UNIVERSITA’, E’ REBUS DOCENTI - QUELLI CHE NON FAN RICERCA INSEGNANO - ATENEI SARDI ALLEATI CONTRO LA MORATTI - RIFORMA, I RICERCATORI ANCORA IN AGITAZIONE - CAGLIARI: MOZIONE DEL SENATO ACCADEMICO - STATUTI UNIVERSITARI A CONFRONTO - LA MORATTI: NO ALLA RICERCA EUROPEA - NEGLI ATENEI RINCARANO LE ISCRIZIONI - GLI STUDENTI MODELLO? QUELLI DI MEDICINA - UNIVERSITA’:TANTI ISCRITTI, POCHI LAUREATI - ATENEI, PRESSING PER LE ASSUNZIONI - IL MIT ITALIANO PUNTA AL RUOLO DEI PRIVATI - E’ HARVARD IL MIGLIOR ATENEO DEL MONDO - ARRIVA IL TIROCINIO ANCHE PER I FUTURI PSICOLOGI - NUMERO CHIUSO, SI ALLA SANATORIA - COSI’ LA TECNOLOGIA DIVENTA SEMPLICE - I CONFINI DELLA RICERCA - LA FINANZIARIA 2004 NON AIUTA IL SUD, LO DANNEGGIA - ================================================================== PADRE NOSTRO CHE SEI NEL GENE - PRO E CONTRO L'EUGENETICA LIBERALE - TALANA: DAI REGISTRI DEI PARROCI LA MAPPA DEI GENI - TABACCO: TUTTA LA COLPA E’ DI UN SOLO GENE - BASTA COL DECISIONISMO DEI DOTTORI E PIU’ ATTENZIONE PER IL MALATO - TAGLI E SPRECHI NUOVE REGOLE PER LA SANITA’ - LA SCUOLA MEDICA TORNA A SORRENTO - VENTISEI LAUREATI IMPARERANNO A DIVENTARE MANAGER DELLA SANITA’ - SOS INFERMIERI NE MANCANO 35MILA - CAGLIARI: UROLOGIA, CAPO ANCORA UN "PROF" - SANITA’ I DS ACCUSANO: TROPPI PARTI A SASSARI - TRIESTRE PER LA BIOMEDICINA MOLECOLARE - IL MANIFESTO DEGLI ORTODONTISTI - BATTERIO TRANSGENICO PER BATTERE LA CARIE - PSORIASI, APPROVATE NUOVE TERAPIE - TALASSEMIA, LA CURA ORALE - PER RIPARARE L'AORTA E’ PIU’ SICURO OPERARE ALL'INTERNO - A BOLOGNA L’ETTROCARDIOGRAMMA E’ HI-TECH - PANCREAS, CALCOLI A RISCHIO - MANGIARE FRUTTA NON RIDUCE I TUMORI - IL TE’ MIGLIORA LA MEMORIA - LANCISI SULLA MALARIA AVEVA CAPITO TUTTO - DDT INGIUSTAMENTE CRIMINALIZZATO - IL LETTINO CHIRURGICO «INTELLIGENTE» - ================================================================== _______________________________________________ Il Sole24Ore 30 Ott. 04 UNIVERSITA’, E’ REBUS DOCENTI Positivo il ritorno ai concorsi nazionali Il Ddl delega sullo stato giuridico lascia irrisolti molti problemi Di PAOLA POTESTRO Sconcerto» e’ il termine piu’ usato nelle tante critiche, di cui si legge in questi giorni, al disegno di legge delega sullo stato giuridico dei professori universitari. E’ un concerto non proprio immune da strumentalizzazioni politiche e nemmeno del tutto indipendente da piccoli interessi corporativi, peraltro difesi con l'appello a principi che in realta’ nulla hanno a che vedere con tali interessi. I secondi pensieri, le posizioni radicali, i toni alti e una volonta’ comunque critica stanno creando una notevole confusione sui temi del Ddl. Il rischio e’ che le chiassose agitazioni (cui fanno riscontro una diffusa scelta di disinteresse per una situazione giudicata irrecuperabile e la stanchezza di quanti hanno vanamente chiesto riparo ai guasti creati negli ultimi cinque anni) finiscano per impedire reali miglioramenti o addirittura qualunque intervento di riforma della docenza. Il Ddl ha via via subito diverse correzioni: alcune indicazioni emerse nel dibattito sono state accolte e una sostanziale concessione alle proteste dei ricercatori (non di tutti, suppongo) , e’ stata fatta. Nella forma raggiunta, il disegno presenta un importantissimo punto di forza, ma continua a mancare di misura e di elasticita’. Inoltre la concessione ai ricercatori e’ una modifica peggiorativa. Il punto di forza si lega ai concorsi. Da alcuni anni sono gestiti localmente e impostati sull'attribuzione di tre o due idoneita’ per ciascun posto messo a concorso. L'apertura di queste regole ad accordi di’ scambio tra le sedi e la possibilita’ di una sostanziale assenza di selezione sono state denunciate innumerevoli volte. Un appello di prestigiose personalita’ scientifiche per il ritorno a una selezione nazionale e’ stato fatto addirittura in settembre, dopo ben venti tornate concorsuali con queste regole. Oggi sono appena terminate le votazioni per eleggere le commissioni di una nuova tornata. Il Ddl interviene finalmente in questo ambito, prevedendo il ritorno a una selezione attraverso concorsi nazionali e un numero di idoneita’ di poco superiore ai posti banditi. L'intervento e’ gravemente tardivo, ma non fermare ancora gli attuali concorsi sarebbe una follia. Questo punto, assolutamente qualificante, scompare quasi nelle proteste di queste settimane. Una correzione positiva appare inoltre l'esclusiva attribuzione alle sedi delle decisioni sulle modalita’ di chiamata. II punto piu’ osteggiato riguarda il ruolo del ricercatore, posto a esaurimento e sostituito con contratti a termine, stipulati dagli atenei e rinnovabili per un massimo complessivo di 8 anni. Nella precedente versione il periodo massimo era 10 anni. La correzione e’ positiva, tuttavia rimane un dubbio importante su questo assetto degli ingressi. Il problema non e’ la temporaneita’ del contratto, cio’ che e’ la norma in Paesi con strutture universitarie migliori delle nostre, ma di nuovo la gestione totalmente locale dell'accesso iniziale nella carriera universitaria. Una tale gestione elimina quei benefici effetti della concorrenza, reale o potenziale, che hanno positivamente caratterizzato i concorsi nazionali per ricercatore degli ultimi anni. Inoltre, una selezione piu’ tenue all'ingresso, oltre che essere un danno in se’, accentuerebbe fatalmente le differenze qualitative fra atenei. Una forte perplessita’ suscita poi la figura di professore aggiunto. Il titolo e’ riservato ad alcune categorie di personale universitario, tra cui i ricercatori, sulla base della valutazione di una commissione la cui composizione e’ decisa dalle Facolta’. Questa modifica tenta di recepire le proteste dei ricercatori. Apparentemente tuttavia non le soddisfa, considerati i perduranti toni alti delle proteste. La reazione e’ singolare, perche’ la modifica sta istituendo un terze ruolo di docenza. Trovo assai poco convincente l'istituzione di questo ruolo, in un Paese sempre molto aperto ad avanzamenti di carriera ope legis: su di esso potrebbero in un futuro non lontano convergere i contratti temporanei e locali, non approdati a miglior carriera, istituiti dal presente Ddl. Due ulteriori perplessita’. La prima, piu’ grave, riguarda i contratti a tempo determinato per l'insegnamento, attribuibili, per non piu’ di 3 anni continuativi, a persone esterne all'universita’, in possesso di un'adeguata qualificazione scientifica. L'innovazione puo’ aprire la porta a utili collaborazioni e sinergie. Ma la disposizione (mantenuta) che tali contratti possono essere stipulati entro il limite del 50% dei docenti di ruolo della stessa universita’ e’ francamente un'esagerazione, almeno per quanto riguarda la formazione di base> ossia i corsi di laurea. La seconda perplessita’ riguarda le modalita’ connesse all'abolizione del tempo parziale. Fissando un impegno di ore (120 annue) di didattica frontale uguale per tutti i docenti, il disegno’ prevede il finanziamento delle integrazioni di stipendio per i docenti oggi a tempo definito con il risparmio sulle attuali supplenze. E’ una disposizione inutilmente rigida e gravemente iniqua. Migliore orientamento sarebbe ammettere richieste di riduzioni dell'attivita’ didattica con corrispondenti riduzioni delle remunerazioni, lasciando peraltro agli atenei e alle comunita’ scientifiche ogni decisione su eventuali esclusioni di tali docenti da alcuni ruoli o attivita’ universitarie. _______________________________________________ Il Corriere della Sera 5 Nov. 04 QUELLI CHE NON FAN RICERCA INSEGNANO PARADOSSI • Che cosa c'e’ dietro la riforma Lo strano destino di chi sognando un altro mestiere fa didattica di ISIDORO TROVATO Per chi non se ne fosse accorto, la notizia adesso e’ ufficiale. Il mondo dell'Universita’ e’ in guerra. Ormai da diversi mesi docenti, rettori, ma soprattutto i ricercatori universitari sono sulle barricate. Il nemico? La cosiddetta «legge Moratti», Queste pagine si sono occupate piu’ volte delle problematiche legate alla ricerca m Italia. Stavolta pero’ abbiamo deciso di spiegare le ragioni di chi lancia il grido d'allarme, sostenendo che con l'entrata in vigore di questa legge, il mondo della ricerca universitaria corre seri rischi. In prima linea nella protesta contro il disegno di legge Moratti c'e’ l’Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani). Partiamo dal primo punto; l'aumento dei posti disponibili e lo sblocco delle assunzioni per arginare la fuga dei cervelli. «Il blocco delle assunzioni - dice Augusto Palombini, segretario nazionale Adi - oltre a penalizzare il lavoro dei centri di ricerca, costringe ricercatori di prim'ordine a scegliere tra l'accettare contratti temporanei con condizioni economiche che (in negativo) non hanno eguali in nessun Paese industrializzato, oppure fuggire verso condizioni di lavoro dignitose all'estero. Impoverendo cosi’ la capacita’ competitiva dell'Italia. Senza considerare che tutto cio’ non fa che diminuire la possibilita’ di un ricambio generazionale graduale ed equilibrato nel sistema ricerca. E rende sempre piu’ difficile realizzare quella riforma meritocratica che potrebbe dare valide ragioni ai ricercatori italiani per rimanere in patria». Dunque la richiesta e’ chiara: sbloccare le assunzioni e bandire nuovi concorsi per aumentare il personale universitario e avvicinarci alle medie europee nel rapporto ricercatori-studenti. E poi risolvere il «nodo» dei contratti a tempo determinato, «Ecco, questo e’ l'altro grande tema della riforma - continua Patombini - All'inizio il disegno di legge introduceva l'idea di’ eliminare la figura di ricercatore e di offrire al personale non di ruolo solo contratti di collaborazione coordinata e continuativa (i famosi cococo). Poi sono arrivati gli emendamenti e i cococo sono diventati contratti a progetto. Ma cio’ non cambierebbe la condizione di 50 mila precari dell'Universita’. E' importante precisare pero’ che l’Adi non e’ contraria a priori all'ipotesi di contratti a tempo determinato. Siamo anche disposti ad accettare i contratti a progetto, ma con maggiori diritti e tutele (per esempio, la possibilita’ di’ costruirsi una pensione). E' anche vero che non ci si puo’ aspettare un afflusso di giovani menti se a un giovane neolaureato, interessato alla carriera universitaria, gli si prospettano (come propone la legge) quindici anni di precariato». Eppure il ddl prevede, ad esempio, l'abolizione dell'impegno a tempo definito: quindi niente piu’ distinzione tra docenti part time e a tempo pieno. «Tl che significa che i docenti riceveranno retribuzione piena e potranno dedicarsi ad attivita’ di libera professione. Presumibilmente il risultato sara’ quello di avere docenti simili ai gentiluomini del '700 che frequentavano le universita’ per passatempo. Il docente dedichera’ il minimo tempo indispensabile al l'universita’, preferendo l'attivita’ privata piu’ remunerativa. Di conseguenza il docente impegnato nella propria libera attivita’ sara’ poco presente e tocchera’ ai ricercatori (piu’ di quanto non succeda oggi) dedicarsi alla didattica. Quindi la beffa finale dopo il danno: meno ricerca e piu’ insegnamento (ma in condizioni di precarieta’)». ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 nov. ’04 ATENEI SARDI ALLEATI CONTRO LA MORATTI Le universita’ sarde: "Il tracollo con le riforme" Sassari. S'infiamma la protesta: costituito un coordinamento unitario di docenti "Quella della Moratti e’ un'invasione di campo che rischia di minacciare la nostra autonomia". A lanciare l'allarme senza andare molto per il sottile sono i docenti dei due atenei sardi, che nei giorni scorsi si sono riuniti nella Facolta’ di Veterinaria di Sassari per celebrare il decennale del varo degli statuti universitari e hanno ribadito la loro forte opposizione alle intenzioni del ministro. La maxi riforma proposta da Letizia Moratti, che vorrebbe stravolgere l'attivita’ di ricerca e quella didattica all'interno degli atenei italiani, non piace per niente. E il dissenso e’ tanto diffuso da mettere d'accordo Sassari e Cagliari, per la prima volta unite grazie all'istituzione di un gruppo di coordinamento dei docenti delle Universita’ sarde. Nei prossimi giorni dovrebbe celebrarsi il primo incontro tra prof sassaresi e cagliaritani, e l'ordine del giorno sara’ piuttosto ricco. Tra i temi che stanno piu’ a cuore al mondo accademico, quelli da cui dipende in gran parte il futuro dell'Universita’ in Sardegna. Partendo proprio dal nesso strettissimo che intercorre tra "l'autonomia come garanzia della liberta’ di ricerca e di insegnamento e lo stato giuridico dei docenti, che e’ il cuore del contestato disegno di legge delega presentato dal ministro Moratti", come ha ribadito durante l'incontro di Sassari anche il presidente nazionale del Comitato nazionale universitario Giovanni Cordini, docente di Diritto costituzionale a Pavia. Sulla necessita’ di difendere gli statuti universitari, i docenti sardi hanno fatto quadrato. "Un modello di governo del mondo universitario come quello caldeggiato dal ministero rischia di soffocare il sistema e di mettere in discussione il ruolo dei dipartimenti e delle strutture di ricerca", e’ la denuncia lanciata dal sassarese Paolo Fois, ordinario di Diritto internazionale e direttore del dipartimento di Economia, istituzioni e societa’. Dal dibattito andato in scena a Sassari emerge chiaramente un dato: l'autonomia garantita dagli statuti ha permesso ai due atenei di crescere in maniera prepotente, ma il ridimensionamento dell'attivita’ di ricerca e soprattutto dell'attivita’ didattica proposto da Roma rischia di mandare tutto all'aria. L'universita’ di Sassari conta oggi circa 20 mila studenti che provengono non solo dall'hinterland della citta’, ma da tutta la Sardegna centrosettentrionale. Merito soprattutto del moltiplicarsi delle sedi distaccate, che hanno permesso un maggior radicamento nel territorio. Ma la presenza dell'Universita’ a Olbia, Alghero, Ozieri, Nuoro, Oristano, Tempio e cosi’ via ha prodotto anche l'attivazione di nuove Facolta’ e nuovi corsi di laurea, producendo la crescita del numero di addetti alla didattica. Il corpo docente e’ cresciuto nell'arco di qualche anno, e da 500 si e’ passati a circa 700 docenti di ruolo piu’ altri 200 a contratto. A loro vanno aggiunti altri 200 circa tra assegnisti e ricercatori che operano comunque nell'ateneo anche se con contratti collegati ad altri enti o istituzioni, ma il loro destino e’ estremamente incerto. Discorso analogo vale per Cagliari: oggi gli studenti sono piu’ di 38 mila. Per sostenere le attivita’ dell'ateneo, si e’ fatto ricorso all'impegno di 740 docenti (ordinari ed associati), 460 ricercatori (confermati e non confermati) e circa 25 lettori di madre lingua. Con l'avvio del progetto "Universita’ diffusa nel territorio", anche l'ateneo di Cagliari si e’ sparso nel territorio regionale: Sanluri, Sorgono, Ilbono, Tortoli’ e Nuoro sono solo alcuni esempi del tentativo di allargare le opportunita’ di studio ai giovani dei diversi territori, ma anche di consentire un arricchimento per tutto l'ateneo sia sul piano della ricerca che del patrimonio socio culturale. "Tutto si e’ basato sulla crescita del numero di quelli che svolgono attivita’ didattica, ma ora tutti i risultati rischiano di essere cancellati con un colpo di spugna", e’ la paura piu’ che fondata dei professori e dei ricercatori che operano nei due atenei isolani. Il futuro delle due Universita’ e della loro capacita’ di incidere sullo sviluppo della Sardegna dipende dalla durata dell'annunciata sintonia di Cagliari e Sassari. Ai docenti che hanno deciso di costituire il gruppo di coordinamento i ricercatori sardi affidano altri due compiti ritenuti fondamentali. "Bisogna correggere gli effetti perversi delle spinte corporative e campanilistiche", e’ la loro accorata richiesta. "Ma e’ necessario anche collaborare ? insistono ? per evitare la dispersione delle limitate risorse economiche e per ridare equilibrio a una classe docente ridotta all'osso e sempre piu’ vecchia". Gian Mario Sias ____________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’04 RIFORMA, I RICERCATORI ANCORA IN AGITAZIONE Una postilla che tiene in piedi la protesta dei ricercatori potrebbe essere fatta propria anche dai docenti della facolta’ di Scienze. Dopo aver deciso di riprendere le lezioni, i ricercatori scientifici si preparano a spedire la domanda di affidamento dei corsi al Presidente del corso di laurea, al Preside della facolta’ e al rettore. Lo faranno, come approvato nell'ultima assemblea di martedi’ alla Cittadella universitaria di Monserrato, con una postilla. «La presente domanda non preclude in alcun modo la possibilita’ di astenersi dall'attivita’ didattica, non istituzionale, quale forma di protesta da attuare in conformita’ con quanto riportato nel documento di ateneo sul disegno di legge di riforma dell'Universita’, e nella mozione del Senato Accademico del 29 ottobre. L'accoglimento della presente domanda da parte della Facolta’ di Scienze e del rettore implica di fatto l'accettazione dell'eventualita’ sopra prospettata». Un chiaro indirizzo dei ricercatori della facolta’ piu’ battagliera dell'Universita’, pronti a riprendere lo sciopero bianco se il disegno di legge proseguira’ l'iter parlamentare. Per domani, alle 16 nell'aula D della Cittadella universitaria di Monserrato, e’ stata convocata un'assemblea di tutti i docenti della facolta’. (m.v.) ____________________________________________________ L’Unione Sarda 31 ott. ’04 CAGLIARI: MOZIONE DEL SENATO ACCADEMICO Per evitare il blocco delle lezioni tutti contro la riforma L'Universita’ si schiera contro il disegno di legge di riforma universitaria del ministro Letizia Moratti. Lo fa con l'approvazione, all'unanimita’, in Senato accademico, di una mozione che chiede la sospensione dell'iter legislativo del testo di legge e l'avvio di un confronto del Governo con le rappresentanze universitarie. Una seduta quella di ieri mattina, in via Universita’, animata e, fatto insolito, a porte aperte, con circa quattrocento persone tra docenti e studenti ad affollare l'aula magna. Dopo due ore di discussioni, e’ arrivato anche l'invito del rettore Pasquale Mistretta ai docenti di Scienze di sospendere lo sciopero bianco e partire con le lezioni dei corsi che non hanno ancora preso il via. Una decisione in merito sara’ presa dal corpo docenti della facolta’ di Matematica, Fisica e Biologia, nella mattinata di martedi’, quando ci sara’ il rientro dalle vacanze. DOCENTI E STUDENTI C'e’ stata una polemica tra i ricercatori, e gli studenti soprattutto di Scienze. «Chiediamo ai docenti di riprendere le lezioni, questa protesta danneggia soltanto noi studenti», ha polemizzato Alberto Meloni, rappresentante di Biologia. «Rischiamo di perdere l'anno accademico se non si potranno dare gli esami», ha rilanciato Nicola Pirastu. Un attacco diretto ai ricercatori di Scienze, che da due settimane hanno applicato lo sciopero bianco, svolgendo solo i compiti istituzionali: tra questi non rientra quello dell'insegnamento. Immeditata la replica: «Stiamo protestando per il futuro dell'Universita’, che, se dovesse passare il disegno di legge della Moratti, rischia la paralisi» ? ha replicato Riccardo Scateni, docente di Scienze,. La posizione degli studenti, che chiedevano la ripresa delle lezioni, si e’ poi diversificata. «Non politicizzate tutti gli studenti ? ha detto Giuseppe Onano, di Scienze Politiche ? Io per esempio condivido la protesta dei docenti». Il gruppo Universita’ per gli studenti ha invece proposto una coesione nella lotta tra corpo docente e studenti. Una strada appoggiata anche dal preside di Economia, Raffaele Paci: «E' una battaglia da portare avanti insieme. Cerchiamo di far intervenire i parlamentari sardi, e, in maniera unita, docenti, studenti e famiglie». IL VOTO Concludendo i lavori del Senato, il rettore ha evidenziato la straordinarieta’ dell'apertura a tutti della seduta, invitando a votare la bozza. «Spero che significhi l'inizio delle lezioni dove questo non sia ancora avvenuto», ha concluso Mistretta. In Scienze la decisione verra’ presa martedi’ mattina. Poi il voto favorevole e unanime. La battaglia contro un disegno di legge, che non prevede finanziamenti al mondo universitario e che precarizza il corpo docente, e’ solo all'inizio. Matteo Vercelli ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 nov. ’04 STATUTI UNIVERSITARI A CONFRONTO Esaminati in un convegno gli effetti della riforma "Agli atenei serve un maggiore equilibrio fra risorse e obiettivi" SASSARI. Una verifica delle "Costituzioni" di diverse universita’ italiane, degli statuti varati in riferimento alla legge 168 del 1989, e’ stato il motivo conduttore del convegno organizzato nella facolta’ di Veterinaria. Le organizzazioni sindacali universitarie del Cnu, dello Snur-Cgil e della Cisl hanno voluto proporre, con il contributo e il coordinamento del professor Paolo Fois, docente nell'ateneo sassarese, un momento di riflessione sulle questioni aperte dal disegno di legge del ministro Letizia Moratti sullo stato giuridico e il reclutamento dei professori universitari. Il professor Giovanni Cordini, presidente del Cnu (Comitato nazionale universitario) ha ribadito i parametri che dovrebbero salvaguardare una reale autonomia universitaria e un effettivo autogoverno degli atenei. "Un autogoverno che deve essere definito dal principio di ragionevolezza costituzionale - ha osservato Cordini - Spesso accade, invece, che il nostro legislatore sia disattento nei confronti di certi criteri e invada il campo. C'e’ bisogno, per gli atenei, di prevedere un maggiore equilibrio tra risorse e obbiettivi. A causa della mancanza di certezze finanziarie si crea un ostacolo ai piani pluriennali di sviluppo". Paolo Saracco, segretario generale aggiunto dei docenti dello Snur-Cgil, ha affermato che, di fronte al disegno di legge "Moratti" una delle risposte politiche e’ prevedere, in prospettiva di una prossima legislatura, interventi per rilanciare un sistema pubblico dell'universita’ e per l' assunzione, nella fascia dei docenti, di giovani. Il disegno di legge "Moratti" e’ stato oggetto di critiche esplicite da parte di Gaetano Dammacco, segretario generale aggiunto della Cisl-Universita’, pronto, in prima battuta, a sottolineare che il quadro dell'autonomia costituisce, ancora oggi, un punto ineliminabile del sistema universitario. "Oggi ci troviamo di fronte a un ministro che vuole destrutturare princi’pi essenziali. "Si assiste a una competizione selvaggia, senza un quadro di riferimento dell'autonomia universitariaha - detto Dammacco - il blocco delle assunzioni e’ specchio di un modello che il ministro ha in mente per l'universita’. Un modello che enfatizza il lavoro precario, senza futuro, e che descrive un'universita’ subalterna ai grandi centri di ricerca e un sistema universitario marginale. Si deve fare pressione perche’ il Parlamento si renda conto che vogliamo ostacolare questo processo di destrutturazione". Dopo una carrellata sulle peculiarita’ degli statuti di diversi atenei, il professor Paolo Fois ha rimarcato l'esigenza di un consolidamento dell'autonomia, con possibili raffronti, revisioni e modifiche. "Il disegno di legge "Moratti", riducendo l'autonomia dei docenti, indirettamente rappresenta un vulnus all'autonomia statutaria delle universita’ - ha affermato Fois - dal documento della Crui, la Conferenza dei rettori, emergono alcune indicazioni interessanti, troppe per costituire una legge- cornice". Marco Delizia _______________________________________________ L’Unita’ 2 nov. ’04 L'ULTIMA DELLA MORATTI: NO ALLA RICERCA EUROPEA PIETRO GRECO L’Italia sbarra la strada alla costruzione dello spazio europeo della scienza. O, almeno, alla posa di quel primo mattone che e’ il Consiglio europeo della ricerca (Ere). E l'Unione resta ancora una volta sconcertata da questa ennesima eccentricita’ antiunitaria manifestata dal governo Berlusconi nelle medesime ore in cui a Roma il premier italiano ospitava compiaciuto la firma solenne della Costituzione europea. Ma andiamo con ordine. Tutto inizia lo scorso mese di dicembre, quando un apposito "gruppo di esperti" propone al Consiglio Europeo dei Ministri, da cui era stato nominato, il suo rapporto finale sulla fattibilita’ di un Consiglio europeo di ricerca che coordinasse e finanziasse la ricerca scientifica di base in Europa. Il gruppo di esperti non si limitava a rilevare l'assoluta necessita’, per la scienza del vecchio continente, di una simile struttura, ma indicava anche le basi su cui costruire Ere (che potremmo riassumere in due parole: eccellenza e autonomia) e individuava anche il budget minimo per poter iniziare: 2 miliardi di curo l'anno. La necessita’ di costruire una politica unitaria della ricerca scientifica di base nasce da una duplice analisi. Da un lato l'analisi comparativa con quanto succede nel resto del mondo. E dall'altro un'analisi tutta interna alla struttura della ricerca scientifica europea. L'analisi comparativa con gli Stati Uniti d'America e il Giappone, per esempio> ci dice che la scienza europea e’ competitiva dal punto di vista della quantita’, ma non lo e’ sempre dal punto di vista della qualita’. Per esempio, fa notare Frank Gannon, direttore esecutivo dell'European Molecular Biology Organization (Embo), gli europei pubblicano 818 articoli scientifici l'anno per ogni milione di abitanti, contro i 926 degli statunitensi. Ma tra gli europei solo 2,5 articoli su mille entrano nella speciale classifica degli "highly cited papers", degli articoli piu’ citati e, quindi, giudicati piu’ interessanti dai colleghi di tutto il mondo, mentre tra gli americani gli "highly cited papers" sono 16,4 su mille: quattro volte di piu’. Ancora. Gli Stati Uniti piazzano ben 15 loro universita’ tra le 20 migliori al mondo (secondo una classifica controversa, ma pur sempre indicativa), contro le 4 dell'Europa (la ventesima e’ in Giappone), Negli ultimi 15 anni, l'Accademia delle Scienze di Stoccolma ha assegnato 101 premi Nobel nelle discipline scientifiche: ebbene, 68 tra i premiati erano americani, contro i 23 europei. L'Unione europea spende l’1,9% del suo prodotto interno lordo in ricerca scientifica, contro il 2,7% degli Usa e il 3,0 del Giappone. Quindi non desta meraviglia che in Europa vi siano solo 5,4 ricercatori ogni mille lavoratori, contro gli 8,1 degli Stati Uniti e i 9,3 del Giappone. Potremmo continuare a lungo nella nostra analisi statistica comparativa. Ma un fatto sembra certo: la ricerca scientifica europea deve recuperare il terreno perduto rispetto a quella d'oltre Atlantico e a quello che rischia immediatamente di perdere rispetto a quella del costruendo "spazio asiatico della scienza" che si va formando sulle sponde tra l'Oceano Pacifico e l'Oceano Indiano. Questa esigenza non e’ meramente culturale (e non sarebbe certo poco). Ma anche economica e sociale. L'Europa non potra’ competere nella futura societa’ della conoscenza se non ha una ricerca scientifica di assoluta eccellenza. Come, per altro, aveva ben intuito, alcuni lustri or sono, Antonio Ruberti, il primo a teorizzare la costruzione dello "spazio europeo della ricerca". L'analisi della struttura della scienza in Europa offre molti spunti per spiegare il "gap di qualita’" rispetto alla scienza americana. Il primo dato che si ricava da questa analisi e’ che quella europea e’ una scienza frammentata. Bruxelles finanzia e coordina solo il 5% della ricerca scientifica dell'Unione, il restante 95% e’ finanziato e coordinato a livello nazionale dai singoli stati. Occorre superare questa frammentazione per iniziare a recuperare il "gap di qualita’". E’ per questo che il gruppo di esperti ha consigliato la rapida istituzione del Consiglio europeo della ricerca (Ere) per finanziare, con risorse nuove, la ricerca di base in Europa. Ed e’ per questo che, dopo il mese di dicembre 2003, e’ nata Iniziative for Science in Europe (Ise), un'organizzazione che raggruppa 11 grandi strutture di ricerca europea e che ha l'obiettivo dichiarato di realizzare in tempi brevi l’Erc sulla base, dicevamo, di due indicazioni: il Consiglio deve essere autonomo e deve promuovere la ricerca eccellente. L'Ise ha pubblicato una lettera-manifesto sulla rivista americana «Science» lo scorso 6 agosto, che ha ottenuto l'approvazione di ben 35 diversi centri di ricerca sparsi per l’Unione. L'Ise ha tenuto il suo convegno di fondazione ufficiale la settimana scorsa, tra il 25 e il 26 ottobre, a Parigi, dove ha riproposto il suo prioritario obiettivo: dare vita al Consiglio europeo della ricerca. Tutti i governi dell'Unione si sono detti d'accordo. O, almeno, nessuno ha opposto pubbliche obiezioni. Tutti tranne uno: il governo italiano di Silvio Berlusconi. Che, attraverso il sito ufficiale del ministero dell'Istruzione e della Ricerca guidato da Letizia Moratti, ha espresso le sue «forti perplessita’» per l'iniziativa. Perplessita’ che nascono da che cosa? Beh, proprio dalla natura dei pilastri su cui gli scienziati europei vorrebbero far nascere il Consiglio europeo della ricerca. Il ministero della signora Moratti si dice perplesso per il carattere di autonomia dalla politica che dovrebbe caratterizzare l’Erc e per il carattere dell'unico criterio che dovrebbe discriminare i finanziamenti, l'eccellenza. Insomma, il governo italiano scrive - nero su bianco - che non gli piace una scienza europea poco influenzabile e che (summa iniuria) premia solo i piu’ bravi. Per la verita’, il nuovo presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Fabio Pistella, parlando a Genova il 26 ottobre scorso nell'ambito delle conferenze di «Scienza e Societa’» organizzate da Giunio Luzzatto, ha manifestato obiezioni piu’ puntuali e, certo, non manifestamente infondate, tipo: le risorse a favore dell'Erc saranno nuove e aggiuntive (come e’ auspicabile) o si attingera’ ai fondi europei gia’ stanziati che, tradizionalmente, vanno alla ricerca applicata? Ma le giuste domande di Pistella non modificano di una virgola il fatto che il governo italiano e’ l'unico ad aver espresso «forti perplessita’» sulla realizzazione del Consiglio europeo della ricerca. E che queste «forti perplessita’» creano, a loro volta, «forti perplessita’» negli ambienti scientifici e diplomatici del resto d'Europa. «Penso che la posizione italiana rappresenti uno shock in molte capitali europee», ha dichiarato per esempio Luc van Dyck, segretario dell'Ise, al giornale americano «The Scientist». «Sono sorpreso che l’input proveniente dall'Italia sia cosi’ scopertamente negativo», sostiene Frank Gannon. «Gli argomenti italiani tendono a mantenere lo status quo, ma la ricerca negli Usa, in Cina, in India evolve velocemente e noi dobbiamo fare qualcosa». Questi commenti non ne richiedono davvero altri. La critica dell'Italia al Consiglio europeo per la ricerca, che l'americano «The Scientist» definisce, tranciante, e’ percepita in Europa con un ostacolo - un ostacolo tanto ingombrante quanto inspiegabile - sulla strada della costruzione di uno spazio europeo che consenta alla scienza dell'Unione di competere alla pari con quella dell'America e dell'Asia. Vagli a spiegare agli scienziati (e anche ai diplomatici) europei che per il governo Berlusconi i concetti di autonomia, di eccellenza e, forse, persino di Europa sono autentici disvalori. _______________________________________________ Il Sole24Ore 30 Ott. 04 NEGLI ATENEI RINCARANO LE ISCRIZIONI I costi per gli studenti universitari sono cresciuti in un anno del 63% ROMA Studiare all'universita’ costa di piu’. Secondo le rilevazioni sui prezzi al consumo delle citta’ campione, rese note dall'Istat nei giorni scorsi, i costi per gli studi universitari hanno registrato in ottobre un incremento del 6,3 per cento. La maggiore articolazione dell'offerta formativa, conseguente alla riforma del "3+2", e la scarsita’ di risorse - piu’.volte lamentata dagli atenei - sono i due fattori che hanno inciso maggiormente sull'incremento dei costi per gli iscritti. Il tetto del 20 per cento. L'aumento non ha riguardato tutti -gli atenei ma solo quelli nei quali l'ammontare delle risorse provenienti dalle tasse non ha superato il 20% del Ffo (Fondo di finanziamento ordinario), cioe’ il limite previsto dalle legge. «E’ probabile che di recente gli atenei che non avevano ancora raggiunto il tetto del 20% abbiano ritoccato le tasse per far fronte ai servizi vitali dell'universita’>> Sottoilinea il rettore dell'Universita’ di Firenze, Augusto Marinelli precisando che «molti atenei italiani si trovano ancora al di sotto del limite del 20% e, quindi, potrebbero verificarsi ulteriori incrementi». Marinella ha poi poi sottolineato che l'ateneo fiorentino e’ «tra quelli che hanno gia’ raggiunto il limite previsto dalla legge» e quindi, «le tasse non hanno subito aumenti negli ultimi cinque anni». Diversa la situazione a Roma, dove gli studenti dell'Universita’ "Roma Tre" hanno dovuto fare i conti con lievi incrementi delle tasse. «La riforma degli ordinamenti didattici, con il conseguente aumento dell'offerta e le infrastrutture necessarie a sostenerla - sostiene il rettore di Roma Tre, Guido Fabiani - e’ uno dei motivi che sta alla base degli incrementi indicati dall'Istat. Master e lauree specialistiche - ha continuato - hanno fatto aumentare i costi di gestione, costringendo gli atenei a recuperare risorse dalle tasse o attraverso convenzioni con enti esterni». Costi aggiuntivi che, in molti casi, hanno aggravato situazioni di bilancio gia’ precarie. «Dal 2000 a12004 - ha ricordato Fabiani - gli atenei hanno dovuto sostenere incrementi stipendiali per 950 milioni, a fronte di un aumento del Ffo che, nello stesso periodo, non ha superato i 730 milioni». Assunzioni, nodo da sciogliere. Mondo accademico e opposizione chiedono al Governo di fare chiarezza sul rischio di un nuovo blocco delle assunzioni del personale universitario. Il senatore Luciano Modica (Ds), ha presentato un'i’nterrogazione ai ministeri dell'Istruzione e delle Finanze per conoscere «la corretta interpretazione» del testo della Finanziaria per il 2005 e capire se il blocco «sia da ritenersi confermato o rimosso per il 2005». E il Coordinamento nazionale dei ricercatori senza presa di servizio ricorda che «a causa del blocco previsto dalla Finanziaria 2004, ci sono oltre 1.500 vincitori di concorso pubblico per ricercatore e oltre 4mila professori idonei di universita’ ed enti di ricerca che attendono la legittima assunzione». ALESSIA TRIPODI _______________________________________________ LA STAMPA 30 Ott. 04 GLI STUDENTI MODELLO? QUELLI DI MEDICINA INDAGINE ISTAT SU UNIVERSITA' E LAVORO Chi viene dai licei ha piu’ chance di laurearsi a Quelli di Medicina si confermano come gli studenti piu’ regolari nel percorso universitario: 22 su 100 riescono a concludere entro i tempi stabiliti. Pochi? No, tantissimi, rispetto ai 6 di Giurisprudenza. La facolta’ che e’ piu’ cresciuta negli ultimi dieci anni e’ Architettura, il corso di (aurea piu’ «alta moda» negli ultimi due e’ Scienze della comunicazione. i dati sono contenuti nell'indagine Istat su Universita’ e lavoro. Dai numeri risulta che la demagogia dell'universita’ aperta a tutti e’ fallita: chi viene dai licei riesce meglio negli studi. Se 66 liceali su 100 iscritti riescono a laurearsi, il rapporto e’ di 28 su 100 per chi viene dalle professionali. _______________________________________________ Il Sole24Ore 30 Ott. 04 UNIVERSITA’:TANTI ISCRITTI, POCHI LAUREATI Statistiche Istat / Un problema italiano Solo 53 universitari su 100 riescono a terminare gli studi ROMA a Matricole in aumento, ma ancora troppi abbandoni. Gli studenti piu’ brillanti sono quelli provenienti dai licei e la laurea si conferma come il miglior passa porto per il mondo del lavoro. E’ il ritratto dell'universita’ italiana secondo l’Istat che ha diffuso ieri la nuova edizione di «Universita’ e lavoro: statistiche per orientarsi», la guida che aiuta i giovani delle scuole superiori nella scelta del percorso universitario. Nell'anno accademico 2003/2004 si sono iscritti per la prima volta all'universita’ 350milla giovani, circa 6mila in piu’ rispetto all'anno precedente. «L'aumento delle immatricolazioni - dice l’Istat - e’ da attribuire alla riforma dei cicli universitari», visto che secondo i dati, il 93% delle matricole risulta iscritta ai corsi di laurea breve. Ma sono ancora pochi gli studenti che giungono alla laurea: su 100 immatricolati, solo 53 riescono a raggiungere l'obiettivo. I corsi di laurea piu’ critici da questo punto di vista sono quelli del gruppo geo-biologico (41 % di abbandoni), giuridico e politico-sociale (entrambi 42%). Il gruppo medico, invece, si distingue , per l'alta percentuale di esiti positivi: 95 . immatricolati su 100 giungono alla laurea. Gli universitari che mostrano performance migliori sono quelli che provengongono dai licei (66laureati ,su 100 immatricolati), mentre tra gli studenti usciti dagli istituti professionali la percentuale di successo non supera il 28 per cento. Nel 2003, fa notare poi l’Istat, si sono laureati oltre 220milla studenti e piu’ del 69% risultava fuori corso. L'Istituto di statistica conferma, inoltre, che un piu’ alto livello di istruzione aumenta le opportunita’ di trovare un buon lavoro. Subito dopo la discussione della tesi, infatti, risulta disoccupato oltre il 34% dei 15-19enni con la licenza media, il 25% dei 20-24enni di diplomati di scuola media secondaria e soltanto il 20% dei laureati in eta’ compresa tra i 25 e 29 anni. Per i laureati 30-34enni la disoccupazione scende al 9%, fino ad arrivare all' 1,9% per i dottori di eta’ compresa tra i 35 e i 64 anni. AL.TR. _______________________________________________ Il Sole24Ore 4 Nov. 04 ATENEI, PRESSING PER LE ASSUNZIONI Moratti: «sblocco» per 5.445 ROMA a Pressing del ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, per lo sblocco delle assunzioni nelle universita’. Con una lettera riservata inviata ai ministri dell'Economia e della Funzione pubblica, il titolare dell'Istruzione chiede di regolarizzare la posizione dei 5.445 tra ordinari, associati e ricercatori vincitori di concorso ancora in attesa di assunzione. L'operazione sarebbe a costo zero per i primi tre anni. Lo sblocco, infatti, permetterebbe agli atenei di utilizzare le risorse gia’ previste nei bilanci e determinate al momento del bando di ogni concorso. Attualmente, per effetto del blocco alle assunzioni imposto dalle Finanziarie degli ultimi due anni (tre anni per il personale tecnico amministrativo), sono 1.531 i professori ordinari, 2.471 gli associati e 1.443 i ricercatori in attesa di assunzione, l’80% dei quali gia’ in servizio nelle universita’. «Anche se parzialmente attutito -da successivi interventi di deroga, il blocco ha determinato - scrive Moratti - un quadro di incertezze che ha nuociuto gravemente a uno sviluppo programmato e lungimirante delle attivita’ istituzionali di ogni ateneo». Secondo il ministro, invece «di generalizzate norme di blocco, peraltro disposte senza la sospensione delle procedure concorsuali, piu’ opportuno sarebbe ripristinare il controllo della spesa complessiva del personale di ruolo in rapporto ai finanziamenti che abbiano garanzia di stabilita’, in particolare il fondo di finanziamento ordinario». Moratti fa riferimento alla legge che obbliga le universita’ a non destinare alle spese per il personale di ruolo piu’ del 90% del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo): negli ultimi due anni, infatti; molti atenei hanno superato questo limite, soprattutto per far fronte agli incrementi stipendiali del personale non compensati da un proporzionale aumento del Ffo: Manitoraggio piu’ attento della gestione dei fondi, ma anche, scrive ancora Moratti «accurate verifiche di compatibilita’ finanziaria che debbano rappresentare condizione necessaria all'atto dei bandi di concorso». Queste azioni possono essere realizzate con la banca dati Miur che «permette --- continua il ministro -- di monitorare le decisioni assunte da ogni ateneo e i loro effetti in termini di spesa e di risultati ottenuti». Il ministro, inoltre, fa notare che «a fronte di 1186 assunzioni complessive in deroga nel 2003, sono state registrate per lo stesso anno 1.906 cessazioni dal servizio»: Solo sfruttando le posizioni liberate per effetto del naturale turn over, dunque; potrebbero essere garantite nuove assunzioni. II problema dell'invecchiamento dei nostri docenti e la necessita’ di garantire un sufficiente numero di nuove leve - rappresenta un'altra questione cenatale, «Nei prossimi dieci anni - scrive ancora Moratti - per il solo raggiungimento del limite d'eta’, oltre il 40% dell'attuale personale docente dovra’ abbandonare il servi’zio e un ricambio qualitativamente adeguato richiede, fin da aro l'avvio dei necessari processi di selezione». ALESSIA TRlPOD1 _______________________________________________ Il Sole24Ore 5 Nov. 04 IL MIT ITALIANO PUNTA AL RUOLO DEI PRIVATI Nel Comitato che indirizzera’ l'istituto genovese anche John Elkann ROMA a Sara’ il 2005 l'anno del decollo dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova. I primi laboratori dell' Iit - che promette di voler seguire le orme del Mit americano grazie anche a un budget di’ oltre 1 miliardo in un decennio - apriranno i battenti gia’ dal prossimo gennaio in coincidenza con l'avvio dei primi dottorati. E con la garanzia di avere gia’ in tasca alleanze di peso con l'estero: sono stati, infatti, firmati accordi con gli stessi istituti internazionali presi a modello, il Mit, appunto, il Fraunhofer Institut di Berlino e il giapponese Waseda Institute. Ad annunciarlo e’ il Ragioniere generale dello Stato, Vittorio Grilli che, in veste di commissario unico dell'istituto, e’ stato ascoltato, ieri in audizione, dalla Commissione Istruzione del Senato. Grilli ha dettato la tabella di marcia dell'Iit da qui a12006 e ha annunciato due importanti new entry nel Comitato di indirizzo e regolazione dell'istituto destinato a identificare aree di ricerca e priorita’: a fianco di professori universitari, 4 premi Nobel e altri esponenti del mondo industriale siederanno anche il vice presidente della Fiat, John Elkann e Remo Pertica, nuovo condirettore generale di Finmeccanica. Tre le aree di ricerca sui cui scommettera’ l’Iit: nanobiotecnologie, neuroscienze e robotica. Con un unico filo rosso comune: quello della robotica umanoide, settore in cui l'Italia e’ gia’ uno dei leader mondiali e in cui Genova puo’ contare un polo all'avanguardia. «In questo campo - ha anticipato il commissario -l’Iit puo’ dire di aver impostato relazioni e progetti di programmi bilaterali per favorire lo scambio di ricercatori, l'effettuazione di progetti di formazione e di ricerca congiunti con il Mit negli Stati Uniti, con il Fraunhofer Institut in Germania e con il Waseda Institute in Giappone». Gli istituti di ricerca americano e tedesco saranno modelli anche per i finanziamenti: entrambi prevedono una «struttura mista - avverte Grilli - di public funding e ricavi provenienti da specifici progetti di ricerca finanziati da societa’ private o pubbliche». L'alleanza con l'industria sara’, infatti, «fondamentale» e per questo la ricerca dovra’ avere un forte carattere applicativo in settori a grande impatto: dalla manifattura avanzata alla sostituzione degli uomini in ambienti ostili, dalla biomedicina alle scienze della vita. Saranno i magazzini del cotone, messi a disposizione dal Comune di Genova, ad ospitare l'Istituto prima del definitivo trasloco - previsto entro tre anni - nella sede definitiva: l'ex ospedale psichiatrico di Quarto. Ai nastri di partenza anche i primi dottorati targati Iit: proprio in questi giorni si stanno siglando le convenzioni con istituti e atenei. L'intenzione e’ quella di avere, a pieno regime, oltre un centinaio di «cervelli» a lavoro nei laboratori dell'Istituto. MARZIO BARTOLONI ____________________________________________________ Il Tempo 5 nov. ’04 E’ HARVARD IL MIGLIOR ATENEO DEL MONDO Tra i primi 50 nessuna universita’ italiana LA CLASSIFICA DI "THE TIMES LONDRA. E’ Harvard la migliore universita’ del mondo, secondo la classifica compilata dal "The Times" che nella top 50 non include nessun ateneo italiano. La lista, redatta in base delle opinioni espresse da 1.300 accademici di 88 paesi, premia le istituzioni anglosassoni che dominano incontrastate con sette universita’ statunitensi e le britanniche Oxford (quinta) e Cambridge (sesta) nelle prime dieci posizioni. Gli unici atenei italiani che figurano nell'elenco di 200 stilato dal Times sono la Sapienza di Roma al 162mo posto e l'universita’ di Bologna al 186mo. La cittadina statunitense di Cambridge emerge in quanto sede di Harvard, che ha prodotto 40 premi Nobel e del Massachussets Institute of Technology (M.I.T), terzo nella prestigiosa lista. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’04 ARRIVA IL TIROCINIO ANCHE PER I FUTURI PSICOLOGI Universita’. Raggiunto un accordo tra la facolta’ e l'ordine professionale Saranno attivati entro la fine dell'anno i tirocini nella facolta’ di Psicologia. Gli studenti iscritti al primo e secondo anno della laurea specialistica possono tirare un sospiro di sollievo: dopo aver perso l'opportunita’ di un primo contatto con il mondo del lavoro, svolgendo uno stage in aziende dove opera uno psicologo iscritto almeno da due anni all'albo professionale, avevano il timore di non poter fare i tirocini neanche nel secondo anno di corso. Un timore fugato dalle parole di Elisa Venturi, dalla presidenza dei corsi specialistici nella facolta’ di Psicologia: "Era necessario avere un accordo tra Universita’ e ordine degli psicologi. Il presidente Giorgio Sangiorgi ha creato una commissione di docenti incaricata di lavorare per la creazione di questa convenzione. Un passaggio indispensabile e importante, perche’ i corsi specialistici di psicologia sono una novita’, essendo partito adesso il secondo anno". Per poter iniziare i tirocini e’ necessario che lo studente abbia raggiunto un certo numero di crediti e passato parte degli esami: gli iscritti al corso specialistico erano sessantaquattro "E’ vero che alcuni studenti hanno gia’ i requisiti per poter svolgere un tirocinio", spiega Venturi."La trattativa per l'accordo tra facolta’ e ordine degli psicologi e’ in corso, entro la fine dell'anno dovrebbe essersi concluso l'iter, e i tirocini potranno partire". A quel punto sara’ necessario trovare le aziende che ospiteranno gli studenti universitari: "Lo potranno fare direttamente loro oppure fare domanda allo sportello tirocini". Diversi universitari, quelli in possesso dei requisiti per poterlo richiedere, dopo aver saltato i tirocini del primo anno avevano il timore di perdere il treno anche il secondo anno. I moduli potranno essere ritirati nella facolta’, e dovranno poi essere fatti compilare all'azienda che fara’ svolgere lo stage allo studente. Condizione necessaria per poter accedere al periodo di addestramento pratico e’ che la societa’ dove l'universitario svolgera’ il tirocinio, abbia uno psicologo iscritto da due anni all'ordine. Solo allora gli studenti universitari potranno avere il primo contatto con il mondo del lavoro. (m.v.) _______________________________________________ Il Sole24Ore 5 Nov. 04 NUMERO CHIUSO, SI ALLA SANATORIA Il Ddl ammette ai corsi universitari gli studenti esclusi nel 2000-2001 Le regole riguardano gli iscritti con riserva ROMA e La sanatoria per í non ammessi ai corsi di laurea a numero chiuso nel 2000-2001 e’ legge. L'Aula di Montecitorio ha approvato mercoledi’ scorso in seconda lettura il provvedimento, riportato a fianco, confermando il testo licenziato dal Senato. La nuova legge consente -agli studenti a suo tempo respinti alla prova di ammissione i quali, per aver presentato ricorso al Tar, erano stati iscritti con riserva - di proseguire l’iter degli studi. A patto, e questa e’ l'unica condizione, di aver sostenuto un esame entro il luglio 2001 oppure almeno due esami entro il 31 luglio 2003. La norma, che sana la posizione di sospensione per non piu’ di 200 studenti vanificando il principio del numero chiuso, era stata approvata in versione completamente diversa, in prima lettura, dalla Camera. Nel testo originario si consentiva infatti, agli ammessi con condizione, di’ iscriversi al secondo anno di un corso di diploma universitario o di un altro corso di laurea, purche’ non fossero ricompresi tra quelli indicati dalla legge 246/1999 sulla programmazione degli accessi universitari. Quella che, recependo una direttiva comunitaria, ha istituito a livello nazionale il numero chiuso per i corsi di Medicina e chirurgia, Medicina veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria, Architettura e per i corsi di diploma universitario di area medica. Su questo schema e’ intervenuta la sanatoria del Senato, confermata poi da Montecitorio. Contro la legge le categorie interessate fanno fronte comune. «Eravamo e saremo sempre - spiega Giuseppe Del Barone, presidente della FnomCeO, la Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri - contrari alle sanatorie che smontano principi di equita’ imprescindibili». Gli fa eco Giuseppe Renzo, presidente della Commissione odontoiatri della Fnom: «La legge - aggiunge - e’ frutto della scelta di una lobby di politici, che tutela gli interessi di pochi. Non si puo’ andare avanti a colpi di sanatorie: tanto vale abolire il numero chiuso e prevedere altre barriere, piu’ efficaci, all'accesso indiscriminato alla professione. La nostra proposta, a questo punto, e’ di riformare l'esame di abilitazione, che oggi e’ una vera burla, stabilendo innanzitutto che la commissione esaminatrice sia composta da membri diversi dai docenti con cui fino al giorno prima lo studente ha sostenuto esami universitari». Sulle stesse posizioni e’ Roberto Callioni, presidente dell'Andi, il principale sindacato dei dentisti: «La nuova legge umilia gli studenti che hanno accettato senza fare ricorso il verdetto di bocciatura», BARBARA GOBBI IL PROVVEDIMENTO Pubblichiamo il testo dei disegno di legge approvato in via definitiva mercoledi’ dalla Camera . recante «Norme in materia di regolarizzazione delle iscrizioni ai corsi di diploma universitario e di laurea per l'anno accademico 2000-2001». ARTICOLO 1 1. Agli studenti nei confronti dei quali i competenti organi di giurisdizione amministrativa, anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano emesso ordinanza di sospensione dell'efficacia di atti preclusivi dell'iscrizione ai corsi di diploma universitario o di laurea, le universita’ presso le quali gli studenti stessi sono stati iscritti, anche sotto condizione, nell'anno accademico 2000-2001, consentono l'iscrizione per Vanno accademico 2001-2002, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, al secondo anno dei relativo corso di diploma universitario o di laurea, a condizione che essi abbiano sostenuto almeno un esame entro il 31 luglio 2001 ovvero piu’ di due esami entro il 31 luglio 2003, riconoscendo loro i crediti formativi eventualmente maturati. 2. Gli studenti di cui al comma 1, beneficiari per l'anno accademico 2000-2001 delle provvidenze per il diritto allo studio di cui alla legge 2 dicembre 1991, n. 390, continuano a fruire delle provvidenze loro gia’ riconosciute in relazione al suddetto anno accademico ove abbiano maturato i requisiti nel corso universitario frequentato nel predetto anno accademico. 3. Agli studenti di cui al comma 1, che per l'anno accademico 2001-2002 si iscrivono al secondo anno dei corsi universitari, e’ consentito il ritardo della ferma di leva per motivi di studio. ARTICOLO 2 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella «Gazzetta Ufficiale ________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Nov. 04 COSI’ LA TECNOLOGIA DIVENTA SEMPLICE Brad Brooks: «Ora le famiglie possono usare un solo dispositivo per musica, foto, film, Internet e programmi tv» Rivoluzionario, ma semplice da usare». Sono questi i concetti su cui Microsoft spinge di piu’, presentando il suo Windows Media Center, il sistema operativo appena uscito sul mercato italiano con l'intento di "sconvolgere" il mercato della consumer electronics. Ci riuscira’? Dura fare previsioni. Quello che e’ certo e’ che in Europa la strada non e’ spianata come negli Stati Uniti, dove tre anni fa era il primo sistema operativo per pc dedicato all'entertainment e come tale conquisto’ una grossa fetta di mercato. Oggi, nel Vecchio Continente, la situazione e’ diversa, visto che la stessa Sony con il suo Vaio Media ha un prodotto concorrente, ma per Brad Brooks, direttore marketing della divisione Windows eHome, questo non sembra essere un problema: «Quando siamo partiti negli Usa avevamo un solo partner che realizzava pc con Windows Media Center: oggi ce ne sono circa 40 e il prossimo anno il numero potrebbe superare quota cento». Mister Brooks, quali sono le novita’ che porta il Windows Media Center? Quando abbiamo iniziato a progettarlo avevamo in testa un sistema operativo facile da usare e da navigare per poter controllare qualsiasi contenuto entertainment: musica, foto, video, programmi televisivi e cosi’ via. Ma non solo: abbiamo pensato anche a un sistema facilmente integrabile con altri dispositivi dediti a4l’entertainment e che semplificasse la comunicazione, per esempio con un'interfaccia piu’ intuitiva per l’Instant Messenger. Quali sono gli obiettivi che vi ponete con Windows Media Center? L'obiettivo e’ uno, semplice, ma di grande impatto. Consentire a tutti i consumatori, anche i meno "tecnofili", di usare tutte le tecnologie per l'entertainment. In questo modo, il Windows Media Center potrebbe diventare il protagonista di molte attivita’ nel tempo libero. Anche fuori casa. Ad accompagnare la versione per pc c'e’ infatti il Portable Media Center, un dispositivo su cui scaricare tutti i contenuti presenti sul computer per fruirne in movimento ed estendere quindi tutte le esperienze, tipiche per esempio della televisione, a un device portatile. E in termini di numeri, quali sono i traguardi che volete raggiungere? Nel breve periodo non ci siamo posti obiettivi particolari (anche se Microsoft Italia dichiara che nel primo anno vuole conquistare il 10°I° del mercato consumer dei pc, ndr). A lunga scadenza, cioe’ nei prossimi dieci anni, abbiamo invece intenzione di cambiare profondamente il mercato consumer del personal computer, trasformando questa macchina in un device dedicato all'intrattenimento. Inoltre, ci aspettiamo una crescita esponenziale dei partner, in modo da garantire ai consumatori una sempre piu’ vasta scelta di device dotati di Windows Media Center. Per ora, comunque, almeno in Italia, i colossi dell'elettronica di consumo non hanno prodotto Media Center. Questo vi preoccupa? Credo che alla fine anche in Europa e in Italia si ripetera’ quello che e’ successo negli Usa. Per noi, comunque, un aspetto fondamentale non e’ tanto coinvolgere i "grandi" player quanto i produttori locali, creando accordi con le principali aziende It di ogni Paese. E questo perche’ per rivoluzionare il concetto di personal computer, come e’ nelle nostre intenzioni, abbiamo deciso di coinvolgere il piu’ alto numero di partner, in modo da far emergere la creativita’ di tutti, anche dei player piu’ piccoli. Negli Stati Uniti, abbiamo adottato la stessa strategia e in tre anni i partner locali sono cresciuti del 45% all'anno. Una tattica che, secondo i nostri piani, nei prossimi anni dovrebbe far arrivare a sette milioni il numero di pc con Windows Media Center. Con il Windows Media Center entrate definitivamente nel mercato della consumer electronics. Come reagiranno i big del settore? L'intenzione di Microsoft non e’ quella di essere un competitor per i colossi dell'elettronica di consumo. Quello che vogliamo ottenere e’ pero’ un radicale cambiamento della consumer electronics e delle sue logiche. Attualmente, per esempio, i device presenti in una casa non dialogano tra di loro ne’ con un pc. La nostra "vision" e’ quella di modificare questo scenario, rendendo il computer il centro dell'entertainment domestico e permettendo a tutti i device di comunicare tra loro o di convergere in un unico apparecchio. FEDERICO FERRAZZA _______________________________________________ Il Sole24Ore 4 Nov. 04 I CONFINI DELLA RICERCA Dopo quarant'anni il Veneto torna ad essere una terra d'emigrazione. Ma oggi non si parte piu’ con le valigie di cartone in cerca di un posto lavoro, bensi’ si va all'estero per rispondere alla necessita’ di innovazione delle aziende. «Abbiamo bisogno di progetti di’ ricerca semplici, concreti e che abbiano costi accessibili. In Italia tutto questo e’ impensabile da concretizzare, per questo andiamo via»: cosi’ gli industriali di Treviso hanno motivato la decisione di far "emigrare" in Germania parte dei loro investimenti sull'innovazione. Ieri alla firma dell'accordo quadro di collaborazione con un istituto scientifico tedesco che dara’ il via a una serie di’ progetti pilota nei settori della plastica e della meccanica. A Treviso ci tengono a sottolineare che non c'e’ nessun intento polemico nella scelta. E in effetti non c'e’ scandalo, anzi La ricerca ormai non si fa piu’ solo a livello locale, si dice da piu’ parti, ed e’ necessario il confronto e la collaborazione internazionale. Tutto vero. Ma nel caso dei Fraunhofer Institutes (13mila ricercatori con un bilancio di piu’ di un miliardo di curo, originato per oltre 900 milioni da contratti con circa l0mila imprese) c'e’ qualcosa di piu’. Quello che ha conquistato le aziende trev3giane e’ stata l'efficienza, la semplicita’ e l'economicita’ dell'offerta. 1 tedeschi sono riusciti a parlare alle imprese con la logica dell'impresa, e non con quella incomprensibile dell'accademico chiuso nella torre d'avorio* L'offerta del Fraarnfaofer comprende programmi di ricerca applicata sul prodotto, ma anche servizi nei settori piu’ diversi e tiene un occhio sempre aperto sul mercato. La sensazione e’ che le universita’ italiane debbano fare in fretta il salto di qualita’ per adeguarsi al livello della proposta scientifica europea perche’ il mercato, anche della ricerca, sembra non fare sconti a nessuno. Cosi’ come anche la politica deve dare risposte rapide e concrete anche a livello locale: in Veneto da tempo si tenta di varare una legge regionale sull'innovazione che viene regolarmente e colpevolrnente insabbiata. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 ottobre 2004 LA FINANZIARIA 2004 NON AIUTA IL SUD, LO DANNEGGIA Sono rimasto stupito dalla curiosa chiave di lettura che Beniamino Moro (su L’Unione Sarda del 18/10/04) ha dato della finanziaria 2004. Una legge che, pur escludendo per ovvi motivi i pareri dell’opposizione, ha avuto il merito di mettere infine d’accordo, non solo i sindacati, ma anche il Governatore della Banca d’Italia, il Presidente della Confindustria, l’Anci, le associazioni dei professionisti, degli artigiani, dei commercianti, dei medici, del turismo e cosi’ via. Una finanziaria che opera dei tagli drastici non certo a favore del Sud, e che introduce una serie di ulteriori balzelli (se ne contano gia’ dieci), non dovrebbe essere commentata dando false aspettative, ribaltandone addirittura il senso. Non si puo’ definire “Un fisco diverso a favore del Sud”, quello che invece si traduce nei tagli finanziamenti che avevano attenuato, fino ad oggi, il divario ed i disagi. Non credo che i fiumi di spumante fatti scorrere dalla maggioranza fossero ispirati alla (poco probabile) migliorata sorte “degli Stati del Sud” grazie alla finanziaria; ma agli effetti della devoluzione, tanto cara alla Lega, che rendera’ piu’ forte e piu’ ricco il nord dell’Italia. E piu’ debole e povero il Sud della sempre piu’ oltraggiata unita’ nazionale. G.Casanova ================================================================== ___________________________________________________________ L'Espresso 11-11-2004 PADRE NOSTRO CHE SEI NEL GENE Si chiama Vmat 2. Agisce su alcune sostanze del cervello e determina la nostra religiosita’. Parola di scienziato Colloquío con Dean Hamer di Enrico Pedemonte Perche’ gia’ 30 mila anni fa i nostri antenati disegnavano esseri soprannaturali nelle caverne? Dean Hamer, noto biologo molecolare del National Cancer Institute, ha risposto a questa domanda con un libro che sta suscitando polemiche negli Stati Uniti. Si chiama "The God Gene", il gene di Dio, e ha una tesi provocatoria: la spiritualita’ e’ un istinto che ha una base genetica. Hamer dice di averlo dimostrato selezionando oltre un migliaio di giovani che sono stati sottoposti a test psicologici e genetici. Quelli che mostravano una spiritualita’ piu’ intensa sono risultati in possesso di un gene, il Vmat 2, legato alla produzione di certe sostanze nel cervello, come la dopamina e la serotonina, che hanno un forte impatto sul nostro comportamento. Non si tratta della provocazione di uno sprovveduto. Il settimanale "Time" ha appena dedicato la copertina a "The Crod Gene". Per capirne di piu’ abbiamo intervistata Hamer. Quando ha deciso di mettersi a cercare il gene della spiritualita’? «Ero a una conferenza e stavo parlando con Robert Cloninger, lo psicologo che ha inventato la scala per misurare la spiritualita’. Io sostenevo che la sessualita’ e’ di gran lunga l'aspetto piu’ importante della personalita’ umana. Cloninger mi contraddisse dicendo: "La gente passa molto piu’ tempo a pregare che a fare sesso". Capii che aveva ragione: religione e spiritualita’ sono molto piu’ importanti del sesso nella vita delle persone». Che cos'e’ la spiritualita’? « Chi e’ dotato di una forte spiritualita’ pensa che tutte le cose dell'universo siano intimamente legate e sente di far parte di un'entita’ piu’ grande. E’ un istinto che accompagna l'uomo da sempre. Gli studi sul cervello mostrano che le persone piu’ portate alle esperienze spirituali manifestano alcune diversita’ nell'attivita’ cerebrale. Altre evidenze nascono dai diversi studi genetici». La spiritualita’ e’ diversa da altri istinti, come fame, sete o sessualita’? Al contrario di altri istinti, solo gli esseri umani la manifestano. la spiritualita’ fa parte della coscienza superiore che e’ una caratteristica umana». Come si misura? «Usiamo una scala psicologica sviluppata da esperti. Le persone che si prestano a questo sondaggio devono rispondere a una serie di domande. Per esempio: "Senti talvolta un senso di unita’ con quello che ti circonda?". Oppure: "Talvolta ti senti cosi’ coinvolto da perdere il senso di te stesso e del tempo". Le donne, in questa scala, battono gli uomini del 18 percento. Per qualche ragione sono piu’ generose, piu’ sensibili ai sentimenti». Che relazione c'e’ tra spiritualita’, geni e produzione di sostanze chimiche nel cervello? «II gene che abbiamo identificato, comune alle persone piu’ spirituali, gioca un ruolo importante nel mettere in moto certe sostanze chimiche - come la serotonina e la dopamina - che cambiano il senso della coscienza di se’. E sono convinto che la coscienza giochi una parte importante nella spiritualita’. Certo, si tratta di un meccanismo molto complesso, e sono certo che esistano altri geni coinvolti. Si tratta di determinarli con ulteriori ricerche». Puo’ spiegare che cosa accade alle persone che manifestano una spiccata spiritualita’? «Cio’ che caratterizza la spiritualita’, per esempio, sono le esperienze mistiche. Prendiamo Gesu’ che vaga nel deserto e parla con il demonio, o Mose’ che ascolta le parole di Dio, o Buddha che sta per anni in contemplazione, seduto sotto un albero, fino a raggiungere l'illuminazione. In ciascuno di questi casi le persone sperimentano un cambiamento nel loro stato di coscienza. E’ quello che capita anche a chi assume certe droghe. Queste mutazioni nello stato della coscienza sono provocate da sostanze prodotte dal cervello; serotonina, dopamina o simili. In casi estremi, come in quello di Gesu’, si puo’ ipotizzare che le modificazioni della chimica del cervello siano profonde. Ma penso che analoghi processi, in misura minore, si mettano in moto anche quando una persona sta seduta in chiesa o sta meditando in un tempio buddista». Ridurre l'esperienza di Gesu’ a un fatto chimico puo’ apparire blasfemo. «Prendiamo Saul. Non dico che quando vide la luce fu solo un fatto di reazioni chimiche. Dico che percepi’ quell'esperienza, che gli cambio’ la vita, attraverso certe sostanze chimiche nel cervello. D'altra parte, quando annusiamo una rosa e ci inebriamo con il suo profumo, tutto cio’ avviene attraverso la chimica del cervello. Un buon neurologo potrebbe prendere un elettrodo, piazzarlo nel giusto posto al('interno della scatola cranica e farci sentire l’odore della rosa anche se la rosa non c'e’. Questo non significa che le rose non siano reali. La stessa cosa vale per le esperienze religiose. Ma siamo ancora all'inizio di’ queste ricerche. Ci vorrebbe un nuovo Pasteur». In che senso? «Non sappiamo quasi nulla di’ come funziona la coscienza. E’ come la medicina prima di Pasteur o la biologia prima di Darwin. Siamo in attesa di uno scienziato che scopra le idee fondamentali». Che reazione suscitano le sue teorie sui credenti? «I piu’ conservatori dicono che uno scienziato non dovrebbe occuparsi di queste cose. Altri, piu’ aperti, capiscono che tutto cio’ potrebbe avere senso anche da un punto di vista teologico. Dopo tutto, se Dio esiste, potrebbe avere programmato le persone religiose proprio per essere riconosciuto dagli esseri umani». In questo caso il "gene di Dio" potrebbe essere una prova dell'esistenza di Dio... «No. Io sono agnostico e non credo che si possa provare l'esistenza di Dio attraverso la scienza. Lo abbiamo chiamato il gene di’ Dio, ma avremmo dovuto chiamarlo il gene della spiritualita’». Lei sostiene che il gene di Dio e’ il gene dell'ottimismo. Che cosa significa? Cerco di interpretare queste scoperte in chiave evoluzionistica. Fin dalla preistoria una delle funzioni della religione e’ stata quella di rassicurare gli esseri umani che valeva la pena di vivere perche’ dopo la morte c'e’ qualcos'altro. Abbiamo bisogno di ottimismo per andare avanti. Non stupisce che questo gene si sia replicato. Quanto conta l'ambiente in cui si vive nello sviluppo della spiritualita’? «Studiando i gemelli separati fin dalla nascita si scopre che il livello di spiritualita’ non cambia crescendo in diversi contesti culturali. Quelle che cambiano sono le idee sulla religione, che si apprendono nell'ambiente in cui si vive. La spiritualita’, invece, sembra essere legata al patrimonio genetico». Lei scrive che «comprendere la differenza tra spiritualita’ e religione ci da’ speranza per il futuro». Perche’? «Perche’ ci aiuta a distinguere tra spiritualita’ e religione. La prima, di origine genetica, e’ una cosa positiva. La seconda e’ un artefatto culturale che ha prodotto le crociate e le jihad, guerre di religione che hanno avuto effetti terribili sul mondo. La convinzione che una religione sia migliore dell'altra ci porta alla catastrofe. Credo che indagare questo problemi ci aiuti a cambiare certe idee». Lei possiede il gene di Dio? «Non lo so. Il nostro comitato etico impedisce di studiare il Dna dei ricercatori». _______________________________________________ Il Sole24Ore 31 Ott. 04 PRO E CONTRO L'EUGENETICA LIBERALE Ho letto can un certo stupore, ma anche con soddisfazione, l' articolo di Remo Bodei sul Domenicale del 17 ottobre. Lo stupore e’ dovuto alle tesi ardite che il filosofo esprime, la soddisfazione al fatto che, almeno, non si sottovaluta la portata della rivoluzione tecnologica in corso, ma anzi se ne traggono conseguenze estreme. Mi riferisco all'uso delle tecnologie riproduttive per una selezione eugenetica. Personalmente ho qualche dubbio anche sull'eugenetica negativa: come stabilire i confini di cio’ che e’ normale e sano rispetto a cio’ che e’ patologico? Come non prevedere che questi confini possano essere indefinitamente spostati riducendo sempre piu’ le distanze tra eugenetica negativa e positiva? Una disposizione all'obesita’, all'asma, a una statura inferiore alla media, e’ o no una disposizione patologica? E se essere predisposti a malattie come la sordita’, la schizofrenia, una certa deformita’ del corpo dovesse comportare la soppressione dell'embrione, in futuro potrebbero ancora nascere dei Leopardi, Gramsci, Beethowen, Van Gogh eccetera? E infine, una volta che tutti i malriusciti fossero eliminati, che ne sarebbe di quelli che ormai sono nati o sono diventati tali in seguito a incidenti? Non sarebbero ulteriormente marginalizzati, guardati con umiliante compassione o addirittura con disprezzo, in un mondo in cui tutti sono e possono essere ben fatti? Ma piu’ di tutti mi preoccupa l'eugenetica positiva.E’ stato detto che l'evocazione del nazismo e’ puramente retorica, giacche’ questo si proponeva di proteggere la razza umana dal virus dei malformati, mentre l’eugenetica liberale si propone il maggior bene per il singolo individuo che deve nascere; o essere soppresso. Poiche’ cerchiamo di favorire la crescita di buone disposizioni con l'educazione, perche’ non crearle con una selezione e manipolazione genetica se questo e’ possibile? Anzi, qualcuno proclama drasticamente il fallimento del programma umanistico di miglioramento dell' umanita’ mediante l'educazione e la cultura. Mi chiedo piuttosto se questi kalakagatohvi artificialmente prodotti, che sono tali per razza e non per auto-paideia, lo resterebbero anche di fronte all'urto della vita e delle avversita’ che comporta. O si pensa di poter programmare anche gli eventi del mondo, oppure ci si’ illude che la bellezza- bonta’ sia qualcosa di statico, che si possiede una volta per tutte, e non qualcosa che il processo tumultuoso dell'esistenza mette continuamente a rischio, magari paradossalmente creandola e rafforzandola proprio attraverso le durezze e i’ pericoli superati? E ancora: quali sarebbero queste disposizioni desiderabili che l'eugenetica dovrebbe promuovere? Esiste un consenso sulle "virtu’" oppure si dovrebbero distribuire virtu’ diverse, secondo criteri pluralistici? E se l'unica virtu’ sulla quale esiste consenso fosse proprio quella che consiste nello sforzo di dominare la propria natura, educando se’ stessi al raggiungimento dei propri modelli? A chi arretra, prudentemente, di fronte alla prospettiva di post-uomini geneticamente programmati - come fa Habermas Bodei rimprovera da un lato un eccesso di misoneismo e un pregiudizio "umanistico"; dall'altro segnala che gia’, di fatto, gli uomini sono fortemente programmati chimicamente, visto che l'uso di sostanze psicotrope si sta estendendo sempre piu’. Come dire: poi’che’ gia’ usiamo stampelle chimiche, per riuscire a vivere in questo mondo, perche’ non ricorrere anche a quelle biotecnologiche? E se invece la risposta fosse quella vecchia, umanistica pretesa di adattare il mondo ai bisogni degli uomini anziche’ gli uomini alle esigenze del mondo? Maria Moneti CODIGNOLA __________________________________________________________ LA NUOVA SARDEGNA 01-11-2004 TALANA: DAI REGISTRI DEI PARROCI LA MAPPA DEI GENI Talana, le informazioni degli archivi vescovili hanno facilitato gli scienziati di Angelo De Murtas TALANA. I parroci sardi che ogni giorno, nel corso di quasi tre secoli, a partire dal primo Seicento, compilarono diligentemente i Quinque Libri, non sapevano, ne avrebbero potuto immaginare, che le loro annotazioni avrebbero offerto un contributo prezioso all'indagine genetica attualmente in corso in alcuni paesi dell'Ogliastra: in quel tempo la genetica era una disciplina scientifica molto di la’ da venire, come la fisica nucleare o l'informatica. Sara’ forse il caso di spiegare che i Quinque Libri, oggi custoditi negli archivi vescovili, erano i registri nei quali, nel regno di Sardegna i parroci annotavano i cinque dati fondamentali dell'esistenza di ciascun loro parrocchiano: il battesimo (non la nascita, invece), la cresima, il matrimonio, lo stato delle anime (cioe’ la composizione del nucleo familiare, dei cui componenti, a cominciare dal capofamiglia, venivano registrati il nome, il grado di parentela e il mestiere), infine la morte ed eventualmente il testamento. I registri parrocchiali furono il solo documento che certificasse le vicende di ciascun sardo, e quindi la consistenza demografica della comunita’ cui apparteneva, fino al 1865, quando fu istituito il servizio di stato civile, del quale il potere civile si assunse in modo esclusivo i compiti. E' del tutto evidente che per un genetista i Quinque Libri costituiscono un patrimonio d'informazioni di altissimo valore, poiche’ permettono di ricostruire, generazione dopo generazione, le linee di discendenza (l'albero genealogico, se si preferisce dire cosi’) di tutti coloro i quali appartengono a una determinata popolazione. Accade, di piu’, che in Ogliastra, ancora piu’ che in tante altre parti della Sardegna, lo stato di isolamento, e quindi il fatto che i matrimoni avvenissero di norma all'interno della stessa comunita’, ha contribuito in larga misura a mantenere inalterato il patrimonio genetico degli abitanti di ciascun paese. Di questo, e quindi della possibilita’ di operare in un territorio per qualche verso privilegiato, si rese conto molto chiaramente il genetista dottor Mario Pirastu, quando, nel 1995 avvio’ l'indagine genetica su alcuni centri dell'Ogliastra. Non ebbe difficolta’ ad ottenere la collaborazione dei medici condotti, in particolare del dottor Giuseppe Aru che esercitava la sua professione a Talana, paese che lo stato d'isolamento, qui piu’ rigido di quanta fosse altrove indicava come il piu’ promettente campo d ricerca (il dottor Aru non pote’ lavorare a lungo all'attuazione del progetto, poiche’ mori’, ancora molto giovane, pochi anni dopo; i compiti di coordinamento da allora sono affidati alla moglie, la signora Almarosa). La ricerca era intesa a individuare la matrice genetica, non di malattie rare, di norma addebitabili a un unico gene, ma a determinate malattie comuni sul cui insorgere influiscono piu’ geni. Sarebbe stata impresa di difficolta’ estrema in una comunita’ aperta, in seno alla quale le possibilita’ di incrocio fossero praticamente illimitate; era diverso in una popolazione molto ristretta e per di piu’ ben delimitata, dove le possibilita’ di matrimonio sono poco numerose. Cosi’, poiche’ l’attuale popolazione di Talana discende da un gruppo molto ristretto di famiglie - sei o sette secondo alcuni, poche di piu’ secondo altri - e’ stato possibile, con l'ausilio dei Quinque Libri per i tempi piu’ lontani, dei registri anagrafici per l'ultimo secolo e mezzo, ricostruire l'albero genealogico degli abitanti dell'intero paese. In tal modo e’ stato possibile delineare un reticolo di parentele remote che in pratica abbraccia tutta la popolazione di Talana: si scopriva che persone appartenenti a famiglie diverse avevano tuttavia qualche antenato comune, e questo qualche riflesso sul piano genetico doveva pure avere avuto. Veniva dunque delimitato il campo di talune analisi (in particolare quella sull'intero genoma, il che vuol dire sul complessivo patrimonio ereditario), che potevano essere compiute soltanto su individui la cui storia familiare indicava come possibili fonti di informazioni significative. «Non ci siamo limitati a questo, pero’, perche’ un complesso di esami molto minuziosi ha riguardato un migliaio di persone: in pratica tutta la popolazione del paese», dice la dottoressa Paola Melis, microbiologa del CNR impegnata nel progetto fin dal 1995. In precedenza Paola Melis aveva lavorato negli Stati Uniti, dove, sospinta da un'impensata curiosita’ intellettuale, aveva anche ottenuto un dottorato in antropologia " culturale. «A Talana - dice ora abbiamo compiuto studi piu’ approfonditi che negli altri paesi dei quali ci occupiamo. Abbiamo fatto un gran numero di prelievi di sangue, e da ogni campione abbiamo estratto il Dna; abbiamo disposto visite specialistiche di varia natura ed ecografie ed ottocento visite oculistiche. Inoltre abbiamo compiuto una ricerca sull'asma ed una sulla calcolosi renale». - In definitiva, avete passato al setaccio, dal punto li vista non soltanto genetico, ma anche sanitario, l'intero paese. Ma questa somma di lavoro scientifico, quali frutti ha prodotto, sul piano pratico? «Gia’ i risultati che abbiamo ottenuti finora mi sembrano molto importanti. Se, contro una ipotesi iniziale, abbiamo trovato che l'ipertensione qui non e’ piu’ diffusa che nel resto del mondo occidentale, abbiamo invece accertato un'incidenza della calcolosi renale notevolmente superiore alla norma». -- Suppongo che questo sia dovuto all'alto contenuto di calcio dell'acqua. «Non e’ cosi’: la calcolosi renale che si manifesta a Talana non ha niente a che fare col calcio, perche’ e’ quella da acido urico, legata quindi all'alimentazione. Un fattore ambientale, in questo caso l'alimentazione, diventa la causa scatenante di un predisposizione genetica». - Ma non mi sembra che gli abitanti di Talana siano mai stati grandi mangiatori di carne, che credo sia l'alimento che favorisce il formarsi dell'acido urico. «E' cosi’, infatti, e proprio questo e’ il punto. Per secoli gli abitanti di questo paese si sono nutriti quasi esclusivamente di cibi poveri: patate, legumi, i prodotti meno pregiati dell'ovile, persino, come si sa, il pane fatto con le ghiande. Cosi’, di generazione in generazione, si e’ andata selezionando una popolazione non in grado, proprio per motivi genetici, di assimilare senza difficolta’ la carne, che del resto soltanto di recente e’ entrata a far parte dei consumi alimentari piu’ diffusi. Tanto e’ vero che dopo i grandi pranzi nei quali vengono offerte carni arrostite secondo la tradizione pastorale, diverse persone sono costrette a letto da atroci coliche renali. E le nostre ricerche hanno confermato questa spiegazione; abbiamo anzi mappato un particolare gene e identificato una particolare proteina». -Ma i risultati dei vostri studi non potrebbero, o dovrebbero, essere utilizzati sul piano della medicina preventiva? «Io ritengo di si’, e sono convinta che se ne trarrebbe un grande vantaggio. Le cito un caso che mi sembra particolarmente significativo. A Urzulei di recente ho trovato settecentocinquanta esami necroscopici che vanno dal 1909 al 1975. Ebbene, ho constatato che dal 1955 al 1975 nel 22,4 per cento dei casi la morte era dovuta a tumore. Poiche’ a Urzulei non vi sono, che si sappia, fonti d'inquinamento, e’ ragionevole supporre che questi tumori avessero origine genetica. Mi chiedo in quanti casi un esame preventivo avrebbe potuto salvare una vita». - Ma in tutti questi anni la Regione non ha mai sostenuto, anche finanziariamente, le vostre ricerche? «Dalla Regione abbiamo ottenuto un unico finanziamento, che ci ha consentito di eseguire una serie di analisi del sangue utilizzando le strutture della Asl di Lanusei. Niente piu’ di questo». ____________________________________________________ Repubblica 5 nov. ’04 TABACCO: TUTTA LA COLPA E’ DI UN SOLO GENE Scienziati californiani hanno scoperto che basta la presenza di una particolare molecola per condizionare facilmente i topi Dipendenza dalle sigarette Le reazioni: "Ricerca sensazionale, ma attenti ai pericoli" di CRISTINA NADOTTI ROMA - Basta che la nicotina arrivi a un singolo gene, una singola molecola, perche’ si diventi dipendenti dal fumo. Un gruppo di ricercatori californiani ha scoperto che e’ bastato somministrare dosi minuscole di nicotina a topi il cui Dna era stato modificato inserendo la molecola in questione, per farne dei nicotino-dipendenti. La scoperta puo’ avere conseguenze enormi, non solo perche’ prova una volta di piu’ in modo diretto come la nicotina dia condizionamento anche a piccole dosi, ma solleva nuovi interrogativi fondamentali sull'origine genetica delle dipendenze. I risultati della ricerca sono pubblicati oggi dalla rivista "Science". Henry Lester, professore di biologia al California Institute of Technology, uno dei dieci ricercatori dell'equipe che ha condotto lo studio, ha spiegato: "Quel che abbiamo fatto e’ mostrare che una sola particolare molecola e’ necessaria per la dipendenza da nicotina e in piu’ e’ anche sufficiente. Quando solo l'alpha5 recettore e’ attivato dalla nicotina cio’ basta per produrre gli effetti associati con la dipendenza". Ai topi e’ stata somministrata una dose di nicotina 50 volte minore di quella che si trova normalmente nel sangue di un fumatore. Subito le cavie hanno mostrato i tipici comportamenti correlati alla dipendenza. E' noto infatti che l'assunzione di nicotina provoca il rilascio di dopamina, una sostanza chimica che calma il cervello. Insomma, i topi hanno avuto gli effetti piacevoli della nicotina senza avere quelli dannosi. Le cavie dell'esperimento hanno immediatamente imparato a cercare la nicotina per "sentirsi bene": se ne venivano privati avevano variazioni nella temperatura corporea e aumentavano l'attivita’ frenetica, correndo all'impazzata nelle gabbie. Tutto questo dopo una somministrazione minima di nicotina, ma fatta a topi con un gene particolare. Secondo ricercatori che si occupano da tempo di studiare gli effetti della dipendenza, se la scoperta si rivelera’ esatta anche per gli esseri umani si potra’ finalmente puntare a un preciso obiettivo per sconfiggere le dipendenze. Lavorando sulla molecola responsabile della dipendenza si potra’ insomma trovare un farmaco specifico per alleviare il malessere fisico e comportamentale che i fumatori sopiscono con l'uso di nicotina. Si tratterebbe di trovare una sostanza chimica diversa dalla nicotina per innescare il rilascio di dopamina, la sostanza responsabile del senso di benessere liberata nel cervello dalla nicotina. Ma la discussione e’ aperta, perche’ non tutti credono nella possibilita’ di un farmaco senza effetti collaterali. Daniel McGehee, un neurobiologo dell'universita’ di Chicago che ha studiato altri recettori minori sensibili alla nicotina, mette in guardia dal semplificare le conseguenze dello studio dell'equipe californiana. "La scoperta e’ sensazionale - dice McGehee - pero’ bisogna stare attenti a non promuovere l'uso di sostanze che possano dare facilmente sensazioni piacevoli, siano esse la nicotina o altri farmaci. Il punto e’ promuovere comportamenti sani, che aiutino la sopravvivenza della nostra specie. Agire su una singola molecola per ottenere benessere puo’ interferire con la nostra abilita’ di provare piacere e gioia in cose normali e sane". ____________________________________________________ Avvenire 6 nov. ’04 BASTA COL DECISIONISMO DEI DOTTORI e piu’ attenzione per il malato: e’ il «j'accuse» lanciato dallo studioso Sherwin B. Nuland COMPASSIONE, CHE MEDICINA Di Luigi Dell'Aglio «Le condizioni del malato negli ospedali diventeranno piu’ umane quando il medico, in particolare il chirurgo, abbandonera’ l'atteggiamento di assolutismo, narcisismo e freddezza, e sara’ capace di empatia e di maggiore compassione; anzi quando riscoprira’ quel ruolo che io chiamo "pastorale" e che deve manifestarsi soprattutto quando il paziente non puo’ guarire». Chi parla e’ conosciuto non solo negli Usa ma in tutto il mondo come difensore di quanti soffrono nel letto della malattia, e le cui tribolazioni sono troppo spesso ignorate. Il professor Sherwin B. Nuland e’ un fustigatore del senso di "onnipotenza" della classe medica, alla quale lui peraltro appartiene, e che lo stima e gli riconosce eccellenti meriti professionali. E’ un grande chirurgo: in trent'anni di attivita’, ha salvato la vita a 10 mila tra uomini e donne. Ha il titolo di professore di chirurgia alla Yale School of Medicine (New Haven, Connecticut). Nei suoi best seller, riserva ai colleghi frecce bagnate nel curaro. Non per il gusto di ferirli ma perche’ spera che acquistino una piu’ nitida consapevolezza della loro missione. «Dovete guardare in voi stessi, per arrivare a conoscere il tormento del malato, e aiutarlo». Professor Nuland, che cosa rimprovera, al medico, in particolare al chirurgo? «E’ orgoglioso del proprio decisionismo. C'e’ un caso clinico di elevata incertezza, davanti al quale chiunque esiterebbe a intervenire? Spesso il chirurgo si prende la responsabilita’ di considerarlo un caso certo e chiaro. E compie l'intervento. Ne puo’ scaturire un successo strepitoso ma anche un errore madornale (per fortuna, alquanto raro)». Perche’ si sceglie di diventare chirurgo? «L'intervento del chirurgo produce risultati immediati. Lui agisce con le proprie mani all'interno del corpo umano. La sua e’ la classica professione in cui si lavora in team. Ma il risvolto della medaglia non va nascosto: abbiamo costruito l'edificio dell'onnipotenza del chirurgo. I camici bianchi escono dalla sala operatoria e non si guardano dentro; l'introspezione e’ considerata un vizio da evitare perche’ contrasta con l'immagine autorevole e anche autoritaria che il chirurgo ha di se’. Chi e’ fermamente convinto dell'efficacia della propria azione non puo’ immergersi in profondita’ in se stesso: rischierebbe di far crollare il castello. Sicuro di se’, il chirurgo diffonde un clima di assoluto, determinato ottimismo». Non potrebbe diffondere ansia. E comunque ha un innegabile patrimonio di coraggio. «Una ricerca dell'University of Southern California rivela che i medici hanno una forte paura della morte. Piu’ di quanta ne abbia la popolazione sana e persino lo stuolo dei pazienti. La malattia incurabile del paziente e il senso di fallimento scatenano nel medico un'ansia straordinaria che puo’ indurlo a distaccarsi (inconsapevolmente) dal malato, anzi addirittura ad abbandonarlo dal punto di vista psicologico, a lasciarlo come un diseredato». Nei suoi libri, lei si chiede spesso: ma i medici agiscono nell'interesse del paziente oppure soddisfano proprie esigenze? «In un documentario della Bbc, un paziente chiedeva al dottore: "Lei fa questo per me, oppure lo faccio io per lei?". Ecco la questione. Noi dovremmo fare per i nostri pazienti soltanto cio’ che serve ad alleviare le loro sofferenze. La chiave e’ l'empatia: io debbo immedesimarmi nel paziente, calarmi nei suoi pensieri, nei suoi stati d'animo. Partecipare alla sua sofferenza. Queste sono le armi piu’ efficaci nell'alleanza terapeutica medico-paziente. Questa e’ l'arte della medicina. E io sostengo che a trarne beneficio sarebbero gli stessi medici. Del resto, non possiamo comprendere gli altri, se non capiamo noi stessi. Soltanto cosi’ possiamo vincere le loro naturali incertezze e angosce». Ma le cosiddette cure palliative, per esempio, troppo spesso sono considerate estremamente marginali rispetto alle cure tecnologiche. Quasi fossero inutili. «La medicina comprende le cure palliative, e la medicina piu’ di una tecnica e’ un'arte. E c'e’ altro da dire. L'autorita’, il potere del medico, il suo sangue freddo, diventano controproducenti quando le cure, specie quelle aggressive, risultano inefficaci». Il senso di onnipotenza, che e’ funesto, nasce dai progressi della scienza; ma se questi - sul fronte delle malattie piu’ gravi - sono inesistenti o troppo lenti? «E’ l'umilta’, non l'orgoglio, che ha fatto andare avanti la scienza. Ricordo un episodio degli inizi della mia carriera. Curando un giovane in gravissime condizioni, notai che la patologia era troppo complessa e speciale per non configurare un "caso nuovo". Corsi dal primario, che era il grande medico svedese Gustaf Elmer Lindskog. Mi lascio’ parlare, non raffreddo’ il mio entusiasmo. Poi mi invito’ a prendere in biblioteca un vecchio libro di medicina, lo apri’ e mi fece leggere: lo stesso caso era descritto dal chirurgo francese Ambroise Pare’. Anno 1575». ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 30 Ott. ’04 TAGLI E SPRECHI NUOVE REGOLE PER LA SANITA’ PRESENTE E FUTURO Boioli Faustino Tagli, sprechi e confronto pubblico-privato: la sfida della Sanita’ «Nuove regole per gli ospedali del futuro». Un amico medico e’ stato chiamato a un prestigioso incarico in un' altra regione, per tre anni: ha diritto al mantenimento del suo posto in ospedale. Per tre anni. Ma si da’ il caso che il mio amico sia un primario (che adesso si chiama direttore di unita’ operativa complessa, tanto per semplificare le cose). In quale azienda della piu’ profonda Africa se un dirigente lascia l' incarico gli tengono il posto in caldo per anni? Quale fine fara’ un reparto senza chi e’ deputato a organizzarne e a difenderne la qualita’ e il ruolo? Idem: se un aiuto (che adesso si chiama dirigente medico di primo livello, sempre per semplicita’ e chiarezza) si trasferisce in un altro ospedale, ha diritto a sei mesi di «aspettativa». Poverino, deve avere tempo di vedere se il nuovo posto di lavoro, che ha liberamente scelto, gli va bene: valutare i colleghi, il tram o il metro e la mensa e poi decidera’. Intanto magari i colleghi superstiti litigano per le guardie in piu’ da coprire e le ferie estive che saltano, tanto piu’ che le leggi del pubblico impiego rendono difficili anche le sostituzioni. E quelli che decidono di studiare? Si iscrivono all' universita’, magari in una facolta’ che non c' entra niente col loro lavoro. Uno impara a suonare uno strumento, e se ne sta a casa una ventina di giorni all' anno: se va fuori corso, continuera’ a usufruire dei permessi (ovviamente e’ una malignita’ pensare che stia iscritto all' universita’ solo per farsi giorni di vacanza in piu’). E il part-time? E’ il diritto dei lavoratori a una riduzione dell' orario di lavoro e, in proporzione, dello stipendio (per motivi, che salvo per i dirigenti, non devono neanche essere dichiarati): puo’ essere orizzontale o verticale; non so se possa essere anche obliquo, ma e’ l' interessato che decide, indipendentemente dalle esigenze del servizio, e sai a cosa serve nell' organizzazione del lavoro uno che fa magari il part-time al 70% oppure al 30%, e diventa quindi una specie di turista del reparto, pardon, dell' Unita’ Operativa Complessa, e quando gli gira torna a sorpresa in servizio. Si dice: ma voi negli ospedali usate le attrezzature per poche ore. Per forza: e’ praticamente vietato utilizzarle al di fuori delle ore canoniche: non c' e’ possibilita’ di pagare chi prolunga l' orario di lavoro e neanche pensarci a scaglionare le ore di attivita’. Per non parlare di quando devi acquistare una macchina «pesante»: ancora un po' e si spende di piu’ per la gara (che deve essere europea) che per pagare l' attrezzatura. E ci vogliono 14-18 mesi prima di averla in reparto (il privato ci mette un mese e la paga meno); in piu’ il pubblico riceve una macchina datata al momento del capitolato, e magari gia’ «vecchia» vista l' evoluzione delle tecnologie. E le maternita’? E i congedi straordinari? Un ospedale medio-grande puo’ trovarsi sul gobbo anche 20.000 ore all' anno (mentre il privato scarica quasi tutti questi oneri sull' Inps). E la polacca? Vuole venire a lavorare nel pubblico, la masochista: ha il diploma di infermiera preso in Italia, e’ in Italia con regolare permesso, magari da 6 o 7 anni, ma e’, ancora per poco, una extracomunitaria, e l' ospedale pubblico non puo’ farla partecipare a un concorso. Cosi’ te la ritrovi magari nello stesso ospedale, che, per carenza di personale, e’ stato costretto a rivolgersi a una cooperativa di infermieri. Per miracolo la polacca e’ diventata friulana? Mentre il sacro Privato gestisce ospedali che se ci vai dentro sembra di essere a Manila e ci sono infermieri bravi, che non hanno potere contrattuale, perche’ il grande bacino del settore pubblico e’ loro precluso. Ma se gli infermieri extracomunitari possono occuparsi dei pazienti a Segrate, perche’ non possono occuparsene anche a Porta Nuova, a Milano? Un' ultima cosa: perche’ non abolire le nuove denominazioni professionali, chiamare i primari, primari, gli aiuti, aiuti e i reparti, reparti? Si risparmierebbe tempo e si guadagnerebbe in chiarezza. Riflettere su queste assurdita’ puo’ essere utile nella discussione per il rinnovo del contratto degli ospedalieri (scaduto nel 2001): si potrebbero accogliere, almeno in parte, le richieste economiche e in cambio della rinuncia a norme e tutele arcaiche che nei decenni si sono incrostate sui contratti, norme bizantine, che contribuiscono insidiosamente ad appesantire gli ospedali e che non esistono nel privato. Un nuovo contratto sfrondato di falsi privilegi e furbizie potrebbe contribuire a una maggior efficienza degli ospedali. Il confronto pubblico/privato vede oggi il pubblico soccombente, non solo in Lombardia, ma e’ una falsa competizione: uno dei due competitori e’ infatti appesantito da handicap ormai insostenibili. Dovrebbero essere i sindacati a prendere l' iniziativa, se vogliono difendere i posti di lavoro nel settore pubblico. Avanti invece con la difesa del part-time, del recupero ore che accumulato diventa vacanza, della mezz' ora per cambiarsi, della pausa pasto che sulla carta dura mezz' ora (ma quando mai?). E inevitabilmente il privato avanza perche’ ha di fronte un concorrente con tendenze al suicidio. E il silenzio diventa complicita’ con chi punta allo sfascio del settore pubblico per farne un solo boccone. Faustino Boioli *primario di Radiologia ospedale Fatebenefratel ____________________________________________________ Avvenire 4 nov. ’04 LA SCUOLA MEDICA TORNA A SORRENTO (M. Car.) Da oggi e fino a venerdi’ 5 novembre, l'Universita’ di Salerno ospita il primo convegno internazionale sulla Scuola medica salernitana. Un'istituzione che rappresenta uno dei fenomeni piu’ interessanti nella storia della medicina medievale. Lo studio scientifico moderno della tradizione medica salernitana comincia alla meta’ del secolo XIX con Salvatore De Renzi, autore della «Collectio Salernitana», e si sviluppa nella seconda meta’ del secolo XX, grazie soprattutto alle ricerche di Paul Oskar Kristeller. In questi ultimi decenni sono proseguiti studi e ricerche. Un primo censimento ha identificato 37 autori e 93 opere ricollegabili alla Scuola medica salernitana. Durante il convegno verra’ dato anche l'annuncio della istituzione della Facolta’ di Medicina presso l'Universita’ di Salerno: una speranza che dura da decenni. Ora pare sia la volta buona. Dal prossimo anno accademico l'Ateneo potrebbe ospitare un corso di studi in medicina in un'ideale legame con la Scuola medica salernitana. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 2 nov. ’04 VENTISEI LAUREATI IMPARERANNO A DIVENTARE MANAGER DELLA SANITA’ Imparare il mestiere del manager sanitario in un grande ospedale; sviluppare l'attitudine alla leadership, lavorando a stretto contatto con professionisti del settore: sono le opportunita’ offerte dal progetto Ryla (Rotary youth leadership award) a ventisei giovani dottori, laureati in diverse discipline, che potranno partecipare gratuitamente ai corsi tenuti dal personale dell'ospedale e ai tirocini di formazione. I corsi, organizzato dal Rotary club di Cagliari con l'azienda ospedaliera Brotzu, prendono le mosse dalla recente riforma sanitaria, che ha trasformato gli ospedali in aziende: grandi strutture dove il medico non basta piu’, ma servono anche figure professionali capaci di assicurare corretti principi di gestione, improntati a criteri di efficacia, efficienza ed economicita’. materiePer questo sono tante, e varie, le materie da approfondire: sanitarie, giuridico-amministrative, ingegneristico-impiantistici, in un'ottica che punta a sviluppare le attitudini dei partecipanti, anche attraverso l'esperienza pratica. Il Ryla prevede otto giornate di lezioni teoriche e 252 ore di tirocinio pratico, distribuite in sette settimane, durante il quale il giovane laureato sara’ assegnato ai servizi di propria competenza. Ogni settimana e’ prevista una seduta di analisi e libero confronto fra i partecipanti. Stage La prima fase si aprira’ il 10 gennaio per concludersi il 20 dello stesso mese. Lo stage potra’ essere attivato nell'ambito dei tirocini promossi dall'Universita’ di Cagliari, che garantiscono la copertura assicurativa e di infortunio, e danno inoltre diritto a crediti formativi. Chi dovesse invece provenire da un ateneo diverso, dovra’ provvedere in proprio alle spese per l'assicurazione. Requisiti. I posti disponibili sono ventisei, tutti riservati a giovani di eta’ inferiore ai 30 anni, laureati nelle seguenti discipline (o equipollenti): Economia e Commercio (5 posti), Medicina (4 posti), Farmacia (2 posti), Giurisprudenza (4 posti), Scienze Politiche (2 posti), Ingegneria (5 posti), Fisica Sanitaria (1 posto), Programmatori (1 posto), Operatori informatici (2 posti). Scadenze. Le domande, corredate da copia di documento di riconoscimento e dalla documentazione attestante i titoli, dovranno essere fatte pervenire, entro mercoledi’, 15 dicembre 2004, al presidente del Rotary club Cagliari est Giancarlo Nurchi, via e-mail (giancarlonurchi@tiscali.it), via fax (070.539624), o tramite raccomandata all'indirizzo: Giancarlo Nurchi, Divisione di Neurochirurgia, Ospedale Brotzu, via Peretti 2, 09134 Cagliari. Roberta Mocco ____________________________________________________ Avvenire 3 nov. ’04 SOS INFERMIERI NE MANCANO 35MILA Non basta «l'iniezione» degli immigrati Ospedali pubblici e privati sguinzagliano per l’Europa veri e propri «cacciatori» per trovare il personale che nel nostro Paese e’ sempre piu’ raro. Sono ottomila gli stranieri gia’ operativi Da Milano Giulia Bulgini Le statistiche e i media non li considerano «cervelli», eppure sono preziosi e necessari come i ricercatori che "fuggono" dalle nostre universita’ verso gli Stati Uniti. In questo caso, anzi, siamo noi che andiamo a cercarli in altre nazioni. Ospedali privati e pubblici sguinzagliano per l’Europa (e anche oltre) veri e propri "cacciatori di teste", per trovare quegli infermieri che l’Italia non riesce piu’ a esprimere. Nel nostro Paese, stando alle valutazioni dell’Ocse, ne mancano 35mila. Una carenza che non rappresenta un caso isolato nel panorama Ue: ne soffrono Grecia, Polonia, Belgio, Germania, Inghilterra e Francia. E anche gli Stati Uniti stanno conoscendo difficolta’ di reclutamento. Retribuzioni inadeguate, turni e orari di lavoro, scarsa considerazione sociale della professione sono i «nervi scoperti». Con un turnover troppo basso a fare da indicatore della crisi: servirebbero 12500 nuovi infermieri ogni anno a fronte di 3500 diplomati (con il picco di 4900 nel 2002). E, come in altri settori del mercato del lavoro, con la risorsa degli stranieri che puo’ almeno tamponare le esigenze. Le recenti normative hanno portato qualche frutto: il ministero della Salute ha dato il via libera a 8000 infermieri extracomunitari, divenuti a tutti gli effetti operativi. Un contributo che pero’ non risolve radicalmente un problema destinato ad acutizzarsi in un Paese sempre piu’ vecchio e dove aumenta il numero della popolazione non autosufficiente. L’Italia esige 4500 ore di formazione, piu’ di quelle richieste in altri Paesi, inoltre non e’ sempre facile inserire personale straniero in realta’ dove la capacita’ di comunicazione e un background comune tra paziente e infermiere sono requisiti indispensabili. Eppure un recente studio di Unioncamere e ministero del Lavoro rivela che sono quasi 3000 gli infermieri extracomunitari ricercati dalle imprese e che nell’88% dei casi l’assunzione e’ giudicata difficile. All’Humanitas, una struttura ospedaliera d’avanguardia e in forte espansione, alle porte di Milano, su 400 infermieri 45 sono stranieri, di cui 30 spagnoli e 15 romeni. Una presenza significativa fin dall’entrata in vigore della legge Bossi-Fini, che prevede l’ingresso di immigrati anche per l’esercizio di questa professione. La presenza di spagnoli – cittadini comunitari e quindi non sottoposti ad alcuna limitazione – e’ dovuta soprattutto alla loro formazione, assai vicina a quella richiesta in Italia, senza contare poi che sono molto facilitati nell’apprendimento della lingua, la cui conoscenza e’ fondamentale per comunicare con i pazienti. In Spagna la laurea breve per gli infermieri esiste dal 1984 e, contrariamente a molti altri Paesi, il mercato non riesce a assorbire tutta l’offerta di lavoro. «Siamo molto contenti del lavoro svolto dagli spagnoli – spiega Maristella Mussi, direttrice dei servizi assistenziali presso l’Humanitas –: sono per lo piu’ ragazzi molto giovani e ben preparati, inoltre riscuotono facilmente la stima e la fiducia da parte dei pazienti». Ma gli infermieri spagnoli, dopo avere fatto esperienza in Italia, puntano a tornare a casa dove, proprio grazie alla competenza guadagnata all’estero, vengono preferiti a colleghi con un curriculum meno ricco e riescono quindi ad avere la precedenza nelle assunzioni. Diversa la situazione per i romeni. Da Bucarest, infatti, arriva personale che, per ragioni di formazione e di lingua, necessita di un inserimento piu’ laborioso. Gli aspiranti infermieri affrontano un corso intensivo di italiano della durata di un mese, tre mesi prova – durante i quali sono affiancati da un tutor – e successivamente altri tre in cui svolgono mansioni di maggiori responsabilita’ . Solo alla fine di questo tirocinio possono venire confermati. Gli stranieri in camice bianco non sono una realta’ solo nel Nord Italia. Se ci spostiamo al Centro, un caso esemplare e’ dato da uno dei piu’ grandi istituti di riabilitazione d’Italia, il Santo Stefano di Porto Potenza Picena, provincia di Macerata: meta’ dei 150 infermieri sono stranieri: panamensi, spagnoli, ungheresi, croati, serbi e polacchi, romeni. Anche qui il reclutamento viene effettuato attraverso contatti con scuole professionali ed e’ la stessa clinica che invia all’estero i responsabili del personale per scegliere i candidati. «E’ una selezione molto accurata – dice Paolo Moscioni, direttore organizzazioni e risorse umane della clinica maceratese –: i nostri pazienti si trovano in condizioni di salute gravi e le cautele sono d’obbligo». Al Santo Stefano i primi ingressi di stranieri in camice bianco risalgono al 1989, quando vennero introdotti dieci infermieri panamensi. «Gia’ allora fu un’operazione che diede buoni risultati e in breve fummo imitati da molte cliniche». Ma la carenza infermieristica non puo’ essere affrontata solo attingendo risorse dall’estero. I corsi di specializzazione e i master dopo i tre anni di laurea breve, insieme alla nuova laurea specialistica in scienze infermieristiche che parte quest’anno, potrebbero rappresentare altrettanti antidoti alla carenza di personale per ospedali e cliniche. Consentiranno, tra l’altro, di meglio definire le mansioni infermieristiche e classificare cosi’ gli addetti all’assistenza sanitaria, valorizzandoli in base alle loro attitudini. Ma ancor piu’ permetteranno di offrire sbocchi di carriera, la’ dove prima non era consentito. E gli 11 mila studenti iscritti per il nuovo anno accademico al corso di laurea in infermieristica (sui 12 mila posti messi in concorso quest’anno) fanno sperare che ci si stia muovendo verso la direzione giusta. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 nov. ’04 CAGLIARI: UROLOGIA, CAPO ANCORA UN "PROF" Enzo Usai ha lasciato la direzione del reparto ad Antonello Derisa Ospedalieri rinviano la lotta per riconquistare i letti CAGLIARI. Da tre giorni la clinica di Urologia dell'universita’ ha un nuovo direttore, si chiama Antonello Derisa, e’ stato nominato dalla Asl 8 su proposta del senato accademico. Enzo Usai, raggiunti i limiti d'eta’, lascia la direzione del reparto e resta come direttore della scuola di specializzazione, sino ai 75 anni. Alla fine si e’ scoperto che si tratta di un normale avvicendamento, nella linea delle vecchie convenzioni, addirittura tra la Usl 21 (confluita poi nella 8 assieme alla 20) e l'universita’. Ma ha prodotto molto rumore nelle settimane scorse perche’, mentre la Regione lavora al protocollo d'intesa che dovrebbe mettere d'accordo ospedalieri e universitari affinche’ convivano e prosperino nell'azienda mista la cui nascita e’ programmata entro i prossimi diciotto mesi, sembrava una mossa eccessivamente sbilanciata a favore dell'universita’ la conferma di un'"apicalita’" d'ateneo (una direzione) su quaranta letti interamente ospedalieri. Tutto regolare, oggi. Pero’ la partita sul reparto, il numero di posti letto destinati alla didattica e alla ricerca universitarie nonche’ il luogo che ospitera’ la clinica urologica ad azienda nata, e’ soltanto rinviata. L'appuntamento e’ fissato per i giorni e forse i mesi in cui si condurra’ la non facile discussione sulla riorganizzazione degli ospedali sardi. Derisa risulta essere particolarmente stimato. Ma il tam tam provocato dalla nomina del "solito" universitario aveva fatto rumore per qualche giorno dai primi di ottobre in poi. Si e’ capito, dopo, in seguito a richieste di chiarimenti del tutto informali, che, uscito Usai perche’ cosi’ la legge imponeva, il posto non poteva restare vuoto e la scelta e’ ricaduta su uno dei docenti presenti sin dalla prima ora nel pacchetto della convenzione. Documento datato e stipulato dall'allora unita’ sanitaria locale con l'universita’ e che prevedeva le figure dei professori Enzo Usai, Roberto Scarpa e Antonello Derisa. La convenzione era dettagliata, seppure non ricalcata su una sola persona, vale a dire Usai. E fra i dettagli c'era anche che la direzione dovesse restare universitaria pur essendo il reparto ospedaliero. Senza concorsi, la scelta e’ ricaduta su un professore gia’ attivo nella clinica. I contestatori ne hanno fatto soprattutto una questione di opportunita’: che senso aveva nominare un universitario con tanta fretta se da qui a un anno, due al massimo, forma e sostanza di nomine, gestioni, attivita’ avranno modalita’ e contenuti del tutto differenti? In altre parole: che senso aveva prolungare metodi e sistemi del passato quando l'intero apparato sanitario sardo sta tentando di compiere un passo atteso da anni nell'interesse della didattica, della ricerca, dell'assistenza e della razionalizzazione delle spese? Perche’ superato l'incidente (nessun abuso, tutto secondo norma anche se vecchiotta), resta il problema contenuto in una domanda formulata varie volte: l'urologia dell'ospedale di Is Mirrionis emigrera’ assieme agli universitari o manterra’ una quota di letti per un reparto interamente ospedaliero? In parole povere: se l'universita’ otterra’ di mantenere tutti i quaranta letti che ora vengono gestiti dalla direzione della clinica, per l'ospedale c'e’ il rischio che l'urologia venga cancellata. Ecco perche’ l'eventuale polemica e’ rinviata alla razionalizzazione della rete ospedaliera: li’ si stabiliranno i tetti di posti letto sia per gli ospedali sia per l'universita’ e a quest'ultima i letti secondo legge dovranno essere assegnati in funzione delle esigenze di didattica e ricerca. Una decina di posti al massimo, si prevede approssimando. Si dira’: ma se il protocollo prevede un percorso per lavorare all'accordo, tutto cio’ sara’ tema di discussione e di ricerca di un punto di incontro. Il problema resta quello dei pesi e, da sempre, il peso delle situazioni esistenti e radicate e’ superiore alle realta’ virtuali, magari migliori sul piano concettuale, ma prive delle spinte costituite dalle necessita’ quotidiane delle persone. Per questo si vigila nel timore degli abusi. A costo di sbagliare valutazione, come stava per succedere stavolta. Alessandra Sallemi ____________________________________________________ L’Unione Sarda 4 nov. ’04 SANITA’ I DS ACCUSANO: TROPPI PARTI A SASSARI Un'interrogazione sul «caos nel sistema informativo della Asl 1 di Sassari», e’ stata presentata dai consiglieri regionali dei Ds, Silvio Lai e Renato Cugini, all'assessore della Sanita’, Nerina Dirindin. L'interrogazione - spiegano i due esponenti dell'Ulivo - e’ finalizzata alla conoscenza del caos e degli sprechi nell'Azienda Sanitaria di Sassari. In particolare, Lai e Cugini chiedono se risulta alla Dirindin che le schede di dimissioni ospedaliere (Sdo) per i parti avvenuti nella Asl di Sassari siano state 370 nel 2001, 600 nel 2002 e 1230 nel 2003. A prima vista si tratterebbe di un importante aumento della natalita’ - sostengono - ma nella realta’ la sola Clinica Ostetrica di Sassari negli stessi anni ha registrato un numero di nascite superiore a 1500, senza contare il Policlinico di Sassari, Alghero e Ozieri. «I dati sbagliati - concludono Lai e Cugini - non possono essere solo per i parti». _______________________________________________ Avanti 31 Ott. 04 TRIESTRE PER LA BIOMEDICINA MOLECOLARE Il Consorzio dell'Area science park di Trieste ~, Stabilire delle relazioni proficue e durature con le maggiori realta’ italiane e straniere, scientifiche e imprenditoriali nel settore della biomedicina molecolare: e’ questa la mission del Consorzio per il centro di biomedicina molecolare (Cbm) dell'Area science park di Trieste, istituito con un accordo di programma tra il ministro della Ricerca scientifica, Letizia Moratti, e il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Riccardo Illy. "II Consorzio - ha spiegato venerdi’ mattina, in una conferenza stampa, la presidente di Area, Maria Cristina Pedicchio - che avra’ come consulente scientifico il professor Edoardo Boncinelli, ha in corso una trattativa con Nick Arvanitidis, un imprenditore statunitense che opera a Silicon Valley (California) nel settore della produzione e commercializzazione di dispositivi nano-bio-tech utilizzati in medicina, per realizzare in Friuli Venezia Giulia "nanoveicoli" per le terapie mirate nel settore oncologico. "Questi `nanoveicoli' - ha aggiunto - "costituiti da particelle in silicio biodegradabile potranno in sostanza essere utilizzati per il trasporto e il rilascio di farmaci nell'apparato cardiocircolatorio del paziente oncologico, con effetti collaterali fortemente diminuiti rispetto a quelli delle esistenti terapie". La produzione, protetta da brevetto Usa, potrebbe essere avviata e commercializzata in tempi brevi, "grazie - ha precisato Pedicchio - alle sinergie esistenti con importanti realta’ di ricerca, quali Cnr-Tasc e Sincrotrone Elettra, e finanziarie come Sviluppo Italia e Friulia". Pedicchio e il direttore del Centro di biomedicina molecolare, Giuseppe Tudech, hanno poi rilevato che e’ in via di completamento nel "campus" di Basovizza, sull'altopiano triestino, di Area science park, il laboratorio di 150 mq che accogliera’ l'insediamento di un nuovo Centro di ricerca italo-statunitense sulle nanotecnologie applicate alla lotta al cancro. "I:ultimo Cda di Area - ha sottolineato poi Pedicchio - ha dato il via alla costruzione di un nuovo edificio di 5.000 mq per laboratori del Cbm che andranno ad affiancarsi - ha proseguito - ai 6.000 mq attualmente in dotazione e ai 1.000 mq in ristrutturazione. E’ notizia di questi giorni poi - ha aggiunto la presidente di Area - l'aumento di dotazione ordinario del Ministero dell'Istruzione, universita’ e ricerca (Miur) a favore di Area science park dagli attuali cinque milioni a otto milioni di euro. Questi finanziamenti aggiuntivi - ha spiegato Pedicchio - consentiranno ad Area di supportare nei prossimi anni il Cbm, e, per i progetti ad esso congiunti, il laboratorio di Sincrnone. Oltre a cio’ - ha affermato - il Cbm ha anche altri finanziatori, come la Regione Friuli Venezia Giulia, la Fondazione CrTrieste e Assicurazioni generali". ________________________________________________________ il Giornale 30-10-2004 IL MANIFESTO DEGLI ORTODONTISTI Fissati a Napoli i principi etici di questa,associazione scientifica LUIGI CUCCHI Un sasso nello stagno. Questo e’ il significato che, nei giorni del suo XVIII Congresso (dal 27 al 30 ottobre a Napoli), la Societa’ Italiana di Ortodonzia attribuisce alla propria recente iniziativa, l'adozione della Carta Etica, il cui scopo principale e’ di tutelare i pazienti dagli "specialisti" che s'improvvisano ortodontisti. L'ortodonzia e’ la branca dell'odontoiatria che si occupa del trattamento delle malposizioni dei denti e delle ossa della faccia. Per dimostrare di essere gli unici ad avere sicuramente le carte in regola, gli associati alla Sido, la piu’ grande organizzazione di ortodontisti d'Europa, con oltre tremila aderenti in Italia, hanno osato cio’ che ben poche associazioni specialistiche hanno avuto il coraggio di fare: rimettersi in discussione. «L'insidia piu’ pericolosa per un medico che abbia raggiunto un dignitoso status professionale e’ l'illusione di essere autosufficiente, di non avere piu’ bisogno di confrontarsi con l'esterno (pazienti, colleghi, comunita’ scientifica internazionale, mondo della ricerca applicata) » dice il professor Giuseppe Siciliani, presidente della Societa’ Italiana di' Ortodonzia (Sido), direttore della Scuola di Specializzazione di Ortodonzia dell'Universita’ di Ferrara, «La sfida della nostra associazione fa leva sul desiderio degli ortodontisti di tornare ad emozionarsi ed entusiasmarsi per i miglioramenti che riescono a conquistare, per obiettivi eticamente elevati. Per questo abbiamo deciso di mettere nero su bianco la Carta Etica, una sorta di "manifesto morale" che e’ una lista d'impegni concreti assunti innanzitutto nei confronti dei pazienti. E di mettere a disposizione del pubblico una serie di strumenti che consentano di verificare se stiamo mantenendo la parola. Abbiamo ad esempio istituito il servizio di consulenza pazienti (numero verde 800-630073) e trasformato il nostro sito internet, www.sido.it, che era nato come strumento di comunicazione professionale ad uso degli specialisti, in un sito "bifronte": da un lato la funzione professionale, dall'altro tutte le informazioni che possono fornire al pubblico delle garanzie, come l'archivio degli ortodontisti italiani associati alla Sido, organizzato in schede ricche d'informazioni sui loro profili professionali». Il vigore con cui la Sido conduce le proprie iniziative a favore della trasparenza e’ in parte dovuto ad una situazione legislativa a dir poco ambigua, che non stabilisce con chiarezza chi, sul territorio nazionale, abbia i titoli per esercitare l’ortodonzia. Continua il professor Siciliani: «In base alle normative vigenti, questa disciplina puo’ essere esercitata addirittura da laureati senza specializzazione alcuna (i laureati in medicina e quelli in odontoiatria). Percio’, fin dalla sua fondazione, la Societa’ Italiana di Ortodonzia ha cercato di porre il problema dei requisiti professionali dell'ortodontista al centro della propria attivita’, condizionando l'adesione all'associazione al superamento di severi test di valutazione delle capacita’ dei candidati. Oggi tutto cio’ rappresenta un patrimonio che viene messo a disposizione dei pazienti, affinche’ questi possano documentarsi appropriatamente prima di scegliere lo specialista che ritengono piu’ adatto». La grande campagna su trasparenza e garanzie avviene in concomitanza al diciottesimo congresso dell'associazione che si tiene a Firenze. «Un congresso molto importante-aggiunge Siciliani - perche’ introduce alcune novita’ che completano il nostro progetto di miglioramento degli standard professionali. Oltre al confronto con i pazienti, che gia’ sta producendo forti stimoli a perfezionarsi, le strategie della Sido prevedono infatti un impulso al le attivita’ di formazione e di aggiornamento. Per la prima volta le due giornate congressuali sono precedute da momenti dedicati alla formazione dei giovani ortodontisti e a corsi di perfezionamento sulle tecniche d'avanguardia tendenti a far comprendere la clinica del movimento dentale e l'acquisizione di una visione globale dei problemi di malposizionamento. ____________________________________________________ Le Stampa 1 nov. ’04 BATTERIO TRANSGENICO PER BATTERE LA CARIE ANNUNCIO IN ANTEPRIMA. «BASTERA’ UNA SOLA APPLICAZIONE. IL VACCINO NON HA CONTROINDICAZIONI» E’ stato creato negli Usa: a gennaio cominceranno i test sugli uomini TORINO Il temutissimo trapano del dentista ha i giorni contati? Forse e’ ancora precipitoso gridare alla rivoluzione, ma la scoperta e’ straordinaria: negli Usa si sta sperimentando l’atteso vaccino anticarie. La malattia dei denti che colpisce miliardi di persone - per l’esattezza l’80% della popolazione mondiale - potrebbe presto essere sconfitta grazie a una terapia preventiva. Il vaccino, appunto: l’arma di difesa per sconfiggere in modo radicale le antiestetiche e spesso dolorose macchie provocate dai microrganismi che vivono in bocca. Sono proprio questi a colpire lo smalto dei denti, danneggiandoli in modo a volte irreparabile. Il vaccino, invece, produce un ceppo di streptococco «mutans» incapace di produrre acido lattico - quello che intacca lo smalto, originando la carie - e ottenuto tramite una ricombinazione del Dna batterico. Ora la ricerca del professor Jeffrey Hillman, dell’Universita’ della Florida, e’ pronta per essere testata sugli esseri umani. «E’ prevista per gennaio - ha annunciato in anteprima Giorgio Tessore, docente di odontoiatria conservativa all’Universita’ di Torino -. Intanto ha gia’ avuto successo durante gli esperimenti condotti sulle cavie animali». Un sorriso smagliante a prova di zucchero e di dolci grazie all’identificazione e all’isolamento del batterio che scatena la carie. «Perche’ quest’ultima e’ causata da un batterio che, interagendo con lo zucchero, da’ luogo all’acido che intacca lo smalto», sottolinea Tessore. Ma se si modifica il suo codice genetico per impedire che produca l’acido lattico, la carie e’ debellata in maniera definitiva. Eccolo dunque il vaccino: potra’ essere sotto forma di spray, di tampone oppure - in modo ancora piu’ semplice - di colluttorio. La sostanza dovra’ essere somministrata una sola volta dal dentista e non richiedera’ ulteriori sedute. Cosi’ prevede il professor Hillman, un’autorita’ mondiale del settore, che si occupa della carie da quasi 25 anni. La prova? Arriva dai topi: nonostante siano stati nutriti solo di zucchero per un periodo di sei mesi, hanno mantenuto una dentatura perfetta. Sei mesi dopo la terapia, inoltre, il ceppo di streptococchi geneticamente modificati era ancora stabile, esente da acido lattico e prospero nel cavo orale. «I risultati del professor Hillmann - prosegue Tessore - sono da tempo oggetto di studio nelle univesrita’ europee. Adesso attendiamo con fiducia gli esiti dell’imminente sperimentazione sugli uomini». Sebbene si tratti di interventi su organismi geneticamente modificati (il vaccino e’ un Ogm a tutti gli effetti) non sono state riscontrate conseguenze negative oppure nocive. Il vaccino, insomma, e’ una sostanza del tutto innocua, capace di rivoluzionare tutti i metodi di cura dentale. Comunque, cio’ non significa abbandonare per sempre lo studio del proprio dentista (uno dei luoghi piu’ temuti in assoluto): perche’, se il vaccino anticarie spazzera’ con un unico colpo di spugna la patologia dei denti piu’ diffusa, soprattutto tra bambini e adolescenti, rimarra’ ancora forte il rischio delle «malattie parodontali». «Sono le infezioni al tessuto di sostegno ai denti, il paradonto appunto, formato da gengive, osso e altri tessuti - spiega Tessore -. Essendo spesso patologie indolori, puo’ succedere che ci si accorga del problema solo quando le gengive sono seriamente compromesse. Un guaio, perche’ la malattia paradontale e’ una delle cause piu’ frequenti di perdita di denti negli adulti». Intanto, a proposito di carie, l’arma migliore resta sempre la prevenzione. Parola di dentisti. «MA NON PENSATE DI SNOBBARE IL DENTISTA LA PREVENZIONE RESTERA’ SEMPR TORINO Perplesso per una scoperta tanto rivoluzionaria? «Niente affatto, da tempo nel nostro ambiente si discute della grande validita’ scientifica e sanitaria dell’invenzione». Preoccupato di guadagnare di meno? «Per carita’, il nostro lavoro sara’ sempre essenziale. Guai a pensare di poter rinunciare alla nostra professionalita’». Vezio Tomasinelli, dentista, sfodera una fiducia nel vaccino anticarie e non prende nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un calo di attivita’. Anzi, lo considera come uno strumento in piu’ per lavorare meglio al servizio dei pazienti. Questo vaccino funzionera’ sugli esseri umani con lo stesso grado di efficacia registrato sulle cavie animali? «Certamente e diventera’ l’arma migliore per sconfiggere definitivamente la carie». Che cosa cambiera’ per i dentisti? «Credo che non accuseremo un calo di clienti, e non soltanto perche’ il vaccino deve essere rigorosamente somministrato da professionisti. L’igiene orale - e tutta l’opera di prevenzione per garantirla - resta essenziale per il benessere a lungo termine. I problemi che possono derivare da una cattiva alimentazione, eccessivamente ricca di zuccheri, sono devastanti». Ma il vaccino non dovrebbe appunto arginarli? «Siamo cauti, il vaccino agisce su un batterio che e’ all’origine della carie. Chi ci assicura che a lungo andare non subentrino complicazioni che potrebbero alterarne la funzione? Ma a parte questa ipotesi remota, altre sono le condizioni che non possono tenere lontane le persone dalla poltrona del dentista». Quali esattamente? «A parte la necessita’ ineludibile dell’igiene orale, occorre fare i conti con le patologie parodontali, quelle che non riguardano direttamente i denti, ma le strutture che li sostengono. Le destrutturazioni dell’osso che sorregge i denti e le infezioni delle gengive sono purtroppo in aumento». Quanto sono pericolose le malattie parodontali? «Abbastanza. Basti pensare che in 15 anni sono aumentate del 25%. E l’unico rimedio resta l’intervento tempestivo del dentista». g. lon. _______________________________________________ Il Giornale 30 Ott. 04 PSORIASI, APPROVATE NUOVE TERAPIE Buone notizie per i pazienti affetti da psoriasi. Si annuncia infatti un grande progresso nel campo della dermatologia: Serono ha ottenuto dalla Commissione europea l'autorizzazione per l'immissione in commercio, nei 25 Paesi membri dell'Unione europea, del farmaco Kaptiva finalizzato al trattamento di pazienti affetti da psoriasi cronica a placche, di grado moderato o grave e lancera’ il trattamento in vari Paesi - tra cui la Germania e il Regno Unito - prima della fine del 2004. II farmaco arrivera’ in Italia e sara’ a disposizione dei pazienti entro il 2005. In Italia circa un milione di persone sono affette da psoriasi, di cui il 75 per cento presenta la forma a placche, mentre 200milla risultano colpite dalla forma moderata o grave. Attualmente non si conoscono cure in grado di contrastare e risolvere questa patologia in modo definitivo, ma il nuovo principio attivo ha dimostrato di essere efficace e ben tollerato per il trattamento della psoriasi a placche nelle forme di grado moderato e grave. La psoriasi e’ una malattia autoimmune, mediata dai linfociti T, che genera una crescita anormale delle cellule della pelle, caratterizzata da macchie infiammate e desquamanti. La sua forma piu’ comune e’ costituita dalle cosiddette placche psoriasiche, macchie della pelle (Aesioni») ricoperte da croste bianche argentee. La psoriasi - visibile, ma non contagiosa - puo’ essere limitata a pochi punti o coinvolgere aree estese del corpo. Cuoio capelluto, ginocchia, gomiti e tronco sono le zone in cui compare piu’ frequentemente. Secondo il professor Saurat, dell'Universita’ di Ginevra sta iniziando una nuova era nel trattamento della psoriasi: questo anticorpo monoclonale e’ progettato per bloccare selettivamente e reversibilmente l'attivazione, la riattivazione e l'attivita’ dei linfociti T, che comandano lo sviluppo dei sintomi della psoriasi. Gli studi clinici - condotti su oltre 3.500 pazienti negli Stati Uniti ed in Europa - hanno mostrato una rivelante velocita’ di riduzione dei sintomi associati alla psoriasi. Si puo’ attivare a lungo termine un controllo efficace e sicuro della psoriasi e offrire ai pazienti una significativa possibilita’ di miglioramento della qualita’ della vita. Semplice anche la modalita’ del trattamento: viene somministrato una volta alla settimana, con una iniezione sottocutanea; pertanto i pazienti sono in grado di auto somministrarsi il farmaco. «L'approvazione europea» ha dichiarato Ernesto Bertarelli «rende disponibile una terapia efficace per i pazienti dell'Unione europea affetti da psoriasi a placche in forma moderata o grave, fino ad oggi senza reali benefici nei trattamenti». gloriasj@unipr.it ____________________________________________________ Repubblica 4 nov. ’04 TALASSEMIA, LA CURA ORALE Estesa dall'Ente europeo l'indicazione del deferiprone di Alessandra Margreth Anemia mediterranea, buone notizie per la sua cura. Detta anche talassemia major, tipica delle regioni del Sud, soprattutto Sicilia e Sardegna, e’ diffusa anche in tutto il bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente. L'Emea, l'agenzia europea per i farmaci, ha infatti esteso l'indicazione del deferiprone, consentendo di curare un maggior numero di pazienti con la terapia per via orale. Questo farmaco ha una importante azione ferrochelante: significa che la sua molecola e’ in grado di "legare" le molecole del ferro presenti nell'organismo aiutando ad eliminarle attraverso l'urina e le feci. Una terapia indispensabile, dato che i pazienti talassemici vengono sottoposti a continue trasfusioni che li costringono a introdurre nell'organismo una quantita’ di ferro da 10 a 50 volte superiore al normale. L'accumularsi di ferro nell'organismo porta a lungo andare a complicazioni quali cardiopatia, problemi al fegato, ipotiroidismo, ritardi nella crescita. Il professor Antonio Piga, responsabile del Centro Microcitemie, Divisione di Onco- Ematologia Pediatrica all'Universita’ di Torino spiega che "fino a pochi mesi fa l'uso del deferiprone era limitato a pazienti con seri problemi con la deferoxamina, un altro farmaco ferrochelante somministrato per via endovenosa o sottocutanea. Da marzo il deferiprone puo’ essere usato quando la terapia con deferoxamina e’ controindicata o inadeguata. E' una modifica importante, perche’ permette di curare in maniera piu’ adeguata una fascia piu’ ampia di pazienti". _______________________________________________ Il Corriere della Sera 31 Ott. 04 PER RIPARARE L'AORTA E’ PIU’ SICURO OPERARE ALL'INTERNO Molto meglio riparare gli aneurismi dell'aorta' dall'interno, risalendo attraverso un'arteria della gamba, che non con l'operazione classica. A sostenerlo sono ricercatori olandesi, che hanno confrontato 174 pazienti con aneurisma dell'aorta addominale (una dilatazione causata da un indebolimento delle pareti) operati in modo tradizionale, con altri 171"in cui l'aneurisma e’ stato riparato per via endovascolare, con l'inserimento di una protesi, una sorta di manicotto metallico, fatto risalire con un catetere da un vaso della gamba. La mortalita’ durante I'intervento e nel mese successivo e’ stata, infatti, ben 4 volte inferiore con la tecnica endovascolare, con minori complicazioni. Che cosa significa La riparazione degli aneurismi dell'aorta addominale per via endovascolare appare preferibile alla riparazione chirurgica tradizionale, che prevede l'apertura dell'addome. In pratica Gli aneurismi dell'aorta sano estremamente pericolosi per la tendenza a rompersi: vanno per questo operati, ma l'operazione classica e’ traumatica e rischiosa. L'intervento endovascolare e’ meno invasivo e sembra ridurre molti dei rischi, anche se occorrera’ verificarne i vantaggi a lungo termine e controllare nel tempo la posizione della protesi. _______________________________________________ La repubblica 1 Nov. 04 A BOLOGNA L’ETTROCARDIOGRAMMA E’ HI-TECH Elaborato un software che permette con un mini-palmare il monitoraggio a distanza 24 ore 24 ANGELO CIMAROSTI Il cuore dell'Italia industriale, anche nelle tecnologie piu’ avanzate, soffre spesso di aritmie. L'iperspecializzazione pero’ aiuta a regolare il battito su ritmi piu’ "tranquilli" e resistenti alla concorrenza. E' il caso della Mortara Rangoni, che si occupa di tecnologie di monitoraggio elettrocardiografi che ai massimi livelli mondiali. La societa’ bolognese affonda le sue radici ai primi anni del secolo scorso, quando Ugo Rangoni, il bisnonno dell'attuale presidente, fondo’ la prima azienda di raggi x del nostro paese. L'ingegner Fabio Rangoni, l'imprenditore quarantottenne che ora dirige il gruppo, definisce la nascita della sua industria come una sorta di spin-off. «La prima radiografia vista in Italia fu quella della mano di mio bisnonno, che era l'assistente del celebre fisico Augusto Righi. Da quell'esperienza universitaria nacque lo stabilimento, che negli anni '30 era tra i principali in Europa, con i suoi 250 dipendenti». Con il passare dei decenni, la guerra, e varie vicende familiari, la vocazione dei Rangoni si affino’ sempre piu’ verso la cardiologia e il controllo del muscolo piu’ delicato del corpo umano. L'ultima sfida e’ quella del monitoraggio a distanza, attraverso un mini-palmare che controlla ventiquattr'ore su ventiquattro i pazienti malati di cuore. II computerino, battezzato WiMon, e’ pensato come strumento per garantire maggiore liberta’ di movimento ai paramedici di guardia nei reparti ospedalieri. I monitor collegati ai letti dei pazienti convergono infatti verso una centrale che tiene sott'occhio la situazione, e che non puo’ ovviamente mai essere abbandonata dal personale. Il palmare consente invece agli infermieri di avere sott'occhio tutti i sistemi di osservazione collegati ai degenti, pur muovendosi tra le corsie dell'ospedale. Con una maggiore possibilita’ quindi di svolgere interventi tra le varie stanze e una superiore tempestivita’ organizzativa e di soccorso. Il WiMon, utilizzando la rete wireless, continua a ricevere i parametri fisiologici dei malati, consentendo nel contempo di far scattare l'allarme e rintracciare i medici premendo un semplice bottone. II vantaggio in una situazione dove anche i secondi sono essenziali, sembrano evidenti. «Abbiamo concluso positivamente la sperimentazione all'ospedale Pavullo di Modena, in collaborazione con la Regione - racconta Fabio Rangoni - una delle 170 strutture in Italia dove la Mortara ha installato i suoi sistemi di monitoraggio. Sistemi che si puo’ intuire sono altamente complessi. Il costo del palmare, che li integra, e’ in fondo molto basso, sotto i 5 mila euro». Il difficile cammino per sostenere una sfida tecnologica in un settore che vede in campo concorrenti come General Electric, Siemens e Philips, e’ passato attraverso una fusione, nel 1990. La Battaglia Rangoni di Casalecchio si e’ infatti alleata con la Mortara Instrument di Milwaukee (Wisconsin), che produce strumenti complementari a quelli realizzati dallo stabilimento italiano. In Emilia 50 dipendenti (sui 140 del gruppo, circa 80 in America e 10 nel resto d'Europa) sviluppano e fabbricano i sistemi autonomamente. II fatturato della parte europea e’ di circa 10 milioni di euro, con una crescita che, secondo l'azienda, si attesta su percentuali tra il 10 e il 20% annui. Anche guardando al difficile mercato del l'esportazione, soprattutto in Germania e Spagna. _______________________________________________ MF 4 Nov. 04 PANCREAS, CALCOLI A RISCHIO Salute Uno studio condotto a livello europeo analizza la patologia che colpisce 15mila italiani Il 50% dei pazienti puo’ contrarre anche la grave patologia infiammatoria di Annika Abbateianni - calcoli che si formano all'interno della bile, la secrezione acquosa prodotta dal fegato e che svolge importanti funzioni di digestione, costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per la pancreatite cronica, la malattia infiammatoria del pancreas che provoca un danneggiamento irreversibile della ghiandola e un progressivo declino della produzione di enzimi necessari per digerire i cibi. Lo rivelano i recenti dati del PanCroinf-AISP, il primo studio epidemiologico a livello europeo sulla pancreatite cronica iniziato nel 2000 e che ha coinvolto 22 centri ospedalieri distribuiti su tutto il territorio nazionale, per un totale di 727 pazienti. La ricerca, coordinata dal professor Giorgio Cavallini, direttore della cattedra di gastroenterologia dell'universita’ di Verona e realizzata con il contributo di SolvayPharma, azienda molto attiva nella produzione di enzimi pancreatici, ha portato alla luce che la grave patologia del pancreas, che colpisce ogni anno in Italia 15 mila muovi pazienti e che si manifesta prevalentemente in soggetti di sesso maschile di eta’ compresa tra 130 e i 60 anni, e’ strettamente legata alla presenza dei calcoli biliari. «La pancreatite cronica, i cui sintomi sono dolori di forte intensita’ a livello addominale, difficolta’ nella digestione, stitichezza; cefalea, nausea, vomito e ittero, e’ caratterizzata da un'eterogeneita’ di fattori», spiega Cavallini, «oltre all'abuso alcolico e al fumo di sigaretta, tradizionalmente considerati scatenanti della malattia, sembra attualmente delinearsi un nuovo fattore di rischio: i calcoli biliari». In base alle recenti analisi, infatti, la presenza di calcolosi biliare e di complicanze piu’ o meno tardive della stessa sono da considerarsi elementi di grande rilevanza, come dimostra la loro presenza in circa la meta dei pazienti arruolati nello studio. Grazie a questa scoperta, dal punto di vista diagnostico verra’ dedicata maggiore attenzione a quelle persone che soffrono o che hanno sofferto di calcoli, condizioni che potrebbero facilmente rivelare casi di pancreatite cronica sommersa. «Per questo motivo, coloro che, anche dopo un intervento di colecistectomia, continuano a soffrire di dolori addominali, coliche e cattiva digestione, dovrebbero sottoporsi a esami specifici come la colangiografia con risonanza magnetica, che potrebbe permettere una diagnosi precoce di pancreatite cronica», consiglia Cavallini: Una volta diagnosticata la patologia, il trattamento comincia con una modifica dello stile di vita del paziente e un controllo della dieta, che prevede anzitutto la riduzione dell'assunzione di grassi e una terapia farmacologica. «Spesso il quadro clinico nelle forme avanzate e’ caratterizzato da un'insufficiente produzione di enzimi digestivi da parte del pancreas», precisa Valerio Di Carlo, professore ordinario di chirurgia generale all'universita’ Vita-Salute San Raffaele di Milano, «per tale ragione un opportuno trattamento medico-dietetico, associato all'utilizzo di enzimi pancreatici, possibilmente ad alte dosi e uniti a farmaci inibenti la secrezione acida gastrica, consente un miglioramento». Per quanto concerne l'intervento chirurgico, invece, si rende necessario quando il dolore addominale diventa invalidante e nei casi in cui vi siano complicanze (ittero, ostruzione duodenale ecc.) o dubbio di neoplasia. Va detto, pero’, che la scelta del trattamento viene valutata per ogni singolo paziente in base al diverso momento evolutivo della malattia. ____________________________________________________ Le Scienze 5 nov. ’04 MANGIARE FRUTTA NON RIDUCE I TUMORI Le verdure proteggono il cuore, ma non prevengono il cancro Un maggiore consumo di frutta e verdura risulta associato con un calo del rischio di malattie cardiovascolari ma non di cancro. Lo rivela uno studio pubblicato sul numero del 3 novembre 2004 della rivista "Journal of the National Cancer Institute". Gli esperti di alimentazione consigliano di mangiare ogni giorno frutta e verdura per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e di cancro, le principali cause di morte nei paesi sviluppati. Per valutare l'associazione fra il consumo di frutta e verdura e l'incidenza delle malattie cardiovascolari e di cancro, Walter C. Willett della Harvard School of Public Health di Boston e colleghi hanno analizzato i dati forniti dagli oltre 100.000 partecipanti a due grandi studi, il Nurses' Health Study e l'Health Professionals' Follow-up Study. I ricercatori hanno individuato un'associazione inversa fra il consumo totale di frutta e verdura e il rischio di malattie cardiovascolari, ma nessuna relazione con l'incidenza dei tumori. Analizzando differenti gruppi di frutta e verdura, gli scienziati hanno scoperto che il consumo di vegetali a foglie verdi presenta la maggiore associazione inversa con le malattie cardiovascolari e le principali malattie croniche. H.-C. Hung, K. J. Joshipura, R. Jiang, F. B. Hu, D. Hunter, S. A. Smith-Warner, et al. "Fruit and Vegetable Intake and Risk of Major Chronic Disease". J Natl Cancer Inst 2004;96: 1577–84. ____________________________________________________ Le Scienze 4 nov. ’04 IL TE’ MIGLIORA LA MEMORIA La bevanda potrebbe aiutare a rallentare il morbo di Alzheimer Bere regolarmente una tazza di te’ puo’ aiutare a migliorare le proprie capacita’ mnemoniche. I risultati di test di laboratorio effettuati da un gruppo di ricercatori dell'Universita’ di Newcastle upon Tyne hanno rivelato che il te’ verde e il te’ nero inibiscono l'attivita’ di determinati enzimi nel cervello che sono associati alla memoria. Lo studio, pubblicato sulla rivista "Phytotherapy Research", potrebbe portare allo sviluppo di un nuovo trattamento per il morbo di Alzheimer, la forma di demenza che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. I ricercatori hanno studiato le proprieta’ del caffe’, del te’ verde e del te’ nero (il tradizionale te’ inglese, derivante dalla stessa pianta del te’ verde, Camellia sinensis, ma fermentato). Hanno scoperto che, a differenza del caffe’, i due tipi di te’ inibiscono l'attivita’ dell'enzima acetilcolinesterasi (AchE), associato con lo sviluppo del morbo di Alzheimer, che disgrega il messaggero chimico (o neurotrasmettitore) acetilcolina. Inoltre, sia il te’ verde che il te’ nero ostacolano l'attivita’ dell'enzima butirrilcolinesterasi (BuChE), scoperto nei depositi di proteine che si formano nel cervello dei pazienti di Alzheimer. Il te’ verde, inoltre, fa anche di piu’: ostacola l'attivita’ di beta-secretasi, che svolge un ruolo nella produzione di questi depositi di proteine. I suoi effetti inibitori durano per un'intera settimana, mentre quelli del te’ nero permangono per un solo giorno. Edward J. Okello et al, "In vitro Anti-beta-secretase and dual anti- cholinesterase activities of Camellia sinensis L. (tea) relevant to treatment of dementia". Phytotherapy Research, 18 624-627 (2004). ____________________________________________________ Le Stampa 3 nov. ’04 LANCISI SULLA MALARIA AVEVA CAPITO TUTTO PERSONAGGI DELLA SCIENZA FU IL PRIMO A INTUIRE IL LEGAME TRA LA MALATTIA ENDEMICA E LE ZANZARE ANOFELI. FU ANCHE ARCHIATRA DI INNOCENZO XI: ASSISTETTE ALLA SUA AUTOPSIA E NE DISEGNO’ E DESCRISSE I CALCOLI RENALI QUANDO musei e biblioteche sono chiusi per lavori e restauri, chi per studio o diletto e’ interessato a visitarli e’ costretto ad attendere. Non sara’ cosi’ per la Biblioteca Lancisiana di Roma, situata nel complesso storico-monumentale dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, non lontano da San Pietro. Con il progetto "Cultura in corso" - finanziato dalla regione Lazio e dalla Microsoft Italia - sembrera’ di essere nelle sale, anche se la struttura e’ chiusa per restauro. Sta infatti per essere aperto un portale web (www.lancisiana.it) che permettera’ di accedere alle sue risorse: riproduzioni digitali dei manoscritti e degli stampati saranno in rete, a disposizione di tutti quelli che vogliono consultarli. Non avrebbe mai potuto immaginare uno sviluppo del genere il fondatore, Giovanni Maria Lancisi, che la inauguro’ nel 1714 perche’ fosse luogo di aggiornamento per medici e, caso eccezionale a quei tempi, per chirurghi. Prima che a Bologna fosse fondata la biblioteca dell'Istituto delle Scienze, la Lancisiana fu pressoche’ unica per il suo repertorio specialistico di medicina e scienze della vita. Vi si trovano testi di anatomia, medicina interna e chirurgia, ma anche di iatrochimica, storia naturale, farmacologia, anatomia comparata, medicina legale: insomma, un concentrato di preziosita’ per gli studiosi dei secoli diciassettesimo e diciottesimo. L'anno seguente l'inaugurazione della biblioteca il Lancisi vi pose la sede di un'accademia, in modo che le due istituzioni si completassero e i medici potessero approfondire le loro conoscenze scientifiche. In effetti fino ai primi del Novecento la biblioteca fu centro di cultura e aggiornamento. Lo stesso fondatore, medico famoso, vi porto’ la sua raccolta privata e si procuro’ anche quelle dei suoi piu’ importanti colleghi italiani, premurandosi inoltre di acquistare testi nuovi. Il piu’ antico catalogo tramandatoci (1770) riporta gia’ la presenza di circa ventimila volumi stampati e trecento manoscritti, ma anche di strumenti scientifici. Con vari prelati e letterati romani, all'inaugurazione della biblioteca partecipo’ papa Clemente XI; il Lancisi gli presento’ in un bacile d'argento le tavole di Bartolomeo Eustachio, grande anatomista del sedicesimo secolo, da lui scoperte e pubblicate. Incise in rame e quasi superiori a quelle del Vesalio almeno da un punto di vista scientifico - contenevano dettagli anatomici che quest'ultimo aveva omesso - erano state infatti purtroppo dimenticate. Il Lancisi mori’ nel 1720, lasciando l'Ospedale di Santo Spirito erede universale di tutti i suoi beni e dell'amata biblioteca. Si concludeva cosi’ una vita, cominciata il 25 ottobre 1654, quasi tutta dedicata alla medicina. Dopo essersi laureato non ancora diciottenne - molto presto anche per quei tempi - lasciando in compagni e insegnanti il ricordo di studente ingegnoso e avido di sapere, egli si fece notare con dissertazioni presentate alle accademie di medicina e anatomia. In quegli ambienti comincio’ a rendersi conto che lo scambio di idee tra colleghi era indispensabile al progredire della scienza medica. Entrato come assistente nel 1676 all’Ospedale di Santo Spirito, vi conobbe il primario Giovanni Tiracorda, che divenne suo maestro e prese a benvolerlo, tanto che ne favori’ la candidatura a medico personale di papa Innocenzo XI. Purtroppo l'anno seguente il papa, nonostante gli sforzi del Lancisi, mori’ per problemi ai reni: il medico assiste’ all'autopsia e, precursore della medicina moderna, descrisse e disegno’ i calcoli renali del papa. Segui’ un periodo di ristrettezze economiche, finito una decina di anni dopo con la nomina ad archiatra di Clemente XI, che lo insigni’ anche del titolo nobiliare; gli concesse di mettere nello stemma due lance, simbolo dei Lancisi, con i tre monti e le tre stelle degli Albani, casato del pontefice. Nel 1706 il papa l'incarico’ di capire il motivo di certe morti improvvise che avevano assunto proporzioni di epidemia. Ne risultarono due libri su patologie cardiache e aneurismi; i decessi erano spesso dovuti proprio a queste malattie, molte delle quali causate dalla sifilide. Lancisi fu anche un igienista: studio’ l'influenza e la peste bovina, ma soprattutto la malaria, ipotizzandone il collegamento con zanzare e paludi, e suggerendo la bonifica di queste ultime, purtroppo senza essere ascoltato. Le sue idee erano troppo innovative per quel tempo: la malaria, come diceva il nome, si credeva dovuta ad aria malsana. Solo poco piu’ di un secolo fa, quando fu accertato il ruolo delle zanzare, il Lancisi fu riconosciuto padre della malariologia. Anna Buoncristiani ____________________________________________________ Le Stampa 4 nov. ’04 INSETTICIDA INGIUSTAMENTE CRIMINALIZZATO UN SORSO DI DDT E SAI COSA BEVI SILENT spring. E’ il titolo di un fortunato volume pubblicato nel 1962 dalla biologa americana Rachel Carlson che grande peso ha avuto nella crescita del movimento ambientalista in Europa e negli Stati Uniti. Allude alla possibilita’ di una primavera silenziosa, privata del canto degli uccelli. Nel libro si citano casi di volatili morti per episodi di avvelenamento acuto da diclorofeniltricloroetano (Ddt) e si pone l'accento sui problemi riproduttivi arrecati da tale sostanza ad alcuni rapaci quali l'aquila, il falco pellegrino e il falco pescatore con conseguente diminuzione della numerosita’ di tali specie. Alcuni studi realizzati negli anni 60 e 70 mostrarono, in effetti, come il Ddt, ingerito e assorbito dagli insetti e trasmesso lungo la catena alimentare fino a raggiungere gli uccelli rapaci, rende il guscio delle uova piu’ sottile, ostacolando il normale sviluppo dell'embrione e modificando il comportamento degli adulti, talvolta portando alla rottura delle uova durante la cova. Altri ricercatori hanno pero’ fatto osservare come gli esperimenti per la verifica dell'effetto del Ddt sull'assottigliamento dei gusci delle uova erano stati condotti esponendo gli stessi a dosi massicce di insetticida, molto superiori a quelle riscontrate all'epoca nell'ambiente pur in presenza di un uso del composto chimico in elevatissime quantita’ da parte degli agricoltori (spesso il pesticida veniva spruzzato sui campi da piccoli velivoli). E’ stato inoltre fatto rilevare come il declino dei rapaci fosse iniziato alcuni decenni prima dell'utilizzo del Ddt. Vennero all'epoca ipotizzate anche possibili ricadute sulla salute umana, ma la letteratura scientifica non contiene, a oggi, alcuno studio indipendentemente replicato, a sostegno di tale tesi. L'entomologo americano J. Gordon Edwards, convinto assertore della innocuita’ del Ddt per l'uomo, per molti anni inizio’ il suo corso universitario e le sue conferenze ingerendo un cucchiaio dell'insetticida; la certezza di Edwards si fondava sui risultati di uno studio condotto negli Stati Uniti che aveva visto alcuni volontari ingerire per molti mesi una dose di Ddt all'incirca mille volte superiore a quella media di un cittadino americano senza che venisse riscontrata nell'arco di molti anni alcuna conseguenza negativa. Nel 1972, l'Agenzia per l'Ambiente degli Stati Uniti (Epa) pose al bando l'utilizzo del Ddt. Come ebbe a riconoscere qualche anno piu’ tardi William Ruckelshaus, direttore dell'Epa, nonche’ membro dell'Environmental Defense Fund, una delle maggiori organizzazioni ambientaliste americane, la decisione fu basata su considerazioni di carattere politico piuttosto che su valutazioni scientifiche. Erano trascorsi meno di trent'anni da quando, nel 1948, era stato assegnato al chimico svizzero Paul Hermann Muller il premio Nobel per la medicina e la fisiologia per la scoperta dell'efficacia del Ddt (sintetizzato per la prima volta dal chimico tedesco Othmar Zeidler nel 1874) nell'eliminazione degli insetti. Efficacia ampiamente confermata nel corso degli anni 50 quando, grazie all'irrorazione delle pareti interne delle abitazioni con tale composto, la malaria venne pressoche’ eradicata in numerosi Paesi. Nello Sri Lanka si passo’ da 2,8 milioni di casi nel 1948 a soli diciassette nel 1963. In India, dai 100 milioni di casi nel 1935 a meno di 300mila nel 1969. Importanti successi si registrarono negli Stati Uniti e in Europa. In un documento dell'Oms si legge: «il Ddt ha ucciso piu’ insetti e salvato piu’ persone di qualsiasi altra sostanza». In base alle stime della Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, fra il 1945 e il 1965 «il Ddt ha prevenuto la morte, altrimenti inevitabile, di 500 milioni di persone». La decisione dell'Epa venne in breve fatta propria da numerosi altri Paesi e l'utilizzo dell'insetticida a scala mondiale fu drasticamente ridimensionato. Numerose agenzie umanitarie vincolarono la continuazione del loro supporto finanziario all'impegno da parte dei Paesi africani di porre termine all'utilizzo del Ddt. L'incidenza della malaria ricomincio’ cosi’ a crescere. Oggi si contano fra i 300 e i 500 milioni di nuovi casi di malaria per anno, il 90% dei quali in Africa. Il numero di morti e’ di poco inferiore ai tre milioni per anno, in larga misura bambini al di sotto dei cinque anni. Eppure, ad esempio, nel 1999 il Belize ha dovuto rinunciare all'utilizzo del Ddt in quanto il Messico, paese dal quale l'insetticida veniva importato, ha posto termine alla produzione a seguito di pressioni esercitate dagli Stati Uniti. Analogamente, il Mozambico ha cessato di fare ricorso all'insetticida a seguito del vincolo imposto dai donatori i cui fondi rappresentano oltre l'80% delle risorse destinate dal Paese alla sanita’. Il Ddt inoltre compare nella lista dei dodici prodotti chimici per i quali la Convenzione di Stoccolma, entrata in vigore lo scorso maggio, propone l'eliminazione poiche’ essi costituirebbero una grave e crescente minaccia alla salute umana oltre che all'ambiente. La convenzione prevede la possibilita’ che ciascun Paese richieda una temporanea esenzione sia per la produzione sia per l'utilizzo del Ddt ai fini del contrasto alla diffusione della malaria, ma e’ stato fatto osservare come la stessa introduzione di procedure di regolamentazione e di controllo potrebbe accrescere il costo del pesticida, gia’ oggi prodotto solo in India e in Cina, riducendo cosi’ la possibilita’ di farvi ricorso. Il bando definitivo all'utilizzo del Ddt rimane infine l'obiettivo di numerose associazioni ambientaliste. Sembra qui ritrovarsi una concezione caratteristica di numerose battaglie per l'ambiente ossia che l'unico livello accettabile di inquinamento o di impatto sia - in contrapposizione con il monito che Paracelso rivolgeva agli studiosi gia’ mezzo millennio fa: «dosis sola facit venenum» (un veleno e’ tale solo al di sopra di una certa dose) - quello nullo. Oppure, che qualsiasi misura a tutela dell'ambiente debba essere considerata positiva, quali che siano i costi e i benefici a essa associati. Il che si traduce, nel caso dell'opposizione all'utilizzo del Ddt in piccole quantita’ all'interno delle abitazioni per il contrasto alla diffusione della malaria, nel provocare un aumento del numero di decessi per evitare un rischio che nessuna ricerca finora ha mostrato avere alcuna rilevanza. Sarebbe dunque auspicabile che venissero meno quanto prima le pressioni per impedire l'utilizzo del Ddt almeno fino a quando non sara’ disponibile un sostituto altrettanto efficace ed economico. francesco.ramella@libero.it ____________________________________________________ Le Stampa 3 nov. ’04 IL LETTINO CHIRURGICO «INTELLIGENTE» COMPUTERIZZATA E ROBOTIZZATA, LA «CYBERCULLA» ACCOMPAGNA IL PAZIENTE PERSINO NEL RESPIRO. COSI’ LE RADIAZIONI VANNO A BERSAGLIO CON PRECISIONE I successi dell’elettronica hanno avuto un impatto enorme nel cammino delle neuroscienze. Basta pensare alla Tac e alla Risonanza magnetica nucleare. Oggi e’ possibile avere immagini del corpo umano non solo dettagliate, ma anche funzionali, che consentono delle informazioni superiori all'osservazione anatomica diretta. Le tecnologie avanzate sono utilizzate anche nel trattamento delle lesioni del sistema nervoso centrale e delle lesioni tumorali e vascolari, perche’ il computer assiste la mano del chirurgo fornendogli la possibilita’ di controllare, in tempo reale, i suoi gesti operatori (esempio: chirurgia stereotassica nel trattamento del morbo di Parkinson). Oltre alla radioterapia oggi sta ottenendo un grande sviluppo la radiochirurgia, perche’ e’ possibile associare alla modulazione dell’emissione delle radiazioni ionizzanti una grande precisione nel colpire il bersaglio individuato, evitando l’errore umano. In pratica e’ un’alternativa all’intervento chirurgico (qualora non sia possibile) o come suo utile completamento (qualora la chirurgia sia solo parziale o microscopicamente non radicale). Un ulteriore passo avanti e’ stato realizzato recentemente con un lettino computerizzato e robotizzato chiamato «cyberculla» (la cibernetica e’ l’arte del pilotare, la scienza che studia la teoria del controllo nelle macchine e nell’uomo). Questo lettino e’ talmente «intelligente» che accompagna il corpo del paziente anche nei piccolissimi movimenti (respiro, piccoli brividi, brevi sussulti), mantenendo sotto mira il bersaglio da colpire istante per istante, in tempo reale. Utilizza un fascio di raggi collimato (Dynamic Multileaf Collimator, orientato in linea retta, vale a dire nel miglior modo possibile per garantire che la terapia avvenga sempre nella posizione esatta per l’irraggiamento). Si tratta di un apparecchio che permette di modificare il fascio primario grazie a sottili lame di tungsteno, comandate da micromotori, che indirizzano e ricoprono la lesione da irradiare, con una tecnologia sofisticata e innovativa. Tali lame (controllate dal calcolatore che elabora il piano di trattamento) modificano man mano la loro posizione, variando la conformazione del fascio in modo dinamico. Secondo Cesare Giorgi - F. Lombardi - G. Meola (Neurologia - Radioterapia Universita’ di Milano Policlinico San Donato) con «cyberculla» si apre una nuova frontiera nell’ambito dei tumori del tronco cerebrale e del midollo spinale, finora irraggiungibili perche’ normalmente circondati da strutture molto delicate e importanti: la nuova realizzazione permette di aumentare la dose di irradiazione esattamente e unicamente nella massa patologica, senza interferire con il tessuto sano circostante. Con la «cyberculla» l’evento tumorale, vascolare o traumatico non viene «guarito», ma aggredito in modo puntuale e mirato, tenuto sotto controllo, consentendo il prolungamento della sopravvivenza ed assicurando una migliore qualita’ della vita. Le sedute di irradiazione vengono notevolmente ridotte di numero e limitate a poche unita’ (a volte una soltanto), con notevole sollievo per il paziente. Renzo Pellati