? Non una volta ha prevalso la Cia, la chiamano intelligence ma e’ una barzelletta per la quale ci ridono dietro in tutto il mondo». Eppure, di intelligenza in America ce n'e’ e tantissima, appunto nelle universita’. «Altrimenti perche’ continuerebbero ad affluire studenti da tutto il mondo?». Come si spiega questa contraddizione? «Semplice, perche’ non tutti gli americani, anzi la minoranza, frequentano l'universita’. Ma c'e’ una richiesta fortissima da tutto il mondo. Quando entra, uno studente sa che non verra’ lasciato solo, verra’ seguito con passione, competenza, scrupolo. E se vorra’ far carriera nell'universita’, varranno solo i suoi meriti. Ecco, questa meritocrazia che c'e’ in America, se mi posso permettere non mi sembra che ci sia nell'universita’ italiana. O sbaglio?». ___________________________________________________ Il Sole24Ore 24 ott. ’04 L'ECCELLENZA SI FA A PAROLE Un compendio che analizza il significato dei termini fondamentali nel campo della ricerca DI PIER LUIGI SACCO D opo anni di ironica e condiscendente indifferenza, il tema della ricerca scientifica e dell'innovazione e’ diventato improvvisamente un vero e proprio tormentone, che in alcuni momenti assume le forme dello psicodramma collettivo. Bisogna investire in ricerca per innovare, e bisogna - innovare per difendere le nostre posizioni competitive, ci viene ripetuto da tutti, ogni giorno, come un mantra. Si, ma come? Gia’, come. Ed e’ qui che le granitiche certezze cominciano a sfarinarsi: concentrare tutte le risorse in grandi centri d'eccellenza da creare ex no vo. No, valorizzare le eccellenze che gia’ ci sono. Piuttosto, favorire il rientro dei cervelli (si spera che abbiano l'accortezza di estendere l'invito al resto delle membra degli interessati). Molta di questa confusione deriva, purtroppo, dal fatto che la cultura della ricerca e dell'innovazione non si improvvisa. E’ assurdo pretendere che, per pure ragioni utilitaristiche e da un giorno all'altro, un Paese che si e’ distinto nella sistematica mortificazione umana e professionale delle proprie migliori intelligenze si trasformi d'incanto in una cittadella del sapere. Ed e’ altrettanto utopistico pensare che, al di la’ di straordinarie ma isolate realta’ di eccellenza, un sistema produttivo che ha sempre ancorato le proprie scelte strategiche alla gestione della contingenza possa di colpo, seguendo ancora una volta un'urgenza dettata da una contingenza, fare propria la cultura della sperimentazione, dell'investimento e del lungo periodo che e’ la premessa indispensabile dell' innovativita’. Certo, autofustigarci ora non serve. Ma e’ altrettanto - sbagliato andare in cerca di soluzioni miracolistiche. Ci vorra’ tempo, quel tempo che e’ stato sprecato nel passato mentre altri facevano scelte diverse. Un tempo che andra’ impiegato studiando i modelli di eccellenza gia’ realizzati ma anche sforzandosi di avviare una rivoluzione culturale che faccia del sapere e dell'intelligenza un valore collettivo da perseguire can orgoglio e determinazione; al momento, pero’, sembra che i modelli di vita e di comportamento che vengono portati all'attenzione da chi ha mezzi e spazi per farsi ascoltare siano altri. Ed e’ proprio partendo dalla constatazione che nel campo della ricerca e dell'innovazione il nostro Paese ha ormai bisogno di una ri-alfabetizzazione che Massimo Buscema e Giovanni Pieri hanno scritto questo piccolo e straordinario libro, che ripercorre a una a una le parole chiave che ne compongono la pratica quotidiana, ridando loro significato e concretezza. Ma questo non vuol dire aspettarsi un noioso bigino che riaffermi puntigliosamente verita’ risapute: il libro ha molto da dire non soltanto a chi da neofita vuole capire, ma anche a coloro che, come gli autori, sono tuttora attivamente impegnati sul fronte della produzione di nuove conoscenze. A ogni parola chiave sono dedicate poche pagine nelle quali la spiegazione dei concetti fondamentali si riduce a poche righe, dense ma chiarissime, mentre la maggior parte dell'attenzione e’ rivolta a spiegare come quella particolare componente possa e debba svolgere una funzione precisa all'interno del sistema complesso di processi e attivita’ che e’ il ciclo di generazione e utilizzo produttivo delle conoscenze avanzate. Si prenda ad esempio la voce «Trasferimento delle conoscenze (scientifiche e tecnologiche)». Gli autori propongono un semplice e realizzabile meccanismo organizzativo: affidare a gruppi di esperti in ricerca applicata la sistematica monitorizzazione dei centri di ricerca di base, dando loro facolta’ di sostenerne l'attivita’ e di acquisirne gratuitamente i risultati che sono stati prodotti anche grazie ai loro finanziamenti. Questi gruppi possono essere espressione del pubblico - nel qual caso si concentreranno su quelle ricerche che i privati non hanno interesse a finanziare ma che sono prioritarie per la comunita’ (come quelle sulle malattie rare o sulle vulnerabilita’ sociali) - o del privato; i privati e il pubblico potranno poi a loro volta "vendere" su un mercato interno ad altre aziende interessate risultati sui quali queste ultime non hanno investito. I prevedibili effetti allocativi di un simile schema saranno allora: il ridursi delle risorse destinate alla ricerca di base non produttiva; un preciso ruolo del pubblico nel sostegno alla ricerca utile ma non redditizia, almeno nel medio termine; l'incremento dell'investimento nella ricerca di base (senza il quale tutta la retorica dell'importanza sociale ed economica della ricerca resta tale) e la conseguente creazione di spazi di autonomia per la medesima, che rischia invece oggi di essere soffocata da un utilitaristico quanto miope ripiegamento sulla ricerca di immediata applicabilita’; la auto-selezione dei gruppi di ricerca di eccellenza; la trasparente ed efficace trasmissione di conoscenze che oggi restano spesso "intrappolate" nelle logiche del segreto industriale e non possono cosi’ beneficiare delle sinergie tra piu’ gruppi di eccellenza impegnati sullo stesso tema. E questo e’ solo un esempio. Si legga la voce «Ricerca scientifica», non sorprendentemente una delle piu’ lunghe e articolate del volume, e si scoprira’ come il nostro dibattito attuale sul tema sia dominato da una confusione terminologica e concettuale che ne vizia all'origine gli esiti. Oppure la voce «Valutazione della ricerca scientifica» in cui gli autori propongono uno schema altrettanto semplice e ingegnoso quanto quello proposto nel caso del trasferimento delle conoscenze (e il cielo sa quanto ne abbiamo bisogno, oggi, nel nostro Paese). Questo e’ un libro che va preso molto sul serio, e che in un Paese che sia davvero in buona fede nella sua dichiarata intenzione di dare vita a una nuova fase di sviluppo fondata sulla produzione e sulla valorizzazione produttiva delle conoscenze, non puo’ che suscitare attenzione, sollecitare riflessioni, produrre iniziative concrete e momenti di confronto sulle precise e circostanziate proposte che vengono qui avanzate. Siamo pertanto curiosi di vedere quello che accadra’, puo’ essere un test estremamente semplice ed efficace per capire se dietro tutto il fumo di questi giorni c'e’ anche la ragionevole speranza di un po' di arrosto. Massimo Buscema, Giovanni Pieri, «Ricerca scientifica e innovazione. Le parole chiave», Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, pagg. 194, € 12,00. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 27 ott. ’04 UNA SCUOLA DI COMPETENZE Innovazione e ricerca sono molto di piu’ di uno I slogan; sono una priorita’ per il sistema industriale italiano che deve competere non solo con i big americani ed europei, ma anche con Paesi (come Cina, India, Corea del Sud) che stanno costruendo le proprie fortune economiche sui cervelli che le proprie universita’ sfornano a migliaia. Non e’ quindi casuale il tema scelto dalla Confindustria per la manifestazione Orientagiovani che si e’ svolta ieri: «Il vento della scienza». E’ la dimostrazione che il sapere tecnico e scientifico e’ la benzina per l'industria, il vero motore della crescita economica di un Paese avanzato. Intuizione, volonta’, fantasia sono elementi che hanno fatto grande l'industria italiana nel mondo ma adesso non bastano; servono competenze sempre piu’ sofisticate e soprattutto al passo con la velocita’ dei cambiamenti. Ecco perche’ diventa decisivo rafforzare il collegamento tra la scuola e il mondo produttivo; per troppo tempo i due mondi hanno seguito percorsi divergenti in una sorta di disinteresse dell'istruzione per quanto accadeva fuori dal recinto scolastico. L'Italia, quindi, sconta dei forti ritardi rispetto agli altri Paesi dove questo legame e’ consolidato da tempo. Adesso si tratta di accelerare: la riforma della scuola ma anche la legge Biagi (sia nella parte sull'alternanza scuola-lavoro sia in quella relativa alla formazione continua) rappresentano due importanti passi in avanti. Anche in tempi di forte difficolta’ economica le aziende non solo non hanno rinunciato alla ricerca dei giovani talenti sui quali investire, anzi hanno intensificato gli sforzi per strappare alla concorrenza le menti migliori fin dall'universita’; anche questo e’ un segnale che qualcosa sta cambiando nella consapevolezza che la sfida si vince scommettendo sulla qualita’. L'industria sta intensificando gli sforzi per avvicinare i giovani al mondo produttivo: alla scuola tocca il compito di indirizzare l'istruzione non solo e non tanto verso i settori dove si potra’ trovare un posto ma soprattutto verso quella formazione di eccellenza indispensabile per competere nel mondo. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’04 USA: COSI’ SI PREMIA IL MERITO Un italiano in America / Qualita’ e retribuzione La creazione dell'Iit di Genova si deve accompagnare a una riforma radicale del nostro sistema universitario DI FABIO SCHIANTARELLI* Sole-24 Ore ha pubblicato diversi articoli sulla fuga dei cervelli italiani verso gli Stati Uniti. Su questo tema, desidero offrire alcune considerazioni dalla mia prospettiva di professore di economia in un'universita’ privata americana. Partiamo dalla questione degli incentivi che abbiamo davanti a noi quando il Boston College assume un professore. Qualunque offerta noi facciamo deve soddisfare un requisito fondamentale: aiuta a migliorare il livello di ricerca del dipartimento? Se si’, bene, altrimenti non se ne parla. Se il dipartimento assume persone brave, riesce ad attrarre piu’ fondi esterni di ricerca. Inoltre, e’ piu’ probabile che l'amministrazione dell'universita’ dedichi ad esso risorse finanziarie aggiuntive. Questo perche’ un dipartimento migliore aiuta ad attrarre un maggio re numero di studenti paganti di alta qualita’ e aumenta la probabilita’ di donazioni private. Insomma, s'instaura un circolo virtuoso in cui scelte di alta qualita’ accademica generano fondi che permettono di finanziare ulteriori scelte di qualita’. 11 sistema non e’ perfetto, ma funziona abbastanza bene. Il risultato di tutto cio’ e’ che il dipartimento di Economia del Boston College e’ passato in cinque anni dal 35° al 24° posto negli Usa, nelle classifiche basate sullo stock di capitale umano nei vari centri di ricerca, misurato in base alle pubblicazioni in riviste internazionali pesate per qualita’. Siamo invece al 28° posto includendo nella classifica anche i centri di ricerca europei. In termini di produttivita’ pro capite la nostra classifica e’ ancora piu’ lusinghiera (22° posto). Niente di tutto questo succede in Italia. Qual e’ il risultato? Nelle classifiche internazionali piu’ recenti i dipartimenti e centri di ricerca italiani di economia sono collocati decisamente in basso, molto piu’ in basso del Boston College, che e’ un ottimo dipartimento in crescita, ma non e’ certo ne’ Harvard ne’ il Mit. Questo non vuol dire che non esistano economisti di valore e assai produttivi in sedi universitarie come Torino, Igier-Bocconi, Statale di Milano, Padova, Venezia, Bologna, Roma, Salerno e altre. Un numero significativo di professori sarebbe un fiore all'occhiello di molte universita’ internazionali. Tuttavia queste persone molto brave sono immerse e spesso disperse in un mare di mediocrita’, costrette a fare i conti e battagliare con colleghi di bassa qualita’ che li circondano. Si noti che l'Italia figura solo al 12-14° posto in Europa in termine di produttivita’ pro capite dei suoi ricercatori in economia. Per esempio, l'Universita’ Bocconi cade dal 51° posto in termini di produttivita’ totale al 64° in termine di produttivita’ pro capite. Che fare nel contesto di un sistema essenzialmente pubblico come quello italiano? Fino a quando non verranno dati gli incentivi giusti il sistema non migliorera’. 1 fondi ricevuti dalle universita’ devono riflettere la qualita’ della ricerca, come avviene ad esempio in Gran Bretagna. Si deve poi lasciare che ogni universita’ assuma chi vuole e con salari differenziati che riflettano la produttivita’ individuale. Nel quadro di un sistema ridisegnato si puo’ poi pensare a un aumento delle risorse. La riforma Moratti non si muove in questa direzione. Centralizzare nuovamente i concorsi a livello nazionale senza aggiustare gli incentivi finanziari non risolve i problemi strutturali. In questi ultimi mesi e’ stata anche proposta (ed e’ in processo di attuazione) l’istituzione di un centro di ricerca di eccellenza (l'Istituto italiano di tecnologia) come soluzione al problema di attrarre ricercatori italiani all'estero e al fine di stimolare la ricerca in Italia. Se la sua creazione non si accompagna (ed e’ esattamente questo il caso) a una riforma vera del sistema universitario, i problemi di fondo rimarranno. In un certo senso l’Iit funzionera’ solo come scusa e palliativo per non attuare una riforma radicale, necessaria, ma non voluta da chi ha prosperato nel sistema non meritocratico attuale. C'e’ qualcosa che gli economisti italiani all'estero possono fare, oltre al ripetere le giuste critiche al sistema attuale? Qualcosa si puo’ fare per sostenere le forze vive presenti nell'universita’ italiana nel loro sforzo di internazionalizzare il sistema. Ad esempio, il consorzio di dottorato delle universita’ lombarde, centrato sulla Statale di Milano, ha stabilito un accordo con il Boston College e con le universita’ di Lovanio e York che permette lo scambio di professori e consente agli studenti italiani di seguire corsi nelle universita’ straniere. Tutto cio’ e’ positivo e va sostenuto. Nello stesso tempo, il nostro dipartimento continuera’ nel suo sforzo di attrarre alcuni degli ottimi e motivati studenti italiani che vogliono conseguire un dottorato all'estero. Insomma, continueremo ad approfittare delle disfunzioni dell'universita’ italiana. Si puo’ sostenere che questo stimoli la fuga dei cervelli. La verita’ e’ che la responsabilita’ sta tutta sulle spalle di chi ha disegnato, di chi dirige e di chi prospera in un sistema distorto che produce poca ricerca. Si noti che la questione della ricerca non e’ fine a se stessa. Quei Paesi, come l'Italia, che non si basano sulla ricerca e non promuovono l'innovazione sono destinati a soffrire le conseguenze economiche delle loro scelte nell'economia globale. *Professore di Economia, Boston College ___________________________________________________ Avenire 28 ott. ’04 RICERCATORI UNIVERSITARI «PROTESTA CHE NON CONDIVIDIAMO» La vulgata comune non considera i docenti universitari dei lavoratori indefessi: non timbrano il cartellino, insegnano per poche ore e vengono pagati per studiare. Perche’ mai dovrebbero protestare? Eppure sta prendendo corpo in molti atenei una protesta che potrebbe avere serie conseguenze sull'attivita’ didattica. Ad essere sul piede di guerra sono in particolare i ricercatori. Tutto nasce dall'approvazione da parte della Commissione Cultura della Carnera, lo scorso 31 luglio, del Decreto per il riordino dello stato giuridico dei professori universitari. Tra i molti punti innovativi, quelli riguardanti la figura del ricercatore sono il principale oggetto delle proteste. La situazione e’ incancrenita. Attualmente in universita’ esistono i professori ordinari, i professori associati e i ricercatori. L’eta’ media di questi ultimi e’ di 44,6 anni; si diventa ricercatore dopo anni di contratti di ricerca di vario tipo, mediamente a oltre 37 anni. Un vero e proprio collo di bottiglia, a cui si cerca di rimediare abolendo tale figura. Ai giovani si propone un periodo di contratti di ricerca che duri al massimo otto anni - compreso il dottorato di ricerca - dopo di che potranno concorrere per professore associato. Non ci saranno piu’ nuovi posti da ricercatore, quindi. I ricercatori che adesso insegnano, se la facolta’ giudichera’ positivamente il loro lavoro, avranno il titolo di "professore aggiunto". Nei futuri concorsi di associato si prevede una quota del 15%n riservata ai ricercatori con piu’ di 5 anni di insegnamento. A regime il sistema dovrebbe funzionare. Il problema e’ costituito dai prossimi cinque-otto anni, quando aspireranno alle posizioni di associato gli oltre 20mila ricercatori attuali e alcune migliaia di assegnisti, dottorandi, ecc: facile prevedere un intasamento, con scarse possibilita’ di accesso per chi non e’ oggi ricercatore. Rimane la domanda: perche’ protestano? Ad essere contestato e’ il limite massimo di otto anni di contratti di ricerca per poter concorrere alla posizione di associato. Contestualmente, ci si oppone alla abolizione della figura di ricercatore. Sono obiezioni che non condividiamo. La tanto deprecata "fuga dei cervelli" riguarda studiosi che cambiano paese o continente per contratti di ricerca a termine, profumatamente pagati, dopo i quali non e’ previsto alcun posto fisso. Ovunque nel mondo i giovani iniziano la carriera accademica inserendosi in progetti di ricerca pluriennali, che niente hanno a che fare con il posto fisso e inamovibile. Chiediamoci allora chi effettivamente perde con questa proposta di legge. In Italia esistono sostanzialmente due tipi di ricercatori. Il primo e’ quello degli "over 50", spesso diventati tali nel 1982, "ope legis": sono circa 7mila persone, il 35% del totale, che finora non sono riusciti a superare un concorso e che vedono scemare di anno in anno le possibilita’ di diventare associato e che con l'attuale Ddl potrebbero comunque sperare nella quota riservata del 15%. Il secondo tipo e’ composto da giovani divenuti ricercatori con regolare concorso, di cui oltre 11 mila negli ultimi cinque anni. Questi hanno ovviamente migliori prospettive di diventare associato rispetto ai primi. Il vero punto debole e’ il finanziamento. Le buone riforme richiedono dei cospicui in- , vestimenti. In particolare, se vogliamo introdurre dei contratti di ricerca a termine per i giovani, dobbiamo pagarli come si deve. Le attuali cifre - mediamente 1.000 - 1.200 euro al mese fra borse di dottorato ed assegni di ricerca - sono assolutamente inadeguate, sia al costo della vita, sia a compensare il rischio di rimanere esclusi, alla fine, dalla carriera universitaria. La protesta attuale e’ tesa solo alla difesa di diritti acquisiti; e’ portata avanti con criteri esclusivamente sindacali; distrae dai veri problemi dell'universita’: innanzitutto la mancanza di adeguate risorse finanziarie ed umane, ma anche la dequalificazione dei corsi di laurea triennale, la incompleta autonomia degli atenei, le scarse risorse per fornire servizi adeguati agli studenti. Stiamo assistendo cioe’ ad un ulteriore passo verso lo sfascio dell'universita’. Roberto Pretolani, Universita’ di Milano Assuntina Morresi, Universita’ di Perugia www universitas-university.org _____________________________________________________ la Repubblica 29-10-2004 VITA DA PRECARIO IN FACOLTA’ Bologna, vita da precario in facolta’. Poche speranze e impietosi confronti con chi ha scelto il privato "Qui prendo mille euro al mese ora dovro’ scappare all'estero" JENIlER MELETit BOLOGNA -Per fortuna, adesso che c'e’ Internet, il mondo sembra piu’ piccolo. «Cielo coperto e scuro con nuvole basse. Pioggia». Queste le previsioni del tempo in Normandia. «E' li’ che forse andro’ a lavorare. In Francia, durante il dottorato, ho superato un concorso: posso insegnare matematica applicata, fisica teorica e scienze dei materiali. Il primo stipendio non sara’ altissimo, 1500 curo al mese. Ma ci sono gli scatti, e soprattutto il posto e’ fisso». Michele Gianfelice, 34 anni, assegnista di ricerca a Matematica, e’ uno dei tanti che, con l'abolizione del ruolo dei ricercatori, si trova senza futuro. «La cosa che piu’ mi dispiace- dice -e’ che lo Stato ha speso molto per la mia formazione, ed ora mi spinge a cercare un lavoro all'estero». Vita strana, quella dei ricercatori o assegnisti come Michele Gianfelice. Un posto letto in camera doppia, in un appartamento abitato da lavoratori e studenti, perche’ con 1200 curo al mese non ci si puo’ permettere un'intera stanza. «Poi, in facolta’, trovi altri studenti che ti chiamano professore o assistente, e spieghi che non sei ne’ l'uno ne’ l'altro, e che se le cose non cambiano presto non ti vedranno piu’. Il contratto di assegnista viene rinnovato anno dopo anno, e allora piu’ che alla ricerca pensi a come trovare un altro contratto. Facciamo tutto, in facolta’: seminari, esami e anche "lezioni frontali", quelle fatte dalla cattedra. Per questa attivita’ noi assegnisti almeno qui a Bologna abbiamo un compenso: circa 1600 curo all'anno. Ma le lezioni iniziano a settembre e il contratto arriva dopo sei o sette mesi. Poi bisogna attendere altri mesi per il pagamento. Tutto questo per portare a casa, a 34 anni, poco piu’ di 1300 curo al mese. In Normandia fa freddo, ma penso che non potro’ starle lontano». L'Alma Mater bolognese - cosi’ dicono precari e ricercatori - cerca di proteggere i propri "cuccioli". In altri atenei lezioni ed esami si fanno gratis. Ma anche a Bologna il rapporto fra "strutturati" (quelli che hanno lo stipendio sicuro) e precari e’ di uno a due, secondo altre stime di uno a tre. Anche qui cultori della materia e laureati frequentatori (non pagati) stanno gomito a gomito con borsisti, post dottorati, assegnisti e via elencando. Tutti con l'aspirazione -fino a ieri-di afferrare quel posto di ricercatore che ora e’ stato cancellato. Marco Carricato, 31 anni, il concorso da ricercatore l'ha vinto due anni fa a Ingegneria. «Ma per un anno sono rimasto in attesa di prendere servizio. Sono ricercatore strutturato dal primo gennaio 2004, e ovviamente non sono confermato». Uno stipendio di 1.060 curo al mese, ed i genitori di Cosenza debbono pagare la casa bolognese. «Lavoro,e insegno, a Ingegneria. Entro alle 9,30 del mattino ed esco alle 8 della sera. Ho fatto tre anni di dottorato in robotica e questo dovrebbe essere il mio campo di ricerca. Ma devo insegnare altro, come la meccanica delle macchine, con una didattica che e’ molto simile a quella del liceo. Il ddl della Moratti toglie ogni speranza. C'e’ il rischio di fare anni di precariato -perche’ anche il ruolo di ricercatore deve essere confermato - e trovarsi sul mercato a quarant'anni. Fra i miei compagni di laurea ci sono anche quelli che prendono 3500 curo al mese, io porto casa meno di un terzo. C'e’ anche un altro guaio: le aziende italiane investono pochissimo nella ricerca, e so che altri laureati in ingegneria hanno tolto dai loro curricula i tre anni di dottorato. Se fai vedere che sei davvero qualificato, che hai studiato sul serio, non sei visto bene. Pensano che tu pretenda di essere pagato di piu’, che alzi la cresta. Non assumerebbero mai uno come me che ha" perso" tanti anni all'universita’». I Francesco Lescai, 28 anni, laureato in biotecnologie mediche e’ rimasto nell'ateneo prima con un assegno di ricerca (1100 curo al mese) poi con un dottorato di ricerca (820 curo). «Le speranze erano gia’ magre prima del ddl. Ora rischi di stare qui dieci anni per fare cose che non danno accesso al ruolo». Un appartamento assieme alla sorella, e si stringe la cinghia. «I miei colleghi, in aziende private, hanno uno stipendio di almeno 1500 curo e un posto sicuro. Adesso anch'io ho dei dubbi, e la tentazione di raggiungere i colleghi all'estero e’ forte. Ma mi sento sconfitto: pensavo che, se ritieni di essere bravo, devi dare un contributo al tuo Paese. Ma tutto questo sembra impossibile». Anche a Bologna ci sono incontri e riunioni, e ci sara’ un'assemblea con il rettore Pier Ugo Calzolari. Giannino Melotti, ricercatore senza presa di servizio a Scienze della formazione, ha 37 anni ed ha percorso tutte le tappe della scalata verso il "posto". «Laureato frequentatore, dottorato, post dottorato e ora ricercatore in attesa di chiamata. Per fortuna il nostro ateneo, visto che facciamo comunque ricerca elezioni, ci ha dato un assegno di ricerca. I miei colleghi di tanti altri atenei continuano a lavorare senza prendere nulla». «Io ho 30 anni - dice Piero Morelli - e sono ricercatore non confermato a Ingegneria. Sono sposato, ho un figlio, e porto a casa 1140 euro al mese, assegni familiari compresi. Per quattro mesi ho lavorato in Francia, con una borsa di studio pagata da un'azienda: prendevo 3125 curo al mese. Il precariato lo accetti se hai una prospettiva. E invece a trent'anni ti trovi a fare domanda per "richieste di supplenze eventualmente retribuite", e scopri che negli anni passati sono stati pagati oneri alla gestione separata dell'Inps che non potrai mai recuperare ne’ utilizzare. Una mattina, in stazione, ritrovi 1al collega che si e’ laureata con te (lavora in un'azienda privata. Poche chiacchiere mentre aspetti il treno: scopri che il suo stipendio e’ tre o quattro volte il tuo. Arriva il treno, devi salutarla in fretta: lei e’ in prima classe e tu hai l'abbonamento in seconda». ____________________________________________________ la Repubblica 29-10-2004 RICERCATORI: LA RIVOLTA DEGLI ETERNI PRECARI Si allarga il, fronte anti rifonna: quarantasei gli atenei bloccati MARIO REGGIO ROMA-Mentre il governo intona il de profundis del ricercatore universitario, gli atenei vengono travolti da un'ondata di mobilitazioni e proteste. Fino ad ora sono 46 le universita’ in rivolta. II disegno di legge delega sul «riordino dello stato giuridico dei professori universitari», firmato dal ministro Moratti, e’ passato in commissione Cultura alla Camera, ma la discussione in aula e’ slittata a dicembre. Ma cosa ha spinto decine di migliaia di ricercatori di ruolo e precari a scendere in piazza contro il ddl, bloccando di fatto il nuovo anno accademico? E perche’ altre migliaia di docenti di ruolo, seguiti da decine di senati accademici, hanno chiesto il ritiro del progetto? Contro il progetto di riforma e’ scesa in campo anche la Conferenza dei rettori, chiedendo alla Moratti di sospendere l’iter parlamentare per ridiscutere alcuni punti cruciali del disegno di legge. Tutto questo mentre da3 anni sono bloccate le assunzioni e piu’ di mille docenti che hanno vinto il concorso per associati e ordinari aspettano di essere assunti. Vediamo quali sono i nodi della contesa. In primo luogo si cancella il ruolo dei ricercatori: i 21 mila che oggi hanno un contratto a tempo indeterminato andranno ad "esaurimento". Resteranno, quindi, solo i prof associati e ordinari. Dall'entrata in vigore della legge i nuovi ricercatori", perora oltre 50 mila, dopo il dottorato, saranno tutti precari fino ad un massimo di otto anni. Diventeranno mai professori di ruolo? A questo punto la cosa si complica. Se una cattedra di associato diventa vacante l'ateneo puo’, se ne ha le risorse economiche, coprirla. Ma il vincitore avra’ un contratto a termine, non superiore a sei anni. Dal dottorato sono ormai passati 14 anni, e diventa dura: o il non piu’ giovane docente, siamo oltre i 40 anni, riesce ad entrare in ruoto, oppure deve rassegnarsi a fare il precario a vita, oppure cambia lavoro. Ma le novita’ non finiscono qui. Ora i docenti universitari possono scegliere tra tempo pieno e tempo definito: i primi non possono fare lavori esterni all'universita’, i secondi possono svolgere un'attivita’ privata. Questi ultimi hanno uno stipendio piu’ basso rispetto ai primi. La riforma cancella il tempo definito: tutti prenderanno gli stessi emolumenti e potranno svolgere attivita’ privata. Dovranno solo assicurare 350 ore l'anno di attivita’ didattica, comprese 120 ore di docenza in aula. Un vero paradiso per consulenti, avvocati, commercialisti e ingegneri, che gia’ oggi si vedono raramente nelle aule universitarie. E dove si prenderanno i soldi per pagare le differenze di stipendio? Confermando il principio che in Italia le riforme si fanno a costo zero, il30 milioni di euro che servono verranno sottratti alle supplenze e agli incarichi oggi affidati ai ricercatori. Uno dei cardini della riforma indica ira gli obiettivi il "potenziamento" della ricerca. Vediamo come. Ai ricercatori di ruolo, ai tecnici laureati che fanno lezione ed ai prof incaricati viene attribuito il titolo di prof aggiunto. Oggi un ricercatore non ha l'obbligo di insegnare agli studenti, ma puo’ ottenere l'incarico di fare lezione gratis tra le 40 e le 80 ore l'anno. Diventando prof aggiunto, con la riforma, e con lo stesso stipendio sara’ obbligato ad insegnare 120 ore l'anno. E la ricerca? Nel tempo libero. Infine, ecco che cosa attende gli studenti di oggi che sognano di diventare futuri prof. Gli atenei potranno valutare e scegliere tra chi ha la laurea specialistica un certo numero di giovani per «svolgere attivita’ di ricerca e didattica integrativa». I prescelti avranno un contratto di quattro anni rinnovabile per altri quattro. Al termine il contrattista potra’ sperare in un concorso, per ottenere un contratto a tempo definito, questa volta tre anni piu’ tre. E dopo 14 anni? Si mettera’ in fila sperando di vincere una cattedra da associato, ma sempre con un contratto a tempo determinato. E’ una proiezione ottimistica, i precari d'oggi dovranno aspettare ben oltre i 50 anni, prima di avere un contratto a tempo indeterminato-commenta Flaminia Sacca’, ricercatrice, responsabile del settore per i Democratici di Sinistra- Oggi anche i 50 mila dottorandi, assegnisti e contrattisti fanno esami e seminari, altrimenti il sistema universitario si blocca. I ricercatori di ruolo, eta’ media 45 anni, diventeranno il ramo secco dell'ateneo, buoni solo per la pensione. Con questa riforma la fuga di cervelli all'estero e’ gia’ cominciata». Il progetto del ministro Moratti ha provocato una sollevazione nelle universita’ di tutta Italia Ecco perche’ Un futuro sempre piu’ incerto per chi vuole restare in istituto dopo la laurea. Anche i senati accademici in trincea contro il disegno di legge Dopo quattordici anni di contratti a termine, nessuna garanzia che un aspirante professore venga assunto E molti saranno costretti a emigrare TEMPO DEFINITO ADDIO La riforma dello stato giuridico dei docenti universitari cancellala figura dei ricercatori. Introduce il contratto a termine sia per gli associati che per i professori ordinari. Abolisce il "tempo definito" equiparando i docenti che svolgono un lavoro estemo all'ateneo a quelli a tempo pieno DECRETO DA SOSPENDERE La posizione dei 72 rettori delle universita’ pubbliche e di molti Senati accademici e’ chiara. Chiedono al ministro Moratti di sospendere I'iter del ddl e ridiscutere l'intero impianto della riforma a partire dai finanziamenti al sistema universitario e dall'abolizione della figura del ricercatore PRONTI ASCENDERE IN PIAZZA 121 mila ricercatori di ruolo e gli oltre 50 mila precari invocano il ritiro del ddl di riforma dello stato giuridico. In 46 atenei hanno bloccato l'attivita’ didattica e si preparano a scendere in piazza, mentre chiedono alla Crui di partecipare alla discussione di una piattaforma alternativa ______________________________________________________ L’Unione Sarda 29 ott. ’04 I RICERCATORI LANCIANO L'ULTIMATUM I precari stamane manifestano davanti al Rettorato Universita’. Oggi la riunione del Senato accademico per discutere sulla riforma Moratti Tutto pronto per il presidio in rettorato. Il corpo docente dell'universita’ di Cagliari si prepara per la manifestazione di stamattina, alle 11,30, in via Universita’, in concomitanza con la seduta dl Senato accademico. Il documento, presentato da ricercatori e professori ordinari e associati, ha raccolto un'ampia adesione, considerata la velocita’ con cui si e’ arrivati alla decisione di montare la protesta contro il Disegno di legge delega del ministro Letizia Moratti e a stabilire la forma di protesta, per chiedere all'ateneo cagliaritano di schierarsi contro la decisione del Consiglio dei ministri. Ieri i coordinatori dei ricercatori delle dieci facolta’ del capoluogo sardo si sono ritrovati nel dipartimento di Elettronica di Ingegneria, per fare la conta delle firme raccolte. In quasi tutte le facolta’ si sono raggiunte percentuali elevate, con la punta massima in Farmacia (90 per cento). Alta l'adesione anche in Scienze della Formazione (85%), Scienze Politiche (80%), Matematica e Fisica (80%) e Giurisprudenza (75%). Ma la raccolta proseguira’ ancora, per far capire la contrarieta’ del corpo docenti dell'Universita’ di Cagliari a un disegno di legge che, secondo i ricercatori, rendera’ ancora piu’ diffusa la precarizzazione dei rapporti di lavoro, portera’ all'esaurimento del ruolo dei ricercatori ed eliminera’ la distinzione tra tempo pieno e definito. La seduta del Senato Accademico discutera’ proprio il Ddl della Moratti. Seduta che i docenti hanno chiesto venisse svolta a porte aperte. Difficilmente questo avverra’. Dunque la giornata si annuncia calda, con i coordinatori delle facolta’ che hanno aderito alle proposte del coordinamento nazionale, in vista di forme di protesta dall'8 al 12 di novembre. Non sono ancora state stabilite le modalita’, ma e’ possibile che si arrivi allo sciopero bianco, almeno questa e’ la minaccia dei docenti dell'ateneo di Cagliari, se non si modifichera’ il disegno di legge. Intanto la prima partita si gioca in rettorato, con il Senato Accademico invitato a chiarire la sua posizione. "E’ importante capire quale sia il pensiero dell'Universita’ su questo tema delicato", hanno sottolineato i coordinatori delle facolta’. La contestazione riguarda principalmente l'aumento della precarizzazione (con l'introduzione di contratti a tempo determinato), ma anche l'abolizione della distinzione tra tempo pieno e definito (parificando gli stipendi dei docenti, anche con quelli che svolgono incarichi e collaborazioni esterne all'Universita’. Il documento che verra’ presentato oggi, chiede al rettore e allo stesso Senato di esprimersi contro il disegno di legge e di farsi portavoce delle gravi preoccupazioni che attraversano l'ateneo cagliaritano. Se non si interverra’ il Ddl arrivera’ alla discussione nella Camera dei deputati senza tenere conto delle obiezioni mosse dai docenti: la conseguenza sara’ la protesta e lo sciopero. Verra’ garantita solo l'attivita’ istituzionale, che significhera’ il blocco quasi totale delle attivita’ (piu’ del 40 per cento dei corsi universitari nell'ateneo cagliaritano sono retti da ricercatori, che non sono obbligati a svolgere queste lezioni). Considerando che il 41 per cento dei docenti dell'Universita’ del capoluogo e’ composto da ricercatori, il rischio di una paralisi dell'Universita’ non e’ remoto. Inoltre il corpo dei professori universitari e’ unito: su 1.190, comprendendo ordinari, associati e ricercatori, la percentuale che aderira’ alla protesta si annuncia elevata. Matteo Vercelli ___________________________________________________ Corriere della Sera 29 ott. ’04 UGO: VI SPIEGO IO COME FARE RICERCA L'INTERVISTA • Parla Renato Ugo, presidente Airi, critico anche con le imprese II nostro problema e’ aiutare lo sviluppo e l'innovazione tecnologica» Il conflitto Stato-Regioni blocca la norma della Finanziaria 2004 «Non si puo’ puntare solo sui finanziamenti pubblici» di TNOMAS MACKINSON Parlare di ricerca con Renato Ugo e’ come fare un tuffo nel capitalismo industriale degli anni Ottanta. Proprio allora - e per otto anni - Ugo e’ stato responsabile dell’area di ricerca e sviluppo di Montedison. Oggi e’ docente di Chimica presso l'Universita’ Statale di Milano. Per questo la sua visuale condensa due distanze focali: l'Italia al tempo della grande ricerca industriale e quella di oggi. E dal confronto diretto tra passato e presente emergono spunti per uscire dal declino. Professore, stiamo cosi’ male in fatto di ricerca? La ricerca in Italia non e’ indietro nel livello, anzi offre ancora punte di eccellenza. Il nostro problema e’ lo sviluppo tecnologico. Sono venuti meno i grandi attori dell'industria nazionale che potevano investire risorse e mezzi. Non abbiamo lo stimolo e le risorse per perseguirlo. Non c'e’ piu’ la massa critica sufficiente. Il modello dei distretti industriali che e’ subentrato alle grandi industrie ci ha poi permesso di sopravvivere negli anni Ottanta e Novanta. Ma non si e’ basato piu' sull'innovazione tecnologica quanto su quelle di prodotto e di stile. Le piccole e medie aziende con pochi ricercatori prendono le innovazioni di aziende estere e le assemblano con una propria veste che diventa italian style. Anche questa e’ innovazione. Solo che ora ci stiamo accorgendo del costo di questa innovazione "pigra". Ogni anno per tenere il passo dobbiamo aggiornare il nostro paniere di prodotti. Ma oggi bastano pochi mesi agli altri per riprodurla. Le piastrelle cinesi non saranno delle topclass come le nostre ma loro sono in grado di riprodurle e metterle sul mercato a costi inferiori a tempi record. Quale spazio rimane alla ricerca? Attualmente l’unico spazio disponibile e’ la ricerca di nicchia. Che si sposa tra l'altro con la tendenza naturale della cultura industriale italiana ad operare divisa anziche’ cooperare. E' impossibile fare innovazioni radicali, quelle che permettono di influenzare il mercato come fece la 1VIontedison con il polipropilene. Le rivoluzioni ce le possiamo sognare, oggi. Ma il rischio e’ quello di non essere piu’ grandi player dell'economia mondiale. Per rimanere al tavolo dell'economia che conta ormai possiamo solo tentare di essere significativi in segmenti specifici. Dovremmo recuperare piu’ spazio innestando tecnologia piu’ avanzata laddove siamo. Concentrare lo sforzo sui settori che piu’ interessano allo sviluppo del Paese. Come fare? Io non credo al finanziamento pubblico come motore dell' innovazione. Lo Stato pero’ deve muoversi su alcuni fronti fondamentali. Abbiamo perso le nostre multinazionali. Non ci saranno piu’ macrostrutture come la Montedison con 5 mila ricercatori. C'e’ ancora pero’ la possibilita’ di sfruttare quelle estere che operano in Italia (Ericsson, Siemens, Cisco, General Motors). E' importante saperle attrarre perche’ la loro ricerca e la stessa cultura dell' innovazione si trasferiscono necessariamente sulla filiera produttiva del territorio fino a raggiungere la Pini. Occorre pero’ che lo Stato inverta la tendenza e faciliti loro la vita, abbattendo barriere burocratiche e fiscali. Occorre anche favorire la crescita delle medie imprese fino alla dimensione di piccole multinazionali. Solo cosi’ avranno le risorse per investire nuovamente nella ricerca. Lo Stato deve pero’ regolare il sistema bancario e finanziario. Credo poi che le aziende crescano se la proprieta’ e il controllo sono vicini. Non per forza coincidenti. Sullo sviluppo tecnologico, ad esempio, noto che quelle che crescono proprio quelle in cui l'azionista-famiglia partecipa, si interessa, stabilisce con i manager le azioni e gli obiettivi. E la ricerca universitaria? L'universita’ italiana presenta punte di eccellenze nella ricerca biomedica, chimica, nell’ingegneria aerospaziale e nella fisica. Ma e’ troppo frammentata. E’ stata troppo a lungo gestita fuori dalla realta’, come tanti piccoli mondi dove ognuno persegue obiettivi slegati dalla societa’ e dagli interessi del Paese. E' fondamentale che la ricerca pubblica sia orientata verso aree di interesse nazionale come le nanotecnologi’e o le biotecnologie, l'ambiente o la salute. L'astrofisica e’ bellissima e siamo bravissimi. Ma oramai sono cose per Paesi piu’ ricchi del nostro. La situazione sta migliorando da quando si e’ stabilito il criterio di merito nell'assegnazione di fondi. Penso poi che la meritocrazia debba attraversare tutta l'universita’, fino al personale docente e di ricerca. Dovrebbe essere sottoposto a un controllo periodico. Compreso il sottoscritto. Dopo cinque anni un tagliando alle loro competenze. Poi si deve trovare a questo personale un'altra collocazione nell'ambito delle strutture dello Stato come negli istituti superiori o nelle medie. Se non avviene l'universita’ pubblica si trasforma in una specie di grande liceo e si regala terreno alle private che occuperanno lo spazio lasciato da quelle pubbliche. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 26 ott. ’04 NEL REGOLAMENTO ELETTORALE DEGLI ALBI SPAZIO ILLUSORIO AI LAUREATI TRIENNALI DI ANTONIO PICARDI * A tre anni dall'approvazione del Dpr 328/2001, il Governo si appresta ad approvare il regolamento elettorale per consentire ai professionisti triennali di veder «pienamente riconosciuto il diritto di cittadinanza all'interno degli Ordini, avendo cosi’ la possibilita’ di difendere le loro professionalita’». Peccato che l'auspicio espresso dal sottosegretario all'Istruzione, Maria Grazia Siliquini, non abbia riscontro nella realta’. E’ innegabile che i "triennalisti" siano amareggiati per non veder accolta alcuna delle istanze presentate ai ministeri dell'Istruzione e della Giustizia, soprattutto per quel che riguarda la possibilita’ di eleggere democraticamente propri rappresentanti in seno agli organi di governo degli Ordini nazionali e locali. Tali rappresentanti saranno sempre e comunque espressione della sezione A. Quel che, pero’, qui si vuole evidenziare e su cui sarebbe opportuno soffermarsi e’ altro: il Governo dovra’ assumersi la responsabilita’ di fronte a migliaia di iscritti agli Ordini (che oggi non hanno possibilita’ alcuna, al pari degli iscritti alle sezioni B, di intervenire in questo rovinoso processo) per l’ingessamento, sine die, delle attuali leadership dei Consigli nazionali delle nove categorie interessate dal provvedimento. Molte sono le perniciosita’ dello schema di Dpr. Tra le tante, se ne evidenziano due: a)il subdolo meccanismo di voto maggioritario per liste bloccate che si vuole introdurre. L'obbligo (e non piu’ la facolta’, quindi) di votare, pena la nullita’ del voto, un numero di candidati pari ai consiglieri da eleggere, introduce, di fatto, un sistema di voto non previsto da alcuna delle attuali leggi professionali, che impedisce, inoltre, il libero esercizio democratico del voto; b) l'innalzamento della durata del mandato e l'indiscriminato aumento del numero dei componenti in seno ai Consigli nazionali attualmente determinati dalle leggi istitutive professionali, modificate con un sempli-. ce regolamento elettorale, senza alcuna delega. Su questi temi sarebbe auspicabile un serio confronto che a oggi sembra mancare. * Presidente Cup3 Coordinamento universitari e professionisti triennali. ______________________________________________________ L’Unione Sarda 27 ott. ’04 FESTA PER I DOTTORI-LAMPO MA IL TITOLO E’ DIMEZZATO Scienze giuridiche. Assegnate le prime 19 lauree brevi Foto di rito, mazzo di fiori e gli applausi di genitori e amici. Perche’, anche se breve, il corso triennale in Scienze giuridiche e Servizi giuridici e’ sempre una laurea. Anzi, il primo passo verso la laurea: i diciannove studenti della facolta’ di Giurisprudenza che in questa sessione hanno raggiunto il traguardo dei primi tre anni, conseguendo la laurea breve, proseguiranno gli studi. L'obiettivo e’ quello di diventare notaio o avvocato, anche perche’ con l'attuale normativa non sono ancora chiare le strade lavorative che possono essere percorse da chi consegue la laurea triennale. Dopo i primi due laureati a luglio, in questa sessione alla fine saranno 19. Sono loro i primi a raggiungere il traguardo nella facolta’ di Giurisprudenza, partita un anno dopo rispetto alle altre facolta’. Per questo si tratta di una novita’. La prima a entrare nell'aula Lino Salis, in viale Sant'Ignazio, e’ Sara Ghiani, con una tesi sull'avviso di sicurezza per i produttori. Quindici minuti di esposizione davanti alla commissione, qualche giro d'orologio per la decisione da parte dei docenti del voto, e poi la proclamazione: laurea in Scienza Giuridiche raggiunta con 110 e lode. "E’ stata un'emozione forte, anche se continuero’ gli studi ? spiega l'universitaria ventiduenne ?, la tensione prima di arrivare davanti alla commissione c'e’ stata. Immagino che per il corso di laurea di primo livello sara’ maggiore". Quello che non cambia e’ il risultato finale: "Fara’ la festa". Doppia festa, doppi regali. Proseguire la carriera universitaria e’ una scelta, anche se la decisione e’ stata presa da subito: "Volevo continuare in ogni caso, anche perche’ non c'e’ chiarezza su quali siano gli sbocchi professionali per chi raggiunge la laurea triennale". Dopo Sara Ghiani e’ il turno di Natascia Manca, anche lei 22 anni, diplomata al liceo classico Dettori. Una tesi sulle responsabilita’ degli intermediari assicurativi alla luce della direttiva 2002/92 della Comunita’ Europea. Discussione sui tempi della collega, e voto molto simile: 110 su 110. Dopo le foto di rito, con il classico cappellino da laureata in testa, gli auguri di amici e parenti. "Ero emozionata ? commenta all'uscita dall'aula delle lauree ? proseguiro’ gli studi perche’ vorrei intraprendere la carriera notarile o forense, e per questo serve la laurea di primo livello". Una differenza non da poco. Comunque il passo fatto ieri e’ di quelli da festeggiare: "Naturalmente fara’ la festa con i miei amici", dice sorridente la dottoressa in Scienze giuridiche. In serata hanno chiuso questa prima parte di carriera universitaria anche Alessandro Patta e Ivano Veroni. Tra domani e dopodomani saranno altri dieci, mentre in due si laureeranno in Scienze dei servizi giuridici. Stasera, dalle 18, tocchera’ ad Adina Barbu Anca, Fabiana Corona, Federica Deplano, Ireno Satta, Francesca Diana, Irene Lepori, Michela Palmas, Emanuele Tanas, Antonella Useli, Roberta Zucca. Domani mattina, alle 11, sara’ il turno di Antonio Piras, Cinzia Piludu e Roberto Alba. Termineranno il corso di laurea in Scienza dei servizi giuridici Riccardo Cavallo (domani alle 11,30) e Ignazio Caboni (venerdi’ alle 12). Matteo Vercelli ___________________________________________________ Il Sole24Ore 29 ott. ’04 RUBBIA DELINEA LA RIFORMA DELL'ENEA ROMA Comincia a prendere forma il nuovo volto dell'Enea. Ieri il consiglio di amministrazione dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente - presieduto dal premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia - ha affrontato il piano di attuazione della recente riforma dell'Enea. Una riforma che punta, tra l'altro, a far riguadagnare terreno all'ente nella valorizzazione della ricerca, accorciando le distanze con il mondo produttivo. A fare da cerniera con le aziende sara’, infatti, il nuovo Comitato di indirizzo e coordinamento dei progetti di industrializzazione alla cui guida siedera’ Paolo Savona, appena nominato dal ministro per le Attivita’ produttive, Antonío Marzano. Sara’ questa "new entry" dell'Enea a suggerire í fronti piu’ appetibili, dal punto di vista industriale, per la ricerca. Ancora in cantiere, invece, la creazione della "holding" dell'Enea, una societa’ di diritto privato - prevista dalla riforma - a cui sara’ affidata la gestione delle «partecipazioni attuali e future» in aziende industriali. A questa "holding" potranno, in futuro, essere trasferiti, anche dagli stessi ricercatori dell'ente, titolarita’ e diritti di sfruttamento dei brevetti. Nel frattempo si sta avviando la nuova "geografia dei poteri" dell'ente, Il Cda sta procedendo alla nomina del direttore generale e del suo vice, dei responsabili dei dipartimenti e delle direzioni centrali. Si sta, invece, completando la nomina dei membri del Consiglio scientifico che avra’ essenzialmente compiti di «consulenza tecnico-scientifica». Secondo il piano - che ora dovra’ prendere la forma di un regolamento da inviare al parere obbligatorio del ministero delle Attivita’ produttive - si prevede la creazione di tre direzioni e di cinque dipartimenti focalizzati su fronti specifici. E cioe’: progetti speciali; ambiente. cambiamenti globali e sviluppo sostenibile; tecnologie energetiche e presidio nucleare; tecnologie fisiche e fusione; ' scienze e tecnologie della materia. «Il nuovo Enea che stiamo costruendo -ha -detto il presidente Carlo Rubbia dovra’ saper guardare al mercato per trovare risorse, perche’ un buon ente e’ quello che riesce a portare a casa dei fondi e sviluppare delle competenze che si traducono in tecnologie, impianti e prodotti realizzati dal sistema economico-produttivo», MAR.B. L'identikit dell'Enea 10 Centri di ricerca Distribuiti su tutto il territorio. a carattere multi- disciplinare o specialistico 3.111 Dipendenti Di questi 2.774 nei centri multi-diciplinari e 337 in quelli specialistici 5 Dipartimenti Si occuperanno grandi aree tematiche con compiti di coordinamento 11 Membri del Consiglio scientifico scelti tra personalita’ scientifiche nazionali e internazionali ______________________________________________________ Corriere della Sera 26 ott. ’04 BREVETTI, ITALIA A MARCIA INDIETRO: CRESCE IL DEFICIT CON L' ESTERO Lucarelli: in Italia abbiamo una buona ricerca ma e’ finanziata dalle compagnie straniere La Fita: nei primi tre mesi del 2004 saldo negativo per 100 milioni, in tutto il 2003 aveva toccato i 534 milioni Bagnoli Roberto ROMA - In ricerca e innovazione l' Italia continua inesorabilmente a perdere terreno. La bilancia tecnologica del 2003 si e’ chiusa in rosso per oltre 600 milioni di euro. Ma il dato preoccupante e’ quello relativo ai brevetti: dal 1998 stiamo arretrando senza sosta, il saldo negativo era allora di 330 milioni di euro ma l' anno scorso e’ salito a 534 milioni di euro. Nel 2002 si e’ verificata una ripresa non indifferente - il saldo infatti e’ sceso a meno 370 milioni di euro - ma poi la situazione e’ tornata a peggiorare. E i primi tre mesi del 2004 non portano nulla di buono: il saldo e’ negativo per oltre 100 milioni di euro. I dati provengono dalla Fita, la federazione italiana del terziario avanzato (affiliata alla Confindustria) e sono stati ottenuti elaborando le cifre grezze provenienti dall' Ufficio italiano cambi (Uic). La tabella che ne segue e’ molto complessa ma la sintesi finale va direttamente a sostenere gli allarmi e le preoccupazioni lanciati in tandem, sia dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sia dal numero uno di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, nel denunciare il declino del Paese sul fronte della ricerca e dell' innovazione. «Dal rapporto emerge soprattutto un fatto - spiega Ennio Lucarelli, presidente della Fita - che il default sulla ricerca riguarda in particolare i brevetti su prodotti vendibili e poi che la poca ricerca che viene fatta in Italia viene svolta per l' estero». Insomma l' Italia in qualche modo partecipa alla complessa filiera dell' innovazione mondiale ma non ne beneficia. Sotto la voce cessione o acquisto di brevetti il saldo era negativo nel 1998 per 40 milioni di euro, l' anno scorso e’ salito a oltre 100 milioni di euro. Cosi’ la voce «diritto di sfruttamento dei brevetti» nel 1998 era negativa per 231 miliardi, nel 2003 purtroppo e’ salita a meno 450 milioni di euro. Alla cifra finale complessiva che porta il saldo negativo a 600 milioni di euro concorrono altre voci, peraltro alcune positive. Come quella relativa ai «servizi di contenuto tecnologico» tra cui figurano l' assistenza tecnica e gli studi di engineering. Sono due settori che sono sempre stati in attivo: chiudevano in «nero» nel 1998 per 279 milioni di euro, cosi’ l' anno scorso per 299 milioni di euro. Le cifre che testimoniano l' analisi di Lucarelli quando stigmatizza l' esistenza di una buona ricerca italiana, ma purtroppo finanziata da compagnie straniere o direttamente all' estero, vengono da una voce complessiva che e’ la seguente: nel 1998 l' Italia riceveva investimenti per la ricerca pari a 46 milioni, nel 2003 sono diventati 351. Roberto Bagnoli ___________________________________________________ Il Sole24Ore 27 ott. ’04 EUROPA: LA RICERCA ESCLUSA DAL PATTO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FRANCOFORTE Germania e Francia sono tornate ieri a chiede re a gran voce una riforma del Patto di stabilita’ e di crescita che possa rendere il trattato europeo piu’ flessibile e consentire ai Paesi membri dell'Unione monetaria di non contabilizzare gli investimenti in ricerca e sviluppo nel calcolo del deficit pubblico. Parlando a Berlino, alla fine di un consiglio del ministri franco-tedesco, il cancelliere Gerhard Schróder ha detto che il recente progetto di riforma presentato della Commissione europea e’ «interessante», ma «insufficiente» perche’ gli Stati hanno bisogno di un «maggiore spazio di manovra». «E’ necessario mettere l'accento sulla crescita e non solo sulla stabilita’», ha aggiunto Schróder, con l'appoggio del presidente francese Jacques Chirac seduto al suo fianco. La presa di posizione franco-tedesca - che rischia di complicare i rapporti in seno all'Unione – e’ giunta mentre da Bruxelles la Commissione europea ha pubblicato nuove proiezioni sull'andamento dei disavanzi pubblici nel 2005 da cui emerge come Germania e Francia rischiano di registrare un deficit eccessivo per il quarto anno consecutivo. Le autorita’ comunitarie hanno presentato in settembre un progetto di riforma del Patto che irrigidisce le regole sui conti pubblici nei momenti di forte crescita, ma introduce piu’ flessibilita’ nei momenti di rallentamento. Con la proposta di ieri (appoggiata da un rapporto congiunto di esperti), Germania e Francia tornano a fare fronte comune in politica economica, come avevano gia’ fatto nel settembre 2003. E’ evidente che la situazione economica preoccupa i due Governi che temono di non riuscire neppure l'anno prossimo a ridurre i rispettivi deficit. Schrdder ha spiegato che Francia e Germania hanno discusso del andamento dell'euro contro il dollaro definito «preoccupante» a causa dei riflessi negativi che potrebbe avere sull'export. Il cambio oscilla ormai poco sotto a 1,30. Recentemente la stampa tedesca ha rivelato che il Governo sta riflettendo a misure da introdurre in Finanziaria per ridurre il disavanzo dell'anno prossimo. La notizia e’ stata smentita: non e’ chiaro se fossero semplici ballons d'essai in vista di proposte concrete o se piu’ banalmente fossero il tentativo della maggioranza di ridimensionare la nuova previsione di deficit 2005 pubblicata ieri dalla Commissione. Durante il consiglio dei ministri, il quarto della serie, i due Governi hanno ritrovato un terreno d'intesa nel settore industriale, dopo i litigi degli ultimi mesi sia sul salvataggio di Alstom, sia sulla scalata di Aventis da parte di Sanofi, creando un gruppo di lavoro congiunto con la presenza di cinque imprenditori per ciascun Paese. Infine, il vertice di ieri e’ stato dedicato anche al possibile ingresso della Turchia nella Ue. Schroeder e Chirac - che hanno incontrato il premier Recep Tayyip Erdogan per la firma di un accordo tra Airbus e Turkish Airlines - hanno ribadito di essere favorevoli all'adesione all'Unione del Paese musulmano e che quindi voteranno a favore dell'inizio dei negoziati al Consiglio europeo di dicembre. In Germania e Francia, la posizione di Schroder e di Chirac non fa pero’ l'unanimita’, e i due Governi sono in crescente difficolta’. Ieri, il leader dell'opposizione democristiana Angela Merkel, favorevole a una semplice partnershíp privilegiata con Ankara, ha criticato l'incontro a tre di ieri, definendolo «un segnale sbagliato». BEDA ROMANO ______________________________________________________ Il Messaggero 25 ott. ’04 DE MAIO (LUISS): COSI’ SI CORREGGE IL "3+2" Universita’. A soli tre anni dalla separazione tra percorso lungo e accorciato, si prepara la "riforma della riforma". Eppure il sistema sembrava funzionare Arriva il modello Y, che prevede la scelta al secondo anno. ROMA L'universita’ italiana affronta la ricerca piu’ importante, quella di se stessa. In un mondo che viaggia come Schumacher sul circuito, e che macina novita’ come lui vittorie, gli accademici non sempre capiscono, spesso si adeguano, talvolta si ribellano (la riforma del loro stato giuridico accolta da scioperi e cortei). Tre anni fa la rivoluzione, il "tre piu’ due": lauree brevi, moduli didattici, crediti formativi. Le nuove parole d'ordine arrivano dall'Europa. I corsi di laurea si sfaccettano come luce sulla palla stroboscopica, gli studenti affollano le aule, i laureati si moltiplicano. Nel 2003, 400 corsi in piu’ rispetto al 2001, 30 mila l'aumento di iscritti, 60 mila quello dei laureati, abbattuti (numericamente) fuoricorso e abbandoni. I dati, freschi d'inchiostro, sembrano promuovere il nuovo corso ma prima che si sedimentino, permettendo eventuali correzioni di rotta, una nuova onda, per molti anomala, si staglia all'orizzonte, pronta a rimescolare un assetto non ancora assestato: incombe il modello a ipsilon, la riforma della riforma. L'attuale ordinamento, varato nel 2001, introduce la laurea triennale (breve) che permette l'accesso a quella biennale (specialistica), tre piu’ due. Per espugnare la prima bisogna conquistare 180 crediti, per la seconda altri 120. Un credito corrisponde a 25 ore di impegno, tra lezioni e studio individuale. I crediti sono legati ai moduli didattici, cioe’ ai corsi di insegnamento, che durano sei mesi e prevedono un esame finale. Ogni modulo assicura di media otto crediti. Le materie del vecchio sistema sono state smembrate in piu’ moduli. Il modello a "Y" prevede invece un primo anno comune a tutta la facolta’, infarinatura generale e orientamento, poi il bivio: da una parte il biennio mirato alla professione, dall'altra un quadriennio di respiro piu’ ampio. "Le due strade devono essere differenziate assicura Adriano De Maio, rettore della Luiss e consulente del ministro Moratti non si possono sovrapporre come avviene adesso perche’ la loro differenza non e’ solo quantitativa ma qualitativa. Attualmente e’ come se istituto tecnico e liceo viaggiassero sullo stesso binario fermandosi semplicemente a stazioni diverse, una a tre anni, l'altra a cinque. La "Y" corregge le disfunzioni del 3+2". Ogni ateneo nel prossimo futuro (l'iter della ipsilon e’ al momento ingolfato nei meandri burocratici) sara’ libero di scegliere una formula o l'altra mentre ancora le universita’ pullulano di iscritti al vecchio ordinamento, quello precedente al 2001. Il rettore di Teramo, Luciano Russi, alza le sopracciglia: "Non condivido la scelta del ministro di cambiare in corsa. Io sostengo il 3+2, risponde alle esigenze per le quali e’ stato introdotto: rende i corsi di studi piu’ appetibili, aumenta la capacita’ e l'efficienza delle strutture accademiche. I primi risultati sono positivi. Diamoci tempo, migliorie si possono sempre fare, ma con calma, senza precipitazione". In campo due visioni dell'universita’. Una piu’ pragmatica, anglosassone, legata a filo diretto con il mondo del lavoro, fucina di ricerche applicate. L'altra, conforme alla tradizione italiana, vincolata piu’ al sapere "puro" che alle esigenze del mercato. "Il 3+2 sostiene il magnifico di Roma Tre, Guido Fabiani, uno dei dieci membri del comitato di presidenza della Conferenza dei rettori (Crui) risponde a entrambe le esigenze. Oggi, rispetto a ieri, si puo’ scegliere tra lauree brevi, lunghe, master, dottorati, ogni studente puo’ modulare il percorso secondo le proprie esigenze. La "Y", invece, imporrebbe due circuiti, uno di serie A, l'altro di serie B, venendo meno alla funzione peculiare dell'universita’: garantire sempre e comunque una formazione al massimo livello". Luigi Pasquinelli ___________________________________________________ Il Sole24Ore 26 ott. ’04 L'ALLEATO DELLE DONNE STUDIA ALL'UNIVERSITA’ Nuovi MESTIERI 0Operatore politiche pari opportunita’ Promosso dall' Universita’ «G. D'Annunzio» di Pescara - Facolta’ di Economia e dalla Consigliera di Parita’ della Provincia di Chieti, con il patrocinio del ministero del Welfare e delle Pari opportunita’, parte nell'anno accademico 2004/2005 il primo corso di perfezionamento per formare una nuova figura professionale: l'operatrice (o operatore) per le politiche di Pari opportunita’. L'esigenza di figure competenti che lavorino per l'integrazione delle pari opportunita’ nei settori economico, formativo e politico sta crescendo in modo sensibile in un contesto in cui il panorama legislativo italiano ed europeo si rivela di grande interesse e in evoluzione in questa materia per gli aspetti di tutela e di promozione. II profilo da creare si configura come una figura tecnica, che opera sul territorio, dialoga con le agenzie per l'impiego, rivolge particolare attenzione ai percorsi contrattuali previsti dalle recenti normative in materia di mercato del lavoro, collabora con la rete di strutture e servizi preposti a promuovere e favorire l'entrata e la permanenza nel mercato del lavoro, contrasta e combatte le discriminazioni culturali ed oggettive. L'operatrice fornira’ consulenza alle amministrazioni pubbliche, parti sociali, imprese,organizzazioni non governative sulla normativa e sulle iniziative; coordinera’, supervisionera’ e partecipera’ alla preparazione di azioni di consulenza professionale, studiera’ progetti nel settore della promozione e della formazione e dell'occupazione, a favore di Le politiche di Pari opportunita’ riguardano le imprese gruppi svantaggiati o di persone che vogliono migliorare la qualita’ del proprio lavoro e i percorsi professionali, nonche’ la carriera e l'organizzazione del lavoro. Inoltre, potra’ collaborare con le istituzioni locali preposte alla gestione degli interventi nel settore sociale, dell'occupazione, della salute, dell'educazione per prevenire e correggere situazioni di marginalizzazione nei confronti delle categorie deboli, agendo come agente di intermediazione per facilitare il dialogo tra le Amministrazioni pubbliche, le associazioni, le parti sociali in tutte le fasi di programmazione e intervento territoriale per strutturare pratiche integrate di politiche di pari opportunita’. II corso garantira’ una formazione per operare in Enti pubblici e imprese private, nei servizi del lavoro, nei servizi socio sanitari, in ambito scolastico-culturale, con competenze nel campo degli studi di genere. Si rivolge a giovani di ambo i sessi, in possesso di laurea, di primo livello o quadriennale, in Economia, Sociologia, Giurisprudenza, Scienze Politiche e lauree equivalenti e prevede una selezione sulla base di prerequisiti specifici. Il corso prepara e integra le seguenti figure professionali con sbocchi occupazionali: esperti di progettazione per accedere a programmi comunitari, nazionali e regionali; liberi professionisti nell'area della consulenza in materia di politiche di parita’ e del lavoro; dirigenti ed operatori del personale e dei piani di sviluppo delle risorse umane e delle imprese dell'industria, dei servizi, del terzo settore; dirigenti e funzionari di associazioni di categoria, di organizzazione di rappresentanza degli interessi dei lavoratori e degli imprenditori; dirigenti e funzionari di enti pubblici che operano nel campo dei servizi per l'impiego, della formazione e dell'orientamento; tutor dell'agenzia sociale prevista dall'articol0 13 della Legge Biagi per strutturare i percorsi individuali e di inserimento nel mercato del dei lavoratori svantaggiati; personale di agenzie di collocamento e agenzie interinali responsabile dei colloqui di selezione del personale. Il corso si articola per moduli tematici per un totale di 208 ore alle quali si aggiungono laboratori per 92 ore, finalizzati ad acquisire una pratica nel progettare azioni positive, fare analisi organizzative,leggere banche dati, fare accordi, intervenire sui luoghi di lavoro. ______________________________________________________ Corriere della Sera 28 ott. ’04 L’ UNIVERSITA’ E LE SCELTE Tante proposte per le matricole Tra due settimane i ritardatari non avranno piu’ alibi e dovranno scegliere. Scadranno infatti ai primi di novembre i termini per iscriversi a un corso di laurea. L'impennata delle matricole si avra’ proprio in questi giorni, perche’ gli indecisi e i confusi sono ancora molti. Come scegliere in fretta un percorso di studi universitario senza perdersi nel labirinto delle proposte? Ecco tre consigli per scegliere l'universita’ "last minute". Districarsi tra 3 mila corsi di laurea non e’ infatti facile. Molti scelgono in base a decisioni della famiglia o seguendo gli amici. Altri si affidano al caso. Pochi sono coloro che adottano una "bussola" nella scelta, che metta in equilibrio piu’ fattori. I punti cardinali della scelta sono: gli interessi personali (sogni, desideri e visioni, che non vanno mai abbandonati); le proprie attitudini (misurabili, ma anche gia’ note alla sensibilita’ delle persone); le competenze e le conoscenze acquisite (sono all'altezza del settore prescelto o ho bisogno di recuperare qualche "gap"?); e, infine, la domanda del mercato (che cosa chiedono le imprese e dove si trovera’ piu’ facilmente lavoro?). Insomma, il primo suggerimento e’ quello che i giovani e le loro famiglie non scelgano inseguendo le mode, i sentito dire o i vecchi stereotipi sui settori dove si guadagna di piu’, ma tendano a mettere in equilibrio questi quattro fattori. Non si puo’ scegliere solo in base a cio’ che ci piace, ma nemmeno in base esclusivamente a cio’ che chiede il mercato. In una metropoli come Milano e nelle universita’ lombarde esistono buoni uffici di orientamento, ma non si puo’ delegare ad altri, per quanto competenti, cio’ che spetta alla responsabilita’ dei singoli e delle loro famiglie. Un secondo suggerimento e’ quello di scegliere il corso triennale con un occhio al futuro. Non e’ sempre possibile scegliere in base alla formula del "3 " 2", soprattutto con una riforma in corso, ma e’ invece possibile scegliere almeno sulla base della formula del "3 " 1". Che cosa vuol dire? Significa, soprattutto quando non si hanno le idee chiarissime, indirizzarsi verso un corso di laurea di tre anni che abbia una chiara e successiva offerta di master, di solito di un anno. La verifica dell'offerta formativa di master, universitari e no, professionalizzanti e applicativi rispetto alle conoscenze acquisite, e’ un buon modo per avvicinarsi al lavoro e finalizzare gli studi. Laurea piu’ master e’ quindi una soluzione concreta e realistica, visti i chiari di luna di una trasformazione che oggi sta creando parecchia confusione. Il terzo parametro della scelta e’ quello della qualita’. Non fidatevi della superficie, indagate a fondo. Parlate con chi ha gia’ seguito certi corsi. Qualche volta, anche a Milano, universita’ non fa rima con qualita’. di WALTER PASSERINI ______________________________________________________ L’Unione Sarda 28 ott. ’04 IN UN LIBRO LA STORIA DELL’ATENEO Immagini che raccontano la storia dell'Universita’ di Cagliari. Ha puntato soprattutto su foto e riproduzioni di quadri, Paolo Bullita, direttore del Centro servizi informatici dell'ateneo cagliaritano, nel suo volume di 170 pagine, intitolato "Note sulla storia dell'universita’ di Cagliari". Durate la presentazione avvenuta nell'Aula Magna del rettorato, il padrone di casa, Pasquale Mistretta, ha sottolineato l'importanza dell'opera, anche per il recupero di alcune immagini storiche: "L'esempio migliore e’ lo stemma dell'Universita’ di Cagliari, riprodotto come l'originale presente nell'Aula Magna". Bullita ha ricostruito la storia dell'universita’ del capoluogo, partendo dal volume "Lo studio generale cagliaritano, storia di un'Universita’", dello storico Giancarlo Sorgia, edito nel '86. Importante la rievocazione storica dell'ateneo dal Cinquecento alla seconda meta’ del Novecento, e l'elenco dei dipinti dei rettori, dal 1947 (il 53° fu Antonello D'Angelo, dal 1947 al 1955) fino a oggi (l'ultimo dipinto e’ quello di Duilio Casula, rettore dal 1979 al 1991), con la foto di Pasquale Mistretta. Nella presentazione del libro e’ intervenuto Tito Orru’, docente di storia della Sardegna: "Sono racchiusi quattro secoli di storia dell'Universita’, e quindi della citta’". (m.v.) ___________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’04 UN SALTO DI QUALITA’ PER LE FUEL CELL L'invenzione / Dagli Usa N on si tratta certo ancora della soluzione definitiva al problema della locomozione a idrogeno: rimangono infatti ancora presenti le questione dell'estrazione di questo gas o della produzione di anidride carbonica nelle celle al metanolo. Tuttavia, se la scoperta della PolyFuel fosse verificata (si veda l'articolo in alto), sicuramente si tratterebbe di una scoperta estremamente interessante. La chiave della scoperta risiede nelle membrane di polimeri a idrocarburi. Nelle celle a combustibile con alimentazione diretta al metanolo, cosi’ come in quelle chiamate Pem, le membrane di polimeri giocano un ruolo fondamentale. Tali membrane funzionano come una barriera selettiva, trattenendo gli elettroni degli atomi di idrogeno e consentendo il passaggio dei soli protoni. Gli elettroni prodotti forniscono la corrente elettrica, e quindi si ricombinano con l'ossigeno e i protoni per formare le molecole d'acqua che costituiscono lo scarico di questi motori. I ricercatori PolyFuel sostengono che la loro membrana riesce a essere competitiva sotto molti aspetti rispetto quelle usate oggi del tipo perfluoro- sulfoniche. In particolare, il polimero a idrocarburi manterrebbe inalterate le sue caratteristiche anche con bassa umidita’ e avrebbe inoltre una temperatura di funzionamento di circa 95°C, vicino quindi al punto di ebollizione dell'acqua. Questo significa che non occorre piu’ raffreddare il motore per evitare di compromettere il funzionamento della membrana. Inoltre, le membrane a idrocarburi, realizzate con tecniche di nanoingegnería, migliorerebbero il rendimento del 10-15%, avvicinando quindi la resa energetica delle celle a combustibile a idrogeno all'80 per cento. Questa membrana, rispetto ai suoi predecessori, sarebbe anche due volte piu’ robusta e avrebbe una permeabilita’ all'idrogeno quattro volte inferiore. AN.CAR. ================================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’04 SANITA’, ARRIVANO I TAGLI Le linee guida dell'assessore Dirindin sul nuovo piano regionale «Curare non significa nuove assunzioni» Compito della sanita’ e’ quello di prevenire e curare le malattie e non di mantenere l'occupazione o di inventarla. Nerina Dirindin lo dice senza tentennamenti nel presentare tempi e modi del piano sanitario regionale, atteso da vent'anni. «Non vorrei creare equivoci», puntualizza: «L'occupazione e’ importante, ma noi dobbiamo puntare a un'offerta sanitaria di qualita’. Una svolta che parte dal basso, a chiederla sono i cittadini. Mi rendo conto», aggiunge Nerina Dirindin, «che si tratta di uno sforzo culturale enorme. Chi e’ piu’ avanti a noi l'ha capito, altrimenti non c'e’ futuro». E che nessuno si senta sorpreso, tanto meno nel centrosinistra. «Era gia’ scritto nel piano della coalizione: il nostro obiettivo e’ il ben-essere, scritto cosi’, col trattino». Il confrontoDue incontri ravvicinati con la maggioranza sono bastati alla lady di ferro della giunta Soru per incassare «piena condivisione nel merito». La professoressa Dirindin e’ attentissima nel ricordare, almeno sette-otto volte, che questo o quel punto «e’ condiviso con la maggioranza». Ma il piglio e’ quello di chi, con tutto il rispetto per il ruolo dei legislatori, vuole andare dritta per la sua strada. Una strada obbligata, lascia intendere Nerina Dirindin. «Intanto», chiarisce, «dobbiamo spendere bene: rispettando i parametri, eviteremo tagli dallo Stato». Stesso discorso per i posti letto. «Abbiamo una dotazione superiore al rapporto di 5 letti per 1.000 abitanti». Ergo: si ridimensiona. Nel delineare le linee guida del nuovo piano, l'assessore dice tra l'altro che «i posti letto non sono di nessuno» e, a proposito di sanita’ privata, fa notare che «dal '98, in Sardegna, si parla di accreditamento provvisorio». Le nuove AslL'assessore dribbla con abilita’ chi chiede cosa dira’ il piano per le Asl alla luce della nuova geografia delle province sarde («Saranno definiti meglio i confini dei distretti, ma e’ un modo sbagliato di porre il problema», dice). Intanto non fa mistero sul numero dei nomi in corsa per gli attuali 9 posti di direttore generale: sono gia’ 200. Piccoli ospedali«Insieme al teatro, al comune, alla chiesa, i piccoli ospedali sono strumenti di coesione in una comunita’. La nostra riflessione», dice l'assessore Dirindin, «terra’ conto anche di questo. Pero’ va detto che i piccoli ospedali hanno il problema della garanzia della qualita’ dell'assistenza». L'assessore, comunque, non parla di tagli («Soprattutto dove c'e’ bisogno di non spopolare», dice), ma spiega che «si dovra’ lavorare sul territorio, offrendo servizi che consentano di realizzare la rete ospedaliera». I tempiLa bozza del piano sanitario regionale (affidato in ogni fase al solo staff dell'assessorato), che ha l'obiettivo di organizzare a 360 gradi i servizi, sara’ pronta entro dicembre, in modo che la commissione possa lavorarci gia’ da gennaio, per arrivare all'approvazione, auspica l'assessore, entro l'estate. «L'attuazione sara’ piu’ complessa, lo dico perche’ c'e’ troppa attenzione per il piano. Capisco, vista l'attesa, ma il problema non e’ fare un piano, e’ attuarlo nei nei quattro anni della legislatura che seguiranno». L'assessore spiega che sara’ un piano leggero, anche come numero di pagine, «concentrandoci su cio’ che riterremo prioritario, partendo dall'analisi delle realta’ e dei bisogni. L'obiettivo e’ mettere in moto la macchina, facendo poi la messa a punto». Il disavanzoIn attesa del voto in aula, la commissione ha approvato un assestamento di bilancio soprattutto per coprire 150 milioni di euro di buco nel bilancio 2003 della sanita’ sarda, «disavanzo dovuto», dice Nerina Dirindin, «alla carenza di regole, problema tipico dell'Isola, ma anche a un fattore comune a tutte le regioni, il sottofinanziamento storico della sanita’. Cosa ha trovato? Un servizio sanitario che non e’ peggiore della media del Sud, mediamente accettabile, con punte di eccellenza, da sostenere e altre negative, da migliorare. Va detto grazie», riprende l'assessore, «alla grande abnegazione degli operatori, anche se non sempre e’ cosi’». Confidando in uno sforzo collettivo per un «salto culturale», l'assessore non sembra preoccuparsi del gran parlare, anche in famiglia. «Sulla sanita’ l'enfasi c'e’ sempre stata. Le piccinerie le lasciamo ad altri». Emanuele Dessi’ ______________________________________________________ L’Unione Sarda 27 ott. ’04 LANUSEI: DIMISSIONI "SUGGERITE" AL MANAGER ASL Lanusei/2. Italo Fancello aveva respinto le critiche: ingiusto prendersela solo con me L'assessore Dirindin: «Troppi oneri? Lasci pure l'incarico» L'ha bacchettato tutto il giorno, come farebbe una maestra severa con l'alunno indisciplinato. Davanti all'assessore regionale alla Sanita’, il manager della Asl lunedi’ e’ rimasto sulla difensiva, si e’ giustificato. Italo Fancello ha incassato (a telecamere accese) i rimbrotti di Nerina Dirindin, poi i siluri degli operatori del settore che lo hanno atteso al varco e gli hanno scaricato addosso una valanga di accuse. Avra’ pure in dote la scorza da gentleman, ma alla fine non ce l'ha fatta piu’. Chiuso il convegno, in testa al drappello (una trentina di persone, non di piu’) che lasciava il teatro Dei, si e’ lasciato andare ad uno sfogo: «Non e’ giusto che ogni responsabilita’ ricada sul direttore generale». Mai lo avesse fatto. L'assessore-ispettore non ha battuto ciglio, lo ha guardato fisso negli occhi. Eppoi: «Le responsabilita’ sono sue, di chi senno’? Se non le sopporta, una strada c'e’: si dimetta». Mandato da consumarsi entro gennaio, il timoniere della salute pubblica ogliastrina e’ autorizzato a lasciare la poltrona in anticipo. Nerina Dirindin permette, non fa storie. E pazienza se il bon ton ci rimette un po'. Demiurga di una sanita’ tutta servizi e (quasi) niente apparato, ha usato modi spicci. Sceriffo dell'efficienza a tutti i costi, anche a costo di diventare indigesta. Italo Fancello ha fatto rimettere a nuovo il reparto di medicina? Ha trovato i soldi per costruire il nuovo poliambulatorio? Ha messo in cantiere tante altre opere? Funziona giorno e notte un eliporto che e’ piaciuto anche all'assessore? «Poco importa, bisogna guardare avanti. Adesso ditemi che c'e’ da fare». Non c'e’ spazio per nuovi muri («gia’ troppi, dar lavoro a qualche impresa in sanita’ non e’ la logica giusta»), piuttosto servono un sacco di altre cose. La conferenza dei sindaci lo ha chiarito, il suo presidente Carlo Balloi lo aveva gia’ messo nero su bianco nella lettera inviata un mese e mezzo fa alla Dirindin. L'efficienza voluta dall'assessore, ad esempio, vuol dire un presidio del 118 che si faccia in tre. Oltre la base operativa di Lanusei ne occorrono altre due. Una che serva paesi dell'entroterra come Seui, Ussassai e Perdasdefogu, e un'altra nel bacino di Tortoli’, utile anche per villaggi di frontiera come Talana e Urzulei, costretti perfino a dividersi un medico di guardia. Obiettivo: arrivo ad un pronto soccorso e prime cure in venti minuti. Giusto per ridurre ai minimi termini il rischio che un paziente possa morire per strada. I piu’ esposti sono i cardiopatici, un autentico esercito in Ogliastra. I loro rappresentanti hanno ricevuto un riconoscimento. Assegnato all'associazione Amici del Cuore per la sua instancabile opera di volontariato. Il presidente Francesco Doneddu proprio davanti a Nerina Dirindin ha rinnovato la richiesta di apertura dell'unita’ coronarica all'ospedale di Lanusei. Non muri ma un servizio, come l'assessore comanda. Bisognera’ aspettare comunque il Piano sanitario regionale. Un anno per redigerlo, altri quattro per attuarlo. La trafila e’ lunga. Altro che il mandato di un manager in libera uscita. Tonio Pillonca ______________________________________________________ Repubblica 28 ott. ’04 FARMACI, ARRIVANO LE MONODOSI Finanziaria, emendamento dell'Ulivo: "confezioni di avvio" per evitare prescrizioni costose e verificare terapie sperimentali Mini confezioni da una pillola ROMA - Potrebbero arrivare presto nelle farmacie mini-scatole di farmaci, addirittura confezioni monodose. E' quanto prevede un emendamento alla Finanziaria, presentato dall'Ulivo e approvato dalla Commissione Bilancio della Camera con il voto favorevole di relatore e governo. L'emendamento conferisce all'Agenzia del Farmaco (Aifa) il compito di stabilire "le modalita’ per il confezionamento ottimale dei farmaci, almeno per le patologie piu’ rilevanti, relativamente a dosaggi, numero di unita’ posologiche". L'Aifa avra’ il compito di individuare "i farmaci per i quali i medici possono prescrivere 'confezioni d'avvio' per terapie usate per la prima volta verso i cittadini, al fine di evitare prescrizioni quantitativamente improprie e piu’ costose, e di verificarne la tollerabilita’ e l'efficacia". La stessa agenzia stilera’ un "elenco dei farmaci per i quali e’ autorizzata la prescrizione e la vendita per unita’ posologiche". Sempre a proposito di medicinali, la Commissione bilancio ha approvato un emendamento della Lega che imputa alle singole Regioni che non hanno rispettato la loro quota sulla spesa farmaceutica il mancato riconoscimento di trasferimenti. Si’ anche a tre emendamenti della Commissione Affari Sociali che modificano alcune procedure per garantire standard qualitativi nell'assistenza sanitaria. La seduta odierna ha preso in esame e votato le proposte di modifica alla Finanziaria, dall'articolo 16 al 22. Tra gli altri pochi emendamenti approvati, la puntualizzazione che gli asili aziendali, beneficiari di agevolazioni, possono essere gestiti anche da strutture esterne. ______________________________________________________ Il Messaggero 28 ott. ’04 UN ITALIANO SU DUE SCEGLIE LA CLINICA PRIVATA OSPEDALI il Nord piu’ soddisfatto del Sud ROMA - Sempre piu’ visite specialistiche a pagamento per la maggior parte degli italiani, meno posti letto ma piu’ cure in day hospital e assistenza domiciliare integrata a macchia di leopardo. A tre anni dall'accordo Stato-Regioni la ricerca Farmafactoring-Bocconi rileva molte differenze tra le Regioni a livelli di attivita’ del Servizio Sanitario Nazionale. Dai dati del 2000 di Istat, Agenzia dei Servizi Sanitari Regionali e Censis, emerge che le regioni del Nord registrano livelli di soddisfazione piu’ elevati di quelli dell'Italia meridionale ed insulare sui servizi medici, infermieristici ed igienici negli ospedali. La distanza tra le diverse regioni e’ fortissima: altissimo gradimento per le province autonome di Trento e Bolzano, Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia mentre bassa soddisfazione in Puglia, Sicilia e Calabria. LE CURE - Per le visite specialistiche il 52,8% dei pazienti si rivolge prevalentemente alle strutture private a pagamento intero con percentuali piu’ elevate in Liguria (61%) e Campania (59%) e piu’ basse nelle province autonome di Bolzano (28,4%) e Trento (45%) e in Veneto (45,3%). ______________________________________________________ L’Unione Sarda 30 ott. ’04 MEDICI DI BASE, CHIESTO UN AUMENTO DELL'8% Il mondo delle professioni. Vanno avanti le trattative sul contratto nazionale La revoca degli scioperi e’ stato il primo, concreto, segnale di distensione nella vertenza per il rinnovo del contratto nazionale, scaduto nel 2003, dei 30 mila medici di base italiani. «Dopo l'iniziale chiusura da parte della Sisac (la controparte pubblica dei sindacati), nell'ultimo mese si e’ fatto qualche passo avanti», ammette Fabio Barbarossa, presidente provinciale di Cagliari della Fimmg (la federazione dei medici di famiglia). «C'e’ stato, per esempio, il riconoscimento del ruolo strategico del medico di famiglia all'interno del sistema sanitario nazionale, arrivato proprio qui in Sardegna, con le parole pronunciate dal sottosegretario Cesare Cursi, davanti ai delegati della Fimmg riuniti a Villasimius per il congresso nazionale». L'apertura del Governo arriva in un momento in cui, da piu’ parti, si teme il ridimensionamento di una figura professionale, che altrove e’ invece presa a modello. Come dimostra la convenzione chiusa dal governo Blair con la Fimmg: 10 mila medici di base italiani saranno chiamati a operare in Inghilterra. «Adesso verificheremo se alle parole seguira’ anche un riconoscimento economico», avverte Barbarossa. Al centro delle trattative c'e’ infatti l'adeguamento delle retribuzioni. I sindacati non si accontentano del 2,7% di inflazione programmata, ma chiedono un 8, 4%, per tenere conto dell'aumento reale del costo della vita, seguito all'introduzione dell'euro. Per il rinnovo contrattuale lo Stato mette a disposizione 656 milioni di euro. «Una cifra insufficiente», secondo Barbarossa, che parla di «disagio tangibile» per una categoria che deve sostenere da sola i costi della professione come l'affitto dello studio e l'acquisto delle attrezzature. C'e’ poi la questione dei fondi in Finanziaria. Per la spesa sanitaria un disegno di legge del governo propone lo stesso stanziamento dell'anno scorso, con una rivalutazione del 2%, condizionata, pero’, all'obbligo per le Regioni di rispettare il budget assegnato. «Impresa difficile» per Barbarossa, che sottolinea i costi crescenti della sanita’ italiana, legati, anche, all'invecchiamento costante della popolazione. Roberta Mocco ______________________________________________________ L’Unione Sarda 29 ott. ’04 PRIMARIO OSPEDALIERO, PROFESSIONE AD ALTO RISCHIO "Il primario e la responsabilita’". Su questo tema si confronteranno domani (alle 9, Caesar hotel) medici, magistrati e avvocati. Il convegno, organizzato dall'Anpo (Associazione nazionale primari ospedalieri), e’ articolato in due parti. Dopo il saluto di Enrico Giua (presidente regionale dell'Anpo), Renato Perrone Donnorso (presidente nazionale) e Nerina Dirindin, assessore regionale alla Sanita’, Adriano Ramello (vice presidente nazionale Anpo) parlera’ della "Responsabilita’ gestionale". Su "Risorse, qualita’ ed etica" interverra’ invece Pierpaolo Vargiu, presidente della federazione nazionale degli Ordini dei medici. Moderatori: Franco Tiddia e Salvatore Pinna, tesoriere e consigliere dell'Anpo Sardegna. Seguira’ una tavola rotonda sulla "Responsabilita’ medico legale" cui parteciperanno Ettore Angioni, procuratore generale delle Repubblica presso il Tribunale dei minori di Cagliari, Guido Manca Bitti, penalista di Cagliari, Francesco De Stefano, cattedra di Medicina legale all'universita’ di Cagliari, Stefano Inglese, segretario nazionale del Tribunale per i diritti del malato. Moderatori, Alessandro Bucarelli, cattedra di medicina legale all'universita’ di Sassari e Paolo Schiffini, componente della giunta esecutiva nazionale ___________________________________________________ MilanoFInanza 24 ott. ’04 QUELLA RAI SALVA CELLULE Salute Identificata una proteina che protegge dai danni neurologici acuti In caso di carenza d'ossigeno si possono salvare i neuroni dalla morte cellulare. Allo studio l'utilizzo contro l'ictus di Cristina Cimato In carenza di ossigeno o di sangue le cellule del cervello vanno incontro a un processo di vera autodistruzione, detta morte cellulare programmata. Nell'attivita’ di una proteina, la Rai, e’ stata identificata la capacita’ di salvare le cellule da morte. Ma non solo, l'attivazione di Rai puo’ anche proteggere il cervello da ischemia e ictus cerebrale. Lo studio che ha portato a questa scoperta, pubblicato sulla rivista scientifica Proceedinys of the national accademy of sciences e’ stato condotto da un gruppo di ricercatori del Campus Ifom-Ieo (Istituto Firc di oncologia molecolare- Fondazione italiana per la ricerca sul cancro; Istituto europeo di oncologia) e dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. «La mancanza di ossigeno e sangue causa un accumulo di radicali liberi nel cervello», afferma Giuliana Pelicci del dipartimento di oncologia sperimentale dell’Ieo e autrice dello studio, «questi attaccano e danneggiano irreversibilmente i neuroni e questi ultimi tendono a suicidarsi». Per contrastare questo processo di morte cellulare, arriva in aiuto la proteina Rai, presente solo nel cervello. «Una serie di esperimenti in vitro sulle cellule neuronali del topo», aggiunge la ricercatrice, «ha mostrato come l'espressione elevata della proteina permetta ai neuroni di sopravvivere». I risultati sono stati confermati anche dagli esperimenti in vivo condotti sui topi di laboratorio. E’ stato anche confermato che l'assenza di Rai e’ un fattore, di alto rischio in caso di danno neurologico acuto. Cio’ che non e’ ancora chiaro e’ in che modo la proteina riesca a bloccare la morte da stress ossidativo, ossia un'eccessiva presenza di radicali liberi. La proteina infatti era gia’ stata individuata come «incentivatore della sopravvivenza» nelle cellule sane. «Il ruolo di Rai in caso di stress ossidativo, invece, e’ un'assoluta novita’», continua Pelicci, «nel lavoro appena pubblicato si e’ visto che 1a proteina si comporta come un vero e proprio giubbotto di salvataggio per i neuroni stressati aiutandoli ad affrontare una situazione di tilt del cervello». Il passo successivo e’ ora quello di definire questo processo di «salvataggio» e di verificarlo sulle cellule umane. «Le potenziali applicazioni terapeutiche sono molto interessanti. Rai potrebbe infatti rappresentare un nuovo bersaglio farmacologico. Rendendo la proteina piu’ efficiente e attiva si potrebbe ottenere un'efficace protezione dall'ischemia e dall’ictus cerebrale». ___________________________________________________ IL MATTINO 26 ott. ’04 ORTOPEDIA, LE OSSA ARTIFICIALI Esame radiografico UN osso formato da polimeri e materiali compositi, in pratica copiato alla natura, sara’ presto a disposizione degli ortopedici. E’ una delle novita’ di maggiore interesse emerse nella prima giornata di lavori del congresso della Societa’ italiana di ortopedia e traumatologia in svolgimento nella Mostra d'Oltremare. «C'e’ sempre piu’ bisogno di osso, in qualita’ e quantita’ - spiega il professore Giuseppe Guida, copresidente del congresso cori Nando De Sanctis - perche’ malattie e traumi aumentano e quindi in sala operatoria si effettuano un numero sempre crescente di innesti ossei>> Serve un osso il piu’ possibile naturale e "vivo" che proprio la clinica ortopedica del Secondo Ateneo - in collaborazione col gruppo guidato da Luigi Nicolais, ingegnere chimico, con l'ingegnere Luigi Ambrosio e con la professoressa Adriana Oliva del centro ricerche interuniversitario di Napoli sui biomateriali - sta mettendo a punto. Sara’ un osso non piu’ inerte, artificiale ma dotato di un materiale sintetizzato da colture cellulari e quindi completamente compatibile con l'organismo in quanto autologo. L'osso sara’ formato da polimeri o materiali compositi addizionati con fattori di crescita e con colture di cellule ossee. Ari sintesi - chiarisce il professore Guida - e’ simile all'osso naturale. Cosi’ come un legamento artificiale, frutto delle ricerche napoletane, e’ in fase di applicazione sull'uomo all'Universita’ di Londra»-Il professore Vi’ttotio Monteleone, presidente del congresso, ha tenuto vivo un dibattito su questi temi con altri docenti, fra cui il professore Ripamonti di Puktown in Sudafrica e Einhorn di Boston, noto soprattutto per i suoi studi sui fattori di crescita. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’04 DUE RICERCHE ITALIANE FANNO LUCE SU ICTUS E DANNI DA SMOG Uno studio italiano pubblicato su «Jama» insegna come riconoscere i pazienti piu’ a rischio di ictus. Secondo il team di Giusto Spagnoli dell'universita’ di Roma Tor Vergata, il pericolo non dipende tanto dallo spessore della placca che occlude la carotide, quanto dal suo livello di infiammazione. Per questo, bisogna individuare nuove tecniche in grado di "scovare" le placche infiammate, quindi i soggetti davvero a rischio. La ricerca dimostra che solo il 26% dei pazienti con stenosi carotidea di alto grado ha realmente bisogno di essere sottoposto a intervento di rimozione delle placche. Un'altra ricerca presentata ieri dal neo-presidente della Societa’ italiana di medicina interna, Pier Mannuccio Mannucci, dimostra invece il rapporto diretto fra i picchi dell'inquinamento atmosferico nelle grandi citta’ e l'aumento della mortalita’ per malattie cardiovascolari. Si e’ visto che nelle ore in cui i soggetti monitorati erano esposti all'inquinamento (in particolare delle polveri ultrasottili), si verificava un aumento della coagulabilita’ del sangue e cio’ puo’ portare piu’ facilmente alla formazione di trombi. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’04 LA SFIDA E’ IL RICAMBIO NEURONALE Si concentrano gli sforzi per arrivare a impiegare queste cellule come terapia in caso di danni cerebrali e cellule staminali sono cellule immature, il cui destino non e’ ancora "deciso". Hanno una prolungata capacita’ di autorinnovarsi e, in base alla loro origine, sono in grado di differenziarsi in diverse tipologie cellulari. In questi ultimi anni si e’ dimostrato come sia possibile generare neuroni adatti al trapianto a partire da cellule staminali in coltura. E non solo. Pare che il cervello adulto possa produrre nuovi neuroni a partire dalle proprie cellule staminali reagendo al danno. Ricambio neuronale. Queste scoperte hanno sollevato molte speranze per lo sviluppo di terapie. Chiaramente, prima di potere procedere a sperimentazioni cliniche, bisogna saperne molto di piu’ sul controllo della proliferazione delle cellule staminali e della loro differenziazione in cellule specifiche, per migliorare la loro integrazione nei circuiti neuronali e sinaptici esistenti e ottimizzare il recupero funzionale in modelli animali che mimano una determinata sindrome, Parkinson o ischemia cerebrale che sia. Puo’ sembrare irrealistico pensare a un recupero funzionale rimpiazzando le cellule perse in seguito a una malattia, se si considera la complessita’ della struttura e della funzione del cervello umano. Nonostante cio’ gli studi sui modelli animali hanno fatto effettivamente intravedere la possibilita’ di ricambio neuronale e la ricostituzione parziale di circuiti neuronali danneggiati. La tecnica Usa. Durante il quarto Forum of european neuro science organizzato ogni due anni dalla Federazione Europea di Neuroscienze e te’nutosi quest'anno a Lisbona si e’ dato ampio spazio al tema delle cellule staminali, con un chiaro messaggio: siamo "cautamente" ottimisti. Per la prima volta Lorenz Studer, del Memoria] Sloan-Kettering di New York, ha trovato il modo di rigenerare un numero illimitato di specifiche cellule nervose a partire da cellule embrionali umane che possono sopravvivere nel cervello di un ratto che simula il Parkinson. La tecnica annunciata dal gruppo americano offre anche un modello a cui ispirarsi per generare molte altre tipologie cellulari del cervello che potrebbero giovare a nuovi trattamenti per danni alla spina dorsale, o per l'insorgere del Parkinson e dell'Huntington o per problemi psichiatrici. Il lavoro di Studer ha preso di mira i neuroni, e in particolare quelli dopaminergici. Un passc indietro. E risaputo che il Parkinson e’ caratterizzato dalla perdit2 di neuroni che producono dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per un controllo efficace d: tutto il corpo. Quindi, e’ compren. sibile il forte interesse di genera. re cellule nervose dopaminergiche dalle cellule staminali nell'ottica di mettere a disposizione una risorsa promettente per rimpiazzare i neuroni danneggiati. Precedentemente, altri gruppi di ricerca avevano dimostrato che le cellule staminali embrionali di topo, o quelle che derivano da una cellula adulta, hanno una capacita’ molto alta di generare neuroni dopaminergici, in misura illimitata. Lasciando alle spalle il bancone di laboratorio, per trattare pazienti affetti da Parkinson sarebbe meglio attingere da cellule umane. E Studer ha descritto la fattibilita’ di ottenere un numero illimitato di neuroni dopaminergici umani, che risultino funzionali, rilascino dopamina, generino segnali elettrici e formino connessioni con le cellule vicine. La sfida, ora, e’ dimostrare che abbiano un effetto terapeutico. L'idea e’ di passare, nell'ordine, ai ratti e successivamente ai primati per raccogliere le informazioni necessarie per procedere al test decisivo sugli esseri umani. Le prospettive. Buone prospettive sulle cellule staminali vengono anche dalla Svezia, dove il gruppo di Zaal Kokaia, dell'ospedale di Lund, studia da anni l'ischemia cerebrale, una comune forma di neurodegenerazione in circoscritte aree del cervello, che causa la morte di molti neuroni e cellule gliali ed e’ generata dall'occlusione dell'arteria cerebrale. Molti di coloro che sopravvivono all'ischemia riescono a recuperare parte delle funzioni danneggiate, con un certo grado di variabilita’. E i meccanismi che regolano questo recupero sono sconosciuti. Contrariamente a quanto si e’ creduto per anni, alcune popolazioni cellulari in determinate aree del cervello vanno incontro a una continua proliferazione anche in eta’ adulta, rappresentando una risorsa di nuove cellule neuronali per tutti i mammiferi. E studi svedesi avevano gia’ provato che il cervello adulto ha la capacita’ di autoripararsi dopo l'ischemia cerebrale utilizzando il potenziale neurogenico della cellula staminale neurale, con un meccanismo ancora del tutto sconosciuto. Secondo Kokaia, per sviluppare una strategia di ricambio neuronale verso un vero e proprio trapianto clinico, si potrebbero distinguere tre "linee d'attacco", anche nell'intento di razionalizzare al massimo la ricerca sulle staminali. Bisogna innazitutto ottenere una prova di principio che i neuroni generati dalla cellula staminale neuronale possano sopravvivere in un ampio numero di animali soggetti, nel caso degli studi di Kokaia, all'ischemia cerebrale; e che gli stessi neuroni migrino nelle giuste regioni del cervello e assumano le stesse proprieta’ morfologiche e funzionali dei neuroni morti o danneggiati, e stabiliscano interazioni sinaptiche afferenti ed efferenti con i neuroni sopravvissuti. In secondo luogo per migliorare la sopravvivenza, la differenziazione e l'integrazione delle cellule staminali neuronali e’ essenziale una conoscenza dettagliata di come questi processi siano regolati. Infine, un altro fattore decisivo da prendere in considerazione e’ la finestra di tempo che trascorre dopo l'insulto, quando la nuova generazione di neuroni da’ il massimo della ricostituzione dei circuiti neuronali e del recupero funzionale. Tutte queste informazioni sono indispensabili per arrivare, quindi, all'uomo, il punto piu’ delicato, per stabilire quali pazienti siano adatti alla terapia delle cellule staminali. Marta Paterlini ___________________________________________________ IL FOGLIO 28 ott. ’04 EX NIHILO NIHIL FIT Dal niente nasce niente: la Cdl vuole affossare la legge sulla procreazione? Pubblichiamo a pagina due un ragionato, cauto ma fermissimo intervento di Alfredo Mantovano, dirigente di Alleanza nazionale e sottosegretario all'Interno, persona seria. Quel che dice e’ chiaro. Dice che dall'interno della Casa delle liberta’, con almeno un progetto parlamentare di revisione della legge sulla procreazione assistita, si lavora per il papocchio. I contenuti della legge vengono rivisti su questioni delicate, svuotandola di molto del suo significato, per andare incontro a una generica pressione, che spaventa perche’ fondata su toni oltranzisti che bollano la crudelta’ e l'oscurantismo della legge 40. Costruita in venticinque anni di discussioni da una maggioranza trasversale che ha diviso il fronte laicista e ha legato un ampio arcipelago di cattolici e di laici di destra di centro e di sinistra, in completa indipendenza dai dettami della Chiesa romana (che e’ contraria in linea di principio alla fecondazione artificiale), '' quella legge e’ uno dei pochissimi contributi onorevoli e seri all'identita’ forte di una legislatura e di una comunita’ che la maggioranza sia stata in grado di dare. Rinunciare a difenderla, come fa la ministra Stefania Prestigiacomo, che avanza rispettabilmente, ma rispettabilmente sbagliando, argomenti presi di peso dalla retorica politicamente e , ideologicamente corretta, la stessa che ha condotta al rogo di un cattolico liberale designato dal governo per la commissione di Bruxelles, e’ semplicemente pazzesco. E denota una vorticosa tendenza al nulla culturale e civile che si e’ impadronita della maggioranza di centrodestra, con il rischio di figurare come la maggioranza senza qualita’. Ma dal nulla nasce il nulla. Il nostro augurio e’ che la Prestigiacomo si legga l'articolo del suo collega senza pregiudizi, e che vi scorga non l'oltranzismo cattolico e dogmatico ma, com'e’ in realta’, un rispettoso dissenso verso la pretesa di organizzare una fuga civile e politica prima della battaglia referendaria, e illudendosi di evitarla. E' vero, come ha detto recentemente Francesco Rutelli e come pensa la Prestigiacomo, che sulle donne incombono pesi sempre maggiori nella famiglia, nell'educazione, nel lavoro, nell'evoluzione del costume accompagnata e condizionata dall'evoluzione della tecnica e dal vuoto etico del nostro tempo. E giusto un atteggiamento solidale e inquieto di un ministro che conosce la condizione femminile e deve accudire alla pari opportunita’ di vita e di ruolo di donne e uomini. E' ingiusto invece, e profondamente sbagliato, cedere su alcune questioni di principio, anche dolorose, che sono il sale di quella legge e che non si possono e non si devono aggirare con considerazioni che sembrano mezzucci, al di la’ delle intenzioni. Anche gli embrioni sono in parte donne, e anche agli embrioni donna tocca la pari opportunita’. ___________________________________________________ Libero 29 ott. ’04 LENTI A CONTATTO PER CURARE IL GLAUCOMA Rilasciano i farmaci all'interno degli occhi di GUINWCA GiIOSSI Lenti a contatto di nuova generazione di curare il glaucoma e molte altre patologie oculari: razione e’ resa possibile da farmaci "incapsulati" al loro interno che vengono rilasciati in quantita’ e tempi diversi in base alle necessita’. Sono state messe a punto da un team di ricercatori di Singapore. Gli esperti hanno ottenuto un prodotto che potrebbe sostituire i tradizionali colliri, spesso causa di effetti collaterali anche gravi: «Uno dei problemi piu’ grandi delle gocce e dei colliri e’ che il95 % delle sostanze curative va dove non e’ necessario», ha spiegato uno dei ricercatori; il riferimento e’ al fatto che le gocce di,collirio possono raggiungere il naso e venire assorbite dall'organismo con ripercussioni negative addirittura sulle funzioni cardiache. In questo momento i ricercatori dell'Istituto di bioingegneria e nana-` tecnologia (Ibn), stanno ricercando un partner con il quale commercializzare il prodotto. Oltre a curare il glaucoma (una patologia che provoca dolore e diminuzione anche drastica della capacita’ visiva), gli studiosi affermano che le nuove lenti a contatto possono essere modificate per una auto-lubrificazione, molto utile ai portatori di normali lenti a contatto che soffrono di secchezza dell'occhio. Un risultato analogo a quello ottenuto dagli scienziati di Singapore e’ stato infine raggiunto anche dai ricercatori statunitensi dell'Universita’ della Florida, a Gainsville. Fui hanno presentato le loro ricerche in occasione del meeting annuale dell'American Chemical Society tenutosi recentemente a New Orleans. Anche in questa circostanza gli esperti sono riusciti a "incapsulare" dei farmaci in microscopiche nano-particelle "inserite" nelle lenti durante il processo di lavorazione. Dai test statunitensi e’ in particolare emerso che le lenti possono essere indossate anche per due settimane di seguito, senza nessun tipo di controindicazione. ___________________________________________________ Libero 29 ott. ’04 NUOVA TECNICA ELIMINA LE BORSE SOTTO GLI OCCHI Non c'e’ niente di peggio, delle borse sotto: gli occhi e delle occhiaie per caratterizzare la stanchezza di un volto. «Ora il rimedio 'c'e’ - avverte la Dottoressa Anadela Serra Visconti, Specialista in Dermatologia con studio a Roma - e’ stata ideata una nuova maschera a base di una sostanza che serve a ridurre il grasso delle borse nonche’ "i calamari" sotto li occhi. E’ costituita da retinolo, osfatidilcolina e vitamina K, che serve per la microcircolazione della palpebra inferiore.Il retinolo corregge le microrughe e la fosfatidilcolina puo’ ridurre il tessuto adiposo. Questo gel che si solidifica deve essere applicato su tutto il contorno dell occhio. La cura si svolge in quattro sedute, una volta la settimana. La maschera si tiene dai 20 ai 30 minuti». E E’ indispensabile la presenza del medico per l'esecuzione della cura. Tra le novita’ Anadela Serra Visconti cita anche le microdosi di botulino per ridurre zampe di allina e rughe frontali. Poiche’ il otox; nella dose media, potrebbe produrre l'effetto Mefisto, ossia le sopracciglia in su se viene iniettato sulla fronte, i medici propendono ormai per le microdosi per evitare l'aspetto mummificato. ______________________________________________________ Corriere della Sera 24 ott. ’04 IL DIABETE E’ SEMPRE PIU’ GIOVANE E' in aumento il tipo 1 (la forma propriamente giovanile). Ma anche il tipo 2, quello dell' adulto, compare a eta’ piu’ precoci. Sotto accusa soprattutto il nostro stile di vita. Ecco quello che bisogna sapere per ridurre i rischi MEDICINA Meli Elena C he il diabete sia ormai da considerare una vera e propria epidemia non e’ un segreto per nessuno: i malati sono milioni e altrettanti sono, con tutta probabilita’, i pazienti ignari di esserlo. Quello che forse molti non sanno e’ che le vittime sono sempre piu’ giovani: se da un lato e’ in aumento l' incidenza del diabete di tipo 1 - il cosiddetto diabete giovanile - , dall' altro il diabete di tipo 2, tipico dell' eta’ adulta, viene oggi diagnosticato a giovani adulti, adolescenti e perfino ai bimbi. Troppa igiene L' allarme e’ stato lanciato a Monaco di Baviera dagli esperti riuniti per il congresso dell' European Association for the Study of Diabetes: numeri alla mano, i caratteri di questa emergenza sanitaria appaiono davvero preoccupanti. Ogni anno, ad esempio, il numero di nuovi casi di diabete di tipo 1 cresce del 3% e la colpa pare stia tutta nel nostro esecrabile stile di vita. Troppo comodo secondo gli esperti, che tirano in ballo la cosiddetta teoria dell' igiene: «Oggi i bambini sono meno esposti ai microbi rispetto al passato: questa protezione in tenera eta’ favorisce lo sviluppo successivo di patologie in cui il sistema immunitario si inceppa (come le allergie e l' asma), ma potrebbe spiegare anche la maggiore vulnerabilita’ a una malattia su base autoimmune come il diabete giovanile», chiarisce Michele Muggeo, responsabile della Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell' Ospedale Civile Maggiore di Verona. Non e’ l' unica interpretazione: secondo il diabetologo inglese Terrence Wilkin il problema e’ l' obesita’ infantile, che renderebbe i bimbi resistenti all' insulina e costringerebbe il pancreas a un superlavoro di sintesi dell' ormone, tanto innaturale da scatenare una reazione autoimmunitaria contro il pancreas stesso e, di conseguenza, il diabete. E se c' e’ ancora qualche dubbio che i chili in eccesso possano influenzare la comparsa del diabete di tipo 1, e’ certo che essi sono fra i maggiori responsabili del diabete di tipo 2, sempre piu’ spesso diagnosticato prima dei trent' anni. Lo testimonia una ricerca tedesca su 27.000 giovani diabetici; lo conferma uno studio francese su 500 bambini e adolescenti, secondo cui il 15% degli under 18 e’ affetto dalla sindrome metabolica, l' anticamera del diabete. Bimbi di otto, dieci anni che hanno la pressione alta, trigliceridi e colesterolo in eccesso, glicemia elevata e che, soprattutto, sono grassi. Valori al limite «La sindrome metabolica e’ una condizione che in passato si presentava non prima dei 30-40 anni e sfociava in diabete a 50-60: oggi la vediamo sempre piu’ spesso in bambini e adolescenti. Che magari non raggiungono valori francamente patologici di pressione, glicemia o grassi nel sangue, ma sono al limite per tutti i fattori di rischio e hanno tutte le carte in regola per ammalarsi a breve» conferma Muggeo. «Sedentarieta’ e sovrappeso sono i due maggiori imputati del calo verticale dell' eta’ alla diagnosi: i nostri bimbi giocano molto meno all' aperto, passano troppe ore di fronte al computer e alla TV, e hanno spesso un' alimentazione ipercalorica e ricca di grassi. Tutti comportamenti sbagliati che minano la loro salute fin dalla piu’ tenera eta’». Tenere d' occhio il peso, mangiare sano e svolgere con costanza un' attivita’ fisica: sono i tre capisaldi della prevenzione, fin dalla prima infanzia. CHE COSA sono Diabete di tipo 1 Insorge di solito nei bimbi o nei giovani adulti ed e’ provocato da un deficit di insulina: l' ormone prodotto dal pancreas e’ scarso o addirittura assente, a causa di una reazione autoimmune che comporta la distruzione delle cellule del pancreas deputate alla sintesi di insulina Diabete di tipo 2 Il pancreas produce insulina, ma l' organismo e’ divenuto resistente e non riesce piu’ a utilizzarla a dovere per trasformare il glucosio in energia. Questa forma di diabete si manifesta di solito negli adulti, soprattutto in coloro che tendono all' obesita’ Sindrome metabolica E’ una condizione caratterizzata da sovrappeso, ipertensione, glicemia elevata, trigliceridi e colesterolo oltre la norma. Viene considerata l' anticamera del diabete, perche’ i pazienti hanno una spiccata resistenza all' insulina e, senza modifiche dello stile di vita, sono destinati a diventare diabetici entro pochi anni Da tenere d' occhio... Quali sono gli elementi da tenere d' occhio per capire se un bambino (ma anche un adulto) sta scivolando verso la sindrome metabolica e il diabete? Due, secondo il professor Muggeo. 1 La circonferenza della vita. L' accumulo di grasso a livello della pancia e’ sintomatico di sovrappeso; inoltre, il grasso addominale e’ proprio quello piu’ pericoloso , piu’ strettamente legato allo sviluppo di disordini metabolici 2 Le ore di televisione. Il tempo passato alla TV e’ un ottimo indice della sedentarieta’ e del rischio-obesita’: lo conferma una ricerca australiana, secondo cui la probabilita’ di sindrome metabolica e diabete e’ direttamente proporzionale al numero di ore di TV. SEDENTARIETA’ Lo scarso movimento e il sovrappeso sono i due maggiori imputati del notevole abbassamento dell' eta’ in cui oggi viene diagnosticato il diabete ' ' Con insulina TERAPIA ASSOCIATA VINCENTE Anche chi soffre di diabete di tipo 2 puo’ dover ricorrere all' insulina. Secondo uno studio presentato a Monaco, un' accoppiata vincente prevede l' uso di ipoglicemizzanti ai pasti e un' iniezione giornaliera di un analogo dell' ormone, l' insulina glargine. «E' un' insulina ad azione prolungata, che garantisce una "base" di ormone ottimale lungo le 24 ore», spiega il dottor Giuseppe Seghieri, responsabile di Medicina degli Spedali Riuniti di Pistoia, che in Italia ha sperimentato il farmaco. «In associazione con gli ipoglicemizzanti garantisce un buon controllo metabolico». Qualche dubbio sulla terapia a lungo termine con insulina viene sollevato da una ricerca secondo cui esporrebbe i pazienti con diabete di tipo 2 a un maggior rischio di tumori del colon-retto. «E' la prima segnalazione circa il tumore colorettale e andra’ quindi verificata», precisa Muggeo. «In realta’ sappiamo da tempo che i pazienti con diabete di tipo 2 hanno un aumento della mortalita’ per neoplasie del digerente, soprattutto al pancreas e al fegato. Nonostante cio’ non dobbiamo temere una terapia a base di insulina. L' importante e’ tenere sempre sotto controllo i malati». Il giusto CONTROLLO Non piu’ solo glicemia: oggi si guarda l' «emoglobina glicata» Gli esperti non sembrano avere piu’ molti dubbi: archiviata la semplice glicemia, oggi e’ il valore dell' emoglobina glicata il parametro su cui si basa il verdetto dei diabetologi. Che cos' e’ L' emoglobina puo’ legarsi alle molecole di glucosio in circolo nel sangue: quanto piu’ e’ elevata la glicemia, tanto maggiore sara’ la quota di emoglobina glicata. E poiche’ essa e’ trasportata dai globuli rossi, che hanno una vita media di due- tre mesi, il valore dell' emoglobina glicata sara’ l' indice dell' andamento medio della glicemia lungo tale arco di tempo. In un soggetto sano, la frazione glicata oscilla fra il 4 e il 6% dell' emoglobina totale. Perche’ e’ importante Nel diabetico, restare nei limiti significa avere un buon controllo metabolico, ovvero essere riusciti a mantenere il glucosio al di sotto del livello di guardia per la gran parte del tempo. Non a caso l' American Diabetes Association lo ha segnato fra i quattro obiettivi principali dei malati: l' emoglobina glicata dovrebbe sempre essere inferiore al 7%. Addirittura piu’ severa l' International Diabetes Federation, che segna come limite il 6.5%. Le ripercussioni pratiche di un controllo serrato dell' emoglobina glicata non sono da poco: «Tanto piu’ e’ elevato il valore dell' emoglobina glicata, quanto maggiore e’ il rischio di complicazioni», chiarisce la dottoressa Melanie Davies, del Servizio di Medicina Metabolica dell' ospedale di Leicester, in Inghilterra. «Basti pensare che, se si riduce dell' 1% l' emoglobina glicata, diminuiscono del 21% la mortalita’ per cause cardiovascolari, del 37% le complicanze microvascolari e del 46% le malattie vascolari periferiche». Come tenerla sotto controllo Con la dieta e l' esercizio fisico, i primi e piu’ importanti alleati di ogni diabetico. Quando non basta, si puo’ ricorrere ai farmaci ipoglicemizzanti da assumere per via orale; se anche questo non e’ sufficiente, l' orientamento attuale consiglia di passare all' insulina, che non dovrebbe essere vista come ultima spiaggia, anzi. Gli studi piu’ recenti affermano che iniziare presto, quando non c' e’ piu’ una risposta soddisfacente agli altri farmaci, significa controllare meglio l' emoglobina glicata, avere un miglior controllo metabolico e prevenire le complicanze. Nella pratica, pero’ Purtroppo, come ha dimostrato uno studio lungo 14 anni su 5000 diabetici (lo United Kingdom Prospective Diabetes Study), l' emoglobina glicata e’ destinata inesorabilmente ad aumentare con il passare degli anni. Come se non bastasse, solo pochi riescono davvero a tenere i valori sotto soglia: appena il 35%, secondo stime statunitensi dello studio NHANES. I motivi, oltre al carattere progressivo della malattia, sono da cercare nelle cure: da un lato non ancora pienamente efficaci, dall' altro seguite malvolentieri dai pazienti, che temendo, ad esempio, l' aumento di peso e le crisi ipoglicemiche correlate alle terapie piu’ aggressive, spesso indispensabili per un controllo metabolico ottimale. Il diabetologo Antonio Ceriello «In Italia strutture efficienti, ma non si pensa alle emergenze future» E’ in Oklahoma, negli Stati Uniti, che sono stati segnalati per la prima volta casi di diabete di tipo due in adolescenti. Ed e’ proprio qui che Antonio Ceriello, diabetologo italiano appena insignito del premio Castelli Pedroli proprio al congresso di Monaco, e’ stato chiamato dai colleghi d' oltreoceano a fondare e dirigere un centro d' eccellenza per la ricerca e la cura del diabete. In tempi di polemiche sulla fuga dei cervelli dal nostro Paese, la sua storia appare emblematica: professore associato di medicina interna all' universita’ di Udine, e’ diventato un pendolare della ricerca, con laboratorio e collaboratori di la’ dall' Atlantico, famiglia e incarico universitario in Friuli. Come giudica la rete assistenziale per il diabete in Italia? «La rete assistenziale italiana in campo diabetologico e’ capillare e niente affatto inadeguata, anzi: puo’ essere annoverata fra le piu’ efficienti, come dimostra ad esempio il fatto che vantiamo i migliori livelli di emoglobina glicata al mondo», risponde Ceriello. «Tuttavia, mentre gli altri Paesi occidentali stanno creando strutture di riferimento per il diabete in risposta a quella che oggi e’ riconosciuta come una vera e propria emergenza sanitaria, l' Italia sta andando in controtendenza: in tempi di sanita’ di cassa, dove si spende il minimo per ottenere un risultato visibile nel minor tempo possibile, non si investe per una malattia cronica dove i risultati si vedono nell' arco di decenni». «Purtroppo, - conclude il diabetologo - pagheremo questa miopia fra qualche anno, quando saremo travolti dalle necessita’ dei pazienti». E questi sono i fattori di rischio Familiari di primo grado (genitori, fratelli, figli) affetti da diabete Sedentarieta’ Obesita’ Abitudine al fumo e/o consumo elevato di alcol Ridotta tolleranza al glucosio e/o glicemia alterata a digiuno Ipertensione Dislipidemia (trigliceridi e colesterolo LDL elevato, colesterolo HDL inferiore al livello normale) Iperuricemia e gotta Uso di farmaci diabetogeni come i cortisonici o i beta-bloccanti Gravidanza in cui si sia manifestato un diabete gestazionale o che si sia conclusa con la nascita di un bimbo con peso superiore ai quattro chilogrammi Nelle donne, la presenza della sindrome dell' ovaio policistico (che predispone all' accumulo di grasso addominale). A RISCHIO Secondo uno studio francese il 15 per cento dei soggetti con meno di 18 anni e’ affetto da sindrome metabolica, ossia l' anticamera del diabete ' ' Gli obiettivi per i malati dettati dall' American Diabetes Association Emoglobina glicata al di sotto del 7% Pressione sistolica (massima) entro 130 mm Hg Pressione diastolica (minima) entro 80 mm Hg Colesterolo LDL inferiore a 2.6 mmol/litro (100 mg/dl) ______________________________________________________ La repubblica 26 ott. ’04 LA MACULOPATIA DEGENERATIVA SENILE E’ LA VERA EMERGENZA" Parla Giovanni Staurenghi, dell'ateneo di Brescia: "Servono piu’ fondi" LISTE d'attesa infinite e patologie "emergenti". Con pazienti che scappano lontano o si spostano solo di qualche centinaia di chilometri. Accade in tutte le branche, ma negli ultimi anni l'oculistica ha fatto registrare un singolare boom: numerosi malati del meridione che hanno bisogno di intervento sulla retina si rivolgono a strutture pubbliche o private di regioni limitrofe. Perche’ accade? Ne abbiamo parlato con il professor Giovanni Staurenghi, associato nella Clinica Oculistica dell'universita’ di Brescia. Premette: "La vera emergenza di questo inizio secolo non e’ rappresentata dalla cataratta, ma dalla maculopatia degenerativa senile". La cataratta e’ un problema risolto? "Certo. Prima di tutto perche’ ci sono ovunque punti di riferimento per la sostituzione del cristallino, poi perche’ anche se un paziente deve aspettare due mesi o piu’ per l'intervento, la sua vista non corre alcun rischio. Oggi e’ la maculopatia degli anziani a far paura". Perche’? "Si tratta di una malattia che non consente ritardi e se non si interviene subito si puo’ determinare una grave e irreversibile compromissione visiva. Insomma, non si possono aspettare due settimane per l'intervento, altrimenti si perde l'occhio. Ma e’ anche la richiesta per la terapia fotodinamica a essere superiore all'offerta, con un'indiscutibile mancanza di strutture e una notevole difficolta’ da parte di quelle pubbliche a ottenere in breve tempo alte tecnologie, a costo elevato". E proliferano i centri per cataratta. "La degenerazione maculare senile e la chirurgia vitreoretinica economicamente non rendono perche’ a stento si riesce a coprire il costo dei materiali. Nulla a che vedere con la chirurgia della cataratta: di questi interventi se ne fanno anche dodici in una mattina mentre di vitrectomia se ne puo’ fare anche una sola. E questo, a una struttura accreditata non fa gola". Cosa si dovrebbe fare? "Bisognerebbe pensare a maggiori investimenti e attribuire piu’ fondi alle tecnologie per affrontare una patologia invalidante come questa. D'altronde quella che potrebbe sembrare una spesa eccessiva, si rivelerebbe a distanza un risparmio, sia dal punto di vista economico che da quello sociale". (g. d. b.) ______________________________________________________ La repubblica 25 ott. ’04 SE LA CHIRURGIA E’ MININVASIVA Congresso a Cagliari: nuovi strumenti per la ginecologia Strumenti miniaturizzati e digitalizzati, telecamere in grado di moltiplicare l'immagine, migliori opportunita’ d'intervento terapeutico. La parola d'ordine al 13 Congresso della Societa’ europea di endoscopia ginecologica e’ stata: evoluzione tecnologica, miglioramento della qualita’ di vita della paziente e diffusione delle tecniche. "Il consolidamento e la standardizzazione delle tecniche endoscopiche consentono di operare con la minima invasivita’ e per questo non possiamo pensare piu’ in termini di tagli e di asportazione", dice il professor Gian Benedetto Melis, ginecologo dell'universita’ di Cagliari, e neo- eletto presidente della Seeg, "ma puntare a interventi conservativi che evitino lunghi ricoveri, favoriscano una rapida ripresa e permettano quando possibile di risparmiare utero, ovaie e tube, organi importanti anche sotto il profilo psicologico. Victor Gomel, padre dell'endoscopia ginecologica, commentando i cambiamenti degli ultimi vent'anni ha sottolineato come solo il 30-35 per cento delle isterectomie effettuate sia realmente appropriata. L'80-85 per cento della patologia ginecologica puo’ essere approcciato per via endoscopica, aperto il dibattito sull'utilizzo dell'endoscopia in oncologia. Gli studi dimostrano per ora l'assoluta sovrapposizione dei risultati quando si trattano tumori dell'endometrio e dell'ovaio con metodiche non invasive. "Con la mininvasiva riusciamo non solo ad asportare un maggiore numero di linfonodi neoplastici", osserva il professor Tigellio Gargiulo dell'ospedale Maria Vittoria di Torino, "ma a trattare con un buon 78 per cento di successo il varicocele (dilatazione delle vene dell'ovaio che colpisce il 10-15% delle donne in eta’ riproduttiva) senza dover ricorrere all'isterovariectomia". Per il futuro gli specialisti puntano a trattamenti radicali del dolore pelvico (provocato da endometriosi, varicocele, cisti) e a diagnosi veloce con tecniche di imaging che entrano negli organi e si prestano a interventi istantanei. ______________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’04 LA SIFILIDE E’ TORNATA A FARE PAURA La malattia sembrava scomparsa: da tempo non c'erano piu’ stati ricoveri in ospedale Nel 2003 i casi sono stati quindici, gia’ cinque quest'anno L'epidemia sembrava scomparsa, debellata all'inizio del secolo scorso grazie all'avvento della pennicillina. Per decenni i casi segnalati in citta’ si contavano sulle dita di una mano, mentre per trovare dei ricoveri bisognava andare a spulciare i registri ospedalieri con la lente d'ingrandimento. Invece la sifilide e’ tornata, anche se ora non fa piu’ cosi’ tanta paura: l'anno scorso i casi registrati sono stati 15, mentre quest'anno ci sono gia’ stati 5 ricoveri nei reparti infettivi della citta’. Gli esperti confermano la presenza di alcuni focolai della malattia in provincia, ma l'allarme e’ alto soprattutto perche’ nella meta’ dei casi riscontrati l'infezione e’ accompagnata dal virus dell'Hiv. Non siamo ancora all'emergenza, ma la ricomparsa della malattia e’ vista con attenzione dai medici e dagli addetti ai lavori. Da cinquecento anni e’ conosciuta come il "mal francese", da quando cioe’ nel 1494 le truppe di Carlo VIII assediarono Napoli portandosi dietro l'epidemia. La sifilide e’ una di quelle malattie infettive soggette a notifica obbligatoria: in altre parole i medici sono tenuti a informare tempestivamente il Ministero della Sanita’ quando riscontrano ogni nuovo caso. «Una prassi forse non del tutto rispettata», rivela Maurizio Riccobene, un medico cagliaritano della divisione infettivi della Santissima Trinita’ che da tempo sta lavorando proprio su quest'epidemia: «I dati sardi sono un po' poveri, ma non c'e’ dubbio che esiste una ricomparsa di alcuni focolai». E i numeri confermano le preoccupazioni degli esperti. Dal 1998 al 2001 in tutta la Sardegna era stato diagnosticato un solo caso di mal francese: una donna ricoverata agli infettivi che guari’ completamente dopo alcuni giorni di terapia. Nel 1999, invece, i casi salirono a tre e rimasero invariati anche l'anno successivo. Nessun caso, infine, nel 2001. Le prime segnali che l'epidemia stava ricomparendo sono emersi nel 2002: sette persone contagiate e costrette alle cure ospedaliere. E l'anno scorso il picco massimo: quindici casi segnalati, molti dei quali provenienti dalla provincia cagliaritana e ricoverati nei reparti infettivi o in dermatologia. La cura e’ semplice: punture intramuscolo di pennicillina, oppure in vena se l'infezione ha interessato il sistema nervoso (neurosifilide). E se nel primo caso e’ possibile completare la terapia senza spostarsi da casa, nel secondo caso puo’ essere necessario anche il ricovero ospedaliero. Cosi’ si viene a scoprire che i ricoveri nel reparto infettivi del Santissima Trinita’ solo nel 2002 sono stati cinque, l'anno successivo si e’ saliti a sei, mentre quest'anno le degenze sono ferme a cinque. Nei quattro anni precedenti, invece, solo a una donna venne riscontrata la malattia. E se l'eta’ media delle persone colpite dal micidiale batterio oscilla tra i 25 e i 64 anni, quest'anno preoccupa il caso di una coppietta di ragazzini infettati, poco piu’ che adolescenti. «La malattia e’ ricomparsa colpendo in prevalenza alcune categorie di persone» prosegue Riccobene, «si tratta in prevalenza di omosessuali maschi. C'e’ da dire, poi, che nella meta’ dei casi si tratta di pazienti coinfettati anche dal virus dell'Hiv». E sulle cause della ricomparsa dell'epidemia gli esperti non hanno dubbi. «Il problema» conferma professor Giuseppe Angioni, primario degli infettivi, «e’ che si sono allentati i metodi di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. E’ necessario essere piu’ prudenti e aumentare le precauzioni». Francesco Pinna ______________________________________________________ Le Scienze 28 ott. ’04 LE CELLULE STAMINALI DELLA RETINA La scoperta potrebbe portare a una cura per alcune malattie degli occhi Un gruppo di scienziati dell'Universita’ di Toronto ha isolato e caratterizzato cellule staminali umane in grado di differenziarsi in tutti i tipi di cellula della retina. Anche se in precedenza erano gia’ state identificate in esseri umani le cellule progenitrici della retina (cellule che possono svilupparsi solo in un singolo tipo di cellula), autentiche cellule staminali con la capacita’ di autorinnovarsi erano finora state trovate solo nei topi. Derek Van der Kooy e colleghi sono riusciti a isolare queste cellule staminali da occhi di donatori umani (da neonati fino ad anziani oltre i 60 anni). Una volta coltivate in vitro, le cellule isolate sono sopravvissute, si sono divise e hanno dato origine a tutti i differenti tipi di cellula della retina, dimostrando cosi’ la loro reale natura di cellule staminali e di non essere semplicemente cellule progenitrici con capacita’ limitata. Inoltre, i ricercatori hanno trapiantato le cellule staminali umani in topi nati da appena un giorno. Ventotto giorni dopo il trapianto, una grande percentuale delle cellule umane era migrata e si era integrata nella retina dei topi, soprattutto nello strato fotorecettore. Questi risultati forniscono la prima dimostrazione di una popolazione di cellule staminali autorinnovanti a lungo termine nella retina umana, che potrebbero rappresentare un'importante risorsa per la cura dei disturbi della retina. B. L. K. Coles, B. Ange’nieux, T. Inoue, K. Del Rio-Tsonis, J. R. Spence, R. R. McInnes, Y. Arsenijevic, D. Van der Kooy, Facile isolation and the characterization of human retinal stem cells. Proceedings of the National Academy of Sciences (2004). ______________________________________________________ Le Scienze 28 ott. ’04 LE INFEZIONI TRASMESSE DALLE ZANZARA Sviluppato un nuovo modello matematico La malaria, una malattia trasmessa dalle zanzare, continua a rappresentare una delle maggiori minacce alla salute globale, infettando oggi piu’ persone che mai. Comprendere come il rischio di queste infezioni vari a seconda dell’ambiente e’ un passo importante verso la pianificazione e l’attuazione di efficaci misure di controllo. Il tasso con quale gli esseri umani vengono infettati e’ determinato dalla frequenza dei morsi di zanzara e dalla proporzione di zanzare infette. Si assume spesso che se la percentuale di zanzare infettive cresce, salira’ anche il tasso con il quale gli esseri umani vengono punti. Ma in uno studio pubblicato sulla rivista “PLoS Biology”, David Smith e colleghi del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti dimostra l'infondatezza di questa ipotesi. Usando un modello matematico, gli autori hanno scoperto che il tasso col quale gli uomini vengono morsi e la proporzione di zanzare infette raggiungono il rispettivo valore massimo in istanti e luoghi differenti. Questo suggerisce che la formula usata di solito per stimare il rischio di infezione - il numero medio di volte al giorno che una zanzara infetta morde una persona - non e’ valida. La distribuzione degli esseri umani e gli habitat adatti per le larve di zanzara variano nel territorio. E la densita’ delle popolazioni di zanzare varia stagionalmente, crescendo e calando a seconda delle precipitazioni, delle temperature e dell’umidita’. Le variazioni spaziali e temporali nelle popolazioni di zanzare influenzano il numero di attacchi contro gli esseri umani, li numero di zanzare infette e il rischio di infezione. Il modello matematico sviluppato da Smith e colleghi rivela che il rischio di essere morsi e’ maggiore qualche tempo dopo che la densita’ di popolazione di zanzare ha raggiunto il suo picco. D. L. Smith, J. Dushoff, F. E. McKenzie, The risk of a mosquito-borne infection in a heterogeneous environment. PLoS Biol 2 (11): e368 (2004). ______________________________________________________ Le Scienze 27 ott. ’04 GLI EFFETTI NEGATIVI DEL CESAREO Il parto cesareo potrebbe ritardare il normale sviluppo del sistema immunitario Secondo i ricercatori dell’Universita’ Ludwig Maximilians di Monaco di Baviera, in Germania, i bambini nati dopo un parto cesareo potrebbero essere piu’ a rischio di allergie alimentari e diarrea nei primi dodici mesi di vita. Gli scienziati hanno studiato 865 neonati, tutti nutriti con latte materno fino ai quattro mesi. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista “Archives of Disease in Childhood”, indicano che i bambini nati con parto cesareo hanno una maggior probabilita’ di soffrire di diarrea durante il loro primo anno di vita, e due volte piu’ probabilita’ di risultare allergici al latte di mucca e ad altri cibi. Tutti i bambini dello studio provenivano da famiglie dove erano stati riportati casi di allergie. I neonati sono stati controllati all’eta’ di uno, quattro, otto e dodici mesi. Per individuare i segni di una risposta allergica ai cibi (comprese uova e proteine di soia), dopo i dodici mesi sono stati prelevati campioni di sangue. Secondo gli scienziati, il parto cesareo altererebbe o ritarderebbe la normale “colonizzazione” dei batteri dell’intestino. Precedenti studi hanno suggerito che questi batteri svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema immunitario. ______________________________________________________ Le Scienze 28 ott. ’04 SCONFIGGERE LE ALLERGIE La molecola p110delta controlla la risposta allergica Grazie a uno studio pubblicato sulla rivista "Nature", la sofferenza di milioni di persone che soffrono di allergie potrebbe un giorno avere fine. Gli scienziati del Ludwig Institute for Cancer Research (LICR) di Bruxelles e di altre istituzioni hanno scoperto che la disattivazione di una molecola di segnalazione chiamata p110delta puo’ ridurre l'effetto delle allergie nei topi. Le allergie sono essenzialmente risposte non appropriate del sistema immunitario ad allergeni come il polline, la polvere, insetti o animali. Cio’ risulta nell'attivazione di cellule immunitarie, chiamate mastociti, che liberano agenti infiammatori scatenando i sintomi ben noti: nasi arrossati, occhi che prudono, tosse, eruzioni cutanee e respirazione affannosa. Bart Vanhaesebroeck e colleghi hanno scoperto che disattivando la proteina p110delta nei mastociti si riduce in modo sostanziale la risposta allergica nei topi. Negli animali privati del gene per p110delta, la risposta allergica risulta ridotta, mentre nei topi normali trattati con un farmaco sperimentale che inibisce p110delta, la risposta allergica viene stata completamente arrestata. © 1999 - 2004 Le Scienze