L'IDENTITÀ CULTURALE COME PROGETTO DI RICERCA - LA RICERCA IN ITALIA CHIACCHIERE E FATTI - LA RICERCA IN ITALIA - IL MINISTRO MORATTI: RICERCA E QUALITÀ DEGLI SCIENZIATI ITALIANI - ATENEI, APPELLO DI 2000 PROF: "COSÌ RISCHIAMO LA SERIE B" - L'ITALIA ORA ATTIRA RICERCATORI - AMERICA DIFFICILE PER STUDENTI E RICERCATORI - CONCORSI SCANDALO: GLI IMPUNITI DELL'UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ: NON DOVRANNO PIÙ RIPETERE GLI ESAMI - UNIVERSITÀ: MILLE ISCRITTI IN PIÙ - UNIVERSITA: TREND IN CRESCITA DA TRE ANNI PER LAUREATI E MATRICOLE - UNIVERSITÀ: IN TESTA GIURISPRUDENZA E MEDICINA - UNIVERSITÀ: MA C'E’ IL BOOM DEI DIPLOMI-LAMPO - MISTRETTA: "ADULTI ATTRATTI DALLE MINI LAUREE" - QUELL’ASTUZIA DI RISCOPRIRE L’ACQUA CALDA - OLTRE 23MILA STUDENTI PART TIME - RSU. VINCONO I CONFEDERALI - UNA RIVOLTA CONTRO SORU SULLE NOMINE - REGIONE: CONCORSI E NOMINE, SONO SCELTE INECCEPIBILI - RISCHIA DI SPARIRE LA MEMORIA AUDIOVISIVA - ================================================================== RIEVOCAZIONI LA REGINA E BROTZU, SCIENZIATO DA NOBEL - LE CARTELLE CLINICHE VIAGGIANO SUL WEB - TELEMEDICINA, I PRIVATI SCENDONO IN CAMPO - DIRETTORI ASL, ARRIVANO LE PAGELLE - DIRINDIN: IGLESIENTE TRE OPSEDALI SONO TROPPI - TROPPO STRESS IN CORSIA MEDICI A RISCHIO MOBBING - BREVETTATA LA GARZA CHE SEGNALA LA SUA POSIZIONE - ARTRITE REUMATOIDE NUOVE FRONTIERE DI CURA - ANCHE I MASCHI SUBISCONO I DANNI DELLA «MENOPAUSA» - UN TEST MOLECOLARE PREDICE LE RICADUTE DEL TUMORE AL SENO - PROTESI SUPER COPIATE DALLE OSSA DEGLI INDIANI D'AMERICA - COSÌ STO BATTENDO LA DISTROFIA CON LE INIEZIONI DI STAMINALI - IL BAMBINO SI CURA GIÀ IN UTERO - TRAPIANTI D’ ORGANO, RECORD ITALIANO TOSSE ADDIO CON LA CIOCCOLATA - AIDS LA STRAGE DELLE DONNE - SOSTANZA SCIOGLIE I CALCOLI BILIARI - CON UNA MACCHINA FAREMO QUASI SPARIRE I SEGNI DELL' ETÀ DAL VISO - TIROIDE: QUESTIONE DI IODIO - SCREENING NEONATALE, UN'ARMA NEL CASSETTO - DONARE LA VISTA ALLE CELLULE CIECHE - POCO SONNO FA INGRASSARE - ================================================================== ________________________________________________________________ IL FOGLIO 27-11-2004 L'IDENTITÀ CULTURALE COME PROGETTO DI RICERCA Roberto de Mattei Liberal, 134 pp., euro 10 Nel vasto dibattito sul rapporto politica religione che si e’ messo in moto negli ultimi tempi, si inserisce autorevolmente Roberto de Mattei, docente di Storia moderna e neo-vicepresidente del Cnr. Il suo saggio e’ una sorta di manifesto per ripensare l'Europa e in particolare l'Italia a partire dalla categoria di identità culturale. L’autore si affida a una ricognizione storica per mettere in rilievo le trasformazioni che hanno segnato il continente fino alla scena attuale, dominata da un profondo senso di incertezza sul proprio destino. De Mattei ha ben chiaro l'obiettivo: ri-europeizzare l'Europa, restituirle la vera identità malauguratamente scambiata con un "nomadismo psichico" che ha rinunciato all'esercizio della memoria e dunque a un ordine di valori tracciato nel solco della radice giudaico-cristiana. Solo così l'Europa, nell'alleanza/confronto con gli Stati Uniti, potrà praticare il soft power che gli deriva dalla sua "leadership culturale e morale". Ma, il discorso si fa più interessante quando de Mattei disegna l'ossatura di questa identità culturale. La condizione fondamentale e’ il recupero della centralità delle scienze umane, in primis la filosofia, progressivamente emarginate da una tradizione scientista che ha prodotto guasti notevoli. Inoltre, fa delle osservazioni assai sensate sulla necessità di una ricerca pura che non venga asservita a logiche aziendaliste, mentre la ricerca applicata non dovrà essere regolata da puri criteri mercantili. (E non manca l'autocritica: "Appare sconcertante che questa visione obsoleta trovi oggi seguaci più a destra che a sinistra dello schieramento politico"). D'altra parte le condizioni della ricerca sono la cartina di tornasole di una scuola italiana che da tetripà i& rinunciato, in ogni suo ordine e grado, alla sfida del sapere per rassegnarsi a un obbligo di studio "che rischia di condurre solo all'ignoranza di massa". De Mattei osa l'elogio dell'elitarismo come via politically uncorrect al recupero di una genuina formazione culturale, a partire dalla difesa della serietà degli studi nella scuola secondaria. A proposito di luoghi comuni, infine, e’ apprezzabile la mancanza della solita lamentazione sui nuovi media, non spauracchio ma risorsa. (Marco Burini) _____________________________________________________ la Repubblica 22-11-2004 LA RICERCA IN ITALIA CHIACCHIERE E FATTI MARIO PIRANI N ON vi e’ convegno dedicato al precario stato di salute dell'economia italiana che non si concluda con l'auspicio di un rapido e massiccio impegno nella ricerca, capace di farci uscire dalla stagnazione, promuovere nuovi prodotti e nuove tecnologie e, quindi, riportarci in una fase di sviluppo. Si tratta, però, salo di una giaculatoria propiziatrice senza effetti pratici. Quando si passa dalle parole ai fatti seguita a prevalere una cultura antiscientifica e anti industriale con radici sia a destra che a sinistra. Del resto la ragionevole richiesta di detassare le spese di ricerca e’ rimasta a tutt'oggi lettera morta. Va anche detto, pur se non e’ «politicamente corretto», che la ricerca si sviluppa laddove esistono industrie la cui dinamica e’ strutturalmente legata all'innovazione. Esempio tipico e’ quello dell'industria degli armamenti, dove lo sviluppo tecnologico produce continui ricaschi anche nella produzione civile. Ora, in Italia l'industria degli armamenti si e’ via via ridotta e quel che rimane e’ subordinata, per quanto attiene alla innovazione,ai grandi gruppi, prevalentemente americani, che controllano tutte le leve del progresso tecnico. L'altro grande comparto che genera ricerca scientifica e’ quello farmaceutico. L'Italia nel passato aveva in esso alcune Posizioni di eccellenza ridatte ormai al lumicino. Le cause sono varie. Ha influito certamente Tangentopoli e lo scandalo per una corruzione che incideva sulla salute dei cittadini. Residuato intossicante di quell'epoca e’ però una specie di filosofia criminalizzante, un «pensiero unico» che salda governo e opposizione, secondo cui la farmaceutica e’ una "industria- canaglia" colpevole della lievitazione della spesa sanitaria, quindi passibile di qualsivoglia misura di ritorsione. L'assunto, peraltro, e’ falso. Mentre lievitala spesa farmaceutica privata, quella pubblica decresce: se nel 2002 ammontava pro capite a 202,42 curo, nel 2003 essa e’ scesa a 193,58 euro mentre negli altri Paesi e’ aumentata: in Germania da 270 a 277 euro, in Francia da 299 a 319, nel Regno Unito da232 a236 e in Spagna da 190 a 209. Ma quel che più incide negativamente sulle prospettive del settore sono le due norme sulla dinamica della spesa farmaceutica: la prima stabilisce che essa non può superare un tetto del 13% sul totale della spesa sanitaria. E se una o più regioni sfondano il tetto? Se, una volta stabilito il tetto, il ministero della Sanità, così come e’ giusto, decide poi che usufruiscano dei farmaci anche gli 800.000 extracomunitari regolarizzati? E se, sempre come e’ giusto, il ministero finalmente autorizza prescrizioni gratuite per contrastare il dolore grave, fino a ieri escluse dal rimorso? Infine, se scoppia una epidemia influenzale con conseguente moltiplicazione di terapie? Niente paura: soccorre la seconda norma che impone alle industrie di restituire il 60% degli introiti percepiti per le vendite che hanno contribuito allo sfondamento dei tetto. Un soggetto privato viene quindi punito per contingenze ascrivibili a decisioni prese per diversi motivi da un soggetto pubblico, le Regioni e il Servizio sanitario, decisioni che determinano il volume delle prestazioni farmaceutiche. In queste condizioni le imprese italiane appaiono alla lunga condannate, i margini di profitto diventano sempre più aleatori e la ricerca e’ la prima a farne le spese. Per le multinazionali che hanno centri la decisione che incombe e’ quella di spostarli altrove. Gioca in questo tipo di decisioni, oltre all'alea economica, anche la vischiosità burocratica e le arretratezze sistemiche che scoraggiano gli investimenti esteri in Italia. In un simposio dell'Aspen sono venuto a conoscenza di un esempio illuminante che riguarda la Glaxo, una grande multinazionale col centro a Londra ma che ha a Verona un grande impianto,e il più grande centro di ricerca del nostro Paese can ben 500 addetti di alto livello. Ebbene sono quasi due anni che la Glazo cerca di spostare a sue spese la propria unità di farmacologia clinica (un micro reparto con 15 letti per sperimentazioni su volontari sani) dall'ambito aziendale all'interno delle strutture ospedaliere dell'Ateneo veronese, sia per garantire i massimi standard di sicurezza che per poter sviluppare le competenze universitarie nella ricerca sperimentale. A Canibridge questa sinergia e’ pienamente operante nell'avanzatissimo centro ospedaliero di Barcellona essa e’ stata organizzata: in due mesi. Ma a Verona, quasi si trattasse di risolvere lo scontro tra Capuleti e Montecchi; la vicissitudine non conosce conclusione. A Londra c'e’ chi propone di traslocare verso lidi più affidabili. _________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 23 nov. ’04 LA RICERCA IN ITALIA L' articolo di Francesco Giavazzi «I conservatori della ricerca» (Corriere, 11 novembre) e’ importante per far capire al governo che senza il potenziamento della ricerca il nostro Paese non potrà che continuare l' attuale inesorabile declino. I ricercatori italiani del Gruppo 2003 (www.laricercainitalia- gruppo2003.org), le cui pubblicazioni figurano fra le più citate nel mondo, sono d' accordo con Giavazzi su molti punti, ma non su altri. Riteniamo che il problema principale del sistema ricerca sia proprio l' insufficienza dei fondi a disposizione. Essendo pagati in maniera indecente, il numero dei ricercatori e’ uno dei più bassi fra i Paesi del G8: 2.7 ricercatori su 1000 lavoratori, paragonati a 9 in Giappone, 8 negli Usa e fra 5 e 6 in Francia, Germania e Regno Unito. D' altra parte, questi pochi ricercatori, prendendo come criterio le citazioni che ricevono le loro pubblicazioni, si collocano al 7° posto nella classifica mondiale ma occupano un posto molto più basso (30°) nel numero assoluto di pubblicazioni e citazioni. Quindi i ricercatori italiani sono pochi, molto poveri ma non meno bravi di quelli degli altri Paesi che in ricerca investono molto di più. Rimane quindi discutibile ciò che scrive Giavazzi, e cioe’ che l' aumento dei fondi della ricerca, dal miserabile 1.1% del Pil al 3% considerato ideale dalla Conferenza di Lisbona, non porterebbe a sostanziali vantaggi! Siamo invece d' accordo sulle nequizie del sistema di reclutamento dei ricercatori. Per cambiare bisognerebbe infrangere il tabù del valore legale del titolo di studio che mettendo tutte le lauree sullo stesso piano non scoraggia università ed enti di ricerca dal scegliere docenti e ricercatori con criteri spesso localistici e clientelari. Siamo pure d' accordo che se si vogliono dare più fondi all' industria per la ricerca bisognerebbe controllare che eventuali vantaggi fiscali siano utilizzati per questo scopo, magari creando un' Agenzia nazionale per la ricerca, che coordini e controlli il destino dei rivoli di finanziamento. Infine, non sarebbe possibile permettere ai cittadini di devolvere alla ricerca l' 8 per mille dell' Irpef? Pier Mannuccio Mannucci, per il Gruppo 2003 Sono d' accordo, ma il prof. Mannucci deve riconoscere che l' attuale sistema scambia un stipendio «da fame» con un posto a vita. E' evidente che gli stipendi dei ricercatori dovrebbero essere resi più dignitosi, ma solo dopo che sia stato eliminato quello scambio perverso e cioe’ in un sistema nel quale i giovani, come negli Stati Uniti, entrano nell' università con contratti di 6 o 7 anni, al termine dei quali vi e’ una probabilità non superiore al 50% di essere confermati. Quanto ai fondi per la ricerca, continuo a pensare che dare più denaro all' attuale sistema significhi sprecare risorse. Il ministro Moratti vanta i progressi del sistema di valutazione: vorrei ricordare che si tratta sempre e solo di valutazioni ex ante, cioe’ sui progetti presentati, mai di valutazione ex post, sui risultati ottenuti. Francesco Giavazzi _________________________________________________________________ Corriere della Sera 22 nov. ’04 IL MINISTRO MORATTI: RICERCA E QUALITÀ DEGLI SCIENZIATI ITALIANI Lettera del titolare dell'Istruzione dopo un editoriale di Francesco Giavazzi sui rischi di una crisi del sistema universitario Le osservazioni di Francesco Giavazzi ("I Conservatori della ricerca", Corriere della Sera , 11 novembre scorso) sullo stato della ricerca italiana - a suo parere poco incoraggiante - meritano alcune precisazioni. Non vorrei infatti che, in seguito a tali considerazioni, peraltro basate su dati Ocse del 1999 ormai in parte superati, prevalesse l'antica sfiducia sul valore della scienza al servizio della competitività del Paese. Per un giudizio obiettivo sulla scienza italiana ritengo particolarmente illuminanti i più recenti dati riportati da Sir David King nella sua complessiva analisi sulla ricerca di vari Paesi ( Nature , 430, 311, 2004). Se si considera l'indicatore "numero di pubblicazioni e di relative citazioni nella letteratura mondiale per ricercatore" il nostro Paese figura al terzo posto a livello mondiale dopo Regno Unito e Canada, precedendo Usa, Francia, Germania e Giappone. Considerando la fascia rappresentata dall'1% dei lavori scientifici più citati a livello mondiale (la cosiddetta premier league ) l'Italia con 1.630 lavori nel quinquennio 1997-2001 rispetto a 1151 del 1993-1997 ("41%) ha registrato l'incremento maggiore tra tutte le altre nazioni. I dati raccolti da King dimostrano che l'eccellenza scientifica di un numero elevato di nostri ricercatori e’ di valore internazionale, e’ assai diffusa nell'ambito del sistema scientifico nazionale, non e’ limitata agli esempi citati da Giavazzi, e risulta meritevole di una positiva considerazione. Ritengo assolutamente cruciale che il Parlamento e l'opinione pubblica siano informati di ciò, credano nel valore dei nostri ricercatori e nella concreta possibilità di un giusto ritorno degli investimenti in questo settore per migliorare la competitività del Paese. Credo che una parte non trascurabile del forte miglioramento segnalato sia dovuta al ricorso sistematico a puntuali criteri di valutazione e di selezione, basati sul giudizio indipendente di valutatori internazionali, delle proposte di ricerca dei ricercatori italiani operanti nelle università e negli enti pubblici e privati; questa e’ la regola oggi vigente per tutti i finanziamenti assegnati dal Miur. Sulla base dei dati oggettivi riportati nel Programma Nazionale della Ricerca, ora all'esame del Cipe, si stima che operino, solamente presso le Università, oltre 1.500 gruppi di ricerca di livello internazionale. Si tratta di un valore per il Paese che deve essere fortemente valorizzato. Anche per la concessione dei contributi dello Stato alle Università i tempi stanno cambiando: ad iniziare da quest'anno il Miur terrà conto, nell'assegnazione dei contributi annuali di finanziamento agli atenei, dei risultati della ricerca; questi infatti, per la prima volta, peseranno a regime per il 30% nella determinazione del contributo statale. Per la rimanente quota il 30% verrà attribuito in base ai risultati dei processi di formazione, per il 30% in base al numero degli studenti iscritti, escluse le matricole e i fuoricorso e il rimanente 10% per interventi mirati a incentivare il diritto allo studio, la mobilità dei docenti, il rapporto tra università e imprese, l'internazionalizzazione. Si tratta di una riforma silenziosa che ritengo assai efficace perche’ collega in modo trasparente ed immediatamente operativo il processo di valutazione e di assegnazione annuale delle risorse alla qualità e ai risultati. Nella riforma attualmente in discussione in Parlamento sullo stato giuridico dei professori universitari e’ altresì previsto l'ingresso di docenti stranieri nelle commissioni di concorso, con una prevedibile rottura di taluni negativi equilibri accademici. Sono convinta che l'adozione di questi criteri sarà particolarmente efficace per indurre le commissioni di concorso e le Università italiane a chiamare in ruolo i ricercatori ed i docenti più produttivi scientificamente. Per quanto concerne i distretti tecnologici, questi sono stati istituiti per collegare imprese, enti pubblici di ricerca, Università e Regioni su progetti strategici per la competitività del Paese. Il Miur ha stanziato i primi finanziamenti ai distretti già istituiti in varie Regioni su temi innovativi e di grande interesse per il settore produttivo italiano (30 milioni di euro per ciascuno degli 11 distretti sinora attivati), ai quali si aggiungono almeno altrettanti finanziamenti da parte di tutti gli altri attori. Vorrei rassicurare sia Giavazzi sia la comunità scientifica che anche in questo caso sono previste rigorose preventive analisi sul rapporto costi/benefici di questa iniziativa nonche’ attente valutazioni dei risultati. Letizia Moratti Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca In "L'impatto scientifico delle nazioni", David A. King ( Nature, 15 luglio 2004) spiega che non si possono semplicemente sommare le citazioni di articoli appartenenti a discipline diverse: per confrontarle bisogna prima renderle omogenee. Il risultato di questo esercizio (tabella 2, pagina 313) mostra che l'Italia ottiene un dignitoso 12esimo posto, a pari merito con la Francia, ma 4 posti sotto il Belgio e 9 sotto la Danimarca. Anche questo indicatore del valore della produttività scientifica di una nazione e’, secondo me, ingannevole. Nella ricerca conta solo l'eccellenza: ciò che non e’ eccellente non lascia traccia nella storia. Se ci limitiamo al numero dei Premi Nobel in materie scientifiche (chimica, fisica e medicina) a ricerche svolte in Italia sono stati attribuiti 6 Premi, di cui 3 prima della Seconda guerra mondiale; alla Francia 21. Letizia Moratti promette la riforma dei concorsi universitari: addirittura con la presenza di docenti stranieri nelle commissioni. Sarebbe opportuno che si affrettasse: la legislazione volge al termine e i concorsi si svolgono ancora secondo le modalità in vigore quando ella fu nominata ministro. Quanto al finanziamento delle Università, anziche’ a criteri altisonanti, ma sostanzialmente affidati all'autoreferenzialità della corporazione dei professori, le suggerirei di affidarsi agli studenti e al mercato. C'e’ un modo semplice per farlo: finanziare le Università in funzione della loro capacità di attrarre studenti anche da città lontane, e non solo dalla stessa provincia. _________________________________________________________________ Il Messaggero 22 nov. ’04 ATENEI, APPELLO DI 2000 PROF: "COSÌ RISCHIAMO LA SERIE B" Docenti universitari da tutta l'Italia: raddoppiare i finanziamenti ROMA - Contro i rischi di rendere "irreversibile" il processo di "degrado" e di "dequalificazione" dell'università pubblica duemila professori hanno firmato un appello. Nel mirino il "blocco delle assunzioni", il disegno di legge sullo "stato giuridico" e l'assoluta "inadeguatezza" delle risorse economiche che pone l'Italia in fondo alla classifica degli investimenti con lo 0,9% del Pil, il valore più basso in Europa condiviso solo dalla Grecia. "Per salvare l'Università - dicono i firmatari - ed evitare il crollo dell'intero sistema occorre portare gli stanziamenti ai livelli dell'Ue, se vogliamo che l'Italia resti agganciata ai Paesi avanzati". Le duemila firme in calce ad un documento presentato ieri a "Roma Tre" sono state, in ordine di tempo, l'ultimo gesto di protesta del mondo accademico. "Una protesta iniziata l'anno scorso - spiega Giunio Luzzatto, ordinario a Genova - e ripresa a settembre contro l'atteggiamento sordo delle istituzioni, con assemblee e documenti approvati nei giorni scorsi dai Senati accademici, dai Consigli di facoltà e dalle assemblee degli atenei che si sono pronunciati contro la riforma Moratti". I rappresentanti di questo movimento si sono dati appuntamento a Roma da varie città per "dare voce" all'università ed esprimere la "preoccupazione" del mondo accademico. "Che vuole difendere - sottolinea Clotilde Pontecorvo, ordinario di Psicologia dell'educazione alla Sapienza - il forte legame con la ricerca". Mentre Luciano Modica, ex presidente della Conferenza dei rettori, accusa: "Il percorso di innovazione e di crescita del sistema universitario e’ stato interrotto dal governo Berlusconi". Marco Merafina, invece, dell'Assemblea nazionale dei ricercatori universitari, ribadisce "il nesso inscindibile tra didattica e docenza" e chiede il "ritiro del ddl Moratti", che "precarizza e manda ad esaurimento il ruolo dei ricercatori". Tra questi ci sono 1.500 vincitori di concorso, oltre a 4.000 professori idonei, fermi al palo per il blocco delle assunzioni. "L'università e’ arrabbiata - avverte Lucio Bianco, ex presidente del Cnr e docente della facoltà di Ingegneria di Tor Vergata - In Italia le risorse sono la metà rispetto a quelle dei Paesi Ue. Con una popolazione studentesca pressoche’ pari, tra 1.600.000 e 1.800.000 giovani, il numero dei nostri docenti e’ solo il 65% di quelli della Francia, il 40% del Regno Unito e il 33% della Germania. Nonostante tutto la produttività dei nostri atenei mantiene buoni livelli". Pioggia di critiche sulla riforma a "Y": "Ci avevano detto che era da discutere, invece e’ già pubblicata sulla Gazzetta ufficiale". "La verità - dicono molti - e’ che si insegue il modello americano dei poli di eccellenza". "E si rischia di tornare al ciclo unico, con alte percentuale di abbandoni", sostiene Luciano Guerzoni, docente ed ex sottosegretario all'università. "I politici - incalza Enrico Nardelli, docente di informatica - non considerano l'università come un settore su cui investire". Chiara Acciarini, senatrice ds, membro della commissione cultura, conclude: "Se non corriamo ai ripari l'università torna indietro". Anna Maria Sersale ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 nov. ’04 L'ITALIA ORA ATTIRA RICERCATORI Cervelli stranieri convinti dalle strutture ma il 71% resta troppo poco ROMA Cervelli stranieri in fuga verso l'Italia. Ma e’ una fuga di breve durata: secondo i dati diffusi ieri a Roma dal Cnr, il 71% dei ricercatori stranieri che arriva nel nostro Paese torna presto in patria. Il motivo principale che attira gli scienziati stranieri e’ l'eccellenza della ricerca italiana, ma queste prestazioni non risultano, però, sufficienti a trattenere i cervelli. Per superare queste distorsioni bisogna «garantire autogoverno, responsabilità e trasparenza al sistema»: la proposta arriva da Astrid, l’Associaztone per gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e l'innovazione nelle amministrazioni pubbliche, che ieri ha presentato a Roma un documento che suggerisce le linee guida per recuperare «il gap che separa l'Italia dall'Europa e dal resto del mondo», Scienziati in Italia. I ricercatori stranieri scelgono l’Italia per aggiornare 1e proprie competenze, soprattutto nel campo dei la fisica, biologia, chimica e ingegneria Lo rivela l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr in uno studio sulle migrazioni internazionali in Europa, presentato ieri a Roma. L'Irpps ha intervistato un campione di 241 ricercatori stranieri (su un totale di 378) ospitati dai più importanti enti di ricerca italiani: il 33°lo proviene da Paesi Ue (soprattutto Francia, Germania e Spagna), il 35% dall'Est europeo, dalla Russia, dall'Americ2 del Sud e dall'Estremo Oriente Ma solo il 16,2% degli scienziati pensa di rimanere in Italia per più di cinque anni, mentre più del 37% dichiara di voler restare meno di un anno. II 43,3% arriva su invito dei nostri enti di ricerca, il 37% perche’ in Italia può lavorare con- attrezzature più adeguate. Più autonomia. Il Miur non deve avere compiti diretti di valutazione e finanziamento della ricerca, che devono essere affidati ad agenzie indipendenti. Bisogna eliminare gli enti di ricerca strumentale (tranne quelli di servizio, come l’Istat), trasferendone le competenze alle università, mentre e’ necessario garantire «diritti di autogoverno» alle strutture di ricerca non strumentale. Sono le principali proposte avanzate da economisti, giuristi e scienziati di Astrid, tra i quali figurano l'ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, l'ex ministro dei Lavori pubblici, Franco Bassanini e Lucio Bianco, ex presidente del Cnr. «Per colmare il gap con gli altri Paesi - ha detto Francesco Merloni, membro di Astrid - all'Italia servono almeno il doppio degli attuali ricercatori tra settore pubblico e privato, il quadruplo dei dottori di ricerca e molti più laureati», E sul ruolo delle Regioni nella ricerca, Merloni suggerisce di «ispirarsi al modello tedesco, dove il finanziamento e’ assicurato in modo paritario da Stato e Lander», Secondo Amato, per «garantire una migliore utilizzazione delle risorse e’ necessario eliminare, per gli enti come il Cnr, il meccanismo dello spoil system, che sottopone le istituzioni scientifiche al controllo politico». Accordo Bei-Miur. Ieri a Roma il vicepresidente della Banca europea degli investimenti (Bei); Gerlando Genuardi, e il presidente della Società Sincrotrone Trieste ScpA, Carlo Rizzuto, hanno firmato - alla presenza del ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti - il contratto di prestito per la costruzione a Trieste di di un laser a elettroni liberi. L'Italia sarà il primo Paese a realizzare un impianto di questo tipo. ALESSIA TRIPODI _________________________________________________________________ Corriere della Sera 23 nov. ’04 AMERICA DIFFICILE PER STUDENTI E RICERCATORI Le rigide regole su visti e sicurezza frenano gli ingressi degli stranieri. Per la prima volta calano gli allievi E’ questa, forse, l’eredità più pesante dell’11 settembre. L’America spende miliardi per le tecnologie antiterrorismo - dalle macchine che annusano gli esplosivi ai "raggi x" per esaminare i contenuto dei camion - ma il prezzo vero della sua "blindatura", iniziata con il Patriot Act, la legge varata poco dopo l’attacco alle Torri Gemelle, lo paga altrove: la perdita di attività economiche dovute alla stretta sui visti ha già superato i 30 miliardi di dollari. E poi il danno - non quantificabile ma in prospettiva comunque enorme - di un minor afflusso di "cervelli" stranieri, che da decenni sono il motore dei principali successi scientifici e industriali del Paese. Qualche giorno fa l’Institute for International Education ha comunicato che quest’anno gli studenti delle università americane provenienti dall’estero sono diminuiti del 2,4 per cento. Può sembrare un fenomeno marginale, visto che gli universitari stranieri sono comunque un esercito: 572 mila. Ma non accadeva da decenni e, soprattutto, l’attivismo degli atenei che cercano comunque di non perdere la quota di studenti provenienti dall’estero per ora lascia in ombra un dato più serio: nell’ultimo anno le domande presentate agli atenei americani hanno subito un vero crollo, meno 32 per cento. Gli studenti sono stanchi di aspettare i visti (in media il rilascio avviene dopo 67 giorni, ma si moltiplicano i casi di giovani - provenienti dal mondo arabo, ma anche da Cina, Russia, India e altri Paesi emergenti - costretti ad attendere un anno o più), si sentono umiliati dalla severità dei controlli alla frontiera e dalle restrizioni che spesso, una volta giunti negli Usa, rendono problematici brevi rientri nel proprio Paese per le vacanze o un impegno familiare. Così, sempre più spesso decidono di rivolgersi alle università locali (India e Cina hanno cominciato a creare poli di eccellenza in varie discipline) o a quelle della Gran Bretagna e dell’Australia, che spesso sono altrettanto qualificate e molto meno costose di quelle americane. Un fenomeno che allarma - il Washington Post accusa il governo di "affamare la scienza" - e spinge molti a prevedere che prima o poi gli Usa perderanno la loro leadership nelle tecnologie più avanzate. I primi indizi sono già lì: un calo del numero dei brevetti registrati negli Stati Uniti, meno pubblicazioni scientifiche, meno premi e riconoscimenti internazionali, mentre cresce il numero dei Nobel europei e asiatici. In realtà questo pericolo e’ limitato: il vantaggio accumulato dagli Stati Uniti nel dopoguerra e’ talmente ampio che soltanto un’involuzione che si protraesse per molti anni potrebbe metterlo in discussione. Ma l’erosione produce comunque danni rilevanti. Le storie sono ormai centinaia: c’e’ il laboratorio della Florida che ha bisogno di un esperto di "mucca pazza", malattia che comincia a fare capolino anche da questa parte dell’Atlantico, ma deve aspettare mesi che le autorità rilascino il visto all’esperto prescelto, un cittadino svizzero. E c’e’ l’accademico indiano di grido conteso da tre università americane (Harvard, Duke e Chicago) ma finito ad insegnare in Canada dopo aver atteso inutilmente per un anno un visto dal consolato Usa. Come italiani abbiamo poco da scandalizzarci: da noi le procedure di ammissione di studenti (e uomini d’affari) extra Ue, possono essere perfino più laboriose, e non per problemi di lotta al terrorismo. Ma per l’America il fenomeno e’ più preoccupante perche’ il Paese sa che gli emigranti e i loro figli sono i motori della prosperità del Paese, anche in campo scientifico. Ogni anno l’Intel seleziona in un concorso giovani talenti nelle tecnologie informatiche: i finalisti sono per il 60 per cento figli di immigrati arrivati con un permesso di studio o un visto di lavoro provvisorio, così come figli di immigrati sono i due terzi dei partecipanti alle Olimpiadi Usa della matematica. Le autorità americane hanno preso coscienza del problema e, pressate dai gruppi industriali, hanno promesso di snellire le procedure. Ma sulla sicurezza, avvertono, non si possono fare compromessi. Quello che accade, però, non e’ soltanto il pedaggio per la blindatura dell’America: la legge di bilancio per il 2005 approvata due giorni fa dal Congresso contiene, tra mille tagli di spesa e centinaia di elargizioni "sottobanco", anche un comma che consente di aumentare di 20 mila unità (da 65 a 85 mila) i permessi d’ingresso per lavoratori specializzati stranieri. Un incremento minuscolo se si considera che fino a qualche anno fa venivano concessi 200 mila visti di questo tipo e che la quota dei 65 mila permessi per il prossimo anno era andata esaurita già il primo ottobre, il giorno in cui le imprese potevano cominciare a inoltrare le loro domande. Le aziende protestano, affermando che per alcuni lavori specializzati non trovano manodopera preparata in America, ma il Parlamento si e’ mosso ugualmente con grande prudenza e non per paura dei terroristi: e’ soprattutto la perdita di posti di lavoro nelle tecnologie dell’informazione e l’outsourcing di alcune funzioni d’impresa, che vengono ora svolte da uffici trasferiti all’estero (in genere in Asia), a rendere i parlamentari particolarmente guardinghi. Anche perche’ hanno il fiato sul collo dei sindacati. Così, però, rischia di incepparsi un pezzo della macchina produttiva americana. E mentre conferenze scientifiche devono essere rinviate, cancellate o trasferite all’estero perche’ non arrivano i visti per i relatori, e le industrie farmaceutiche lamentano interruzioni delle loro ricerche che richiedono l’intervento di specialisti stranieri, il Financial Times racconta la rivolta di un gruppo di imprenditori cinesi: dovevano esporre i loro prodotti alla fiera dell’elettronica di consumo che si svolgerà tra sei settimane a Las Vegas, ma nemmeno loro hanno avuto il visto. Ora tutta la delegazione minaccia di ritirarsi e di iscriversi alle manifestazioni europee, rinunciando a quelle in territorio americano. Massimo Gaggi ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’04 GLI IMPUNITI DELL'UNIVERSITÀ CONCORSI SCANDALO DI GIORGIO BARBA NAVARETTI Una volta all'anno gli economisti italiani ricevono un'ema il da ~ Roberto Perotti, professore di ' economia alla Bocconi, con allegato «Il bollettino dei concorsi»: un'analisi dell'esito degli ultimi concorsi per professore ordinario di economia politica. Con una certa ansia studiano soprattutto le micidiali tabelle del bollettino. Due per concorso, quanti ficano i meriti scientifici dei candidati - quelli che hanno vinta e quelli che hanno perso - e dei commissari, cinque professori ordinari della materia. Come potete immaginare si formano immediatamente dei gruppi. soprattutto di scontenti: candidati ingiustamente battuti che si tormentano di rabbia contando quante più pubblicazioni hanno dei vincitori; candidati ingiustamente vincenti che impallidiscono alla pubblica esposizione della propria pochezza; commissari ancora più pallidi di fronte all'evidenza di avere meno titoli dei candidati. Solo due gruppi si rallegrano: i candidati che 'hanno vinto meritando di vincere e i commissari che hanno promosso chi meritava di vincere. Avete notato? Manca un gruppo: i commissari che hanno messo in cattedra ehi non lo meritava. Che effetto farà il bollettino dei concorsi su costoro? Poco, un'impunita indifferenza: Quest'impunità e’ un pò il simbolo dei problemi che affliggono la nostra università. Per capire perche’ facciamo un passo indietro. Dal 1999 i concorsi a cattedre sano locali - mentre in precedenza erano nazionali - con commissioni di cinque ordinari di cui uno nominato da chi bandisce il concorso e quattro eletti da tutti i professori italiani di pari grado e della stessa disciplina. 1 concorsi locali favoriscono soprattutto chiamate di candidati interni, spesso indipendentemente dai titoli. Il bollettino e’ stato concepito come un mezza per comunicarne in modo trasparente l'esito e cercare di migliorarne la qualità attraversa un effetto reputazione: Nel mondo accademico la pressione dei pan e’ il meccanismo fondamentale di 'riconoscimento e promozione. Per quanto diversi i concorsi siano stati fatti in modo corretto, dal Bollettino emergono dati inquietanti, che purtroppo non migliorano nel tempo. Perotti usa indicatori simili a quelli delle migliori istituzioni anglosassoni, che essenzialmente misurano la rilevanza dei candidato e del commissario nel dibattito scientifico internazionale: il numera di pubblicazioni classificate in base alla loro qualità scientifica; il numero di citazioni nel social science citatiom index; se e dove e’ stato conseguito un dottorato. Ovviamente la quantificazione del merito scientifico e’ difficile, ma comunque permette di identificare gli eccessi, di mettere in relazione i diversi candidati e soprattutto di confrontate la nostra accademia allo standard internazionale, la frontiera del mercato in cui deve operare. Bene; nell' ultimo anno in dieci concorsi su tredici almeno uno dei candidati idonei (ne vengono nominati due per concorso) non aveva pubblicazioni su una delle prime settanta riviste internazionali, in tutti e 13 i concorsi hanno avuto l'idoneità candidati interni (dell'Università che aveva bandito) e di questi otto avevano zero pubblicazioni nelle prime 160 riviste. La pressione dei pari non funziona (questo era il terzo Bollettino ) gli impnuti continuano indifferenti per la loro strada. Ma perche’ non dovrebbero farlo? Non esiste nel nastro sistema universitario alcun meccanismo per sanzionare il loro comportamento. Hanno le stesse risorse economiche dei commissari "virtuosi" e, protetti dal valore legale della laurea, non perdono studenti. Ha ragione Francesco Uluvazzi sul Corriere della Sera dell'11 novembre scorso. Il miracolo e’ che in Italia si riescano a fare poli di eccellenza nonostante gli impuniti. Ma a questo punto e’ necessario un sistema che discrimini tra vizi e virtù, in cui gli atenei di qualità abbiano migliori docenti (meglio pagati), più risorse e più studenti qualificati. In questo mondo anche gli atenei di serie B avranno diritto di esistere e forse. per quanto con meno risorse, svolgeranno un'utile funzione di formazione di base. E se e’ necessario differenziare, la soluzione non sarà certo il ritorno ai concorsi centralizzati (che non hanno mai funzionato) previsto dal disegno di legge sul reclutamento dei professori. Quando la pressione dei puri non e’ efficace, anche il sistema centralizzato produrrà impuniti. Bisogna invece smettere di destinare risorse a chi non produrrà mai nulla. A proposito, 90 000 euro (il costo medio annuo di un ordinario per 25 anni per 10 nuovi ordinari di cui il mondo dello ricerca internazionale non sentirà ma parlare: il conto di quanto ci costi un anno di impunità per la sola economia politica lo lascio fare a voi. barba@unimi.it Roberto Perotti: «Il bollettino dei concorsi» www.igier.uni-boccon.it. _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 nov. ’04 UNIVERSITÀ: NON DOVRANNO PIÙ RIPETERE GLI ESAMI Il Senato accademico mette fine all'incubo di cento studenti di Medicina E’ finito ieri l'incubo per oltre cento studenti della facoltà di Medicina di dover ripetere uno o più esami, o peggio vedersi annullare la laurea. Il Senato accademico ha infatti approvato un documento, presentato da Università per gli studenti, che sana tutti gli esami sostenuti fino al prossimo 31 dicembre, anche se superati con docenti non del proprio "canale". La storia risale all'ottobre dello scorso anno. La facoltà di Medicina aveva adottato una delibera che obbligava gli studenti a dare l'esame con il professore con cui si erano seguite le lezioni: pena l'annullamento dell'esame. Una decisione nata per semplificare l'iter didattico, questa la spiegazione ufficiale: anche se capitava troppo spesso che alcuni universitari seguissero le lezioni riservate ai cosiddetti "dispari", dando poi l'esame con il professore del "canale pari". Una delle lezioni "incriminate" era quella di Anatomia patologica. Fatto sta che per scarsa informazione molti studenti hanno proseguito come se nulla fosse cambiato. Due settimane fa la sgradita sorpresa: in una lettera il rettore comunicava a oltre un centinaio di universitari che gli esami sostenuti, dall'ottobre 2003 al novembre 2004, con un professore dell'altro "canale" erano bloccati in segreteria, e dunque non venivano registrati. "Il problema e’ diventato serio, anche perche’ alcuni ragazzi nel frattempo si erano laureati e rischiavano di vedersi invalidata la laurea per questo motivo", spiega Giuseppe Frau, rappresentate di Università per gli studenti nel consiglio di amministrazione dell'ateneo. Ieri mattina il lieto fine. "Abbiamo presentato un documento con cui si chiedeva di sanare le situazioni bloccate dalla delibera della facoltà di Medicina ? sottolinea Fabiola Nucifora, componente del Senato accademico della stessa lista universitaria ? Il buon senso ha prevalso: il rettore Mistretta e il preside della facoltà, Gavino Faa, hanno accettato questa richiesta". Così gli esami sostenuti fino al 31 dicembre di quest'anno in maniera irregolare, secondo la delibera adottata dalla facoltà di Medicina, verranno registrati in segreteria, facendo tirare un bel sospiro di sollievo a quegli studenti che avevano dato uno o più esami seguendo il "canale" sbagliato, e soprattutto ai laureati che vedevano in bilico la loro laurea per questo contenzioso. "La materia con i maggiori casi di irregolarità di questo tipo era Anatomia patologica ? ricorda Frau ? ma abbiamo numerose segnalazioni anche da Oculistica e Fisiologia". Il rischio di dover ridare l'esame sembrava per molti oramai realtà: "Sono soddisfatto perche’ altrimenti avrei dovuto perdere tempo a studiare per prepararmi a sostenere nuovamente l'esame con un altro professore ? commenta L. E., studente che preferisce rimanere anonimo, - Ho scoperto il problema solo alcune settimane fa e non ero a conoscenza della delibera di facoltà. Capisco i disordini didattici che possono nascere, ma l'esame, sostenuto con un docente o con un altro, resta sempre lo stesso". Il problema e’ per o rasolo rimandato: la decisione del Senato accademico e’ valida fino al 31 dicembre. Dal 2005 tornerà in vigore la delibera: maggiore informazione dunque, altrimenti meglio annullarla. Per la buona pace di tutti gli studenti di Medicina. Matteo Vercelli _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’04 UNIVERSITÀ, MILLE ISCRITTI IN PIÙ Le immatricolazioni sono cresciute del 14,5% soprattutto grazie al successo delle lauree triennali Boom a scienze della formazione Crescono medicina e farmacia, in calo economia e lettere, stabili le altre L'Università di Cagliari si riscopre ricca. Non di finanziamenti, sempre gli stessi da quindici anni, ma di immatricolazioni: quasi mille in più rispetto all'anno accademico 2003/2004, con una crescita del 14,5 per cento. Lo testimoniano i dati sugli studenti che si sono iscritti al primo anno delle lauree triennali e di quelle a ciclo unico. Un'impennata che sembra far tornare la voglia di Università esplosa due anni fa, con l'introduzione della riforma, con le lauree brevi, che aveva attirato negli atenei studenti di varie età, e non solo gli studenti neo diplomati. Tra le facoltà più gettonate Scienze della Formazione che fa registrare un incredibile più 103,6 per cento, raddoppiando il numero di immatricolati. Crescono bene anche Medicina e Chirurgia (più 37 per cento, grazie alla partenza di numerosi corsi rimasti bloccati per il mancato accordo con la Regione l'anno scorso) e Farmacia (più 38,6). Uniche facoltà con saldo negativo Economia e Lettere. Stabili Giurisprudenza, Scienze Politiche, Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, discreto aumento per Lingue e Letterature straniere e Ingegneria. Dal centro operativo dell'ateneo, in via Università, un commento positivo da parte del rettore Pasquale Mistretta: "Sono numeri che mi sorprendono. Abbiamo aumentato l'offerta formativa nel nostro ateneo, creato spazi nuovi, riordinato il sistema bibliotecario, ora moderno e informatizzato, fatto nascere il Policlinico Universitario che ha una sua dignità riconosciuta. Il tutto senza vedere aumentare i finanziamenti ordinari, statali e regionali, e ritoccando le tasse a carico degli studenti di un punto percentuale. Se non siamo maghi forse significa che siamo stati bravi". Con una precisa filosofia: "Siamo un'università di massa, che guarda con piacere verso tutta la Sardegna, soprattutto quella centrale". GLI ISCRITTIE' di 8.454 il totale degli iscritti al primo anno dei corsi universitari nelle dieci facoltà cagliaritane. Degli studenti iscritti, 7.739 sono gli immatricolati ai corsi di laurea triennali e a ciclo unico (841, in Medicina e Farmacia specialistica, vecchio ordinamento di Scienze della Formazione e dell'Educazione, e Ingegneria edile e architettura). Dai dati rilasciati dall'ateneo di Cagliari, 6.848 sono le matricole vere e proprie, cioe’ chi per la prima volta mette piede nel mondo accademico. La differenza con le immatricolazioni effettive (circa 900 unità), e’ data dagli studenti che hanno cambiato corso di studi o in possesso di situazioni particolari, prese in considerazione dal rettore. Nel totale delle immatricolazioni sono compresi anche gli iscritti nelle lauree specialistiche, e dunque da considerare immatricolati a tutti gli effetti perche’ inseriti in un contesto nuovo e non continuativo rispetto alla laurea di primo livello. SCIENZE DELLA FORMAZIONEE' la facoltà che ha la percentuale più alta di incremento, sia rispetto all'ultimo anno accademico, sia rispetto a quello 2002/2003. Con 1.234 immatricolati e’ inoltre il corso di laurea più richiesto. Diviso in due rami, il vero boom e’ negli studenti che hanno scelto Scienze della formazione e dell'Educazione (passati da 318, tra laurea triennale e del vecchio ordinamento, nel 2002, a 390 nel 2003 fino agli 843 di quest'anno). Cresce anche Psicologia: 391 immatricolati, contro i 281 dello scorso anno e i 369 del 2002/2003. MEDICINA E FARMACIACon oltre il 35 per cento di immatricolazioni in più, seguono Medicina e Farmacia. Cresce la laurea di primo livello di Chirurgia (da 126 immatricolati due anni fa a 231 del 2004), stabile quella a ciclo unico (sui 190 nuovi studenti), e sale anche Farmacia (da 301 nel 2002, a 329 l'anno dopo, ai 456 attuali), tra corso di laurea triennale e specialistica a ciclo unico. LINGUE STRANIERELa ripresa dopo il crollo. Due anni fa erano state 597 le immatricolazioni, scese a 349 nel 2003. Quest'anno si e’ assistito a un incremento dell'8,9 per cento, con 31 studenti nuovi in più. INGEGNERIASale il numero di chi punta sul futuro da ingegnere. Aumentano gli immatricolati nei corsi di ingegneria Industriale, Edile e Ambientale. Leggero calo per Tecnologie per la conservazione e restauro dei beni culturali (un'immatricolazione in meno) e Civile (meno quattro). Tiene il suo standard il corso specialistico a ciclo unico ingegneria Edile ? Architettura. SCIENZE POLITICHEContinua la crescita fatta registrare l'anno scorso. Nel 2002 erano stati 945 gli iscritti, saliti a 984 l'anno scorso, fino ad arrivare a 1.026 nel nuovo anno accademico iniziato. Positivi anche i dati per le specialistiche: 201 le iscrizioni registrate per la laurea di Secondo livello. GIURISPRUDENZAResta stabile la facoltà di Giurisprudenza, con più 0,7 per cento. Sempre lontano però dai 916 immatricolati registrati nel 2002/2003. SCIENZEUno dei corsi più equilibrati nell'ultimo triennio, con performance di poco inferiori ai mille immatricolati. LETTERE E ECONOMIASono le uniche facoltà a proseguire il calo, inferiore a quello tra gli anni accademici 2002/2003 e 2003/2004: Lettere con ?2,2 e maglia nera a Economia con 4,5. Matteo Vercelli _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 nov. ’04 CAGLIARI: TREND IN CRESCITA DA TRE ANNI PER LAUREATI E MATRICOLE Università. Stabile il dato di Scienze, in controtendenza rispetto al calo generalizzato Farmacia fa la parte del leone Un'offerta formativa variegata, ma anche che risponda alle esigenze lavorative che arrivano dal territorio. Sono queste le ricette per ottenere più laureati, specializzati e di qualità, considerato il calo delle lauree nel 2004. L'Università cerca di muoversi in questa direzione, e malgrado qualche caso, le risposte positive arrivano proprio dalle facoltà. FARMACIATra immatricolazioni e laureati in più, Farmacia sta attraversando un momento felice. Da tre anni crescono gli studenti che s'iscrivono (dai 301 del 2002-2003 ai 456 di quest'anno accademico) e aumentano le pergamene rilasciate: 165 il totale nel 2004, oltre 50 in più rispetto al 2003. "Penso che il motivo di questo dato positivo sia da ricercare nelle ricadute professionali che i dottori in Farmacia possono avere ? spiega il preside, Gaetano Di Chiara ?, gli studenti sanno che accorciare i tempi di laurea significa avere possibilità in più nel mondo del lavoro, e cercano di sfruttare al meglio il fattore tempo". Questo capita contemporaneamente per le lauree del vecchio ordinamento (128 laureati nel 2004, 104 nel 2003, 83 nel 2002) e per quelle triennali (25 quest'anno, contro le 8 dell'anno precedente). Con le lauree, crescono anche gli immatricolati: 127 in più rispetto all'ultimo anno accademico (boom soprattutto dei corsi di laurea specialistica). "Penso sia il risultato di una politica di facoltà giusta ? commenta il preside ?, con la riforma avremmo potuto rivoluzionare l'offerta, invece abbiamo puntato su due corsi specialistici, Farmacia e Ctf, su due specialistiche molto d'attualità, Scienze erboristiche e Tossicologia. Abbiamo chiuso, rispetto all'anno scorso, il corso di Informatica del farmaco, ma nonostante questo le domande di accesso alla nostra facoltà sono cresciute. Un dato in controtendenza rispetto ad altre facoltà, che hanno attivato tantissimi corsi". SCIENZESolo 15 laureati in meno in Scienze matematiche, fisiche e naturali, ma comunque un numero considerevole di neo dottori: 569. "Nel complesso, considerando anche le immatricolazioni ? evidenzia il preside Roberto Crnyer ? , siamo una facoltà stabile. Abbiamo puntato sulla qualità, in linea con quanto si sta facendo in tutti i corsi di studio scientifici. In altre facoltà, invece, si lavora sui grandi numeri. Non e’ il nostro caso: l'unico corso dove ci sono questi e’ Biologia". Il lavoro da fare e’ ancora molto. "Penso che in futuro la transizione dalla vecchia laurea al nuovo modello verrà completato ? sottolinea il preside di Scienze ?, le lauree specialistiche dovranno essere uno strumento per l'intera regione e le necessità del territorio. Un esempio e’ quello dell'Ateneo di Sassari ,che ha attivato un corso a Nuoro in Agronomia nella pastorizia e zootecnia. A Cagliari esistono un corso di Biologia marina, utile nel settore della pesca, e uno studio del mercato della Scienza. I laureati generici tramonteranno, e ci saranno dei dottori più tecnici e calati nella realtà del territorio". DATI DA VERIFICARELe maglie nere per il numero dei laureati erano finite a Giurisprudenza e Medicina. Che le rifiutano: "I dati in nostro possesso sono diversi", spiegano dalle segreterie. Il conteggio finale sarà la prova della verità. Matteo Vercelli _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 nov. ’04 UNIVERSITÀ: IN TESTA GIURISPRUDENZA E MEDICINA Calano le lauree, l'anno nero dei dottori Laureati in calo all'Università di Cagliari. Rispetto al 2003 hanno tagliato il traguardo, tra lauree triennali, specialistiche, del vecchio ordinamento e specialistiche a ciclo unico, 68 studenti in meno. La differenza sale notevolmente se vengono prese in considerazione solo le lauree del vecchio ordinamento: se nel 2002 e nel 2003 il dato era praticamente uguale (3.284, 3.265), quest'anno hanno concluso il loro ciclo di studi 2.435 studenti. A questi vanno aggiunti circa 300 laureandi, per un totale inferiore ai tre mila dottori, con un calo di circa 200 studenti rispetto ai due anni precedenti. I LAUREATI Dunque nel 2004 l'ateneo di Cagliari ha consegnato (contando anche i laureandi nell'ultima sessione) 4.135 pergamene di laurea. Nel 2003 erano state 4.203, mentre nel 2002 il dato scende a 3.647 perche’ erano state poche le lauree triennali, in fase d'avvio e dunque meno conosciute dagli studenti dell'Università cagliaritana. Il dato totale dei laureati tiene conto di tutte le varie tipologie di laurea, comprese le specialistiche a ciclo unico e quelle di secondo livello: così se nel 2003 sono stati 3.265 gli studenti a ricevere la pergamena per il vecchio ordinamento, e quest'anno sono meno di tre mila, e’ altrettanto vero che la differenza viene annullata dal numero delle lauree triennali ottenute nel 2004 rispetto a quelle dell'anno precedente. Ancora minimi i numeri per le lauree di secondo livello (le specialistiche): 27 in questo anno accademico, in Medicina, e Ingegneria Industriale e Ambientale, 20 l'anno scorso, nei due rami di Ingegneria. LE FACOLTÀ Come nel caso delle immatricolazioni, la parte del leone la fa Scienze della Formazione, trainata da Psicologia: circa 300 lauree quest'anno (compresi i laureandi nell'ultima sessione) con il vecchio ordinamento, contro le 228 del 2003 e le 140 del 2002. Il totale di laureati e’ di 855: l'anno scorso erano stati 751, 541 due anni fa. Praticamente pari il conto in Lingue e Letterature straniere per quanto riguarda il numero dei laureati con il vecchio ordinamento (107 contro i 126 del 2002), mentre e’ positivo il segno nella facoltà di Farmacia (+24 pergamene del vecchio ordinamento rispetto al 2003). Stabile il dato anche in Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (in totale poco meno di 600 lauree, in linea con l'anno precedente), cala Ingegneria per quanto riguarda il vecchio ordinamento, mentre e’ positivo il saldo totale. MAGLIA NERA Perde in tutti i campi Giurisprudenza: meno 113, se confrontato al 2003, il totale delle lauree, meno 141 considerando solo i laureati con il vecchio ordinamento. Scende di poco il dato in Scienze Politiche: 375 (nel 2004) contro 385 (2003) nel totale, mentre nel vecchio ordinamento cresce il divario, 223 (nel 2004), 309 (2003). Oltre cento lauree in meno nel vecchio corso in Economia e Lettere, rispetto all'anno scorso perde anche Medicina (cento laureati in meno). Matteo Vercelli _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 nov. ’04 UNIVERSITÀ/2 MA C'E’ IL BOOM DEI DIPLOMI-LAMPO Alla fine dell'anno saranno oltre mille le lauree triennali nell'ateneo.A oggi 991 hanno già tagliato il traguardo, ma sommando a questi i laureandi, la soglia dei 1.000 verrà varcata. Un balzo in avanti rispetto ai 670 studenti che avevano superato la laurea triennale nel 2003. Ovviamente più passano gli anni e più saranno questi i dati importanti negli atenei, dopo la riforma universitaria applicata tre anni fa. Sbirciando tra i numeri, Scienze Politiche e’ la facoltà con più lauree di primo livello: sono stati 152 i laureati nel 2004 (contro i 76 dell'anno prima). Segue a ruota Economia con 148: un boom rispetto al 2003, con soli 26 laureati. Tanti i laureati in Ingegneria, nei vari corsi: 145 in quello Industriale, 30 in Civile, 17 in Edile, 70 in Ambientale. Partita in ritardo, Giurisprudenza ha visto quest'anno i primi laureati che hanno compiuto l'intero iter: 30 studenti. I precedenti tre erano studenti che avevano scelto di trasformare il corso del vecchio ordinamento in laurea breve. Quest'anno hanno raggiunto il Primo livello nella facoltà di Lettere in 40, mentre in Scienze della Formazione 13 e in Psicologia 76. (m.v.) _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’04 "ADULTI ATTRATTI DALLE MINI LAUREE" Il rettore Pasquale Mistretta spiega l'aumento delle matricole Un aumento che sorprende anche il rettore Pasquale Mistretta. "Difficile da spiegare. Forse si assiste a un ritorno di adulti e lavoratori verso il mondo accademico, grazie alla diversificazione dell'offerta formativa". Chissà se la politica universitaria e’ alla base dell'aumento di immatricolazioni registrato dall'ateneo del capoluogo? Certo l'offerta formativa variegata, con corsi di laurea per tutti i gusti, e’ uno stimolo in più per chi decide di dedicare un pò del suo tempo allo studio. "L'incremento non penso sia dato dai nuovi diplomati, che sono rimasti invariati rispetto agli ultimi anni", spiega il rettore. "Lo associo a un ritorno di entusiasmo verso le lauree brevi. Tre anni fa, con il riordino universitario, si registrò un boom attribuibile alla novità e alla possibilità per molte più persone, anche lavoratori, di conseguire una laurea triennale. L'anno scorso ci fu un'inversione di tendenza, dovuta forse al calo dell'entusiasmo. Possibile", aggiunge Mistretta, "che in questa nuova stagione universitaria, dopo che molti colleghi hanno raggiunto il traguardo, sia rinato l'entusiasmo". Questa sarebbe anche la spiegazione per la crescita di Scienze della Formazione. "Nonostante l'insegnamento stia attraversando un brutto momento c'e’ sempre una tradizione dietro questi studi. C'e’ da lavorare, invece, in Lingue e Letterature straniere. Il giudizio di Mistretta, al di la dei numeri (l'incremento rispetto all'anno scorso e’ sempre negativo se confrontato al 2002/2003), e’ severo: "E' una facoltà più di letterature e meno di lingue straniere. Questo e’ un limite che deve essere colmato. Con i nuovi locali della ex clinica Aresu abbiamo fatto un primo passo". (m.v.) _________________________________________________________________ La Stampa 24 nov. ’04 QUELL’ASTUZIA DI RISCOPRIRE L’ACQUA CALDA UN chiaro e sintetico articolo di Tullio Regge ha illustrato qualche settimana fa su «Tuttoscienze» la lacrimevole situazione dell'approvvigionamento di energia in Italia. In quell’articolo Regge non sembra molto fiducioso nelle fonti alternative e rinnovabili, pur dicendo che devono essere incoraggiate. E' chiaro che sarà difficile far circolare le automobili con i pannelli solari, o a vela come si vede in un accattivante spot televisivo. Tuttavia qualcosa può essere fatto. Innanzitutto, a mio modesto avviso, occorrerebbe praticare la raccolta (di energia) differenziata. Non ha senso produrre elettricità con i pannelli fotovoltaici per immetterla nella rete, dalla quale si preleva elettricità per scaldare l'acqua del boiler elettrico. Molto più logico sarebbe utilizzare il calore solare per scaldare direttamente l' acqua della doccia. La prima cosa che occorre ricordare e’ che ogni trasformazione di stato energetico ha un costo, perche’ la resa non e’ mai il 100%. Ma oggi non siamo organizzati per questo, ne’ siamo concettualmente preparati ad una politica energetica che, oltre a mirare ad un minor consumo di energia, punti anche a diminuire le trasformazioni e le distanze di trasporto dell'energia stessa. Il secondo aspetto e’ che l' utenza energetica ha bisogni differenziati. Se devo scaldare una serra, 10°C possono bastarmi, 20°C sono addirittura un lusso. Se devo scaldare una casa, per ottenere il minimo dei 20°C legali occorre che nei termosifoni l'acqua raggiunga una temperatura tra i 60°C e gli 80°C, ma una diversa tecnica di riscaldamento potrebbe diminuire le esigenze in materia di temperatura dell' acqua. E' chiaro che con questi livelli termici non raggiungerò mai le temperature necessarie per produrre il vapore necessario a far muovere le turbine, ma per molte applicazioni che consumano tanta parte del fabbisogno energetico nazionale, un sistema solare integrato con sistemi innovativi di immagazzinamento del calore potrebbe essere più che sufficiente. In questo modo le riserve energetiche decrescenti e più nobili potrebbero essere riservate a consumi più esigenti, quali l' autotrazione e l' industria. Si tratta quindi di un approccio nuovo che non mira solo a produrre di più, ma anche a suddividere i vari settori di utilizzo in funzione delle diverse esigenze del fabbisogno energetico. Detta così, la cosa sembrerebbe ovvia, banale e di facile applicazione, ma così non e’. Occorre prendere coscienza del problema e voler applicare questa soluzione risolvendo tutti i problemi tecnici, normativi ed economici che ne conseguono. Tanto per fare un esempio: se voglio trasformare il boiler elettrico di casa in boiler solare, devo applicare i pannelli sul tetto, (che e’ condominiale e fa parte del paesaggio) passare i tubi attraverso le case dei vicini, e creare da qualche parte (il sottotetto condominiale o uno spazio dell'appartamento) un serbatoio di riserva (più grosso del boiler) ben coibentato. Quanto basta per scoraggiare anche il più convinto ecologista! Invece e’ proprio qui che i legislatori, veramente preoccupati per l' ambiente, potrebbero fare molto: norme innovative e contributi pubblici potrebbero cambiare la situazione favorendo la differenziazione delle fonti di energia per soddisfare consumi diversi. Il petrolio per quelli per i quali questo tipo di combustibile e’ veramente significativo e le fonti alternative per quei consumi più semplici (ma non meno importanti) cui le forniture di tipi diversi di energia alternativa possono adattarsi agevolmente. In questo modo, fonti energetiche marginali, che altrimenti sarebbero trascurate, potrebbero soddisfare una parte del fabbisogno nazionale. E' chiaro che anche così l'approvvigionamento energetico resterebbe scarso, ma i risparmi potrebbero essere importanti e, come ricordava con emozione Paperone, l'inizio della ricchezza e’ il primo centesimo risparmiato! [TSCOPY](*)Università di Torino [/TSCOPY] Roberto Jona (*) ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 nov. ’04 OLTRE 23MILA STUDENTI PART TIME prorettore per gli studenti all'Università di Bologna (uno degli atenei più attivi al riguardo ndr) - aumenta notevolmente la qualità dei servizi universitari perche’ molte strutture a partire dalle biblioteche, possono concedersi orari più lunghi proprio grazie a loro». Si tratta di un elemento vitale per 'le università, soprattutto in una fase come questa di assunzioni bloccate, ma non e’ il solo valore aggiunto prodotto dagli «studenti part time. Molto spesso vengono impiegati con successo nelle attività di accoglienza delle matricole e di orientamento degli studenti, che in questo modo si possono confrontare con "colleghi" più maturi che conoscono le loro esigenze e i consigli migliori da offrire. Non esiste un riconoscimento didattico per le collaborazioni studentesche, che del resto I sono un'attività pagata equiparata alle borse di studio, ma anche il curriculum dell'interessato ne può beneficiare. «Nel, 20% dei casi circa - spiega infatti il prorettore dell'Alma Mater - nel nostro_ ateneo le 150 ore danno poi luogo a uno stage valido ai fini della laurea, e rappresentano un ottimo strumento di selezione per i futuri tirocinanti». Perche’ ciò avvenga e’ necessario che l'impiego previsto nelle 150 ore sia funzionale al profilo di studi, e la creazione degli abbinamenti opportuni e’ una delle attività più importanti degli uffici che gestiscono le collaborazioni. La scelta. In molti casi lo studente può esprimere preferenze sull'attività da svolgere, e le opzioni crescono coli l'aumentare delle dimensioni dell'ateneo. Alla Sapienza di Roma non c'e’ un bando centrale, e gli aspiranti collaboratori possono scegliere la destinazione tra i molti promossi da dipartimenti, presidenze, biblioteche e istituti, Ogni centro di spesa partecipa alle risorse di un fondo centrale che, spiegano dall'università, «e’ da 3,1 milioni di euro e viene sfruttato ogni anno con maggiore intensità», al punto che i quasi 11mila studenti impiegati quest'anno sono molto vicini alla soglia massima sostenibile. Opportunità. I servizi più gettonati dai ragazzi romani sono il Sort, che offre informazioni didattiche presso tutte le facoltà, e il Ciao, che accompagna le matricole lungo tutto Ìiter necessario a iscriversi all'università. «Gli studenti impiegati - sottolineano dall'ateneo - ricevono una formazione specifica e sono affiancati da professionisti per le attività tecnicamente più impegnative come il calcolo dell'Isee». Anche il controllo di qualità e’ affidato ai ragazzi (se ne occupano due studenti membri del Cda dell'ateneo), naturalmente affiancati dai responsabili delle diverse strutture. i piccoli atenei offrono opportunità numericamente inferiori; ma talvolta più interessanti dal punto di vista retributiva. quanto accade ad esempio a Cassino, una delle poche realtà in cui il compenso netto orario supera la soglia dei 10 curo perche’, sottolineano dall'ateneo, «la nostra politica da molta importanza ai contratti e alle borse di studio per gli studenti». Queste cifre, quindi, saranno probabilmente confermate nel prossimo bando, la cui pubblicazione e’ prevista per gennaio. GIANNI TROVATI ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 nov. ’04 RSU. VINCONO I CONFEDERALI PUBBLICO IMPIEGO Secondo i primi risultati delle elezioni battuti gli autonomi - Cresce l'affluenza Testa a testa tra Cgil e Cisl per il primato dei voti - La Uil: «Più forti nel confronto con il Governo» Un aumento complessivo dell’alleanza, una crescila generale di tutte le confederazioni, li sindacato confederale, all’indomani dell'elezione per le Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) del pubblico impiego si scopre più forte nei confronti del sindacato autonomo e si sente rinvigorito nei confronti del Governo. «Questi risultati -- spiega Carlo Podda della Cgil sono un segnale chiaro di sostegno alla battaglia che finora abbiamo sostenuto. Un segnale che ci dice chiaramente di non mollare. anzi di intensificare se e’ necessario la nostra mobilitazione. Il riferimento e’ al mancalo rinnovo contrattuale e allo sciopero generale del 30 novembre. I dati sono ancora provvisori dal momento che si e’ volalo in 14mila amministrazioni e che lo scrutinio durerà qualche giorno, ma e’ già possibile una valutazione sui numeri dell’affluenza. «Siamo intorno all'80% spiega Rito Tarelli della Cisl - in crescita di cinque punti circa rispetto alle precedenti elezioni quando l'affluenza era stata del 75% circa, Per noi - continua -- si tratta di risultati importanti. La Cisl infatti al momento si attesterebbe attorno al 30% circa, in aumento rispetto al precedente 28 per cento. -Siano i primi - dice Tarelli - nel Lazio, in particolare a Roma, e nel Veneto. Primi anche in alcuni enti come Inps e Inail. Ma oltre il nostro - successo considerto estremamente positivo anche l’incremento di Cgil e Uil a scapito delle :sigle autonrne. Sulle stessa linea Antonio Foccillo della Uil: «Il risultato del voto conferma che i lavoratori del pubblico impiego si sentono rappresentati dal sindacato confederale, Ora andremo avanti proseguendo la lotta d sostegno della vertenza contrattuale contro la politica del Governo che non vuole riconoscere ai lavoratori il recupero del potere d'acquisto». L'ultima tornata di elezioni per le Rsu acquista, un significato particolare proprio perche’ arriva nel pieno di lungo braccio di ferzo tra Governo e sindacati sul rinnovo del contratto ':collettivo. un confronto ferino. senza molti spiragli, sul nodo delle risorse economiche. il sindacato chiede l’8% di aumento, il Governo e’ disponibile a ragionare sul 3 per cento. Il confronto però sulla copertura finanziaria del contratto si intreccia con quello del taglio alle tasse, «Sembra infatti - dice Tarelli - che questo Governa non sappia concepire altro intervento di politica economica se non tagliare le risorse degli statali». Una situazione di forte contrapposizione che ha sostenuto la spinta dei lavoratori verso il sindacato. La Cgil ha, al momento, quota 34 per cento: Risultiamo il primo sindacato nella sanità e degli enti locali, dove cresciamo del 3 per cento. Nei ministeri cresciamo del 4% e del 3% negli enti pubblici. siamo secondi nel parastato», dice Carlo Podda. Quanta alla Uil i primi dati danno il sindacato guidato da Luigi Angeletti al 24% per cento. «Siamo il primo sindacato dice Foccilla.- al Cnr, il più numeroso per dipendenti degli enti di ricerca con una percentuale pari al 35% dei voti), all'Agenzia Ambiente (30%). all'Aviazione civile (44%), all’Ice e in alcuni Comuni, come Torino e Pavia», Nei giorni scorsi sui risultati dell'affluenza erano intervenuti anche i leader di Cgil e Cisl, Guglielmo Epifani e Savino Pezzotta. Per il numero uno della Cgil l’affluenza alle urne da parte dei pubblici dipendenti rappresenta la più grande soddisfazione per chi crede nel rapporto inscindibile fra democrazia, sindacato e lavoratori», Mentre Pezzotta, oltre che per il risultato della Cisl. si e’ dichiarato soddisfatto «per la grande partecipazione democratica alla competizione». E ha aggiunto: «Il Governo deve cogliere il chiaro segnale che e’ venuto da questo rinnovo»: SERENA UCCELLO _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 nov. ’04 UNA RIVOLTA CONTRO SORU SULLE NOMINE I partiti del Centrosinistra: "Estranei alla lottizzazione, traditi i criteri" Contestate le scelte su Sfirs e Consorzio 21, chiesto un vertice della maggioranza E’ scontro dentro i Ds FILIPPO PERETTI CAGLIARI. E’ rivolta contro Renato Soru, stavolta dentro il Centrosinistra. Gli alleati, esclusa La Margherita, hanno contestato le nomine decise dalla giunta regionale per Sfirs e Consorzio 21: scelte politiche fatte senza consultare i partiti e tradendo i criteri indicati agli elettori. Le nomine che hanno scatenato la dura reazione dei partiti "ufficiali" sono state decise due giorni fa. Per la Sfirs: il presidente Giuseppe Busia (vicino a Enrico Letta, ex ministro della Margherita), il vice presidente Gianfranco Bottazzi (vicino all’ex assessore del Prc Luigi Cogodi), i consiglieri di amministrazione Maria Grazia Piras (ex collaboratrice di Pietro Soddu alla Provincia di Sassari), e Giovanni Corona, diessino indicato dal presidente consiglio regionale Giacomo Spissu ma amico anche del capogruppo Siro Marrocu. Per quanto riguarda il Consorzio 21, il presidente Giuliano Murgia (ex assessore, poi consulente di Tiscali e ora dirigente di Progetto Sardegna), i consiglieri di amministrazione Giovanni Biggio, indicato da Progetto Sardegna, pare da Gianluigi Gessa, Piero Cappuccinelli, anch’egli vicino a Spissu, e Paolo Zanella, ex ricercatore al Crs4. Il primo a reagire e’ stato Antonello Licheri, capogruppo del Prc: "Le nomine politiche sono avvenute senza una consultazione collegiale della maggioranza, quella del professor Bottazzi non e’ in quota al nostro partito, non interessato a questo tipo di discussioni, nessuno e’ autorizzato a dire il contrario. In questo senso non c’e’ alcuna discontinuità rispetto al passato". Per i Ds sono scesi in campo il segretario Renato Cugini e il capogruppo Siro Marrocu, che hanno chiesto un incontro a Soru: "C’e’ urgente necessità di esaminare i fatti che sono avvenuti". Qualche ora dopo, vista la presa di posizione anche di altri partiti, Cugini, allarmato, ha deciso di restare a Cagliari manifestando "disponibilità a un immediato confronto di maggioranza e con i singoli partiti per evitare che si aggravino le divergenze". Ma sotto la Quercia e’ bufera. Tre consiglieri (Silvio Cherchi, Antonio Calledda e Alberto Sanna) hanno denunciato "perplessità e disorientamento nell’elettorato" e hanno criticato soprattutto la nomina di Murgia (dirigente di Progetto Sardegna) che e’ "in contrasto con le dichiarazioni" di Soru "contro le lottizzazioni e la voracità delle segreterie dei partiti". Hanno aggiunto: "La moralizzazione della vita pubblica non può passare attraverso lottizzazioni monocratiche, neanche quando le scelte ricadono su persone capaci e stimate come Murgia". E hanno messo sotto accusa "chi nei Ds ha avvallato le decisioni della giunta" anche col rischio di "lacerazioni nel gruppo". Un messaggio non solo a Spissu ma anche a Marrocu: "I rappresentanti di un importante partito o partecipano alle scelte o non accettano un ruolo subalterno e lasciano al presidente la responsabilità delle decisioni". Il presidente e il segretario dello Sdi, Benedetto Ballero e Emidio Casula, hanno parlato di "assenza di confronto" e di "decisioni maturate in ristrette conventicole", hanno rimarcato che "appare oscure il criteri con cui, dopo alcune dubbie nomine commissariali negli Enti, sono stati ricostituiti gli organi di Sfirs e Consorzio 21", nomine che "appaiono in aperta violazione dei criteri definiti da Soru durante la campagna elettorale e ora stravolti con scelte di carattere amicale e correntizio". Ballero e Casula hanno così posto "la necessità di urgenti incontri bilaterali e collegiali tra tutte le forze politiche della maggioranza di Centrosinistra". Vertici chiesti anche da Sergio Marracini (Popolari Udeur), Adriano Salis (Italia dei Valori) e Salvatore Serra (Comunisti italiani), che fanno parte del gruppo consiliare Sardegna Insieme. "Le dichiarazioni rilasciate da alcuni dirigenti del Centrosinistra - hanno detto - creano preoccupazione e fanno riflettere su singole iniziative che rischiano di essere disaggreganti rispetto all’unità della coalizione". E dato cvhe l’unità e’ "un valore imprescindibile", secondo i tre partiti e’ "necessario un incontro urgente di tutti i partiti per evitare il ripetersi di tali situazioni". Sulle nomine ha preso posizione il rettore dell’Università di Sassari, Alessandro Maida, che ha espreso "soddisfazione" per "le scelte di alto profilo che coinvolgono qualificati esponenti del mondo universitario". Maida ha detto di riferirsi "al professor Pietro Cappuccinelli, ordinario di microbiologia a Sassari e accademico dei Lincei, impegnato in campo sanitario in Italia e all’estero nei paesi in via di sviluppo, e al professor Giovanni Biggio, neuropsicofarmacologo a Cagliari, che ha una ricca produzione scientifica". _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 nov. ’04 REGIONE: CONCORSI E NOMINE, SONO SCELTE INECCEPIBILI Con lo stile diretto e un pò rude che gli conosciamo il presidente della Regione Soru ha posto sul tappeto nella conferenza stampa di avantieri il vero problema della Regione sarda: la macchina amministrativa che non funziona Soru ha parlato di una monocultura giuridica ormai inadeguata ai tempi e agli obiettivi della Giunta. Avrebbe potuto indicare almeno altri due deficit: l’organizzazione interna, che continua a segnalarsi in negativo per la sua rigidità (e’ il difetto capitale e mai superato del vecchio modello per assessorati a paratie stagne); e - soprattutto - il clientelismo dominante nelle assunzioni e nelle carriere del personale. Naturalmente esistono le eccezioni: ma dopo il mio articolo dell’altro giorno sui concorsi un amico mi ha suggerito di studiare le catene ereditarie alla Regione, di ricostruire con pazienza certi alberi genealogici analizzando comparaggi e nepotismi, o la pletora dei figliocci degli onorevoli sparsi in ogni assessorato. Diciamolo francamente: in questi cinquant’anni il posto in Regione e’ stato troppo spesso oggetto di scambio. Un personale burocratico pericolosamente vicino alla politica ha prestato i suoi uomini (non sempre i migliori) ai partiti, ha intrattenuto con gli assessori pericolosi rapporti di confidenza personale, ha mediato (anche gestendo le pratiche, ritardi compresi) il grande meccanismo della divisione delle spoglie che per lunghi anni ha caratterizzato l’attività di una certa Regione. E i partiti, o meglio i loro leaders, hanno visto spesso la Regione come il campo nel quale esercitare il proprio patronage. Arriva adesso Soru e mette i piedi sul tavolo. Sulla questione dei concorsi non capisco però cosa gli si possa rimproverare: ma davvero pensiamo che un bando riservato al 50% agli interni possa corrispondere al pubblico interesse? Davvero riteniamo equo far correre alla pari i laureati e chi la laurea non ce l’ha? E i sindacati sostengono questa linea e per questo proclamano addirittura lo sciopero? Sul caso delle nomine, ugualmente, non si comprendono (o meglio, forse li si comprende troppo bene) i motivi del putiferio sollevato dai partiti della maggioranza. Se le nomine spettano, come certamente spettano, alla Giunta e i partiti in quanto tali non c’entrano niente, allora si deve discutere semmai nel merito. E nel merito i nomi a me sembrano in gran parte dei casi ineccepibili, in altri più che accettabili: perche’ gente come Piero Cappuccinelli o Giovanni Biggio o Gianfranco Bottazzi sono nel loro campo di livello internazionale; perche’ il neopresidente della Sfirs Giuseppe Busia (che conosco da anni come uno dei più preparati collaboratori di Stefano Rodotà all’Authority per la privacy) e’ per qualità assolutamente fuori discussione. Si dice che Giuliano Murgia e’ uomo di partito (cioe’ uomo di Progetto Sardegna). Lo e’, indubbiamente; ma vanta anche un curriculum pubblico di tutto rispetto. La novità qui, più che nei nomi, a me sembra stia nel modo nuovo della designazione, che non deriva (finalmente) dall’estenuante sequenza dei vertici tra partiti ma appare, nel bene e nel male, esercizio autonomo della responsabilità della Giunta. Se la Giunta ha sbagliato pagherà politicamente. Sennò ne trarrà vantaggio. Francamente non conosco altro modo di fare le nomine che non sia quello di farle, e di sottoporle poi al vaglio severo dell’opinione pubblica. Ma, si dice, ciascuno dei nominati e’ "vicino" a questo o quel personaggio politico. E’ un gioco, questo di risalire agli sponsor, più che legittimo, e giornalisticamente forse anche giusto: ma per me, nel caso specifico, conta assai di più la testimonianza del rettore di Sassari Alessandro Maida, che "garantisce" l’alto profilo scientifico dei professori Cappuccinelli e Biggio. Del resto, se non si crede a Maida, basta farsi un giro per Internet, e non solo nei siti italiani. Guido Melis _________________________________________________________________ Monde Diplomatique 25 nov. ’04 RISCHIA DI SPARIRE LA MEMORIA AUDIOVISIVA Preservare il patrimonio delle immagini del XX secolo Da 15 al 19 ottobre, si svolge a Parigi, nel quadro della Conferenza annuale della Federazione internazionale degli archivi televisivi, un grande incontro di responsabili della memoria audiovisiva del pianeta. Problema: come salvaguardare le immagini e i suoni che documentano, meglio delle parole scritte, la nostra epoca? A livello internazionale, l'80% degli archivi rischia di scomparire. E’ il caso di paesi ricchi come gli Stati uniti i cui dirigenti incoscienti rifiutano di impegnarsi nella conservazione del patrimonio audiovisivo. E’ anche il caso dei paesi in via di sviluppo per via del costo di tali operazioni. Ma come si può accettare senza batter ciglio che si cancelli per sempre l'eredità audiovisiva del XX secolo? Emmanuel Hoog «Sapevo che sarei morta, era inevitabile.» Con queste parole Antigone, rassegnata alla sua tragica sorte, si rivolge a Creonte, re di Tebe. Siamo nel 1967 (1) e le telecamere di Jean-Claude de Nesle filmano il volto di Nita Klein nell'adattamento televisivo di Jean Cocteau. Così, per la prima volta dal tempo della rappresentazione teatrale, la tragedia di Sofocle faceva il suo ingresso in televisione e in un'altra temporalità. Riscritta su una pellicola da film le sarebbe stata garantita, questo perlomeno si credeva all'epoca, una nuova eternità. Ma non e’ stato così. Immagini, suoni, film, video o bande magnetiche vivono ai confini dell'effimero. La loro scomparsa programmata fa del patrimonio mondiale audiovisivo l'infelice protagonista di una tragedia moderna dal titolo: morte della memoria collettiva. Qui, tuttavia, non c'e’ determinismo, ne’ maledizione. Tutto e’ evitabile. Ci sono tragedie di cui val la pena di riscrivere il finale. Due mondi si trovano uno di fronte all'altro: l'analogico e il digitale. Passare dal primo al secondo permette di salvare tutta la memoria audiovisiva del pianeta. Bisogna dunque organizzare una «traversata del Mar Rosso» e giungere insieme alla «Terra promessa». La digitalizzazionek degli archivi e’ già stata sperimentata e rappresenta un elisir di lunga vita capace di restituire ai popoli la dimensione della loro memoria-immagine. E’ in gioco la diversità del mondo, la conservazione delle identità ed anche l'indispensabile trasmissione di tutto ciò alle future generazioni. Secondo l'Unesco, il patrimonio mondiale audiovisivo, al di fuori del cinema, consiste in 200 milioni di ore (2) suddivise a metà tra televisione e radio. L'80% di questa memoria e’ in pericolo. A seconda dei supporti, la speranza di vita dei documenti varia di qualche anno, ma un unico dato deve richiamare la nostra attenzione: tra dieci anni tutto sarà sparito. Elencare quel che si rischia di perdere e’ impossibile. Non tutte le regioni del mondo sono colpite allo stesso modo. Allo squilibrio digitale spesso descritto (3) si aggiunge quello della memoria. Sudamerica, Africa, Medio oriente e Sudest asiatico sono le principali regioni a rischio. Molti paesi come Regno unito, Italia, Francia, Germania o Svezia hanno già cominciato a realizzare piani di salvataggio (4). Al contrario, i paesi poveri del Sud vedono sparire parti intere dei loro archivi (5). La diversità culturale e’ in pericolo perche’ il patrimonio audiovisivo oltre ad essere, in primis, un indispensabile punto d'incontro, garante delle identità e della storia, e’ anche lo specchio delle nostre società, della vita quotidiana, delle nostre passioni ed emozioni. Nessun requiem per le pellicole Nel 1977 e’ stata fondata a Roma (6) la Federazione internazionale degli archivi televisivi (Fiat). Alcuni anni più tardi, nel 1980, l'Unesco ha esplicitato la sua attenzione al problema raccomandando la «salvaguardia e la conservazione delle immagini in movimento» (7). La Federazione, che conta 180 membri in più di 60 paesi, incoraggia la cooperazione regionale e interroga gli utenti degli archivi sulle problematiche legate alla preservazione del patrimonio audiovisivo (8). Ma l'assunzione di coscienza e’ lenta. Costituita da immagini e suoni, la memoria audiovisiva soffre paradossalmente di un fenomeno di degrado che per il grande pubblico e’ invisibile ed impercettibile. Se crolla una vetrata della cattedrale di Chartres, o se si rovina una stanza del castello di Versailles, la Francia si commuove e immediatamente si organizza una colletta nazionale. Il mondo trova insopportabile che si degradino i tempi di Angkor. Al contrario, migliaia di pellicole accatastate in lunghi scaffali muoiono nel silenzio. Oggi, grazie alla tecnologia digitale, si potrebbe garantire al patrimonio audiovisivo una vita lunga e rinnovabile (9). Inoltre, e realizzando una separazione fisica tra il supporto d'archivio e l'utente, il digitale permette l'accesso alla memoria. Una volta compressi, suoni e immagini accompagnano con una definizione perfetta tutti i campi attuali, che siano artistici o culturali, pedagogici o di ricerca. Entrando nelle scuole e nelle università, il patrimonio audiovisivo offre una nuova dimensione agli insegnamenti fondamentali. Per i ricercatori si rivela poi un notevole strumento di lavoro sui media, mentre per gli artisti diventa una fonte di ispirazione, innovazione e ri-appropriazione. Garantire la conservazione materiale degli archivi audiovisivi ha lo stesso senso che restaurare le nostre cattedrali. Lo sforzo finanziario condiziona la risposta o piuttosto l'assenza di risposta. Spesso, soprattutto nei paesi del Sud, mancano risorse sufficienti per soluzioni tecnologiche costose: diventa dunque indispensabile un contributo di tipo mutualistico. In altri casi le risorse sono disponibili, come negli Stati uniti. Questi ultimi però non hanno ancora lanciato un piano di digitalizzazione per i loro favolosi fondi analogici, in quanto ritengono che gli archivi non abbiano un sufficiente valore commerciale... Alle difficoltà finanziarie si aggiunge un doppio deficit di formazione: prima di tutto dei responsabili, incapaci di prendere coscienza delle poste in gioco, e poi del personale addetto alle tecniche di conservazione. In ogni paese, vi sono competenze che devono essere sviluppate e trasmesse. L'Afghanistan, per esempio, ha conservato una parte della sua storia, ma su cassette a 2 pollici. Purtroppo oggi il paese non possiede più strumenti di lettura capaci di decodificarle (10). Diventa cieco, come lo era Champollion di fronte ai geroglifici, prima di scoprire e decodificare la stele di Rosetta. Trasferire un mondo di suoni ed immagini in digitale vuol dire accendere una nuova luce. Ma alcuni paesi sono costretti alla cecità. Per tentare di ridurre le disuguaglianze, sono stati avviati programmi ambiziosi, come il progetto Presto Space, sostenuto dall'Unione europea. Suo obiettivo sono soluzioni globali di digitalizzazione e sfruttamento per ogni tipo di collezione audiovisiva. Gli strumenti di protezione sono suddivisi e resi finanziariamente più abbordabili, mentre vengono sviluppate strategie di diffusione e sfruttamento dei fondi. Il presidente del Senegal, Aboulaye Wade, a sua volta, ha avanzato il concetto di «solidarietà digitale», una strategia il cui obiettivo e’ livellare il fossato Nord-Sud. Il programma di cooperazione internazionale Interpares, poi, riunisce una ventina di paesi e propone soluzioni digitali di conservazione. In Sudafrica, diverse istituzioni culturali e scientifiche si propongono di realizzare, insieme, un centro di archivi digitali. Anche a Taiwan, nove istituzioni nazionali lavorano attorno a un progetto dello stesso tipo. Perche’ fermarsi qui? Perche’ non immaginare una risposta ancor più originale: una memoria globalizzata in un mondo globalizzato? Sarebbe questo un approccio esattamente opposto al modello storico seguito finora. Si prenda ad esempio la polemica sulla conservazione da parte del British Museum di Londra delle sculture del Partenone e sulle proteste del popolo greco che ripete: «Rendetecele, sono nostre». Con le immagini e i suoni, non ci sarebbe più nessun problema di questo tipo rispetto alla dislocazione o all'identità nazionale. Le immagini di un paese, anche se conservate e salvaguardate da un altro, possono esser copiate (11) dal primo e poi date al secondo evitando, finalmente, che uno dei due ne sia privato. Un domani, se gli sforzi proseguono e se viene dato un decisivo impulso al digitale, sarà possibile realizzare questa traversata a beneficio di gran parte della memoria del mondo. E tutte le energie potranno allora concentrarsi sulla valorizzazione del patrimonio audiovisivo mondiale salvato. Al di fuori del discorso finanziario, il vero problema potrebbe allora diventare quello dei diritti e degli egoismi che ne conseguono. Sempre più particolari, sempre più atomizzati, i singoli diritti che derivano dai nostri ricordi sembrano contraddire la possibilità di realizzare un patrimonio comune, accessibile a tutti. E’ forse questo un nuovo paradosso, una nuova frontiera? La storia della memoria per molto tempo e’ stata la storia dei suoi supporti, ormai tende a diventare la storia dei diritti che vi sono collegati. Sapremo condividerli e permettere l'accesso a questo patrimonio? Per il futuro, la migliore risposta a questa domanda sembra essere la realizzazione generalizzata, in ciascun paese, di un deposito legale di documenti audiovisivi. In questo modo si potrà garantire la costituzione ragionata di vere e proprie biblioteche audiovisive che domani, collegate a tecniche di codificazione e a sistemi anti-copia, dovrebbero consentire a chiunque di accedere a tutte le memorie del mondo. ================================================================== _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 nov. ’04 RIEVOCAZIONI LA REGINA E BROTZU, SCIENZIATO DA NOBEL di Lucio Spiga La prima volta che Elisabetta d'Inghilterra venne a Cagliari fu nella primavera del 1951: non era ancora regina. Vi tornò nel 1956, brevemente, con la regina Madre e il principe Filippo d'Edimburgo. L'accoglienza dei cagliaritani fu calorosa. «Vengo in Sardegna ben volentieri, quasi con un senso di gratitudine», osservò la regina, conversando con l'allora presidente della Giunta regionale Giuseppe Brotzu. «Quanto elaborato dalla Giudicessa Eleonora D'Arborea (morta nel 1404), che rinnovò la legislazione della vostra isola con la "Carta de Logu" e’ servita non poco per realizzare e completare la Magna Carta inglese». Altri sardi sono entrati nel cuore della regina Elisabetta, visto che di recente ha conferito a Gianfranco Zola, uomo ed atleta esemplare, il titolo di "membro onorario dell'Ordine dell'impero britannico". Certamente non le era sconosciuto il professor Giuseppe Brotzu, il cui nome aveva risonanza internazionale per la scoperta delle "Cefalosporine", da cui sono derivati il Ceporin e il Keflin, antibiotici di straordinaria efficacia. Lo scienziato (nacque nel 1895 a Cagliari e vi morì nel 1976) fu titolare dell'Istituto d'Igiene e per molti anni rettore dell'Università di Cagliari. Consigliere regionale nelle prime tre legislature, assessore all'Igiene e sanità, nelle Giunte Crespellani e Corrias e in seguito presidente della Regione per due volte (dal 21 giugno 1955 al 30 ottobre 1958) il professor Brotzu fu eletto sindaco di Cagliari nel 1960 e si dimise dal Consiglio regionale. Era quindi sindaco quando Elisabetta II tornò in Sardegna, il 29 aprile 1961, e soggiornò a Cagliari due giorni. A quell'avvenimento, L'Unione Sarda dette un ampio risalto. Peppino Fiori, con grande professionalità, fece un quadro particolareggiato della visita cagliaritana di Elisabetta e del suo seguito. Il Comet del comandante William Billie atterrò a Decimomannu alle 15,48. A ricevere la regina Elisabetta II furono il presidente della Giunta regionale Efisio Corrias e quello del Consiglio, Agostino Cerioni; Giuseppe Meloni, presidente della Provincia di Cagliari, il colonnello Flora, consigliere militare del presidente della Repubblica Gronchi, il prefetto di Cagliari Russo, il vice capo del cerimoniale del ministro degli Esteri De Ferrari, il generale Bongiovanni, comandante militare della Sardegna, il rappresentante del Governo Ferrara, il sindaco di Decimomannu Dessì. La regina era accompagnata dal consorte Filippo d'Edimburgo, dalla regina Madre e dall'ambasciatore inglese in Italia Clark. I reali, sotto una pioggia battente, a bordo della Rolls Royce attraversano Assemini, Elmas, Sant'Avendrace, viale Trieste per giungere nel Palazzo civico in via Roma. Uno striscione con la scritta sbagliata ("Welcome in Cagliari" e non "Welcome to Cagliari") sistemato di fronte all'attuale Rinascente accoglie Elisabetta e il suo seguito. Ragazze e ragazzi in costume sardo provenienti da Quartu, Quartucciu, Sinnai, Desulo, Teulada e Plaghe fanno da cornice all'ingresso del Palazzo comunale, dove tra i primi a ricevere il saluto, con un leggero inchino di Elisabetta, fu il professor Antonio Romagnino, che ricambiò a sua volta con leggero inchino del capo. Il saluto ufficiale fu rivolto dal sindaco Brotzu: «Maestà, l'accoglienza festosa che la popolazione della nostra città vi ha voluto spontaneamente tributare vi indica di quanta simpatia sia circondato il nome di vostra maestà e quanto sia l'amicizia per la vostra gloriosa nazione». Il sindaco offrì in dono alla Regina due splendide bambole in costume sardo e un bel gioiello in filigrana. Il 30 aprile, prima di ripartire da Cagliari, la Regina ebbe parole di elogio per la Sardegna ed in particolare per il professor Brotzu, considerato uno dei più grandi scienziati dell'epoca moderna. Se fosse dipeso dalla regina D'Inghilterra, credo gli sarebbe stato assegnato il Premio Nobel per le sue eccezionali scoperte scientifiche. ___________________________________________________________ Il Gazzettino 22 nov. ’04 LE CARTELLE CLINICHE VIAGGIANO SUL WEB LEGNAGO Nei giorni scorsi in un convegno alla «Mater Salutis» si e’ discusso di un progetto rivoluzionario a tempi brevi L'utente potrà vedere sul computer gli esami cui e’ stato sottoposto, nella privacy totale (M.R.) Cartelle cliniche sul web all'ospedale di Legnago. La cartella clinica web e’ il nuovo rivoluzionario sistema che la tecnologia dell'informatica e delle telecomunicazioni (Ict) porterà nel futuro dei pazienti e degli operatori sanitari, garantendo uno strumento di lavoro di semplice gestione, pratico, di sicura utilità. E l’Asl 21 potrebbe essere tra le prime in Italia ad avvalersi di questa tecnologia. Proprio per arrivare a questo progetto e’ stato organizzato un convegno nazionale "Dalla cartella clinica locale al fascicolo sanitario personale su web: una realtà irrinunciabile", promosso dall' Unità Operativa Complessa di Neurologia dell’Usl 21. e tenutosi nei giorni scorsi all'ospedale "Mater Salutis" di Legnago. I maggiori esperti di questo sistema ne hanno spiegato le caratteristiche, tra gli altri Gianni Origgi, responsabile Sistemi informativi per il Niguarda" di Milano, prima struttura in Italia ad avere la cartella clinica web già operativa. "Niguarda-ouline" e’ infatti un progetto sperimentale di telemedicina che permette ai pazienti dislocati in qualsiasi parte del mondo di accedere tramite internet, da una qualsiasi postazione informatica, alla propria cartella clinica web, una vera e propria cartella virtuale dove verranno registrati tutti gli accertamenti e le cure erogate dalle strutture sanitarie. "L'intenzione, in collaborazione con i medici di base, e’ quella di trasferire tutta la storia clinica di un paziente in un cosiddetto "fascicolo sanitario personale" in cui vengano registrati, ossia messi su un server, tutti gli esami di laboratorio, i referti e le immagini diagnostiche, o le lettere di dimissioni, che l'utente potrà visualizzare da qualsiasi postazione internet, tramite un codice d'accesso personale. nel pieno rispetto della propria privacy", spiega Bruno Costa, neurologo dell'Ulss 21. "Entro un anno dovremo avere a disposizione i macchinari adatti, poi si passerà alla formazione del personale dell’azienda sanitaria - continua il dottor Costa -. In Francia e’ stata appena approvata la legge che obbligherà entro tre anni tutti i cittadini maggiori di 16 anni ad avere la cartella clinica on line, ma e’ un percorso che presto o tardi anche le Ulss italiane saranno costrette a fare perche’ i vantaggi sono evidenti. sia per i pazienti, sia per il personale sanitario" La cartella clinica web garantisce qualità, sicurezza, grande velocità e precisione nello scambio di informazioni. L'utente avrà la possibilità di accedere in ogni momento e in ogni luogo alla propria storia medica e trasmetterla in ogni parte del mondo per un consulto grazie ad un semplice collegamento internet, evitando così di affrontare costosi trasferimenti. Non sarà più obbligato a ritirare allo sportello gli esami diagnostici ma potrà visualizzarli direttamente on-line da casa propria. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’04 TELEMEDICINA, I PRIVATI SCENDONO IN CAMPO di Gianfranco Bettetini Trasferimento di file di testo o di immagini, esami diagnostici a distanza, continua disponibilità della cartella clinica, contatto con persone affette dalla stessa malattia, consultazione di banche dati e di giornali scientifici. Sono gli esempi più eclatanti di come la tecnologia e’ diventata supporto indispensabile anche della comunicazione medica. E in questo panorama di virtuosità i nuovi media offrono un valore aggiunto ai servizi tradizionali, come il loro decentramento, la riduzione degli spostamenti e dei vincoli temporali, la personalizzazione e l'integrazione tra le diverse fasi del processo di fornitura. Le critiche. Accanto agli elementi positivi del fenomeno si manifestano istanze critiche: Internet, per esempio, e’ uno spazio complesso, nel quale possono situarsi anche informazioni disperse e non organizzate, che rischiano di causare un sovraccarico cognitivo e, paradossalmente, disinformazione; ed e’ poi necessario tener conto dei problemi implicati dalla sicurezza, dalla qualità e dalla privacy dei dati, dal "digital divide", dalle difficoltà di definire le responsabilità legali di fronte alle possibili ambiguità derivate dall'assenza di contatto fisico fra medico e paziente e dalle modalità di trasmissione dei dati e dei segnali. La telemedicina tende a far spostare informazioni e a lasciare il paziente nel suo ambiente. Essa consente di ottenere in virtù dell'applicazione della telematica al settore medico, di produrre sistemi di educazione, prevenzione, diagnostica, cura e assistenza a distanza. Si sono succedute nel tempo diverse definizioni da parte di clinici sperimentatori e da parte di istituzioni ed enti nazionali e internazionali: ma il nucleo del discorso, fondamentalmente, non e’ cambiato. La storia. Le radici del fenomeno si possono addirittura individuare nel 1906, quando l'olandese Wilhelm Einthoven, inventore dell'elettrocardiografo, utilizzò sperimentalmente la rete telefonica per trasmettere elettrocardiogrammi ai fini di consultazioni remote. Dopo la Seconda guerra mondiale si sono sviluppate tecniche per la trasmissione di immagini mediche e, con i progressi dell'informatica e delle telecomunicazioni, questa tecnologia ha trovato un fertili- terreno di crescita soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone. Il ruolo di Internet. L'affermazione del digitale, insomma, ha consentito notevoli e specifici progressi nei vari settori nell'assistenza sanitaria. Il ricorso a Internet, soprattutto, si rivela interessante a causa! del suo basso costo e della sua immediata disponibilità. Attraverso la convergenza di Internet, del telefono, della radio e della televisione e’ possibile strutturare un unico sistema di comunicazione multimediale e: interattivo al quale accedere da un solo terminale, quello su cui si fonda la telemedicina. Le motivazioni della sua applicazione e dell'incremento del suo successo sono diverse: il servizio alle aree disagiate, i problemi legati all'estensione e alla morfologia del territorio, il miglioramento dell'attività diagnostica, la possibilità di tele videoconferenze con trasmissione di immagini e di suoni, l'ampia diffusione e la grande ricchezza di informazioni scientifiche, le difficoltà (di accesso al servizio sanitario da parte del paziente disagiato, la possibilità di collaborazione fra enti sanitari viversi. Accanto all'importanza umana e sociale del fenomeno e’ opportuno, inoltre, sottolinearne i vantaggi economici per la collettività e per il Servizi sanitari nazionali. In Italia, l'evoluzione di telemedicina e’ un fenomeno recente e complesso partito in ritardo, ma ormai considerato come una delle priorità da conseguire. Si stanno individuando alcuni obiettivi, come quello di una politica più ambiziosa in mezzi e in infrastrutture di comunicazione; quella della formazione di operatori sanitari adeguati; quello di definire linee-guida per l'autoregolamentazione dei siti sanitari o per la valutazione della qualità delle informazioni trasmesse. I privati in campo. Attualmente, e’ proprio il settore privato che si occupa con più intensità della telemedicina, in collaborazione con medici, aziende sanitarie e centri di ricerca, coinvolgendo società di telecomunicazioni, di infrastrutture di rete, di applicativi software e di apparecchiature medicali. Tra queste, il Gruppo Filo diretto, compagnia che offre soluzioni assicurative, ha fondato nel 2002 una società di servizi di telemedicina, «Filo diretto world chare»: si tratta di un progetto completo, in uno stato avanzato di realizzazione e con estensione territoriale che va oltre i confini della nazione per arrivare a una rete di ospedali remoti distribuiti in tutto il territorio. La struttura dedica un'attenzione particolare alle forme di tutela della privacy e della riservatezza dei dati focalizzando il suo interesse sul «Medicale passport», una scheda personale sanitaria on line del paziente. _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 nov. ’04 DIRETTORI ASL, ARRIVANO LE PAGELLE La Giunta vara i criteri di valutazione: decadrà chi non centrerà gli obiettivi di bilancio Ma nessun manager sarà rimosso (per ora) dall'incarico Tutti al loro posto. Nessun direttore generale delle Asl sarà rimosso dall'incarico. Perlomeno non subito. Impossibile infatti fare qualsiasi valutazione sul loro operato, in assenza di obiettivi fissati sulla carta. Quelli previsti dalla legge nazionale 405 del 2001, mai recepita dalla Regione sarda. Per questo, nella seduta di ieri, la Giunta ha chiarito i tempi del cambio della guardia e i criteri di valutazione che, d'ora in poi, accompagneranno il lavoro di chi amministra la sanità sarda. La delibera, approvata su proposta dell'assessore alla Sanità Nerina Dirindin, ha stabilito il contenuto di una clausola che sarà in calce ai prossimi contratti dei manager Asl: fra i motivi di decadenza dell'incarico sarà inserito anche il mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio. La decisione della Giunta dovrebbe uniformare la Regione a quelle norme nazionali che prevedono anche l'assegnazione di una cospicua fetta di fondi: 60 milioni, previsti dal fondo aggiuntivo del Sistema Sanitario Nazionale, ma accessibili solo a chi rispetterà una serie di prescrizioni di legge, come quella che prevede questa clausola, ma anche, per esempio, il riordino delle reti ospedaliere. Inoltre, significa che per ora i manager resteranno in carica: anche quelli che al momento sono ben oltre i nuovi vincoli di bilancio. La clausola verrà inserita nei contratti dei direttori generali entro quindici giorni, e avrà effetto dall'anno prossimo. Quindi, al termine del mandato, si potranno fare i conti e prendere le decisioni del caso. Ma perche’ la norma nazionale non e’ mai stata recepita in Sardegna? «Era mia intenzione farlo durante il mio mandato» dice l'assessore uscente alla Sanità Roberto Capelli. «Ai primi di gennaio avviai li incontri con i direttori per fissare budget e obiettivi. Poi però sono arrivate le elezioni, non c'e’ stato il tempo». Ora riconosce: «E’ corretto che ora la legge si applichi. Speravo anzi che i giri ispettivi dell'assessore portassero a provvedimenti anche più severi, per almeno tre direttori su nove». Certo e’ che per tutti i manager con bilanci in profondo rosso sarà quantomeno difficile tornare al pareggio. Bloccata invece fin d'ora l'istituzione dei 24 primariati, legata alla delibera della giunta precedente che decretava la nascita di 24 «strutture complesse» sanitarie nell'isola e 8 «unità semplici». La delibera, approvata appena prima delle elezioni, fu poi sospesa dal nuovo esecutivo. «Ogni potenziamento sarà fatto all'interno del piano sanitario regionale», ha chiosato l'assessore Dirindin, «l'unico strumento di programmazione che coinvolge nel modo più corretto il Consiglio Regionale». «Decisione illegittima e demagogica», ribatte Capelli, che ha la paternità di quel provvedimento. Quasi scontato che nel nuovo Piano verranno confermati alcuni primariati, come Radioterapia a Nuoro e Cardiologia ad Alghero. Stanziati i fondi per l'assistenza ai sofferenti mentali: 5 milioni 400mila euro per 143 progetti obiettivo che «consentono ai comuni di sperimentare nuove forme socio assistenziali». Trenta di questi progetti sono stati «programmati in associazione fra Comuni» mentre 113 sono stati «proposti da singole amministrazioni». Cinquanta di questi progetti assicurano la prosecuzione di servizi e interventi già sostenuti dalla Regione negli anni passati. E un'altra fetta di fondi dovrebbe essere sbloccata dalla giunta la prossima settimana. A disposizione ci sono circa 10 milioni di euro. Roberta Mocco _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 nov. ’04 DIRINDIN: IGLESIENTE TRE OPSEDALI SONO TROPPI Iglesias. Per l'assessore Dirindin bisogna razionalizzare. Il sindaco promette battaglia Tre ospedali sono troppi, uno deve chiudere Per il momento, nella lista nera c'e’ soltanto la Asl 7. O, meglio, il presidio di Iglesias con i suoi tre ospedali, mastodontici e sottoutilizzati. Santa Barbara, Centro traumatologico, Fratelli Crobu: troppi, si dice nel palazzo della Regione, uno deve chiudere. E tutti pensano al Crobu. Bisogna tagliare, ridurre i costi, razionalizzare: così ha deciso Nerina Dirindin, assessore regionale alla Sanità. Lo aveva già detto, nelle scorse settimane, in occasione della sua visita nel Sulcis Iglesiente. Lo ha ribadito anche ieri, facendo una sorta di bilancio delle visite nelle Asl di tutta la regione: «In alcuni casi la carenza della programmazione si fa sentire, così come pure l'assenza di una politica sanitaria». E, parlando di Iglesias l'assessore dice: «Ci sono tre strutture, di cui una in fase di ampliamento in un territorio pianeggiante e facilmente raggiungibile. Forse tre ospedali sono davvero troppi». Anche se l'assessore ribadisce che «chiusura fisica di una struttura non significa ridimensionamento dei servizi». Comunque la si voglia presentare, la chiusura e’ chiusura e a Iglesias il progetto suscita reazioni polemiche. In testa c'e’ il sindaco Paolo Collu che difende a spada tratta l'ospedale immerso nel verde di Canonica. «La mia proposta rimane quella fatta nel corso della riunione con i sindaci, ossia che l'ospedale Crobu deve diventare un centro per la neurochirurgia infantile e pediatria. Ma non qualcosa che si limiti al nostro territorio, sia chiaro, piuttosto per tutta la Sardegna». Idea impossibile? «Come noi ci spostiamo da altre parti per farci curare, e’ giusto che avvenga anche l'opposto, visto che siamo in grado di offrire un servizio di alta qualità. E poi se parliamo di soldi spesi male, perche’ non pensiamo a quei progetti che hanno fatto diventare ospedali anche le topaie da qualche parte?» E se gli si fa notare che, già a varcare la soglia del Crobu si ha una sensazione di desolazione tanto e’ sottoutilizzato, il primo cittadino replica: «Dobbiamo pensare che e’ nato molti anni fa come sanatorio tubercolare, il problema e’ che andava riconvertito, valorizzato. Purtroppo chi mi ha preceduto, forse, non e’ stato in grado di fare scelte precise, anche quando si e’ trattato di stabilire la sede amministrativa dell'Asl del Sulcis Iglesiente. Non ho niente contro Carbonia e non e’ una questione di campanile. Però noi avevamo già pronte le strutture da mettere a disposizione». Infine il sindaco fa una promessa: «Fino a quando ci sarò io difenderemo l'ospedale con le unghie e con i denti. Se non sarò più sindaco lo farò da semplice cittadino, qualunque sia il colore politico di chi propone la dismissione». Non tutti sono d'accordo con il primo cittadino. Giuliana Pintus, rappresentante della Margherita che fa parte della commissione consiliare Servizi sociali, fa una riflessione: «Avere tre ospedali può essere una cosa ottima, ma la situazione cittadina e’ irrazionale. Il punto fondamentale e’ garantire un'assistenza adeguata, organizzare, rispondere alle esigenze dei pazienti. E questo non si fa difendendo i muri di strutture che vengono utilizzate in misura minima». Cinzia Simbula _______________________________________________________________ la Repubblica 21-11-2004 TROPPO STRESS IN CORSIA MEDICI A RISCHIO MOBBING L'80 per cento degli operatori degli ospedali vive con disagio il lavoro PER il chirurgo ci vuole lo psicologo. S la conclusione di un'indagine voluta dai «Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza negli ambienti di lavoro» (RIs) dopo aver constatato un elevatissimo tasso di stress e frustrazioni in corsia a carico di medici e infermieri. Il problema, secondo i responsabili «Rls», dovrà essere affrontato al più presto per evitare una degenerazione del fenomeno verso un vero e proprio «mobbing». Anche perche’ i dipendenti vessati e penalizzati sono costantemente a rischio di infortunio professionale con gravi danni per se’ e per chi e’ sottoposto alle loro cure. I dati snocciolati da un'indagine precedente facevano paura: l'80% dei lavoratori degli ospedali, dei poliambulatori e di altre strutture soffre di un me’nage insopportabile con stress sul lavoro che si trascina anche al dl là. delle ore in cui si timbra il cartellino. Nervosismo, insonnia, che diventa anche un insidioso veleno delle ore del tempo libero guastando i rapporti extra lavorativi. Da qui la necessità di una nuova indagine. La prima, coi risultati sopra descritti, aveva riguardato 470 lavoratori quasi tutti angustiati da un'organizzazione del lavoro tale da rendere insopportabili le ore in corsia. Questo nuovo sondaggio sullo stato della salute psicofisica dei lavoratori ospedalieri sarà per questo più strutturata e capace di sondare a tutto tondo la loro vita. Lo scopo e’ quello di tentare, laddove si potrà, di rimuovere le cause dello stress e delle vessazioni. L'annuncio dell'avvio della nuova campagna di studio viene dato sull'ultimo numero di «Articolo 19», bollettino di informazione degli «RIs» delle Aziende sanitarie cittadine. Oggi l'Ausl di Bologna mette insieme circa 8 mila dipendenti, dopo la fusione delle Aziende di «Bologna città», «Bologna nord» e «Bologna sud», a cui si sommano allievi infermieri, specializzandi, medici, frequentatori e il personale delle ditte in appalto. Il nuovo coordinamento degli «Rls» ha quindi deciso di affrontare il problema dello stress legato all'organizzazione del lavoro nel nuovo assetto aziendale, così come quello del mobbing. Due problemi «cbe appaiono in generale aumento», scrive Andrea Spisni, «RIs» dell'Ausl estensore l'articolo sul bollettino assieme a Daniele Tivoli, responsabile sicurezza e prevenzione della stessa Asl. «Forse si penserà che stiamo procedendo a questa rivelazione perche’ il tema trattato e’ di moda e attira l'attenzione dei lavoratori, delle istituzioni e dei mass media» continuano gli autori dell'articolo. «Tuttavia noi siamo convinti che non siano ancora stati adeguatamente studiati i fattori di rischio legati all'organizzazione del lavoro per quel che riguarda la genesi degli infortuni. Abbiano ragione di ritenere che una non adeguata organizzazione del lavoro possa essere la fonte di malessere lavorativo che può sfociare in condizioni di stress e di mobbing fino a essere concausa di infortuni di tipo tradizionale». Il servizio informativo degli «RIs», oltre a esperti dell'università e del «Cnr», collaborerà alla ricerca. La direzione dell'Ausl bolognese si e’ detta disponibile al progetto in cui verrà coinvolta anche la direzione dell'Ausl di Imola. __________________________________________________________ Libero 21-11-2004 BREVETTATA LA GARZA CHE SEGNALA LA SUA POSIZIONE E’ stata realizzata all'Università di Ferrara una garza "intelligente" che segnalala propria presenza via radio grazie a un dispositivo elettronico miniaturizzato. Con questo accorgimento non si corre piú il rischio di dimenticare nel corpo di un paziente la garza stessa. L'intensità delle onde radio emesse dal dispositivo e’ bassissima e non costituisce in alcun modo un rischio per la salute dei paziente. Inoltre, i microchip, da poco brevettati, hanno un costo ridotto (qualche centesimo). _________________________________________________________________ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 21-11-2004 ARTRITE REUMATOIDE NUOVE FRONTIERE DI CURA POLICLINICO/ Il congresso di Reumatologia Nuove terapie contro l'artrite reumatoide (350.000 casi all'anno in Italia) presentate a Bari al congresso sulla «Terapia con farmaci biologici» organizzato e coordinato dal prof. Raffaele Numo, direttore Unità operativa di reumatologia ospedaliera del Policlinico. Si tratta di una categoria di farmaci (remucadre, enbrel, humira, anakinara) capaci di bloccare l'azione di alcune molecole in grado di amplificare e mantenere viva l'infiammazione. Essi sono una specie di missili intelligenti che colpiscono il cuore del processo patologico, bloccano l'estensione dell'infiammazione e dei fenomeni destruenti che ne derivano. «Sono farmaci- miracolo che - ci ha detto il prof. Numo - riescono ad invertire il decorso terribile della malattia e per i quali abbiamo ormai prove di efficacia di azione rapida. Assistiamo ad un drammatico effetto positivo di cui beneficia più della metà dei pazienti trattati». ( risultati clinici sono stati illustrati dal prof. Michele Covelli. L'uso di questi farmaci, però, deve rispondere a severi criteri di utilizzazione e di controllo. La loro prescrizione e’ riservata allo specialista ma - ha detto il prof. Numo - prezioso e’ l'apporto del medico di medicina generale nel compito di prima diagnosi e di controllo. La tutela della salute del malati impone cautela per scongiurare possibili effetti collaterali addebitabili all'abbassamento delle difese immunitarie (infezioni e, a lungo intervallo di tempo, neoplasie). L'indicazione iniziale di questi farmaci era costituita dai casi di artrite reumatoide resistenti ai farmaci convenzionali. In seguito, l'indicazione si e’ estesa - ha detto il prof. Giovanni Lapadula - a casi veramente iniziali di artriti, a quelle psoriasiche e ad altre patologie extrareumatiche come alcune infiammazioni croniche intestinali (morbo di Crhon, ecc.), psoriasi cutanea (prvf. Vena), uveiti refrattarie, sarcoidosi Il prof. Numo ha sottolineato l'ostacolo del costo elevato di questi farmaci (6.000-10.000 euro per paziente all'anno) ma - egli ha detto - i vantaggi, oltre che in termini di qualità di vita per il soggetto si concretano anche nella riduzione dei ricoveri e di inabilità ed assenze dal lavoro. «Nell'ambito del progetto FARE (Fermiamo l'artrite reumatoide) - ha detto, anche a nome del presidente Fitto, il consigliere regionale dr. Luigi d'Ambrosio Lettieri - si e’ costituito un tavolo di studio cui partecipano anche i rappresentanti dei malati (dr. Antonella Celano, presidente) per coordinare iniziative e piano che dia una soluzione rispondente ad appropriatezza, economicità, efficienza dell'intervento». ____________________________________________________ Il Giornale 23-11-2004 ANCHE I MASCHI SUBISCONO I DANNI DELLA «MENOPAUSA» Anche l'uomo dopo i 50 anni va incontro a una osteoporosi di natura ormonale Esiste anche il «climaterio» maschile, di cui si parta, troppo poco. Le maggiori attenzioni del mondo scientifico, infatti, sono dedicate alla menopausa femminile ed alle sue complicazioni, osteoporosi in primo piano. Anche l'uomo, tuttavia, quando supera la barriera dei cinquant'anni va incontro a una netta riduzione delle funzioni cognitive e della sessualità; può inoltre subire danni ai muscoli e alle ossa. Tutta colpa della graduale scomparsa del testosterone l'ormone maschile per eccellenza. E un problema individuato da poco, ma che preoccupa la ricerca medica e scientifica. L'università di Parma e’ stata la prima, in Italia, a studiare questi danni ed a correlarli alla perdita del testosterone. Oggi questo ormone e’ stato ottenuto in laboratorio, sotto forma di gel, che agisce in via transdermica. Ma la novità si presta ad alcuni interrogativi; lo possono usare tutti? O ci sono controindicazioni per particolari soggetti? A queste domande risponderà compiutamente sotto la presidenza del professor Giorgio Valenti e vedrà la partecipazione di geriatri di tutto il mondo: tra i più noti i professori Lunenfeld di Tel Aviv e Morley di Seint Louis, che terranno due «lezioni magistrali». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’04 UN TEST MOLECOLARE PREDICE LE RICADUTE DEL TUMORE AL SENO Si cercano nel midollo le cellule ROMA Si tratta di un'analisi ancora sperimentale, ma la strada sembra essere quella giusta: un test molecolare che consente di sapere, con largo anticipo, se una donna operata di tumore al seno rischia nel lungo termine una recidiva della malattia. Uno screening che e’ fondamentale per decidere se e in quali pazienti avviare una che mio prevenzione e che, fino a questo momento, gli oncologi non hanno potuto attuare. Ora la possibilità di identificare le donne a rischio viene da una ricerca condotta da Carlo Vitelli e Lucio Fortunato, rispettivamente primario e responsabile di Chirurgia oncologica all'Ospedale Vannini di Roma. I due oncologi hanno anticipato ieri i dati dello studio condotto su 200 donne che verranno presentati al Congresso internazionale sul tumore della mammella che si apre venerdi nella Capitale. Lo studio consiste nell'identificare nel midollo osseo del cancerogene le donne che hanno subito l'asportazione di un piccolo tumore e con linfonodi indenni le cellule cancerogene che eventualmente sono già "migrate". E’ come cercare un ago in un pagliaio, ma grazie a test molecolari di amplificazione genica che utilizza la tecnica dell'Rc-Pcr (reazione della polimerasi a catena) e’ possibile scoprire alcuni antigeni che segnalano la presenza delle cellule malate. In pratica, andiamo alla ricerca di cellule sfuggite al sistema immunitario e ancora dormienti, che un giorno potrebbero risvegliarsi». Ad avvalorare l'idea che si stia percorrendo la strada giusta c'e’ un'analoga ricerca pubblicata sulla rivista «New England Journal of Medicine» e condotta all'Anderson cancer center di Houston dall'italiano Massimo Cristofanilli su un gruppo di 177 donne. Quest'ultimo studio, però, si basa sul test del sangue periferico: ora lo stesso ricercatore vuole confrontare i dati ottenuti con quelli dei colleghi romani e aggiunge che l'analisi-spia e’ in fase di sperimentazione anche sui tumori alla prostata e ai polmoni. FR.CE. ___________________________________________________________ Libero 25 nov. ’04 PROTESI SUPER COPIATE DALLE OSSA DEGLI INDIANI D'AMERICA Realizzato un prodotto biocompatibile che potrebbe sostituire il titanio di GIANLUCA GROSSI PHOENa - Una protesi per risolvere i problemi ortopedici più gravi ricavata dallo studio delle ossa degli Indiani d'America. E’ stata realizzata dagli scienziati dell'università dell'Arizona, in Usa. Si tratta di un nuovo prodotto biocompatibile il cui impiego potrebbe in futuro soppiantare 1 utilizzo delle tradizionali protesi in titanio, efficaci ma non prive di controindicazioni: i primi esperimenti hanno in particolare dimostrato la possibilità di sviluppare strutture idonee a sostituire la testa del femore. Secondo i ricercatori statunitensi i Pellerossa furono un popolo contraddistinto da un apparato scheletrico fuori dalla norma, caratterizzato da una resistenza e da un robustezza superiore a qualunque altro raggruppamento razziale. Ciò accadde a causa di una mutazione del Dna che essi subirono nel corso della loro evoluzione, per via di un'alimentazione peculiare caratterizzata da una gran quantità di spezie: tale usanza veniva perpetuata allo scopo di favorire la conservazione di liquidi nel corpo. Il mais, i fagioli e la zucca rappresentavano gli alimenti base della alimentazione del popolo indiano pellerossa. Essiccati e messi al coperto, garantivano le scorte di cibo. Al momento opportuno le donne sgranavano i chicchi delle pannocchie di mais con ossi di mascella di cervo, li trasformavano in farina e li utilizzavano per preparare piatti che insaporivano appunto con le spezie. In attesa di nuove conferme dagli esperti dell’università dell'Arizona, per il momento si continuerà comunque ad affidarsi all'utilizzo di protesi in titanio. In particolare l’impianto di una protesi totale e’ un intervento chirurgico durante il quale alcune parti di un'articolazione malata, come l'anca o il ginocchio, vengono tolte e sostituite da un supporto sintetico o di metallo. La protesi e’ concepita per permettere all'articolazione artificiale di muoversi come se fosse un'articolazione normale e sana. Protesi totali sono state realizzate a partire dagli anni '60. Oggi si può affermare che queste tecniche permettano un reale ristabilimento della funzione ed una riduzione dei dolori per il 90 95% dei pazienti. ____________________________________________________________ il Giornale 27-11-2004 COSÌ STO BATTENDO LA DISTROFIA CON LE INIEZIONI DI STAMINALI Alberto de Lisa, ricercatore al Policlinico di Milano, da 6 mesi sperimenta su otto bambini una cura can cellule prelevate dalla gamba ENZA CUSMA da Milano Sono trascorsi centottanta giorni dal momento in cui ha iniettato nel muscolo delle manine di otto bambini alcune cellule staminali prelevate dal muscolo della gamba. E ora tira un sospiro di sollievo. La sperimentazione ha funzionato, i bambini stanno bene, nessuna complicazione, nessun rigetto e quel che conta davvero, il trapianto delle cellule staminali ha centrato il bersaglio: il dito mignolo si e’ rinvigorito, si muove con più forza, praticamente con normalità. E la casa e’ sorprendente. Già perche’ qui la normalità non sta di casa. Si parla di bambini distrofici, affetti da quella terribile malattia che indebolisce prima e rattrappisce poi i muscoli di tutto il corpo. Che costringe con il tempo un essere umano a vivere sulla sedia a rotelle. Alberto de Liso, il medico e ricercatore volontario al Policlinico di Milano che per amore di suo figlio ha inventato la metodologia per iniettare le cellule staminali nel muscolo, ha un unico rimpianto, non aver potuto cominciare la sperimentazione su Emanuele, anche lui affetto dalla distrofia di T3uchenne. Il ragazzo non e’ stato accettato nel primo gruppo scientifico, perche’ troppo «grande», De Liso spera ancora Dottore dopo dieci anni di ricerche se la sente di stappare una bottiglia per brindare? No, non ancora. Mi piace dire che siamo finalmente usciti dai box. Diciamo che siamo sulla griglia di partenza». Perche’ ritiene di essere solo alla partenza? «Noi abbiamo scoperto la via che può modificare le condizioni dei bambini, di far ringiovanire i loro muscoli e di rallentare la malattia. Ci manca però la possibilità di correggere il male alla radi ce, l’errore di base, quello che si annida nel Dna». C'e’ qualcuno che sta lavorando sul Dna? «Se ne stanno occupando a Parigi. Da noi il Dna non si può toccare. Ma il danno purtroppo e’ li. Si deve correggere e farlo trascrivere senza errori». Lei si tiene in contatto? «Personalmente no, io e il gruppo del professor Bresnlin stiamo lavorando sulla metodologia. Il collegamento e’ con il nostro gruppo di studio che si occupa delle cellule». Dunque di strada ne avete fatta. Effettivamente si. Quando ho cominciato a riprendere gli studi, più di dieci anni fa, per la-distrofia non esisteva nulla, non c'erano chance». Neppure negli Usa? No, da nessuna parte, Se ci fosse stato qualcosa di concreta da qualche parte del monda mi sarei trasferito all'estero anziche’ perdere i! mio tempo al Policlinico di Milano». Come stanno i bambini che avete in cura? «Stanno molto bene, sono sereni e contenti, vivono una vita regolare, non hanno subito alcun danno dalla sperimentazione. Nei tessuti non ci sono grumi ne’ ci sono stati rigetti. E questa e’ una cosa fondamentale per proseguire la cura». Cosa prevede la seconda fase? «Di recuperare 1e cellule staminali dal sangue, attraverso un semplice prelievo per poterle poi iniettare in masse muscolari ben più ampie. Come il braccio o la gamba». Quanto dovete aspettare? L'autorizzazione dei ministero della Sanità che vaglierà i risultati della sperimentazione e quindi potrà darci il via libera», Ha qualche dubbio sulla risposta? «Nessuno». Dunque si allargherà Il gruppo dei bambini. «Sicuramente, diventeranno almeno una quindicina». Ci sarà anche suo figlio Emanuele? «Spero di poterlo inserire nonostante abbia già sedici anni». E se le fanno obiezioni? «Non vedo perche’. Abbiamo cominciato con i più piccini perche’ le cellule staminali prese in età giovanili sono più forti e più duttili. Ma se le staminali attecchiscono e sono vitali il limite di età non esiste più». Quanta fretta ha dottore? «Tantissima, Mio figlio e’ sulla sedia a rotelle da sei anni. E mi brucia la terra sotto i piedi. Io credo in quello che faccio e nelle persone con cui lavora, dedico ogni minuto del mio tempo a questa sperimentazione. Ma se mi chiamasse un ricercatore svedese che arriva prima di me alla meta, io andrei anche a piedi in Svezia pur di far qualcosa». Cosa dice Emanuele del suoi traguardi? E’ contento che i bambini reagiscano alle cure e quindi che ci siano prospettive concrete anche per se’». Se tutto fila liscio quei bambini pionieri guariranno? «Prima o poi i bambini guariranno dalla distrofia, ma non so quali». Quanti ammalati stanno aspettando delle risposte? «Sono 20mila i bambini affetti da questa malattia, Soltanto una ha cinquant'anni». Per ottenere una terapia quanto si dovrà ancora aspettare? «Dovremo arrivarci fra tre o al massimo cinque anni». Cosa le scrivono le mamme dei bambini ammalati? Di fare in fretta. Del resto me lo dicono tutti. Tutti tranne mia moglie. Lei mi dice che dovrei fare di più il padre. Lavoro troppo. Ma solo per amore di mio figlio». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 nov. ’04 IL BAMBINO SI CURA GIÀ IN UTERO Oggi e’ possibile correggere le anomalie del feto con farmaci e operazioni chirurgiche Dall'ernia diaframmatica alla spina bifida: aumentano gli interventi che si effettuano in gravidanza La scienza ha imparato a scoprire e curare, già nel periodo prenatale, molte malattie e anomalie congenite dei bambini, finora ritenute non trattabili. E’ vasto il quadro delle patologie trattate con terapie farmacologiche sul feto; numerose sono diagnosticabili con estrema precisione in utero: dai difetti della crescita alle infezioni fetali. Di questi temi si parlerà al convegno di Bergamo sulla chirurgia fetale in programma da domenica 28 novembre a venerdì 3 dicembre. Ogni anno di cui in Italia 60mila bambini hanno bisogno di cure speciali nel periodo pre e neonatale. E altri 28-30 mila, oltre il 4-5% dei bambini che nascono, presentano malformazioni. Non poche di queste possono essere corrette con raffinati interventi chirurgici in utero. Alcune terapie sono uscite dalla fase sperimentale e i trattamenti sono ormai di routine. Tra gli strumenti che aprono la strada alla medicina e alla chirurgia fetale, spiccano l’ecografo tridimensionale a colori real time, e l’aminoacid analyzer, per il dosaggio degli aminoacidi, macchine che l'Associazione per lo studio delle malformazioni (Asm) acquista dall'industria e dona quando può agli ospedali, per sottolineare l'importanza di diagnosi sempre più precise e di cure contro il ritardo nella crescita del feto. Oggi una varietà di farmaci (antibiotici, ma anche cortisone per far "maturare" i polmoni) vengono somministrati alla madre e arrivano al piccolo paziente per via transplacentare. I medicamenti possono giungere a destinazione anche direttamente: l'ago dell'amniocentesi che entra nell'utero può praticare al feto un'iniezione intramuscolare, e se necessario endovenosa (attraverso la vena ombelicale). Nel caso di tachicardia del feto (fino a 400 pulsazioni al minuto), si iniettano farmaci che riportano alla norma la frequenza cardiaca, spiega il professor Giorgio Pardi, direttore scientifico dell'Asm, direttore dell'Istituto di Ostetricia e Ginecologia 2 dell'Università di Milano, e responsabile del Centro di chirurgia sperimentale del feto. Alla Clinica Mangiagalli di Milano, Pardi studia la medicina e la chirurgia fetale dal 1967. Sul fronte delle malformazioni congenite, si registrano interventi chirurgici d'avanguardia. Anche in Italia si esegue tutta una serie di operazioni soft, sotto guida ecografica. Per esempio, si collocano cateteri e shunt per impedire che un'ostruzione delle vie urinarie danneggi la funzionalità dei reni, osserva il professor Luigi Frigerio, direttore dell'unità di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo. All'estero, anche la chirurgia hard sul feto fa progressi. Gli interventi più avanzati si registrano oltreoceano, ma intanto sia in Usa che in Europa si sperimentano trattamenti più sicuri e meno invasivi. Due gravi, anche se rare, anomalie congenite sono la spina bifida e l'ernia del diaframma. In alcuni casi, queste malformazioni portano alla morte se non vengono eliminate chirurgicamente, rileva il professor Pardi. Si forma la spina bifida quando, in seguito allo sviluppo incompleto di una o più vertebre, una porzione del midollo spinale resta scoperta, e dalla colonna sporge una sacca che contiene liquido cefalorachidiano e parte del midollo spinale, spiega il professor Frigerio. II maggior numero di interventi chirurgici per eliminare la spina bifida e’ stato compiuto dall'e’quipe di Nashville (Tennessee), dove opera il professor Joseph P. Bruner, del Vanderbild University Medica] Center. A Bruner, che si orienta con gli ultrasuoni, vengono attribuiti 178 interventi di chirurgia fetale; all'inizio dell'anno scorso, il professore americano, in un rapporto pubblicato su «Pediatrie neurosurgery», dichiarava di aver operato già 77 feti. Tra i tanti articoli di Bruner usciti sulle riviste scientifiche, Pardi cita anche quello sull'«American Journal of obstetrics and Gynaecology» del 1999, in cui Bruner descrive la metodica da lui messa in atto fin dall'inizio degli anni 90. Nel 1999, la foto di uno dei suoi interventi era stata scelta dalla rivista «Time» come "scatto dell'anno", con l'emozionante immagine della minuscola mano del feto che emerge dall'apertura praticata dal chirurgo sull'utero della gestante. Pioniere indiscusso, Bruner viene però contestato da quanti sostengono che, con rischi minori e sostanzialmente con gli stessi risultati, la spina bifida può essere corretta dopo il parto. Lui replica che se si opera prima della nascita, il cervello del bambino raggiunge una configurazione più completa, riferisce la professoressa Patrizia Vergani, dell'Università di Milano, che, con il professor Frigerio, dirigerà il corso sulle anomalie fetali, in programma a Bergamo da domenica 28 novembre a venerdi 3 dicembre, con la partecipazione di Bruner. L'approccio chirurgico meno invasivo non prevede l'incisione dell'utero, spiega il professor Frigerio. Il chirurgo pratica nell'utero piccoli fori attraverso i quali passano strumenti il cui diametro e’ compreso fra i tre e i cinque millimetri. E’ la chirurgia fetoscopica su guida ecografia, sperimentata la prima volta per correggere l'ernia del diaframma (che ostacola lo sviluppo dei polmoni del feto). Oggi, per eliminare questa anomalia , il gruppo Eurofetus, coordinato dal professor Jan Deprest, del Centro di tecnologie chirurgiche di Lovanio, usa una tecnica innovativa. «Abbinando - spiega Patrizia Vergani - fetoscopia ed ecografia, si introduce nella trachea un palloncino da sgonfiare al termine dello sviluppo del polmone fetale». LUIGI DELL'AGLIO Tra gli strumenti più avanzati spicca l'ecografo 3D a colori con immagini in • SPINA BIFIDA. Difetto del tubo neurale che porta a una chiusura incompleta della colonna vertebrale fetale. • AMNIOCENTESI. Prelievo con ago sottile, sotto guida ecografica, di liquido amniotico, eseguito soprattutto per la diagnosi di anomalie cromosomiche. • SHUNT. Comunicazione tra due vie fisiologicamente separate dello stesso sistema. Si instaura naturalmente in alcune patologie oppure può essere esito chirurgico terapeutico o non. • ERNIA DIAFRAMMATICA. Anomala protrusione di un organo intestinale che passa attraverso il diaframma nella cavità toracica. 60mila ECCO I PRINCIPALI CENTRI D'ECCELLENZA La moderna medicina fetale nasce nel 1960 quando l'australiano Albert William Liley riesce a eseguire la prima trasfusione a un feto. Pochi anni dopo, alla Mangiagalli di Milano, ha luogo il primo intervento di trasfusione al feto direttamente con un ago. Nel 1984-85, gli specialisti milanesi raggiungono per la prima volta la vena ombelicale. Nello stesso istituto, nel 1968, il professor Giorgio Pardi aveva avviato la sperimentazione sugli animali, in particolare sulle pecore, nelle quali gli interventi per correggere un'anomalia del feto riescono molto più facilmente. A suggerire questa sperimentazione era stato nel 1935 sir John Barcroft, che operava nell'Istituto di Fisiologia di Oxford. Oggi, in Italia, medicina e chirurgia fetale vengono praticate in vari centri di eccellenza tra cui, oltre alla Mangiagalli, l'Ospedale V. Buzzi e il San Paolo di Milano, la Clinica ostetrica dell'Università di Torino, il Sant'Orsola di Bologna, l'Università Cattolica di Roma e gli Ospedali Riuniti di Bergamo. Al convegno di Bergamo sulla chirurgia fetale, direttori del corso Luigi Frigerio (nella foto a sinistra) e Patrizia Vergani, e in programma da domenica 28 novembre a venerdì 3 dicembre, il professor Alessandro Ghidini, venuto da Washington, illustrerà un altro approccio mini-invasivo: trasfondere nel cordone fetale concentrati di globuli rossi o piastrine, per trattare l'anemia del feto. Questo approccio viene usato in Italia, presso l'Università di Brescia, per la cura dell'immunodeficienza congenita. All'Ospedale San Gerardo di Monza opera l'e’quipe dell'Università Milano-Bicocca, diretta dalla professoressa Patrizia Vergani: sotto guida ecografica, vengono collocati nel feto un catetere o uno shunt per prevenire danni irreparabili ai reni. L.D.A. _______________________________________________________ la Repubblica 24-11-2004 TRAPIANTI D’ ORGANO, RECORD ITALIANO In dieci anni raddoppiati, secondi in Europa dopo la Spagna Presentati da Nanni Casta, direttore del Centro Nazionale. Nel'94 gli ultimi del vecchio Continente MARIO REGGIO ROMA -Trapianti raddoppiati in dieci anni. L'Italia, da fanalino di coda nel '94, e’ stabilmente al secondo posto in Europa alle spalle della Spagna. Infatti gli interventi per rene, fegato, pancreas, cuore e polmone sono passati dai 1.522 ai tremila e cento previsti per la fine del 2004. Il traguardo raggiunto e’ stato annunciato ieri da Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti, intervenuto nella giornata di chiusura del ventottesimo congresso della Società italiana trapianti d'organo. Il progresso compiuto dal nostro Paese ha dell'incredibile: questo anno il rapporto donatori per milione d'abitanti e’ stato pari a 20.8, dietro ai 36 della Spagna, mentre era un misero 7.9 dieci anni fa. E l'Italia ha superato le medie di uno dei Paesi all'avanguardia come la Francia che ne ha registrati 19 per milione d'abitanti. Cosa ha determinato questo miracolo italiano? «Tre i fattori che ci hanno permesso di raggiungere questi risultati lusinghieri - risponde Alessandro Nanni Costa - in primo luogo l'applicazione costante della legge sulla morte cerebrale, grazie ad un paziente lavoro dei medici della rianimazione nei confronti dei parenti dei possibili donatori. Poi la messa in opera ,di un modello organizzativo che funziona, e la costruzione di una rete a maglie che coordina i centri rianimazione, gli assessorati regionali alla sanità e i centri trapianti». Eppure la disponibilità alla donazione non e’ uniforme tra le Regioni. I dati sull'opposizione registrata quest'anno, ha riferito Costa, mostrano che le Marche, con solo il 10.9 per cento, il Veneto con il 17, il Friuli Venezia Giulia con il 19.1 per cento sono le Regioni che si comportano meglio, mentre il fanalino di coda e’ la Calabria con il 55.6 per cento seguita dalla Campania 43,8 e da Abruzzo Molise con il 42.1 per cento. La comunicazione rimane ancora un punto chiave contro l'opposizione alle donazioni, ha spiegata Nanni Costa, poiche’ laddove si riesce ad avere un colloquio umano con i familiari del defunto la probabilità che si autorizzi al prelievo di organi sale. Inoltre, ha aggiunto il direttore del Cnt, e’ necessario puntare sulla formazione delle figure che più spesso sono delegate a convincere dell'utilità della donazione, quasi sempre rianimatori o anche infermieri. Ma un altro dato positivo che riguarda il Bel Paese e’ la sicurezza dei trapianti l’Italia sarà la prima in Europa, nel giro di un anno e mezzo circa, ad avere una valutazione oggettiva dei fattori di problematicità e di rischio dei donatori, ad esempio la presenza di infezioni croniche del donatore. Ciò aumenterà la capacità di controllo e di accoppiamento donatore-ricevente e, quindi, le possibilità effettive di trapianto. Il sistema di valutazione e’ assicurato da una rete di esperti, formata da un anatomopatologo, un infettivologo, un medico legale e due medici del Centro nazionale trapianti, disponibili 24 ore su 24, e pronti ad esprimere un parere scritto sui casi più difficili. «E’ un parere autorevole, redatto in base allo studio degli esami, della storia e dei referti del donatore, per stabilire la compatibilità e la sicurezza del trapianto - conclude Nanni Costa-perche’ nessuno deve restare solo davanti ad una scelta così difficile». Fonte: Dati DeRoitiva Reports CIR _______________________________________________________ la Repubblica 24-11-2004 TOSSE ADDIO CON LA CIOCCOLATA Calma la tosse ed e’ più potente della codeina. Si chiama teobromina ed e’ contenuta nel cacao. La scoperta e’ di un gruppo di ricercatori britannici dopo uno studio condotto su dieci volontari sani ai quali sono state somministrate in fasi alterne la teobromina, la codeina ed una sostanza placebo. Per misurare il grado di efficacia di ciascuna sostanza, i ricercatori hanno somministrato ai volontari diversi livelli di una sostanza tossica estratta dai peperoni utilizzata nelle ricerche mediche per provocare lo stimolo della tosse _________________________________________________________________ La Stampa 24 nov. ’04 AIDS LA STRAGE DELLE DONNE ROMA Quasi 40 milioni di contagiati. Oltre 3 milioni moriranno quest’anno. Tante sono le persone colpite dal virus dell’immunodeficienza umana acquisita, l’Hiv. Ora si e’ toccato il livello più alto di contagio dallo scoppio dell'epidemia. E’ quanto riferiscono l’Unaids, il programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Aids, e l’Organizzazione mondiale della Sanità, nel rapporto 2004. Sempre più numerose le donne e le ragazze, soprattutto africane, che contraggono il virus: attualmente, circa la metà di quei 40 milioni di adulti che vivono con l'Hiv e’ di sesso femminile. Nell’Africa subsahariana, l’area più colpita, la percentuale sfiora il 60 per cento e raggiunge il 76 per cento tra le giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Il rapporto precisa, inoltre, che l'aumento dei casi tra le donne non e’ confinato nel Continente Nero, ma e’ stato osservato in tutte le regioni del mondo, negli ultimi due anni: grande preoccupazione destano, infatti, anche l’Estremo Oriente, l’Europa centro-orientale e l’Asia centrale. Queste sacche di malattia inducono a ipotizzare che ci siano gravi lacune nell’assistenza, ma soprattutto nella prevenzione. L’Onu sottolinea che la maggioranza delle donne contrae l'infezione a causa di comportamenti ad alto rischio del partner sul quale non ha, praticamente, alcun controllo. «Se si vuole davvero far cambiare rotta alle tendenze epidemiche e’ necessario adottare con urgenza strategie per affrontare le disuguaglianze di genere», ha detto Peter Piot, direttore esecutivo dell'Unaids. Una recente inchiesta dell'Unicef, infatti, ha messo in evidenza che fino al 50 per cento delle giovani donne dei Paesi dove l'epidemia dilaga non sono correttamente informate sulla malattia. Inoltre, la vulnerabilità all'Aids delle donne non e’ solo dovuta all'ignoranza, ma anche e soprattutto alla mancanza cronica di potere. «Servono azioni concrete per prevenire la violenza contro le donne e garantire l'accesso al diritto di proprietà privata e di eredità, all'istruzione di base e alle opportunità di impiego per le donne e per le ragazze», ha aggiunto Piot. Le donne - ricordano infine le Nazioni Unite - sono biologicamente più esposte al virus (due volte più degli uomini nel corso di un rapporto sessuale) e molte, in Africa australe in particolare, sono costrette ai rapporti sessuali come merce in cambio di beni oppure di servizi. In Estremo Oriente l'aumento dell’infezione e’ stato del 50 per cento tra il 2002 e il 2004, in buona parte imputabile alle epidemie in Cina, Indonesia e Vietnam. In Europa orientale e Asia centrale l'aumento e’ stato del 40 per cento, dovuto soprattutto all'epidemia in Ucraina e al crescente numero di persone che hanno contratto il virus in Russia. La Russia, con 860 mila persone colpite, registra la maggiore epidemia di tutta l'Europa. In Africa le epidemie sono molto diverse. E’ in Africa Australe che la prevalenza del virus raggiunge i massimi livelli, e in particolare in Botswana, Lesotho e Swaziland, dove tra le donne in gravidanza tocca il 30 per cento. E’, invece, in calo nell'Africa orientale (ad Addis Abeba e’ passato dal 24 per cento degli Anni '90 all'11 per cento nel 2003). Nei Caraibi, la seconda regione più colpita al mondo, la sindrome e’ diventata la principale causa di morte tra gli adulti tra i 15 e i 44 anni. In America del Nord e in Europa un numero crescente di persone contrae l'infezione in occasione di rapporti eterosessuali non protetti. Negli Usa, in particolare, l'infezione colpisce inoltre in modo sproporzionato le donne afroamericane e ispaniche ed e’ diventata una delle tre cause principali di morte tra le afroamericane tra i 35 ed i 44 anni. In Europa occidentale, infine, le infezioni dovute a rapporti eterosessuali sono più che raddoppiate tra il 1997 e il 2002. d.dan. _________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 22 nov. ’04 SOSTANZA SCIOGLIE I CALCOLI BILIARI Successo dell' esperimento sui topi Lo studio dal Texas. Un disturbo che riguarda 30 mila italiani De Bac Margherita ROMA - Negli anni Settanta era stata accolta come la rivoluzione nella cura dei calcoli biliari: un farmaco che prometteva di scioglierli senza bisturi. La cura col tempo si e’ ridimensionata. Può essere utilizzata soltanto se i «sassolini» sono di ridotta dimensione e non contengono calcio. Il colpo di grazia alla cura «dolce», a base di acidi biliari, lo ha inferto la laparoscopia: un breve ricovero e qualche taglietto sull' addome per eliminare la colecisti. Oggi sono circa 100 mila gli italiani che ogni anno vengono operati in modo non invasivo. Adesso, però, una ricerca pubblicata sull' ultimo numero della rivista Nature riporta l' attenzione sulla via farmacologica. Annuncia che e’ stata sintetizzata una nuova sostanza che sarebbe capace di agire da detersivo, e cioe’ di sciogliere i calcoli. I risultati della sperimentazione condotta sui topolini sono molto incoraggianti, spiega David Mangelsdorf, dell' università del Texas. E' lui il biologo molecolare che anni fa ha scoperto per caso a che cosa serve l' Fxr, un gene che era ritenuto «orfano» proprio perche’ non se ne conosceva la funzione, e che invece e’ il controllore del traffico di colesterolo nel fegato e nella bile. Proprio da livelli troppo alti di colesterolo dipende l' accumulo di cristalli nella piccola vescica chiamata colecisti, dove viene raccolta la bile. Si e’ visto che, se privati dell' Fxr i topolini vanno incontro a questo processo. «La formazione dei calcoli verrebbe addirittura anticipata», commenta Nicola Carulli, ordinario di medicina interna all' università di Modena e Reggio Emilia, che si occupa di acidi biliari dagli anni Sessanta. E spiega: «Gli acidi hanno una funzione importante per mantenere solubile, e quindi equilibrare, il colesterolo nella bile, comportandosi da detersivi. Mangelsdorf innesca chimicamente questa catena con un composto sintetico che agisce sul gene Fxr». Lo studio epidemiologico più importante sull' incidenza di calcoli biliari nella popolazione italiana (il Micol) ha coinvolto 30 mila individui. La prevalenza e’ risultata pari a circa 10-15% fra le donne e 10% fra gli uomini. L' 80% dei soggetti con «colelitiasi», però, non hanno disturbi (le dolorose coliche biliari). Carulli ha dei dubbi sul possibile successo di una nuova terapia: «Per rivaleggiare con la laparoscopia dovrebbe dare risultati a breve termine e non dopo mesi di somministrazione». Il chirurgo Nicola Basso, dell' università La Sapienza, rivendica la competitività delle tecniche laparoscopiche: «Con due o tre giorni di convalescenza il paziente risolve il suo problema e la mancanza della colecisti non e’ un danno». M. D. B. _________________________________________________________________ Il Corriere della Sera 24 nov. ’04 CON UNA MACCHINA FAREMO QUASI SPARIRE I SEGNI DELL' ETÀ DAL VISO IN INGHILTERRA E' una piccola macchinetta blu, si chiama RestoreLite e promette di ritardare gli effetti dell' invecchiamento sulla pelle. Insomma, di sconfiggere le rughe, le zampe di gallina attorno agli occhi, i segni sul viso di chi e’ avanti con gli anni. La «cura» e’ pubblicizzata da due dottori britannici, il chirurgo e oculista Jim Haslam, dell' ospedale Darlington Memorial, e Gordon Dougal, un suo collega di Peterlee, che l' hanno sperimentata su 40 volontari con risultati considerati positivi nel 95% dei casi. Un successo che ha indotto persino la Bbc ad occuparsi della nuova terapia, sviluppata nel 2001. E che secondo i due medici, che hanno speso 30 mila sterline per condurre le loro ricerche all' Università di Sunderland, può fare dimostrare fino a 10 anni in meno a chi la utilizza. L' idea e’ quella di combattere gli effetti negativi sulla pelle dell' invecchiamento e dell' esposizione ai raggi ultravioletti. E in particolare di intervenire sul degrado dell' elastina, la proteina che costituisce la sostanza fondamentale dei tessuti connettivi elastici. «Nei nostri esperimenti - ha detto alla Bbc il dottor Haslam - ci siamo concentrati soprattutto sulla pelle attorno agli occhi, ma non ci sono ragioni perche’ non possa essere trattata la pelle in altre regioni del corpo». E Doulag ha spiegato che la RestoreLite, che funziona a elettricità e si basa sull' utilizzo di raggi infrarossi, e’ semplice da applicare: «La persone possono farlo, per 15 o 30 minuti al giorno, anche mentre sono sedute davanti alla televisione. Io la uso da tempo, ho 48 anni e non ho borse sotto gli occhi». La scheda «DIECI ANNI» Secondo i due medici britannici che l' hanno ideata, la terapia contro le rughe con l' uso di una macchinetta a raggi infrarossi, può «togliere» dieci anni di età alla pelle ESPERIMENTI L' apparecchio e’ stato testato su 40 volontari nel Regno Unito e secondo i due specialisti ha dato buoni risultati nel 95% dei casi IL COSTO La macchinetta costa 110 sterline. E' lo stesso paziente ad applicarla sulle rughe. Prudente la «Fondazione britannica pelle»: «Aspettiamo altri test clinicamente controllati» _________________________________________________________________ La Repubblica 25 nov. ’04 TIROIDE: QUESTIONE DI IODIO Un congresso a Paestum dal 2 dicembre sulle malattie L'endocrinologo Pinchera: "Si cura anche in gravidanza" di Giuseppe Del Bello Gli endocrinologi lo ribadiscono da anni, lo iodio che serve al buon funzionamento della tiroide non deve mai mancare nell'alimentazione. Così piccola eppure tanto importante per lo sviluppo di tutto il nostro organismo, dalle funzioni cerebrali alla maturazione sessuale, la ghiandola posta a scudo davanti alla regione anteriore del collo, produce infatti ormoni fondamentali. Dalla nascita e per tutta la vita. Un apporto ormonale costante che, anche in gravidanza, e’ essenziale sia per la mamma che per il nascituro. Alla base del suo corretto funzionamento e, quindi alla produzione degli ormoni, l'assunzione di iodio: se e’ insufficiente, la tiroide ne secerne in quantità inadeguata. La prima manifestazione patologica si evidenzia con una tumefazione: spesso un reperto occasionale per le donne che si sottopongono a esame ecografico della mammella. Nonostante i messaggi di allerta lanciati periodicamente dagli specialisti di tutta Europa, la diffusione del gozzo e di noduli nella popolazione italiana, e’ ancora troppo elevata. Aldo Pinchera, ordinario di endocrinologia all'università di Pisa, si e’ sempre battuto, anche a livello governativo, perche’ non si abbassi la guardia sulla profilassi. Una misura semplice che si realizza utilizzando sale iodato al posto di quello comune. E in gravidanza? "In questa condizione e’ particolarmente importante", risponde, "perche’ sortisce un duplice benefico effetto: la prevenzione del gozzo per la mamma e il normale sviluppo psicofisico del bambino. Un'intera sessione del congresso che si svolgerà a Paestum (Salerno) dal 2 al 4 dicembre e’ stata programmata tra l'altro per smentire l'errato convincimento che le malattie della tiroide rappresentano una controindicazione alla gravidanza. Sottolinea il docente: "L'iper o l'ipotiroidismo possono essere curati anche quando la mamma e’ incinta. Così pure per l'allattamento: e’ possibile nella maggior parte dei casi, anche in presenza di disturbi alla tiroide". Disturbi fastidiosi per l'ipertiroidismo: perdita di peso, debolezza muscolare, nervosismo, ansia, insonnia, tachicardia e gozzo. La forma autoimmunitaria di ipertiroidismo o morbo di Basedow e’ caratterizzata dalla presenza di un particolare anticorpo che invia un messaggio analogo a quello della tiroide ma in modo continuo e non regolato. In questo caso, molti pazienti sviluppano l'esoftalmo, una protrusione (fuoruscita) dell'occhio anche di grado elevato che, oltre a modificare la fisionomia del volto, può interferire con la capacità visiva. La situazione opposta e’ data dall'ipotiroidismo: una tiroide più piccola e che funziona meno (stanchezza, aumento di peso, depressione, bradicardia). Il professor Pinchera parla invece di scherzo della natura, quando si riferisce all'autoimmunità tiroidea che, da un lato può dare ipertiroidismo e dall'altro può indurre un gozzo senza ipertiroidismo (tiroidite di Hashimoto) e addirittura un'atrofia della ghiandola con ipotiroidismo (ma si cura con la tiroxina). Diversa e’ la situazione del neonato con ipotiroidismo da difetto congenito della tiroide: se non curato in tempo, provoca un grave deficit mentale. _________________________________________________________________ La Repubblica 25 nov. ’04 SCREENING NEONATALE, UN'ARMA NEL CASSETTO Malattie rare "Secondo la definizione Oms" ha spiegato il genetista Bruno Dallapiccola al congresso Milano Pediatria 2004, ""malattia rara" e’ una patologia che ha prevalenza inferiore a 1 caso su 2 mila. Ma ciò che e’ raro singolarmente, nel contesto delle oltre 5 mila patologie "rare", diventa un problema di elevato impatto sociale e in Italia coinvolge oltre un milione e mezzo di pazienti". Il 15 per cento delle patologie rare e’ costituito da malattie metaboliche ereditarie. Queste generalmente insorgono nei primi mesi di vita e possono provocare danni cerebrali permanenti o addirittura la morte neonatale. "Da oltre vent'anni in Italia" spiega Alberto Burlina, pediatra dell'università di Padova, "tutti i neonati vengono sottoposti ad uno screening genetico per diagnosticare la fenilchetonuria, patologia metabolica affatto rara. Ma già da qualche anno, in alcune Regioni, lo stesso campione di sangue viene analizzato per ricercare altre 30 malattie che, interferendo col metabolismo, possono provocare gravi disturbi neurologici". Una malattia metabolica neonatale provoca sempre un danno cerebrale, poiche’ il sistema nervoso dei neonati si sviluppa più di tutti gli altri organi: zuccheri, proteine e grassi, costituenti principali del latte materno, vengono in gran parte inviati al cervello e lì trasformati in energia e materie prime. "Lo screening neonatale che consente di diagnosticare sindromi ereditarie (come il difetto della betaossidazione degli acidi grassi a media catena, tra le principali cause di morte improvvisa del lattante) e’ molto sofisticato e costoso; oggi solo 4 centri in Italia (Padova, Genova, Firenze e Roma) sono in grado di eseguirlo". prosegue l'esperto. "Le sindromi metaboliche ereditarie diagnosticabili sono più di 100, ma abbiamo preferito concentrarci sulle 30 che possono essere trattate, anche se non le si può debellare. I 4 centri sono un buon punto di partenza (in Europa solo la Germania e l'Austria hanno attuato del tutto il piano di prevenzione), ma e’ evidente che sul fronte delle malattie rare rimane molto da fare e la legge apposita, voluta dall'allora ministro Bindi, trova difficoltà di applicazione. Penso sarebbe necessaria una task force nazionale in grado di coordinare l'attività delle Regioni, per evitare che ci siano cittadini di serie A e B". (silvia baglioni) _________________________________________________________________ Le Scienze 26 nov. ’04 DONARE LA VISTA ALLE CELLULE CIECHE La tecnica potrebbe aiutare i pazienti che soffrono di malattie della retina Alcuni scienziati dell'Università della California di Berkeley hanno fornito a neuroni "ciechi" la capacità di individuare la luce, aprendo la strada a una terapia innovativa che potrebbe restituire la vista ai pazienti che l'hanno persa a causa di malattie. Il team, guidato dal neurobiologo Richard H. Kramer e dal chimico Dirk Trauner, ha inserito un interruttore azionabile dalla luce all'interno di cellule cerebrali che normalmente non sono fotosensibili, riuscendo così ad attivarle con una luce verde e a disattivarle con una luce ultravioletta. La tecnica potrebbe potenzialmente aiutare coloro che hanno perso i bastoncini e i coni fotosensibili degli occhi per un danneggiamento dei nervi o per malattie come la retinite pigmentosa o la degenerazione maculare senile. In questi casi le cellule fotorecettrici sono morte, ma altre cellule nervose della catena di fotorecezione sono ancora vive: in particolare, le cellule gangliari della retina, al terzo posto nel percorso dai fotorecettori al cervello, potrebbero svolgere alcune delle funzioni dei fotorecettori se venissero modificate geneticamente per rispondere alla luce. "Potremmo usare una scansione laser - spiegano i ricercatori - per seguire gli schemi sulla retina e consentire ai pazienti di individuare forme visive. Con questa tecnica, si potrebbe anche conferire fotosensibilità ad organismi che normalmente non sono dotati di vista, come il verme nematode C. elegans". Kramer, Trauner e colleghi hanno presentato i propri risultati in un articolo pubblicato online il 21 novembre sulla rivista "Nature Neuroscience". _________________________________________________________________ Le Scienze 26 nov. ’04 POCO SONNO FA INGRASSARE C'e’ un legame fra il sonno e i processi neurali associati al consumo di cibo Secondo uno studio presentato al convegno annuale della North American Association for the Study of Obesity, a Las Vegas, troppo poco sonno aumenta la probabilità di diventare obesi. La scoperta sembrerebbe controintuitiva, poiche’ mentre si dorme si bruciano meno calorie, ma gli scienziati della Columbia University di New York hanno scoperto che le persone che dormono quattro ore o meno per notte hanno il 73 per cento di probabilità in più di essere obese, forse a causa di effetti sugli ormoni che regolano l'appetito. I ricercatori hanno analizzato dati che riguardavano 18.000 persone, di età compresa fra i 32 e i 59 anni, che hanno partecipato al National Health and Nutrition Examination Survey negli anni ottanta. I risultati indicano che, anche dopo aver preso in considerazione fattori come la depressione, l'attività fisica, il consumo di alcol, l'etnia, il livello di educazione, l'età e il sesso, i soggetti che avevano maggior probabilità di essere obesi erano quelli che dormivano di meno. Se coloro che dormivano meno di quattro ore a notte sono risultati maggiormente a rischio, anche le persone che si concedevano solo cinque ore di sonno avevano il 50 per cento di probabilità in più di essere obesi rispetto a quelli che riposavano per una notte intera. Coloro che dormivano per sei ore avevano il 23 per cento di probabilità in più di essere sostanzialmente sovrappeso. James Gangwisch, che ha guidato la ricerca, ammette che "i risultati sono in un certo senso controintuitivi, visto che se si dorme di meno si bruciano naturalmente più calorie. Ma riteniamo che il fenomeno sia legato agli effetti della privazione di sonno sull'organismo, e non alla quantità di attività fisica". Ci sarebbero infatti prove scientifiche di un legame fra il sonno e diversi processi neurali che regolano il consumo di cibo. Per esempio, uno studio precedente aveva mostrato che la privazione di sonno e’ associata a un calo dei livelli dell'ormone leptina, che regola l'appetito e il peso e comunica al cervello quanta energia e’ disponibile nel corpo.