TOSI: AUTONOMIA E AUTOREGOLAMENTAZIONE DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE - BLOCCO DEI CONCORSI IN UNIVERSITÀ - ATENEI, BLOCCATI I NUOVI CONCORSI: "PRIMA CAMBIATE I PIANI" - I RICERCATORI UNIVERSITARI CONTRO LA RIFORMA MORATTI - DOCUMENTO DEL CNRU UNIVERSITA’: RIVOLUZIONE E BELLEZZA - L'UNIVERSITÀ DEI PERCORSI FLESSIBILI - CHI HA PAURA DEL CUN RINNOVATO? - IL CUN È PIÙ AUTOREVOLE SE È CAPACE DI RINNOVARSI - COME AFFONDA LA RICERCA - L'UNIVERSITÀ EUROPEA PERDE APPEAL - LA SCIENZA RIVENDICA SPAZIO NELLA SOCIETÀ - UN VALORE LEGALE CHE FRENA DI ATENEI - CAGLIARI: TRE NUOVE FACOLTÀ IN DIRITTURA D'ARRIVO - CAGLIARI: LA RIVOLTA DEGLI STUDENTI PER LE ISCRIZIONI ALLE SPECIALIZZAZIONI - CAGLIARI: AMMESSE ISCRIZIONI PROVVISORIE ALLE SPEICLAIZZAZIONI - CAGLIARI: FAMIGLIE E UNIVERSITÀ - E IL PROF. ANTISEMITA FINISCE SOTTO INCHIESTA - «INDEGNO»LIBRO ANTISEMITA, L'ATENEO CONTRO MELIS - IL MAESTRO DI PIETRALATA DIVENTA PROFESSORE - LA POSTA ELETTRONICA VIENE EQUIPARATA ALLE RACCOMANDATE - ANALFABETI CON LA LAUREA: Colpa della TV - LE RICERCHE SCIENTIFICHE? ORA SI FANNO SU INTERNET - 250 STUDIOSI:«LA SARDEGNA NON PUÒ ESSERE ATLANTIDE» - FRAU:"MA ATLANTIDE È UN FALSO PROBLEMA" - «L'ECCELLENZA ESISTE, MA NON FA SISTEMA» - ======================================================= BONCINELLI: EMBRIONI NON ESISTE L' ORA X - GRANESE: MA SULL'ETICA NON SI PATTEGGIA - SCEGLIERE IL MEDICO IN BASE AI RISULTATI - ARIA DI SMOBILITAZIONE PER I MANAGER ASL - MA AL BROTZU IN ATTIVO FORSE MELONI RICONFERMATO - IN CRISI IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE, LA GENTE VA DAI MAGHI - IL POLICLINICO DI MILANO «FABBRICA» DI BREVETTI - C'È UN ICTUS IN AGGUATO? PUÒ SCOPRIRLO IL DENTISTA - IL VIAGRA RIDUCE IL CUORE INGROSSATO - DIAGNOSTICA OBSOLETA: INAFFIDABILE IL 70% DELLE RADIOGRAFIE - NUOVE MEDICINE FIDUCIA CON LIMITI - NANOSENSORI PERPREVENIRE IL CANCRO - SPERIMENTATI NUOVI FARMACI PER VINCERE I TUMORI AL SENO - RAGGI GAMMA PER OPERARE NELLE AREE PROFONDE DEL CERVELLO - IL RADIO-BISTURI CHE BRUCIA LE METASTASI INTRACRANICHE - PIÙ TI SPORCHI, PIÙ SARAI SANO - SONO IN ITALIA I GENI DI LUNGA VITA - SE LA GENETICA NON SPIEGA TUTTO - ECCO IL FUTURO DELLA RADIOATTIVITÀ - ECCO I FARMACI CHE CI CURERANNO - ANCHE I BAMBINI POSSONO ESSERE IPERTESI - LE DONNE RISCHIANO L'INFARTO MENO DEGLI UOMINI - CELLULE STAMINALI CONTAMINATE - LA VERA CAUSA DEI TUMORI DELLA PELLE - VIA GENETICA PER RIDURRE IL COLESTEROLO - LA PROTEINA DELLA SCHIZOFRENIA - IL SUDORE È UN FILTRO D'AMORE - INQUINAMENTO E TUMORI PEDIATRICI - LA STIMOLAZIONE MAGNETICA DEL CERVELLO - ======================================================= --------------------------------------------------------- TOSI: AUTONOMIA E AUTOREGOLAMENTAZIONE DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE La Conferenza dei Rettori italiani prende atto con soddisfazione che la Legge finanziaria per il 2005 rimuove il blocco delle assunzioni del personale e fornisce un primo segnale di risposta alla grave situazione di sottofinanziamento delle Università, anche se in misura ancora lontana dalle effettive esigenze, soprattutto per quanto concerne la progressione nel tempo. La CRUI ribadisce per altro verso la convinzione che l'efficienza, la trasparenza nella gestione e la verifica dei risultati ottenuti dalle singole Istituzioni siano condizioni indispensabili per richiedere consistenti finanziamenti pubblici e per giustificarne l'attribuzione. I finanziamenti aggiuntivi necessari debbono infatti servire al Sistema universitario italiano per allinearsi progressivamente a quelli europei mediante un piano pluriennale di investimenti, da correlare alla programmazione del suo sviluppo nella qualità. In particolare, gli Atenei debbono essere messi nelle condizioni di poter programmare una adeguata politica del personale, rispettando la loro autonomia nell'ambito di regole condivise, dando loro certezze sulle risorse per gli anni a venire e permettendo di organizzare nel tempo i relativi interventi anche per raggiungere più soddisfacenti ed equilibrati rapporti studenti-docenti sia a livello generale (adeguandosi, finalmente, alle medie europee) sia nelle articolazioni interne a ciascuna istituzione. A questo fine la CRUI auspica che si instauri un vero e proprio patto, che da un lato garantisca che si dia un effettivo e coerente seguito negli anni a venire alla progressiva crescita degli stanziamenti pubblici per l'Università, dall'altro lato impegni quest'ultima, nel pieno rispetto dell'autonomia che la caratterizza sia a livello di sistema sia con riguardo alle singole istituzioni, a operare coerentemente con le esigenze generali di sviluppo e di miglior uso delle risorse che saranno rese disponibili.In questa prospettiva, a parere della CRUI gioverebbe la decisione di usufruire di un solo bando concorsuale per anno (per ciascuna qualifica del personale docente e per tutte quelle del personale amministrativo e tecnico), preceduto dalle verifiche di compatibilità e di coerenza con gli obiettivi fissati. Peraltro la CRUI ribadisce l'opportunità che, indipendentemente da ogni futuro cambiamento delle norme concorsuali, si passi fin d'ora all'idoneità unica nelle prove per professore associato e ordinario. La CRUI ribadisce, inoltre, come sia condizione inderogabile per dare certezze sulla effettiva disponibilità di risorse utilizzabili con criteri di programmazione e per una efficace gestione dei bilanci annuali, il ripristino della norma che consentiva di fare affidamento sull'assunzione da parte dello Stato degli oneri derivanti dagli adeguamenti stipendiali automatici in applicazione di leggi di carattere generale o dei rinnovi contrattuali. Per evidenziare ulteriormente l'urgenza di regole di riferimento per tutto il Sistema, occorre ricordare che l'età media dei nostri docenti è così alta da far prevedere, nei prossimi dieci anni, il pensionamento di oltre la metà di loro e che oggi, paradossalmente, l'articolazione della docenza in quasi tutti gli Atenei ha un andamento "cilindrico" anziché "piramidale a base larga", come dovrebbe essere. Per consentire, nel prossimo futuro, il naturale e indispensabile ricambio, conservando la possibilità di scelte qualitative, occorre dunque uno straordinario impegno verso i giovani da avviare alle attività accademiche.Sulla base di queste premesse, i Rettori italiani dichiarano di condividere le seguenti linee strategiche da assumere come indicazioni di comportamento e di autoregolamentazione trasparente e controllabile. 1. Nel rispetto dell'autonomia - costituzionalmente garantita - delle singole Istituzioni e del Sistema universitario, la programmazione di ogni Ateneo è definita per obiettivi di qualificazione scientifica e di adeguamento dei servizi formativi, previa rigorosa verifica (ex-ante) della sua compatibilità finanziaria, attraverso la condivisione ed il rispetto di regole improntate al potenziamento delle attività di ricerca e alla competitività internazionale. 2. La programmazione di ciascun Ateneo deve essere strettamente connessa a espliciti criteri di allocazione delle risorse per il personale, sia per quanto riguarda le assunzioni in servizio dei vincitori di concorso e degli idonei sia per l'individuazione delle necessità di nuovo personale di ruolo. 3. I criteri a supporto delle scelte devono essere riferiti alla necessità di potenziare l'attività di ricerca, migliorare il rapporto docenti-studenti e raggiungere il giusto equilibrio fra docenti di ruolo e docenti a contratto. 4. Per ciascun Ateneo, le scelte di programmazione sul personale da assumere debbono considerare la distanza dal limite del 90% del rapporto tra spese di personale di ruolo e Fondo di finanziamento ordinario, prevedendo minori possibilità di impegno di risorse man mano che il rapporto si avvicina a tale limite. Il FFO con il quale occorre calcolare il rapporto deve essere quello "teorico", cioè quello che ogni Università dovrebbe avere con il modello adottato, peraltro maggiorato dei finanziamenti garantiti da accordi o convenzioni pluriennali finalizzate alla realizzazione di specifici obiettivi didattici e/o di ricerca o al miglioramento di quelle già in essere. D'altra parte, il costo del personale deve essere ridotto, secondo la normativa già utilizzata, di un terzo di quello del personale di ruolo impegnato in attività assistenziali incardinato nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia e convenzionato con le Aziende sanitarie di riferimento. 5. Al raggiungimento del limite del 90%, calcolato come al punto precedente (e fino a quando non siano rientrati al di sotto del suddetto limite), gli Atenei non possono avvalersi del Fondo di finanziamento ordinario per avviare bandi concorsuali o di trasferimento per personale di ruolo né per procedere ad assunzioni, neanche a quelle in fasce o in ruoli diversi di personale già in servizio.6. Tale autoregolamentazione per il governo programmato delle risorse umane non può prescindere dal disegnare gli organici di Ateneo, tenendo conto di alcuni fondamentali obiettivi: a) le esigenze connesse al turn-over prevedibile, con la necessità di privilegiare il reclutamento dei giovani; b) le effettive necessità presenti e a medio termine, distinte dalle pur legittime attese per avanzamenti di carriera del personale già in servizio; c) la garanzia di una crescita equilibrata dei diversi settori scientifico- disciplinari basata, con l'opportuna flessibilità, senza automatismi e con l'introduzione quindi di adeguati correttivi, sul rapporto docenti-studenti o su quello fra crediti erogati e docenti del settore, nonché del potenziamento della ricerca scientifica, avendo come riferimento il livello di attività scientifica dei docenti già in servizio (dati sulla valutazione dell'attività didattica e scientifica sono indispensabili per garantire affidabilità al processo); d) il riferimento per il personale tecnico e amministrativo al rapporto (riportato a quello mediano nazionale) fra tale personale e i docenti e/o gli studenti. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 gen. ’05 BLOCCO DEI CONCORSI IN UNIVERSITÀ Una nota del ministro Moratti chiede la sospensione delle procedure per l'assunzione di personale Il reclutamento va programmato in base alle disponibilità delle sedi ROMA Università, stop ai concorsi. Con un nota inviata ieri a tutti i rettori delle università statali il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti chiede di «sospendere l'avvio di tutte le procedure concorsuali per la selezione di personale docente, ricercatore, tecnico amministratîvo» fino a che non saranno realizzate «le previste verifiche di compatibilità da parte di questo Dicastero». La sospensione riguarda anche i concorsi già pubblicati in «Gazzetta Ufficiale» dopo il 31 dicembre 2004. La notizia dalla lettera scatena un botta- risposta tra il Miur e la Conferenza dei rettori (Crui) che parla di «metodo inaccettabile». La comunicazione inviata ai rettori fa riferimento a un decreto legge approvato dal 'Consiglio dei Ministri lo scorso 21 gennaio, che fissa al 31 marzo 2005 il termine per la presentazione, da parte degli atenei, dei documenti di programmazione delle assunzioni di personale che ogni università intende fare nei prossimi tre anni. Il decreto legge - fino a ieri non pubblicato in Gazzetta - applica una norma contenuta nella Finanziaria 2005 (comma 105 della legge 311/04) che dispone l'adozione, da parte delle università, di «programmi triennali del fabbisogno di personale, tenuto conto delle risorse a tal fine stanziate nei rispettivi bilanci». Le assunzioni, dunque, vanno programmate e gestite in base ai fondi disponibili nelle casse di ciascun ateneo. I piani di assunzione, poi, dice ancora la Finanziaria, «sono valutati dal ministero dell'istruzione», che ne verifica «la coerenza con le risorse stanziate nel fondo di finanziamento ordinario». Per realizzare quanto previsto dalle norme «è indispensabile - precisa Moratti nella nota indirizzata ai rettori - la preventiva definizione di linee guida per la predisposizione, da parte degli atenei di specifici programmi». Il ministro aggiunge che tali criteri saranno messi a punto dopo aver consultato la Crui ed Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario) e sollecita le università a trasmettere entro il 15 febbraio le informazioni sul personale per la banca dati "Dalia" «almeno relativamente ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2004 e gennaio 2005». «Non si può procedere con decreti e circolari mai concordate», accusa Piero Tosi, presidente Crui, che fa notare come il decreto legge non sia ancora pubblicato e che «le risorse del fondo di finanziamento ordinario per il 2005 non sono ancora state distribuite». E il Miur risponde che la nota inviata ai rettori «é un obbligo istituzionale», precisando che «gli atenei hanno predisposto dopo il 31 dicembre 450 concorsi, che - secondo le nuove procedure previste dalla Finanziaria - avrebbero dovuto essere sospesi». Da Viale Trastevere fanno sapere, inoltre, che la prossima settimana sono previsti incontri tra i vertici Miur e la Crui per «mettere a punto le nuove procedure di valutazione dei fabbisogni sulla base di criteri condivisi». Dura la reazione dell'opposizione. A un colpo mortale all'autonomia degli atenei» ha commentato Flaminia Saccà (Ds), meatre Franca Bimbi (Margherita) si chiede, perché «dai criteri di valutazione debbano essere esentate le università non statali, che ricevono anch'esse finanziamenti pubblici e hanno titoli di studio dello stesso valore legale». ALESSIA TRIPODI _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 gen. ’05 ATENEI, BLOCCATI I NUOVI CONCORSI: "PRIMA CAMBIATE I PIANI" La Moratti: bisogna concordare i criteri introdotti dal decreto della scorsa settimana. I rettori protestano A gennaio avviate le procedure per 450 bandi con migliaia di candidati ROMA - Stop temporaneo a tutti i concorsi universitari banditi dopo il 31 dicembre. Stop all’arruolamento di docenti e ricercatori prima delle definizione, concordata tra ministero e atenei, di nuove regole per la programmazione del personale. Nuove regole alle quali gli atenei dovranno attenersi per evitare che i concorsi siano bocciati. La nota è stata inviata ai rettori italiani. Ed ha avuto l’effetto di una doccia fredda, dopo l’annunciato sblocco delle assunzioni - l’unico caso previsto nella Finanziaria - e soprattutto di fronte ai 900 posti appena banditi in tutto il Paese. Nel mese di gennaio, infatti, le università hanno avviato le procedure per 450 concorsi locali, con migliaia di concorrenti. Alcuni di questi bandi sono già stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. "Una decisione difficilmente accettabile - commenta Piero Tosi, presidente dell’assemblea dei rettori -. Non si può procedere con decreti legge e circolari mai concordate. Convocheremo un’assemblea di tutti i rettori per rispondere al ministro". Ma l’impressione è che la tregua tra gli atenei e la Moratti sia perlomeno già incrinata. Nel consiglio dei ministri del 21 gennaio, ricorda ai rettori il ministro Moratti, è stato approvato un decreto legge che chiede agli atenei di comunicare i piani triennali delle assunzioni entro il prossimo 31 marzo. Proprio in vista di questa scadenza, continua la Moratti, ministero e università dovranno concordare i criteri da seguire nella programmazione del personale. In estrema sintesi: poiché lo sblocco delle assunzioni è stato concesso a condizione che il ministero possa verificare la loro compatibilità - eccesso di idonei, discipline sguarnite ed altre sempre più affollate - è opportuno che prima di bandire i concorsi si trovi un accordo sulle regole così da evitare agli atenei attese che non potranno essere soddisfatte. Di qui l’invito a sospendere tutte le procedure, comprese quelle eventualmente "già disposte con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale". Per i rettori la decisione del ministro Moratti è destinata a creare ulteriori difficoltà a un’"università malata". Come si fa a sospendere concorsi banditi sulla Gazzetta Ufficiale? Come si può chiedere il blocco dei concorsi, se il decreto legge che impone agli atenei di comunicare entro il 31 marzo i fabbisogni di personale non è stato pubblicato? Al ministero, tuttavia, fanno notare che le università hanno ignorato la necessità di stabilire nuove regole per una programmazione più razionale del personale e si sono affrettate a bandire concorsi: 450 in un mese. Nella prossima settimana sono previsti i primi incontri tra ministero e rettori per concordare i nuovi criteri di assunzione. Ma la polemica intanto è scoppiata. La Margherita, ha annunciato Franca Bimbi, membro della commissione Cultura della Camera, "ha presentato un’interpellanza urgente per sapere a quali criteri il ministro intende ispirarsi". "È un colpo mortale all’autonomia degli atenei - afferma Flaminia Saccà, responsabile nazionale università e ricerca Ds - che ora dovranno passare per non meglio identificate valutazioni del ministero per l’approvazione dei concorsi da bandire". "Mi pare si tratti soltanto di uno stop temporaneo - osserva Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di An - per definire meglio le regole ed evitare sprechi nell’uso delle risorse pubbliche". La nota ha suscitato le perplessità dei rettori: nel mese di gennaio sono state avviate le procedure per 450 concorsi locali, per un totale di 900 posti. Ma per il ministro bisogna prima definire i criteri della programmazione del personale Con una nota inviata ai rettori il ministero ha deciso il blocco temporaneo di tutti i concorsi universitari, per docenti e ricercatori, banditi dopo il 31 dicembre, compresi alcuni già pubblicati in Gazzetta Ufficiale Giulio Benedetti ____________________________________________________________ La Stampa 29 gen. ’05 I RICERCATORI UNIVERSITARI CONTRO LA RIFORMA MORATTI IL 2 MARZO LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE «Bloccheremo le attività dal 21 al 26 febbraio» a Blocco di tutte le attività universitarie dai 21 al 26 febbraio, con la convocazione di assemblee permanenti, occupazione simbolica dei rettorati e sit- in davanti al Parlamento il 21 febbraio, partecipazione alla manifestazione già promossa per il 2 marzo dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni della docenza universitaria: è il pacchetto di iniziative di lotta annunciato oggi dal Coordinamento nazionale ricercatori universitari (Cnru) che esprime «grande preoccupazione» per la calendarizzazione alla Camera, il 21 febbraio, del Ddl Moratti sullo stato giuridico della docenza. II Coordinamento respinge anche il documento della Crui sullo stato giuridico della docenza che - sostiene «fa proprio quanto già previsto dal Ddl Moratti, dopo le modifiche del luglio scorso, nonostante le forti critiche. ______________________________________________________________ 28 gen. ’05 DOCUMENTO DEL CNRU RIUNIONE DEL COORDINAMENTO NAZIONALE RICERCATORI UNIVERSITARI DEL 28 GENNAIO 2005 Il Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari (CNRU) esprime grande preoccupazione per l'avvenuta calendarizzazione alla Camera, per il 21 febbraio 2005, del DDL Moratti sullo stato giuridico della docenza universitaria, per il quale si prospetta la sostanziale conferma dei contenuti definiti dalla VII Commissione nel luglio scorso. Il Coordinamento ha preso visione e discusso il documento della CRUI sullo stato giuridico della docenza (accettato inspiegabilmente all'unanimità anche dal CUN). In sostanza, la CRUI fa proprio quanto già previsto dal DDL Moratti, dopo le modifiche del luglio scorso, nonostante le forti critiche contenute in tutti i documenti precedenti del CUN, dei Collegi dei Presidi, dei Senati Accademici (Rettori compresi), dei Consigli di Facoltà e di Dipartimento, delle Organizzazioni Unitarie della Docenza e dello stesso CNRU. I contenuti del documento CRUI prefigurano una netta separazione tra la carriera di docenza e la carriera dei nuovi ricercatori ("Aggregati per la Ricerca"), nel quadro di una preoccupante divisione tra le due funzioni che il Coordinamento ha sempre considerato inscindibili. Il CNRU esprime un giudizio negativo in particolare su: - l'impianto generale della docenza previsto nel documento CRUI; - il nuovo ruolo di "Aggregato per la Ricerca", che si configura come un'ulteriore figura subalterna; - la figura, che nasce ad esaurimento, del "Professore Aggregato", prevista per gli attuali Ricercatori di ruolo (dopo la valutazione di una commissione di Ateneo), già prevista dal DDL col nome di "Professore Aggiunto" ed ampiamente respinta dal mondo universitario; - il mantenimento del lungo precariato con assegni, borse biennali post-dottorato e contratti biennali rinnovabili una sola volta; - i meccanismi poco chiari di passaggio da una fascia docente all'altra e comunque senza distinzione tra reclutamento e avanzamento di carriera; - la riduzione a un solo idoneo negli attuali concorsi a Professore. Nessuna di queste proposte risponde a quanto richiesto dalla piattaforma propositiva approvata il 12 novembre scorso dal CNRU e cioè: - il riconoscimento del ruolo di Professore Universitario per i Ricercatori e la differenziazione tra i meccanismi di reclutamento e avanzamento di carriera, con la previsione per questi ultimi, di un budget aggiuntivo e di giudizi di idoneità a numero aperto; - il mantenimento dell'attuale differenza tra tempo pieno e tempo definito; - un programma di reclutamento in ruolo di 20 mila nuovi docenti per far fronte ai prossimi pensionamenti, supportato da un congruo e specifico finanziamento; - l'unicità del contratto di ricerca dopo il dottorato, di tipo subordinato e di durata non superiore a tre anni. Inoltre, il CNRU sottolinea l'enorme confusione e l'incompetenza che il governo continua a manifestare con provvedimenti incoerenti tra loro: blocco dei concorsi, piano triennale del fabbisogno di personale entro il 31 marzo 2005, riduzione della durata della conferma per i Ricercatori appena assunti per metterli subito ad esaurimento. Di fronte alla volontà del Ministro di mantenere lo strumento della legge-delega e in vista della discussione del provvedimento alla Camera, il Coordinamento Nazionale decide le seguenti forme di lotta: - Blocco di tutte le attività universitarie nella settimana dal 21 al 26 febbraio (in concomitanza con la discussione del DDL) con la convocazione di assemblee permanenti; - Occupazione simbolica dei rettorati e sit-in davanti al Parlamento per il giorno 21 febbraio 2005; - Partecipazione alla manifestazione nazionale del 2 marzo prossimo. Il CNRU, infine, invita le sedi a proseguire ed intensificare tutte le forme di protesta finora adottate (astensione da supplenze ed affidamenti, astensione dagli organi di gestione della didattica, ecc.), elaborando a livello locale nuove piattaforme di lotta. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 gen. ’05 UNIVERSITA’: RIVOLUZIONE E BELLEZZA Qualche proposta per gli atenei Ferroni Giulio Sarà per un certo inguaribile pessimismo: ma tra i due decaloghi proposti su queste pagine da Domenico De Masi, quello sulla deprimente condizione dell' università romana e quello sul radioso futuro che si prospetta per i nostri concittadini, riesco a condividere e a considerare realistico solo il primo, che suggerisce la necessità di interventi radicali sul nostro sistema universitario, sui suoi ambienti e luoghi fisici, sullo svolgersi stesso della sua vita quotidiana. Da tempo mi capita di sostenere che per l' università e per la scuola, prima di ogni ridefinizione pedagogica e di ogni cervellotica riforma, sarebbe essenziale un' attenzione alle strutture fisiche, una cura per i loro luoghi e strumenti materiali, una creazione di adeguate condizioni e rapporti interpersonali. Di tutto ciò non riusciamo a trovare traccia negli interventi pubblici sull' università: e le recenti riforme, suscitando una proliferazione di nuovi corsi di laurea e di spesso peregrine iniziative didattiche, hanno addirittura aggravato il quadro ambientale, tanto più nella nostra città, e nel modo più intollerabile nella cosiddetta «Sapienza». È lecito sperare che il nuovo rettore raccolga il decalogo dei mali redatto da De Masi e cominci a prospettare qualche intervento: perché non creare, tra i tanti organismi, reparti, settori di cui dispone il gigantesco ateneo, un centro per la qualità della vita (di studenti e professori) e per la decenza degli ambienti universitari? Perché non sollecitare, con iniziative adeguate, una maggiore presenza degli studenti nelle sedi di studio e un loro impegno per rendere quei luoghi più vivibili e accoglienti? Proprio in vista della vita futura della nostra città, sarebbe davvero essenziale che coloro che un giorno verranno a far parte delle sue classi dirigenti, dei suoi ceti colti e «riflessivi», possano muoversi entro rapporti civili, studiare in un contesto di rapporti quotidiani non in radicale contraddizione con gli universi culturali su cui si stanno affacciando. Da questo punto di vista, è già un assurdo che lo spazio «metafisico» e ben poco funzionale della Città universitaria si presenti, a chi lo percorre in mattinata, come un immenso, selvaggio parcheggio, con automobili accatastate dappertutto: un bislacco tempio della costipazione urbana più che un tempio della scienza (anche qui nulla viene fatto per scoraggiare l' uso dell' automobile: la città universitaria non è nemmeno servita da linee urbane specifiche, funzionali ed efficienti). Su questo sfondo, gli studenti, invitati ad iscriversi ma scoraggiati a frequentare, trattano l' università come un depresso mercato suburbano, dove si «prendono» crediti formativi a pezzi e bocconi (e qui giocano anche tutti i difetti della recente riforma); talvolta credono di risolvere i loro problemi contattando i professori per via e-mail; e c' è chi preferisce affidarsi alla mediazione di equivoci organismi parauniversitari. Per i più la vita è tutta altrove: ma l' università riuscirà ad essere parte delle loro esistenze, all' altezza di uno sperabile futuro, solo se saprà liberarsi dalla sciatteria, dalla bruttezza, dall' indifferenza dei suoi luoghi fisici. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 gen. ’05 L'UNIVERSITÀ DEI PERCORSI FLESSIBILI Quale riforma / Opportunità e procedure DI GIULIO BALLIO * E stato finalmente pubblicato il decreto (Dpr 270 del 20 novembre 2()04) che istituisce la cosiddetta riforma della riforma degli studi universitari. Le molte versioni proposte in questi ultimi due anni hanno ingenerato interpretazioni che possono non corrispondere al testo finale. Forse vale la pena esaminare il testo definitivo per cogliere le principali innovazioni rispetto alla precedente situazione legislativa. La situazione decretata cinque anni or sono introduceva il cosiddetto 3+2, denominando Laurea il primo ciclo, Laurea specialistica il secondo. Il primo ciclo triennale (1180 crediti) era destinata sia a coloro che avrebbero proseguito gli studi nel biennio della laurea specialistica, sia a coloro che sarebbero entrati nel mondo del lavoro. Gli Atenei avevano la possibilità di attivare percorsi triennali (ad I) comuni ad ambedue le tipologie di destinazione finale, percorsi (ad Y) che si divaricano dopo un tratto comune più o meno lungo. Si potevano anche attivare percorsi paralleli (ad U) che distinguevano fin dall'inizio gli allievi in funzione della destinazione finale. Il nuovo decreto elimina la U e impone un minimo di 60 crediti comuni fra i due percorsi e fra corsi di laurea appartenenti alla stessa classe o a gruppi affini di essi, senza imporre la durata dell'intervallo temporale nel quale tali crediti debbano essere ottenuti. In definitiva si prescrive una lunghezza minima della gamba della Y pari a un anno e si permette di allungarla a piacimento. Con un'espressione matematica si può affermare che tutto è permesso nell’a+b+c della riforma, a condizione che a non sia inferiore all'unità, a+b=3 e c=2 (dall' 1+2+2 fino a 3+0+2, con ampia possibilità di utilizzare i decimali). In questi ultimi anni gli obiettivi della Laurea triennale e della successiva Laurea specialistica sono stati diversamente interpretati. Alcuni chiedevano alla prima una forte componente professionalizzante e pensavano chela seconda dovesse permettere l'approfondimento metodologico delle cognizioni precedentemente acquisite; altri sottolineavano l'illogicità di far seguire a un ciclo triennale orientato al saper fare un ciclo di due anni caratterizzato da aspetti prevalentemente formativi. Il nuovo testo assegna alla laurea triennale l'obiettivo di assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, e al successivo corso di laurea magistrale l'obiettivo di fornire una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici. È stata così rimossa la pericolosa confusione fra gli obiettivi della formazione universitaria e quelli dell'istruzione professionale. In questi ultimi cinque anni tale confusione ha ingenerato molti equivoci, alimentati anche dall'essere stato spesso attribuito alla Laurea triennale l'aggettivo professionalizzante, forse per distinguerla dalla Laurea specialistica, ora rinominata Laurea magistrale. Il dettame legislativo oggi vigente impone che un corso di Laurea specialistica comprenda un numero prefissato di insegnamenti collocati nel precedente ciclo triennale. Il nuovo decreto elimina questo vincolo: i corsi d'insegnamento di una laurea magistrale sono propri di tale laurea e indipendenti dal ciclo precedente. E una libertà che consente nuove, importanti flessibilità. Un laureato triennale in geologia potrà iscriversi alla laurea magistrale di ingegneria ambientale e diventare un bravo ingegnere? La decisione è demandata alla Facoltà accettante. II nuovo decreto legittima il titolo di dottore ai laureati triennali. Molti vedono in questa decisione una frustrante diminuzione del valore del proprio titolo di dottore. Molti ritengono che si sia finalmente avviato il processo che ci porterà al livello di quei Paesi dove tutti sono Mrs, Mr, Madame, Mousieur, con una sola differenza: noi italiani saremo chiamati dottoressa o dottore, appellativo che forse sarà più facile da conquistare che non quello di signora o signore. Sotto la spinta del nuovo decreto gli Atenei saranno indotti a proporre percorsi formativi sempre più flessibili e si potranno instaurare profonde differenze fra sede e sede. Agli Atenei spetterà la responsabilità di comunicare con chiarezza le proprie offerte formative e i conseguenti sbocchi lavorativi attesi. IL titolo di studio perderà sempre più il suo valore. Molti Ordini professionali dovranno riversare nell'esame di Stato una maggior incisività per riconoscere le competenze necessarie per l'iscrizione. Il Politecnico di Milano, liberato dal pericolo di essere obbligato per legge e contro la sua vocazione a diventare una scuola professionale, potrà continuare a orientare la propria offerta didattica per contribuire a formare quelle figure di Architetto, Ingegnere, Disegnatore industriale che la profonda evoluzione del mondo del lavoro e delle professioni richiede. Su questi obiettivi si giocherà la sfida per migliorare la formazione, la preparazione e l’ inserimento nel mondo del lavoro dei nostri giovani. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 gen. ’05 CHI HA PAURA DEL CUN RINNOVATO? Benché scaduto da anni, l'organo universitario continua a formulare pareri e proposte DI ALESSANDRO MONTI La comunità universitaria si pone da tempo l’interrogativo se il Consiglio universitario nazionale sia tuttora "organo elettivo di rappresentanza delle istituzioni universitario" {legge 127/97) o sia mutato in mero organo di consulenza del ministro. La domanda non è oziosa dal momento che il Cun, nonostante sia da alcuni anni scaduto il proprio mandato elettivo, continua a formulare pareri e proposte su importanti aspetti della vita universitaria. dalla programmazione di nuovi atenei e facoltà ai criteri di ripartizione dei finanziamenti, dalla revisione delle lauree e dei settori scientifico-disciplinari all'approvazione di statuti e regolamenti di ateneo, alla nomina di commissioni per la conferma in ruolo dei docenti. Un'anomalia istituzionale. La motivazione addotta per il lungo rinvio di regolari elezioni per il rinnovo del Cun da indirsi entro il 1°maggio 2001) é stata prima quella di dover completare l'esame di statuti e regolamenti riordinati dopo la riforma dei cicli di studio (3-2), poi l'attesa dell'approvazione di un disegno di legge di modifica delle attribuzioni del Cun. Tali motivazioni, di per sé insufficienti a giustificare il prolungarsi del mandato di un organo elettivo a tantomeno l'impiego di decreti legge, consentito solo nei "casi straordinari di necessità e urgenza" (art. 77 della Costituzione), sono state, invece, per ben 4 volte accolte nell'ambito di provvedimenti legislativi urgenti, permettendo di aggirare il divieto assoluto di proroga degli organi pubblici, oltre il limite massi mo di 45 giorni disposto dalla legge 4,44 del 1994, Si è così determinata una grave "anomalia istituzionale", il cui protrarsi finisco, per incidere sulla stessa credibilità del sistema universitario. Alcuni sostengono che il Governo abbia disposto 121 proroga del Cun per potersi giovare di un organo consultivo reso più malleabile dalle condizioni di precarietà e di dubbia legittimità nelle quali é costretto ad operare e poter così assumere più liberamente le proprie decisioni di politica universitaria, senza dover troppo motivare eventuali difformità di posizioni. A onor del vero l'ultima proroga, che scade il 30 aprile 2005 , non è stata chiesta formalmente dal Governo. É stata però inserita con il sua parere favorevole in sede di conversione in legge di un decreto-legge 17 aprile 2004, n97) che aveva per oggetto "l’avvio dell'anno scolastico". Certo é che i membri del Cun, eletti nel 1997 per quattro anni e non inunediatan3ente rieleggibili; sono rimasti surrettiziamente in carica per un secondo mandato. Perdita di rappresentatività. Assai imbarazzante appare la condizione dei membri tuttora in carica pur se decaduti dalla posizione che li legittimava (rappresentanti degli studenti ormai laureati, rettori eletti dalla Crui da tempo scaduti;). Di tali incongruenze si deve ritenere siano consapevoli gli stessi componenti del Cun che non possono non sentire insostenibile il peso della loro perdita di rappresentatività e premere per essere "liberati" dalla loro condizione di "prigionieri" istituzionali, L'assoluta improponibilità di ulteriori forzature, oltre quelle in atta, dovrebbe spingere il ministro dell'Istruzione a non attendere gli esiti di un disegno di legge di riordino del Cun (ancora in prima lettura al Senato) e a disporre con carattere d'urgenza gli adempimenti necessari allo svolgimento delle elezioni, essendo ormai da tempo superato il termine previsto dalle norme vigenti (sei mesi prima della scadenza). Si tratta di consentire l'esercizio di diritti elettorali finora sospesi, restituendo autorevolezza a un organo vitale per l'autonomia delle istituzioni universitario. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 gen. ’05 IL CUN È PIÙ AUTOREVOLE SE È CAPACE DI RINNOVARSI LUIGI LABRUNA - *Presidente del Consiglio universitario nazionale L’importanza di un Consiglio universitario nazionale che sia «organo di rappresentanza del sistema universitario» è evidente a chiunque conosca i problemi e le difficoltà che la ricerca e l'istruzione superiore debbono affrontare soprattutto in una fase di profonde modificazioni. A differenza di altri pur rilevanti organismi, il Cun si fonda sulla rappresentanza di tutte le categorie che operano nelle Università e racchiude in sé le necessarie competenze disciplinari. Questo gli ha consentito - e consente - di esprimere, secondo legge, proposte e pareri sempre liberamente assunti e spesso efficaci. Ciò ha fatto anche per il disegno di legge per il riordino del Consiglio stesso, sventando il tentativo di snaturarne la funzione rappresentativa che un "insano" progetto stava perpetrando per ridurre il Cun a mero «organo di consultazione del ministro», con metà dei componenti designati dallo stesso «tra esperti di elevata qualificazione scientifica». II Ddl ora approvato dalla VII Commissione del Senato e in procinto di andare in aula (A.S. 3008-A) riafferma, infatti, il carattere elettivo di tutti i consiglieri di quello che diventa esplicitamente l'organo di rappresentanza dell'intero sistema universitario. Le sue competenze sono ampliate e precisate, accentuando il raccordo con gli altri organi del sistema e disciplinando in maniera innovativa, con l'introduzione del principio costituzionale del giusto processo, i procedimenti disciplinari. È mantenuta la rispondenza per l'intera consiliatura delle rappresentanze all'originaria categoria che le ha espresse attraverso la sostituzione, per il periodo residuo del mandato, dei componenti che perdono 0 modificano lo status (e questo oggi non è possibile). Diversificando la durata del primo mandato per la metà dei componenti, attraverso elezioni di medio termine, si è assicurata continuità all'attività del Consiglio, eliminando la principale ragione che ha imposto più volte proroghe, sempre motivate ma non auspicabili, della durata in carica dei membri. Infatti con la normativa in vigore tutti i membri del Consiglio cessano contemporaneamente e, nelle varie contingenze riformatrici che hanno stressato il sistema negli ultimi trent'anni, sarebbe stato problematico interrompere a metà lavori in corso, come sa bene Alessandro Monti, autore dell'articolo «Chi ha paura del Cun rinnovato?», pubblicato sul Sole-24 Ore del ?2 gennaio, e che del Cun precedente fu membro dal 1986 al 1997. Ed è quanto accaduto con l'attuale Consiglio a causa del processo di attuazione del cosiddetto 3+2 e per la modifica del Dm 509/99. Ciò (occorre dirlo?) non ci ha reso certo più "malleabili". Il Cun auspica che la discussione sul Ddl di riordino proceda con rapidità, in modo che in tempi brevissimi sia possibile rinnovare l'organismo. Il Cun ha più volte e in più forme sottolineato la necessità di evitare comunque rinvii delle scadenze elettorali, in quanto essi sono sempre segnali di disfunzione del meccanismo istituzionale. Che il senso di responsabilità prevalga in tutti, pur nella legittima diversità di posizioni e opinioni, e si arrivi, con il serio contributo di ognuno, a un rapido varo della legge di riordino e a nuove elezioni. ____________________________________________________________ Il Mattino 28 gen. ’05 COME AFFONDA LA RICERCA ANTONIO GALDO Il Lavoro del professore Adriano De Maio, per un anno 'commissario del Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr), doveva servire a «cambiare regole e organizzazione della ricerca in Italia». Invece è stato semplicemente cestinato. Durante il suo mandato, il commissario non è riuscito neanche a riunire i capi degli altri enti che fanno capo al ministero dell'Istruzione e quando ha affrontato il capitolo delle biotecnologie, ha scoperto che ben cinque dicasteri hanno competenze in questo settore. Una Babele. Con un risvolto significativo sul come spendono i soldi pubblici per la ricerca: il budget del Cnr supera gli 800 milioni di euro, e il 70% di questi finanziamenti sono assorbiti dal personale e dall'amministrazione. Più che ricerca, si tratta di una rete impermeabile a qualsiasi cambiamento. Tanto mena alle scosse proposte dal professor De Maio. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 gen. ’05 L'UNIVERSITÀ EUROPEA PERDE APPEAL Business school / La classifica del Financia! Times MILANO Le università europee che formano i manager internazionali, le business school e i programmi Mba del Vecchio Continente, perdono posti nella classifica 2005, pubblicata come ogni anno dal Financial Times. In alcuni casi scendendo di parecchie posizioni rispetto agli anni passati. L'Italia, rappresentata dalla Sda Bocconi si ferma al 42esimo posto, rispetto al trentesimo del 2004. Ma anche nelle top ten, occupate dalle più famose università americane - la prima Harvard, a seguire Wharton, stabile al terzo posto la Columbia University - le europee mantengono posizioni fragili: Insead, con i suoi due campus a Fontainebleau e a Singapore, perde ben quattro posti (scende dal quarto all'ottavo), la London Business School è quinta, ma cala di una posizione rispetto al 2004. Sotto la lente d'ingrandimento i criteri che il team di Ft ha applicato rigidamente per stilare la classifica dei cento Master in Business admnistration di tutto il mondo, che meritano per una ragione o per un'altra, d'essere presi in considerazione da chi fa un investimento in tempo e denaro per intraprendere una carriera di livello nel mercato internazionale. Criteri che pesano con percentuali diverse: il più importante, il salario medio, valutato nei tre anni successivi al conseguimento del diploma Mba (anno preso in considerazione il 2001) e il suo incremento insieme, influiscono per 40% nella redazione della classifica. Così viene messo a confronto il salario di 8lmila dollari (valutato dal 2003 al 2005) di un diplomato Mba della Sda Bocconi e di un graduate di Stanford o Harvard che supera i 155mila dollari medi. «La classifica prende considerazione un anno particolare per l'Italia e l'Europa, nel quale c'erano molte difficoltà a capitalizzare l'evoluzione di una carriera», commenta Maurizio Dallocchio, direttore della Sda. «C'è da esser contenti di questo risultato, come Paese non ci muoviamo in una realtà competitiva in nessun settore, tanto meno in quello universitario -- continua - facciamo tutto con i nostri mezzi, non riusciamo ad attirare come dovremmo capitali dalle aziende, o dalle reti d'ex alunni, come negli Usa, dal punto di vista internazionale non è un momento di gloria». Tra le università americane in ascesa Dartmouth College (Tuck Business School), che ha una particolarità: riesce a ricevere fondi dal 65% dei propri ex alunni. Importante per la classifica il livello di mobilità internazionale nel mercato del lavoro dei diplomati, dalla conclusione dell'Mba sino ad oggi. Le scuole europee hanno dati interessanti rispetto alle università americane, sono gli irlandesi (Trinity College of Dublin), gli svizzeri (Imd), gli spagnoli (Esade e lese), gli inglesi e gli olandesi a cambiare un maggior numero di Paesi per motivi di lavoro, nei tre anni successivi al diploma. I diplomati Mba Bocconi si collocano al ventunesimo posto in termini di mobilità. Qualche sorpresa a metà classifica per due scuole europee, la spagnola Esade e la francese Hec: la prima passa dal settantunesimo posto al 35esimo, aumentando in tre anni l'incremento del salario dei propri diplomati, e la mobilità internazionale; Hec, che guadagna 16 posizioni (è 37esima) raccoglie i frutti di una strategia che il direttore Bernard Ramanatsoa mantiene da tempo, puntando sull'evoluzione della carriera dei propri diplomati. Un balzo in avanti di 31 posizioni per il Ceibs (35° posto), l'università internazionale di Pechino, con un salario di 98mila dollari per i propri diplomati Mba; in relazione al criterio che valuta l'esperienza internazionale complessiva, la business school cinese è quarta nella classifica mondiale. LOREDANA OLIVA _____________________________________________________________ La Stampa 26 gen. ’05 LA SCIENZA RIVENDICA SPAZIO NELLA SOCIETÀ UMBERTO VERONESI LANCIA UN VERTICE MONDIALE A VENEZIA IN SETTEMBRE UN GRANDE CONFRONTO TRA RICERCA, POLITICA E INFORMAZIONE E’ un paradosso inaccettabile. Mentre la realtà mondiale registra un altissimo sviluppo scientifico e tecnologico, «la provincia Italia» (ma molti altri paesi europei sono in condizioni simili alle nostre) sia nell'ambito del mondo politico sia della società civile ha un atteggiamento antiscientifico. Lo dimostrano le risorse economiche sempre più scarse destinate alla ricerca, rozzamente considerata una spesa invece di un investimento - anzi, il più prezioso degli investimenti per il progresso di una nazione. Lo mostra il fatto che troppo spesso da noi l'ideologia condiziona, o addirittura soffoca la ricerca. Occorre rovesciare presto questa situazione se non si vuole condannare l'Italia al ruolo di un paese terziario, incapace di un reale sviluppo, impoverito giorno dopo giorno da una costante fuga di cervelli. Occorre, in breve, "una coscienza scientifica". Bisogna tutti prendere consapevolezza che quello scientifico non è un mondo a parte ma è realtà integrante di tutto il resto. E’ su questa strada della costruzione di "una coscienza scientifica" che si è incamminato Umberto Veronesi, ex ministro della sanità e oggi alla guida dell'Istituto europeo di oncologia, ideando la "Prima Conferenza Mondiale sul futuro della Scienza" (Venezia, 21-23 settembre 2005). Conferenza organizzata, oltre che dalla sua Fondazione, anche dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con la Fondazione Silvio Tronchetti Provera. Un evento di livello internazionale (già prevede l'intervento di cinque premi Nobel) e in cui si confronteranno protagonisti del mondo scientifico, culturale e politico. Basta elencare i tre grandi temi attorno ai quali ruoteranno le tre giornate del Convegno (www.veniceconference2005.org) per avere chiara la portata dell'avvenimento: Scienza e Valori (Scienza, cultura ed etica - Scienza e religione - Libertà della scienza e filosofia); L'impatto della scienza sulla vita umana (Le future risorse di energia per il genere umano - La rivoluzione del DNA - Una sfida per la scienza: la vittoria sul cancro - Il futuro dell'informazione e della comunicazione); Scienza e Potere (Scienza e tecnologia - Scienza e potere economico - Scienza e potere politico). «Non sarà una Conferenza di scienziati - precisa Umberto Veronesi - ma un confronto fra il mondo degli scienziati e la società: filosofi, teologi, scrittori, economisti, politici. E tutti i partecipanti sono invitati a proiettarsi nel futuro, a immaginare come sarà il mondo fra dieci, venti, cinquanta anni». La Conferenza di Venezia (come, in una valenza europea e limitata alle nuove tecnologie, è stata la Converging Sciences Conference svoltasi di recente a Trento) conferma una linea più interventista della comunità scientifica. Non più soltanto denunce sulla scarsa attenzione verso quelle che sono le proprie esigenze ma la decisa discesa in campo, da protagonista, in un confronto tanto chiaro quanto determinato con tutte le altre componenti della realtà civile, politica, culturale. Ma nello spirito di fare squadra, creando, attraverso la conoscenza, la consapevolezza dell'importanza collettiva della ricerca, condividendo scelte, cancellando falsi pregiudizi. Umberto Veronesi, insieme con i presidenti delle fondazioni che organizzano la Conferenza di Venezia - Giovanni Bazoli, Enrico Bellezza, Marco Tronchetti Provera - auspica la necessità, per un corretto sviluppo del nostro paese, di creare una sorta di "Camera Alta", un gruppo leader del pensiero scientifico, umanistico, economico, politico capace davvero di guardare avanti e di indicare le linee guida come gli investimenti necessari per determinare vero progresso. Ricordando che «l'ignoranza non dà nessun diritto - come ha detto Umberto Veronesi - né a credere né a non credere». Luciano Simonelli ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 gen. ’05 UN VALORE LEGALE CHE FRENA DI ATENEI DIETRO IL «FAI-DA-TE» La grottesca vicenda della pseudo-università di Villa San Giovanni (raccontata da Salvatore Settis sul Sole-24 Ore del 23 gennaio) non deve far dimenticare che dietro questi fremiti del "fai da te" universitario c'è un problema serio, quanto antico: il valore legale dei titoli di studio. Molti mal di testa burocratici sarebbero risparmiati se non ci fosse bisogno di avere timbri e firme per metter su una università. Si darebbe allora via libera a un vile commercio di diplomi accademici? Non necessariamente, perché il mercato - cioè a dire i datori di lavoro pubblici o privati che devono assumere coloro che esibiscono le credenziali accademiche - è fatto di adulti consenzienti che sono in grado di apprezzare il valore - non legale, ma sostanziale - di un titolo di studio rilasciato da una università seria rispetto a quello ottenuto presso qualche raffazzonata fabbrica di diplomi. Questo problema del valore legale ha certamente anche riflessi comunitari, dato il principio del mutuo riconoscimento. Ma intanto la sacralità del riconoscimento pubblico ostacola la sperimentazione accademica indispensabile in un mondo che cambia. Se l'Università Bocconi, per esempio, vuole creare una Facoltà di Diritto con particolare attenzione al Diritto dell'economia, non deve essere obbligata a defatiganti negoziati sul mantenere il Diritto canonico fra le materie di studio. Se proprio si vuole continuare ad affermare il valore legale dei titoli - anacronistico residuo di un baliatico statalista in cui tutto quello che non è permesso è vietato - è però possibile interpretare questo riconoscimento in modo elastico, accettando, e anzi incoraggiando, la formazione di nuovi corsi di laurea: volere a tutti i costi incastrare i tasselli del nuovo nella mappa del passato diventa un obiettivo ostacolo al disegno dell'università del futuro. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’05 CAGLIARI: TRE NUOVE FACOLTÀ IN DIRITTURA D'ARRIVO L'iter che porta alla nascita delle nuove facoltà di Architettura, Biologia e Psicologia prosegue. L'argomento, come era ovvio, è arrivato anche al Senato accademico, che pur non avendolo iscritto all'ordine del giorno, ne ha parlato in poche battute. Si è preso atto che si tratta di una novità rivoluzionaria per l'ateneo e che comunque va affrontata con calma. Per questo quasi sicuramente sarà inserito nell'ordine dei lavori del prossimo Senato accademico, a febbraio. Dopo dieci anni dall'istituzione di Lingue e letterature straniere, che ha fatto salire a dieci il numero delle facoltà, l'ateneo cagliaritano, con in testa il rettore Pasquale Mistretta, sta seriamente prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare l'offerta formativa per gli studenti. Architettura nascerebbe dal corso esistente nella facoltà di Ingegneria, mentre Biologia e Psicologia si staccherebbero rispettivamente da Scienze e da Scienze della formazione. UnicaProprio nell'ultimo numero del bimestrale dell'università cagliaritana (Unica news uscito ieri) Mistretta fa il punto della situazione sul fermento che potrebbe portare alla costituzione delle nuove facoltà. Un percorso ovviamente lungo: ci sono numerosi passaggi (consiglio di facoltà, Senato accademico, ministero della Pubblica Istruzione) che fanno presumere l'eventuale parto di Architettura, Biologia e Psicologia per l'anno accademico 2006-2007. «I percorsi formativi e la ricerca scientifica non possono prescindere da nuovi indirizzi, mentre oggi abbiamo un binario definito ? spiega Mistretta. ? La chance di creare nuove facoltà, e all'interno dell'ateneo si dibatte proprio su Architettura, Biologia e Psicologia, è quella di dare nuove opportune diversificazioni». Il rettore scende poi nello specifico delle singole facoltà. «L'ingegneria civile e l'architettura, per vari motivi, non legano più con gli indirizzi di laurea in elettronica, elettrica, meccanica, chimica. Il numero di studenti giustificherebbe la nuova facoltà: sono il 50 per cento a ingegneria civile e architettura, il resto negli altri corsi». Il nuovo polo d'Architettura permetterebbe inoltre «un' identità più forte con la Regione e con gli altri atenei italiani e internazionali». PsicologiaPer Psicologia il discorso è avvalorato dai numeri: esiste una sofferenza nel rapporto tra docenti e studenti, sbilanciato a favore di questi ultimi e con un corpo insegnante esiguo. «Psicologia ? spiega Mistretta ? può diventare facoltà a sé perché vanta docenti e ricercatori di indiscussa validità accademica». BiologiaAnche Biologia sembra essersi ritagliata una fetta di indipendenza: «Le bio-discipline rappresentano una grande nicchia sulla quale bisogna investire ? continua il rettore: ? basti vedere quanto stanno facendo di buono i distretti di Biomedica, delle Biotecnologie, Bioingegnerie, così come Genetica e altre discipline che potranno essere incentivate». Anche i numeri non dovrebbero creare problemi: ci sono circa trecento docenti in Scienze, e un terzo potrebbe essere fatto convergere su Biologia. I vantaggi derivanti dalle nuove facoltà sarebbero notevoli: più si disarticola l'indirizzo di studio più si è competitivi». m.v. _____________________________________________________________ Il Giornale di Sardenga 28 gen. ’05 LA RIVOLTA DEGLI STUDENTI PER LE ISCRIZIONI ALLE SPECIALIZZAZIONI «Marceremo in massa sul Rettorato» I corsi di specializzazione alla base della lotta questa mattina riunione del Senato accademico FRANCESCO MURA Minacciano di scendere in piazza, marciare in massa ' dal rettorato e presentare una interrogazione al Presidente del Consiglio regionale e all'assessore alla pubblica istruzione. Ma non escludono altre forme di lotta se la vertenza sull'iscrizione con riserva ai corsi di specializzazione non verrà risolta e il veto del Rettore Pasquale Mistretta ritirato. Una strada che, visti i tempi a disposizione, appare ormai l'unica percorribile. «Non capiamo i motivi di tanta ostinazione da parte del Rettore- commenta Silvia Pili (nella foto) - rappresentante della Federazione Universitaria -visto che altre università prestigiose come Roma 3 e Bologna hanno consentito ai loro studenti di poter accedere all'iscrizione provvisoria evitando così che si butti via un anno di studio». Una storia vecchia «Tutto prende il via tre anni fa- spiega la studentessa - con la riforma scolastica del 509/99 e l'istituzione dei corsi di studio su due livelli, un primo livello triennale e un secondo biennale. A1 termine del primo si ottiene la laurea breve e lo studente può scegliere di proseguire gli studi iscrivendosi al corso di secondo livello al termine del quale si ottiene la laurea specialistica». Nasce il contenzioso Ma mentre in tutti gli atenei, compreso quello sassarese, l'amministrazione concede l'iscrizione con riserva per passare dal biennio al triennio, quello cagliaritano pone il veto: non verrà concessa nessuna iscrizione con riserva. «È impensabile che uno studente che vede slittare da ottobre a febbraio la sua laurea - puntualizza Silvia Pili - sia poi costretto, per iscriversi ai corsi di specializzazione, ad aspettare il successivo mese di novembre perdendo così un intero anno». Ma che fare per non restare fermi un anno? «L'unica cosa- continua - è quella di iscriversi a singoli insegnamenti del corso specialistico, seguire le lezioni e sostenere gli esami per poi chiedere il riconoscimento a novembre. A prima vista potrebbe sembrare una soluzione ma, al contrario, pone limiti importanti che ostacolano il percorso universitario. E poi ci sono altre tasse da aggiungere a quelle regolarmente pagate ogni anno». Incomprensibile. «Già, come il comportamento del Rettore - aggiunge - che a metà dicembre mi telefonò per garantirmi che si sarebbe assunto l'impegno di risolvere la vicenda entro gennaio. Da allora non ho più avuto sue notizie». L'attesa Eppure, nonostante il colpevole silenzio del Rettore e le proteste di questi mesi, gli studenti continuano a nutrire fiducia. «Domani ci sarà la riunione del Senato Accademico - continua - attendiamo fiduciosi una risposta positiva». Se non dovesse arrivare? «Siamo pronti a scendere sul piede di guerra, a fare valere le nostre sacrosante ragioni mettendo in atto le forme di lotta più opportune». Favorire il dialogo la Federazione Universitaria è un'associazione universitaria apartitica composta da studenti di tutto l'Ateneo e da rappresentanti degli studenti nei consigli di Facoltà di Economia, Farmacia, Medicina e Ingegneria. Si occupa di formazione e orientamento e si pone in maniera propositiva per migliorare la vita universitaria e favorire un maggior contatto e dialogo tra docenti e studenti. L'intento è dì consentire a questi ultimi una formazione culturale equilibrata e non limitata allo studio delle sole discipline universitarie. ____________________________________________________ Il GIORNALE DI SARDEGNA 29 gen. ’05 CAGLIARI: AMMESSE ISCRIZIONI PROVVISORIE ALLE SPEICLAIZZAZIONI Gli studenti universitari hanno le vinto ammesse iscrizioni provvisorie La decisione è stata presa ieri dal Senato accademico da giugno la normativa nel regolamento dell'Ateneo FRANOESGAMURA Gli UNIVERSITARI cagliaritani hanno vinto. Il Senato accademico, riunitosi nella mattinata di ieri, ha infatti accolto le richieste degli studenti e fino al prossimo 28 febbraio saranno possibili le iscrizioni provvisorie ai corsi biennali di specializzazione. Un voto unanime con il quale viene definitivamente scongiurato l'anno di "fermo" per chi havisto slittare da ottobre a dicembre 1a propria laurea. Ma scongiura anche la minacciata "marcia degli studenti sul Rettorato". Tutto si è risolto nel migliore dei modi. La reazione degli studenti... La notizia è stata accolta in tutto l'ambiente con con grande entusiasmo. «Siamo felicissimi che il Senato accademico abbia formalizzato le nostre richieste-fa sapere Silvia Pili, rappresentante degli studenti e una delle promotrici dell'iniziativa - perché finalmente possiamo accedere alla specializzazione senza interruzioni e procedendo nel normale corso di studi». Nessun accenno, invece, al tempo perso per arrivare a questa vittoria. «Nessuna polemica, per carità- continua la studentessa-la cosa importante, ora, è che gli studenti che si sono laureati a dicembre e che pur di non rimanere indietro hanno seguito ugualmente le lezioni possano dare regolarmente gli esami. Se così non fosse sarebbe una grave ingiustizia». Un attimo di silenzio poi conclude: «Si, non premiare l'impegno degli studenti più volenterosi sarebbe un atto d'ingiustizia». Timori, quelli di Silvia Pili, che con ogni probabilità rimarranno tali. ... e del corpo docente La conferma arriva direttamente dai vertici accademici. «Nella riunione del Senato accademico-conferma il professor Roberto Malavasi preside della facoltà di economia e membro del massimo organo di governo universitario -abbiamo deciso che gli studenti che non si sono laureati a ottobre potranno iscriversi provvisoriamente ai corsi di specializzazione fino al prossimo 28 febbraio. Una soluzione ragionevole ma anche sperimentale. Dobbiamo capire, facoltà per facoltà, chi potrà essere in grado di accedere agli esami del primo semestre anche se iscritto solo dal secondo». La paura degli studenti è che la decisione del Senato accademico possa essere adottata quest'anno. «Assolutamente no. Dal prossimo anno entreremo a regime e diventerà una regola». E' sicuro, quindi, che fin dal prossimo anno accademico l'iscrizione provvisoria verrà inserita anche nel regolamento universitario? «Si. Per fare questo, d'accordo con il Rettore Pasquale Mistretta, ci siamo dati appuntamento al prossimo mese di giugno». Soddisfazione anche da parte del professor Vittorio Dettori, fresco di consiglio di amministrazione dell'Ateneo, vicino agli studenti e all'oscuro della decisione. «Sono felicissimo che sia stata presa questa decisione - è il suo commento telegrafico - una scelta diversa sarebbe stata strana e troppo penalizzante». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 gen. ’05 CAGLIARI: FAMIGLIE E UNIVERSITÀ L’Università di Cagliari: vizi privati e pubbliche virtù. E’ necessaria una premessa per la nostra modernità mediatica. Esistono dei siti informatici cui fanno riferimento le Università italiane, per il nostro Ateneo cagliaritano tale sito è “unica.it”. La ragionevolezza e la correttezza istituzionale vorrebbero che il sito venisse usato per ragioni proprie, cioè per argomenti di carattere rigorosamente universitario. Ma tanto è che va il mondo, almeno quello cagliaritano: il sito diventa riferimento per un laboratorio privato. Si legge infatti nell’elenco telefonico (pagine bianche): il “Centro per le Malattie Dismetaboliche e l’Arteriosclerosi” (a mia conoscenza un laboratorio privato) porta come riferimento .....@unica.it. Lo stesso sito è quindi utilizzato, molto “familiarmente”, da uno dei responsabili del laboratorio (il responsabile anziano) per le sue pretestuose polemiche personali e ne informa i colleghi della Facoltà di Medicina sempre attraverso .....@unica.it (il sito del responsabile giovane, universitario di fresca nomina). Tutto in famiglia, delle famiglie cagliaritane. Oramai è l’uso dell’eccellenza accademica di casa nostra: si vince “tortuosamente” (questo è almeno quanto si evincerebbe dai verbali della Facoltà di Medicina) un concorso a cattedra, il vincitore si porta dietro anche i familiari. Università? Se ci sei batti un colpo. Paolo Pani docente di Patologia generale _____________________________________________________________ La Nuova Sardenga 28 gen. ’05 E IL PROF. ANTISEMITA FINISCE SOTTO INCHIESTA Cagliari: la procura apre un fascicolo, la Digos sequestra il libro di Pietro Melis CAGLIARI. Incitamento all’odio razziale, etnico e religioso. Con questa ipotesi di reato Pietro Melis, il docente cagliaritano della facoltà di Scienze della formazione da giorni al centro di polemiche per le sue prese di posizione antisemite, da ieri è iscritto al libro degli indagati della procura della repubblica di Cagliari. Il magistrato che ha aperto l’inchiesta, il sostituto Danilo Tronci, ha anche disposto il sequestro in tutto territorio nazionale del libro nel quale sono contenute le sue affermazioni razziste. Gli agenti della Digos della questura hanno già sequestrato nella facoltà di Scienze della formazione 165 volumi dell’opera incriminata dal titolo: "Scontro tra cultura e metacultura scientifica: l’Occidente e il diritto naturale". Il libro, pubblicato negli Annali dell’università di Cagliari e fatto adottare agli studenti che preparano l’esame di storia della filosofia, di cui Melis è insegnante, sarà sequestrato anche in tutte le biblioteche nazionali alle quali è stato inviato dal docente. Se l’ipotesi di accusa formulata dalla procura sarà confermata anche dai giudici, Melis rischia una condanna sino a tre anni di carcere. Il provvedimento della magistratura arriva dopo giorni di polemiche, interrogazioni parlamentari e dure prese di posizione. Nel libro sotto accusa, sul quale gli studenti di Scienze della formazione sostengono un esame, Melis ha scritto testualmente: "È giusto dichiararsi antisemiti nei confronti degli ebrei credenti, nè ci si può dolere del fatto che questi siano finiti nelle camere a gas". Melis ha inviato il suo libro anche al rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, con una lettera di accompagnamento nella quale rincara la dose: "Il mio saggio, inviato a 140 biblioteche italiane e straniare, sia come marchio indelebile sulla vostra pelle per ciò che ho scritto nelle pagine 12-16. Sulla base del diritto naturale non dovrebbe essere reato giustiziare un ebreo credente o un islamico". Il caso sollevato da un’interrogazione dell’ex capogruppo di An al Parlamento, Gianfranco Anedda, alla quale ne sono seguite altre due di parlamentari Ds, ha avuto immediate ripercussioni con la richiesta di immediati provvedimenti nei confronti del docente. Melis per niente disposto a fare retromarcia ha replicato: "Non accetto lezioni morali da nessuno". _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’05 «INDEGNO» LIBRO ANTISEMITA, L'ATENEO CONTRO MELIS Università. Il Senato accademico ha condannato il caso del professore: Volantino con le tesi del docente al convegno sulla Shoah Tutti contro Pietro Melis. Il docente di storia e filosofia, nella facoltà di Scienze della Formazione, reo di aver pubblicato un testo con evidenti contenuti antisemiti e di odio razziale, è sempre più solo. Una condanna da parte del mondo accademico cagliaritano arriva proprio all'indomani del Giorno della memoria. Ieri mattina il Senato dei docenti ha discusso l'episodio, dipingendolo come "indegno" e "inaccettabile" da parte di tutto l'organismo. Alla fine degli interventi si è tenuto anche un minuto di raccoglimento per le vittime della Shoah. Dure le parole del rettore Pasquale Mistretta, che ha inviato una lettera di scuse al rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni: «Le farneticazioni di Pietro Melis riguardano solo la sua persona e non rispecchiano nel modo più assoluto l'orientamento dei colleghi e del personale tutto della facoltà di Scienze della Formazione e dell'ateneo. Ho già provveduto a richiedere al preside della facoltà di ritirare la pubblicazione». A conferma di questa volontà, nel consiglio di facoltà di mercoledì i docenti si sono rifiutati di prendere parte alla commissione che avrebbe dovuto far sostenere l'esame della materia del professore Melis. Per tutta risposta il docente ha inviato un fax agli uffici dell'ateneo, per denunciare l'episodio come «interruzione di pubblico impiego». Pietro Melis, 69 anni, nel 1989 aveva fondato la Lega sarda partecipando alle elezioni ragionali con proclami in stile padano. Giovedì il libro sotto accusa, per disposizione della Procura di Cagliari è stato sequestrato su tutto il territorio italiano, mentre il professore è stato indagato per istigazione all'odio razziale. VOLANTINAGGIOLa vicenda Melis ha poi vissuto un nuovo episodio in serata. Durante il convegno, svolto nell'aula Magna del polo umanistico, "I lager e la Shoah in Italia e in Europa", organizzato dal dipartimento di studi storici, una ragazza all'esterno dell'edificio ha distribuito un documento di dieci pagine, intitolato «È tornato il periodo dell'inquisizione spagnola. È in Italia, non in Spagna». Niente firma, ma leggendo le prime righe si capisce subito che il contenuto è stato scritto da Melis, che fa riferimento alla sua pubblicazione, cercando di avvalorare, con riferimenti storici e filosofici, le proprie tesi. Questo in attesa dell'esito dell'inchiesta aperta dalla Procura. Il Senato accademico ha dato inoltre piena disponibilità a collaborare. Chissà che il documento distribuito ieri possa essere inserito nel "dossier Melis". POLEMICA IN SENATO «Interrogazione corretta d'ufficio, senza consultare i firmatari». Questa la denuncia del senatore diessino, Massimo Brutti, al presidente del Senato, Marcello Pera, per i cambiamenti che il testo originale, che condannava come "spregevole e ripugnante" il testo antisemita del professor Melis, avrebbe subito. «Nell'interrogazione originale - spiega Brutti - descrivevamo "spregevole" e "ripugnante" l'istigazione all'antisemitismo e all'odio razziale contenuta in quel volume. Nel testo pubblicato sui resoconti parlamentari, questi due aggettivi sono incredibilmente spariti, sostituiti da "criticabile" e "intollerabile". Questo increscioso e vergognoso episodio di censura è avvenuto all'insaputa dei sottoscrittori, che non hanno mai dato alcuna autorizzazione a simili modifiche». Matteo Vercelli _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 gen. ’05 IL MAESTRO DI PIETRALATA DIVENTA PROFESSORE È difficile immaginare quali parole Albino Bernardini, scrittore e vecchio maestro di scuola, spenderà domani mattina (alle 10,30) nell'aula del Rettorato in via Università a Cagliari. Difficile immaginare se nelle sue corde prevarranno unicamente la commozione e la gioia per essere stato chiamato a ricevere uno dei più importanti riconoscimenti della sua vita, il diploma di laurea "Honoris Causa" in Scienze dell'educazione che gli verrà consegnato dal rettore Pasquale Mistretta. O se, nella sua intatta vitalità di fresco 87enne, ci stupirà dando ancora fiato e gambe a un'idea di scuola, e insieme di società, coltivata e difesa caparbiamente con l'esempio di tutta una vita. Il riconoscimento della laurea al Maestro di Pietralata, così come viene ancora ricordato in tutta Italia l'autore del libro che ispirò lo sceneggiato Diario di un maestro diretto da Vittorio de Seta e mandato in onda dalla Rai negli anni Settanta, giunge in un momento quanto mai difficile e controverso. Non solo per le retrive ventate ideologiche che oggi spirano con violenza sulla scuola pubblica italiana. Ma anche a causa dell'incredibile scandalo che in questi giorni scuote la stessa facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Cagliari, dopo la pubblicazione nei suoi Annali di un testo (peraltro immediatamente rigettato e stigmatizzato dal Rettore e dai vertici universitari), teso a giustificare lo sterminio degli ebrei nella Shoah e a irridere a ogni valore di convivenza civile, di partecipazione e di concreta solidarietà tra gli individui e tra i popoli. Ovvero a tutti quei valori a cui Bernardini, nei suoi scritti e nelle aule dove ha operato, ha sempre fatto riferimento con lo stesso piglio visionario e insieme con la stessa rivoluzionaria concretezza dei Mario Lodi, dei Don Lorenzo Milani e dei Giuseppe Pontremoli. La richiesta di assegnazione del riconoscimento a Bernardini, promossa e presentata dalla sezione cagliaritana del Movimento di cooperazione educativa con il sostegno di numerosi docenti universitari sardi, ha ripercorso le tappe di un straordinario viaggio nella scuola italiana. Dagli esordi del giovane maestro di Siniscola dietro le cattedre nei piccoli paesi della Baronia, in un difficile dopoguerra nel quale già riecheggiavano gli insegnamenti della scuola americana tesi a iniettare robuste dosi di pedagogia "democratica" nel complicato processo di defascistizzazione del sapere; alle esperienze nelle realtà profonde del malessere barbaricino (da cui più avanti nacque il fortunato volume Le bacchette di Lula, riedito recentemente da Ilisso con l'originale e appassionata prefazione dell'amico fraterno Gianni Rodari); al trasferimento a Roma e all'immersione nella degradata realtà delle borgate. È in questo periodo, siamo negli anni '60, che Bernardini si avvicina alle istanze della pedagogia popolare di Célestin Freinet, elaborate in Francia e approfondite in Italia dal Movimento di cooperazione educativa e da personalità quali Mario Lodi, Giuseppe Tamagnini e Bruno Ciari. Un'adesione che non fu solo rinnovamento di prassi metodologiche e tecniche operative, peraltro fondamentale nel rigettare la pratica verticale e meramente trasmissiva del sapere da docente a discente, ma anche precisa scelta di campo. Una scelta, per quest'uomo mite ma capace di sgretolare ogni convenzione e ogni costrizione a colpi di maglio, a cui è rimasto sempre fedele. Maestro dalla parte dei più sfortunati, degli esclusi, di quelli che il Don Milani di Lettera a una professoressa denunciava come vittime del meccanismo infernale attraverso il quale la scuola pubblica perpetuava e riproduceva la discriminazione e lo svantaggio delle classi sociali più deboli. Quanto sia stata netta questa scelta di campo, e quanto sia stata significativa e pregnante l'azione di Albino Bernardini a partire dagli ultimi anni '60, lo si colse quando il suo modo di fare scuola e la realtà dei suoi alunni borgatari, i "malestanti" descritti in Un anno a Pietralata (primo suo libro pubblicato, ai quali ne seguirono un'altra decina in parte dedicati alle esperienze vive nel mondo della scuola e in parte alla narrativa per ragazzi), bucarono gli schermi televisivi nello sceneggiato interpretato da Bruno Cirino. Perché per la prima volta l'universo muto e minore dei bambini diseredati, di coloro ai quali la scuola italiana non dava quelle risposte educative pure previste per dettato costituzionale, riemergeva dalle nebbie del ghetto nel quale era stato sino ad allora relegato. Dimostrando di nutrire grandi aspirazioni. Di avere fame e sete di riscatto. Di saper cogliere nella scuola, se la scuola si metteva al servizio dei più deboli con la capacità di ascoltare e di capire (più che di sentenziare e selezionare), tutto il patrimonio di opportunità utile a riscrivere il proprio destino. Certo erano anni di profondi mutamenti. Anni un cui si dissolvevano le classi differenziali. In cui veniva richiesta a gran voce pari dignità per gli alunni diversamente abili. In cui il bambino, a prescindere dalla sua estrazione economica e sociale, veniva chiamato a diventare finalmente artefice del proprio processo educativo. Ciò che però lo sceneggiato di Vittorio de Seta riuscì a veicolare, ottenendo un enorme successo di pubblico, fu sicuramente anche una nuova/rinnovata figura di maestro ideale. Un maestro finalmente tanto lontano dalle leziosità ottocentesche di De Amicis, così restie a rimuoversi dall'immaginario collettivo, quanto dai dickensoniani e giustificatissimi strali di Carlo Lorenzini-Collodi ("?i pedagoghi e i maestri di scuola, queste macchie nere e malinconiche che rattristano l'orizzonte sereno della prima fanciullezza"). Un maestro che aveva in sé qualcosa dell'incorrotta gentilezza del "Re dei bambini" di Acheng e insieme del rigore monastico del giovane Pasolini nell'improvvisata scuola di Versuta; della dura coerenza di Don Milani e insieme della delicatezza della professoressa di Pawel Huelle e della scanzonata visionarietà del supplente di Silvio d'Arzo nel Premiato Collegio Minerva. Un maestro, Bruno Cirino/Albino Bernardini, finalmente capace di piegarsi a statura di bambino, dei suoi bisogni e dei suoi punti di vista, per meglio accompagnarlo in quel difficile "cammina cammina" che è l'affacciarsi alla vita. Per tutto questo, e per tanto altro ancora, il vecchio Maestro di Pietralata riceverà la laurea honoris causa all'Università di Cagliari, discutendo la tesi "Riflessioni sulla Scuola di Base". E anche se oggi per il mondo dell'educazione e della scuola mala tempora currunt, tra infortuni accademici, reazionarie riforme imposte dall'alto e continui svilimenti di quello che resta il "mestiere" più bello del mondo, non saranno comunque in pochi ad alzare il calice in suo onore e a stargli idealmente vicino. Alberto Melis _____________________________________________________________ La Repubblica 28 gen. ’05 LA POSTA ELETTRONICA VIENE EQUIPARATA ALLE RACCOMANDATE Funzionerà sia per le amministrazioni che per i privati Valore legale per le e-mail via libera al decreto Stanca Servirà un software per "certificare" la spedizione e la ricezione ROMA - I vessati dallo spam che hanno preso l'abitudine di usare con disinvoltura il tasto "canc" al momento di scaricare la posta del computer, d'ora in poi dovranno fare molta attenzione. Cestinare per errore una e-mail sbagliata potrebbe costargli molto caro. Il Consiglio dei Ministri ha approvato infatti in via definitiva oggi il decreto che stabilsce un completo valore legale per la posta elettronica. Il provvedimento, che diventerà operativo a tutti gli effetti con la prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, stabilisce che l'inoltro di una e-mail spedita con una speciale ricevuta di ricezione ha la stessa valenza di un lettera tradizionale spedita come raccomandata con avviso di ricevimento. Il decreto, ha spiegato il ministro per l'Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca, "disciplina l'utilizzo della posta elettronica certificata non solo nei rapporti che cittadini ed imprese intrattengono con la pubblica amministrazione, ma anche nelle relazioni tra uffici pubblici, come pure tra privati". "Il provvedimento - ha aggiunto - è un atto di modernità e siamo tra i primi paesi al mondo ad aver varato una simile disposizione". "La posta elettronica certificata - ha commentato ancora soddisfatto Stanca - è una grossa innovazione perché l'e-mail è sempre più diffusa: in Italia ogni giorno vengono spediti almeno 400 milioni di messaggi elettronici (ossia 146 miliardi l'anno), con la proiezione di oltre 500 milioni al giorno nel 2005". Ovviamente non avranno valore legale le "semplici" mail ma solo quelle certificate da uno speciale software e da speciali gestori. "Il servizio - ha spiegato ancora Stanca - sarà acquistabile sul mercato e fornito da operatori qualificati e certificati". Stanca ha tra l'altro messo in evidenza "i rilevanti benefici che si determineranno nelle comunicazioni, soprattutto da e per la pubblica amministrazione, con effetti positivi non solo in termini di velocità e di efficienza, ma anche di risparmi. Ad esempio, ogni lettera che la pubblica amministrazione invia con i sistemi tradizionali comporta un costo stimato in almeno 20 euro, contro i circa 2 euro di una e-mail". "Solo il ministero degli Esteri - ha ricordato ancora Stanca - con il passaggio dai tradizionali telegrammi, e la loro conservazione, all'e-mail ha diminuito di oltre 17 tonnellate il consumo di carta". Il decreto regolamenta i due momenti fondamentali nella trasmissione dei documenti informatici: l'invio e la ricezione. "Certificare" queste fasi significa che il mittente riceve dal proprio gestore di posta una ricevuta che costituisce prova legale dell'avvenuta spedizione del messaggio e dell'eventuale allegata documentazione. Allo stesso modo, quando il messaggio perviene al destinatario, il suo gestore di posta invia al mittente la ricevuta di avvenuta (o mancata) consegna, con l'indicazione di data ed orario, a prescindere dalla apertura del messaggio. Quando il servizio avrà preso piede è prevista l'istituzione di un elenco ufficiale dei gestori di posta elettronica certificata presso il Cnipa, il Centro Nazionale per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione, al quale sono assegnati compiti di vigilanza e controllo sull'attività degli iscritti. Quanto ai rischi che importanti comunicazioni possano andare perdute per colpa dei virus informatici, Stanca ha assicurato che verrà creato un doppio filtro da parte dei gestori (del mittente e del destinatario), obbligandoli a bloccare l'invio e la ricezione in caso di presenza di virus e a segnalarlo al mittente. _____________________________________________________________ Il Messaggero 23 gen. ’05 ANALFABETI CON LA LAUREA di RAFFAELE SIMONE di RAFFAELE SIMONE DA TEMPO le università italiane si son trovate costrette a rinunciare a parte della loro funzione di istituti di “istruzione superiore” per mettersi a fare un lavoro di educazione di base, somigliante per qualche verso a quello che negli anni Cinquanta il dottor Schweitzer svolgeva nella savana coi piccoli neri. In molte sedi, ad esempio, si sono aperti corsi di scrittura pratica e professionale per studenti poco capaci. Cominciò una decina di anni fa Francesco Bruni all’università di Venezia, poi altri corsi sono stati impiantati dappertutto. Arriva ora la Sapienza di Roma, che istituirà per tutti gli studenti un corso di tutorato gratuito per perfezionare l’italiano scritto. Oltre al corso, sarà creato uno “sportello” di salvataggio, cioè un servizio di consulenza gratuita cui potranno rivolgersi liberamente tutti gli studenti. Luca Serianni, che dirige l’iniziativa, ha spiegato ieri su questo giornale che molti studenti se la cavano male con la scrittura, e non solo a livelli alti: stentano infatti “a strutturare un testo scritto, ad usare correttamente la punteggiatura, ad esporre con un lessico adeguato.” Bisogna, certo, festeggiare queste invenzioni, che richiedono molto tempo e energia. Ma, allo stesso tempo, suppongo che al lettore dichiarazioni come quelle che ho riportato abbiano fatto venire i brividi. La creazione di corsi così numerosi, e per giunta nelle università, vuol dire infatti che esiste nei giovani una diffusa incapacità di far fronte alla scrittura. Ma come è possibile che uno studente che arriva all’università dopo dodici o tredici anni di studi non sia in grado di strutturare un testo o di azzeccarne la punteggiatura? Come si può immaginare che l’università debba rinunciare ai suoi compiti per riparare abilità che dovrebbero essere già completamente acquisite? Il fatto è che, mentre si discute di formule politiche, di scelte di campo e di altre consimili generalità poco concludenti, l’Italia (e in particolare la sua gioventù) sta scivolando nel torpore di un pericolosissimo semi-analfabetismo. È - lo dico a chiare lettere - una tragedia nazionale senza pari, che non dovrebbe preoccupare solo la signora Moratti, ma turbare le notti a tutti quelli che si occupano del nostro futuro, di destra o di sinistra che siano. I giovani non ignorano infatti solo la scrittura. I lettori ricorderanno che qualche settimana fa (“Il Messaggero” dell’8 dicembre 2004) in una ricerca del Pisa, il programma dell’Ocse che assegna ogni tre anni un voto comparativo a ventinove paesi del mondo per quanto riguarda la capacità degli studenti di vari ordini di scuola di capire quel che leggono, e di praticare la matematica e le scienze, l’Italia occupava la venticinquesima posizione! Dovremo creare nelle università anche uno sportello di consulenza per chi non capisce quel che legge? Che cosa vogliamo di più per renderci conto che siamo al fondo? A guardare le cose da specialista, bisogna dire che le ultime generazioni sono preda innocente di un gigantesco processo di dealfabetizzazione, un bradisismo cognitivo che li allontana inesorabilmente (come gusto, come propensione, come capacità tecnica) dal leggere e dallo scrivere. I motivi sono multipli e operano protervamente intrecciati, senza che nessuno li contrasti. C’è, al livello più generale, lo straordinario permissivismo della scuola italiana (guardato con allarme in mezza Europa), dove la ciancia e lo “stare insieme” sono ormai prevalenti sullo studio e la “lezione frontale” è vista come un oltraggio. C’è il fatto che la scuola offre pratiche di lettura e di scrittura ormai polverose e obsolete rispetto al fluire sconnesso della cultura giovanile: è difficile contrastare con “I Promessi Sposi” i romanzi di Stephen King o di Claudio Coelho (a parte ogni considerazione di qualità). C’è il fatto che la cultura digitale (telefonino usato per scrivere e fotografarsi, computerino sempre acceso per chattare sciocchezze senza posa, cuffia del Cd-player o dell’iPod ficcata nelle orecchie anche mentre si legge o si scrive) si è dimostrata ormai in tutto il mondo non il migliore avviamento alla lettura ma il peggior nemico dell’alfabeto e del suo mondo. I corsi di scrittura che si moltiplicano nelle università sono un tentativo, eroico non meno che malinconico, di far fronte a questo gigantesco smottamento. Gli atenei corrono ai ripari: dopo Roma anche Bologna istituisce un corso di perfezionamento in italiano con l’aiuto di tutor «UNIVERSITARI IGNORANTI? COLPA DI SCUOLA E TV» Esperti e docenti concordi: i giovani leggono poco e hanno un linguaggio piatto, da spot di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Hanno «difficoltà di comprensione dei testi», scrivono commettendo «errori di grammatica», presentano tesine con «strafalcioni» e il loro «linguaggio è povero». Sono i giovani che escono dalla secondaria e approdano nelle università. Sono i figli della scuola di massa e della cultura mediatica, poco abituati a leggere e scrivere, vittime della società della conoscenza che li bombarda senza dare strumenti per orientarsi. Molti atenei stanno correndo ai ripari. La Sapienza di Roma ha aperto uno “sportello” dove gli universitari si fanno correggere gli elaborati prima della consegna. E sempre la Sapienza sta per attivare un corso gratuito per «perfezionare la madre lingua» con l’aiuto di tutor. L’ateneo romano non è il solo alle prese con studenti in difficoltà. Il fenomeno è nazionale. «Anche noi abbiamo istituito dei corsi - spiega Franco Frabboni, preside della facoltà di Scienze della formazione all’Alma Mater di Bologna - Stiamo vivendo una forma di neo-analfabetismo, con la perdita rapida di competenze che sono in partenza superficiali. Il fenomeno è grave e di questo ci sono riscontri nei rapporti internazionali dell’Ocse». L’illetteratismo, o analfabetismo funzionale, come lo chiamano gli esperti, è il nuovo virus che colpisce l’Italia. Di chi la colpa? Quali le cause? La spiegazione è nelle cifre degli abbandoni scolastici e universitari, ma anche nel ritardo culturale dell’Italia: due terzi della popolazione non legge, oppure fa una fatica sovrumana a passare alla seconda pagina di un romanzo e trova molto più facile fare zapping. «Non esagero nel dire - continua Frabboni - che scrittura e lettura hanno spazi sempre più ridotti. E la scuola ha le sue colpe: si insegnano troppe cose, paragonabili a una specie di ”spezzatino”. Così tutto resta in superficie: i ragazzi non hanno strutture mentali per argomentare, narrare, spiegare e non sanno che cos’è la dialettica. I saperi sono ridotti sempre di più ad un quiz e loro, i ragazzi, parlano come se stessero recitando spot. Oppure usano un linguaggio sprint, piatto e sintetico, come se fossero dei centometristi della parola, più abituati al computer e alla tv, che al libro». Un’analisi molto realistica, che mette a nudo un problema inquietante (l’uso corretto della lingua appartiene solo al 10% della popolazione italiana). Il massmediologo Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza, pur riconoscendo la gravità del problema, attenua i toni: «Non c’è dubbio, la funzione del testo è stata vilipesa. I giovani al massimo leggono tre libri l’anno. Ma sullo stato della lingua c’è un eccesso di allarmismo. Secondo me la situazione va esaminata quando i ragazzi escono dal corso di laurea. Intendo dire che tra le condizioni di arrivo, quando si presentano al banco dell’offerta formativa, e le condizioni di uscita c’è una bella differenza. E’ vero, all’inizio le loro performance sono molto scadenti, hanno difficoltà che potrei definire rudimentali. Però, poi, migliorano nei nostri laboratori di scrittura». Piero Lucisano, docente di Pedagogia a Scienze dell’Educazione della Sapienza, evoca Orwell: «Noi pensiamo con la lingua. Dalla lingua dipendono le strutture mentali: se si abbassa il livello della lingua si abbassa il livello del pensiero. Ecco perché siamo di fronte ad una catastrofe culturale. Però, mi sembra riduttivo addossare le colpe alla scuola, le responsabilità sono molte più estese. La tv-spazzatura diffonde una lingua semplificata, povera, zeppa di errori. Eppoi, vogliamo parlare di certi politici che dagli schermi si esprimono con termini che fanno accapponare la pelle? Per i ragazzi gli standard sono questi, quelli della tv-spazzatura e quelli dei politici ignoranti. Ma la cosa più grave è che i giovani hanno sempre meno le coordinate per capire, privi come sono di riferimenti storici e di strumenti per orientarsi». Un’indagine Ocse nel 2000 rivelò che «un italiano su tre non comprende frasi semplici». Il dato statistico da allora non ha fatto molti passi avanti. «Riferendomi alle nuove generazioni non sarei così pessimista - afferma Guido Fabiani, rettore di Roma Tre - Non si può generalizzare. Certo, ci sono dei “buchi”, c’è una disomogeneità dovuta alla scuola di provenienza, licei o altri istituti. Nei primi la cura della lingua è sicuramente maggiore. Però, questo divario può essere colmato, anche per questo si fanno i corsi propedeutici». ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’05 LE RICERCHE SCIENTIFICHE? ORA SI FANNO SU INTERNET Sessantamila persone da casa analizzano dati sul loro computer Le reti cooperanti di computer aiuteranno a salvare il clima del pianeta Nessuno lo sa, anche se Internet risparmia viaggi e li sostituisce con bit. Di sicuro però la rete aiuta a studiar lo, il clima, come dimostra un rapporto pubblicato su Nature, che espone i primi risultati di climateprediction.net, una re te che continuamente calcola oltre due mila modelli climatici, attraverso la spontanea condivisione delle risorse di calcolo di decine di migliaia di pc che, nei loro tempi morti, svolgono queste lavoro gratuitamente per la rete di ricercatori. Si tratta di un modello (il cosìddetto "peer to peer"; non diverso da quello di SetiAtHome, un sistema di rete che distribuisce su migliaia di pc il lavoro di analisi dei segnali radio dell'universo, alla ricerca di regolarità proprie della vita intelligente. Climate prediction, al confronto, è ancora più sofisticato. Ogni aderente (da ragazzini di scuola fino ai docenti) riceve un suo modello di previsione climatica, diverso dagli altri secondo alcuni parametri fisici approssimati. La scienza del clima infatti è ancora ai primi passi e procede in buona parte per tentativi su sistemi di interazioni estremamente complessi e ancora in parte poc conosciuti. Finora la rete ha elaborato l’equivalente di 4 milioni di anni di modelli elaborati, su circa 60mila macchine connesse via Internet. Alla prova delle simulazioni multiple i ricercatori selezionano ripetutamente i modelli che hanno meglio ricalcato il passato. Ripetendo via via il processo. Traendone, dopo due anni di lavoro, i primi risultati. Questi modelli, spiega uno studio pubblicate oggi su «Nature», oggi cominciano a _ convergere su un range di previsioni di 2- 11 gradi centigradi aggiuntivi in risposta a un raddoppio dei gas serra. Un - risultato ben più elevato delle previsioni finora correnti, che assegnavano un range intorno ai 2-5 gradi. I primi risultati di cliamteprediction.org sono quindi piuttosto preoccupanti. ~ La sensibilità del clima potrebbe essere - più elevata di quello che si riteneva in i passato, e le stime delle concentrazioni _ di gas serra compatibili con il clima tutte da rivedere, e al ribasso. G.CA. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 gen. ’05 250 STUDIOSI:«LA SARDEGNA NON PUÒ ESSERE ATLANTIDE» Oltre 250 studiosi di tutta Italia si schierano contro le tesi di Sergio Frau «La Sardegna non può essere la mitica Atlantide». A riaccendere le polemiche sulla tesi del giornalista-scrittore Sergio Frau e sul suo fortunato bestseller Le colonne d'Ercole non è un singolo studioso, ma ben 250 tra archeologi, geologi, storici, filologi, glottologi, antropologi e professionisti di varie discipline, tra cui diversi sardi, tutti impegnati nello studio delle antiche civiltà del Mediterraneo. Escono allo scoperto quasi in punta di piedi con un documento firmato da tutti e pubblicato su Internet (www.iipp.it aperto dall'Istituto italiano di Storia e Protostoria di Firenze). Senza mai nominare Sergio Frau contestano in venti punti tutte le tesi che il giornalista ha raccolto nelle seicento pagine del saggio sulla mitica Atlantide. Il documento sintetizza un dibattito che si protrae ormai da due anni. Ecco perché la Sardegna non può essere la mitica Atlantide Le immagini dello tsunami che ha devastato la Thailandia e il Sud Est asiatico hanno colpito l'immaginario collettivo mostrando in tv la potenza distruttiva della grande onda. Quello che ha colpito gli archeologi, però, è stato il fatto che lo tsunami ? nonostante l'immensa potenza ? non sia andato oltre un paio di chilometri dalle coste. «Su questo particolare stavamo da tempo riflettendo ed oggi abbiamo la conferma scientifica che dimostra l'infondatezza dell'ipotesi che la Sardegna sia la mitica Atlantide. Non è pensabile che in tempi storici un'onda per quanto gigantesca abbia potuto seppellire l'intera isola allagando il Campidano per un centinaio di chilometri». A riaccendere le polemiche sulla tesi del giornalista-scrittore Sergio Frau e sul suo fortunato bestseller Le colonne d'Ercole non è un singolo studioso, ma ben 250 tra archeologi, geologi, storici, filologi, glottologi, antropologi e professionisti di varie discipline, tra cui diversi sardi, tutti impegnati nello studio delle antiche civiltà del Mediterraneo. Escono allo scoperto quasi in punta di piedi con un documento firmato da tutti e pubblicato su Internet (www.iipp.it aperto dall'Istituto italiano di Storia e Protostorio di Firenze). Senza mai nominare Sergio Frau contestano in venti punti tutte le tesi che il giornalista di Repubblica ha raccolto nelle seicento pagine del saggio sulla mitica Atlantide. Il documento sintetizza un dibattito che si protrae ormai da due anni, che appassiona e che continua a scatenare polemiche. Anche alla luce delle mostre (l'ultima la scorsa estate nelle sale dell'aeroporto di Elmas) già presentate o che sono annunciate nel 2005. Una è prevista a Parigi col patrocinio dell'Unesco. «Premesso che ognuno può trattare e interpretare ciò che vuole come meglio crede» scrivono i 250 firmatari «è bene precisare che dal punto della ricerca scientifica, da cui noi non intendiamo prescindere, è importante fare alcune considerazioni su recenti operazioni massmediatiche intorno al passato della Sardegna». L'elenco è in ordine alfabetico: primo firmatario Enrico Acquaro, prestigioso ordinario di archeologia Fenicio-Punica considerato l'erede di Sabatino Moscati. Seguono Alberto Agresti dell'Università di Firenze, il geologo Michele Agus del Cnr di Cagliari, l'antropologo Giulio Angioni e via scorrendo la gran parte degli specialisti dei due atenei sardi e delle Soprintendenze. Una presa di posizione ufficiale per fare chiarezza su un tema che ondeggia pericolosamente tra letteratura e saggistica. Perché Internet e non un congresso o un quotidiano nazionale? «Non vogliamo continuare sulla scia delle polemiche. Frau dalla sua ha una corazzata, che è il giornale La Repubblica, su cui ha potuto portare avanti e pubblicizzare le sue tesi. Noi vogliamo esclusivamente mettere dei punti saldi sulla ricerca senza altro fine se non quello di ribadire il primato della scienza sulle pur buone ragioni dell'immaginazione. Chiunque può accedere al sito Internet». Seppure mai citato è palese che il bersaglio del documento siano le tesi di Frau, ormai popolari grazie al successo del libro e al battage sui giornali. Si possono riassumere così: la Sardegna è la mitica isola di Atlantide citata da Platone e dalle fonti classiche. La chiave della "scoperta" è lo spostamento verso Est delle colonne d'Ercole collocate impropriamente nello stretto di Gibilterra. In realtà andrebbero individuate tra la Sicilia e la costa africana. Secondo i firmatari del documento solo sul piano della fantasia può essere divertente ipotizzare una identificazione con la mitica isola platonica di Atlantide, con l'immaginaria sede dei beati Iperborei, con l'Eden biblico e col mondo dell'aldilà della tradizione classica. In particolare Atlantide di Platone non è un dato storico riferibile a un determinato luogo e a un determinato tempo, ma solo una costruzione poetica e utopistica, a fini esplicativi, che affonda le radici in una serie di miti largamente diffusi nel mondo antico. La moderna ricerca archeologica evita il ricorso a cataclismi, invasioni e migrazioni come spiegazione risolutiva dei cambiamenti culturali e può accogliere tali elementi solo come fatti concomitanti nel quadro di ricostruzioni interpretative di tipo sistematico su scala geografica adeguata. Pertanto gli studiosi affermano che non esiste in Sardegna alcun indizio di un'ipotetica inondazione provocata da un fenomeno geologico verificatosi intorno al 1175 a. C. «Non esistono indizi di uno tsunami locale nemmeno nelle terre che circondano l'Isola lungo tutto l'arco costiero del Mediterraneo occidentale». Riguardo alla civilità nuragica sottolineano che «non scomparve improvvisamente nel dodicesmo secolo e men che mai a seguito di un cataclisma». Le prove? «Lo testimonia la grande fioritura in ogni angolo dell'Isola degli insediamenti riferibili alla fase denominata Bronzo Finale tra il 1200 e il mille a.C., a cui risalgono i manufatti nuragici rinvenuti a Lipari in associazione col contesto indigeno Ausonio II e con ceramiche micenee del Tardo Elladico». Gli studiosi affermano che non è mai esistita un'età del Fango e una contrapposizione tra la Sardegna dei giganti abbattuti (cioè dei nuraghi distrutti del Campidano, della Marmilla e del Sinis) e una Sardegna dei giganti dell'interno. «A chiunque li osservi con un minimo di spirito critico appare evidente che tutti i nuraghi si presentino danneggiati in misura dipendente dai tipi di pietra impiegati, dai vari fattori di dissesto e infine dal plurimillenario prelievo di materiale lapideo per la costruzione dei fabbricati di età successiva, dai tempi dell'espansione fenicia a oggi». Il segno sui nuraghi indicato da Frau come prova dell'allagamento provocato dallo tsunami non è fango: «Quel che ricopre non solo i nuraghi ma anche le strutture erette durante i secoli precedenti sono i diversi strati di crollo e di ricostruzione, riferibili a molte fasi scaglionate nel tempo». Un'ulteriore prova è data proprio dallo scavo nella reggia nuragica di Barumini che, secondo Frau, sarebbe stata sepolta dal mare e dal fango: «Proprio qui emerge con assoluta chiarezza che gli strati di crollo del monumento e dell'abitato circostante ricoprono omogeneamente i resti delle strutture nuragiche e punico-romane realizzate in parte prima e in parte dopo la data della presunta inondazione». Infine non esiste in Sardegna alcuna traccia delle migliaia di cadaveri di uomini e animali che il presunto cataclisma avrebbe dovuto spiegare e di cui si immagina che siano stati recuperati a uno a uno dal fango e bruciati senza spiegare chi e come avrebbe potuto recuperarli. Resta il problema della dissoluzione della civilità nuragica, un fenomeno storico da indagare con ampiezza di metodi operativi e interpretativi, ma non è accettabile l'imposizione di un'unica soluzione precostituita. E neppure è condivisibile l'ipotesi del trasferimento in massa dei sardi nuragici sopravvissuti all'indondazione che sarebbero sbarcati in Italia dando vita alla civilità etrusca. «Ebbene, i rapporti tra i nuragici e gli etruschi sono comprovati ma solo a livello di scambi commerciali, di tecnologia, di matrimoni tra famiglie aristocratiche o di normali spostamenti di alcuni elementi umani, non certo per migrazioni di massa». Sul piano scientifico è insostenibile ? ribadiscono i 250 firmatari del documento ? la recente revisione e deformazione del quadro storico dell'intera area mediterranea e vicino-orientale in cui si crea una sostanziale confusione per non dire identità tra Sardi, Etruschi, Fenici, Ebrei, Filistei-Pheleset, Shardana e altri popoli del mare in cui l'elemento sardo o presunto tale viene presentato sempre come determinante. Così viene svalutato il grandioso fenomeno storico della colonizzazione fenicio- punica, ricondotto a un unico centro propulsore individuato nella sarda Tharros. Nessuno degli studiosi firmatari dell'appello crede che la Sardegna antica fu isolata, arretrata e ignorata, ma nemmeno accetta «l'insostenibile slogan di una Sardegna origine e fine di tutte le civilità mediterranee». Con il mito non si possono rinchiudere le sue vicende millenarie. Carlo Figari _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 gen. ’05 FRAU:"MA ATLANTIDE È UN FALSO PROBLEMA" Frau replica alle accuse: "Il punto è un altro, vi spiego dove e perché sbagliate" Riportiamo il testo dell’appello contro le tesi di Frau pubblicato nel sito internet dell’Iipp. In neretto i punti in cui si articolano le obiezioni dei firmatari; in corsivo le argomentazioni di Sergio Frau. Archeologi, geologi, storici, filologi, glottologi, antropologi, studiosi e professionisti di varie discipline, impegnati a vario titolo nello studio delle antiche civiltà del Mediterraneo e particolarmente della Sardegna, ritengono importante fare alcune considerazioni su recenti operazioni mass-mediatiche intorno al passato della Sardegna. Premesso che ognuno può trattare e interpretare ciò che vuole come meglio crede, è bene precisare che dal punto di vista della ricerca scientifica, da cui gli studiosi estensori di questo appello non intendono prescindere, è utile fare le seguenti precisazioni: Solo su un piano di fantasia può essere divertente ipotizzare una identificazione della Sardegna con la mitica isola platonica di Atlantide, con l’immaginaria sede dei beati Iperborei, con l’Eden biblico e col mondo dell’aldilà della tradizione classica e cristiana. Verissimo! Mi sono divertito molto - pilotato da un dubbio geologico - a verificare le fonti greche (non quelle cristiane) e a scriverne. A quanti di voi è mai capitato di ricercare, scrivere qualcosa e, anche, di farsi leggere, poi da qualcuno su pagine non pagate dallo Stato? Una sola chiosa (soprattutto per eventuali lettori esterni, chiarendo fin d’ora che non è mia intenzione convincere nessuno. Ma solo invitare a ragionarci su): immaginaria anche la roccia di Prometeo, fratello di Atlante? E, quindi, anche quel suo Caucaso all’alba, in Oriente? Tutte fantasticherie quelle degli antichi? In modo particolare, l’Atlantide di Platone non è un dato storico riferibile a un determinato luogo e a un determinato tempo, ma è solo una costruzione poetica e utopistica a fini esplicativi, riconosciuta come tale già dal discepolo Aristotele, che affonda le radici in una serie di miti largamente diffusi nel mondo antico, radicati nella consapevolezza della fragilità delle conquiste della civiltà di fronte allo strapotere della natura e rafforzati dalla memoria di catastrofi naturali effettivamente accadute e documentate come l’eruzione del vulcano di Thera nelle Cicladi, tra il XVII e il XVI sec. a. C.. Be’, veramente Platone fa dire proprio a Timeo: "...purché i nostri discorsi non siano meno verosimili di quelli tenuti da altri, contentiamocene pure, ricordando che io che parlo e voi che giudicate, abbiamo natura umana: cosicché a noi basta, intorno a queste cose, accettare un mito verosimile, e non dobbiamo cercare più lontano...". Tutt’altro metodo il suo, dal vostro. Tra lui e tutti voi - se permettete - continuerei a scegliere lui, se non altro per una questione di stile. La moderna ricerca archeologica e storica evita il ricorso a cataclismi, invasioni e migrazioni come spiegazione risolutiva dei cambiamenti culturali, e può accogliere tali elementi solo come fattori concomitanti nel quadro di ricostruzioni interpretative di tipo sistemico su scala geografica adeguata. A ciascuno il "tipo sistemico" che preferisce. Mi accorgo di essere assai differente da voi, e non me ne farò un dramma. Liberi voi, libero io. O no? Quanto espresso al punto precedente vale in particolare per la dissoluzione delle organizzazioni politico-economiche esistenti nel Mediterraneo orientale negli ultimi secoli del II millennio a.C.. Sorpresa: quindi ora siete gli unici al mondo che avete ben chiara quella che tutti, da sempre, chiamano "L’Età buia". Complimenti! Sulla base dei risultati acquisiti in circa 200 anni dalla ricerca archeologica e geologica, è possibile affermare che non esiste in Sardegna alcun indizio di un’ipotetica inondazione, provocata da un fenomeno geologico ipoteticamente verificatosi nei mari circostanti la Sardegna intorno all’anno 1175 a. C.. Da 200 anni, quindi, si cercherebbero tracce di maremoti per smentire quelle dieci pagine in cui io ne parlo? Oppure l’hanno fatto contro il geologo del Cnr Mario Tozzi che - dopo un check up in zona - ha ritenuto talmente interessanti quei miei punti interrogativi e l’ipotesi da dedicare un’intera trasmissione televisiva al problema? "Non c’e’ traccia", dite voi. Strano, però, che anche molti altri geologi ammettano che, per ora, si sa pochissimo del Mediterraneo d’Occidente, e meno ancora dei suoi fondali. Non esistono indizi di una tale inondazione nemmeno nelle terre che circondano la Sardegna lungo tutto l’arco costiero del Mediterraneo occidentale. Sicuri voi, sicuri tutti? Ma andiamo... La civiltà nuragica non scomparve improvvisamente nel XII sec. a.C. e men che mai a seguito di un cataclisma: ci è testimoniato senza ombra di dubbio dalla grande fioritura, in ogni angolo dell’Isola, degli insediamenti riferibili alla fase denominata Bronzo Finale, che secondo i più recenti aggiustamenti cronologici occupa proprio il periodo compreso tra l’inizio del XII e la seconda metà del X sec. a. C. e a cui risalgono i manufatti nuragici rinvenuti sull’acropoli eoliana di Lipari in associazione col contesto indigeno Ausonio II e con ceramiche micenee del periodo detto Tardo Elladico III C. Finalmente eccole le date che, da anni e anni, tutti aspettavano dalle Soprintendenze sarde. Una domanda, però: come mai Giovanni Lilliu all’interno di Barumini trova roba del XII secolo a. C.? Come mai Raimondo Zucca legge (e scrive) Tharros "inspiegabilmente abbandonata nel XII secolo a.C."? Come mai Badas nella "sua" Villanovaforru trova sotto il fango roba del XII secolo a. C.? Come mai un mastodonte come il S’uraki diventa "obsoleto" nel XII secolo a. C.? Come mai due terzi (25 su 37) dei nuraghe di Marmilla vengono abbandonati nel XII secolo a. C. come scrive la firmataria Emerenziana Usai? E - soprattutto - se la Sardegna era davvero così "fiorita" come dite, in che modo i fenici riescono a impadronirsene? Non è mai esistita un’"età del fango" e non è mai esistita una contrapposizione tra la "Sardegna dei giganti abbattuti" (cioè dei nuraghi distrutti del Campidano, della Marmilla e del Sinis) e una "Sardegna dei giganti intatti dell’interno": a chiunque li osservi con un minimo di spirito critico appare evidente che tutti i nuraghi si presentano danneggiati in misura dipendente dai tipi di pietra impiegati, dai vari fattori di dissesto (imperfezioni strutturali, agenti atmosferici e altri agenti naturali come le radici degli alberi, demolizioni intenzionali) e infine dal plurimillenario prelievo di materiale lapideo per la costruzione dei fabbricati di età successiva, dai tempi dell’espansione fenicia a oggi; ed è evidente che quest’ultimo fattore deve essere stato determinante proprio nel Campidano, nella Marmilla e nel Sinis, regioni agricole e povere di pietra da costruzione. Quel che ricopre non solo i nuraghi del Bronzo Medio e Recente, ma anche gli insediamenti del Bronzo Medio, Recente e Finale e dell’Età del Ferro, e perfino le strutture erette durante i secoli sopra e accanto ad essi, non è "fango": sono invece diversi strati di crollo e di ricostruzione, riferibili a molte fasi scaglionate nel tempo. Lo giurate voi? E se, per caso, le analisi dimostreranno che sbagliate? Che penitenza promettete? Dimissioni in massa? Se sbaglio io - in cambio - giuro che rimetto le Colonne a Gibilterra e non vi disturbo più. Se a puro titolo di esempio si considera il noto complesso nuragico di Barumini (dove gli scavi e i restauri continuano ancora oggi procurando informazioni perfettamente in linea con tutto quanto si ricava dalle numerosissime indagini compiute o in corso in tutta la Sardegna), emerge con assoluta evidenza che gli strati di crollo del monumento e dell’abitato circostante ricoprono omogeneamente i resti delle strutture nuragiche e punico-romane realizzate nel corso dei secoli, in parte prima e in parte dopo la data della presunta inondazione; anzi i resti evidenti degli abitati del Bronzo Finale e della Prima Età del Ferro, successivi a tale ipotetico fenomeno, si conservano ben sotto il livello considerato come prova del ristagno conseguente all’inondazione, e che invece non costituisce altro che un labile segno di interruzione tra una campagna di scavo e la successiva. La si deve considerare un’autorizzazione alla verifica scientifico/geologica del sito? Non esiste in Sardegna alcuna traccia delle migliaia di cadaveri umani ed animali che il presunto cataclisma avrebbe dovuto provocare, e di cui immaginando che siano stati recuperati uno per uno dal fango e bruciati senza spiegare chi e come avrebbe potuto recuperarli e bruciarli. A parte questi macabri compiacimenti (solo vostri: visto che io nel libro mi fermo alla geologia, per rispetto), a Ercolano e Pompei il primo consistente nucleo di corpi è saltato fuori solo una quindicina di anni fa, dopo secoli di scavi. Vi dice nulla? Al di là dei dettagli interpretativi, che restano legittimamente sottoposti alle discussioni e alle verifiche anche interdisciplinari, vi è sostanziale concordanza di principi, metodi e conclusioni tra gli archeologi pertinenti alle varie scuole e a diverse nazionalità. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 gen. ’05 «L'ECCELLENZA ESISTE, MA NON FA SISTEMA» ROMA «Oggi a competere non sono le imprese ma i Paesi. Le eccellenze in Italia non mancano ma il rilancio della competitività non si costruisce sulle eccezioni». Chi parla è un'eccezione. Che fino a 18 anni ha vissuto a Enna ed è poi emigrato a Torino per prendersi la laurea. Un italiano che ha utilizzato il patrimonio di conoscenze acquisite per costruire un'impresa. Che è diventata il gigante italo francese dei microprocessori: la StmMicroelectronics. Pasquale Pistorio di questo colosso è il padre storico. Oggi ha 69 anni e presto lascerà ad altri il compito dà guidare il futuro di Stm. E appena rientrato da Ginevra dove insieme alla sua «prima linea» si è fatto il punto sull'anno appena trascorso e sulle attese per quello che si é aperto. Ma di Stm oggi non si parla. Ingegnere, martedì si terrà il vertice italo-francese. Qual é la differenza tra noi e loro? Tra il loro programma di ricerca da 6 miliardi e, ad esempio, il nostro Fondo per lo sviluppo che, sulla carta, mette a disposizione la stessa cifra? I francesi annunciano e poi realizzano. Noi spesso ci fermiamo all'annuncio. E così aumenta il rischio di declino industriale? É davvero così nero il futuro del Paese? J; malato, profondamente malato. Da circa dieci anni cresciamo molto meno della media degli ;altri Paesi europei. La produttività. diminuisce e così la nostra quota di mercato. Siamo agli ultimi posti per attrazione di capitali stranieri e al 47° nella classifica competitività redatta dal World economie forum. Ecco, partiamo da qui. Perché sola se siamo consapevoli di quanto s3 è malati si può trovare la cura adeguata. E per l'Italia la cura deve essere drastica. Il mondo negli ultimi 15 anni è cambiato velocemente e nuovi players si sono affaccîati sul mercato: se vogliamo vincere la sfida dobbiamo muoverci in fretta. Torniamo ai francesi che lei conosce bene (Stm nasce dalla fusione con Thomson). Come valuta il piano Chîrac sulla ricerca? In Francia ci si muove da tempo. Anche in questo caso parlano i dati. Per la ricerca in quel Paese già oggi c'è una ;pesa pari al 2,2% del Pil, mentre noi in Italia siamo fermi all'1,1. Ma ai francesi non basta. Il piano lanciato in questi giorni punta a rendere la Francia sempre più competitiva e per questo mettono a disposizione 2 miliardi di euro l'anno per un triennio con l’obiettivo di arrivare al 3% del Pil nel 2010. Stanno guardando avanti. I Paesi industriali occidentali non possono competere sui costi ma possono invece vincere sulla qualità: l'innovazione è 1a vera discriminante. Se non si innova, non si è competitivi, non ci sono alternative. Lei attualmente è anche vicepresidente di Confindustria con delega per l'innovazione: quanto c'è di Francese" nella proposta degli industriali italiani? AL Governo abbiamo presentato un piano che prevede una spesa di un miliardo e mezzo l'anno (e non di due come invece hanno fatto i francesi). Con questa cifra potremmo sostenere contemporaneamente: un credito d'imposta generalizzato pari a 10% delle spese totali in ricerca e innovazione; il finanziamento con contributi pubblici dal 35 al 50%n di dieci grandi programmi strategici; l’esenzione triennale degli oneri sociali per le start-uP su progetti innovativi; il credito d'imposta automatico del 50% per le commesse di progetti alle università. E in questa cifra avevamo incluso anche il costo dell'esenzione Irap sui ricercatori introdotta dalla Finanziaria. Anche il Governo dice d voler puntare sulla ricerca. e 1,5 miliardi non é poco. Chiunque amministra un'azienda sa che le opportunità sono sempre maggiori delle risorse; si tratta di fare delle scelte: posso decidere di tagliare l’Irpef o di investire sulla competitività. Mi scusi ma le imprese come intervengono? Qui non si tratta di imprese. Stiamo parlando del Paese, di offrire un futuro all'Italia. Il v resto conta poco, le imprese possono andare altrove. Se non costruiamo un sistema capace di sostenere la competitività saremo emarginati. Eppure la storia della sua azienda - come, per fortuna di altre - dimostra che la concorrenza si può vincere se l'imprenditore crede nel suo progetto. Ma con le eccezioni non si costruisce il futuro. Molte imprese italiane sono tra le eccellenze a livello mondiale. Anche in settori innovativi, quali le nanotecnologie o le biotecnologie oppure nella meccanica fine. Ma non basta. La genialità degli individui non può ~ sostituire il sistema. E poi, per tornare al caso della Stm, quel che sono riuscito a realizzare , è stato anche il prodotto di un . contesto complessivamente favorevole, A Catania abbiamo .potuto beneficiare di sostegni pubblici automatici sotto forma di credito d'imposta, abbiamo potuto confrontarci con un'amministrazione propensa ad attrarre investimenti e siamo riusciti ad avere una stretta collaborazione con l'università. Quando arrivai nel 1980, chi si laureava in ingegneria a Catania, per lavorare era costretto ad andarsene. Alla fine degli anni 90 i laureati di quell'università non erano sufficienti per coprire l'offerta : proveniente non solo da Stm ma anche dalle altre imprese che hanno popolato la cosìddetta «Etna valley». Ha citato a l’esempio dei crediti d'imposta, eppure proprio nei giorni scorsi la Corte dei conti ha evidenziato irregolarità e abusi. Ma l'errore è tradurre automatismo con mancanza di controllo. Basterebbe copiare quanto si fa in altri Paesi dove il credito d'imposta o altre forme di sostegno automatico sono state introdotte. L'amministrazione fa bene a controllare, a introdurre sistemi diretti a verificare che il denaro pubblico non vada disperso ma questo non puó giustificare la mancanza di strumenti, l'assenza di una strategia. BARBARA FIAMMERI ======================================================= _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 gen. ’05 BONCINELLI: EMBRIONI NON ESISTE L' ORA X «Cattolici, per gli embrioni non esiste l' ora x» Le domande dei cattolici Boncinelli Edoardo Non avrei mai immaginato che qualcuno si potesse interessare tanto al dettaglio cronologico delle prime fasi della formazione dell' embrione. Ma sento e leggo di continue dispute sull' argomento, tanto più accese quanto più confuse. Ci si chiede quando inizia la vita umana; se due giorni dopo la fecondazione si può già parlare di essere umano oppure no; oppure se occorre per questo aspettare la fine della seconda settimana; se l' embrione è un individuo in potenza o in atto e via discorrendo. Antonio Socci, in un' intervista pubblicata dal Corriere lunedì scorso, vuole sapere in quale momento preciso l' embrione diventa essere umano («Da anni - dice Socci - noi cattolici poniamo una domanda: se l' embrione al primo stadio non è un essere umano, qualcuno dovrebbe dire in quale momento preciso lo diventa e non così, per convenzione, ma con un certo appiglio scientifico»). Si mischiano e si confondono in queste polemiche concetti molto diversi come quello di vita, di essere umano, di concepito, di embrione, di individuo e di persona, umana o giuridica. Alcuni di questi termini hanno una definizione scientifica, altri sono di origine scientifica ma sono usati quasi quotidianamente nel parlare corrente, altri sono decisamente extrascientifici. Cercherò di chiarire alcuni punti, almeno quelli di più stretta pertinenza scientifica. Cominciamo con l' inizio della vita di un organismo. Non c' è dubbio che la vita di un organismo specifico - ranocchio, gatto o uomo - inizia con la fecondazione, cioè con la congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la cellula-uovo o ovocita maturo. Il processo dura diverse ore, per cui non è facile dire esattamente quando inizi la nuova vita, ma certamente una condizione necessaria per poter parlare di un nuovo organismo è che si combinino tra loro i Dna dei due genomi, quello paterno e quello materno, per dar vita ad un genoma nuovo e molto probabilmente unico. L' uovo fecondato prende il nome tecnico di zigote. È una singola cellula, ma si mette subito in moto per duplicarsi e dare due cellule, poi quattro, poi otto, poi sedici. Fino a questo punto il tutto ha la forma di una minuscola mora e prende non a caso il nome di morula. A partire dallo stadio di 32 cellule, all' interno della massa compatta della morula si forma una minuscola cavità. Si è passati così allo stadio di blastula o più precisamente di blastocisti. Il numero di cellule continua a crescere, anche se lentamente; la cavità si espande e verso il quarto giorno al suo interno comincia a vedersi una masserella di cellule. Questa masserella è chiamata massa cellulare interna dagli autori anglosassoni mentre da noi viene detto in genere embrioblasto o, in una fase leggermente più avanzata, bottone embrionale. Da questa masserella e solo da questa trarrà origine il futuro embrione, mentre tutto quello che c' era prima e che c' è intorno ad essa a questo stadio contribuirà soltanto a formare le membrane delle quali l' embrione avrà bisogno per nutrirsi durante la gestazione, ma che alla fine del parto verranno gettate via. Occorre notare che questa caratteristica riguarda solo i mammiferi, mentre non ha l' uguale in altre categorie di animali. Sarebbe molto interessante soffermarsi su questa osservazione, ma non è ora il caso. Può accadere in questo stadio che all' interno della stessa blastocisti, di masserelle cellulari interne se ne formino due (o tre) invece di una sola. In questo caso si giungerà ad avere due (o tre) gemelli, cosiddetti identici, invece di un solo individuo. Fino a questo punto tutto è avvenuto all' interno della tuba e la blastocisti è ancora libera di vagare. Non sopravvivrebbe però a lungo se non si impiantasse, attraverso una complessa successione di eventi, nel tessuto dell' utero materno, dal quale trarrà d' ora in poi il nutrimento. La fase dell' impianto nell' utero è una fase molto critica, passata la quale la blastocisti ce l' ha quasi fatta e l' embrioblasto che quella contiene può cominciare a nutrire qualche fiducia nella possibilità di dar luogo ad un bambino o ad una bambina. È bene notare però che al suo interno l' embrioblasto non ha ancora una minima traccia di polarità. Non sa ancora, in parole povere, dove avrà la testa e dove la coda. I primi segni di questa polarità testa-coda compaiono all' interno dell' embrioblasto verso la fine della seconda settimana di gestazione. A circa tredici giorni si comincia a distinguere un asse corporeo principale e il giorno successivo, il quattordicesimo, i primi tenui segni di un sistema nervoso centrale e di una struttura spinale. A questo stadio il bottone embrionale, lungo poco più di un decimo di millimetro, comincia progressivamente a prendere una forma definita di embrione. Compariranno ancora altri organi e tutti quanti dovranno crescere di dimensioni e maturare, ma lo schema generale del corpo è già lì. Sullo sfondo di questa successione di eventi possiamo ora porci domande più specifiche. Quando comincia la vita? Senza voler cavillare che la vita è cominciata una volta sola quasi quattro miliardi di anni fa, possiamo affermare, come già detto, che la vita di un particolare organismo comincia in condizioni normali con la fecondazione, cioè con l' unione del gamete paterno con quello materno. Non è un processo istantaneo per cui non ha senso chiedersi esattamente il momento di questa unione, ma certo questo cadrà all' interno delle ore della prima giornata. Lo zigote così ottenuto è un individuo? E, soprattutto, è un individuo la morula di otto o sedici cellule presente il giorno dopo, cioè il secondo giorno di gestazione, quando si può eseguire, volendo, una diagnosi preimpianto? È certamente un progetto di individuo, ma lo diverrà effettivamente soltanto nel 15-20% dei casi, perché la maggioranza delle morule non porterà, anche in condizioni normali, a nessun embrione e una percentuale non trascurabile di queste porteranno a due o più embrioni. È bene notare che è una fortuna che non tutte le morule giungano a dare un embrione. Si tratta infatti di un fondamentale «periodo di prova» durante il quale le morule che potrebbero dar luogo a embrioni difettosi vengono «saggiate» dalla natura e eventualmente scartate. Quando comincia l' embrione? Se per embrione intendiamo l' insieme delle parti che formeranno il suo corpo, queste non compaiono prima del quarto- quinto giorno. Prima non ci sono e fino al dodicesimo giorno sono assolutamente informi. Quando è che l' embrione è un essere senziente? Non lo sappiamo con certezza, ma è difficile pensare che ciò possa accadere, anche solo potenzialmente, prima della comparsa di una minima traccia di sistema nervoso, comparsa che si registra il quattordicesimo giorno. Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti ad una persona? Questa è una domanda che esula dalla biologia e dalla scienza in generale e qui mi fermo. Ma non senza aver notato che alla fin fine è questa l' unica domanda rilevante, alla quale tutti siamo chiamati a dare una risposta, anche provvisoria e rivedibile. Per noi e per i nostri figli. Dal punto di vista biologico non c' è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre. Questo non significa che non si possano porre degli spartiacque, come quando si è deciso che a 18 anni una persona è maggiorenne. Non succede niente di particolare a 18 anni, ma la convenzione umana ha fissato questo limite e a volte lo ha anche cambiato. Una convenzione, appunto. Non possiamo chiedere alla natura o alla scienza di cavare le castagne dal fuoco al posto nostro. Occorre prenderci le nostre responsabilità e fissare dei limiti, che non potranno che avere una componente di convenzionalità. D' altra parte è una scelta che spetta all' uomo in una autentica prospettiva umanistica. Edoardo Boncinelli I quattro referendum LA CONSULTA La Corte Costituzionale ha dato il via libera ai quattro quesiti referendari che vogliono abrogare in parte la legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita, approvata dal Parlamento il 10 febbraio 2004 I QUESITI Il primo quesito riguarda il divieto di compiere ricerche scientifiche sull' embrione; il secondo l' obbligo di creare in vitro non più di tre embrioni per l' impianto in utero; il terzo l' affermazione che i diritti dell' embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate; il quarto il divieto di fecondazione eterologa _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’05 GRANESE: MA SULL'ETICA NON SI PATTEGGIA Commento La procreazione assistita Ma sull'etica non si patteggia di Alberto Granese Il dibattito sulla procreazione assistita, e sui quesiti referendari che la riguardano, ha assunto forme e modalità che travalicano i limiti della discussione istituzionale e giuridica per caratterizzarsi ancora una volta come riflessione a più voci sui massimi sistemi e sui massimi problemi. Paradossalmente (ma in fondo c'era da aspettarselo) al trionfo della ragione tecnica e strumentale corrisponde e fa riscontro qualcosa di simile a una resipiscenza di carattere etico-metafisico. Ci si chiede in primo luogo cosa sia un embrione: mera espressione biologica, progetto di vita, persona. La risposta non può venire dalla scienza, da quella scienza galileiana di "sensate esperienze" e di "certe dimostrazioni" che ha potuto inviare, con applicazioni tecniche sensazionali, una sonda a oltre un miliardo di chilometri dalla terra per esplorare un corpo celeste remoto, da cui ora giungono suoni e immagini di straordinaria nitidezza. La scienza non può dire cosa sia la persona più di quanto la filosofia, la teologia e la metafisica non possano dire se su Titano vi siano forme di vita o espressioni naturali prebiologiche e se sia possibile un confronto fra le condizioni generali del satellite di Saturno e quelle del pianeta terra milioni o miliardi di anni fa. Ciò che vi è di notevole in tutto questo discutere è che le convinzioni relative alla procreazione assistita e allo statuto ontologico dell'embrione si proiettano nella sfera religiosa e politica e in alcuni casi assumono una connotazione strumentale nella logica degli schieramenti politici. Si è fatto recentemente rilevare (da Luciano Cafagna in "Reset") che Parigi val bene una messa e che concessioni altrimenti difficili da comprendere all'ortodossia cattolica da parte del Centrodestra possono essere finalizzate alla conquista del "Centro" moderato e all'acquisizione dei voti cattolici da sempre determinanti in Italia nelle contese elettorali. Non ci si può sottrarre a un senso di disappunto e di mortificazione culturale nell'assistere a tentativi più o meno convincenti o più o meno maldestri di passare dalle argomentazioni di carattere filosofico all'esercizio della ragione strumentale nella sfera delle decisioni politiche. Se testi filosofici pregevoli e impegnativi come quelli dei "personalisti" Emmanuel Mounier e Paul Ricoeur possono essere legittimamente utilizzati per neutralizzare le argomentazioni di chi considera l'embrione nulla più che un'espressione biologica immatura, senza peraltro risultare decisivi, il passaggio da questo livello di problematicità a quello delle opportunità e delle convenienze politiche assume il carattere di un machiavellismo di mediocre profilo, tale da far rimpiangere perfino le perplessità e le indecisioni del dibattito scientifico e filosofico. Anche in questi campi, fra loro irregolarmente comunicanti ma non riducibili l'uno all'altro e non gerarchizzabili si pone il problema delle scelte, ma in termini diversi e con modalità diverse da quelle di una ragione strumentale messa in moto dall'esigenza di prevalere nelle competizioni elettorali. Il passaggio dall'etica o dalla bioetica alla politica è in qualche modo fisiologico, ma da un altro punto di vista suscita non infondate perplessità se il metro adottato nella discussione è quello della bona fides e dell'onestà intellettuale. ____________________________________________________ Il GIORNALE DI SARDEGNA 29 gen. ’05 ARIA DI SMOBILITAZIONE PER I MANAGER ASL Stipendiati per ritornarsene a casa aria di smobilitazione per i manager Asl Si parla di un emendamento alla Finanziaria per garantire a chi se ne andrà l'80 % della paga SARA PANARELLI ICIAMO CHE È UN MODO per àddolcire la pillola. Con zucchero in abbondanza. Perché quello che all'assessore alla Sanità Nerina Dirindin non è riuscito al momento di assestare il bilancio regionale potrebbe essere riproposto, come confermano fonti a lei molto vicine, attraverso un emendamento alla Finanziaria approdata la settimana scorsa in Consiglio: mandare a casa in anticipo rispetto alla scadenza gli otto manager delle altrettante Asl sarde (sette anzi, visto che a Sassari è appena arrivato Bruno Zanaroli), con l'impegno di versare sul loro conto corrente 1'80 per cento della cifra che incassavano quando erano operativi. Il tutto, fino al giorno della scadenza naturale del mandato. Pagati, insomma (e bene, visto che gli stipendi dei manager Asl sono decisamente alti) per starsene a casa. È già polemica La possibilità che ciò accada, anche se al momento è un'ipotesi, ha già scatenato polemiche. Da parte del centrodestra, visto che a quanto pare sono state proprio le resistenze di chi siede nei banchi dell'opposizione del Consiglio regionale a stoppare il primo tentativo della Dirindin. Ma anche da parte di chi si chiede, in un momento di ristrettezze economiche e di necessità di tirare la cinghia da parte di tutti, come sarà possibile pagare due stipendi. Un'ipotesi, però, c'è già: che i nuovi manager guadagnino meno fino a che non sia esaurito il mandato dei loro predecessori in modo da equilibrare la situazione -e rendere meno oneroso l'impegno economico. E girano già i primi pettegolezzi: qualcuno racconta che in alcune Asl i direttori stanno già preparando le valigie. Le audizioni in commissione Intanto, in attesa che la Dirindin decida se davvero seguire questa strada, ieri mattina si sono concluse le audizioni nelle commissioni competenti. In quella che si occupa di Sanità presieduta da Pierangelo Masia, prima di tutto, dove però il parere conclusivo è stato rimandato a mercoledì prossimo perché ieri la Dirindin era impegnata a Roma per il riparto del fondo nazionale alle Regioni. Scontro sull'agricoltura E se in commissione Sanità è filato tutto liscio, lo stesso non si può dire di quella Agricoltura presieduta dal diessino Alberto Sanna, dove si è consumato uno scontro politico fra centrosinistra, che ha voluto a tutti i costi approvare il suo parere positivo con alcune osservazioni (quattro sì e un astenuto), e il centrodestra che ha abbandonato l'aula in segno di protesta dopo che i colleghi di maggioranza non hanno accolto la richiesta di rinviare il parere a martedì prossimo. «La vera battaglia a questo punto si trasferisce in aula - commenta Nello Cappai dell'Udc -È da censurare del tutto lo svilimento del ruolo istituzionale della commissione che ha il dovere di portare in aula interessi rappresentativi di tutte le forze politiche in campo». ____________________________________________________ Il GIORNALE DI SARDEGNA 29 gen. ’05 MA AL BROTZU IN ATTIVO FORSE MELONI RICONFERMATO I direttori delle aziende sanitarie L'unico a essere stato scelto dal nuovo assessore alla Sanità, Nerina Dirindin, è Bruno Zanaroli, modenese, insediatosi alla Asl numero 1 di Sassari. In teoria invariati fino al prossimo autunno quando scadranno i mandati, salvo esodi "volontari", i direttori generali delle altre Asl: alla due di Olbia è in carica Efisio Scarteddu; alla tre di Nuoro Franco Mariano Mulas; alla quattro di Lanusei Italo Fancello; alla cinque di Oristano Eugenio Strianese (tempo fa la Dirindin gli ha chiesto di dimettersi, ma lui ha risposto picche); alla sei di Sanluri Franco Trincas; alla sette di Carbonia Emilio Salvatore Simeone; alla otto di Cagliari Efisio Aste. All'azienda ospedaliera Brotzu diCagliari, infine, c'è Franco Meloni: sono insistenti le voci su una sua possibile riconferma, visto che la sua azienda è l'unica ad aver chiuso i conti in attivo. Dallo Stato un Miliardo e 600 milioni Dal Fondo sanitario nazionale per il 2005 alla Sardegna arriverà uno stanziamento pari a 1.655.805.185 euro. il fondo ammonta complessivamente a 88,2 miliardi di euro. Le Regioni, dopo una seduta fiume di due giorni alla quale hanno preso parte presidenti e assessori regionali, hanno trovato l'accordo sulla ripartizione delle risorse, alle quali andranno aggiunte quelle proprie. _____________________________________________________________ La Repubblica 26 gen. ’05 SCEGLIERE IL MEDICO IN BASE AI RISULTATI Nel Regno Unito i dati sono archiviati. Un esperimento al San Paolo di Civitavecchia SAPERE qual è il medico più bravo o conoscere il centro di cura migliore, è quello che tutti, sani o malati, vorremmo. Ma come? Il servizio sanitario britannico, ad esempio, ha deciso di aprire gli archivi. I cittadini londinesi potranno conoscere tutti i risultati professionali ottenuti dal medico curante prima di affidarsi a lui. Si tratta di un primo passo, in seguito infatti anche gli abitanti di altre località d'Oltremanica potranno accedere a questo nuovo servizio. Più informazione, dunque, per decidere in modo consapevole. Nel nostro Paese, invece, l'unico indicatore ufficiale per stabilire l'efficacia delle cure offerte all'interno delle aziende sanitarie resta ancora la mortalità. Poco per informare correttamente i cittadini. "Offrire graduatorie di ospedali e medici in base ai dati di mortalità senza motivarli attraverso una stratificazione del rischio è praticamente inutile e fuorviante", spiega il dottor Raffaele Macarone Palmieri, direttore Uoc di chirurgia generale dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia, che durante l'incontro "Come valutare i risultati in chirurgia generale", organizzato dalla Società romana di chirurgia, ha ribadito la necessità, ormai irrinunciabile, di valutare la qualità delle cure offerte attraverso una metodologia rigorosa di raccolta ed elaborazione dei dati. Un'analisi complessa che nasce da un percorso di verifica strutturale, di processo, di risultati e di valutazione complessiva del paziente, inclusa la soddisfazione del trattamento e dell'accoglienza, la cosiddetta "Customer Satisfaction". All'ospedale San Paolo i professionisti hanno cominciato dalla chirurgia generale con un'analisi retrospettiva di 67 interventi sul colon-retto. Una novità, in materia, è la scheda di autovalutazione messa a punto dalla sezione Lazio della Siquas, la Società italiana per la qualità dell'assistenza Sanitaria. "La scheda", spiega il dottor Macarone Palmieri, "viene elaborata alla fine del percorso terapeutico, la pratica consente di rilevare le criticità delle prestazioni, delle strutture o degli stessi medici. I buoni risultati di una prestazione, infatti, necessitano di molti altri fattori oltre che della buona organizzazione". All'iniziativa realizzata dall'ospedale San Paolo hanno aderito anche le chirurgie generali dell'ospedale San Giovanni Addolorata e del Policlinico dell'Università "La Sapienza" di Roma. (mariapaola salmi) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’05 IN CRISI IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE, LA GENTE VA DAI MAGHI De Bac Margherita «C' è poca attenzione in ospedali e università al rapporto con il paziente. La conseguenza è che i malati si affidano ad altre figure, anche ai maghi». E' la critica rivolta dal ministro Girolamo Sirchia al sistema sanitario. Riflessione fatta a Napoli, Sant' Andrea delle Dame, una delle sedi della seconda università. A sospingere i cittadini nelle braccia di maghi e praticanti di discipline alternative, secondo il ministro della Salute, sono spesso «le beghe interne tra i medici. Si pensa troppo a vicende che nulla hanno a che spartire con la vita del malato e ci si dimentica delle sue necessità, tra cui quella di contare su una figura che lo segua durante il percorso terapeutico». Di qui la proposta di introdurre, in via sperimentale, un nuovo personaggio, equivalente a quello che negli Stati Uniti viene chiamato «hospitalist». Un punto di riferimento per il paziente che, pur passando attraverso reparti e servizi diversi, viene preso in carico da un unico medico. «Sarebbe l' inizio di un nuovo rapporto tra medici e cittadini, bisognosi di un dialogo più affettuoso e meno tecnico», spiega Sirchia che medita di provare il modello a Milano dove domani si insedia il Cda della neonata Fondazione Ircss (ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena). Il mese scorso il Consiglio superiore di Sanità si è espresso favorevolmente indicando la via della sperimentazione. M. D. B. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 gen. ’05 IL POLICLINICO DI MILANO «FABBRICA» DI BREVETTI Sirchia: risultati trasferiti anche a beneficio delle imprese MILANO o Con l'insediamento del nuovo consiglio d'amministrazione presieduto da Carlo Tognoli, ex sindaco di Milano, ieri è divenuta operativa la Fondazione Policlinico. La Fondazione prende spunto dalla legge di riordino degli Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) e da un accordo di programma siglato a dicembre 2004 tra Regione Lombardia, ministero della Salute e Comune di Milano. La Fondazione - hanno spiegato Girolamo Sirchia (ministro della Salute) e Roberto Formigoni (presidente della Regione Lombardia) intervenuti alla presentazione - vanta già alcuni primati: è la prima sperimentazione in Italia di un modello di fondazione ospedaliera a connotazione pubblica dove si coniugheranno assistenza sanitaria, ricerca scientifica e formazione universitaria, con la possibilità di convogliare energie anche da soggetti privati. Inoltre la fondazione, che riunisce in un unicum realtà ospedaliere storicamente divise - Ospedale maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena - è anche il primo Irccs ad avere un presidente e un Cda dopo decenni di commissariamento. Ma il tratto distintivo della Fondazione Policlinco è il forte orientamento verso la ricerca nei campi farmaceutico e biomedicale e il collegamento con il mondo delle imprese. La riparazione e la ricostruzione dei tessuti sono i grandi temi sui quali si impegnerà il nuovo ente. «Questo Irccs - ha detto Sirchia -è certamente un ospedale di alta qualificazione, ma non è un ospedale paragonabile agli altri grandi ospedali milanesi: è un'istituzione che fa ricerca "clinica e translazionale", cioè immediatamente fruibile e trasferibile al malato. Sostituzione di cellule, tessuti e organi danneggiati saranno inoltre tra i settori più innovativi e qualificanti di questa struttura». Ma la fondazione non sarà solo questo: «Quello che conta in questa formula nuova - ha aggiunto il ministro - è che esistono le premesse perchè questa ricerca non venga trasferita solo a beneficio dei malati ma anche delle imprese italiane e quindi possa dare nuovi prodotti, perchè diventino nuovi brevetti, alle imprese che oggi ne sono largamente carenti». Di conseguenza, ha notato Formigoni, si potranno «ottenere dal mercato fondi per finanziare la ricerca e per trasferire maggiori finanziamenti sul personale». M.MOR, ____________________________________________________________ Libero 23 gen. ’05 C'È UN ICTUS IN AGGUATO? PUÒ SCOPRIRLO IL DENTISTA Le radiografie panoramiche evidenziano le calcificazioni a livello delle carotidi Il consiglio degli esperti è quello di andare dal dentista non solo per controllare la bocca, ma anche per prevedere e prevenire malattie cardiovascolari come l’ictus. È quanto emerge da un recente studio divulgato sulle pagine del Journal of the American Dental Association, e effettuato da scienziati dell’Academy of general dentistry's. I ricercatori affermano che, attraverso le radiografie panoramiche utilizzate per lo studio delle arcate dentarie, sia possibile identificare con accuratezza le calcificazioni ateromatose a livello delle carotidi, presupposto allo sviluppo di un ictus. L'ictus cerebrale è una delle più frequenti cause di morte e la principale causa di invalidità nelle persone adulte. La maggioranza dei casi si verificano sopra i 65 anni, ma possono essere colpite anche persone più giovani. Il danno vascolare è causato nel 90 per cento dei casi da una riduzione del flusso sanguigno (ischemia) e nel restante 10 per cento dalla rottura di un vaso sanguigno (emorragia). La ricerca ha coinvolto pazienti in età post-menopausa, periodo in cui le variazioni di tipo ormonale portano ad un aumento dei grassi a livello delle pareti delle arterie. Infine gli scienziati hanno potuto effettivamente appurare che tramite il semplice impiego di raggi X in odontoiatria è possibile, in almeno l’80 per cento dei casi, risalire a precoci processi di ostruzione delle carotidi. Alcuni specialisti dell'Università di Buffalo hanno invece constatato che la prevenzione dell'ictus cerebrale comincia proprio da una corretta igiene orale. Su uno studio condotto su 9.96 2 americani, si è in particolare scoperto che chi soffre di piorrea ha un rischio doppio, rispetto agli altri, di andare incontro ad ictus cerebrale nella forma di occlusione arteriosa. L'ipotesi è che responsabili siano le tossine prodotte dai batteri presenti nelle tasche parodontali. Infine il dentista può addirittura essere in grado di identificare anche altre patologie come la anoressia o la bulimia. In questo caso può dire se i denti risultano danneggiati o per meglio dire erosi (consumati, rimpiccioliti e scalfiti nella parte superficiale) per via del vomito (tipica manifestazione delle patologie legate ai disturbi alimentari) che porta con sé i succhi acidi gastrici, male tollerati e dannosi per lo smalto. ____________________________________________________________ La stampa 24 gen. ’05 IL VIAGRA RIDUCE IL CUORE INGROSSATO Nuova scoperta sul viagra, non solo afrodisiaco un test sui topi: riduce il «cuore ingrossato» STUDIO DEGLI SCIENZIATI DELLA JOHNS HOPKINS UNIVERSITY a Test positivi sui topolini indicano che il Viagra potrebbe divenire un ottimo farmaco per guarire il cuore ingrossato, pericolosa causa di insufficienza cardiaca. È la nuova prospettiva terapeutica riposta nella famosa pillola blu da scienziati della Johns Hopkins University School of Medicine and its Heart Institute che al momento stanno già pianificando sperimentazioni cliniche multi centriche. II farmaco «sildenafil citrato», usato per problemi di erezione, ha mostrato un doppio effetto terapeutico sul cuore malato degli animali, ha spiegato David Kass sulla rivista Nature Medicine: da un lato blocca in larga misura l'allargamento in atto del muscolo cardiaco, dall'altro fa regredire l'aumento di dimensioni che già c'è stato. L'ipertrofia cardiaca è una condizione che si verifica in presenza di ipertensione perchè il cuore deve usare più «violenza» per pompare il sangue nell'arteria principale, l'aorta. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 gen. ’05 DIAGNOSTICA OBSOLETA: INAFFIDABILE IL 70% DELLE RADIOGRAFIE ROMA La "maglia nera" spetta di diritto ai comuni apparecchi radiogra6ci telecomandati: il 71% di quelli installati nelle strutture pubbliche ha più di 7 anni e, non è più clinicamente affidabile. Peggio ancora: nel 62% dei casi non garantiscono neanche più la sicurezza del paziente rispetto all'esposizione alle radiazioni ionizzanti. Qualità e sicurezza a picco anche per angiografi (62% e 55%) e mammogragi (55% e 49%) mentre il primato della maggiore età spetta senz'altro alle attrezzature radiologiche, digitale incluso, che vantano un'età media 11,7 anni. Insomma, oltre metà del parco imaging del Servizio sanitario nazionale è pronto per la rottamazione. Il bilancîo aggiornato del settore è contenuto in un'indagine condotta sui dati raccolti dall’associazione elettromedicali di Anie-(la federazione aderente a Confindustria delle 38 imprese del comparto che nel 2003 hanno fatturato 885 milioni di euro), assieme a Sirm {radiologi) e Ainin (medicina e imaging molecolare). L'indagine, presentata ieri a Roma, ha coinvolto tutte le aziende aderenti all’Anie e ha censito tutte le 18.579 apparecchiature in uso nelle 872 strutture sanitarie pubbliche esistenti in Italia, Irccs e Policlinici compresi: - Rispetto ai dati rilevati dalla Salute nel 2000 - ha spiegato Carlo Gastellano; presidente Anie - la situazione è nettamente peggiorata: per svecchiare le apparecchiature servirebbero investimenti da 800 milioni l’anno per almeno tre anni. In alternativa, metà dell'investimento potrebbe essere coperto con un meccanismo di pagamento a prestazione che l’azienda dovrebbe versare all'azienda produttrice per ogni esame eseguito». In questo modo - conclude Castellano - per rinnovare i macchinari basterebbe un investimento di 1,2 miliardi contro i 2,4 previsti». Una stima plausibile che alla rilevazione hanno partecipato gli otto giganti del settore (Esaote, Ge, Gilardoni, Kodak, Mecall, Philips, Siemens e Toshiba) che rappresentano oltre il 90% del parco macchine del pubblico. L'indagine conferma tutte le criticità già note, del tutto compatibili con investimenti per l’acquisto di apparecchiature che rappresentano solo lo 0,4% del totale della spesa sanitaria pubblica. Così, in un quadriennio l’età media dei telecomandati è passata da 9 a 10,8 anni, quella della diagnostica radiologica da 9,9 a 11,7 anni, quella degli angiografi da 5,9 a 9,5 e così via. Mentre gli oltre 2mila dei l0mila ecografi pista hanno più di 10 anni: oltre il doppio cioè di quella che è considerata la vita media di queste apparecchiature. Se questo è il dato generale, ancora peggio va al Sud, dove vetustà fa rima con scarsità. Basta un esempio: il Nord ospita il 44,4% della popolazione e il 71% delle Pet; al Sud, il 38% della popolazione nazionale dispone di 4 Pet soltanto. Riportare l’universo dell'imaging «nei limiti dell'accettabilità» è l’appello che arriva unanime dagli specialisti del settore, «La legge affida al radiologo il compito garantire la qualità degli esami e la radioprotezione del paziente - spiega il presidente Sirm, Francesco Paltnà - ma le nostre macchine sono così vecchie che possono lasciarci in panne da un momento all'altro». «Governo e Regioni devono capire che investire in questo campo significa anche risparmiare - conclude il presidente, Emilio Sombardieri -. Perché dopo dieci anni le aziende produttrici non garantiscono più neanche i contratti d'assistenza» E la sicurezza, senza voler fare allarmismi, rischia di colare a picco sul serio. SARA TdAR0 ____________________________________________________________ Italia Oggi 28 gen. ’05 NUOVE MEDICINE FIDUCIA CON LIMITI Ricerca Censis sull’innovazione farmacologica Di LuCA Surra Fiducia si, ma non incondizionata: i medici italiani sono malto attenti all'innovazione farmacologica e ai progressi della ricerca in campa biomedico e delle biotecnologie, ma al contempo ribadiscono la necessità di un punto di riferimento in materia che imponga limiti, stabilisca regole e definisca responsabilità di scelta su ciò che è legittimo e che cosa no. Una sensibilità che viene manifestata anche nel rapporto can i farmaci di ultima generazione, che generalmente vengono apprezzati (in particolare per far fronte a malattie croniche) ma non prescritti aprioristicamente, soprattutto se di quelli noti sono già conosciutî gli effetti collaterali e i meccanismi di funzionamento in virtù della loro più lunga esperienza di utilizzo, Sono solo alcuni dei principali aspetti emersi dalla ricerca del Censis «I medici e rinnovazione farmacologica» presentata ieri a Rama dal segretario generale dell'istituto, Giuseppe De Rita, e basata su un campione di 1.000 interviste realizzate nello scarso mese di novembre. 1 medici italiani, dunque, sano affezionati all'innovazione, hanno grande fiducia nella diagnostica e nelle possibilità offerte dalla moderna prevenzione, ma non trascurano le implicazioni bioetiche che 1a ricerca spesso comporta. Così, se è nettissima la maggioranza di chi si esprime favorevolmente sull'utilizzo di cellule staminali embrionali per fini terapeutici (90,5%}, altrettanto marcata è la quota di contrari alla clonazione degli essere umani (91,2%). Più ridotte, invece, le percentuali di chi dice si all'uso di cellule e animali geneticamente modificati (58%) e di chi si oppone alla clonazione animale (68,7%), mentre si registra una spaccatura di opinioni rispetta al tema della clonazione di organi umani (54;9% favorevoli e 45,1% contrari). In definitiva, secondo il Censis, il medico italiano opera «secondo scienza e coscienza». una maturità manifestata anche su temi di politica sanitaria e nell'uso dei farmaci. Se il78,5% del campione è favorevole, infatti, al ruolo del ministero della sanità quale argano di responsabilità decisionale e di controllo (a fronte di un 12,2% a favore delle Asl e di un 11,3% delle regioni), riguardo gli strumenti ritenuti più efficaci per il contenimento della spesa farmaceutica appare prevalente il ticket (41%), seguita dall'ipotesi di fissare limiti di budget (23,6%) e dalla penalizzazione di chi dispensa troppe ricette (15,6%). ____________________________________________________________ Repubblica 24 gen. ’05 NANOSENSORI PERPREVENIRE IL CANCRO di PAOLA JADELUCA Alla Caltech stanno sviluppando un innovativo terminale per il test precoce. Nanotecnologia, un’arma pper prevenire il cancro. Come? Attraverso un test effettuato prelevando solo qualche goccia di sangue. Tutto questo attraverso un piccolo apparecchietto, un nanosensore, simile per dimensioni e modalità di utilizzo, alla macchinetta per la punturina al dito che utilizzano i diabetici per fare il controllo della glicemia. Ma molto più sofisticato nelle procedure e nei risultati promessi. A lavorare a questa rivoluzionaria innovazione che non promette la guarigione di chi è già malato, ma promette di poter salvare tante vite anticipando la diagnosi e aumentando l’efficacia delle cure è James Heath, un chimico-fisico del Caltech, California Institute of Technology. Il nanosensore non è ancora pronto, è ancora in fase di progettazione ma abbastanza avanzata, visto che sene parla su riviste scientifiche come Technology Review Heath sta puntando sul fatto chc gruppi di ultraminuscoli fili di silicio, ognuno fatta per catturarc una specifica proteina correlata a un tipo di cancro, potrebbero rivelare persino il più impercettibile cambiamento nella chimica del nostro corpo. Il gruppo di ricercatori collegati a James Heath stanno sviluppando questi nanosensori che simultaneamente rileverà dalle centinaia alle migliaia di differenti biomolecole in una goccia di sangue. Se tutto procede come previsto, i nanosensori potrebbero essere la base per test sul cancro non soltanto più accurati ma anche più economici di quelli attuali, proprio perché non richiedono analisi di laboratorio o campioni di tessuto. Test sul sangue per prevenire la terribile malattia esistono già. C'è per esempio il Psa, utilizzato per prevenire il tumore della prostata. La diagnosi funziona proprio andando a cercare la proteina chiamata Psa, prostate-specific antigen) nel sangue. Ma solo il 25 - 30 per cento degli uomini che si sottopongono alla biopsia dei tessuti perché hanno il Psa alto, rivelano di avere poi effettivamente sviluppato il cancro. Un più accurato test potrebbe rivelare meglio la complessità degli eventi biomolecolari. L'ambizioso progetto di Heath, che fin dai suo studi post laurea ha scmpre lavorato nel campo della ricerca sul cancro- è appunto di arrivare a costruire un terminale in grado non solo di fare misurazioni multiple contcmporanee da una goccia di sangue o una piccola cellula di tessuto, ma anche di individuare minuscoli quantitativi di hiomolecole. James ha anche fatto parte del team di studio di Richard Smalley, docente alla Rice University di Boston, dove Heath si è laureato, che nel 1985 ha scoperto la Cf1O, la molecola di carbonio che gli è valsa il premio Nobel e che ha gettato le basti della muderna nanotecnologia ____________________________________________________________ Il Giornale 27 gen. ’05 SPERIMENTATI NUOVI FARMACI PER VINCERE I TUMORI AL SENO Presentati a 4000 oncologi i risultati di uno studio sull'utilizzo del letrozolo in alternativa al tamoxifene Luigi Cucchi nostro inviato a San Galio (Svizzera) Passi avanti nella cura del tumore al seno. A San Gallo, sul lago di Costanza, si è aperta ieri la nona Conferenza Internazionale sulla terapia nella fase iniziale del cancro al seno. Una patologia che nel mondo colpisce 800mila donne ogni anno, in Italia si registrano annualmente 32mila nuovi casi, 300mila le italiane che stanno combattendo questa malattia, ll mila i decessi annuali. II tumore al seno è la forma neoplastica più diffusa tra le donne europee, rappresenta il 20 25% di tutte le neoplasie e colpisce soprattutto tra i 55 e i 65 anni. La probabilità di svilupparlo varia dal5 al10% a seconda dei paesi. Il tasso di mortalità è più elevato nei paesi settentrionali (Gran Bretagna, Belgio, Danimarca), è più basso in Portogallo, Spagna, Grecia. Questa forma tumorale si manifesta soprattutto negli Stati Uniti, in Australia e nell'Europa occidentale, presenta una frequenza molto più bassa in Sud America, Africa e Asia. II Giappone 8 l’unico paese dove questa malattia è poco comune. A San Gallo, per questo importante appuntamento, sono giunti 4mila oncologi. II professor Aron Goldhirsch, 58 anni, responsabile scientîfico dell'International breast cancer study group, cattedra di Oncologia medica all'Università di Berna e direttore a Milano del Dipartimento di Medicina all'Istituto Europeo di Oncologia, ha presentato i risultati di uno studio internazionale BIG 1-98 condotto in 27 paesi, da due anni e mezzo su 8028 donne in menopausa che sono state operate per un tumore al seno. Questa sperimentazione condotta in doppio cieco, alla quale hanno partecipato oltre 30 centri oncologici italiani, tendeva a individuare le migliori terapie e l’impiego di letrozolo in alternativa a tamoxifene, evidenziando in particolare gli effetti collaterali, i rischi e i benefici. I risultati di questo studio erano attesi da tutta la comunità scientifica internazionale. Letrozolo è un farmaco che appartiene alla classe degli inibitori dell'aromatasi, un approccio consolidato per trattare le donne in post-menopausa con tumore al seno metastatico ormono-sensibile. L'aromatasi è un enzima presente naturalmente nel corpo umano e fondamentale per la sintesi degli estrogeni, gli ormoni femminili che possono stimolare la crescita delle cellule del tumore al seno. L'inibizione dell'aromatasi blocca la produzione di estrogeni, attraverso questo meccanîsmo di azione si riduce la crescita e la diffusione dei tumori al seno che rispondono agli estrogeni. «L'impiego di letrozolo nel tumore al seno in fase precoce rappresenta - ha dichiarato il professor Goldhirsch – una nuova opzione terapeutica a disposizione dei medici. Stiamo cercando le cure migliori per evitare il rischio di ricadute. I risultati che abbiamo registrato impiegando letrozolo arricchiscono le nostre possibilità d'intervento e le nostre conoscenze: l’84% delle 4.003 donne trattate con letrozolo a distanza di cinque anni non ha avuto ricadute contro l’81,4% delle 4.007 donne trattate con tamoxifene. In particolare abbiamo potuto registrare una riduzione del 19°lo del rischio di ricaduta tra le pazienti trattate con letrozolo. I benefici che si possono ottenere con questo farmaco sono numerosi ma richiedono ulteriori indagini nel medio-lungo termine per verificare la sua sicurezza e tollerabilità». Il Congresso si è aperto con la lettura magistrale di Umberto Veronesi, già ministro della Salute, che ha illustrato i progressi ottenuti con i più innovativi protocolli terapeutici tendenti a ridurre il più possibile gli effetti collaterali e ad applicare cure personalizzate. Fino agli anni sessanta si ricorreva alla mastectomia radicale, un'operazione che comprendeva l’asportazione della mammella ammalata, dei muscoli del piccolo e grande pettorale e dei linfonodi. Le tecniche chirurgiche si sono notevolmente evolute così come i trattamenti di chemioterapia, radioterapia e ormonoterapia che concorrono a migliorare i risultati di sopravvivenza. Oggi nel decidere l’approccio terapeutico migliore i medici stabiliscono prima di tutto le caratteristiche del tumore della paziente in cura: solo allora vengono scelti trattamenti locali (chirurgia e radioterapia) e sistemici cioè chemioterapia, ormonoterapia e terapie biologiche con farmaci specifici che riescono a colpire solo le cellule tumorali, mimando l’azione del sistema immunitario. Recentemente sono stati sviluppati gli anticorpi monoclonali capaci di colpire e distruggere le cellule tumorali senza arrecare danni a quelle sane. La terapia biologica fino ad oggi viene applicata in associazione alle terapie tradizionali. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’05 RAGGI GAMMA PER OPERARE NELLE AREE PROFONDE DEL CERVELLO Fu il neurochirurgo svedese Lars Leksell il primo a parlare di chirurgia e radioterapia "stereotassica". E sempre Leksell sviluppò alcuni decenni fa uno strumento, la Gamma Knife, per curare alcune malattie del cervello. Ma come vanno insieme la stereotassia e questo strumento? Intanto la chirurgia o la radiochirurgia stereotassica (che significa "esame tridimensionale") sono tecniche per individuare senza aprire la scatola cranica l'esatta forma e localizzazione della patologia da curare. Oggi, in Italia, le unità operative Gamma Knife sono quattro (Lugo di Ravenna, Milano-San Raffaele, Verona e a Catania, un centro di neurochirurgia appena inaugurato). La Gamma Knife è una tecnica di radiochirurgia stereotassica, una metodica che consente di intervenire su lesioni anche molto piccole ad alte dosi di raggi gamma. Si interviene, cioè in modo molto preciso senza andare a toccare le parti sane circostanti. II tutto è possibile grazie a un casco, cosìddetto stereotassico, entro il quale viene fissato il capo del paziente. Più precisamente, si parte da un'accurata misurazione dello spazio intracranico con un software tridimensionale che definisce le coordinate della lesione. AL casco, poi, viene sovrapposta un'emisfera "traforata" da 201 forellini, attraverso cui i raggi gamma passano, sotto forma di fotoni, andando tutti a intersecarsi sul bersaglio: il punto dove è stato localizzato il tumore o la malformazione vascolare. Li, e solo li, i raggi diventano "biologicamente attivi". Gamma Kniie, commercializzata da Elekta, ha assunto negli ultimi anni un ruolo importante nella neurochirurgia: il bisturi viene, infatti sostituito da una singola dose di raggi gamma - da qui il nome - che viene indirizzata su un bersaglio all'interno della scatola cranica mediante un sistema computerizzato basato sull'acquisizione di immagini della patologia da trattare (risonanza magnetica, tac o angiografia digitale). Si agisce, di fatto, direttamente solo sul tessuto malato, senza toccare quelli circostanti e integri anche perché il trattamento non prevede né incisioni né anestesia generale, cosa che elimina i rischi di infezione, emorragia, associati alla chirurgia aperta tradizionale. IL paziente, che ha un minimo disagio durante l'intervento, di solito, rimane ricoverato in ospedale non più di 48 ore. Oltre ai tumori del cervello, una crescente indicazione all'uso della Gamma Knife è oggi rappresentata dalla nevralgia trigeminale, in particolare se non trattabile con l'intervento chirurgico. IL collimatore da quattro millimetri viene utilizzato per irradiare il punto di ingresso del nervo trigemino nell'encefalo. Il trattamento offre una buona probabilità di miglioramento clinico a fronte di bassi rischi, rappresentati, in particolare, da lieve riduzione della sensibilità. Con la Gamma Knife si possono trattare tumori e malformazioni vascolari intracranici o, appunto le patologie del trigemino. Le lesioni trattabili, però, non devono superare i 3,5 cm di diametro e si devono trovare in zone profonde del cervello tali da rendere l'asportazione chirurgica impossibile o con elevati rischi. Fino a oggi sono stati trattati 150mila pazienti nei 155 centri sparsi per il mondo. Knife. utilizza i raggi gamma, radiazioni elettromagnetiche ad alta energia per intervenire su malformazioni o tumori nelle aree più profonde del cervello (ma non solo) che non sarebbero trattabili con la chirurgia tradizionale, minimizzando la dose di radiazioni ricevute. Utilizza un casco che viene fissato sulla testa del paziente. Fino a oggi sono stati trattati 150mila pazienti. A CATANIA UN NUOVO CENTRO Da poco l'Italia ha il suo quarto centro Gamma Knife. Si trova a Catania, in un importante polo per la neurochirurgia che verrà inaugurato in questi giorni. L'obiettivo è quello di creare uno strategico punto di riferimento per l'Italia meridionale nonché dei Paesi del bacino mediterraneo, soprattutto per la cura di alcuni tumori e malformazioni vascolari cerebrali. E, con questo, di permettere un riequilibrio delle risorse sanitarie all'interno del nostro Paese. In quest'ottica, l'Azienda ospedaliera Cannizzaro con l'équipe del dottor Corrado D'Arrigo e la società Elekta hanno lavorato insieme per costruire il nuovo centro Gamma Knife italiano che si aggiunge agli altri tre, tutti situati nel nord del Paese. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’05 IL RADIO-BISTURI CHE BRUCIA LE METASTASI INTRACRANICHE Cyber Knife. IL Cyber Knife utilizza i raggi X per bombardare tumori profondi del cervello (ma anche della prostata, del pancreas, del polmone e del fegato. Un sistema di "puntamento" permette di focalizzare con molta precisione ['area da colpire, riducendo di molto i danni ai tessuti sani. Lo strumento, fino ad oggi, è stato utilizzato su 4mila pazienti. E un radio-bisturi intelligente e si chiama Cyberknife. Si tratta di uno strumento capace di "prendere di mira" tumori difficili e di "bruciarli" con grande precisione. Oltreoceano, il robot ha maturato un'esperienza di quasi quattromila pazienti, soprattutto per tumori cerebrali e spinali, ma anche della prostata, del pancreas, del polmone e del fegato. Dopo oltre due anni, il 90% di loro non ha avuto recidive. Il Cyberknife è arrivato in Italia da circa un paio d'anni e gli ospedali dove è utilizzato sono il Sari Bortolo di Vicenza, primo in Europa (e che ora sta sperimentando il trattamento di neoplasie localmente avanzate del fegato, delle vie biliari e del pancreas su pazienti non operabili in altro modo con la tecnologia Synchrony, che permette di ridurre le radiazioni associate al Cyber Knife), l'Istituto neurologico «Besta» di Milano e il San Carlo in collaborazione con il Centro diagnostico italiano sempre a Milano. Ma come funziona Cyberknife? È una macchina formata da un "braccio", due occhi radiologici e un acceleratore lineare che produce radiazioni. Gli occhi fotografano il punto esatto interessato e il robot lancia i suoi raggi, aggiustando ogni volta la posizione. In questo modo si possono trattare lesioni in varie parti del corpo, e il trattamento può essere ripetuto. Tutto ciò è possibile grazie a una tecnologia informatica che prende la mira attraverso un sistema di guida a immagini, costituito da due speciali videocamere che permettono di ricostruire in tempo reale e in tre dimensioni la massa tumorale. Questi dati integrati con quelli di Tac e risonanza magnetica cui il paziente si è in precedenza sottoposto: in questo modo si ottiene una precisissima localizzazione del tumore, calcolata istante per istante. II braccio del Cyberknife permette, con un orientamento di circa duecento diverse posizioni, soprattutto di compensare i movimenti anche impercettibili del paziente, garantendo così un elevatissimo grado di precisione e colpendo, dunque, soltanto i tessuti malati senza danneggiare quelli sani. Inoltre, il trattamento non prevede né degenza in ospedale né convalescenza. In realtà questa non è una nuova terapia, ma il miglioramento di tecniche di radioterapia stereotassica (tecnica che prevede il puntamento di un bersaglio all'interno del corpo mediante l'utilizzo di punti di riferimento all'esterno di esso) già esistenti. L'estrema mobilità del robot permette di cura re zone del corpo "difficili" come il midollo spinale e viene utilizzato per metastasi di piccole dimensioni. La frontiera del Cyberknife è, dunque, raggiungere e trattare tumori finora impossibili perché circondati da strutture troppo importanti per rischiare; anche nel caso di organi molto mobili, come per esempio, i polmoni, in continuo movimento per l'attività respiratoria. Tornando al paziente, la preparazione e il trattamento, come già detto non richiedono ricovero. Questo da un lato provoca un disagio minimo al paziente e, dunque, permette di effettuare più sedute di terapia, come per esempio per individui colpiti da metastasi tumorali in tempi successivi di malattia. Inoltre, dall'altro lato, l'assenza di ricoveri rappresenta un notevole taglio di costi, anche se la macchina costa circa 5 milioni di curo al sistema sanitario nazionale. La casistica del Cyberknife, che non utilizza il casco stereotassico, include tumori maligni intracranici, del midollo spinale, malformazioni vascolari nonché il trattamento del nervo del trigemino. a cura di Vittoria Ardino ____________________________________________________________ Libero 27 gen. ’05 PIÙ TI SPORCHI, PIÙ SARAI SANO SI DIVENTA ADDIRITTURA IMMUNI DALLA SCLEROSI MULTIPLA Vivere con fratelli piccoli, quindi poco puliti, aumenta le difese dell'organismo di LUIW SPARTI CANBERRA - I bambini che trascorrono i primi anni di vita con fratelli più piccoli corrono un rischio notevolmente inferiore alla media di contrarre la sclerosi multipla. È quanto emerge da una nuova ricerca australiana, condotta da un team dell'Australian National University (a Canberra) e diretta da Anne- Louise Ponsonby. La sclerosi multipla è una malattia autoimmune (determinata cioè dal fatto che il sistema immunitario non riesce più a riconoscere alcune parti dell'organismo e inizia ad attaccarle); essa consiste nella distruzione progressiva dei rivestimenti lipidici che coprono i nervi. Tale processo disturba notevolmente le trasmissioni nervose e si concretizza nella paralisi progressiva del paziente e a volte nella perdita della vista. Una delle teorie più diffuse relativamente all'origine delle malattie autoimmuni è la cosiddetta "ipotesi dell'igiene". In sostanza, secondo i suoi sostenitori, per funzionare correttamente il sistema immunitario avrebbe bisogno di una stimolazione regolare; di conseguenza crescere in un ambiente domestico eccessivamente asettico sotto-stimolerebbe i nostri meccanismi di difesa, facendoli quindi "impazzire" e costringendoli a rivolgersi contro il nostro stesso organismo. Gli studiosi australiani hanno esaminato 136 pazienti affetti da sclerosi multipla e li hanno messi a confronto con altre 272 persone che godevano invece di ottima salute. Incrociando i dati relativi a questi pazienti il team della Ponsonby ha scoperto che trascorrere per lo meno i primi anni di vita con dei fratelli minori riduce il rischio sclerosi multipla addirittura del novanta per cento. Tale fenomeno sarebbe dovuto al fatto che i bambini più piccoli tendono a sporcarsi più di quelli che hanno già qualche anno di vita, e ciò consentirebbe ai fratelli maggiori che giocano con essi di mantenere attivo a lungo il proprio sistema immunitario. l bambini che giocano con i fratellini minori, i quali tendono a sporcarsi di piú mantengono attivo il sistema immunitario ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’05 SONO IN ITALIA I GENI DI LUNGA VITA Scienza / Come sconfiggere la vecchiaia Sotto esame i centenari dell'Ogliastra e del Cilento MILANO La vecchiaia è di per se stessa una malattia (senectus ipsa morbus dicevano i latini). E per combattere questa "malattia" è aumentato l'impegno della scienza a livello mondiale. Un impegno che va in due direzioni distinte che finiscono col convergere. La prima ha come traguardo l'allungamento della vita, la seconda la terapia delle malattie associate all'invecchiamento. Malattie di tipo oncologico, che comportano un'accelerazione delle funzioni cellulari e di tipo degenerativo, che comportano la perdita di funzioni cellulari. Nell'Alzheimer, ad esempio, si perde la funzione dei neuroni. «Non esistono farmaci disponibili che possano allungare la durata della vita - dice Pier Giuseppe Pelicci, responsabile del Dipartimento di ricerca dell'Istituto oncologico europeo - ma si sta scoprendo che i meccanismi genetici responsabili di tale durata sono gli stessi coinvolti nelle malattie dell'invecchiamento. Quindi entrambi i traguardi si raggiungono colpendo gli stessi target». I target sono i geni e le armi per colpirli i farmaci. Per trovare i farmaci adatti, bisogna prima identificare i geni e poi conoscere i meccanismi con cui agiscono. II primo identificato tra quelli che controllano la durata della vita è il P66. I topi privati della possibilità di attivare il P66 hanno una vita del 30% più lunga. L'ha scoperto proprio il gruppo di ricerca di Pelicci. Oltre al P66 si conoscono altri quattro geni responsabili, ma si sospetta che siano decine. Per scoprirli, nel 2004 è stato finanziato dalla Ue con 7,2 milioni il progetto Genetica of healthy aging (Geha). Ne è responsabile Claudio Franceschi, direttore dell'Istituto nazionale di ricovero e cura per gli anziani di Ancona. L'approccio di Geha, l'analisi di popolazioni di centenari, è comune a diversi gruppi di ricerca nel mondo, tra cui quelli del Cnr, guidati rispettivamente da Mario Pirastu e Graziella Persico. Studiano le popolazioni dell'Ogliastra e del Cilento che, rimaste isolate per motivi storici, sono costituite da individui geneticamente molto simili. «Premesso che ogni individuo è diverso dagli altri - spiega Pelicci - se tra le differenze genetiche si vuole identificare quella responsabile della longevità, ci si troverà la strada spianata studiando questi "isolati genetici" con differenze minime». Grande impegno c'è anche nella ricerca sulle cellule staminali, con brillanti risultati non solo su modelli animali. Pelicci sottolinea che alcuni studi sull'uomo hanno permesso di ridurre gli effetti dell'infarto del miocardio grazie all'azione di staminali capaci di ricreare le cellule perse. ROSANNA MAMELI _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 gen. ’05 SE LA GENETICA NON SPIEGA TUTTO La certezza che ogni fenomeno risenta di fattori diversi tra loro si fa sempre più diffusa: un convegno a Sassari Dagli Ogm agli altri interventi dell’uomo sugli equilibri naturali SILVANA PORCU "Come si fa a stabilire che Buffon è il miglior portiere del mondo?" La domanda non arriva da un appassionato di calcio ma da un esperto di genetica. Un discorso in parallelo tra il Dna e il mondo del pallone per raccontare con parole semplici l’universo che ruota attorno alla doppia elica. Una provocazione sportiva per spiegare come mai sia così frequente leggere sui giornali notizie di studi che attribuiscono alla mappa genetica ogni genere di comportamento umano. La prima giornata del convegno "L’intervento dell’uomo sugli equilibri naturali: gli organismi geneticamente modificati", organizzato dall’Associazione sassarese di filosofia e scienza, con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna e della Provincia di Sassari, ha ospitato Enrico Berardi, docente di Genetica dei microrganismi nell’università di Ancona, e Corrado Sinigaglia, dell’università di Milano. Il dibattito, moderato da Francesco Sircana, insegnante di filosofia nei licei, è stato introdotto da Mario Fadda, presidente dell’associazione che ha ideato l’incontro. Una tavola rotonda che non ha mancato di rendere vivi aspetti complessi e ricchi d’interesse. "Qualsiasi ricerca ha bisogno di un metodo - spiega Berardi nella sala Angioy del Palazzo della Provincia di Sassari -. Per arrivare a un risultato credibile basta scegliere i parametri di riferimento. Ma bisogna fare attenzione. Una formula non è mai eccellente in senso assoluto. Se l’ambito di studio cambia, quella regola può non garantire più risposte soddisfacenti". Berardi si è laureato a Sassari e ha proseguito la sua carriera tra Oxford e il Canada. Per raccontare il mondo della scienza sceglie una notizia lanciata qualche giorno fa, il primato che la federazione internazionale di storia e statistica di calcio ha attribuito a Gianluigi Buffon. "Per stabilire chi sia il portiere più bravo posso scegliere di contare le reti. Chi ne prende di meno sarà più in alto nella classifica. Una formula semplice, oggettiva, che si può aggiornare e dà risultati validi. Con il tempo posso trovare qualche variante per migliorare il mio calcolo: le parate in trasferta, quelle in condizioni climatiche particolari. E uso sempre la stessa formula di base perché continua a darmi esiti che descrivono bene la realtà. Poi decido di stilare la top ten dei migliori attaccanti. Stranamente il mio solito metodo, riconosciuto da tutti come una vera garanzia, decreta la vittoria di uno sconosciuto che gioca in una squadra di provincia. Ecco cosa succede quando si vuole usare per ogni scopo un mezzo che è nato per campi scientifici precisi". Un atteggiamento che ha mostrato tutti i suoi lati negativi da quando il Dna è diventato un simbolo per la società e una ossessione per la scienza. "Dal 1953 a oggi - continua - la scoperta di Watson e Crick ha cambiato la percezione che l’uomo ha di se stesso. La dottrina del Dna è diventata una vera ideologia. Tutto viene attribuito ai geni: l’orientamento sessuale, l’alcolismo, la depressione, l’autismo, il comportamento criminale. Studi che vengono pubblicati da grandi riviste scientifiche. Le notizie poi rimbalzano sulla stampa. Sembra che ricondurre tutto al dna dia valore alle ricerche. Chi usa questo sistema per spiegare atteggiamenti generali, dove contano anche migliaia di altre variabili, commette un gesto illegittimo dal punto di vista scientifico. E in più rinuncia a capire il mondo pur di aderire a un modello". Una denuncia accesa che colpisce anche le conoscenze necessarie per le nuove tecnologie: "Un sapere complesso che nessuno possiede per intero. Le équipe di ricerca lavorano come in una catena di montaggio". La risposta alla denuncia di Enrico Berardi arriva con le parole di Corrado Sinigaglia, collaboratore di un nome noto al mondo del sapere italiano, Giulio Giorello. "La scienza moderna non può fare a meno di elaborare modelli - sostiene Sinigaglia -. Quello che dobbiamo temere è uno schema lontano dall’oggetto della nostra analisi". La provocazione si spinge oltre: "Non c’è niente di neutrale. Neanche la natura. Se vogliamo trovare una linea di confine tra naturale e artificiale forse non basta riferirsi alla chimica o alla biologia. Probabilmente è il momento di prendere in considerazione la storia dell’uomo, le sue specificità". La riflessione scivola quindi sul tema della manipolazione: "Se nell’ottica dei ricercatori - conclude Enrico Berardi - tutto dipende dal Dna, si cercherà di spiegare il mondo in termini di geni. La certezza di essere in grado di manipolare quei geni per modificarli può convincere l’uomo di avere il controllo su ogni fenomeno. L’importanza della scienza della vita non può essere negata. Ma non è il solo mezzo per spiegare il reale. Non diamole più di quanto le spetta". La seconda giornata del convegno sarà giovedì alle 16 nella sala Angioy della Provincia. Il dibattito verrà dedicato alle coltivazioni di alimenti geneticamente modificati e sarà moderato da Quirico Migheli, docente di biotecnologie fitopatologiche nell’ateneo sassarese. Si confronteranno Francesco Sala, dell’università di Milano, e ancora Enrico Berardi, che parlerà dei rischi e dei benefici degli Ogm. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’05 ECCO IL FUTURO DELLA RADIOATTIVITÀ Da fenomeno temuto ad alleato dell'uomo in motti campi: netta diagnostica, nella cura del cancro e netta tutela dei patrimonio culturale Cercare di spiegare la fisica di oggi non è cosa da poco. Albert Einstein stesso ne era consapevole e considerava un'impresa ardua esprimere in linguaggio divulgativo le sue teorie. «Alfa D Sole-24 Ore» intende però raccogliere la sfida e affrontare alcuni degli argomenti- chiave della fisica moderna: lo fa in occasione delle celebrazioni K2005 anno della fisica», avvalendosi dell'aiuto di un ente italiano di ricerca che gode di grande prestigio internazionale, l'Istituto nazionale di Fisica nucleare (Infn). Inizia così oggi un viaggio attraverso grandi sfide intellettuali (materia e antimateria, dark matter ed energia oscura, big bang e big crunch, stringhe e superstringhe, dimensioni ed extradimensioni), esperimenti di frontiera, macchine straordinarie, tecnologie spinte e importanti, ricadute applicative che scaturiscono da queste ricerche (per saperne di più: http://scienzapertutti.inf.infii.it/Quark/a_index.html). Questo viaggio sarà però anche un modo per cercare di capire cosa pensano i fisici di oggi, qual è il loro mondo e che cosa li spinge a dedicare tutta la vita a una scelta cosi difficile. A cimentarsi per primo in questo compito è Ettore Fiorini, accademico dei Lincei e ordinario di Fisica nucleare e subnucleare all'Università di Milano Bicocca, dove è anche responsabile del Laboratorio di radioattività dell'Infn. II 61 rouge della pagina è la fisica nucleare, con le sue straordinarie applicazioni, dalla diagnostica alla cura dei tumori, tino al restauro delle opere d'arte. Il prossimo autore a raccogliere il testimone sarà il presidente dell'istituto, Roberto Petronzio. di Ettore Fiorini * In un piovoso pomeriggio domenicale del marzo 1896 il fisico francese Henri Becquerel scopri che un sale di uranio, di cui voleva studiare la fosforescenza, aveva impressionato spontaneamente una lastra fotografica, malgrado non fosse mai stato esposto al sole: si trattava dell'effetto di una radiazione fino ad allora sconosciuta. Poco tempo dopo, una seconda fondamentale scoperta la fecero una sua allieva, Marie Curie, e suo marito Pierre, che capirono come questa radiazione fosse emessa da due elementi nuovi, il radio e il polonio (così chiamato in onore alla patria di Marie). Incomincia cosi, nella Parigi di fine secolo, la grande avventura della radioattività, affascinante fenomeno fisico, i cui effetti spaventano ancora oggi, al punto da far dimenticare le molte straordinarie applicazioni benefiche che da essa sono derivate all'umanità-basti pensare all'impiego di isotopi radioattivi nella diagnostica medica e nella radioterapia. Proprio per sfatare un eccesso di preoccupazione legato a scarsa informazione, vorrei provare a fare un po' di chiarezza. Esistono due categorie di radioattività, quella naturale e quella artificiale. La radioattività naturale esiste da sempre in natura, essendo dovuta a elementi radioattivi esistenti già all'origine del nostro Sistema solare, e di per se stessa non è affatto dannosa (del resto, il nostro stesso corpo è radioattivo!); la radioattività artificiale è invece opera dell'uomo, essendo prodotta da esplosioni termonucleari o da incidenti che si possono verificare negli impianti nucleari, dove si formano anche scorie radioattive di difficile smaltimento. Gli esperimenti. La radioattività naturale, se non ha effetti sulla salute dell'uomo, rappresenta un serio ostacolo in quelle ricerche di fisica fondamentale che studiano fenomeni molto rari: parliamo, ad esempio, di ricerche sulle interazioni di neutrini emessi dal Sole (se ne contano meno di una al giorno in decine di tonnellate di materiale), su interazioni di nuovi tipi di particelle provenienti dal cosmo, su processi nucleari rarissimi. Questi esperimenti, di fondamentale importanza in quella nuova scienza che è l'astrofisica particellare, vengono condotti in laboratori particolari, posti a grande profondità per ottenere la maggior schermatura possibile dall'azione dei raggi cosmici: questi apparati richiedono anche pesanti schermature contro la stessa radioattività naturale presente nelle rocce e impiegano, a tale scopo, materiali in cui la contaminazione radioattiva è estremamente ridotta. Basterebbe, infatti, toccare a mani nude la parte interna di uno di questi apparati per disturbare tutta la ricerca in corso: poche tracce di potassio-40, contenuto nel nostro sudore, sono sufficienti ad aumentare il fondo radioattivo dell'esperimento. Piombo archeologico. In un apparato di questo tipo, un aiuto prezioso è venuto alla fisica dall'archeologia: le due discipline, in verità, erano già da tempo alleate nella ricerca sul carbonio-14. L'elemento chiave, questa volta, è stato il piornbo-210, un nucleo radioattivo prodotto in continuazione nell'atmosfera terrestre, che decade dimezzandosi in circa 22 anni. Dal piombo-210 ha preso avvio una serie di imprese alquanto singolari, basate sull'impiego di piombo "antico" nel quale l'attività radioattiva risulta ormai spenta. L'assenza di radioattività fa, infatti, di questo piombo una schermatura ideale per alcuni esperimenti sotterranei: del resto, già una prima volta il piombo proveniente dalla chiglia di un galeone spagnolo, affondato vicino alle coste americane, era stato impiegato in un esperimento americano su un particolare tipo di decadimento raro. Di ben maggiore importanza è stato però il suo impiego presso i Laboratori nazionali Infn del Gran Sasso. Grazie a questo piombo archeologico usato per la schermatura dell'esperimento «Cuoricino», attualmente in corso, la contaminazione da piombo-2l0 è risultata inferiore di almeno centomila volte a quella del più purificato dei piombi "moderni" Cuoricino fa parte di una serie di ricerche che si svolgono in tutto il mondo e fanno parte della cosiddetta «fisica senza acceleratori», una fisica basata cioè su processi che avvengono in natura e che nessun acceleratore, per quanto di grande energia, è in grado di ricreare. Le interazioni di neutrini prodotte, per esempio, da processi di fusione nucleare generano enorme energia all'interno del Sole: il loro studio ci ha permesso non solo di comprendere meglio quanto avviene in questa stella tanto vicina a noi, ma anche di osservare le cosiddette «oscillazioni di neutrino», in cui i neutrini solari, nel loro lungo viaggio nel Sole e verso la Terra, cambiano natura e si trasformano in neutrini di tipo diverso. Questo fenomeno ha grande importanza poiché indica che anche il neutrino ha una massa, cosa che ha conseguenze essenziali in cosmologia, in particolare per la comprensione dell'origine del nostro universo. L'esperimento «Cuoricino», che studia un processo nucleare rarissimo (il «decadimento doppio beta» in cui vengono emessi contemporaneamente due elettroni e nessun neutrino), cerca appunto di misurare il valore diretto della massa del neutrino: è l'esperimento pilota che prepara la strada all'esperimento «Cuore» (Cryogenic underground observatory for rare events), un vero -e proprio "osservatorio" sotterraneo per la ricerca di eventi rari. La materia oscura. Di questo stesso filone di studio sui decadimenti rari fa parte anche la ricerca di quelle particelle che costituiscono la "materia oscura" (per saperne di più: http://www.lngs.infn.it/materiaoscura/). Questo enigma riguarda la massa della nostra galassia e, in genere, di tutto l'universo, molto maggiore di quella che si giustificherebbe con la sola "materia visibile", di cui sono formate stelle e pianeti: ciò significa che esistono particelle, di natura insolita e ancora sconosciuta ma di grande massa, che - come i neutrini - interagirebbero pochissimo con la materia, dando luogo a loro volta a eventi rari. Ricerche di questo tipo sono in corso nei numerosi laboratori sotterranei: per esempio, nel laboratorio del Fréjus in Europa, in quello di Homestake negli Usa e di Kamioka in Giappone. Tra tutti, però, il più importante per dimensioni e strumentazione è quello realizzato, per iniziativa di Antonino Zichichi, nel tunnel del Gran Sasso. * Ordinario di Fisica nucleare e subnucleare Università Milano Bicocca Materia oscura Tra gli enigmi dell'universo c'è la massa non visibile della galassia A CACCIA DI EVENTI RARI ARMATI DI PIOMBO Operazione di recupero del piombo rinvenuto in una nave romana affondata: è stato utitizzato per schernire un esperimento di fisica nei Laboratori del Gran Sasso Il piombo è un ottimo materiale di schermatura e per questo viene usato per proleggere dalla radiazione esterna i delicati apparati utilizzati nelle ricerche di fisica nucleare: questo tipo di ricerca, infatti, va a caccia di "eventi rari", le cui tracce tenuissime possono essere facilmente nascoste in mezzo a tanti segnali spuri. Di qui, la necessità di impiegare efficaci sistemi di isolamento, per esempio, dai raggi gamma. Ettore Fiorini, ordinario di Fisica nucleare e subnucleare all'Università Milano Bicocca, che da molti anni studia i processi rari legati alla radiazione naturale, è stato protagonista di una curiosa avventura, che ha segnato una stretta alleanza tra fisica e archeologia. Tempo fa, venne a sapere del ritrovamento dei resti di una navis oneraria (nave commerciale) romana, affondata a qualche miglio dalla costa sarda durante il trasporto di un eccezionale carico di piombo: al centro del relitto erano accumulati 1.500 lingotti (tutti di eguale misura e peso), un vero tesoro agii occhi degli archeologi, ma anche dei fisici che, Fiorini in testa, intuirono subito la possibilità di utilizzarli nei loro esperimenti. In cambio di un finanziamento da parte dell'Infn a supporto delle operazioni di recupero, la Soprintendenza di Cagliari e Oristano concesse l'uso di una preziosa parte di lingotti. Subito sottoposti ad analisi, essi risultarono di altissima qualità: praticamente, il materiale meno radioattivo del mondo, in virtù della sua età (la radioattività del piombo 21(3 si dimezza ogni 22 anni) e della protezione offerta durante duemila anni dalla massa d'acqua soprastante. Presa ben presto la strada dei Laboratori nazionali del Gran Sasso, questi lingotti di piombo romano sono per i ricercatori molto più preziosi che se fossero d'oro. OPERE D'ARTE, Per avere un'idea di quanto la nostra società sia debitrice alla fisica, basta entrare in un ospedale e guardarsi attorno: ci si rende subito conto di che cosa abbiano significato per la medicina gli studi condotti, per esempio, sulla radioattività. Dalle prime scoperte datate cento anni fa fino a quelle più recenti, è stato tutto un susseguirsi di nuovi e sempre più rapidi sviluppi: sono arrivate tecniche diagnostiche sempre più precise - dai raggi X alla risonanza magnetica, alla Pet - e sempre più potenti forme di radioterapia, utili soprattutto nella lotta al cancro. La straordinaria importanza di queste ricadute della fisica è del resto testimoniata da un gran numero di riconoscimenti, dal Nobel assegnato ne: 1901 a Roentgen a quello del 2003 vinto da Lauterbur e Mansfield. Meno nota è, invece, una serie d applicazioni sviluppate in anni più recenti e destinate, in particolare, alla salvaguardia dell'ambiente e alla conoscenza e conservazione del patrimonio storico-artistico, due settori che richiedono oggi un rigoroso approccio scientifico. Nella diagnostica e nel restauro delle opere d'arte si fa infatti crescente ricorso a nuove tecniche di analisi non distruttiva, derivate dalla fisica nucleare: si tratta di tecniche tanto complesse e sofisticate che solo pochi laboratori nel mondo possono dotarsene. In questa rete di eccellenza si è ora inserito il nostro Paese che, per la vastità e la ricchezza del suo patrimonio, ne ha particolare bisogno. Soprintendenze, musei, biblioteche, archivi e collezioni private possono così far affidamento su servizi tecnologici di supporto che, fino a poco tempo, fa erano disponibili solo all'estero: frutto di un importante investimento dell'Infn (5 milioni di euro solo di strumentazione), opera da quest'anno a Firenze il restauro con il nucleare "Laboratorio di tecniche nucleari applicate ai beni culturali" (Labec), che si è aggiunto ai laboratori Tandetron di Mesagne (Brindisi) e Landis di Catania, e rappresenta la principale struttura del settore. «@Ifa Il-Sole 24 Ore» lo ha visitato in compagnia del suo direttore Pier Andrea Mandò. Professor Mandò, che cosa rende il Labec un laboratorio tanto speciale? Senza dubbio le sue attrezzature, oltre che, naturalmente, la lunga esperienza maturata nel settore dal suo personale. Le potenzialità del Labec sono legate ai suoi avanzati strumenti, a cominciare dal nuovo acceleratore di particelle di tipo Tandem, che è corredato di tre sorgenti separate e dedicate a due diverse applicazioni: la macchina ci permette infatti da una parte di datare i reperti col metodo del carbonio-14 tramite la tecnica "Ams" (Accelerator mass spectrometry) e, dall'altra, di analizzare i materiali con le tecniche "Iba" (Ion beam analysis). Questa doppia potenzialità è ciò che, almeno alla data di oggi, rende il Labec una realtà unica a livello mondiale. Che vantaggi offrono questi due sistemi al top della moderna tecnologia? Indagare con l’Iba i materiali che compongono un'opera d'arte significa ottenere informazioni su tecniche di produzione e fanti di approvvigionamento del passato, risolvere problemi cronologici, riconoscere i pezzi autentici dai falsi, avere indicazioni utilissime sulla strategia di restauro più corretta: tutto ciò senza arrecare alcun danno né prelevare campioni. L'Ams è invece una tecnica ultrasensibile, in grado di riconoscere in un campione la presenza di isotopi "rari" (fino a una parte su un milione di miliardi, mlr), e di misurare le concentrazioni residue di carbonio-14 in un reperto archeologico piccolissimo, di peso anche inferiore a un milligrammo, effettuandone così una datazione diretta. Oggi possiamo offrire agli studiosi dell'arte, agli archeologi e agli specialisti del restauro una gamma completa di tecnologie nucleari, con cui ottenere informazioni sorprendenti. Per esempio, i risultati che abbiamo raggiunto recentemente, analizzando con l’Iba la «Madonna dei fusi» di Leonardo, sono veramente interessanti perché, oltre a ricostruire la tavolozza dei colori usati dal Maestro e riconoscere le parti restaurate, abbiamo potuto misurare indirettamente lo spessore degli strati pittorici, mettendo in evidenza la sua raffinata tecnica di pittura (si veda l'articolo qui sotto). Questi stessi strumenti consentono di eseguire misure anche di tipo ambientale? Certo, con l’Iba possiamo misurare ad esempio l'inquinamento atmosferico da particolato, vale a dire quelle famose "polveri sottili" di cui tanto, e giustamente, si preoccupano gli enti per la protezione ambientale: e lo facciamo con una sensibilità e un livello di dettaglio che nessun'altra tecnica raggiunge. Con l’Iba e/o l’Ams possiamo anche ricostruire i flussi e misurare i cambiamenti nelle grandi correnti oceaniche, analizzando le acque del mare; o contribuire alla comprensione dell'evoluzione dei magmi vulcanici nella loro risalita alla superficie; oppure supportare le attività di prospezione millenaria, ricercando elementi in traccia in campioni di rocce, e molto altro ancora. In particolare, l'Ams è un sensibilissimo indicatore dei processi naturali che hanno caratterizzato in passato e continuano a caratterizzare l'evoluzione dell'ecosistema terrestre. Lo studio di problemi complessi legati al cambiamento climatico, alle risorse idriche, alla qualità dell'aria eccetera possono trovare in queste tecniche un supporto veramente prezioso. ____________________________________________________________ Il Giornale 29 gen. ’05 ECCO I FARMACI CHE CI CURERANNO A Basilea la sola Novartis sta sviluppando 75 progetti di ricerca LUIGI CUCCHE La capitale dell'industria farmaceutica europea è la città svizzera di Basilea. Qui sono nate e si sono sviluppate nell'arco di oltre un secolo imprese che hanno saputo far crescere le conoscenze dalla chimica dei coloranti per poi puntare sulla ricerca farmaceutica più sofisticata. Il mercato mondiale dei farmaci negli ultimi anni si è consolidato. I primi dieci gruppi ne controllano oltre il 50%, ma solo uno supera il 10%, vi sono spazi per nuove fusioni tra giganti. A Basilea ha sede Novartis, una delle prime industrie farmaceutiche al mondo, ha il 4,5% del mercato mondiale: è presente in 140 Paesi, ha un volume d'affari di 28,2 miliardi di dollari, 81.400 dipendenti. I suoi investimenti in ricerca sono tra i più elevati nell'area farmaceutica, raggiungono i 4,2 miliardi di dollari, pari al 19% del volume d'affari. Nel passato i ricercatori di Basilea hanno scoperto farmaci che hanno consentito alla medicina di compiere grandi passi avanti, tra questi la ciclosporina. I trapianti di cuore, di reni, di fegato non si sarebbero diffusi nel mondo senza l'azione di sempre più efficaci immunosoppressori. È grazie alla ricerca che oggi è disponibile un farmaco rivoluzionario come Glivec, presente in settanta Paesi, rappresenta l'unica terapia risolutiva per la leucemia mieloide cronica ed alcune forme neoplastiche gastrointestinali. A Basilea, per la terapia contro le metastasi ossee e il tumore della prostata hanno studiato e prodotto Zometa, mentre per il tumore al seno hanno messo a punto Femara che riduce anche le recidive. In oftalmologia, la degenerazione maculare senile, causa di cecità, è stata affrontata con un trattamento risolutivo come Visudyne. Incontrando gli scienziati del mondo farmaceutico si possono conoscere i nuovi principi attivi che presto nel mondo verranno impiegati per curare milioni di malati. Novartis ha in sviluppo 75 progetti di ricerca, di cui 43 per la messa a punto di nuove entità molecolari. È una delle pipeline più ricche tra quelle delle prime aziende farmaceutiche al mondo. I principi attivi in fase avanzata di test preclinici sono 64. Dieci i programmi che hanno già consentito la realizzazione di farmaci innovativi. Sono contraddistinti da sigle e costituiscono terapie innovative in numerose aree patologiche. Nel settore delle neuroscienze l'FTY720 è un immunomodulatore orale che ha già dimostrato la sua elevata efficacia (minori lesioni cerebrali e ridotte ricadute) nei suoi studi di fase II nel trattamento della sclerosi a placche, una malattia che colpisce nel mondo oltre un milione di persone. Per combattere le malattie cardiovascolari e del metabolismo è stata realizzata una molecola (LAF237), attualmente in fase III di sperimentazioni, agisce in modo particolare nel diabete di tipo 2 riducendo il tasso di emoglobina. Un nuovo antipertensivo (SPP100), primo di una nuova classe di farmaci, attivi nella inibizione dell'attività enzimatica della renina nel flusso sanguineo è in fase III. Per i pazienti oncologici colpiti da leucemia mieloide cronica che non rispondono alle terapie con Glivec stanno per iniziare le sperimentazioni in fase II di un composto orale (AMN107), inibisce il trasferimento del segnale che sopprime in modo selettivo alcune proteine responsabili della crescita e della divisione incontrollata dei globuli bianchi. Contro il tumore del colon retto con metastasi è in fase III di sviluppo un inibitore orale dell’angiotensina (PTK 787). Per il trattamento di alcune anemie che colpiscono migliaia dei 250mila pazienti che nel mondo necessitano di trasfusioni è già stata richiesta la registrazione negli Stati Uniti ed in Europa di un nuovo farmaco che rivoluziona la terapia. II controllo della funzione respiratoria potrà essere assicurato ai pazienti che soffrono di asma o di bronchite cronica ostruttiva da una sostanza (QAB149), che assicura per 24 ore il controllo della funzione polmonare. La pipeline della ricerca già ricca è destinata a svilupparsi. ___________________________________________________________ Il Giornale 29 gen. ’05 ANCHE I BAMBINI POSSONO ESSERE IPERTESI UNA RICERCA DI PEDIATRI MILANESI SU 2146 MINORI Prevenzione obbligatoria già nelle scuole IGNAZIO MORMINO Nuovo allarme in pediatria: anche i bambini sono ipertesi. Questa denunzia arriva dal convegno «La prevenzione cardiovascolare in età pediatrica», promosso dalla federazione italiana medici pediatri e dall'Università di Milano-Bicocca, col patrocinio della Regione Lombardia e della Società italiana dell'ipertensione arteriosa. Tra i primi relatori, due ricercatori del Centro interuniversitario di fisiologia clinica - Simonetta Genovesi e Federico Pieruzzi - hanno presentato i risultati di uno studio condotto (con la collaborazione della Federazione italiana medici pediatri e dell'ospedale San Gerardo di Monza) su 2146 bambini di entrambi i sessi, d'età compresa tra i sei e gli undici anni: alunni di scuole elementari della provincia di Milano. «È lo studio più ampio mai condotto in Italia per valutare la prevalenza dell'ipertensione in età pediatrica - ha spiegato Simonetta Genovesi - ma il problema esiste anche in altri Paesi». Lo studio in parola apparirà presto sull'autorevole Journal of hypertension. L'ipertensione interessa, attualmente, dal 4 a15 per cento dei bambini presi in esame, più nel sesso femminile che in quello maschile, e è in ottanta casi su cento associata non all'obesità ma al sovrappeso, che è già un forte segnale di allarme. Per questo, conclude lo studio condotto in provincia di Milano, il pediatra deve sempre controllare la pressione arteriosa dei suoi pazienti e correggere gli eventuali eccessi. Il convegno è stato nobilitato da una lettura magistrale del professor Alberto Zanchetti, il quale ha voluto ricordare che i bambini obesi (o soltanto in sovrappeso) sviluppano in oltre la metà dei casi, «una serie di condizioni che facilitano il rischio cardiovascolare». Dall'alto della sua esperienza, il professor Zanchetti ha spiegato che non solo l'ipertensione ma anche il diabete di tipo 2 «vengono sempre più spesso diagnosticati tra i 9 e i 15 anni». La federazione italiana medici pediatri, che ha lanciato questo nuovo allarme, rappresenta settemila specialisti (in Lombardia sono più di mille) che privilegiano l'aspetto preventivo della medicina. Il dottor Roberto Marinello, presidente per la Lombardia, ha rivendicato «interventi sempre più specifici per attuare una prevenzione capillare delle patologie cardiovascolari in età adulta». ____________________________________________________________ Libero 29 gen. ’05 LE DONNE RISCHIANO L'INFARTO MENO DEGLI UOMINI MA NON NE TENGONO CONTO E SI PREOCCUPANO DI PIÙ" di GIANLUCA GROSSI MILAN0 - Le donne rischiano meno di essere colpite da infarto rispetto agli uomini, ma si preoccupano di più. Sono le conclusioni di uno studio effettuato dal Cnr. Dalla ricerca è emerso che il46% delle donne sopra i 50 anni non corre nessun rischio di ammalarsi della più nota patologia cardiaca, contro il 35% degli uomini over 45. Si è visto inoltre che il 16% degli uomini coinvolti nello studio presentava almeno tre fattori gravi relativi al pericolo di subire un infarto, mentre nelle donne la percentuale era del 9%. È stato infine possibile stimare che se il rischio effettivo di andare incontro a un processo di necrosi dell'organo cardiaco in un individuo femminile è del 5%, quello realmente percepito è del 42%. Secondo Susanne Yolqvartz, direttore della Danish heart foundation, gli uomini sono colpiti dalla malattia in un'età mediamente minore di dieci anni rispetto alle donne. Un'ipotesi confermata da Peggy McGuire, direttore generale dell'European institute for women's health, la quale aggiunge che il motivo di ciò è dovuto ai livelli estro che conferiscono protezione alla fino alla menopausa. Infine, tenendo anche conto dell'incidenza delle malattie cardiovascolari nelle persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni, si può vedere che sono ancorale donne ad avere un cuore più forte. Statisticamente in questa fascia di età sono infatti colpiti da infarto il 3,6% degli uomini, contro l'1,1% delle donne; da ictus il 2,4% degli uomini e l'1,9% delle donne; da fibrillazione atriale il 2,5% degli uomini e il 2,4% delle donne; da ipertrofia ventricolare sinistra il3,8% degli uomini e il.2,1 % delle donne. _____________________________________________________________ Le Scienze 28 gen. ’05 CELLULE STAMINALI CONTAMINATE Il loro possibile uso terapeutico in soggetti umani sarebbe compromesso Le linee di cellule staminali embrionali umane attualmente disponibili per la ricerca negli Stati Uniti sono state contaminate con una molecola non-umana che ne compromette il loro potenziale utilizzo terapeutico in soggetti umani. Lo sostiene uno studio di ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università della California di San Diego e del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California. In uno articolo pubblicato online il 23 gennaio 2005 sulla rivista "Nature Medicine", gli scienziati scrivono di aver scoperto che le cellule staminali embrionali umane, comprese quelle attualmente approvate per lo studio con finanziamenti federali negli Stati Uniti, contengono sulla superficie un acido sialico chiamato acido N-glicolilneuraminico (Neu5Gc) che le cellule umane non sarebbero geneticamente in grado di produrre. In uno studio collegato, pubblicato il 29 novembre 2004 sulla rivista "Journal of Biological Chemistry", lo stesso gruppo di autori aveva descritto l'esatto meccanismo cellulare che ha causato questo fenomeno. Studiando una delle linee di cellule staminali embrionali approvate dal governo degli Stati Uniti, i ricercatori hanno determinato che Neu5Gc viene incorporato dalle cellule quando vengono fatte crescere o derivare da colture di laboratorio che contengono fonti animali della molecola in questione. Tutti i tradizionali metodi di coltura in vitro usati per far crescere le cellule staminali embrionali umane comprendono materiali di derivazione animali, come cellule del tessuto connettivo di topi o siero fetale di vitello. "Le cellule staminali embrionali umane - spiega Ajit Varki, principale autore dello studio - rimangono contaminate da Neu5Gc anche se crescono in condizioni di coltura speciali, con i sostituti del siero attualmente in commercio, probabilmente perché anche questi prodotti sono di derivazione animale". _____________________________________________________________ Le Scienze 28 gen. ’05 LA VERA CAUSA DEI TUMORI DELLA PELLE La fotoliasi è stata perduta dai mammiferi placentati durante l'evoluzione In uno studio che fornisce nuove informazioni sulla causa di alcuni tipi di tumore della pelle indotti da radiazioni UV, i ricercatori dell'Erasmus University Medical Center di Rotterdam hanno utilizzato un antico enzima che i mammiferi placentati non sono più in grado di produrre per identificare il principale tipo di danno responsabile dello sviluppo dei tumori della pelle. I risultati suggeriscono anche che questo metodo potrebbe essere utile per sviluppare terapie preventive contro il cancro. Com'è noto, la luce ultravioletta è una fonte di danni per il nostro DNA, ma in condizioni normali gli esseri umani e altri mammiferi sono in grado di rimediarvi grazie a un meccanismo di riparazione genetico. Se la riparazione risulta insufficiente, per esempio quando si prende troppo sole senza protezione, i danni possono condurre alla morte cellulare - le bruciature della pelle - e causare cambiamenti permanenti nel DNA (mutazioni) e l'insorgere di un tumore. Finora non era chiaro come i due principali tipi di lesioni del DNA indotte dai raggi UV - i dimeri di pirimidina ciclobutano (CPD) e i fotoprodotti 6-4 (6-4PP) - contribuissero ai processi della morte cellulare e della formazione del cancro. Identificare i contributi relativi di queste due tipologie di danno alla formazione dei tumori è essenziale per sviluppare terapie in grado di prevenire il cancro. CPD e 6-4PP, inoltre, riescono a danneggiare particolarmente le cellule dei mammiferi placentati perché questi, durante l'evoluzione, hanno perduto la capacità di produrre le fotoliasi, una classe di enzimi in grado di riparare le lesioni. Per tale motivo, la maggior parte dei mammiferi - compresi gli uomini - deve utilizzare un processo genetico meno diretto ed elaborato, la riparazione per escissione dei nucleotidi. Ora Bert van der Horst e colleghi hanno studiato gli effetti delle lesioni CPD e 4-6PP su topi transgenici dotati di enzimi fotoliasi, che rimuovono le lesioni usando la luce visibile come fonte di energia. I risultati, pubblicati sulla rivista "Current Biology", mostrano che, a differenza dei topi con il gene della fotoliasi 4-6PP, gli animali con il gene della fotoliasi CPD esibiscono una resistenza superiore agli effetti deleteri dei raggi UV. Pertanto, le lesioni CPD costituiscono il maggior intermediario nel danno cellulare indotto dai raggi UV che conduce a tumori della pelle. Inoltre, lo studio suggerisce che le fotoliasi potrebbero essere usate con successo per combattere questo tipo di tumori. Judith Jans, Wouter Schul, Yurda-Gul Sert, Yvonne Rijksen, Heggert Rebel, Andre P.M. Eker, Satoshi Nakajima, Harry van Steeg, Frank R. de Gruijl, Akira Yasui, Jan H.J. Hoeijmakers, Gijsbertus T.J. van der Horst, "Powerful Skin Cancer Protection by a CPD-Photolyase Transgene". Current Biology, Volume 15, No. 2, pp. 105–115 (26 gennaio 2005). © 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A. _____________________________________________________________ La Stampa 26 gen. ’05 VIA GENETICA PER RIDURRE IL COLESTEROLO FINO a qualche anno fa era accettata la classica nozione che l'acido ribonucleico (RNA), nella sua forma normale a singolo filamento (a differenza del DNA, a doppia spirale) avesse l'esclusiva funzione di trasmettere l'informazione genetica dal DNA stesso alle proteine: questo RNA assume quindi la denominazione di "RNA messaggero", mentre altri RNA di formato simile hanno funzioni accessorie. Questa visione si è però arricchita negli ultimi anni per la scoperta di nuovi tipi di RNA, conformati a doppia spirale, i "dsRNA ", dotati di imprevisti meccanismi d'azione: da essi prendono origine i cosiddetti "RNA corti" o RNA silenziatori genici. La rottura strutturale che produce questi "silenziatori" è mediata da un enzima, che trasforma l'RNA a doppia spirale in singoli filamenti, con una struttura complementare al gene bersaglio, che viene così reso inoffensivo. Questi elementi corti ("short interfering RNA" o "siRNA") sarebbero presenti in natura da tempo immemorabile, svolgendo il compito di "silenziare" virus e, in genere elementi genetici anomali: si pensa che questi siRNA fossero già operanti, durante l'evoluzione, addirittura prima della divergenza fra le piante e i vermi. L'importanza di questi meccanismi di blocco genico deve essere stata enorme, se si pensa che in una grande quantità di casi nel nostro genoma si sono inseriti degli elementi mobili (geni che saltano da un sito ad un altro, o "trasposoni"), i quali si comportano spesso da parassiti e devono essere silenziati se si vuole assicurare la necessaria stabilità del genoma stesso. Recenti studi ad esempio hanno rivelato come in organismi inferiori siano avvenute mutazioni del percorso genico dei siRNA, che impediscono il silenziamento dei trasposoni nei tessuti germinali. Altre forme di RNA silenziatori sono poi state scoperte del tutto recentemente, e stanno rivelandosi di estremo interesse, sia come strumenti di laboratorio che come potenziali agenti terapeutici. Ad esempio, una nuova classe è costituita dai cosiddetti "microRNA" (miRNA) a filamento singolo, ritrovati in tutti gli organismi multicellulari finora studiati, ed originati anche essi per rottura di RNA a doppia spirale: finora sono stati individuati 170 miRNA umani di questo tipo; la loro azione "silenziatrice", a differenza dei siRNA, si esercita in molti casi su di un numero assai più elevato di geni, anche centinaia per ogni singolo miRNA. Possiamo chiederci a questo punto quali siano le potenziali ricadute di tali scoperte. Alcuni recentissimi articoli sembrano attestare, almeno in animali di laboratorio, possibilità degne di nota. Nel primo caso, si è ottenuto da scienziati tedeschi ed americani, il silenziamento di un gene che codifica l'apolipoproteina B (apoB), l'elemento essenziale per la sintesi del colesterolo endogeno e le lipoproteine a bassa densità, responsabili di note affezioni metaboliche: topi trattati con un siRNA apposito hanno in effetti presentato una notevole riduzione dei valori di tali composti, dimostrando che questo RNA può comportarsi come un vero farmaco anti-colesterolo. Nel secondo caso, riferito da studiosi della Harvard University, si è usato un siRNA diretto verso il gene Fas, che è strettamente associato a una vasta gamma di malattie del fegato: l'iniezione di questo siRNA dopo che si era indotta in topi una epatite auto-immune proteggeva gli animali dalla fibrosi epatica, mentre in un altro modello di epatite fulminante la somministrazione di questo siRNA assicurava la sopravvivenza dell'80% degli animali mentre i topi di controllo morivano entro tre giorni. A queste osservazioni si è aggiunta la scoperta, presso i laboratori di Biologia Molecolare della Rockefeller University, di un altro RNA breve, un microRNA ("miR-375"), che dimostra una stretta specificità per le isole pancreatiche, dove è in grado di esercitare una importante attività regolatrice sulla secrezione di insulina: si pensa che ciò possa essere di aiuto per il trattamento del diabete. Come si vede, per questi elementi genetici di nuova individuazione sono all'orizzonte sorprendenti applicazioni terapeutiche. [TSCOPY](*)ITB-CNR Milano-Segrate[/TSCOPY] Sandro Eridani (*) _____________________________________________________________ Le Scienze 26 gen. ’05 LA PROTEINA DELLA SCHIZOFRENIA La forma breve di DISC1 è maggiormente presente nei nuclei dei neuroni Una forma abbreviata di una proteina chiamata DISC1 (Disrupted-In-Schizophrenia- 1) risulta distribuita in maniera unica e caratteristica nelle cellule cerebrali dei pazienti che soffrono di gravi disturbi psichiatrici. Lo sostiene una ricerca pubblicata sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences". Studi precedenti avevano associato il gene DISC1 alla schizofrenia, ma la proteina prodotta dal gene non era stata ancora studiata negli esseri umani. Esaminando la corteccia orbitofrontale, una regione del cervello coinvolta nelle emozioni e nel meccanismo di ricompensa, Akira Sawa della Johns Hopkins University di Baltimora e colleghi hanno analizzato la proteina DISC1 durante l'autopsia di individui normali e di pazienti che soffrivano di schizofrenia, disturbo bipolare, e depressione. Alcuni di essi soffrivano anche di abuso di droghe e di alcool. Gli autori hanno identificato una forma breve della proteina DISC1 nei cervelli di tutti i gruppi. Tuttavia, pur non rivelando variazioni nei livelli totali di DISC1 fra un gruppo e l'altro, i ricercatori hanno scoperto distribuzioni alterate della proteina DISC1 breve nelle singole cellule cerebrali. Nei neuroni dei pazienti di depressione e schizofrenia, ma non in quelli con il disturbo bipolare, una percentuale più alta delle proteine si trova nei nuclei. Questo arricchimento nucleare aumenta proporzionalmente alla gravità dell'abuso di alcool o di droga del paziente. Anche se la funzione della forma breve di DISC1 è sconosciuta, i ricercatori sospettano che possa provocare un'errata espressione genica, forse danneggiando i circuiti cerebrali e creando suscettibilità ai disturbi mentali e all'abuso di sostanze pericolose. Naoya Sawamura, Takako Sawamura-Yamamoto, Yuji Ozeki, Christopher A. Ross, Akira Sawa, "A form of DISC1 enriched in nucleus: Altered subcellular distribution in orbitofrontal cortex in psychosis and substance/alcohol abuse". Proceedings of the National Academy of Sciences (2005). _____________________________________________________________ La Repubblica 28 gen. ’05 IL SUDORE È UN FILTRO D'AMORE Un test nel Massachusetts prova che donne in menopausa diventano più affascinanti con il feromone isolato dalle ragazze se è dell'ascella di una giovane Più coccole, sesso e incontri galanti con l'additivo nel profumo di CRISTINA NADOTTI ROMA - Gli uomini si prendono per il naso e non per la gola. In tutti i sensi: si conquistano grazie all'olfatto, e non più grazie al gusto e alla buona cucina, e li si può gabbare con un profumo che non è il proprio. Scientificamente provato: il sudore dell'ascella di una donna giovane è un richiamo irresistibile per l'altro sesso, anche se ad emanare quel particolare olezzo è una donna in menopausa avanzata. La rivista New Scientist riferisce di una ricerca condotta da Joan Friebely, della Harvard University e da Susan Rako, della Massachusetts University, grazie alla quale è stata provata l'efficacia di un ingrediente chimico, che sembra agire come un amplificatore di fascino per le signore più anziane. La scoperta del feromone 10:13, una sorta di filtro d'amore isolato dal sudore, si deve alla biologa Winnifred Cutler, che lavora per un centro di ricerca in Pennsylvania. Cutler ha isolato il feromone dal sudore di giovani donne e poi ne ha riprodotto sinteticamente la composizione chimica. In seguito l'efficacia dell'amplificatore di fascino è stata sperimentata su 44 donne, tutte di età successiva alla menopausa. Metà di loro ha aggiunto al profumo usato abitualmente la copia chimica del feromone, mentre l'altra metà ha usato solo un placebo. Nessuna delle partecipanti all'esperimento sapeva se stava usando il vero feromone o il placebo, e tutte hanno tenuto un diario durante le sei settimane del test. I risultati sono stati lampanti: le donne che usavano il feromone-copia, nel 41 per cento dei casi hanno riferito che nelle sei settimane di sperimentazione hanno ricevuto molte più attenzioni dai loro partner: carezze, baci, coccole con rinnovato vigore. Tra le donne che avevano usato il placebo, solo il 14 per cento ha detto di aver notato un maggiore desiderio nei partner. Sono state poi ben il 68 per cento le donne che nell'usare il feromone hanno notato di avere rapporti sessuali più frequenti, mentre, per quelle che non avevano un partner stabile, sono aumentati gli inviti per serate galanti. Quale sia il segreto del feromone 10:13 è ancora un mistero e potrebbe restarlo a lungo. Chi ha scoperto la sua formula chimica, Winnifred Cutler, è determinata a non rivelarla finché il brevetto non sarà appannaggio esclusivo della sua organizzazione, il centro per il benessere delle donne "Athena". Se l'ormone sintetico sarà un giorno sul mercato, si potrebbe avviare la corsa alla duplicazione di altri odori del corpo. Chissà con quali risultati. _____________________________________________________________ Le Scienze 25 gen. ’05 INQUINAMENTO E TUMORI PEDIATRICI I bambini che nascono in prossimità di particolari hotspot sono maggiormente a rischio Secondo i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista "Journal of Epidemiology and Community Health", l'esposizione all'inquinamento ambientale quando sono ancora nell'utero può aumentare il rischio di tumore nei neonati. I bambini nati nelle vicinanze di particolari "hotspot" di emissioni avrebbero infatti maggiori probabilità di morire di cancro prima del loro 16esimo compleanno rispetto ad altri. Ma alcuni esperti manifestano perplessità sulla ricerca e ritengono che i risultati vadano presi con cautela. George Knox dell'Università di Birmingham ha esaminato una mappa delle emissioni chimiche nel Regno Unito nel 2001, e i dati dei bambini di età inferiore ai 16 anni deceduti per leucemia e altri tipi di tumore fra il 1966 e il 1980. Lo scienziato ha calcolato che i bambini nati nel raggio di un chilometro dai "punti caldi" di emissione di particolari sostanze chimiche hanno da due a quattro volte più probabilità di morire per un tumore entro i 16 anni rispetto agli altri bambini. I rischi maggiori provengono dalla vicinanza alle emissioni di 1,3-butadiene e monossido di carbonio, prodotti dagli scarichi delle automobili. Secondo Knox, le madri possono inalare tossine ambientali e trasmetterle al feto attraverso la placenta. Il ricercatore si rende conto che le emissioni sono calate con il passare degli anni, e che c'è un gap di decenni fra i dati sui decessi e quelli sull'inquinamento da lui considerati, ma ritiene che lo studio debba far riflettere a livello di popolazione, e che non dovrebbe causare allarme nei singoli individui. Altri esperti sono scettici. "I tassi della maggior parte dei tumori pediatrici - commenta Anthony Michalski dell'Institute of Child Health - sono relativamente simili nei paesi industrializzati e in quelli non industrializzati, cosa che non ci si aspetterebbe se questa ipotesi fosse corretta". _____________________________________________________________ Le Scienze 24 gen. ’05 LA STIMOLAZIONE MAGNETICA DEL CERVELLO Sviluppata una nuova tecnica i cui effetti durano oltre un'ora La stimolazione magnetica transcranica (TMS), la tecnica nella quale il cervello viene stimolato mediante una bobina magnetica mantenuta all'esterno del cranio, si è rivelata promettente sia per lo studio del cervello sia per la cura di disturbi mentali come la depressione, l'epilessia, e il morbo di Parkinson. Questi campi magnetici inducono minuscole correnti elettriche all'interno della scatola cranica che alterano l'attività dei processi neurali. Ma se la TMS offre il vantaggio di essere relativamente sicura e non invasiva, i risultati del suo uso nella ricerca e nella terapia non sono stati finora del tutto soddisfacenti. Negli studi sugli esseri umani, gli effetti neurologici della TMS si sono rivelati transitori e raramente durano più a lungo di 30 minuti. Ora, alcuni ricercatori guidati da John Rothwell dell'Istituto di Neurologia dell'University College di Londra hanno sviluppato un nuovo metodo di TMS che produce cambiamenti rapidi, consistenti e controllabili nella corteccia motoria del cervello umano. I cambiamenti perdurano oltre un'ora, e consentiranno di effettuare ulteriori ricerche di eventuali applicazioni terapeutiche. Gli scienziati hanno applicato vari schemi di impulsi magnetici ripetitivi al cranio di soggetti volontari, mirando alla corteccia motoria che controlla la risposta muscolare, in quanto questi effetti possono essere misurati in maniera oggettiva registrando la quantità di risposta muscolare elettrica alla stimolazione. Gli autori hanno scoperto di poter produrre effetti controllabili, consistenti e perduranti, usando brevi impulsi di bassa intensità per un periodo da 20 a 190 secondi. In questo modo, in particolare, è possibile superare le limitazioni della tecnica di stimolazione che produce un misto di eccitazione e di inibizione della trasmissione di segnali fra i neuroni. Gli effetti eccitatori della TMS si accumulano rapidamente, nell'arco di un secondo, mentre quelli inibitori si manifestano dopo diversi secondi: perciò, regolando la lunghezza della stimolazione, si possono favorire gli effetti eccitatori o soppressivi sul cervello. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Neuron". Ying-Zu Huang, Mark J. Edwards, Elisabeth Rounis, Kailash P. Bhatia, John C. Rothwell, “Theta Burst Stimulation of the Human Motor Cortex”. Neuron, Vol. 45, No. 2 (20 gennaio 2005).