FORMAZIONE: VIA AL PIANO MORATTI PRONTI TUTTI I NUOVI CORSI DI LAUREA. SERVONO ALTRI CORSI UNIVERSITARI UNIVERSITÀ: LE DIECI MALATTIE DA CUI SI DEVE GUARIRE L'ISTAT: "SIAMO PIÙ ISTRUITI" UN LAUREATO SU DUE È DONNA LA RICERCA DIMENTICATA LIBERA SCIENZA IN LIBERO STATO LA RABBIA DI RUBBIA PARALIZZA L'ENEA L'ANNO DELLA FISICA: RUBBIA: «EUROPA STANCA» DALL'UNESCO IL MANIFESTO DEI DIRITTI BIOETICI» CAGLIARI: CONTRIBUTI MENSILI PER FAVORIRE LE SPECIALIZZAZIONI CAGLIARI: VIA AI CONCORSI NELLE FACOLTÀ (129 POSTI) CAGLIARI: LIBRO ANTISEMITA ALL’UNIVERSITÀ «L'HO SCRITTO PERCHÉ SONO ANIMALISTA CONVINTO» ANTISEMITISMO ALL'UNIVERSITÀ COSSIGA E GLI STUDENTI BOCCIANO IL PROFESSORE L’AMERICA SCOPRE IL TEMA SCRITTO A MANO: I TEST NON BASTANO UN MILIONE DI LIBRI NELLE BIBLIOTECHE DI CENTONOVE COMUNI IL RETTORE DI ROMA TRE «CRESCITA? I CITTADINI PUNTANO SU DI NOI» NATO APE-NEXT, IL SUPERCOMPUTER ITALIANO I DIECI COMPUTER PIÙ POTENTI DEL MONDO DOCUMENTI "DEMATERIALIZZATI" AL LAVORO LA TASKFORCE DEL GOVERNO ======================================================= SANTA CRUZ A URLA CON IL RETTORE IL RETTORE MISTRETTA CONSEGNA A SANTA CRUZ LE CHIAVI SANTA CRUZ PUÒ ATTENDERE LE CHIAVI POLICLINICO: "SVINCOLO, REGIONE PASTICCIONA" IL DIABETE AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO EPATITE, RISCHIOSI PERFINO BARBIERE E MANICURE PIÙ EFFICIENZA IN OSPEDALE CON LE ETICHETTE INTELLIGENTI RIVOLUZIOE RFID? NON PRIMA DEL 2010 SCLEROSI MULTIPLA: SI PUÒ CURARE CON GLI ORMONI SESSUALI PARAPLEGICI, INIEZIONI INVECE DEL VIAGRA COSI LE CELLULE STAMINALI SI TRASFORMANO IN NEURONI LA MOLECOLA SALVA TRAPIANTI VIOXX: QUEL PASTICCIACCIO DEL FARMACO KILLER TUMORI, ECCO LA PROTEINA POKEMON I MEDICI SI PREOCCUPANO PER I NONNI E I NIPOTI LEUCEMIA, “FARMACI INTELLIGENTI” SPINGONO LE CELLULE AL SUICIDIO PARAPLEGIA: MIRACOLO CINESE? INFARTO: RICOSTRUIRE IL CUORE ECCO LA GRANDE SFIDA VIAGGIO NELLA TELEMEDICINA: CURE A DISTANZA I FARMACI ANTICONVULSIVI RITARDANO L'INVECCHIAMENTO ======================================================= __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 21 gen. ’05 FORMAZIONE: VIA AL PIANO MORATTI ROMA Nel decreto legge sulla competitività entra in scena il «pacchetto formazione» di Letizia Moratti. E uno degli assi che saranno calati dal ministro dell'Istruzione, è la deducibilità fino al 60% delle somme investite e delle donazioni fatte dai privati per le università e gli enti di ricerca. Il nuovo piano è al vaglio dei vertici del ministero dell’Economia. E potrebbe contenere, anche altre sorprese: Le novità sono emerse nel corso della "Cena della Frusta" svoltasi a Roma e indetta dalla Fondazione Magna Charta, di cui il presidente onorario è Marcello Pera, Letizia Moratti ha spiegato che il decreto legge sulla competitività è un'opportunità importante per rilanciare un tema a lei malto caro: il capitale umano. «Se cresce di un anno la scolarità media in un Paese, questo produce un aumento dell'un per cento del prodotto interno lordo», ha detto il ministro. L'occasione del decreto legge, dunque, è' ghiotta: perché può consentire l'introduzione di misure da tempo caldeggiate da viale Trastevere che, attraverso l'istruzione e la formazione, possano sostenere e rilanciare l'economia; la produzione, la ricerca e l'innovazione. Anche perché; ha detto Letizia Moratti, ci sono due questioni preoccupanti da fronteggiare: il rischio di perdere tre miliardi di euro l'anno dall'Ue, fondi strutturali che dopo i12006 potrebbe non essere più destinati all'Italia e che finora hanno finanziato i bilanci delle Regioni per la formazione professionale. Ma c'è anche un'emergenza immediata: la carenza, ha detto il ministro, di 253mi1a quadri- tecnici indispensabili per il nuovo sistema di istruzione. Per superare l'impasse legata all'eventuale, drastico taglio dei fondi comunitari. Moratti pensa a un sistema di co-finanziamento diluito e a lungo termine che metta insieme risorse nazionali e regionali: è evidente, tuttavia; che il canale della formazione resta saldarnente legato ai singoli budget regionali. Il sistema sul territorio, peraltro, è complesso e a volte farraginoso: gli standard-indicatori del sistema formativo, in tutte le, Regioni, ammontavano complessivamente a 600, ma nell'ultima conferenza Stato-regioni sono stati ridotti a poco più di 40. Proprio in vista della nuova organizzazione, il fronte degli interventi sul sistema formativo registra altre novità di rilievo. Potrebbe nascere, a breve, il "manager di ricerca": una figura nuova, da inserire all'interno del sistema del personale accademico - ricercatori, docenti associati e ordinari - che dovrebbe essere- responsabile di grandi apparecchiature, scientifiche, servizi bibliotecari avanzati, centri di calcolo, con compiti di attività di ricerca, di didattica integrativa e di tutoraggio. Il “manager di ricerca" è lo sbocco previsto per i ricercatoti che non riescono a superare il concorso da associato ed è legato comunque ai fabbisogni degli atenei di questo profilo, La novità fa patte del piano per sbloccare la riforma dello status giuridico dei professori universitari, fermo in Parlamento, e sul quale si è svolto in ,queste settimane un confronto serrato tra tecnici ministeriali e rappresentanti del mondo accademico, con la mediazione a tutto campo del senatore Giuseppe Valditara (An). Il quadro degli interventi correttivi messo a punto due giorni, fa dovrebbe trovare il consenso degli organi di rappresentanza dell'università (Crui, conferenza dei rettori italiani, e Cun, consiglio universitario nazionale). E a quel punto il cammino parlamentare della riforma proposta da Letizia Moratti potrebbe avere una decisa accelerazione. MARCO LUDOVICO __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 17 gen. ’05 PRONTI TUTTI I NUOVI CORSI DI LAUREA. UNIVERSITÀ Verranno presentati domani i risultati dei 7 tavoli tecnici con le proposte per aggiornare obiettivi e formazione Entro fine febbraio sarà preparato il decreto da sottoporre al vaglio del Cun - L'intenzione è approvarlo prima della pausa estiva Il ministero assicura «tempi brevi» anche per l'abilitazione dei prof Italia». Parole da coniugare con la richiesta degli atenei di pochi accorpamenti nelle «classi» di laurea (il taglio interesserà l'area umanistica) e grande prudenza nell'accogliere le richieste di organizzare molti corsi di studi a ciclo unico quinquennale. Il modello, applicalo già con il decreto 509199 per le lauree specialistiche definite in base a direttive europee, varrà per Giurisprudenza quando la formazione è orientata alle professioni legali. In altri casi si vedrà. Dopo la riforma - voluta dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti - dell'autonomia didattica (decreto 270/04), sono quasi pronte le proposte di decreto che aggiornano gli obiettivi e le attività formative qualificanti dei corsi di studio, definendo i denominatori comuni cui devono attenersi gli atenei. Domani i gruppi di lavoro (con una sola eccezione, si vedano le schede in pagina) dovrebbero presentare i risultati al sottosegretario Maria Grazia Siliquini. Messi nero su bianco i progetti elaborati dai rappresentanti del mondo accademico e degli Ordini professionali, toccherà al Comitato tecnico- scientifico di coordinamento, presieduto dal sottosegretario, rivedere la mappa degli studi. «Il nostro obiettivo - spiega Siliquini - è realizzare un'università più aderente alle effettive esigenze formative del Paese e con un'offerta più chiara». L'attenzione del sottosegretario è rivolta soprattutto ai curricula per gli aspiranti professionisti, perché «la vera riforma delle professioni parte da quella dell'università. Serve maggiore uniformità nell'iter formativo, perché un ingegnere o un avvocato devono avere la stessa preparazione in tutta «flessibilità» e con quello che resta il filo conduttore della riforma. «Le università - afferma Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori - devono esercitare il massimo di autonomia per conciliare la coesistenza di tre sistemi: i corsi di vecchio ordinamento, quelli della riforma, cui sono iscritti tantissimi studenti e, infine, quelli basati sul decreto Moratti. Spetta agli atenei la distribuzione dei crediti, anche di quelli vincolati, tra le discipline, scegliendo all'interno dei settori scientifico-disciplinari. Inoltre, saranno le università a stabilire la scansione delle attività, al primo piuttosto che all'ultimo anno» In ogni caso, prima della firma del ministro, i decreti dovranno superare l'esame del Cun. E importante - afferma il presidente, Luigi Labruna - che si proceda guardando al quadro d'insieme del riordino. Dovremmo ricevere i decreti a febbraio e licenziarli entro aprile. Cosi gli atenei che lo vorranno potranno rivedere i regolamenti didattici per il prossimo anno accademico». L'obiettivo, ambizioso, rilanciato dal ministero è proprio di ripartire dopo l'estate con il nuovo impianto interamente a regime. Ma per raggiungerlo occorre sciogliere un altro nodo: la definizione delle nuove classi di abilitazione all'insegnamento. Senza questa misura non può essere varato il nuovo sistema di formazione degli insegnanti della scuola secondaria, a cui si sta dedicando un tavolo tecnico, ma dal ministero assicurano che i tempi saranno brevi. PAGINA A CURA DI MARIA CARLA DE CESARI GIANNI TROVATI MATEMATICA E FISICA NESSUNA MODIFICA ALLE CLASSI Prevale la "continuità" per quanto riguarda le classi di laurea e di laurea magistrale nell'area delle scienze matematiche fisiche e naturali. II lavoro del gruppo coordinato da Enrico Predazzi, preside all'università di Torino, ha quasi concluso la ricognizione e non dovrebbero esserci modifiche rispetto all'attuale numero delle classi. Attenzione particolare è stata riservata alle «declaratorie» che definiscono le linee essenziali delle lauree di primo e di secondo livello. Un compito delicato, viste le implicazioni professionali. Per esempio, per quanto riguarda la laurea magistrale in scienze geologiche - fa notare il Consiglio nazionale dei geologi - si è tenuto canto della legislazione riguardante i contenuti progettuali dell'attività professionale, rendendola più coerente con i compiti esercitati dagli ingegneri. A questo proposito Predazzi riconosce che la partecipazione della componente professionale ai tavoli tecnici per la revisione delle classi è «stata utile ed efficace». II confronto con il mondo produttivo e professionale, già previsto dal decreto 509/99, non deve essere solo formale, come spesso è stato nella prima fase di applicazione della riforma dell'autonomia didattica». Aggiustamenti a parte, la revisione del «3+2» dovrebbe avere effetti contenuti, se si esclude la struttura della laurea magistrale, articolata in 120 crediti e non più in 300 (distribuiti in cinque anni di corso). In ogni caso, Predazzi si mantiene prudente sull'opportunità di riformare la riforma senza la verifica dei risultati prodotti dall'autonomia didattica prima versione. ODONTOIATRIA Percorso più lungo di un anno Il corso di laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentaria, a ciclo unico in quanto il curriculum è "governato" da direttive europee, si allungherà di un anno. II corso di studi, infatti, dovrebbe articolarsi in sei, anziché in cinque anni, prevedendo il tirocinio. È questa la novità più rilevante che interessa le classi di laurea e di laurea magistrale dell'area sanitaria e che il gruppo di lavoro coordinato da Luigi Frati, preside della facoltà di medicina alla Sapienza di Roma, si appresta a formalizzare. Per il resto, non ci sono rilevanti novità rispetto all'assetto attuale: medicina e chirurgia (sei anni), veterinaria e farmacia (cinque anni) continueranno a essere lauree (magistrali) a ciclo unico, in quanto pensate secondo un "modello europeo". Confermato anche l'assetto della formazione per quanto riguarda le professioni sanitarie non mediche. L'offerta delle lauree, destinate a preparare una ventina di profili, continuerà a essere strutturata in quattro classi: professioni infermieristiche e professione sanitaria ostetrica, professioni sanitarie della riabilitazione, tecniche della prevenzione. Lo stesso vale per le corrispondenti classi di laurea magistrale, i cui corsi hanno debuttato quest'anno accademico. L'esame finale dei corsi di laurea mantiene valore abilitante alla professione. Ancora aperto, invece, il "caso" delle lauree nel settore delle biotecnologie: al posto dell'attuale organizzazione - che fa perno su una classe di primo livello e tre "specialistiche" (agrarie, industriali e mediche, veterinarie e farmaceutiche) - Frati propone due classi a ciclo unico. I corsi, quinquennali, farebbero capo, da un lato, all'area di medicina, farmacia e veterinaria e dall'altro al settore agro-industriate. STUDI UMANISTICI Semplificare il criterio guida L’area umanistica uscirà parzialmente semplificata dal progetto di riordino delle classi. II tavolo coordinato da Gianni Guastella, presidente della Conferenza dei presidi di lettere e filosofia, si è trovato a occuparsi di un vero dedalo di curricula: 10 classi di laurea triennale e addirittura 32 di laurea specialistica, destinati a ridursi a 24 se la proposta del tavolo sarà integralmente accolta. Scompare, nel biennio magistrale, la distinzione tra classi di storia e classi di filosofia; lingua e cultura italiana viene accorpata a filologia moderna e la classe di scienze della comunicazione pubblica, d'impresa e pubblicità nasce dalle ceneri delle classi 59/s (pubblicità e comunicazione d'impresa) e 67/s (comunicazione sociale e istituzionale). «La proliferazione dei corsi - riflette Guastelia - è un malcostume diffuso in area umanistica, e anche questo intervento normativo non sarà sufficiente a fermarla se non si affronta il problema culturale all'interno delle facoltà. 4 primi danneggiati da questa situazione sono gli studenti, costretti a orientarsi tra una miriade di corsi che spesso non chiariscono nemmeno nel nome L'esatto ambito di studi e, soprattutto, gli sbocchi professionali. Sempre seguendo il criterio della semplificazione, prosegue il coordinatore del tavolo, «in motti casi abbiamo sfoltito anche il numero degli ambiti disciplinari, in modo da creare classi di laurea immediatamente comprensibili agli studenti». Per molti settori che scompaiono, almeno nella loro veste autonoma, c'è una classe che nasce: quella di informazione e sistemi editoriali, al cui interno dovrebbe trovare posto la laurea specialistica per i giornalisti. I nuovi corsi seguiranno la formula degli accordi con l'Ordine, fino a oggi sperimentata con i master biennali post-laurea, che comunque non sono destinati alla scomparsa. GIURISPRUDENZA, ECONOMIA E SOCIOLOGIA Per scienze giuridiche ciclo unico Sotto la dicitura di "Scienze sociali e gestionali" il tavolo tecnico 6 ha abbracciato un panorama complesso di discipline in cui rientrano giurisprudenza, economia, sociologia, scienze politiche e scienze statistiche. Per quel che riguarda gli studi giuridici, come spiega il coordinatore del tavolo Renato Guarini (rettore detta Sapienza di Roma), «la novità più importante è che la classe in scienze giuridiche diventa a ciclo unico quinquennale, mentre resta triennale quella in servizi giuridici». Economia, come altre facoltà, ha seguito una strada che prevede modifiche misurate, confermando la struttura attuale delle classi di laurea che, come sottolinea Alberto Guenzi, presidente della conferenza dei presidi di economia, «hanno avuto un pieno successo». Le novità per i futuri economisti riguardano soprattutto l'articolazione dei curricula. Per le lauree triennali è stata sfruttata al massimo la possibilità di "bloccare" una quota di crediti formativi vincolandone 90 su 180. «In questo modo - spiega Guenzi - creiamo solide competenze di base. Sono previsti inoltre 28 crediti comuni alle due classi di economia», cioè la 17 (Scienze dell'economia e delta gestione aziendale) e 1a 28 (Scienze economiche). Per le specialistiche i crediti formativi universitari (cfu) vincolati sono 48 e prevedono, per tutti i corsi, una presenza proporzionale dei quattro linguaggi fondamentali: economico, aziendale, giuridico e quantitativo. In un corso di economia aziendale (classe 84/s), quindi, il 50% dei cfu bloccati sono di area aziendale, il 25% di area economica e il resto è equamente suddiviso fra area giuridica e quantitativa. Le proporzioni si ripetono, invertite, per i corsi della classe 64(s (scienze dell'economia). La presenza di materie economiche, secondo la proposta emersa dal tavolo tecnico, sarà accentuata anche nei corsi delle classi di turismo. SCIENZE DELLA VITA Non risolta la questione biotecnologie Nessun accorpamento o aumento di classi per quanto riguarda l'area di scienze della vita, che comprende psicologia, biologia e scienze naturali e ambientali. Uno dei punti critici all'esame del tavolo coordinato da Maurizio Cocucci, professore di chimica agraria alla Statale di Milano, è la richiesta avanzata dall'Ordine degli psicologi di tornare a un corso di studi a ciclo unico, per evitare che i laureati triennali, non attrezzati dal punto di vista culturale, possano in qualche modo "debordare" nell'analisi psicologica. Anche in questo caso, però, l'orientamento è mantenere i due livelli, curando che il curriculum dei laureati triennali sia focalizzato su funzioni di supporto e applicative (come la selezione del personale). Va invece trovata una soluzione alle impostazioni alternative per quanto riguarda le lauree di primo livello nell'area di biotecnologie. Per Cocucci è opportuno conservare una sola classe, poiché !a base culturale è comune e si utilizzano gli stessi strumenti per operare su organismi vegetali o animali. Luigi Frati, preside di medicina e chirurgia alla Sapienza di Roma, sollecita invece una differenziazione. Inoltre, i percorsi dovrebbero essere a ciclo unico (si veda anche l'altra scheda). Le posizioni sono «distinte ma non contrapposte - tiene a precisare Cocucci - visto che siamo tutti consapevoli del ruolo strategico delle biotecnologie e l'obiettivo è valorizzare l'area culturale». Per trovare una soluzione Cocucci ha chiesto un incontro con il gruppo coordinato da Frati, anche se, informalmente, il confronto è stato già avviato, visto che ci si è scambiati i verbali delle sedute e alcuni "saggi" partecipano a entrambi. AREA TECNICA Nell'ingegneria debutta la sicurezza Poche novità nel disegno complessivo dell'area, con alcuni significativi inserimenti che arricchiscono il panorama didattico. È questo il risultato del lavoro del tavolo dedicato all'area tecnica, che si è occupato di due famiglie di corsi: quelli di ingegneria e quelli di architettura. In tutto sette classi di laurea e 22 di laurea specialistica. Tutte salve tranne la 11/s, «Conservazione dei beni scientifici e della civiltà industriale, che non è stata attivata da alcun ateneo e sparisce dall'orizzonte accademico. Nell'ambito di ingegneria, la proposta del tavolo tecnico prevede il debutto del tema della sicurezza, frutto anche di una stretta collaborazione con i Vigili del fuoco. «La formazione sulla sicurezza - spiega Andrea Stella, presidente della conferenza dei presidi di ingegneria e coordinatore del tavolo tecnico – è sempre più sentita a livello professionale, e può essere applicata a tutti gli ambiti dell'ingegneria». Non una nuova classe, quindi, ma corsi dedicati nell'ingegneria edile (classe 4), civile (classe 8), dell'informazione (classe 9) o industriale (classe 10). Dopo la laurea, l'ipotesi prevede un master nazionale, uguale in tutta Italia, che può preludere al varo di una laurea specialistica. II futuro dipende, ovviamente, dai riscontri sul mercato del lavoro. Per quanto riguarda l'architettura, l'intervento più significativo riguarda una più rigida distinzione fra percorsi «europei», quelli cioè che rispettano i requisiti dettati dalle direttive comunitarie per l'esercizio della professione nell'Unione, e percorsi «normali». Oggi sono confusi nell'ambito delle stesse classi (la 4 e la 4/s). II tavolo propone di scinderli in due coppie di classi distinte. FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI Via per la cattedra ancora da tracciare Quello dedicato alla formazione degli insegnanti o è l'unico tavolo che non concluderà i suoi lavori domani. Prima di individuare i percorsi formativi per salire in cattedra, infatti, sono necessari due passaggi: il disegno preciso delle classi di laurea, che è compito degli altri tavoli tecnici, e l'individuazione delle classi di abilitazione, che invece spetta al ministero. Dopo la riforma disegnata l'anno scorso, la sede elettiva della formazione dei futuri docenti di scuola second9ria è la laurea magistrale, ma gli interrogativi a cui rispondere continuano a essere molti. Li passa in rassegna Giuseppe Silvestri, rettore dell'Università di Palermo e coordinatore del tavolo, quando spiega che «può essere necessario individuare una specifica formazione a monte, con crediti vincolanti da ottenere già nel corso del triennio, mentre altri sostengono che tre anni non siano comunque sufficienti ad assicurare la necessaria preparazione di base». La soluzione di tali nodi informerà anche i concorsi per l'accesso a queste lauree, che sono abilitanti per una professione e quindi devono presupporre requisiti precisi. L'addio alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (Ssis), quindi, non è affar semplice, e Silvestri giudica «difficile che si verifichi già dal prossimo anno. Questo - aggiunge - crea un problema ulteriore, perché ambiranno all'ingresso nelle Ssis anche molti laureati triennali. Impedirglielo non è possibile, perché è lesivo dei diritti, ma non va trascurato il fatto che fino a oggi le Scuole erano aperte a chi, con il vecchio ordinamento, aveva studiato per almeno quattro anni». __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 15 gen. ’05 SERVONO CORSI UNIVERSITARI All'estero esistono percorsi specifici di formazione, l'Italia invece segna il passo La figura del consulente immobiliare per aziende e investitori è nel pieno di una metamorfosi che lo sta trasformando da intermediario con improvvisate velleità di advisor in un professionista specializzato e competente. Nicola Albè,responsabile europeo di Oncor International, non ha dubbi: «L'evoluzione è in corso da anni e sta finalmente dando i suoi frutti. Come spesso accade, l'Italia parte con ritardi consistenti nella corsa all'innovazione, ma poi recupera con rapidità». Ma in cosa si differenzia il consulente di oggi rispetto a quello di ieri? «Innanzitutto l’ambito di azione e l'approccio - dice Albè -. Oggi non si può più fare confusione tra agente immobiliare e consulente. Oramai un consulente non è più solo un mediatore ma un professionista che offre le sue competenze e i suoi servizi in modo tale da realizzare i vari deal con la trasparenza e la correttezza necessarie. In futuro la professionalità di ciascuno diverrà l’elemento determinante per le carriere. Ma che uno voglia occuparsi di corporate oppure di investment, l'approccio non cambia». All'estero esiste una preparazione specifica al mestiere di consulente immobiliare, non in Italia. «Le grandi realtà europee, mi riferisco a Essec in Francia, Reading in Gran Bretagna e Deft nei Paesi Bassi, da noi non trovano ancora riscontro - prosegue Albè -. Li ci sono da amni corsi universitari specifici, dedicati ai futuri professionisti dell'immobiliare, la cui preparazione dev'essere metodica ed elastica al tempo stesso: i consulenti devono intendersi di economia e management, ma al tempo stesso conoscere il real estate anche sotto l'aspetto tecnico. L'immobiliare dev'essere al centro della loro attenzione, ma tutte le sue sfaccettature devono essere colte per gestirlo a meglio». In Italia si è partiti da poco e non ancora a livello di insegnamento universitario, ma solo con corsi e master ad hoc, per esempio quelli del Politecnico di Milano e dell'università Bocconi. «Fino a ora, negli incontri internazionali della grandi associazioni di categoria, la rappresentanza italiana è sempre stata sparuta, testimonianza dello scarso peso attribuito alla formazione - conclude Albè -. Mi auguro che anche da questo punto di vista il nostro Paese possa recuperare il terreno perduto. Anche perchè il mercato è ampio e, credo, in fase di ulteriore allargamento». Leonardo Milla _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 gen. ’05 UNIVERSITÀ: LE DIECI MALATTIE DA CUI SI DEVE GUARIRE LE SFIDE DEL 2005 Nelle migliori università europee il rapporto tra docenti e studenti è al di sotto di uno a dieci: in Italia è uno a trenta e in alcune facoltà della Sapienza supera uno a settanta. È una delle dieci malattie delle università romane, oberate anche di altri gravi problemi: la scarsa frequenza degli studenti alle lezioni, il rapporto con il mondo del lavoro e il veleno della raccomandazione. Gli studenti capitolini avrebbero diritto, tra l'altro, a sedi belle e moderne, ma aule, biblioteche e servizi sono spesso brutti e obsoleti. 1. Il rapporto docenti/studenti Nelle migliori università europee il rapporto tra docenti e studenti è al di sotto di uno a dieci. In Italia è uno a trenta. In alcune Facoltà della Sapienza supera uno a settanta. Tra i pochi docenti, molti sono precari. La situazione dei ricercatori - giovani quasi sempre meritevoli ma sempre mal pagati, male addestrati, male organizzati - è tale da profanare il concetto stesso di ricerca. 2. La scarsa frequenza alle lezioni Si dice che, se frequentassero tutti, non basterebbero le aule. Io sostengo, al contrario, che solo se frequentassero tutti, risulterebbero finalmente chiare le deficienze delle strutture e il basso numero dei professori. E il Governo sarebbe costretto a correre ai ripari. La bassa frequenza degli studenti li priva di supporti didattici e di vita comunitaria, demotiva gli insegnanti, crea un clima di sciattezza e di inutilità. 3. Il veleno della raccomandazione Nel 1902 due studiosi inglesi, Bolton King e Thomas Okey, pubblicarono un'inchiesta intitolata L'Italia d'oggi in cui si diceva: "Ogni bottegaio arricchito desidera vedere suo figlio avvocato, medico o impiegato civile… A molti è impossibile aprirsi una via nelle professioni affollate: e la maggioranza, che poco o nulla può guadagnare, cerca il pane in qualche concorso pubblico o strepita per ottenere un posto dal governo. Essi e i loro genitori esercitano feroci pressioni sui deputati, e un ministro sa bene che creare un certo numero di posti inutili può assicurargli molti voti". Questa patologia della raccomandazione continua a infestare sia gli studenti che debbono sostenere esami, sia i docenti che debbono affrontare concorsi, determinando una selezione alla rovescia per cui gli imbecilli prevalgono sui meritevoli. 4. Il disinteresse delle famiglie Lo sfascio dell'Università è senza dubbio da imputare a noi professori e ai Governi che hanno partorito i vari aborti di riforma. Ma, a loro volta, cosa fanno le famiglie degli studenti per assicurare ai loro figli una scuola decente? Ho scritto personalmente ai genitori dei miei duecento allievi per cointeressarli alle vicende della nostra Facoltà. Mi hanno risposto solo in tre: tre mamme che rispondevano anche a nome dei mariti perché questi "non hanno tempo". 5. Poche strutture, brutte Gli studenti romani avrebbero diritto a una sede bella e ampia, a laboratori moderni, a biblioteche, alberghi, ristoranti, attrezzature sportive simili a quelle che si vedono nelle università di San Paolo, di Teheran, di Pechino o di Bangalore. Non abbiamo soltanto strutture insufficienti: abbiamo strutture brutte. Nelle aule, nei corridoi, nei pochi servizi, tutto è approssimativo, carente, squallido, disordinato, lercio. Nulla di vero si può insegnare in un contesto brutto. 6. Il trionfo della burocrazia La burocrazia e l'accentramento soffocano sia la ricerca che l'insegnamento. I poteri di un Preside, meno ancora i poteri di un docente, sono minimi rispetto a quelli del Rettore, che tutto decide e governa, come in una monarchia pre- costituzionale. Il rettore D'Ascenzo neppure si degnava di rispondere alle lettere ufficiali che gli scrivevo come preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Sebbene povera, l'università potrebbe sfruttare almeno il vantaggio di essere libera, salvaguardando vivacità intellettuale e ricchezza delle idee. 7. Il personale non docente Le segreterie, gli uffici amministrativi, i laboratori, le biblioteche, sono gestite da personale messo alle strette tra risorse scarsissime e regolamenti procedurali di bizantina complessità. 8. Il rapporto col mondo del lavoro Oggi l'Università oscilla tra due opposte tendenze: da una parte vorrebbe assicurare agli studenti, futuri professionisti, una corsia preferenziale verso il mondo del lavoro, creando collegamenti sempre più stretti con le aziende; dall'altra si porta dietro la presunzione di coltivare esclusivamente il progresso intellettuale, rifiutando ogni contaminazione con il mondo della produzione e degli affari. I puristi della cultura e i puristi delle ideologie inchiodano l'Università a un iperuranio che la estranea dal mondo e destina i laureati a una inevitabile disoccupazione. 9. La mancanza di sbocchi Nel 1901 gli italiani erano 34 milioni, gli studenti universitari erano circa 15.000 e i laureati erano solo 4.000 all'anno. Ebbene: più della metà di essi era costretta ad emigrare all'estero per trovare lavoro. Oggi gli italiani sono 57 milioni, gli studenti universitari sono 1.600.000, i laureati sono più di 100.000 l'anno e più della metà resta disoccupata per un paio di anni. Sarebbe ora che questa mattanza avesse termine. 10. La sottostima dei master Oggi, finalmente, si sta diffondendo la frequenza ai master post-laurea che, se bene organizzati, assicurano ottimi risultati pratici. Ad esempio, il master in "Comunicazione e Organizzazione" istituito presso la Facoltà romana di Scienze della Comunicazione, in soli due anni ha preparato molti ottimi professionisti che ora lavorano con soddisfazione. Ma l'introduzione dei master nella pratica universitaria è minata dalla scarsità dei fondi e dalla sottostima delle istituzioni. Conclusione Nel 1894 il Ministro della Pubblica Istruzione Baccelli disse alla Camera: "Le posizioni più meschine e più miseramente retribuite vengono disputate con uno straordinario accanimento da un numero ingente di laureati... Si genera così una numerosa schiera di spostati e di malcontenti". In cento anni la situazione si è solo aggravata. Vorrei che il 2005 rappresentasse una svolta storica, ma non mi faccio illusioni. Domenico DE MASI _____________________________________________________________ La Repubblica 21 gen. ’05 L'ISTAT: "SIAMO PIÙ ISTRUITI" UN LAUREATO SU DUE È DONNA Presentato il rapporto sulla formazione scolastica 1991-2001 Il 30% degli italiani si è fermato alle scuole dell'obbligo ROMA - Cresce l'istruzione, tanto da spingere l'Istat ad affermare che gli italiani sono un popolo "più istruito". I dati sono contenuti nel 14esimo Censimento generale della popolazione e forniscono un quadro completo sulla formazione scolastica in Italia dal 1991 al 2001. Nei dieci anni presi in esame, la quota di residenti con almeno un titolo di studio è aumentato di tre punti percentuali (dal 90,3% al 93,2%). Di questa fetta di popolazione, le persone in possesso di diploma o laurea sono passate dal 24% al 35%. Sono aumentati i titoli di studio conseguiti, ma un italiano su tre si è fermato alle scuole dell'obbligo e la percentuale di chi non è mai andato a scuola resta il 7%. Le città con più laureati. La palma d'oro per la popolazione più istruita spetta a Milano, città con il più alto numero di laureati: 16,7% (179.797), seguita da Bologna con il 16,4% (53.454). Medaglia di bronzo a Roma con il 15,2%. Seguono: Firenze, Bari, Verona e, ultima, Palermo con il 10,4%. Le città con più diplomati. A Roma la quota di diplomati è vicina al 40% (37%); a Verona e Genova 32%. Fanno eccezione Napoli e Palermo, dove solo 27 residenti su 100 hanno un diploma di maturità o di qualifica professionale. Quelli che a scuola non sono andati. Nei grandi comuni delle regioni del nord- ovest e nord-est, la percentuale dei senza titolo di studio è inferiore a quella calcolata a livello nazionale: a Verona 2,3% contro la media nazionale del 6,8%. A Roma 3,3 persone su 100 non hanno conseguito neanche la licenza elementare. I dottorati e i diplomi universitari. "Resta pressochè invariata la percentuale di quelli in possesso di specializzazione post-laurea o dottorato di ricerca (18% nel 1991; 18,5% nel 2001). E' cresciuto anche il numero di giovani che hanno conseguito un diploma universitario (+0,5%), ma l'Istat precisa "che tale scostamento è dovuto anche al fatto che, a partire dagli anni immediatamente successivi al 1991, sono stati istituiti ex novo numerosi corsi di diploma universitario". Gli stranieri. Dieci stranieri su cento in Italia sono laureati; 31 sono diplomati. Tra i cittadini stranieri laureati, il 70% proviene da Stati non appartenenti all'Unione Europea e in particolare dall'Europa Centro-Orientale, dal Nord-Africa e dal Centro-Sud America. Le donne. Un laureato su due è donna. In dieci anni sono aumentate le studentesse che hanno conseguito la laurea (dal 42 al 49%), ma sono sempre le donne la maggior parte della popolazione che non ha alcun titolo di studio (il 66% contro il 33 % tra i maschi). Le preferenze. Gli studenti prediligono le discipline ingegnieristiche, le colleghe preferiscono le materie umanistiche dove solo il 27% dei laureati è rappresentanto da uomini. Nelle lauree mediche, invece, il rapporto maschi- femmine è bilanciato. _______________________________________ il manifesto 21-01-2005 LA RICERCA DIMENTICATA In Italia gli investimenti nella ricerca sono inchiodati all'l,l°1o del prodotto interno lordo. L'unica preoccupazione del governo Berlusconi è occupare posti nei centri di ricerca più importanti con uomini fedeli all'esecutivo. Critiche pesanti di Walter Tocci, Ds, alla strategia dell'Istituto italiano di tecnologia creato dall'ex ministro Giulio Tremonti Una delle tante vittime della legge finanziaria si chiama Ricerca. Ricerca e sviluppo non sono nel dna del governo presieduto da Silvio Berlusconi, sono distanti anni luce dalla sua politica economica, cosi estranei alla cultura di palazzo Chigi che anche la Confindustria ha capito da tempo che li c'è il buco nero più profondo, quello che prepara la strada al declino dell'economia italiana. L'unico interesse per la ricerca scatta quando si tratta di insediare «emissari» governativi nei centri di ricerca più importanti, come è avvenuto per il Cnr. E' la stessa filosofia che ha ispirato le nomine all'Antitrust e agli organismi istituzionali indipendenti. In termini di investimenti sulla ricerca, l'Italia è bloccata all'1,1% sul Pil ma quando si è trattato di mettere quattrini nell'Iit, l'Istituto italiano di tecnologia partorito dalla finanza creativa di Giulio Tremonti, come di incanto il governo ha stanziato un miliardo di coro per dieci anni. Peccato che neppure un euro di questi quattrini siano stati utilizzati per la ricerca. Ne parliamo con Walter Tocci, responsabile per i Ds in parlamento del settore Ricerca Quale sarà l'effetto della legge finanziaria voluta dal governo Berlusconi sulla ricerca? L'effetto più disastroso è il blocco delle assunzioni negli enti pubblici. Un blocco che si protrarrà fino a12007. E' un modo neppure tanto elegante per chiudere la porta alle nuove leve di ricercatori, con effetti devastanti. E' un fenomeno allarmante se si pensa che oggi più di ieri la ricerca è uno dei motori fondamentali dello sviluppo e della competitività. Noi invece siamo inchiodati a un investimento in questo settore che non supera l’1,1% del Pil. Il blocco delle assunzioni, tra l'altro, ha creato un esercito di giovani che vivacchiano a contratto e che stentano a trovare una collocazione. E' evidente che se non cambiano le cose la cosiddetta fuga di cervelli continuerà con maggiore vigore Eppure, quando la Confindustria o l'opposizione lamentano scarsa attenzione e magre risorse per la ricerca, gli esponenti del governo Berlusconi citano il loro fiore all'occhiello: l'istituto italiano di tecnologia creato da Giulio Tremonti Buono quello! Pensi che io sull'Itt ho presentato un'interrogazione al ministro dell'Economia e dell'Istruzione. Perché? E' presto detto: l'Istituto italiano di tecnologia, annunciato a pompa magna come il nuovo Mit italiano, disponeva di un importante finanziamento di 50 milioni di euro per l'anno appena passato e di un miliardo di euro per il prossimo decennio Come mai tanta generosità? Perché è una creatura dell'ex ministro Giulio Tremonti. Anche noi ci siamo chiesti dove stava il trucco. Tenga conto che disponibilità finanziarie di questo genere non trovano paragone in nessuno degli enti di ricerca o università italiana. Ma la cosa incredibile è che a più di un anno dalla costituzione dell'Iit, neppure un euro è stato speso per l'attività di ricerca in senso proprio. Anzi, la spesa più grande del bilancio corrente è stata dedicata a una consulenza per attività esclusivamente amministrative e gestionali, per le quali era stata stanziata la somma di 4 milioni di euro, poi ridotti a 1,3 milioni di euro. Altri finanziamenti? Certo, è stata annunciata sulla stampa l'intenzione di finanziare il San Raffaele di Milano, senza alcuna procedura di bando pubblico che consentisse un confronto tra le istituzioni. E' questa la politica sulla ricerca del centro destra. Ci credo che la Confindustria sta perdendo la pazienza. Gli hanno regalato la detassazione dell'Irap nel caso dell'assunzione di ricercatori ed è finita li. Le imprese italiane da questo punto di vista sono in pessime condizioni rispetto all'industria europea e i contributi del potere pubblico, da almeno tre anni non ci sono. Dopo aver detto tutto il male possibile dell'industria pubblica, non si può dimenticare che organismi come l’Iri facevano investimenti importanti nella ricerca Si può fare un confronto tra la situazione italiana e quella europea? Si può fare eccome ma è sconsolante. E risaputo che Berlusconi non ama l'Europa. Ma come abbiamo scritto in un documento ufficiale pochi sanno quanto costi questa neo autarchia. Le conseguenze più disastrose si verificano proprio nel settore della ricerca e dell'innovazione. Le faccio un solo esempio. In Europa si discute la Costituzione di un consiglio europeo delle ricerche. Il progetto ha avuto un impulso dalla dichiarazione congiunta di di Blair, Chirac e Schroeder. Il governo italiano invece si è messo di traverso. Eppure il nostro paese dovrebbe il più interessato ad integrare le reti di ricerca, vista la sua debolezza. Il commissario Busquin ha dimostrato che l'Italia ha conseguito nel 2003 il risultato peggiore con una diminuzione dell'investimento in ricerca del 5,3%, nonostante si trovi già al di sotto della media europea per circa il 50% Torniamo alla politica del governo in questo settore cosi importante per le imprese. Che cosa è stato fatto? Direi che è stato fatto poco o nulla. Salvo una politica rigorosa per togliere l'autonomia, come sta avvenendo all'Antitrust, agli enti di ricerca. In alcuni casi, come ad esempio, all'Istituto nazionale di fisica nucleare gli è andata male; ma il Cnr ormai è un organismo nell'area di governo dove sono state fatte nomine politiche. Hanno organizzato dipartimenti con il metodo del controllo politico. E' la logica che ormai pervade il governo in tutti i settori della politica e dell'economia. Una logica molto pericolosa che andrebbe contrastata fortemente. DECALOGO Tradimento italiano: 10 scelte antieuropee 1. Rifiuto di partecipare allo sviluppo del Consiglio Europeo delle Ricerche 2. Autarchia nella politica spaziale europea 3. Cessione agli anglo-americani della tecnologia radar nazionale attraverso l'accordo stipulato da Finmeccanica con Bae System 4. La Fiat ha venduto l'Avio, una delle poche industrie ad alta tecnologia del settore aeronautica 5. Perdita di leadership dell'Italia nella fase di sviluppo del sistema satellitare Galileo 6. Gli accordi in corso tra Finmeccanica e la francese Alcatel sfavorevoli all'Italia 7. Disimpegno finanziario nell'esplorazione interplanetaria 8. Da due anni il governo italiano è moroso nel contributo finanziario alla gestione del laboratorio di fisica della materia di Grenoble 9. L'Italia ha finanziato l'acquisto di un cacciabombardiere Usa, definanziando un analogo programma europeo 10. Decisione dell'Italia di uscire dal programma europeo Airbus __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 18 gen. ’05 LIBERA SCIENZA IN LIBERO STATO DI LUIGI LUCA CAVALLI-SFORZA Il referendum sulla fecondazione assistita dovrebbe decidere della legge recentemente proposta, destinata a rimuovere alcune preoccupazioni. Si tratta di preoccupazioni di ordine religioso: gli embrioni, anche di una cellula sola, hanno ricevuto gli stessi diritti di un adulto. Ma vi è però un'altra preoccupazione che è stata completamente dimenticata: le limitazioni che la legge pone alla libertà di ricerca. Purtroppo non stupisce che ciò avvenga in Italia, uno dei fanalini di coda della ricerca europea. Perché questa situazione? Forse il governo ha paura della scienza? O ritiene che i suoi sostenitori abbiano paura della scienza, e ha bisogno di quei voti? Si direbbe che nel governo, ma forse anche nel pubblico, vi è paura della scienza, ma non della tecnologia. Di che cosa si occupa la scienza? Della ricerca della verità? La Cei interviene sulla fecondazione e suggerisce l'astensione Ma chi ne ha bisogno? Invece la tecnologia ci dà le vacche grasse e le automobili, di cui non si può fare a meno. E poi, la scienza ci dice cose sgradevoli, come l'idea che abbiamo qualcosa in comune con le scimmie. Chissà quale altra diavoleria tirerà fuori. In realtà sarebbe giusto non aver paura della scienza, ma averne della tecnologia, poiché la scienza non presenta pericoli di per sé, mentre ogni novità tecnologica ha i suoi vantaggi ma anche i suoi costi. Le vacche grasse hanno portato la mucca pazza, l'automobile ha portato lo smog e una mortalità elevatissima per incidenti. La scienza ha reso possibili tutti i grandi progressi della medicina, che hanno diminuito la mortalità fino all'età riproduttiva dal 50% (come ancora avviene in molte popolazioni che non hanno alcun accesso alla medicina moderna) a meno dell' 1 per cento. Ci ha regalato dieci anni di vita oltre l'età che era una volta canonica per mettere le alucce, e cerca di renderla il meno sgradevole possibile. Ma la medicina ha bisogno di libertà di ricerca. Oggi le più grandi speranze vengono dalle cellule staminali - ma si tratta solo di promesse per il momento - e quelle offerte dalle cellule staminali embrionali sono molto superiori a quelle del le staminali adulte. La legge sulla fecondazione assistita vuole impedire questo tipo di ricerca. inoltre assegna uno stato equivalente a quello di individuo adulto all'embrione precocissimo, che pertanto una volta prodotto non può essere soppresso. Non si possono produrre più di tre embrioni in vitro per un tentativo terapeutico, ed è obbligatorio impiantare in utero qualunque embrione cosi prodotto, anche se destinato a dar origine a un neonato afflitto da gravi patologie genetiche (quali potrebbero essere accertate nel corso del procedimento: la legge infatti permette accertamenti dia2nostici). Pertanto in casi particolarmente sfortunati un medico sarebbe costretto a impiantare tre embrioni malformati per sfuggire a una pena che va dai 2 ai 6 anni o più, oltre a multa e sospensione dell'esercizio professionale. È chiaro che la legge sulla fecondazione assistita, che dà all'embrione appena formato tutti i diritti dell'adulto, vuol preparare il terreno per la abrogazione della legge che autorizza l'aborto, una delle maggiori conquiste legali italiane del secolo scorso. LUIGI LUCA CAVALLI-SFORZA __________________________________________________________ Il Mondo 28 gen. ’05 LA RABBIA DI RUBBIA PARALIZZA L'ENEA DOPO LO SCONTRO IN CONSIGLIO SUI RIFIUTI RADIOATTIVI Bocciato all'Enea con sette voti a favore e uno contrario (quello del presidente e premio Nobel Carlo Rubbia, il Trade, progetto per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Rubbia per protesta non si è più presentato nella sede romana di Lungotevere Thaon di Revel, né si sa quando sarà convoca ta la prossima seduta del cda, vista I'indisponibilità del presidente. Continua quindi la lotta all'interno dell'ente che non ha visto approvato neanche il bilancio provvisorio. «La bocciatura del Trade non fa certo bene all'Enea e all'Italia», sostiene una fonte interna. Nel progetto sono infatti coinvolti i principali Paesi europei e gli Stati Uniti. Molto probabile la revoca dei finanziamenti europei se l'Italia si chiamerà fuori dal programma. Da due anni ingegneri di varie nazionalità lavorano insieme agli italiani a Casaccia, il centro di ricerche dell'Enea vicino Roma. In attesa di decisioni, l'ordine della direzione generale per lo staff che finora ha seguito Trade è di non avere rapporti formali con i partner, tra cui l'italiana Ansaldo. Nel dubbio, qualcuno non ha neanche spedito gli auguri di Natale. Rosaria Talarico _____________________________________________________________ Avvenire 19 gen. ’05 L'ANNO DELLA FISICA: RUBBIA: «EUROPA STANCA, CINA E INDIA RISCHIANO DI SOVRASTARCI» La fuga dei cervelli Scienza, troppo pochi Da Parigi Daniele Zappalà «Occorre non perdere di vista che quest'Anno mondiale della fisica è legato a un problema e a un bisogno: oggi non c'è abbastanza gente che fa scienza e tecnologia. Ciò è particolarmente vero nel nostro Paese». Il premio Nobel Carlo Rubbia, invitato a Parigi dall'Unesco per il lancio internazionale dell'Anno di Einstein (a un secolo dalla pubblicazione dei primi tre rivoluzionari scritti del genio), non nasconde la propria inquietudine. In tante patrie storiche del progresso scientifico, il ricambio generazionale dei ricercatori non è più garantito. Professore, si parla tanto di fuga dei cervelli italiani verso l'estero. Condivide le preoccupazioni? «La mobilità di uno scienziato è sempre molto alta. Maggiore e di molto, ad esempio, rispetto a quella di una fabbrica. In uno spirito competitivo, uno scienziato preferisce andare nel posto che giudica migliore. Si muove, per usare una metafora scientifica, come un elettrone libero e sacrifica anche aspetti personali allo scopo di migliorare le proprie condizioni di lavoro, perché un uomo di scienza aspira sempre al massimo. Tutto ciò sta anche dietro a una situazione caratteristica del nostro Paese, dove parlerei di evaporazione dei ricercatori. Fra i motivi dell'evaporazione, c'è il blocco delle assunzioni degli ultimi tre anni. Tutti i grandi enti di Stato come il Cnr, l'Enea o l'Infn non hanno in realtà assunto nessuno. Ciò implica che perdiamo generazioni di scienziati perché un giovane che vuole diventare bravo cerca comunque di infilarsi da qualche parte, all'università o in un progetto di ricerca. Questo blocco burocratico influisce sull'invecchiamento del sistema Italia». Il calo di iscrizioni nelle facoltà scientifiche può essere legato anche a questa situazione? «È un altro discorso ma in parte sì, potrebbe darsi benissimo, dato che se non ci sono sbocchi i giovani ci pensano due volte prima di entrare. È certo che in Italia avremmo bisogno di avere più scienziati, più ingegneri, più facoltà tecnico-scientifiche e forse un po' meno formazioni a carattere classico. Si osserva un grosso scollamento fra il bisogno di sviluppare tecnologia e applicazioni tecniche, da una parte, e dall'altra il numero di persone a disposizione. Insufficiente per competere, se vogliamo competere». In un mondo sempre più ricco di tecnologie, questo disamore dei giovani verso la scienza non è paradossale? «È un disamore che non esiste nei Paesi in via di sviluppo. Cinesi e indiani, ad esempio, mostrano un enorme entusiasmo verso la scienza e la tecnologia. Questo problema direi di stanchezza è invece tipico dei Paesi più sviluppati, in particolare in Europa. Quasi ci fosse una mancanza di chiarezza nella direzione in cui gli individui vogliono andare. Come mostra anche una recente indagine, i giovani che fanno meglio nella scienza vengono ormai dai Paesi in via di sviluppo. Secondo me, ciò dovrebbe essere un segnale importantissimo per i nostri governanti». Nuove speranze si concentrano sull'Istituto italiano di tecnologia. La via delle istituzioni di eccellenza le sembra quella buona per rilanciare la competitività nella ricerca applicata? «Credo che prima di guardare in questa direzione, si dovrebbero fare un po' di numerologie. Per comprendere quanta gente occorre, chi è disponibile, eccetera. Ora, per quest'istituto, che non rappresenta una soluzione molto economica dati i suoi ingenti costi, si sta parlando di un numero relativamente limitato di nuovi ricercatori. Ma la ricerca è qualcosa che domanda tanto tempo speso in formazione, è come un albero facile da tagliare e difficile da rimettere in piedi. Il problema principale si trova a livello del sistema italiano, che annovera delle università anche di quasi mille anni. Si può dimenticare tutto questo e cercare qualcosa di diverso?». Lei dirige l'Enea, focalizzato su soluzioni scientifiche nel campo energetico. Crede che dei progetti innovativi potranno risolvere nel medio periodo il problema italiano della dipendenza energetica? «Il problema è dovuto ad una situazione del passato che oggi si cerca di correggere, cioè essenzialmente al fatto che l'Italia ha utilizzato delle centrali a combustibile liquido e che il sistema elettrico nazionale è basato fondamentalmente sul petrolio. È stata una scelta assolutamente disastrosa perché oggi il petrolio sta schizzando verso l'alto. Il mix energetico scelto non era quello adeguato. In Italia, ad esempio, abbiamo solo il 10% dell'energia generata col carbone, contro il 50% in Germania. Ciò fa una differenza sostanziale». Come uomo di scienza, cosa ha provato dopo l'immane catastrofe naturale dell'Oceano Indiano? «Non voglio aggiungere nulla a quanto già è stato detto. Solo una cosa, cioè che esistono tante altre situazioni di gente che perde la vita. La malaria, ad esempio, uccide ogni anno due milioni e mezzo di persone. Si tratta di una strage silenziosa, considerata quasi come accettata o accettabile, mentre l'evento eccezionale non lo è. Credo che occorra anche guardare le cose in faccia e dire: certo, dobbiamo cercare di evitare le catastrofi naturali, ma ricordiamoci che se volessimo fare qualcosa, e certamente abbiamo i mezzi per farlo, i grandissimi problemi sono dovuti alla mancanza di vitamine, di acqua e alla povertà. Le persone colpite dal maremoto, tutti i giorni, combattevano già una battaglia ben più cruenta che è quella della sopravvivenza». __________________________________________________________ Avvenire 18 gen. ’05 DALL'UNESCO IL MANIFESTO DEI DIRITTI BIOETICI» Non si può giocare con la dignità della persona umana, specie se è in ballo l'interesse di un minore, che va sempre considerato prevalente rispetto a quello degli adulti, genitori compresi. Su questi due principi non si discute. A ribadirlo è l’Unesco, l'Agenzia delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza, la Cultura e la Comunicazione, che in questi mesi sta lavorando ad una dichiarazione dei diritti in materia bioetica. Un documento di enorme importanza, frutto di un consenso larghissimo, che autorizza a guardare al futuro con fiducia. In questa linea si esprime il professor Francesco D'Agostino, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, nella sua prolusione per l'inaugurazione del Master in Bioetica e Formazione. Ad un attento uditorio, composto da una quarantina di laureati in giurisprudenza e in medicina e chirurgia che h anno superato il test di ammissione. D'Agostino, ordinario di Filosofia del diritto all'università Tor Vergata di Roma, rammenta che la tutela della dignità della persona umana deve sempre avere il sopravvento sugli interessi della ricerca scientifica. Non dimentica che quello della bioetica è certamente un tema lacerante non solo in Italia ma anche in numerosi Paesi del mondo. Ma non per questo occorre guardare alle vicende solo in chiave negativa. «È doveroso continuare a portare avanti un confronto culturale serio e rigoroso» - aggiunge - «ma non si può trascurare il fatto che, su altre tematiche di pari importanza, un consenso universale è stato raggiunto», Ne è una prova questa carta dei diritti in materia bioetica, che è ad uno stadio talmente avanzato da far ipotizzare la sua definitiva approvazione entro la fine dell’anno. Un fatto che lo studioso interpreta come «un dato emblematico dell'universalità dei problemi bioetici che ha fatto registrare un'ampia concordanza su una nutrita serie di problemi fondamentali». Non va dimenticato che i problemi bioetici non hanno confini: tutti i Paesi del mondo li ritengono ineludibili. Per questo l’Unesco ha sentito l'esigenza di elaborare un manifesta universale dei diritti bioetici, da porre accanto alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ragioni di ottimismo, dunque, anche alla luce del fatto che «L'Unesco è concorde nel ritenere imprescindibile l'esigenza di tutela, in linea di principio, del soggetto e della sua identità. Questo è un paletto formidabile nei confronti di ogni pratica e di ogni tentazione di manipolazione e di sfruttamento economico del genoma umano». Nella sua prolusione D'Agostino sfiora anche una serre di questioni aperte, come la procreazione e l'eutanasia, su cui le divergenze bioetiche sono notevoli. «Ciò non toglie - precisa - che non è corretto ritenere che la discussione in questo campo sia superflua e che la bioetica sia una pratica noiosa ed inconcludente. È vero esattamente il contrario». Perché, a fronte di alcuni problemi ancora drammaticamente aperti, esiste una vistosissima convergenza etica su moltissimi capitoli. Meglio concentrarsi, allora, sul lavoro da fare in vista di ulteriori convergenze che puntare all'esasperazione delle divergenze: «Le questioni tuttora aperte e laceranti non debbono indurre al pessimismo - conclude D'Agostino - che sarebbe il modo migliore di vanificare lo sforzo dialogico» fin qui compiuto. Rita Salerno _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 gen. ’05 VIA AI CONCORSI NELLE FACOLTÀ (129 POSTI) Disponibili 129 posti di docente Una valanga di concorsi nell'ateneo di Cagliari, a caccia di 129 nuovi docenti da inserire nell'organico. Il rettore ha dato il via alle prove per l'assunzione di 19 professori ordinari, 31 associati, e di 79 ricercatori. I bandi per la presentazione delle domande scade il 14 febbraio. Una ventata di novità, cui si contrappone la situazione di disagio dei ricercatori e dei lettori dell'ateneo di Cagliari, che nei prossimi giorni si riuniranno, in separate sedi, per analizzare i loro casi. Non sono da escludere anche forme di protesta. IL CONCORSO I posti di professore ordinario di ruolo sono disponibili per le facoltà di Giurisprudenza, Economia, Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature straniere, Scienze, Medicina, Farmacia e Ingegneria, così come i 31 posti di professore associato di ruolo. Per i ricercatori l'opportunità riguarda tutte le facoltà: 15 posti saranno distribuiti tra i poli di Giurisprudenza, Economia e Scienze Politiche, altri 21 per le facoltà umanistiche (Lettere, Filosofia, Scienze della Formazione, Lingue e Letterature Straniere), altri 18 come ricercatori in Medicina e Farmacia, e altri 24 in Scienze e Ingegneria. Coperti molti settori dove mancava un professore o un ricercatore, che dovrebbero anche alleviare i disagi per gli studenti, che per lacune materie universitarie non avevano un riferimento. L'avviso è arrivato venerdì, con la pubblicazione dei bandi (disponibili sul sito Internet dell'Università di Cagliari all'indirizzo www.unica.it/concorsi/docI05.htm) nella Gazzetta Ufficiale. La grande corsa è aperta, c'è tempo un mese per presentare le domande. DOTTORATI Si fanno intanto sempre più difficili le situazioni per i dottorati, vincitori di borse di studio, a causa dei ritardi nei pagamenti. Si va dall'attesa di un anno, per quelle ministeriali, fino ai tre per quelle delle fondazioni bancarie. Ogni anno si ripropone la situazione, e i borsisti sono costretti ad attendere l'approvazione per il rinnovo, senza avere nessuna sicurezza. Una vita lavorativa difficile che verrà affrontata nel prossimo coordinamento dei ricercatori. LETTORI LINGUE Se i ricercatori si lamentano, altre proteste arrivano dai lettori della facoltà di Lingue. L'ateneo ha chiesto indietro una parte degli stipendi, erroneamente messi in busta paga (circa 50 euro al mese, per un totale da restituire all'Università di 400 euro). Il tutto senza interpellare i diretti interessati, che hanno annunciato forme di protesta dure. Matteo Vercelli _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 gen. ’05 CONTRIBUTI MENSILI PER FAVORIRE LE SPECIALIZZAZIONI Una convenzione fra Regione e Università della Sardegna Favorire la specializzazione all'estero di persone già inserite nel mondo del lavoro e facilitare l'inserimento lavorativo di giovani disoccupati (o inoccupati) che abbiano almeno il diploma di scuola media superiore. È questa la finalità della convenzione che l'Assessorato regionale al Lavoro ha stipulato con le Università di Cagliari e Sassari. L'iniziativa consentirà ai lavoratori dei settori pubblico e privato di beneficiare di un contributo pari all'80% della retribuzione mensile per la realizzazione di un progetto formativo da svolgersi in uno dei Paesi dell'Ue. Inoltre, saranno messe a disposizione di giovani diplomati, laureandi e laureati residenti in Sardegna, e senza lavoro, borse di studio di 24.800 euro della durata di due anni finalizzate a favorire tirocini pratico-formativi all'estero, anche in imprese gestite da emigrati sardi. Le risorse messe a disposizione dalla Regione ammontano sui quattro milioni di euro, una cifra consistente che recupera anche somme non spese nella convenzione del 2002. In quell'occasione furono avviate 169 borse di studio di cui 71 portate a compimento e sfociate con l'inserimento lavorativo di ben 59 laureati. Con la nuova annualità parte delle borse saranno utilizzate per cofinanziare l'attivazione di oltre 50 dottorati di ricerca o master di specializzazione nel settore della salvaguardia ambientale e dello sviluppo sostenibile con il coinvolgimento anche delle sedi decentrate delle Università di Cagliari e Sassari. Il ruolo degli atenei sarà quello di realizzare i programmi operativi specifici, curando gli aspetti amministrativi e i rapporti con i privati e gli Enti pubblici che aderiranno all'iniziativa. La convenzione rientra tra gli interventi previsti dalla legge regionale 36 (del 24-12-1998) che regola le politiche attive sul costo del lavoro. I beneficiari sono infatti le imprese individuali, societarie e cooperative, consorzi di imprese individuali, societarie e cooperative che abbiano una stabile organizzazione nel territorio regionale e operanti in qualsiasi settore produttivo, commerciale o di servizi; i lavoratori autonomi, compresi gli iscritti negli ordini professionali; organizzazioni no profit che operano nel sociale. Le iniziative agevolate riguardano: l'assunzione a tempo indeterminato di apprendisti qualificati; assunzione a tempo indeterminato di soggetti inoccupati e disoccupati (che non godano della lex 223 del '91); assunzione a tempo indeterminato di disoccupati appartenenti alle categorie protette; assunzione a tempo indeterminato secondo le nuove norme sul collocamento; trasformazione a tempo indeterminato di contratti di formazione e lavoro; assunzione a tempo indeterminato di lavoratori in cassa integrazione straordinaria da almeno 24 mesi; assunzione a tempo indeterminato di disoccupati da almeno 24 mesi; assunzione a tempo indeterminato di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità; assunzione a tempo indeterminato di lavoratori part-time; assunzione a tempo determinato da parte di aziende del settore turistico. Per maggiori informazioni contattare le segreterie degli Atenei di Cagliari e Sassari e l'assessorato regionale al lavoro via XXVIII Febbraio 5, Cagliari, tel. 070.606290. Maria Bonaria di Gaetano __________________________________ Il Giornale di Sardegna 21 gen. ’05 LIBRO ANTISEMITA ALL’UNIVERSITÀ Il Timbro dell'Università di Cagliari. Su un saggio che dice: gli ebrei uccidono gli animali sen za anestesia, per cui è giusto essere antisemiti verso gli ebrei credenti e non bisogna dolersi che siano finiti dentro le camere a gas. L'autore, il docente di storia della filosofia Pietro Melis (della facoltà di Scienze della Formazione), l'ha inviato al rabbino capo della comunità ebraica di Roma. Con una lettera allegata piena di ingiurie. Ed è scattata un'interrogazione parlamentare di Gianfranco Anedda (An), una denuncia in corso per istigazione all'odio razziale e diffamazione, e uno scandalo nell'Ateneo cagliaritano. A pochi giorni dalla giornata della memoria dell'olocausto. I brani incriminati Pubblicato negli Annali di Scienze della Formazione, il saggio di Melis accusa le macellazioni rituali shechità e halal (ebraica e islamica), che impongono di mangiare solo animali dissanguati senza anestesia. Pagina 13: «Il cosiddetto tempio ebraico era in realtà un grande mattatoio, dove i cosiddetti sacerdoti cospargevano continuamente l'altare del sangue di animali ancora vivi. In considerazione di ciò è gi usto dichiararsi antisemiti nei riguardi degli ebrei credenti, né ci si può dolere del fatto che questi siano finiti nelle camere a gas naziste». Il saggio si chiama "Scontro tra culture e metacultura scientifica; l'Occidente e il diritto naturale". Melis ha inviato il saggio a fine dicembre a Riccardo Disegni, capo della Comunità ebraica di Roma, dentro un plico e con una lettera anonima: «Il mio saggio, inviato a 140 biblioteche, italiane e straniere, sia come un marchio indelebile sulla vostra pelle per ciò che ho scritto alle pagine 12-16. Sulla base del diritto naturale non dovrebbe essere un reato giustiziare un ebreo credente o un islamico». II rabbino capo ha subito sci al rettore Mistretta per avere spiegazioni. Finora, però, il caso caduto sotto silenzio. Finché il senatore sardo di Alleanza Nazionale, Gianfranco Anedda, non ha denunciato la pubblicazione saggio in un'interrogazione rivolta mercoledì ai ministri dell'Interno e della Pubblica Istruzione: E’ importante che vengano in prese iniziative affinché tali as de, spregevoli opinioni [...] circolino in una istituzione universitaria». La figlia del senatore l'avvocato Enrica Anedda, sta] parando una denuncia per diffamazione e violazione della legge Mancino (che prevede il reato istigazione all'odio razziale) conto di Giacomo Sandri, ebreo cagliaritano, che era a Roma giorno che è giunto il plico per trovare i miei amici della comunità ebraica, a fine dicembre». «Chiediamo che venga aperta un'inchiesta per istigazione a dio razziale», ha detto il vicepresidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, «è momento difficile per noi, tra docenti che organizzano campagne di boicottaggio contro Israele e lo sfiorato linciaggio all'Università di Pisa per un membro dell'ambasciata israeliana». Il rettore Pasquale Mistretta è «assolutamente mortificato di aver ferito la sensibilità del popolo ebraico» a cui esprime «le più sentite scuse», che oggi saranno espresse formalmente. «L'Università di Cagliari è libera e può accadere che i testi siano legati alle sole valutazioni degli autori. Scuse anche dal preside di Scienze della Formazione, Alberto Granese, per «affermazioni irresponsabili e offensive che gettano ombra sull'Università, ma dovute alla piena libertà di opinione che caratterizza, anche in casi aberranti». Cristiano Pintus __________________________________ Il Giornale di Sardegna 21 gen. ’05 «L'HO SCRITTO PERCHÉ SONO ANIMALISTA CONVINTO» II professore accusò l'ex preside Pala per un voto regalato alla sua ex fidanzata Professore associato di storia della filosofia, 66 anni, Pietro Melis è noto anche per un'altra vicenda: accusò l'ex preside di Filosofia Alberto Pala di aver regalato un 30 alla studentessa Marisa Renis, fidanzata con Melis fino al' 92, per un esame mai sostenuto. Che valse a Pala e all'allieva la condanna a un anno e mezzo per falso in atto pubblico. Professor Melis, ma cos'è successo? Ho inviato il mio saggio alla sinagoga di Roma. Per suscitare un caso, per provocare. E loro sono caduti nel tranello. Gli ebrei devono smettere di pretendere di far soffrire gli animali. Lei è filo-nazista? Sono un liberale, simpatizzo per la Lega Nord. È animalista? Assolutamente, da quando a dieci anni ho visto i buoi scappare dal mattatoio in via Sonnino. E sono anche vegetariano: prima per sentimento, poi per sentimento e per ragione. Ma che obiettivo ha? Vedere cosa fanno gli animalisti, voglio attaccare i Verdi: in Parlamento non hanno mai fatto nulla per gli animali. Gli ebrei hanno sofferto meno degli animali uccisi con la loro macellazione rituale. Ma lei arriva a dire di non dolersi per le camere a gas. Io mi dolgo di tutti gli animali uccisi senza anestesia e per dissanguamento. È inammissibile. Sa che rischia l'incriminazione per istigazione all'odio razziale? Ma allora non hanno capito niente. Io dico: questo è un paese con una Costituzione laica, se gli ebrei vogliono mangiare quella carne la importino da Israele, non la macellino qui. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’05 ANTISEMITISMO ALL'UNIVERSITÀ Cagliari. Alcune frasi nel libro di un docente provocano indignazione Interrogazione di Anedda alla Moratti e Pisanu È bufera sull'Università di Cagliari dopo la pubblicazione di un libro di testo che contiene frasi antisemite. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha chiesto formalmente spiegazioni al rettorato, mentre il capogruppo di An alla Camera, Gianfranco Anedda, ha interrogato i ministri dell'Interno e della Pubblica Istruzione per sapere com'è possibile che in un saggio - pubblicato dall'ateneo e scritto da un docente di Scienze della Formazione - si giustifichino l'antisemitismo e le camere a gas. Il rettore Pasquale Mistretta si è scusato formalmente e il preside di Scienze della Formazione parla di "espressioni ignominiose" mentre l'autore del testo, il professor Pietro Melis, parla di una provocazione e assicura: "Sono sempre stato filoisraeliano. I miei studenti? Non hanno protestato". Frasi antisemite in un libro d'esame per gli studenti di Scienze della Formazione All'Università lezione nazista Protesta il rabbino-capo di Roma, il caso in Parlamento "È giusto dichiararsi antisemiti nei confronti degli ebrei credenti, né ci si può dolere del fatto che questi siano finiti nelle camere a gas naziste". A scriverlo è un docente dell'Università cagliaritana, Pietro Melis. E non in una lettera o nel suo diario, ma in un testo d'esame, un libro indicato agli studenti di Scienze della Formazione che devono sostenere l'esame di Storia della Filosofia. Se per il professore si è trattato di "una provocazione" - come spiega nell'intervista accanto - e per il momento non si registrano reazioni o proteste da parte degli studenti che hanno letto il testo, c'è comunque qualcuno che ha sentito il dovere di reagire al nazismo in formato accademico. Innanzitutto c'è stata la durissima protesta di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, che ha chiesto spiegazioni per iscritto al magnifico rettore di Cagliari. Al leader religioso, nel pomeriggio di ieri, si è unito capogruppo di An alla Camera, il cagliaritano Gianfranco Anedda, che sulla pubblicazione antisemita ha rivolto un'interrogazione al ministro della Pubblica Istruzione e a quello dell'Interno. Anedda sottoscrive le "vibrate rimostranze" del rabbino - al quale ieri tanto il rettore Pasquale Mistretta quanto il preside della facoltà Alberto Granese hanno rivolto le loro scuse - e chiede al governo di intervenire "affinché tali assurde, spregevoli opinioni, contrarie al comune sentimento, alla Costituzione e ad ogni principio di civiltà, non circolino in un'istituzione universitaria". Il saggio incriminato si intitola "Scontro tra culture e metacultura scientifica: l'Occidente e il diritto naturale" ed è inserito in una pubblicazione dell'Università: Annali di Scienze della Formazione. Ha tutti i crismi dell'ufficialità accademica, insomma, anche quando a pagina 13 spiega che "il cosiddetto tempio ebraico era in realtà un grande mattatoio, dove i cosiddetti sacerdoti cospargevano continuamente l'altare del sangue degli animali ancora vivi". Ed è proprio "in considerazione di ciò", secondo il professor Melis, che sarebbe lecito l'antisemitismo e non ci si potrebbe dolere delle camere a gas. Facile immaginare l'imbarazzo del rettorato per un episodio che associa l'ateneo a un fenomeno disgustoso come l'antisemitismo: via Università assicura l'apertura di un'indagine conoscitiva e tende la mano al rabbino Di Segni. Nessuno ai piani alti aveva letto quel saggio, nessuno aveva idea delle tesi sostenute a pagina 13; eppure, se anche qualcuno avesse controllato le bozze prima della stampa, forse la pubblicazione non si sarebbe potuta evitare. Sembra un paradosso ma non lo è, come spiega il preside Alberto Granese: "Intanto diciamo subito che trovo vergognose, irresponsabili, inqualificabili e gravemente offensive le affermazioni sottoscritte dal professor Melis, e non ho dubbi che l'Università debba scusarsi con la parte offesa. Devo aggiungere che non mi è naturalmente possibile leggere tutti i testi pubblicati negli Annali, e che comunque il preside non ha diritto di censura su quanto scritto da un docente. Il preside può ritenere che determinate opinioni vadano condannate, ma non può censurarle. Detto questo, in un caso così grave avrei comunque forzato i limiti che il ruolo mi impone e avrei fatto in modo di bloccare la pubblicazione". Altrettanto netta la condanna da parte del rettore Pasquale Mistretta: "È vero, ho ricevuto la protesta del rabbino capo che mi esprime giustamente tutto il suo disappunto. Il mio commento? A caldo non posso che dire poche cose: intanto che purtroppo il professore non è nuovo a uscite di questo genere, sarà poi lui a spiegarci in base a quale fondamento. Di sicuro mi dispiace enormemente che si approfitti della libertà d'espressione e della libertà di stampa che vigono in una libera Università - dove non è consentita la censura, devo ricordarlo - per offendere la dignità del popolo ebraico. Sono mortificato, chiedo scusa al rabbino Di Segni e mi impegno a mandargli copia della nota articolata su questa vicenda che ho chiesto al preside di Scienze della Formazione e al nostro dipartimento per la memoria storica". Celestino Tabasso Parla l'autore del saggio "Volevo provocare, dagli studenti nessuna protesta" "Un'interrogazione parlamentare su di me? Vuol dire che la mia provocazione è andata a segno". Il professor Pietro Melis, docente di Storia della Filosofia e autore dello "Scontro tra culture" pubblicato nel ventisettesimo volume degli Annali universitari pubblicato nel 2004, non sembra particolarmente turbato. Professore, lei è antisemita. "Macché, chi legge quel testo vedrà che indico come modelli d'umanità ebrei laici come Einstein, Freud, Marx. E scriva anche che sono sempre stato filoisraeliano in una facoltà che negli anni Settanta era tutta pro Nasser. Sa quando Nasser diceva che avrebbe preso il caffè a Tel Aviv io che dicevo? Che speravo che gli israeliani prendessero il caffè in Marocco, pensi un po'. Le leggo un altro passo del saggio: "l'ebreo ateo Einstein rimane il miglior esempio di uomo senza identità, cioè senza cultura". Voglio dire che Einstein era orientato verso un tipo di umanità ideale e universale, mentre la cultura si restringe sempre nel locale. È un elogio". Ma nel suo saggio giustifica l'antisemitismo. "Ripeto, è una provocazione. Oggi purtroppo se non lanci una provocazione nessuno ti sta a sentire. E io volevo essere ascoltato nella mia denuncia: tutta l'Europa si dovrebbe vergognare per come vengono tenuti e abbattuti gli animali. In questa battaglia dovrei avere con me tutti gli animalisti". Ma per essere animalisti non c'è bisogno di essere antisemiti. Lei ha detto anche che i nazisti erano sì dei criminali, ma quanto a protezione animali erano all'avanguardia. "Ed è vero: una mia laureata ha scritto la tesi sulle leggi naziste per la tutela degli animali e della natura, dopo una traduzione dal tedesco gotico alla quale ho partecipato anch'io. Quanto ai sacrifici nel tempio, lo dice la Bibbia". Non basta per giustificare le camere a gas. "Io ce l'ho con quanto prescritto dalla religione ebraica per il sacrificio degli animali". Nessuno dei suoi studenti ha avuto nulla da ridire? "Nessuno. Forse per timore, visto che devono dare l'esame con me, comunque non ha protestato nessuno". Magari avrà qualcosa da dire la Procura. "Facciano quel che credono. Ho raggiunto l'età della pensione, se resto al lavoro è perché amo il contatto con i giovani". (c. t.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 gen. ’05 COSSIGA E GLI STUDENTI BOCCIANO IL PROFESSORE Università. Le reazioni Lezione antisemita, Cossiga e gli studenti uniti nella lotta. O almeno nella critica al professor Pietro Melis, il docente di Scienze della Formazione che ha inserito in un suo testo d'esame una «giustificazione dell'antisemitismo» e un invito a «non dolersi» delle camere a gas, data la crudeltà dei sacerdoti ebrei dell'Antico Testamento nei sacrifici animali. Il presidente emerito della Repubblica ha dichiarato: ««Non mi preoccupano tanto le autentiche sciocchezze dette da certo professor Pietro Melis in materia di antisemitismo e aggravate da quelle parole, ancor più sciocche, portate a sua difesa. Quello che mi preoccupa è che questo Pietro Melis continui continui ad essere docente di Filosofia nell'Ateneo Cagliaritano. È un segno inequivocabile della grande decadenza del nostro insegnamento superiore». I rappresentanti della lista Università per gli studenti, Fabiola Nucifora e Giuseppe Frau, hanno chiesto al rettore Pasquale Mistretta di «mettere con urgenza l'argomento all'ordine del giorno delle prossime riunioni di senato accademico e consiglio d'amministrazione, e di predisporre un'esemplare punizione per il professor Melis: la sospensione dall'insegnamento. Sarebbe la migliore lezione nel ricordare sessant'anni dopo fatti tragici che non devono più ripetersi». Duri anche i rappresentanti del Collettivo per gli studenti a sinistra: «Non è ammissibile - dice Valeria Deplano - che l'Università dia spazio a posizioni naziste: la democrazia arriva fino a un certo punto, oltre quel limite è giusto censurare». Ma oltre alle critiche per il docente è in arrivo anche un esposto in Procura: un ebreo cagliaritano, Giacomo Sandri, lunedì presenterà una denuncia controfirmata da molti altri cittadini Intanto all'Università fioccano le prese di distanza, dopo la protesta del rabbino capo di Roma un'interrogazione parlamentare sulla vicenda. Ieri dal Dipartimento di Studi storici, geografici e artistici è piovuto un comunicato in cui il direttore Claudio Natoli, i docenti e il personale tecnico-amministrativo esprimono «la più radicale condanna dell'aberrante riabilitazione delle camere a gas e del genocidio nazista. Questo avvilente episodio, che giunge in concomitanza con la Giornata della memoria 2005, per quanto del tutto isolato, costituisce un monito a sviluppare e a intensificare l'azione in cui da anni le Facoltà umanistiche, i Dipartimenti e i docenti di storia dell'Università di Cagliari sono impegnati per la diffusione della conoscenza storica del nazismo, del fascismo e della Shoah». Dello stesso tenore le dichiarazioni di Cristina Lavinio, direttore del Dipartimento di Filologie e Letterature moderne, che si associa alla presa di posizione del Dipartimento di Studi storici e auspica «che, affinché episodi del genere non abbiano a ripetersi in futuro, le pubblicazioni ufficiali delle Facoltà (come gli Annali) siano valutate preventivamente da un Comitato Scientifico di ampia composizione, che si esprima sulla pubblicabilità dei contributi e che possa, nel contempo, contribuire ad elevare la qualità dei lavori da pubblicare». Anche il preside di Lettere e Filosofia, Giulio Paulis, «sicuro di intepretare i sentimenti di tutti i colleghi, si dissocia totalmente» e ribadisce «l'impegno della Facoltà nella diffusione della conoscenza storica e nella trasmissione della memoria della Shoah alle nuove generazioni». Un altro preside, quello di Scienze della Formazione, ha già adottato una prima misura: Alberto Granese ha fermato la diffusione nelle biblioteche italiane di un quaderno edito dall'ateneo con un sunto del Melis pensiero, e dopo aver inviato una relazione sull'episodio al rettore Pasquale Mistretta ha spedito una lunga lettera al rabbino Riccardo Di Segni. Il professore, che aveva definito le sue espressioni «una provocazione» per parlare di come soffrano gli animali macellati, non ritratta: «Non posso essere considerato un filonazista se non dai disonesti o dagli imbecilli» scrive in un comunicato, e aggiunge: «Se gli animali non hanno diritto ad un rispetto, non lo possono pretendere neppure gli uomini, perché abbiamo la stessa origine cellulare. Conseguentemente non si può pretendere, come pretendono gli ebrei credenti e gli islamici (che metto insieme), di far soffrire inutilmente gli animali nei mattatoi con la scusa delle regole religiose». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 gen. ’05 L’AMERICA SCOPRE IL TEMA SCRITTO A MANO: I TEST NON BASTANO Cambia la prova di valutazione per le matricole. In 25 minuti bisogna elaborare un commento su un argomento di cultura generale L’AMERICA SCOPRE IL TEMA SCRITTO A MANO "I test per gli studenti non bastano più" C’è chi ci sta già perdendo il sonno. Perché quel che attende buona parte degli studenti del terzo anno dei licei americani è una rivoluzione. A marzo, per la prima volta, dovranno scrivere a mano un tema per accedere al College. Impresa non facile, nella terra dei test a risposte multiple. Ma tant’è. Il College Board americano, l’associazione non profit che ogni anno elabora programmi, servizi ed esami per 23.000 scuole superiori e 3.500 college, ha deciso di cambiare il Sat, lo Scholastic Aptitude Test, che misura capacità e attitudini delle aspiranti matricole. "Avevamo bisogno di rendere il test più vicino agli attuali programmi seguiti in classe, era indispensabile un cambiamento", spiegano al College Board. Più che di cambiamento, però, si tratta proprio di rivoluzione. La più recente modifica del Sat bisogna andare a cercarla nel 1994 e riguarda principalmente il via libera alla calcolatrice e l’abolizione delle domande con antinomie. Ma in 67 anni di americanissima storia del test non si era mai visto l’ingresso di una componente così latina e riflessiva come il tema. "Le regole - si legge sul sito www.collegeboard.com - sono chiare: gli studenti avranno venticinque minuti di tempo per completare, a mano, il loro elaborato. Ciascun compito sarà esaminato da due insegnanti che dovranno avere almeno tre anni di esperienza sul campo. Non si terrà conto della grafia, ma naturalmente gli elaborati dovranno essere scritti in modo comprensibile. Sono previste deroghe per i disabili e alla fine ciò che conta è il senso complessivo del lavoro, la coerenza e l’abilità critica". Un esempio? "Thomas Edison ha fallito diecimila tentativi prima di inventare la lampadina. Eppure lui ha sempre detto: "Non ho fallito diecimila volte, ma ho scartato con successo diecimila materiali e combinazioni che non funzionavano". Che cosa ne pensi? Qual è la tua idea su come si raggiunga il successo?". La "writing section" è solo una delle tre sezioni del nuovo test destinato alle matricole del 2006: ci sono pure la "critical reading section", sulla lettura critica, e la "mathematics section", sull’algebra. Gli esaminandi dovranno rispondere a tutto in tre ore e 45 minuti. E se il tema (caldeggiato dalla National Commission on Writing for America’s Families, Schools and Colleges) continua a essere la prova più temuta, anche la matematica fa paura: 70 minuti per risolvere problemi, domande a risposta multipla ed esercizi di geometria più complicati che in passato. Un incubo per i giovani italiani all’estero, già bocciati dall’Ocse all’ultima indagine che li metteva al ventiseiesimo posto tra 29 Paesi per lo studio della matematica. Il College Board però assicura: "Il risultato del Sat è soltanto uno dei fattori che College e Università prendono in considerazione nelle scelte di ammissione". Elvira Serra "Ma il vantaggio dei quiz è la correzione obiettiva" Carlo Secchi: ogni ragazzo ambizioso deve pretendere un meccanismo che lo metta alla prova Professor Carlo Secchi, il tema scritto diventa test per accedere alle università americane. E’ un bene? "Certo che è un bene. Riscoprire le prove scritte, come saper presentare delle relazioni, credo sia una cosa utile nella valutazione delle qualità degli studenti". Ex rettore dell’Università Bocconi di Milano e oggi ordinario di Politica Economica Europea per lo stesso ateneo, il professor Secchi è un sostenitore convinto di ogni tentativo di "recuperare la capacità di mettere assieme i concetti lungo un filo logico". Certo è una bella svolta per un Paese che da quasi settant’anni seleziona i suoi studenti universitari con test a risposte multiple... "E’ vero. Però non bisogna commettere l’errore di pensare che scrivere un saggio o un tema sia qualcosa di estraneo alla cultura e alla pedagogia degli Stati Uniti. Anzi, nelle scuole superiori si insegna anche a tenere discorsi, a rapportarsi con il pubblico". Ci sarà qualche aspetto da rimpiangere nei quiz con le crocette? "Il vantaggio di un test con le risposte multiple è quello di essere obiettivo nei meccanismi di correzione e di produrre classifiche inoppugnabili, svantaggio è la macchinosità. E poi il fatto che un quiz non può mettere in evidenza le potenzialità degli studenti". Con un testo scritto non si rischia la discrezionalità nella valutazione? "Il problema è trovare meccanismi di correzione che possano conciliare la capacità di valutare uno studente con le esigenze di essere più obiettivi possibile. Nel Regno Unito, per esempio, gli scritti degli esami di maturità sono corretti da team che lavorano a livello nazionale e che non hanno a che fare con le scuole delle quali devono valutare gli studenti". Secondo lei agli studenti americani piacerà il nuovo sistema? "Io credo che uno studente serio e ambizioso debba pretendere un meccanismo che lo metta davvero alla prova". _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 gen. ’05 UN MILIONE DI LIBRI NELLE BIBLIOTECHE DI CENTONOVE COMUNI Guide. Provincia di Cagliari Nei 109 Comuni della provincia di Cagliari sono presenti 110 biblioteche e sei sistemi bibliotecari intercomunali. Il 50% è aperto al pubblico per non più di 18 ore settimanali; solo il 32% per più di 24. Centotré biblioteche dispongono di un telefono, solo 68 di un fax, mentre il 70% ha un collegamento Internet, ma solo 12 hanno uno spazio proprio sul web. Sono alcuni dei dati che si possono leggere nella nuova Guida alle biblioteche comunali del cagliaritano, realizzata dall'assessorato provinciale ai Beni culturali. Rispetto alla Guida pubblicata nel 1999, i dati sono aggiornati a ottobre 2003 e sono consultabili con gli ulteriori aggiornamenti periodici sul sito del Centro servizi bibliotecari (hpp://cbs.provincia.cagliari.it). Il numero dei volumi posseduti dalle biblioteche della provincia è di 949.660 - in 4 anni c'è stato un incremento del 58% -, di cui 811.323 (85%) a disposizione del pubblico: 99.864 (11%) volumi sono collocati nella sezione Sardegna e 161.624 (17%) in quella Ragazzi. Per quanto riguarda gli iscritti al prestito, si è registrato, dal 1998 al 2002, un aumento del 24%. Solo in 59 biblioteche si accede al presito con procedura informatizzata. L'esigenza di riorganizzare il settore, ha portato la Provincia a promuovere un progetto sostenibile per la rete bibliotecaria del cagliaritano. È stato presentato ieri mattina da Ivana Pellicioli, responsabile della biblioteca dell'azienda ospedaliera Bolognini di Seriate, in provincia di Bergamo. "Nessun dubbio - ha esordito l'esperta - sul punto di partenza del progetto, che nasce dopo uno studio accurato della realtà bibliotecaria della provincia di Cagliari e che vede nella cooperazione la chiave di volta del sistema". In questi ultimi anni, infatti, l'organizzazione bibliotecaria fondata sulla cooperazione ha dimostrato di essere il modello vincente. Lo sviluppo dei servizi di secondo livello, la produzione di banche dati provinciali ha favorito, quasi ovunque, il prestito interbibliotecario e l'incremento di servizi tecnologicamente avanzati e multimediali. Dallo studio effettuato nelle biblioteche del cagliaritano, è emerso che il grosso problema è la mancanza di personale specializzato. "La gran parte delle biblioteche - ha sottolineato Pellicioli - si basa sulle prestazioni garantite da personale precario, dipendente da cooperative che non possono, per definizione, fornire garanzie per la continuità del servizio". Compito specifico della Provincia - è stato detto - è garantire i servizi di secondo di livello, primo fra tutti la catalogazione, possibilmente con un centro unico, mentre spetta alle biblioteche comunali fornire informazioni e avere sempre materiale nuovo. Biblioteche/1. Diecimila utenti nella sede di viale Trieste Altre postazioni Internet e nuova sala per il pubblico La cultura a portata di mano. La biblioteca regionale di viale Trieste 137 concede questa opportunità e offre la possibilità di consultare sessantamila volumi, 250 testate di periodici, 50 Cd-rom con banche dati, trecento cassette video e audio con la geografia, le tradizioni popolari e la musica folcloristica della Sardegna, la raccolta completa su microfilm dei quotidiani l'Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Le oltre diecimila persone che l'anno scorso hanno usufruito dei servizi offerti dalla biblioteca e hanno fatto segnare un incremento consistente stanno a dimostrare che il pubblico risponde e sta utilizzando il servizio. Anche sette postazioni multimediali che consentono il collegamento a internet costituiscono un valido supporto a coloro che usano la biblioteca per ragioni di studio o ricerca. "Intendo lavorare per potenziare la nostra attività in questo settore", spiega l'assessore regionale alla Pubblica istruzione Elisabetta Pilia, "perché sono convinta della sua funzione e validità. Importante per il prossimo futuro sarà lo sviluppo dell'informazione digitale, per la quale ci stiamo già muovendo: le banche dati sono destinate a ricoprire un ruolo rilevante per gli utenti ma anche all'interno della stessa amministrazione regionale". Il patrimonio della Biblioteca regionale si divide in varie sezioni: monografie (argomenti vari, diritto economia), periodici (quotidiani e riviste), informatica (monografie e periodici del settore), donne e società, rari (libri antichi e simili), opere di consultazione (enciclopedie e dizionari), Sardegna (autori sardi, cassette e tutto ciò che riguarda la Sardegna), giuridica (codici e raccolte di leggi). "Tra breve apriremo al pubblico anche il primo piano", precisa la direttrice Cecilia LIlliu, "ci saranno così a disposizione altre postazioni internet e 30 nuovi posti per la consultazione. Anche la sala conferenza capace di 66 posti sarà disponibile al più presto e completerà i servizi che offriamo al pubblico". Chiunque si può registrare per usufruire dei servizi presentando un documento d'identità valido. L'utente può consultare qualunque pubblicazione cartacea o in altro supporto, collegarsi a internet o ottenere in prestito gratuitamente fino a 4 libri per volta e per un massimo di 20 giorni. Tra breve nella sala destinata al pubblico, oltre i quotidiani sardi, si potranno leggere anche "Repubblica" e "Il Corriere della Sera". La Biblioteca regionale aderisce al Sbn (Servizio Bibliotecario Nazionale) che rende possibile trovare facilmente le indicazioni su qualsiasi pubblicazione posseduta da una biblioteca che aderisce al sistema. La Biblioteca regionale apre al pubblico da lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, il martedì e il giovedì dalle 16 alle 18,30. In un anno sono stati già diecimila gli utenti che hanno bussato alle porta. Ora col potenziamento delle attività, è possibile che il numero dei frequentatori venga incrementato. Tra loro ci sono numerosi studenti alle prese con le ricerche per la laurea e tantissimi amministratori pubblici. Il catalogo del "Polo Regione Sardegna"e raggiungibile anche in internet: http://opac.regione.sardegna.it/sebina/opac/ase. Per informazioni telefoniche 070 6064574. Sergio Atzeni Biblioteche/2. Presentata alla Provincia una mappa del servizi offerti dai Comuni Una guida per orientarsi tra gli scaffali La cooperazione tra biblioteche comunali per il rilancio del sistema bibliotecario della Provincia. Questa la formula suggerita da Ivana Pellicioli, responsabile del settore valutazione e della biblioteca dell'Azienda ospedaliera "Bolognini" di Seriate, intervenuta nell'incontro promosso dal centro servizi bibliotecari provinciali. L'occasione è servita anche per presentare la Guida alle biblioteche comunali della Provincia, realizzata dall'assessorato ai Beni culturali: accanto alla mappa delle biblioteche (ben 110 nei 109 comuni, con sei sistemi intercomunali), con orari, patrimonio librario e altre notizie utili, anche le statistiche relative ai prestiti (nell 2002, 330 mila, con circa 128 mila iscritti al servizio), il patrimonio delle biblioteche (sempre al 2002, stimato di 949 mila opere, con una crescita dal '98 del 58 per cento). IL PROGETTOAttraverso uno studio della realtà della Provincia, il progetto per il rilancio del sistema bibliotecario passa attraverso la cooperazione: "Negli ultimi anni", ha sottolineato la Pellicioli, "è stato il modello che ha permesso la riorganizzazione di diversi sistemi bibliotecari, attraverso, per esempio, il prestito interbibliotecario e lo sviluppo tecnologico". C'è il problema del personale: "Ci si affida a lavoratori precari", ha aggiunto l'esperta, "dipendenti di cooperative che non possono garantire una continuità. Tra i correttivi immediati, quello della catalogazione provinciale: è diseconomico e controproducente che ogni biblioteca comunale svolga questo compito". Altro limite, i libri vecchi: il rischio è di dare notizie sbagliate o superate, è necessario quindi un continuo aggiornamento. Il tutto mentre si va verso un futuro fatto di punti interrogativi: "Nuove Province, finanziamenti regionali con nuove regole e soprattutto l'assenza di una legge regionale non aiutano il sistema", ha spiegato Ester Grandesso, responsabile del centro servizi bibliotecari della Provincia. LA GUIDAVoluta dall'assessorato ai Beni culturali, la guida alle biblioteche comunali della Provincia, contiene tutte le informazioni. Sei i sistemi bibliotecari (Sulcis, Marmilla, Comunità montana Monte Linas, Comunità montana Sarrabus-Gerrei, Joyce Lussu e Bibliomedia), con 110 biblioteche comunali (tre di queste sono però chiuse). Tra le carenze maggiori, i pochi spazi web, gli orari ridotti (la media nazionale è di 25 ore settimanali, nella Provincia si arriva a 13,72), il personale (247 unità, di questo solo il 27 per cento di ruolo). Matteo Vercelli _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 gen. ’05 Biblioteche/1. Diecimila utenti nella sede di viale Trieste Altre postazioni Internet e nuova sala per il pubblico La cultura a portata di mano. La biblioteca regionale di viale Trieste 137 concede questa opportunità e offre la possibilità di consultare sessantamila volumi, 250 testate di periodici, 50 Cd-rom con banche dati, trecento cassette video e audio con la geografia, le tradizioni popolari e la musica folcloristica della Sardegna, la raccolta completa su microfilm dei quotidiani l'Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Le oltre diecimila persone che l'anno scorso hanno usufruito dei servizi offerti dalla biblioteca e hanno fatto segnare un incremento consistente stanno a dimostrare che il pubblico risponde e sta utilizzando il servizio. Anche sette postazioni multimediali che consentono il collegamento a internet costituiscono un valido supporto a coloro che usano la biblioteca per ragioni di studio o ricerca. "Intendo lavorare per potenziare la nostra attività in questo settore", spiega l'assessore regionale alla Pubblica istruzione Elisabetta Pilia, "perché sono convinta della sua funzione e validità. Importante per il prossimo futuro sarà lo sviluppo dell'informazione digitale, per la quale ci stiamo già muovendo: le banche dati sono destinate a ricoprire un ruolo rilevante per gli utenti ma anche all'interno della stessa amministrazione regionale". Il patrimonio della Biblioteca regionale si divide in varie sezioni: monografie (argomenti vari, diritto economia), periodici (quotidiani e riviste), informatica (monografie e periodici del settore), donne e società, rari (libri antichi e simili), opere di consultazione (enciclopedie e dizionari), Sardegna (autori sardi, cassette e tutto ciò che riguarda la Sardegna), giuridica (codici e raccolte di leggi). "Tra breve apriremo al pubblico anche il primo piano", precisa la direttrice Cecilia LIlliu, "ci saranno così a disposizione altre postazioni internet e 30 nuovi posti per la consultazione. Anche la sala conferenza capace di 66 posti sarà disponibile al più presto e completerà i servizi che offriamo al pubblico". Chiunque si può registrare per usufruire dei servizi presentando un documento d'identità valido. L'utente può consultare qualunque pubblicazione cartacea o in altro supporto, collegarsi a internet o ottenere in prestito gratuitamente fino a 4 libri per volta e per un massimo di 20 giorni. Tra breve nella sala destinata al pubblico, oltre i quotidiani sardi, si potranno leggere anche "Repubblica" e "Il Corriere della Sera". La Biblioteca regionale aderisce al Sbn (Servizio Bibliotecario Nazionale) che rende possibile trovare facilmente le indicazioni su qualsiasi pubblicazione posseduta da una biblioteca che aderisce al sistema. La Biblioteca regionale apre al pubblico da lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, il martedì e il giovedì dalle 16 alle 18,30. In un anno sono stati già diecimila gli utenti che hanno bussato alle porta. Ora col potenziamento delle attività, è possibile che il numero dei frequentatori venga incrementato. Tra loro ci sono numerosi studenti alle prese con le ricerche per la laurea e tantissimi amministratori pubblici. Il catalogo del "Polo Regione Sardegna"e raggiungibile anche in internet: http://opac.regione.sardegna.it/sebina/opac/ase. Per informazioni telefoniche 070 6064574. Sergio Atzeni Biblioteche/2. Presentata alla Provincia una mappa del servizi offerti dai Comuni Una guida per orientarsi tra gli scaffali La cooperazione tra biblioteche comunali per il rilancio del sistema bibliotecario della Provincia. Questa la formula suggerita da Ivana Pellicioli, responsabile del settore valutazione e della biblioteca dell'Azienda ospedaliera "Bolognini" di Seriate, intervenuta nell'incontro promosso dal centro servizi bibliotecari provinciali. L'occasione è servita anche per presentare la Guida alle biblioteche comunali della Provincia, realizzata dall'assessorato ai Beni culturali: accanto alla mappa delle biblioteche (ben 110 nei 109 comuni, con sei sistemi intercomunali), con orari, patrimonio librario e altre notizie utili, anche le statistiche relative ai prestiti (nell 2002, 330 mila, con circa 128 mila iscritti al servizio), il patrimonio delle biblioteche (sempre al 2002, stimato di 949 mila opere, con una crescita dal '98 del 58 per cento). IL PROGETTOAttraverso uno studio della realtà della Provincia, il progetto per il rilancio del sistema bibliotecario passa attraverso la cooperazione: "Negli ultimi anni", ha sottolineato la Pellicioli, "è stato il modello che ha permesso la riorganizzazione di diversi sistemi bibliotecari, attraverso, per esempio, il prestito interbibliotecario e lo sviluppo tecnologico". C'è il problema del personale: "Ci si affida a lavoratori precari", ha aggiunto l'esperta, "dipendenti di cooperative che non possono garantire una continuità. Tra i correttivi immediati, quello della catalogazione provinciale: è diseconomico e controproducente che ogni biblioteca comunale svolga questo compito". Altro limite, i libri vecchi: il rischio è di dare notizie sbagliate o superate, è necessario quindi un continuo aggiornamento. Il tutto mentre si va verso un futuro fatto di punti interrogativi: "Nuove Province, finanziamenti regionali con nuove regole e soprattutto l'assenza di una legge regionale non aiutano il sistema", ha spiegato Ester Grandesso, responsabile del centro servizi bibliotecari della Provincia. LA GUIDAVoluta dall'assessorato ai Beni culturali, la guida alle biblioteche comunali della Provincia, contiene tutte le informazioni. Sei i sistemi bibliotecari (Sulcis, Marmilla, Comunità montana Monte Linas, Comunità montana Sarrabus-Gerrei, Joyce Lussu e Bibliomedia), con 110 biblioteche comunali (tre di queste sono però chiuse). Tra le carenze maggiori, i pochi spazi web, gli orari ridotti (la media nazionale è di 25 ore settimanali, nella Provincia si arriva a 13,72), il personale (247 unità, di questo solo il 27 per cento di ruolo). Matteo Vercelli _____________________________________________________________ Il Messaggero 20 gen. ’05 IL RETTORE DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA TRE «CRESCITA? I CITTADINI PUNTANO SU DI NOI» Adrenalina pura. Un dato nel rapporto Censis fa gongolare gli atenei, come poche volte accade. I romani puntano sull’università (32,1%), seguita dal Vaticano e dall’aeroporto. Sono questi i volani della crescita. «I cittadini vedono nell’università il primo soggetto su cui puntare - spiega Guido Fabiani, rettore di Roma Tre, intervenuto al convegno sulla Roma del 2015 - Le università hanno così due missioni: produrre classe dirigente e dare un contributo sostanziale all’esigenza dei cittadini di far emergere la vita economica della città». Il rettore non si stupisce. «Solo le tre università pubbliche romane raccolgono 200 mila studenti. E’ come dire che 200 mila famiglie hanno aspettative fortissime in questo settore». Inoltre, ricorda Fabiani, a Roma si concentrano il 23-24% della spesa nazionale per far cultura, il 24% degli addetti alla formazione e alla cultura. «L’università è cambiata moltissimo, e il rapporto Censis mette in luce come le aspettative sulla funzione universitaria e gli interventi ad essa legati non sono visti tanto nell’ambito dell’assetto urbanistico, quanto nella valorizzazione culturale complessiva. Perché la cultura non sono solo i musei. L’università è molto cambiata negli ultimi cinque anni: è una straordinaria accumulazione di sapere che deve essere ancor più valorizzata. L’unico limite dell’università romana è quello di non essere ancora un sistema». Per Fabiani c’è una collaborazione forte tra gli atenei romani e Comune e Provincia mentre «non avviene lo stesso tra tutte le università e la Regione». A febbraio, intanto, nei locali di via Ostiense 133, verrà inaugurata la piazza telematica dell'ateneo con 200 postazioni multifunzionali. R.Tro. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’05 NATO APE-NEXT, IL SUPERCOMPUTER ITALIANO È fra le macchine più potenti al mondo: compie 12 miliardi di operazioni al secondo RomaSi chiama Ape-Next l'ultimo arrivato dei supercomputer italiani, gli Ape, ed è già entrato in produzione, con una quindicina di esemplari. Con la sua potenza, grazie alla quale compie 12 miliardi di operazioni al secondo, è immediatamente salito ai vertici della classifica mondiale delle migliori macchine di calcolo. Nato dalla collaborazione tra Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l'azienda Eurotech, Ape-Next non è soltanto uno dei supercalcolatori più potenti del mondo: ha il vantaggio di avere dimensioni ridotte (può essere contenuto in una normale sala da calcolo, anzichè richiedere centinaia di metri quadrati di superficie) e consuma meno energia rispetto agli altri supercomputer della stessa potenza. Il via alla produzione dei primi esemplari è stato annunciato ieri a Roma, in una conferenza stampa presso l'INFN, dal presidente dell'INFN, Roberto Petronzio, e dal presidente e amministratore delegato dell'Eurotech, Roberto Siagri, e il padre dei supercomputer Ape, il fisico Nicola Cabibbo. Le prime macchine saranno installate in Italia nei prossimi mesi, presso i laboratori dell'INFN, e si prevede che le prossime installazioni possano avvenire in Germania e Francia, e successivamente in Gran Bretagna. "La collaborazione tra l'INFN ed Eurotech è stata fondamentale per la realizzazione del progetto - ha osservato Petronzio - ed è un esempio di come la ricerca e l'industria italiana, quando collaborano attivamente, possano competere per vincere in Europa e nel mondo, favorendo la capacità di innovazione, con importanti ricadute industriali". Grazie alle diverse generazioni dei supercomputer Ape (Array Processor Experiment, esperimento di batterie di processori), ha rilevato Cabibbo, l'Italia è da vent'anni al passo con la ricerca internazionale in questo campo. Ape-Next appartiene all'ultima delle quattro generazioni dei supercomputer Ape, nata negli anni '80 con Ape-1 e proseguita con Ape-100 negli anni '90, quindi con Ape-1000 alla fine degli anni '90. Secondo Petronzio "sono supercalcolatori versatili e utilizzabili per le applicazioni più diverse". La prima applicazione dei supercomputer Ape, così come quella di Ape-Next è la fisica delle particelle. "I supercalcolatori Ape - ha detto Siagri - sono stati i microscopi dei fisici teorici", che hanno permesso di studiare la natura delle interazioni che legano i quark all'interno dei protoni e dei neutroni che formano il nucleo degli atomi. _____________________________________________________________ La Stampa 19 gen. ’05 I DIECI COMPUTER PIÙ POTENTI DEL MONDO LA CLASSIFICA SEMESTRALE DI WWW.TOP500.ORG GLI STATI UNITI RICONQUISTANO IL PRIMO POSTO, TERZO IL GIAPPONE, QUARTA LA SPAGNA. L’ITALIA NON C’E’ TOP 500 Supercomputer Sites (indirizzo: www.top500.org), il progetto nato nel 1993 con lo scopo di tracciare e rilevare i trend di sviluppo nel campo del supercomputing, ha pubblicato la sua classifica semestrale, dalla quale risulta che IBM, con il suo BlueGene L - di proprietà del Department of Energy americano -, si è installata saldamente al comando della graduatoria dei 500 elaboratori più potenti del mondo. «Big Blue» torna così a primeggiare in questo campo, relegando i giapponesi al terzo posto della classifica mondiale. L’Italia non compare nelle prime dieci posizioni. Il nuovo "mostro" Usa raddoppia le prestazioni del suo predecessore: dotato di 32.768 processori, ha una potenza di calcolo pari a 70.720 miliardi di operazioni al secondo: una capacità impensabile solo un anno fa. Il numero uno della precedente Top 500, l'Earth Simulator giapponese, e i suoi 35,8 Tflops/s, recede di colpo al terzo posto. Primo per gli ultimi tre anni consecutivi, infatti, è costretto a cedere il passo alla macchina di IBM e a Columbia, di Silicon Graphics - di proprietà della Nasa - un supercomputer dotato di una velocità di calcolo di 51,8 Tflops/s. Al quarto posto si piazza Mare Nostrum, del Barcellona Supercomputer Center, che vanta una potenza di calcolo di 20,5 Tflops/s. Ultima novità della classifica, il "Supermac", un supercomputer dotato di 2.200 doppi processori Xserve di Apple, azienda che ha fatto il suo ritorno in vetta alla classifica, al settimo posto per la precisione. La Top 500 dei computer più potenti al mondo conta ormai 398 sistemi che superano il Teraflop di capacità di calcolo, contro i 130 dell'anno prima: un chiaro segnale della dinamicità del settore. Ed ecco i dieci supercomputer più potenti del mondo con, nell’ordine, la posizione occupata, il proprietario e la potenza di calcolo in Teraflop al secondo (fonte: top500.org, novembre 2004): 1)Department of Energy (Usa)70,7 Teraflop 2)Nasa (Usa)51,8 3)Earth Simulator Center (Giappone)35,8 4)Barcelona Supercomputer Center (Spagna) 20,5 5)Lawrence Livermore National Laboratory (Usa)19,9 6)Los Alamos National Laboratory (Usa)13,8 7)Virginia Tech (Stati Uniti)con potenza di 12,2 Teraflop 8)Rochester (Usa)11,6 9)Naval Oceanographic Office (Usa)10,3 Teraflop 10)NCSA (Usa)9,8 La barriera d'ingresso per accedere ai primi dieci posti della classifica si è ormai attestata attorno ai 10 Teraflops/s. Dal punto di vista geografico, gli Stati Uniti continuano a dominare questa speciale classifica con 283 dei 500 computer più potenti, contro i 263 di un anno fa. L'Europa, dal canto suo, regredisce, passando da 142 a 128 supercalcolatori. Anche l'Asia scende, da 84 a 79. Tecnicamente, i processori Intel equipaggiano più della metà delle 500 macchine contenute nell'elenco, seguiti dai PowerPC di IBM (54 sistemi), dai PA di HP (48 sistemi) e, infine, dagli Opteron di AMD (trentun sistemi). Salvatore Romagnolo _____________________________________________________________ Repubblica 18 gen. ’05 DOCUMENTI "DEMATERIALIZZATI" AL LAVORO LA TASKFORCE DEL GOVERNO SARA BORRIELLO La burocrazia si prepara a compiere il "grande balzo" in avanti verso la modernizzazione e la trasformazione in una struttura agile e snella con uno standard europeo. A poche settimane dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del "Codice delle amministrazioni digitali", nasce il "Gruppo di lavoro per la dematerializzazione della documentazione tramite supporto digitale", voluto dal ministro per l’Innovazione, Lucio Stanca, composto da rappresentanti della presidenza del Consiglio, di nove ministeri e coordinato dal Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA). Il ministro Stanca, che ha la delega per le attività di promozione con le amministrazioni interessate di un "adeguato uso delle nuove tecnologie nei mondi della scuola, dell’università e della ricerca, della pubblica amministrazione, centrale e locale, dell’impresa, del lavoro, dell’attività sociale e dei cittadini", ritenendo che tra tali attività la dematerializzazione dei documenti cartacei riveste particolare rilievo, ha istituito il Gruppo con compiti propositivi nei confronti dei ministri. Il Gruppo dovrà individuare criteri e modalità tecniche per la conservazione digitale delle diverse tipologie di documenti amministrativi e consentire così la distruzione degli originali cartacei. Inoltre definirà la regole per la trasmissione e l’esibizione dei documenti "dematerializzati", in modo da garantirne l’integrità, la conformità e la provenienza, proponendo iniziative per razionalizzare, modificare o integrare la normativa vigente per favorire la più ampia dematerializzazione della documentazione. Il processo di archiviazione e conservazione dei flussi documentali in forma digitale è un fattore fondamentale per garantire nel tempo l’integrità, la provenienza e la reperibilità dei documenti. Esso, favorendo la velocità dei processi e determinando minori costi per le amministrazioni e le imprese, si pone anche come qualificante strumento di efficienza e di trasparenza delle amministrazioni pubbliche. La dematerializzazione, tra l’altro, permette grandi risparmi in termini di tempo nella trasmissione dei documenti e di spazi recuperati, grazie all’eliminazione degli archivi cartacei. Il Gruppo di lavoro è presieduto dal professor Pierluigi Ridolfi, rappresentante del ministro per l’Innovazione. La Segreteria tecnica, costituita presso il CNIPA e composta da esperti e rappresentanti di associazioni e operatori del settore, è coordinata da Enrica Massella Ducci Teri. ======================================================= _____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 gen. ’05 SANTA CRUZ A URLA CON IL RETTORE Si chiude al pronto soccorso la riunione convocata a Monserrato per i problemi dell'Anatomia patologica Davanti ai colleghi finisce l'amicizia con Mi stretta che in questi anni l'ha difeso dopo i contrasti con la Facoltà CLAUDIO CUGUSI Baruffa nell'aria al Policlinico, con un finale poco glorioso per l'Università. Da una parte il professor Beppe Santa Cruz, 59 anni, salito alle cronache per la frequenza dei litigi con i colleghi di Medicina. Dall'altra niente meno che il rettore Pasquale Mistretta, uomo temprato dalla politica e dall'università, grande mediatore. Con Santa Cruz, evidentemente, le doti diplomatiche non sono bastate: è finita a urla, accuse e male parole nei corridoi del grande campus di Monserrato. Con un altro docente alto e grosso, il professor Roberto Mezzanotte, che si è piazzato come scudo umano di fronte a Santa Cruz, tanto era forte la tensione. Dunque, le polemiche sul funzionamento dell'Anatomia patologia, il servizio diretto a Monserrato dal professor Santa Cruz, non si sono spente. Anzi: sono diventate un problema per tutto l'Ateneo cagliaritano. Patologici adesso sono gli scontri. Giovedì mattina, la pagina triste e insieme curiosa che ha fatto nascere un gossip dentro e fuori il rettorato. Accompagnato dal professor Roberto Mezzanotte, direttore dell'Istituto di Biologia e uno dei valutatori dell' attività svolta dagli altri colleghi, il rettore Mistretta si è presentato a Monserrato per incontrare il professor Santa Cruz, docente che ha raccolto una parte degli incarichi accademici dell'indimenticato professor Sergio Montaldo. Il clima della discussione - alla presenza anche del professor Sanna Randaccio, dei medico legali Franco Paribello e Antonio Carai - non doveva essere dei migliori sin da principio: al rettore premeva capire perché centinaia di metri quadrati dei locali affidati all'Anatomia patologica (ossia al professor Santa Cruz) non vengano utilizzati. Di più: Mistretta avrebbe chiesto lumi sull'attività della sezione e sulla produzione scientifica e assistenziale, visti anche i recenti acquisti di attrezzature per più di quattrocentomila euro. Domande legittime, che fanno parte del carteggio intercorso negli ultimi mesi tra Santa Cruz e la facoltà di Medicina. Ma il responsabile dell'Anatomia patologica, ormai convinto che ci sia una sorta di complotto di colleghi invidiosi contro la sua persona, non ha gradito e si è scagliato verbalmente contro il rettore. Che, ancora scosso e dispiaciuto per l'accaduto, non risulta abbia preso provvedimenti contro quello che ha sempre considerato un amico. Allo scontro era presente una parte del personale della Medicina legale e anche Rosa Santa Cruz, figlia del professore e contrattista nel dipartimento come tecnico di laboratorio. Raccontano che nei momenti concitati si sia sentita male. Per fortuna intorno a lei non mancavano i luminari della sanità cagliaritana. Per la cronaca al termine dello scontro Santa Cruz padre e figlia sono andati al pronto soccorso, dove sono stati visitati e dimessi. Dopo Montaldo lo sfascio la vicenda Santa Cruz è scoppiata alla fine degli anni Novanta dentro l'Università cagliaritana, dopo la morte del professor Sergio Montaldo, direttore dell'Istituto di medicina legale col quale Santa Cruz collaborava come anatomo patologo dell'università. La fine degli istituti universitari da una parte e le rivalità e tensioni che il professor Montaldo aveva saputo spegnere in partenza hanno provocato urta lacerazione dei rapporti umani tra docenti, impegnati peraltro in pratiche delicate come le consulenze tecniche e peritali per conto della Procura e del Tribunale di Cagliari. Ma il serial si è arricchito di un nuovo filone quando la facoltà di Medicina ha iniziato a chiedere al professor Santa Cruz i conti della sua gestione e della sua attività sia nel campo della medicina legale che in quello dell'anatomia patologica. Domande che a Santa Cruz sono sempre apparse pretestuose e mosse da un fine occulto: screditare il suo ruolo. Da giovedì anche l'amicizia con il rettore Mistretta, che l'ha sempre difeso, si è incrinata. _____________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 gen. ’05 IL RETTORE MISTRETTA CONSEGNA A SANTA CRUZ LE CHIAVI Dopo la lite sull'attività del reparto il rettore Mistretta consegna a Santa Cruz le chiavi delle aule mai aperte Anatomia, la salma si risveglia E’ sempre alta la tensione a Monserrato: dopo il preside il primario nei mirino contesta le nomine di tutti i direttori Il Policlinico nella bufera. Lo scontro verbale avvenuto giovedì scorso tra il professore Beppe Santa Cruz e il rettore Pasquale Mistretta ha aggravato le tensioni interne all'ambiente medico dell'Università. Inchieste, sopralluoghi, ritardi, accuse, reparti inutilizzati, laboratori trasferiti: tanti episodi per una lunga e articolata vicenda. Al centro delle polemiche il reparto dell'Anatomia patologica del Policlinico, ma tutta la querelle si sviluppa nel mondo delle nomine, dei nepotismi e dei malcostumi radicati nel mondo universitario. L'incontro-scontro Lo scorso fine settimana si è tenuto un incontro tra il Rettore, il professore di Anatomia patologica e altri colleghi. L'oggetto della riunione era la mancata apertura del reparto di Anatomia patologica del Policlinico universitario e la commissione interna doveva verificare le reali condizioni del reparto chiuso. La verifica è stata turbata da un'accesa reazione di Santa Cruz durante il colloquio con Mistretta. Le urla sono state udite da decine di persone presenti nel sottopiano del Policlinico. Fino alla scorsa settimana i rapporti tra il docente e il Rettore erano buoni. Da qualche anno il professore è al centro di polemiche perla mancata attivazione del reparto, la divisione della cattedra e degli esami di Anatomia patologica con il preside di Medicina Gavino Faa e altri problemi con il personale. Tre persone che lavoravano al suo fianco, nel laboratorio di biologia molecolare, hanno chiesto è ottenuto il trasferimento per"incompatibilità ambientale". Sdo Santa Curz esistono numerose irregolarità di carattere amministrativo e contabile all'interno del Policlinico. Il docente contesta anche la gestione della struttura perché i tre direttori (generale, amministrativo e sanitario) avrebbero dovuto avere un incarico provvisorio ma sono ancora ai vertici dell'azienda. Indagini in corso Secondo le indiscrezioni, varie indagini sono in corso sulle vicende interni al Policlinico. Santa Cruz questa mattina dovrebbe ricevere ufficialmente le chiavi del reparto di anatomia patologiva. Difficile fare previsioni sugli sviluppi futuri. I colleghi del docente non prendono posizione sullo scontro di Santa Cruz con Mistretta per evitare di mettere in cattiva luce l'intera struttura. Dopo il sopralluogo e la consegna delle chiavi del reparto, la situazione potrebbe sbloccarsi anche se le tensioni interne sono diventate troppo forti per portare a una conclusione pacifica. Beppe Santa Cruz è allo scontro finale: attacca il preside di Medicina, il Rettore dell'ateneo e i direttori del Policlinico. E, tra urla e inchieste, il servizio di Anatomia Patologica non parte. Le ultime puntate II silenzio regna tra le corsie del sottopiano del Polidinico di Monserrato. Pochi giorni dopo l'animato incontro tra il professore di Anatomia patolgica Beppe Santa Gt'uze il Rettore Pasquale Mistretta peri corridoi si sentono solo poche voci. Tutt'altro ambiente rispetto alla mattinata di giovedì scorso quando il Rettore è andato, insieme ad altri medici, nello studio del docente per verificare le condizioni dei reparto ancora chiuso di Anatomia patologica. Santa Cruz è il direttore "virtuale" del servizio che non é mai stato attivato. Tante anomalie caratterizzano la mancata apertura del reparto: la vicenda va avanti da tempo e giovedì le incomprensioni ' devono essere venute a galla perché Santa Eruz ha aggredito verbalmente il Rettore durante l'incontro. II battibecco è stato rumoroso e tante persone hanno sentito te uria che provenivano dal reparto, confinante con la silenziosa camera mortuaria. ________________________________________ Il Giornale di Sardegna 20 gen. ’05 SANTA CRUZ PUÒ ATTENDERE POLICLINICO UNIVERSITARIO Anatomia patologica Santa CruZ può attendere Ennesimo rinvio per l'apertura del servizio di Anatomia patologica del Policlinico. Ieri mattina c'è stato un nuovo sopralluogo nel reparto del professore Santa Cruz con l'obiettivo di consegnare le chiavi dei laboratori al docente. La dottoressa Maria Rosaria Mancosu, delegata del Rettore e capo dell'area Risorse materiali dell'Università, accompagnata dal vice direttore sanitario Paola Racugno e da due collaboratori che si occupano dell'inventario delle strumentazioni del reparto, non ha potuto dare il via libera per l'attivazione del servizio. All'interno dei locali la commissione ha trovato dei materiali di proprietà del Policlinico, contraddistinti da un'etichetta, dei materiali nuovi, non ancora sottoposti ad inventario, e altri materiali di provenienza incerta. Le condizioni del reparto non sono ancora quelle richieste per l'apertura e la consegna delle chiavi non è avvenuta. I tecnici ne sono in possesso mail professore Santa Cruz, non avendo mai ricevuto una comunicazione ufficiale, si rifiuta di utilizzarle. Il sopralluogo è stato rinviato a lunedì prossimo, ma la strada per l'apertura del servizio è sempre più tortuosa: incomprensioni, polemiche e contestazioni ostacolano la risoluzione della vicenda. (m.z.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’05 POLICLINICO: "SVINCOLO, REGIONE PASTICCIONA" Monserrato. Insorge anche il presidente della Provincia: si mettano d'accordo tra loro Il rettore si scaglia contro il blocco del ponte alla Cittadella Ora si sa anche il perché: "Lo svincolo sulla 554 per la Cittadella universitaria di Monserrato non consente un'equilibrata espansione del centro abitato". È così che la Regione giustifica il suo no al ponte strallato in uno dei punti più spinosi per il traffico sulla circonvallazione. Leggendo le motivazioni che hanno spinto il Comitato tecnico regionale per l'Urbanistica a dettare le condizioni per l'approvazione della variante del piano regolatore, chiesta da Monserrato proprio per realizzare il nuovo svincolo, sembra di tornare indietro di 11 anni. Diversi i motivi del no della Regione: impatto ambientale, differenza di struttura da quella originariamente prevista con "svincolo ad anello", inserita nel piano provinciale della mobilità del ?93, e zone di salvaguardia. "Complimenti per la tempestività delle decisioni e per il coordinamento dei soggetti coinvolti": esordisce così il rettore dell'Ateneo cagliaritano Pasquale Mistretta, alla notizia del blocco regionale allo svincolo. "È da 4 anni che 7,5 milioni di euro giacciono nelle casse senza essere utilizzati, intanto ho partecipato a due conferenze di servizi all'assessorato regionale ai Lavori pubblici dove progetti, valutazioni di espropri, pareri e quant'altro si sono succeduti. Ora l'assessorato all'Urbanistica fa l'offeso con quello ai Lavori pubblici e blocca l'opera". Mistretta lancia un appello al presidente Soru: "Dall'alto della sua carica, risolva il problema dando delle indicazioni precise ai due assessorati". A proposito dell'anello di cui parla la Regione, Mistretta aggiunge: "Premesso che i terreni sono dell'Università e quindi dello Stato, e che non si può decidere in casa d'altri, in tutte le città del mondo, Tokyo e Bilbao per citarne solo due, si fa a gara per realizzare ponti strallati. Certo, quello di Cagliari non sarà opera di nomi internazionali, ma può essere considerato un segno architettonico nel triste paesaggio della 554". Non mancano i commenti sulle destinazioni d'uso. "Non credo che sia compito dell'Urbanistica entrare nel merito delle scelte del Comune di Monserrato e del sacrificio di territorio per realizzare l'opera. Se ci si vuole rifare alle esperienze del Porto canale, 40 anni, dell'asse mediano, 35 anni, del teatro comunale, 15 anni, dobbiamo preoccuparci perché purtroppo la 554 ha una storia di soli 11 anni". Sconcertato il presidente della Provincia, Sandro Balletto: "Nell'ottobre del 2003 la Regione approvò il progetto definitivo dell'opera: ora, a distanza di un anno, quel progetto non è più considerato attuabile. I cittadini delle amministrazioni coinvolte nell'opera pubblica devono sapere chi in tutti i modi sta cercando di far saltare la realizzazione dello svincolo", prosegue Balletto, "perché se l'assessore regionale intende mandare in fumo tutti questi anni di lavoro, deve dichiararlo". Stando a quello che è richiesto dal documento regionale, "dovremmo rifare tutto da zero: questo significa che potrebbero passare altri cinque anni prima di vedere il cantiere dello svincolo", continua Balletto, "per questo ho convocato per il 4 febbraio una conferenza di servizi alla quale saranno invitati tutti gli enti che partecipano al progetto". Balletto non ha ancora preso contatti con gli amministratori coinvolti nell'opera, ma anticipa: "Per ora ho sentito soltanto i miei avvocati, che hanno espresso incredulità". Serena Sequi __________________________________________________________ L’ Unità 17 gen. ’05 IL DIABETE AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO Uno studio coreano Un imponente studio coreano, condotto da Sun Ha Jee della Graduate School of Public Health alla Yonsei University di Seoul, ha dimostrato che i costi del diabete sono molto più alti di quelli riferibili solo all'aterosclerosi. La ricerca ha infatti confermato il legame tra l'aumento della glicemia e il rischio di cancro, di tutti i tipi. Lo studio, il Korean Cancer Prevention Study, è durato 10 anni ed ha incluso 1,298,385 coreani (829,770 uomini e 468,615 donne), tra i 30 e i 95 anni di età, che hanno stipulato un'assicurazione con il National Health Insurance Corp. e si sono sottoposti alle visite mediche semestrali. Nei dieci anni di follow up, le morti per tumore sono state 20 566 negli uomini e 5907 nelle donne. Per quanto riguarda il sito del tumore, si è visto che l'associazione maggiore riguardava il pancreas (più 91 % negli uomini), l'esofago, il fegato, il colon retto, soprattutto nei maschi. _______________________________________________ Libero 19-01-2005 EPATITE, RISCHIOSI PERFINO BARBIERE E MANICURE Se troppo frequenti, possono essere pericolosi come i tatuaggi e i piercing ROMA - [y.y.] C'è il serio pericolo di ammalarsi di epatite frequentando troppo spesso barbieri e centri di bellezza. E quanto emerge da una ricerca svolta dagli scienziati del Laboratorio di Epidemiologia dell'Istituto Superiore di Sanità di Roma. Essi hanno in particolare constatato un aumentato rischio di incidenza dell'epatite s e C in coloro che si sottopongono abitualmente a rasatura della barba, manicure, tattoing e piercing. La prima forma di epatite è dovuta a un virus a Dna del gruppo degli Epa-Dna- virus. Il contagio avviene mediante contatto con sangue e altri liquidi corporei (saliva, sperma) provenienti da persona infetta. Ha un periodo di incubazione di 45-160 giorni con una media di 120 orni. Nella maggior parte dei casi a malattia guarisce senza lasciare esiti; tuttavia in una certa percentuale di casi (fino al 90% nei bambini che l'hanno contratta, al momento del parto, dalla madre portatrice) cronicizza; i portatori cronici di epatite C sono esposti ad un forte rischio di trasformazione in cirrosi o in carcinoma epatocellulare. L'epatite C è invece dovuta ad un virus a Rna del gruppo dei Flavi-virus. Anche in questo caso il contagio avviene tramite sangue infetto ed altri liquidi corporei. Ha un periodo di incubazione dalle 2 settimane a 6 mesi con una media di 6 - 7 settimane. Nell'85% dei casi si verifica un'infezione persistente. Il 65 70% dei pazienti sviluppa un'infezione cronica ed il 20% va incontro a cirrosi. L'esperimento è stato compiuto tra il 1997 e il 2002 su un campione di soggetti di età compresa tra i 15 e i 55 anni. Si è visto che l'epatite C colpisce soprattutto chi frequenta il barbiere, mentre l'epatite C ha un'incidenza maggiore tra coloro che si sottopongono a tatuaggi e piercing. Infine gli studiosi hanno concluso che circa il 15% di tutte le epatiti B acute (17,4% nei maschi) e l’11,5% di tutte le epatiti C (16,4% nei maschi), che si sono presentate nei soggetti coinvolti nella ricerca, non esposti a droghe per via endovenosa o a trasfusione di sangue, erano dovute a trattamenti di bellezza. __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 20 gen. ’05 RIVOLUZIOE RFID? NON PRIMA DEL 2010 In un mercato che fatica a ritrovare i fasti di un tempo, i big I dell'informatica erano da tempo a caccia della killer application, il nuovo personal computer, la nuova Internei. E forse, finalmente, l'hanno trovata. Le etichette intelligenti con la tecnologia Rfid hanno, secondo gli esperti, tutte le carte in regola per trasformarsi in un affare da capogiro, perché interessano un numero impressionante di mercati diversi (praticamente, chiunque debba gestire una supply chain) e comportano investimenti ingenti da parte di molti soggetti, dalle grandi imprese ai piccoli business familiari. Le imprese. Tutti i grandi attori del mercato stanno sperimentando questa tecnologia, immaginando applicazioni pratiche e convincendo i loro clienti a varare progetti pilota un po' in tutto il mondo, Italia compresa. Ma la gallina dalle uova d'oro non darà i suoi frutti molto presto, almeno stando alle ultime previsioni di Idc, che ha organizzato recentemente un convegno a Milano sull'argomento. «Per vedere 1e etichette Rfid associate ai singoli oggetti bisognerà aspettare fino al 2010», spiega il ricercatore di Idc Roberto Mastropasqua, che lancia un messaggio agli imprenditori: «Implementare con profitto questa tecnologia significa per le aziende liberare risorse finanziarie, magari adottando soluzioni on demand per ridurre i costi fissi associati a1l’Ict». Come dire che la strada giusta esiste già: basta percorrerla. Ma a che punto siamo adesso? Secondo Idc, questo è il momento in cui le aziende iniziano a implementare 1e etichette digitali a livello dei pallet, con progetti pilota che puntano più che altro a scoprire le potenzialità di questa tecnologia, ma che comunque realizzano già una prima fase di quel controllo che l’Rfid promette. Una fase, quella attuale, che proseguirà fino al 2008 e che in Europa verrà spinta dalla legislazione sul1a tracciabilità, che già dal gennaio prossimo diventerà obbligatoria nella filiera alimentare. La tracciabilità. Ma il bello arriverà successivamente. Fra cinque o sei anni gli operatori delle filiere cominceranno ad applicare i dettami della tracciabilità Rfid anche ai singoli oggetti, aprendo di fatto la strada a quella che ha tutta l'aria di essere una vera rivoluzione. La prima, nel mondo della tecnologia, da ormai molti anni. Tutti i prodotti verranno etichettati con i piccoli chip e una nuova generazione di strumenti di controllo e gestione diventerà possibile. Le aziende informatiche incrementeranno i propri fatturati, i loro clienti potranno mettere in atto economie di scala e programmi di razionalizzazione finora completamente impossibili. «Con le etichette Rfid il costo di acquisizione dei dati decresce vertiginosamente», spiega il professor Luigi Bartezzati, dell'Osservatorio sull'Rfid del Politecnico di Milano. «E questo è soltanto uno dei tanti vantaggi di questa tecnologia per le imprese. Per non parlare del netto incremento dell'affidabilità delle informazioni in possesso delle aziende e la possibilità di effettuare aggiornamenti in tempo reale». Dati a livello mondiale sul l'entità di questo giro d'affari ancora non ce ne sono, probabilmente perché o principali analisti attendono ancora di verificare con una minima prospettiva la portata del fenomeno. Ma Idc dà un assaggio significativo prevedendo gli investimenti della catena di distribuzione delle aziende americane. Fra hardware, software e servizi, fanno scorso le imprese Usa hanno speso poco più di 90 milioni di dollari: bruscolini, se paragonati alla somma di 1,3 miliardi di dollari prevista per il 2008. Le criticità. Eppure i dubbi da sciogliere sono ancora parecchi. «Per sviluppare una corretta strategia Rfid, imprenditori e manager devono necessariamente sviluppare una visione globale della loro impresa - spiega Mastropasqua -. Non bisogna avere fretta: prima di tutto bisogna applicare questa tecnologia fra le pareti aziendali e solo successivamente aprirsi alla filiera esterna». Ma c'è dell'altro. Secondo Luigi Bartezzati, «nella grande distribuzione organizzata il vero problema sarà procedere nell'innovazione con l'accordo di tutte le componenti della filiera, ma i passi in avanti verranno compiuti soprattutto a fronte della pressione esterna da parte del mercato». Paolo Conti PIÙ EFFICIENZA IN OSPEDALE CON LE ETICHETTE INTELLIGENTI Etichette Rfid per migliorare l'efficienza del pronto soccorso. È l'obiettivo di un progetto pilota avviato pochi mesi fa all'Ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese, che si propone di sperimentare le potenzialità degli smart tag in tutti gli ambiti chiave del funzionamento del reparto. Il progetto prevede di integrare la tecnologia Rfid con una rete Wi-Fi per risolvere alcuni problemi molto sentiti dagli operatori. «Per esempio - spiega il primario del Pronto Soccorso dell'ospedale Francesco Perlasca - avremo la possibilità di rintracciare in tempo reale i fascicoli dei pazienti, che non sempre si trovano nello stesso luogo del paziente stesso. Ma potremo anche rintracciare con più facilità le apparecchiature biomedicali portatili e le lettighe in caso di emergenza». Per realizzare tutto questo, lo staff tecnico dell'ospedale sta implementando una rete wireless capace di rilevare le etichette, integrando la rete con il software per la gestione del pronto soccorso e con un sistema dedicato alla iocalizzazione. Il progetto prevede anche l'associazione di un'etichetta digitale agli stessi pazienti, cosi da permetterne la localizzazione immediata all'interno della struttura ospedaliera. Questa soluzione permetterà inoltre, grazie all'integrazione con i software gestionali, di visualizzare la posizione dei singoli pazienti nella lista d'attesa e di registrare i tempi d'attesa effettivi. __________________________________________________________ Libero 19 gen. ’05 SCLEROSI MULTIPLA: SI PUÒ CURARE CON GLI ORMONI SESSUALI La malattia altera il livello di certi ormoni neuroprotettivi che potrebbe essere ripristinato con terapie mirate ROMA - L'obiettivo è riuscire a curare la sclerosi multipla intervenendo sulla quantità di ormoni sessuali in circolo in un organismo colpito dal male. La pensano cosi in diversi centri di ricerca, tra cui il Dipartimento di Neurologia della Facoltà di Medicina dell'università La Sapienza di Roma. I ricercatori sostengono che «=li ormoni sessuali femminili c maschili si ritrovano nei pazienti colpiti da sclerosi multipla in quantità - anomale rispetto alla norma». In particolare si è riscontrato che le donne presentano in minori quantità l'ormone sessuale maschile testosterone, mentre gli uomini sono caratterizzati da un eccesso di estrogeni, ormoni femminili. Anche Rhonda Voskuhl, neurologa presso il prestigioso Multiple Sclerosis Center dell'UCiA, l'University of California a Los Angeles, studia da tempo il legame tra gli ormoni sessuali e la sclerosi multipla. Il suo interesse è soprattutto indirizzato verso l'approfondimento dei meccanismi di protezione offerti dai normali livelli di testosterone nei maschi, e dai livelli di estrogeni nelle donne durante la gravidanza. La neurologa, inoltre, studia il ruolo dei cromosomi sessuali per individuare la maggiore predisposizione ad ammalarsi di sclerosi multipla delle femmine rispetto ai maschi. Uno dei principali risultati che Voskuhl ha ottenuto è la dimostrazione che l'estriolo, ormone estrogeno, produce miglioramenti nella encealomielite autoimmune sperimentale, patologia presente nei topi è riconducibile alla sclerosi multipla umana. L'ormone è in grado di contenere gli stati più acuti della malattia e inoltre di ridurre gli stati di invalidità più gravi. Proprio per questo motivo Rhonda Voskhul sostiene infine che le donne affette da sclerosi multipla potrebbero trarre beneficio dall'assunzione dell'estriolo, un ormone naturale con scarsi effetti collaterali. __________________________________________________________ Repubblica 20 gen. ’05 PARAPLEGICI, INIEZIONI INVECE DEL VIAGRA Per il deficit erettile cancellato il ricorso alla pillola rimborsata. Ma non si risparmia di Aldo Franco De Rose * MEDULLOLESI e paraplegici con deficit erettile che desiderano avere un rapporto sessuale dovranno pagarsi il Viagra o i farmaci affini come il Cialls. Le nuove note AIFA infatti non prevedono più la rimborsablità del farmaco ma si limitano a dispensare solo la puntura intracavernosa di prostaglandine Ei (PGE1). Per ammissione degli stessi estensori le nuove note non rappresentano uno strumento per assicurare l'appropriatezza di impiego dei farmaci e per migliorare le strategie assistenziali, ma piuttosto rappresentano uno strumento di risparmio economico In ambito farmaceutico. E vero che la modifica della nota 75, prevedendo la cancellazione del viagra. consente un risparmio sicuro, ma una cosa è certa: si è lasciato il farmaco più costoso. Ecco i numeri: una puntura di prostaglandine intracavernosa da dieci mcgr di PGEi (la sola dose attualmente dispensata con la nota 75) costa 13,45 euro; per una compressa di Viagrta de 50 mg (dose corrispondente al dosaggio medio) necessitano appena 10,79 euro, mentre per una compressa da cento mg 12,96 euro, contro i quasi ventidue di una puntura da 20 microgrammi. Esistono comunque molti lavori scientifici che hanno accertato definitivamente l'efficacia dei viagra, ma anche degli altri farmaci orali, nei soggetti paraplegici, specialmente quando !a lesione midollare è localizzata al di sopra di 110. Quindi un passo indietro nell'alleviare le sofferenze del paraplegici ma soprattutto un chiaro allontanamento dalle Indicazioni in uso In molti altri paesi europei. Per esempio, nel Regno Unito, oltre che per i meduliolesi , il viagra ed altre pillole sono dispensate anche per gli uomini affetti da cancro alla prostata, per quelli con il Parkinson, i diabetici, i soggetti con la sclerosi multipla, la spina bifida, la poliomielite e danni pelvici severi. In Danimarca il rimborso è previsto per diabetici, paraplegici e uomini affetti da alcune forme di sclerosi. In Finlandia Il National insurance Institution assicura fino a sei compresse al mese da 50 mg per i pazienti con danni neurologici. Speriamo che in Italia qualcuno si possa ravvedere e, nonostante Il silenzio di alcune Società scientifiche, in primis quella andrologica, si riesca a tendere una mano a questi soggetti, modificando ed estendendo la nota 75 anche a tutti farmaci orali. * tirologo-Andrologo Ospedale San Martino Genova __________________________________________________________ Il Sole 24ORE 21 gen. ’05 COSI LE CELLULE STAMINALI SI TRASFORMANO IN NEURONI RICERCA La scoperta è di una giovane friulana Porta la firma di una giovane ricercatrice italiana di 34 anni, Paola Arlotta, lo studio pubblicato ieri sulla rivista scientifica «Neuron» che apre la via alla sviluppo di terapie per le malattie degenerative del sistema nervoso come il Parkinson, la malattia di Huntington e la sclerosi laterale amiotrafica. Tutte malattie provocate dalla morte di specifiche categorie di neuroni, le cellule del sistema nervoso che trasmettono i segnali inviati o ricevuti dal cervello. Secondo questo studio, terapie basate sulla manipolazione dei geni e delle molecole dedicati al controllo dello sviluppo dei neuroni potrebbero permettere a quelli danneggiati di sopravvivere e funzionare, o indurre le cellule staminali a differenziarsi per sostituirli. A fianco di Paola Arlotta, hanno lavorato Bradley Molyneaux e Jeffrey Macklis, del Center for nervous system repair del Massachusetts general hospital alla Harvard medical school di Boston, negli Usa. «Quello di individuare quali geni controllano 1o sviluppo dei numerosi tipi di neuroni presenti nel cervello è un problema cruciale, cosi come lo è capire se sia possibile manipolarli per istruire cellule staminali multipotenti a riformare e sostituire i neuroni danneggiati», spiega la biologa Paola Arlotta, che negli Stati Uniti è arrivata grazie a una borsa di studio Telethon e ora è diventata istruttrice del centro in cui è stata condotta la ricerca. I ricercatori hanno identificato nei topi alcuni dei geni che controllano il processo di sviluppo di uno dei due tipi di neuroni responsabili della sclerosi laterale amiotrofica: quelli corticospinali, che collegano la corteccia cerebrale con la spina dorsale e trasportano i segnali che controllano la funzione motoria. La sclerosi laterale amiotrofca è una malattia dell'adulto che provoca una progressiva diminuzione dei controllo sull’attività muscolare, fino a produrre completa paralisi e impedire la respirazione. Per risolvere il problema, finora assai difficile, di isolare questo specifico tipo di neuroni tra le migliaia di tipi presenti nel cervello, Arlotta e colleghi hanno messo a punto un metodo che consente di identificare e separare i neuroni cortieospinali dagli altri. «In questo lavoro - precisa Arlotta - abbiamo isolato tre catego rie di neuroni in diversi stadi di sviluppo e, una volta identificate le cellule, abbiamo effettuato analisi con Dna microarray per scoprire quali molecole controllano ciascuno dei tre tipi neuronali. Questo tipo di approccio sperimentale ci ha permesso di isolare molti geni, di cui alcuni mai caratterizzati prima nel sistema nervoso. Per verificare di avere identificato geni che controllano funzioni critiche dei neuroni corficospinali, abbiamo preso in esame topi creati in laboratorio e privi di uno dei geni da noi isolati: in effetti, abbiamo rilevato che in assenza di questo gene non si stabilivano corrette connessioni tra corteccia cerebrale e spina dorsale». In futuro, i geni identificati in questo studio potrebbero essere utili per istruire una cellula staminale affinché diventi uno specifico tipo di neurone, tra i numerosissimi che costituiscono il sistema nervoso centrale. «Data l'enorme complessità di cellule e connessioni che caratterizza il sistema nervoso umano - spiega Arlotta - per sviluppare terapie sarà molto importante saper controllare la formazione mirata dei soli neuroni persi o danneggiati in una specifica malattia degenerativa. Anche se questi studi sono ancora all'inizio, i dati da noi pubblicati dovrebbero stimolare la scoperta di nuove terapie». ROSANNA MAMELI __________________________________________________________ MF 21 gen. ’05 LA MOLECOLA SALVA TRAPIANTI Scienza Novartis presenta un nuovo ritrovato che agisce sul sistema immunitario Un efficace immunosoppressare prevede e contrasta i casi di rifiuto dell'organo di Annika Abbateiaaani Una molecola potrebbe essere destinata a mutare sensibilmente lo scenario relativo ai trapianti di rene, interventi che per un paziente su cinque sono seguiti da reazioni di rigetto. Di fatto, il nuovo immunosoppressore portato alla luce di recente dagli scienziati Novartis impedisce alle cellule T, le responsabili dell'innescamento del processo di rifiuto, di riconoscere il «nuovo organo» e di rigettarlo. Le approfondite ricerche effettuate, attualmente in fase tre, ossia già in studio sull'uomo, verranno completate entro il 2005. L’approvazione da parte dell'Fda (Food and drug administration) e dell'Emea, l’omologo organismo europeo, sono attese per i primi mesi del 2006, data che mostra quanto sia prossima la commercializzazione del farmaco vero e proprio, che avverrà all'incirca fra tre anni. «Si tratta di una scoperta decisamente importante, anche perché FTY720, grazie al suo nuovo meccanismo di azione, presenta tutte le potenzialità per rivelarsi efficace nei trattamento delle patologie relative al sistema immunitario», ha spiegato il professor Paul Herrling direttore della ricerca corporate Novartis. L’azienda farmaceutica ha appena presentato a Basilea i risultati finanziari del 2004 che mostrano, fra gli altri, un notevole investimento nel settore della ricerca e dello sviluppo. Per tale area, infatti, lo scorso anno Il gruppo ha investito 4.2 miliardi di dollari, ossia il 15% del fatturato globale. Nella stessa occasione sono stati presentati risultati eclatanti dello studio della molecola FTY720 nella terapia contro la sclerosi multipla, ossia la maggiore causa di disabilità neurologica negli adulti, nonché il disturbo neurodegenerativo più comune del sistema nervoso centrale; si stima che tale patologia colpisca oltre 1 milione di persone nel mondo. I dati presentati hanno dimostrato una significativa riduzione del lasso di tempo delle recidive e del numero di lesioni al cervello evidenziate attraverso l'esame diagnostico della risonanza magnetica. Risultati, questi, di estrema rilevanza, soprattutto se si pensa che nella sclerosi multipla i linfociti (un tipo di globuli bianchi), attaccano la mielina, la proteina che avvolge e protegge le fibre nervose del corpo umano le quali, in questo modo, vengono nel tempo distrutte, provocando ai pazienti sintomi che vanno dalla semplice stanchezza e visione distorta, fino a quelli più gravi della perdita del controllo di muscoli e del linguaggio. Considerato che attualmente non esiste alcun trattamento disponibile per la sclerosi multipla, è evidente il carattere innovativo di FTY720 che consentirà anche, per la prima volta, l'assunzione di una terapia ora le (una compressa al giorno), con conseguenti vantaggi per i pazienti i quali fino adesso avevano a disposizione solo farmaci iniettabili, come quello a base di interferone beta, che oltre a essere solo parzialmente efficaci, sono associati a effetti collaterali pesanti. II nuovo trattamento, quindi, potrebbe collocarsi come la soluzione terapeutica per quei pazienti colpiti da questa patologia altamente invalidante. _____________________________________________________________ La Stampa 19 gen. ’05 VIOXX: QUEL PASTICCIACCIO DEL FARMACO KILLER IL DELICATO PROBLEMA DEGLI EFFETTI COLLATERALI UN ANTINFIAMMATORIO MOLTO DIFFUSO ANCHE IN ITALIA AVREBBE CAUSATO LA MORTE O GRAVI DISTURBI CARDIACI A 140 MILA CITTADINI AMERICANI. RITIRATO DAL MERCATO IL farmaco antinfiammatorio Vioxx sarebbe stato causa di morte e di gravi disturbi cardiaci per 140 mila cittadini degli Stati Uniti. E’ il risultato sconcertante della ricerca condotta da David J. Graham, direttore dell'Ufficio per la Sicurezza sui Farmaci della Food and Drug Administration (FDA). «Il nostro studio ha calcolato che il principio attivo di Vioxx, assunto a dosaggi standard (25 mg al giorno), si associa a un aumento del rischio di infarto miocardico e di morte cardiaca improvvisa due volte maggiore rispetto a quanto succede con altri antinfiammatori, e 4 volte maggiore se si assume un alto dosaggio del farmaco (50 mg al giorno) - dice Graham in un articolo per “The Lancet” -. Data l'alta utilizzazione di Rofecoxib negli Usa e nel mondo, anche una piccola differenza nel rischio cardiovascolare ha un fortissimo impatto sanitario pubblico. Dal 1999 al 2003, si stimano 92.791.000 prescrizioni del farmaco solo negli Usa, tra cui il 17,6% di queste in alte dosi». Vioxx (commercializzato in Italia anche come Arofexx, Coxxil, Dolcoxx, Dolostop e Miraxx, e usato da quasi due milioni di italiani al momento del suo ritiro dal mercato) è un farmaco antinfiammatorio non steroideo, noto come inibitore selettivo della COX-2, usato per trattare i sintomi di osteoartrite, artrite reumatoide, dolori e disturbi mestruali. Con il suo nuovo principio attivo, il "Rofecoxib", Vioxx parve soppiantare i vecchi antinfiammatori grazie alla sua bassa tossicità gastrointestinale. E' stata la stessa casa farmaceutica, la Merck & Co, a decidere il ritiro immediato dai mercati mondiali di tutti i suoi prodotti contenenti Rofecoxib dal 30 settembre 2004. La Merck comunicò che il ritiro volontario di Vioxx era motivato dai risultati di uno studio clinico per la valutazione di Vioxx nella prevenzione delle recidive dei polipi intestinali. Nel corso degli anni già diversi studi clinici avevano messo in dubbio la sicurezza cardiovascolare del farmaco, in commercio dal maggio 1999 con l'approvazione della FDA. Il primo studio a fornire indicazioni sulle possibili reazioni cardiache avverse è stato VIGOR, sponsorizzato dalla stessa Merck & Co al fine di valutare la tollerabilità gastrointestinale di Rofecoxib rispetto a Naprossene, un vecchio antinfiammatorio. Lo studio VIGOR (Vioxx Gastrointestinal Outcomes Research), i cui dati sono stati presentati nel 2000, mentre confermava la migliore tollerabilità gastrointestinale di Vioxx rispetto a Naprossene, mostrava però che il rischio di sviluppare un evento cardiovascolare trombotico (infarto miocardico, angina instabile, arresto cardiaco, morte cardiaca improvvisa, ictus ischemico) era maggiore tra i pazienti trattati con Rofecoxib che tra i pazienti trattati con Naprossene. In particolare, l'infarto miocardico si era presentato in 20 pazienti su 4027 del gruppo Vioxx (0,5%) e solo in 4 tra i 4000 pazienti trattati con il vecchio antinfiammatorio (0,1%). In sostanza, i pazienti trattati con Vioxx presentavano un aumento del rischio di infarto pari a 5 volte rispetto ai pazienti che avevano ricevuto un antinfiammatorio non- selettivo come il Naprossene. Il colpo decisivo a Vioxx è però giunto a fine agosto 2004, quando alla ventesima International Conference on Pharmacoepidemiology and Therapeutic Risk Management è stato presentato uno studio finanziato dall'FDA che ha stimato il rischio cardiovascolare di Vioxx su un campione di 1,4 milioni di pazienti statunitensi. I dati indicano che Vioxx, assunto nella quantità di oltre 25 mg al giorno, era associato a un aumento del rischio di infarto miocardico e di morte cardiaca improvvisa 3 volte maggiore rispetto alle persone trattati col placebo. Un editoriale dell «New England Journal of Medicine» sostiene che l'alta incidenza di infarto e di eventi trombotici non sarebbe solo un effetto collaterale del Rofecoxib, ma dell'intera classe degli inibitori COX-2, come Celecoxib (Celebrex), Etoricoxib (Arcoxia), Valdecoxib (Bextra) e Lumiracoxib (Prexige). Proprio per questo, la FDA sta riesaminando la sicurezza cardiovascolare degli altri inibitori COX-2, limitandosi per ora a raccomandare prudenza nell'impiego di questa classe di farmaci. L'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA, espressione del ministero della Salute) ha aperto un numero verde informativo: Farmaci-line 800- 571.661. Importanti comunicati per medici e pazienti si trovano nel sito dell'AIFA: www.agenziafarmaco.it. Rossana S. Pecorara _____________________________________________________________ La Repubblica 19 gen. ’05 TUMORI, ECCO LA PROTEINA POKEMON Scoperta di un ricercatore italiano da dieci anni negli Usa Già in corso lo studio sui farmaci per bloccare i tumori chiave per lo sviluppo del cancro ROMA - I ricercatori l'hanno chiamata Pokemon, prendendo il nome dei mostriciattoli trasformisti del famoso cartone animato. E' la proteina chiave per comprendere la progressione dei tumori. La scoperta, che sarà pubblicata domani sulla rivista Nature, offre alla lotta contro i tumori un nuovo e promettente bersaglio per futuri farmaci. La proteina Pokemon (il cui nome per esteso è "Pok Erythroid Myeloid Ontogenic factor") è stata identificata dall'italiano Pier Paolo Pandolfi, che da dieci anni lavora negli Stati Uniti, nel Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre di New York, e da lui stesso descritta in un convegno organizzato dall'Istituto Regina Elena di Roma. I ricercatori hanno scoperto che le cellule di topo prive del gene che controlla la produzione della proteina Pokemon non si trasformano in cellule malate e non impazziscono, cominciando a moltiplicarsi senza controllo, neppure sotto la spinta dei geni responsabili della crescita tumorale (oncogeni). Al contrario, quando la proteina è presente in quantità elevate spinge le cellule a trasformarsi, privandole di un gene specifico protettivo contro i tumori. Alte concentrazioni della proteina Pokemon sono state identificate in molte forme di tumore che colpiscono tessuti diversi: sangue, seno, polmoni, colon, prostata e vescica. Una particolare forma di linfoma, inoltre, può essere diagnosticata sulla base della presenza delle proteina Pokemon all'interno delle cellule. "La scoperta è estremamente significativa: abbiamo infatti dimostrato che, una volta neutralizzato e bloccato il gene, il processo tumorale si arresta completamente", ha osservato Pandolfi. Molte le attese sulle future ricadute della scoperta sulla terapia: "Quando riusciremo a sviluppare un farmaco contro questo gene, e sappiamo come fare perchè sappiamo come funziona la proteina codificata dal gene, potremo bloccare il processo tumorale", ha rilevato Pandolfi. Questa nuova fase dello studio è già cominciata, poichè "è in corso lo screening per i farmaci che bloccano la funzione di Pokemon con sistemi automatici e robotizzati che riducono di molto i tempi". Intanto il direttore scientifico dell'Istituto Regina Elena, Francesco Cognetti, ha reso noto che una stretta collaborazione è stata avviata con il gruppo di Pier Paolo Pandolfi. _____________________________________________________________ Il Messaggero 20 gen. ’05 I MEDICI SI PREOCCUPANO PER I NONNI E I NIPOTI «Attenzione, gli anziani tendono a ridursi le cure: in questo modo potrebbero farsi ancora più male» ROMA - I medici si preoccupano per i nonni e i nipoti. Parlano i pediatri che, ogni giorno, hanno a che fare con madri apprensive. Mamme che insistono perché vengano prescritti farmaci. I genitori, dicono gli specialisti, anche davanti ad una banale influenza, «hanno l’esigenza di curare i bambini rapidamente perché la società non permette loro di restare a casa per assisterli». Pier Luigi Tucci, presidente della Federazione italiana medici pediatri disegna una generazione di mamme e papà che non sanno più convivere con le malattie dei figli: «Lo vediamo in questi giorni in cui imperversa l’influenza, ci chiedono che i più piccoli siano guariti “per ieri”». Accanto ai bambini, i loro nonni. Un dato per tutti: ogni anno in Italia vengono ricoverati in ospedale 150mila anziani per farmaci sbagliati. Dosi doppie di pasticche, errori di distrazione, dimenticanze. Soprattutto perché la maggior parte degli over 65 vive solo e non ha più la lucidità per seguire con attenzione le terapie. Pazienti che soffrono di varie patologie, costretti ad assumere diversi farmaci in diverse ore della giornata. Un calendario complesso. In Gran Bretagna si sta sperimentando, proprio per superare questa difficoltà, una pillola “pluriterapeutica”. In grado, assommando in sé varie sostanze, di fronteggiare l’ipertensione, il colesterolo e i trigliceridi alti. Le aptologie più frequenti tra gli ultrasessantenni. Proprio sugli anziani, negli ultimi anni, si è concentrata l’attenzione di una particolare categoria di specialisti, gli oncologi. Dal momento che il 60% di tutti i tumori in Europa insorge in persone oltre i 65 anni e quasi il 70% delle morti per cancro si verifica in questa fascia di età. «La neoplasia è quindi prevalentemente una maalttia che colpisce l’età avanzata - spiega il professor Silvio Monfardini, Direttore della divisione di Oncologia medica dell’ospedale università di Padova e fondatore dell’Aiote l’Associazione italiana oncologia della terza età - . Questo fenomeno è diventato ben visibile oggigiorno negli ambulatori e nelle corsie dei reparti che seguono pazienti con tumore. Diversamente che in passato, però, l’età avanzata non viene considerata come una barriera al trattamento chirurgico e alla radioterapia». Mentre, spiegano gli specialisti, la terapia deve tenere in maggiore considerazione le altre malattie di accompagnamento e lo stato generale del paziente. «Gli anziani, siano malati di tumore o no - aggiunge Monfardini - hanno la tendenza ad autoridursi i farmaci. Tendono ad abbandonare le cure perché sono stanchi. Perché non accettano di prendere, nella stessa giornata, tante diverse pasticche. Questo invito del presidente del Consiglio rischia di aggravare la situazione, di assecondare una tendenza che porta ad un inevitabile aggravamento dello stato di salute dei pazienti» C.Ma. _____________________________________________________________ Il Messaggero 18 gen. ’05 LEUCEMIA, “FARMACI INTELLIGENTI” SPINGONO LE CELLULE AL SUICIDIO ROMA - Scienziati italiani hanno identificato una nuova classe di farmaci ”intelligenti“, in grado di provocare il suicidio delle cellule leucemiche, seza danni ai tessuti sani. C’è riuscito un team di ricercatori del Campus Ifom-Ieo di Milano (Fondazione Istituto Firc di oncologia molecolare-Istituto europeo di oncologia), in collaborazione con le università di Milano, Roma e Napoli, guidati da Pier Giuseppe Pelicci. La scoperta è pubblicata su “Nature Medicine”. I farmaci sono gli “inibitori delle deacetilasi” e riescono a innescare un meccanismo di autodistruzione nelle cellule della leucemia. «Questi farmaci - spiega Alessandra Insinga, primo autore dello studio - funzionano molto bene sia sui modelli animali di leucemia mieloide, sia sulle cellule umane ottenute da pazienti. Ora bisogna attendere i risultati della sperimentazione sull’uomo». Alcuni studi clinici sono in corso in centri specializzati europei e americani e i risultati saranno disponibili entro i prossimi 5-10 anni. La ricerca è stata condotta anche grazie a un finanziamento dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. I ”farmaci intelligenti“ finora noti (acido retinoico e imatinib, per esempio) agiscono sulla causa iniziale che è diversa da tumore a tumore. Il loro uso è ristretto a pochi tipi di cancro, fra cui la leucemia promielocitica e quella mieloide cronica. Secondo gli scienziati, il meccanismo di funzionamento degli inibitori delle deacetilasi, invece, è tale da far supporre che questi farmaci possano funzionare su diversi tipi di tumore. «L’attività di questi farmaci - afferma Pelicci - dipende da un evento che avviene tardivamente nel processo di formazione della leucemia. E che sappiamo essere comune a molti tumori». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 gen. ’05 PARAPLEGIA: MIRACOLO CINESE? Riceve ogni giorno una montagna di email da tutto il mondo da persone paraplegiche e colpite da Sclerosi laterale amiotrofica e la sua lista di attesa scoppia: per i pazienti stranieri (l’intervento costa 20.000 $) l’elenco arriva alla fine del 2006, per i cinesi si allunga a dieci anni. Ma l’uomo del miracolo, il neurochirurgo Huang Hongyun, contadino "per forza" all’epoca della Rivoluzione Culturale, poi studente di medicina e chirurgo negli Stati Uniti, Paese al quale deve la sua formazione, con olimpica tranquillità confessa di non avere una spiegazione del perché il suo metodo funziona, ma di sentirsi forte dei risultati. «Sono evidenti, sotto gli occhi di tutti: gli scienziati occidentali possono venire a constatarli» ha dichiarato alla rivista inglese Lancet . Ma nonostante abbia operato 500 persone in soli tre anni, Huang non si sente in dovere di pubblicare dati sul suo lavoro sulle riviste internazionali; si limita al Chinese Medical Journal . Di ricerche strutturate e rigorose con gruppi di confronto placebo, ed altro, non vuol sapere: «Mi occupo di gente che soffre, devo fare qualcosa per loro, non posso darmi da fare per essere accettato dalla Comunità scientifica» afferma lapidario. Senz’altro l’intervento di Huang è innovativo; secondo i suoi nemici, fino alla spregiudicatezza. Dal bulbo olfattorio Si tratta, in sostanza, di una terapia "cellulare" che non utilizza, però, le ormai mitiche staminali, ma cellule gliali basali prelevate da feti abortiti di circa 16 settimane (in Cina la politica del governo per la limitazione delle nascite ne fornisce in abbondanza) coltivate in laboratorio per 14 giorni su particolari terreni di cultura sui quali il chirurgo è riluttante a dare troppe spiegazioni. Sono cellule del bulbo olfattorio (la struttura alla radice del naso da cui partono gli impulsi che permettono la percezione degli odori), progenitrici della cosiddetta glia, la sostanza bianca del cervello e dei nervi, che ha funzione di isolante e di supporto ai neuroni. Le proprietà «Cellule, presenti nel feto, ma in misura minore anche nell’organismo adulto, interessanti per le loro caratteristiche di immaturità e per la capacità di secernere fattori di crescita - spiega Eugenio Parati, Direttore del Dipartimento di neurobiologia e terapie neuroriparatrici dell’Istituto C. Besta di Milano -. Tra questi, diverse neutotrofine e il Nerve Growth Factor (NGF). Senza dimenticare la laminina e la fibronectina». Per la coltivazione in laboratorio Huang Hongyun utilizza sieri bovini - vietati in Europa per precauzione in seguito al "Morbo della mucca pazza" - che gli permettono di moltiplicarle fino a venti volte, tanto che da un solo feto riesce a ricavare il milione di cellule necessario per l’intervento sulle persone paralizzate. Intervento che avviene in anestesia generale e presuppone l’iniezione delle cellule, metà immediatamente al di sotto, l’altra metà al di sopra, dell’area di midollo spinale lesionata. Per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei nervi che comandano vari muscoli, l’operazione è più invasiva, nonostante venga eseguita in anestesia locale: dopo aver aperto il cranio, Huang inietta oltre 2 milioni di cellule nella corteccia frontale del cervello. E sono proprio questi pazienti quelli che sembrano ricavarne il maggiore beneficio. Come Judy Cooper, americana della Florida, alla quale la malattia fu diagnosticata un anno fa: quando è arrivata nell’ospedale di Pechino qualche mese fa aveva difficoltà a camminare e non riusciva a parlare. Due settimane dopo l’intervento si muoveva senza particolari problemi. Le reazioni Come è possibile una ripresa del genere? Il neurochirurgo cinese sostiene che i risultati sono dovuti alla grande quantità di fattori di crescita che le cellule basali gliali producono, tali da stimolare la rigenerazione delle cellule nervose. Scettici gli scienziati, ovviamente, ma non tutti. Paul Cooper, direttore del centro di chirurgia spinale dell’Università di New York confessa di essere rimasto impressionato dai risultati di Huang: «Non è un ciarlatano; - ha dichiarato al Lancet - è incredibile: ho visto gambe paralizzate tornare a muoversi; persone con le braccia immobili riuscire a tenere in mano una tazza di tè». Molto perplesso, invece, Parati: «Siamo di fronte ad uno sperimentalismo esasperato. Si è visto in vitro che queste cellule sono capaci di produrre fattori di crescita. Ma quello che accade in laboratorio non è detto che avvenga nell’organismo. E per quanto riguarda l’animale da esperimento, ci sono soltanto due studi sul ratto pubblicati negli anni scorsi che confermerebbero questa attività benefica delle cellule basali gliali. Mi sembra poco. Non dimentichiamo, infine, che l’iniezione praticata da Huang non è esente da rischi: si possono indurre tumori, ma anche provocare ematomi e piccole emorragie». Il fallimento di Regazzoni e quello di Superman Mentre per la Sclerosi laterale amiotrofica, a parte gli studi condotti a Torino da una ricercatrice che impiega le cellule staminali del midollo, non si erano mai tentate terapie sperimentali, per la paraplegia gli interventi pioneristici, risoltisi poi in clamorosi fallimenti sono stati diversi. Fece scalpore all’inizio degli anni Ottanta l’intervento con cui il pilota svizzero Clay Regazzoni, paraplegico in seguito ad un incidente in pista, cercò di riacquistare l’uso delle gambe. Artefice del tentato "miracolo" il chirurgo americano d’origine cinese Carl Cao che lo sottopose ad un complesso intervento di microchirurgia sul midollo spinale. I risultati furono poi deludenti sia su Regazzoni, sia su altri pazienti, tanto che il neurochirurgo fu messo sotto inchiesta dall’autorità sanitarie americane e gli fu proibito di operare negli Stati Uniti. Altro grande clamore per lo scomparso attore Cristopher Reeve, tetraplegico, che due anni fa annunciò di aver recuperato parzialmente la sensibilità alle gambe grazie ad una fisioterapia intensiva messa a punto da John McDonald, dell’Università di St. Louis, negli Stati Uniti. Ma di quella ginnastica non si è saputo più niente. _____________________________________________________________ Repubblica 20 gen. ’05 INFARTO: RICOSTRUIRE IL CUORE ECCO LA GRANDE SFIDA di Giulio Cossu * Ancora non conosciamo l'origine delle cellule staminali, non sappiamo cioè se esse sono presenti nell'organo dall'inizio del suo sviluppo o se ci arrivano successivamente, magari con i vasi sanguigni o con le cellule circolanti del sangue che, come si sa, originano dal midollo osseo. Questo spiegherebbe in parte la cosiddetta plasticità delle cellule staminali, cioè la loro capacità di dare origine a tipi di cellule diversi da quelli del tessuto in cui risiedono. Tra i tessuti che si rinnovano lentamente ci sono il muscoli scheletrico e quello cardiaco Cosa sappiamo oggi delle cellule staminali presenti in questi tessuti? Nel caso del muscolo scheletrico, le cellule staminali residenti sono le cellule satelliti, identificate per la loro posizione "satellite" accanto alle fibre muscolari. Le cellule satelliti sono in uno stato quiescente nel muscolo adulto, ma dopo una lesione, o nel caso di malattie muscolari, si dividono e formano nuove fibre. Purtroppo nelle distrofie muscolari, le cellule satelliti hanno un Dna con lo stesso difetto genetico delle fibre che sostituiscono e quindi anche loro, come quelle malate, continuano a dividersi e a formare nuove fibre che poi degenerano, finché l'intero patrimonio di cellule si esaurisce. Di recente però si è visto che anche cellule associate ai vasi sanguigni possono essere indotte a formare nuove fibre muscolari e il loro studio si è intensificato nella speranza di poterle usare per ricostruire i muscoli colpiti dalla distrofia muscolare o altre malattie dei muscoli. Nel caso del cuore le cose sono un po' più complesse: fino a pochissimi anni fa si riteneva che le cellule cardiache smettessero di proliferare poco dopo la nascita e da quel momento ogni cellula del muscolo cardiaco persa non sarebbe più stata sostituita. Sembra invece che esistano nel cuore cellule staminali capaci di dividersi e di dare origine a nuove cellule cardiache. Anche in questo caso, l'origine delle cellule staminali cardiache non è chiara e il loro studio è in una fase iniziale. Sono stati invece fatti molti esperimenti e anche prove cliniche con altre cellule staminali per curare l'infarto del miocardio. A tal fine sono state utilizzate sia cellule satelliti (prelevate dal muscolo scheletrico dello stesso paziente infartuato) o cellule staminali emopoietiche (prelevate invece dal suo midollo osseo). In entrambi i casi ci sono stati benefici per il cuore, ma non perché si siano formate nuove cellule cardiache. Probabilmente perché le cellule iniettate producevano delle sostanze che hanno migliorato la sopravvivenza delle cellule del cuore infartuato. E' questo un altro filone di ricerca da sviluppare. * Università la Sapienza, Bioparco scientifico San Raffaele, Roma _____________________________________________________________ Repubblica 20 gen. ’05 VIAGGIO NELLA TELEMEDICINA: CURE A DISTANZA Innumerevoli applicazioni con le più avanzate tecnologie per seguire i pazienti in modo continuo senza il bisogno del ricovero. Da Internet al cellulare di Anna Rita Cillis Un secolo non è bastato, nel mondo, perché alla Telemedicina si riuscisse ad associare una definizione ben definita. Vero è che negli anni ha subito notevoli mutazioni. Passata dal puro utilizzo delle telecomunicazioni per la trasmissione a distanza di informazioni sanitarie (prima da medico a medico, poi da paziente a medico o a personale paramedico), si è trasformata con il crescere delle tecnologie e l'avvento della rete Internet. Come sottolinea Mauro Moruzzi, professore di Sociologia dell'Organizzazione e direttore generale di Cup 2000 Spa autore assieme a Costantino Cipolla di un numero speciale della rivista Salute e Società (edit. Franco Angeli) dedicato proprio a questo argomento, oggi il termine indica "l'uso delle tecnologie telecomunicative per fornire un trattamento clinico personalizzato a distanza". Definizione questa importata dagli Usa dove è stata elaborata dall'Associazione dei gruppi di telemedicina americana. "Non si tratta dunque solo della trasmissione di dati clinici o del teleconsulto ma di tutti quei servizi forniti online", prosegue Moruzzi. Nel nostro Paese la telemedicina, ha trovato applicazione, uscendo dalla fase sperimentale, in alcuni campi specifici come cardiologia, radiografia e riabilitazione. "Nella telecardiologia", spiega Massimo Santini, Direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell'Ospedale San Filippo Neri di Roma e presidente dell'Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione, "ormai siamo entrati nella realtà clinica". Tra le tante applicazioni il professor Santini racconta come grazie alla telemedicina si possano effettuare diagnosi altrimenti impossibili. "Spesso vengono da noi persone che dicono di avere delle aritmie, delle palpitazioni. Non sempre però al momento in cui sono sottoposte a elettrocardiogramma questo le evidenzia. Ora siamo in grado di registrare a distanza i battiti grazie a un piccolissimo macchinario di cui dotiamo il paziente che poi invia i dati raccolti tramite telefonino all'ospedale". Santini prosegue spiegando che "la telemedicina nel nostro campo è anche in grado di salvare vite. Si pensi alle ambulanze dove spesso non c'è un cardiologo a bordo: monitorando il soccorso durante il tragitto e inviando i dati raccolti in tempo reale a un medico è possibile fornire un primo aiuto che blocca l'infarto". Esempi sicuramente, ma sempre più numerosi, anche se il nostro Paese resta, secondo alcuni esperti, indietro rispetto a molti altri. "Bisogna constatare che la telemedicina, al momento, offre ancora poco", sottolinea al riguardo il professor Moruzzi spiegando che "per poter rendere operativi sistemi integrati bisogna investire nelle tecnologie, digitalizzare e riorganizzare le strutture sanitarie. Non basta parlare di telemedicina e avviare alcuni progetti se poi ospedali e strutture sanitarie non possiedono le strumentazioni, primi tra tutti i computer e Internet e mancano i fondi", conclude. Il ministro della Salute, Gerolamo Sirchia, in più occasioni ha ribadito che tra le priorità il dicastero punta a domiciliarizzare le cure il più possibile, sviluppare la telemedicina e creare centri di eccellenza anche in zone remote. L'applicazione delle Itc, Information and Communication Technologies, potrebbe quindi servire a dare "energia" a questi tre campi. Tra i nodi da scogliere in ogni caso, quello dei finanziamenti resta il meno facile. Al riguardo il professor Gianmario Raggetti, direttore del Centro Management Sanitario dell'Università Politecnica delle Marche, dice: "Quando si parla di telemedicina scopro sempre un grande entusiasmo: indubbiamente offre numerosi benefici socio-sanitari, ma per raggiungere standard qualitativi alti bisogna formare personale e dotare le strutture di macchinari". Per quanto riguarda l'aspetto psicologico il neurologo Reinhard Prior, coordinatore scientifico del progetto europeo di teleriabilitazione Thrive spiega che "la telemedicina crea nuove possibilità di rapporto tra medico e paziente: non sostituisce un contatto tradizionale, ma è complementare. Il nostro progetto ha evidenziato come i pazienti al momento delle dimissioni non si sentono abbandonati perché possono continuare a consultare il loro team di specialisti quando vogliono anche a mille chilometri di distanza". Prior aggiunge che "l'applicazione della telemedicina ha successo anche in specialità come la psichiatria. In paesi come Canada, Stati Uniti e Australia alcuni programmi si sono rivelati positivi. La telemedicina pone una distanza tra medico e malato che in questi casi può addirittura favorire l'azione terapeutica", conclude l'esperto. _____________________________________________________________ Le Scienze 21 gen. ’05 I FARMACI ANTICONVULSIVI RITARDANO L'INVECCHIAMENTO C'è un possibile legame fra l'attività neurale e la vecchiaia I ricercatori hanno scoperto che alcuni farmaci usati per trattare gli attacchi di epilessia negli esseri umani sono in grado di ritardare di quasi il 50 per cento l'invecchiamento nei vermi. Gli animali usati per lo studio (il piccoli vermi chiamati Caenorhabditis elegans) sono simili agli esseri umani per quanto riguarda la costituzione molecolare, cosa che aumenta la possibilità che i farmaci possano estendere la vita anche degli uomini. La scoperta potrebbe inoltre far luce sul processo di invecchiamento, ancora non del tutto compreso. Poiché i farmaci agiscono sui sistemi neuromuscolari sia degli esseri umani sia dei vermi, lo studio suggerisce un legame fra l'attività neurale e la vecchiaia. La ricerca è stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista "Science". I risultati dello studio nascono dal lavoro di tesi di Kimberley Evason della Scuola di Medicina della Washington University di St. Louis. Circa quattro anni fa, Evason cominciò a esporre gruppi di C. elegans a diversi farmaci disponibili sul mercato, per vedere se i farmaci favorissero la longevità degli animali. A differenza dei vertebrati, questi vermi sono il soggetto ideale degli studi sull'invecchiamento a causa della loro breve vita che in laboratorio dura soltanto un paio di settimane. Dopo vari tentativi infruttuosi, il farmaco anticonvulsivo etosuccimide si è rivelato capace di estendere la vita media dei vermi da 16,7 a 19,6 giorni, un incremento del 17 per cento. In seguito gli scienziati hanno scoperto che anche altri due farmaci simili sono in grado di allungare la longevità dei vermi, in un caso di quasi il 50 per cento. "Per noi è stata una grande sorpresa, - ha commentato Kerry Kornfeld, il relatore di Evason - non immaginavamo che i farmaci anticonvulsivi avessero un particolare rapporto con l'invecchiamento. Si tratta di un legame del tutto inaspettato". Evason, K., Hunag, C., Yamben, I., Covey, D. F. & Kornfeld, K. Science 307, 258- 262 doi:10.1126/science.1105299 (2004). © 1999 - 2004 Le _____________________________________________________________ Le Scienze 20 gen. ’05 CURARE GENETICAMENTE LA PERDITA DI UDITO Le cellule ciliate della coclea normalmente non si rigenerano Alcuni ricercatori hanno scoperto che l'eliminazione di un gene specifico permette la proliferazione di nuove cellule ciliate nella coclea dell'orecchio interno, una scoperta promettente per la cura della perdita di udito associata alla vecchiaia. Questo tipo di sordità, oltre che dall'invecchiamento, può essere causato da alcuni farmaci e dalla cacofonia della vita moderna. Il team di ricerca, guidato da Zheng-Yi Chen del Massachusetts General Hospital e dell'Harvard Medical School di Boston, ha pubblicato i propri risultati sul numero del 13 gennaio 2005 di "Science Express". Le cellule ciliate nella coclea rivelano i suoni vibrando in risposta alle onde sonore e innescando impulsi nervosi che viaggiano fino alla regione uditiva del cervello. Normalmente gli esseri umani nascono con una dotazione di circa 50.000 di queste cellule. Ma poiché esse non si rigenerano, il tasso stabile di perdita di queste cellule che può accompagnare l'invecchiamento produce una sordità significativa in circa un terzo della popolazione entro i 70 anni di età. Esaminando gli schemi dell'espressione genica durante lo sviluppo embrionale dell'organo dell'equilibrio nell'orecchio interno, Chen e colleghi hanno scoperto un gene che produce una proteina che agisce da "freno" permanente per la rigenerazione delle cellule ciliate. Lo studio, effettuato nei topi, ha mostrato che il gene retinoblastoma (Rb1) sembra particolarmente attivo durante lo sviluppo embrionale. Dopo aver sviluppato un topo mutante privo di questo gene, gli scienziati hanno notato che l'animale correva in circolo, il che indicava qualche problema con il sistema vestibolare dell'orecchio interno. Ulteriori studi hanno rivelato che il topo aveva più cellule ciliate degli animali normali, e che le cellule stavano proliferando attivamente.