CAGLIARI: LA CARICA DEI PROFESSORI - CONCORSI, UNA FABBRICA DI ASINI L'UNIVERSITÀ CAGLIARITANA? - CACCIA ALLE LAUREE FALSE SU UN SITO INTERNET - CAGLIARI: NASCE LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA - UNIVERSITÀ, DALLA REGIONE TAGLI PER OTTOCENTOMILA EURO - LA SCENEGGIATA DEL MINISTRO E LA MORTE DELL'AUTONOMIA - RETTORI IN DIFESA DELL'AUTONOMIA - SU INTERNET APPRODA LA PROTESTA DEI RICERCATORI DEL CNR - CNR, NON SOLO SCIENZA - AL MINISTERO L'INGLESE NON PIACE - TASSE ALL'INSÙ ANCHE PER LE INVENZONI - ITALIA LEADER NELLA RICERCA SUI NEUTRINI - LE BIBLIOTECHE VIRTUALI SPOSANO LA GRID - A TRENTO NASCERÀ IL COMPUTER-UOMO - E BILL GATES FA RICERCA A TRENTO - HP: ECCO IL COMPUTER SENZA TRANSISTOR - SARDEGNA DIGITALE IN RITARDO: LE STRATEGIE REGIONALI - RUBBIA NON VUOTE IL NUOVO DG ENEA - COMPETITIVITÀ, I FALSI MITI DA SFATARE ================================================================== DON VERZÉ: LA CHIESA PRESTO DOVRÀ ACCETTARE PILLOLA E PRESERVATIVO - EMBRIONI: COLOMBO REPLICA A BONCINELLI - «GLI EMBRIONI CONGELATI BASTANO PER 500 ANNI» - RICERCA, CATTOLICI DIVISI SPUNTA IL FRONTE DEL «SÌ» - DAL MITO GRECO AI LABORATORI LE CHIMERE DIVENTANO REATÀ - DIRINDIN: IL DISAVANZO 2004 SARÀ SUPERIORE RISPETTO AL 2003 - IL CONSIGLIO: «CHIAREZZA SULLO SVINCOLO DEL POLICLINICO - AL BROTZU ARRIVA LA SUPER TAC - BROTZU: CARTELLA CLINICA ADDIO, C'È IL PC - DIAGNOSI TEMPESTIVE E TERAPIE EFFICACI CON LA TELEMEDICINA - ALLA CAMERA UNA LEGGE PER NON FAR SOFFRIRE DI ANIMALI - GLI OSPEDALI SI METTONO IN MOSTRA AL SANIT - PACEMAKER ANTI-DEPRESSIONE SOTTO PELLE - CERVELLO, AL DI LÀ DEI NEURONI - L’ALZHEIMER NASCE DALL'EVOLUZIONE - LA RISONANZA MAGNETICA VEDE SINGOLE MOLECOLE - TUTTE LE ANALISI MEDICHE IN UN CHIP - LA SINDONE NON É UN FALSO HA DAI 1300 AI 3000 ANNI - L’ARTRITE REUMATOIDE PUÓ NASCONDERE MALATTIE CARDIACHE' - STOP ALLA MIOPIA CON UN FARMACO - «IO, DOTTORE IN REFLECTING, CURO USANDO LE PAROLE DEI PAZIENTI» - TRE CAFFÈ AL GIORNO? GIOVANO ALLA SALUTE - USA, DA CELLULE STAMINALI DI EMBRIONI UMANI LA VIA PER CURARE LE PARALISI - IMPIANTI DENTARI CON QUESTE AVVERTENZE - FEGATO, IL VERO PERICOLO È DOPO I QUARANT'ANNI - LE DONNE E LA SCLEROSI MULTIPLA - QUANDO COMINCIA LA VERA MORTE? - ================================================================== ______________________________________________________ L’Unione Sarda 30 Gen. ’05 UNIVERSITÀ, LA CARICA DEI PROFESSORI La Moratti sospende il maxi concorso ma al Rettorato minimizzano: solo uno slittamento Centoventinove docenti da assumere, scatta il toto-cattedre Rischia di saltare il concorso per l'assunzione di 129 docenti, tra ordinari, associati e ricercatori, nell'ateneo di Cagliari. La sospensione è stata imposta dal ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, con una lettera trasmessa a tutti i rettori delle università italiane che avevano avviato le procedure per i concorsi. Un colpo che si spera sia solo momentaneo: il ministro ritiene indispensabile «verificare la compatibilità delle procedure concorsuali». Dal rettorato cagliaritano arrivano parole di tranquillità: un semplice slittamento che non comporta nessun rischio. Intanto però anche l'ateneo di Cagliari deve inviare al dicastero, entro il 15 febbraio, i dati sul personale necessari per la valutazione dei concorsi. Proprio il giorno prima scade il termine ultimo per la presentazione delle domande per la partecipazione alla selezione dei 129 novi docenti (19 professori ordinari, 31 associati, e di 79 ricercatori). Un bando che fa gola a molti e che ha avviato il consueto e inevitabile "toto-docenti", che sarà ufficializzato solo al momento della chiusura delle iscrizioni al bando. Uno spaccato dei possibili protagonisti (e magari futuri associati od ordinari) in alcune facoltà è già stato fatto. Per i posti da ordinario in pole position (all'interno dell'ateneo cagliaritano) gli associati, mentre per i posti di associato i "papabili" sono alcuni ricercatori. Essendo un concorso aperto a tutti impossibile dire, a oggi, quanti parteciperanno (possono esserci anche docenti o candidati che arriveranno dalla Penisola) ma i bene informati parlano di favoriti numero uno ai nuovi posti. Per il posto da ordinario in Metodi matematici dell'economia e delle scienze attuariali e finanziarie, duello interno tra Tulio Usai e Beatrice Venturi, mentre per la cattedra di associato in Economia aziendale, la ricercatrice storica, Patrizia Modica, è il nome che circola con maggior insistenza. Quattro i posti nella facoltà di Lettere. Interrogativi per Storia dell'arte medioevale e Lingua e letteratura latina, mentre per Letteratura italiana due gli associati in competizione, Gonaria Floris e Franco Tronci. Per il posto in Storia contemporanea Luciano Marroccu in prima fila, mentre Leopoldo Ortu sembra indirizzato alla non partecipazione. In questo caso sembra sicura la partecipazione di un professore esterno. Due le cattedre anche in Lingue e letterature straniere, mentre il posto in Scienze (per ordinario in Georisorse minerarie e applicazioni) avrebbe un candidato favorito, l'associato Carlo Marini (ma potrebbero partecipare anche docenti da Ingegneria). Complicato il toto-professori per i cinque posti in Medicina (Biochimica, Microbiologia, Gastroenterologia, Neurochirurgia, Metodi e didattiche della attività motorie), con possibili inserimenti dalla Penisola. In Gastroenterologia circola la voce di un interno, l'associato Luigi De Melia. Per Farmacologia (facoltà di Farmacia) possibilità per Ezio Carboni. In Ingegneria, cattedra di Idraulica, hanno i requisiti buoni Giorgio Quarzoli e Andrea Balzano, così come in Analisi Matematica potrebbe esserci una corsa tra Stella Piro Vernier e Anna Grimaldi. Altri due posti sono disponibili in Architettura tecnica e Disegno. Complesso il discorso per gli associati, anche se qualche nome esce comunque: in Scienze Politiche Pierpaolo Merlin (per Storia moderna), in Scienze, Sebastiano Banni (per Fisiologia), Valeria Nurchi e Davide Atzei (per Chimica Analitica), Enzo Tramontano (per Microbiologia generale), Gianni Fenu (in Informatica), in Medicina Paolo Usai (Gastroenterologia), Caterina Montaldo (per Malattie odontostomatologiche). Un po' inatteso il posto di associato in Farmacia, per Microbiologia e microbiologia clinica: si pensava a una possibilità per ricercatore. Matteo Vercelli ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 feb. ’05 CONCORSI, UNA FABBRICA DI ASINI L'UNIVERSITÀ CAGLIARITANA? La fabbrica degli asini. Il Ministro blocca i concorsi universitari. Che il Ministro berlusconiano abbia ragione anche visto da sinistra? Forse. E' almeno quanto risulta da una lettura della stampa sarda che riporta i candidati in pectore espressi "sommessamente" dalle Facoltà per gli ultimi bandi di concorso, quelli bocciati dal Ministro. Perché sommessamente? In realtà (la realtà istituzionale) i concorsi sarebbero banditi dall'Ateneo, "in modo anonimo", sentite le Facoltà. Un'altra realtà, almeno secondo la stampa, porta, invece, per ogni concorso nomi e cognomi. È a questo punto che nascono i problemi, sui nomi e cognomi indicati sempre dalla stampa. Il lettore che si diverte e viaggia su Internet sa che è possibile visitare i curricula dei candidati con i moderni strumenti dell'informatica, oltre la privacy, sceglie dei nomi a caso e si inventa commissario di concorso. Il lettore fa in pratica quanto vorrebbe fare l'irrequieto "accademico di strada", ma che non gli è consentito fare né in Facoltà né nei confronti del Magnifico: i concorsi non portano indicazioni nominative. Successivamente risulta che il giudizio della Commissione giudicatrice è insindacabile: "all'accademico di strada" non è consentito fare una valutazione comparativa fra i candidati neppure a posteriori, nelle sedi opportune. Ritorniamo al nostro lettore, viaggiatore esperto di Internet. Ha scelto alcuni nomi a caso fra i candidati indicati dalla stampa. Il lettore non ha esperienza di curricula universitari e sceglie, per una valutazione comparativa, alcuni nominativi di docenti universitari in attesa di concorso. Il nostro lettore rimane confuso. Egli scopre che il candidato a professore ordinario ha un curriculum inferiore a quello di un ricercatore, il candidato a professore associato pure. Il lettore rinuncia alle sue ricerche ricordando, però, le poco simpatiche espressioni del Presidente Cossiga nei confronti dell'Ateneo cagliaritano in occasione della vicenda del professore razzista. Che l'Ateneo cagliaritano sia una fabbrica di.......? È il lettore inesperto che parla, non sa di università anche se naviga su Internet, ma forse così si spiega anche il tono "sommesso" con cui questa fabbrica viene gestita. L'accademico di strada non si rassegna: sa che è possibile cambiare, alla prossima puntata. Paolo Pani Professore ordinario di Patologia generale ______________________________________________________ Il tempo 3 feb. ’05 CACCIA ALLE LAUREE FALSE SU UN SITO INTERNET Il governo Usa lancia una campagna anti-truffa NEW YORK - Un diploma della Hamilton University nel Wyoming o dell'Hamilton College di New York possono sembrare equivalenti a occhi inesperti. Ma la prima è una "fabbrica di diplomi" che non rilascia titoli riconosciuti, mentre la seconda è una piccola, ma rinomata istituzione newyorchese. Per cercare di aiutare datori di lavoro e anche uffici federali e statali a valutare i titoli di studio, spesso altisonanti presenti nei curricula di chi cerca lavoro, il governo americano ha lanciato una campagna di caccia ai falsari che ruota intorno a un nuovo sito Internet, dedicato a elencare i diplomi legittimi. Creato dal ministero dell'Educazione, il sito (http://ope.ed.gov/accreditation) elenca circa 6.900 istituzioni legittime, permettendo a chiunque di valutare se una particolare università sia stata riconosciuta o meno dalle autorità locali. Il governo federale negli Usa non accredita alcuna scuola o università, affidando il compito a organizzazioni specifiche che agiscono su scala nazionale o statale. Ma questo crea enormi difficoltà soprattutto nel pubblico impiego, perchè non esistevano fino ad ora criteri specifici per valutare in modo uniforme la validità dei titoli di studio. È stato il Congresso a segnalare per primo all'amministrazione Bush la necessità di una svolta, dopo che un'inchiesta del Government Accountability Office, il braccio investigativo di Capitol Hill, aveva scoperto 28 funzionari federali di alto livello di otto diverse agenzie che avevano diplomi falsi. Più di 200 fabbriche di diplomi danno vita negli Usa, secondo le stime, a un giro d'affari di oltre 200 milioni di dollari l'anno, vendendo titoli di studio che nascondono assai pochi studi dietro i nomi altisonanti delle istituzioni che li rilasciano. Un fenomeno che è stato enormemente alimentato da Internet e dalla fioritura delle università online, molte delle quali nascondono veri e propri falsi dietro una brillante e accattivante homepage. Il sito presentato dal governo permette ora di accertare per esempio che l'Università di Phoenix - leader nell'educazione online - ha effettivamente un campus virtuale riconosciuto dalle autorità, con ben 71.052 iscritti. La Kansas State University offre insegnamento a distanza con un sito Internet che sembra rimasto fermo agli anni Novanta, mentre la Almeda University propone gli stessi diplomi con vivaci pagine web. Ma l'università del Kansas risulta legittimamente accreditata, mentre la Almeda non è riconosciuta e offre titoli basati sull"'esperienza professionale" di chi si iscrive, non sugli studi eseguiti. Negli Usa il riconoscimento dei titoli di studio è reso complesso dalla frammentazione delle istituzioni incaricate della valutazione. La Hamilton University, per esempio, è riconosciuta dalle autorità del Wyoming, ma chi utilizzi i suoi diplomi, per esempio a New York o in altri stati, rischia la galera con l'accusa di frode. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Gen. ’05 NASCE LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA In sei mesi circa pronte le carte, lezioni entro l'anno Il mercato premia e i corsi sulla materia sono molto seguiti Svolta nell'ateneo cagliaritano che accoglie la passione degli studenti verso l'arte di costruire CAGLIARI. Adesso ci crede anche il rettore: il dipartimento di architettura della facoltà di ingegneria fondato con altro nome da Gaetano Cima due secoli fa deve trasformarsi in una facoltà di architettura. Lo chiedono gli studenti, il mercato del lavoro è maturo, mentre gli insegnanti del dipartimento già da anni tengono due corsi di studi con lo stesso profilo europeo previsto nell'Ue per gli architetti. Manca la riconoscibilità all'esterno (lo spiega il rettore nella rivista dell'università) e anche la forza di attrazione nel dibattito culturale e nella formazione che una facoltà ufficiale può esercitare. L'ufficio del rettorato prepara le carte, in qualche mese dovrebbero essere compiute le formalità necessarie. Poi si potrà correre verso la prima lezione. Ufficialmente la richiesta è stata presentata nel consiglio di corso. Ma è un'idea che circola da anni e ha generato due corsi di laurea in ingegneria a numero chiuso (edile, dal 1996, architettonica, dal 2000, 300 studenti in tutto) e un corso di tecnologia della conservazione (dal 2001, per 60 giovani). Il rettore Pasquale Mistretta nella rivista dell'università, ora, si dichiara convinto: non c'è più ragione di tenere legati all'architettura gli indirizzi di laurea in ingegneria chimica, elettronica ecc. per come si è evoluto il mondo economico, produttivo e della ricerca, c'è bisogno di dare riconoscibilità alla formazione degli architetti sia per il lavoro, sia per "rendere spedite cooperazioni e parternariati". Ed è un vantaggio che non si cominci da zero sul piano culturale e su quello organizzativo. Spiega Carlo Aymerich docente di architettura e composizione architettonica e di architettura tecnica: "Laureriamo già 'architetti', i corsi sono impostati sullo stesso profilo europeo di architettura, si tratta di corsi paralleli a quelli di Roma 3 e del Politecnico di Milano. Abbiamo scambi intensi con facoltà europee di ottimo livello e i ragazzi si iscrivono più qui che a Chimica o a Meccanica: il 40 per cento degli iscritti a Ingegneria segue i corsi di edile e architettonica. I ragazzi che si laureano con noi non li troviamo ancora a spasso dopo un anno, un anno e mezzo. In Sardegna si fa sentire la necessità di avere professionisti più colti". Insomma c'è volontà istituzionale, apertura dei docenti, entusiasmo dei discenti: ci sarà anche la sede già pronta, come si racconta, vale a dire il complesso della Manifattura Tabacchi dismesso dai Monopoli di Stato? In una riunione del consiglio di corso, i tre docenti che sono stati e sono assessore all'urbanistica (Abis, Marchi e ora Campus) hanno parlato della qualità della Manifattura: grande, articolata, con cortili e parcheggi, non più dei Monopoli di Stato ma non ancora dichiarata fuori dall'"interesse governativo". In altre parole sarebbe facile ottenerla con una richiesta al ministero dell'università, senza violare lo statuto della regione autonoma della Sardegna il quale prevede che i beni demaniali dismessi, una volta cessato l'"interesse governativo", entrino nel patrimonio demaniale regionale: nel caso della Manifattura Tabacchi l'interesse governativo resta. Fin qui la burocrazia. Sul piano pratico bisogna vedere cosa c'è da fare per trasformare la fabbrica delle sigarette in una facoltà di architettura. Aymerich aggiunge: "Di fatto le lezioni di un primo anno di architettura si fanno già nei corsi di ingegneria edile e architettonica, per un po' si tratterebbe di continuare nelle aule attuali, ci si puà spostare in un secondo momento". L'indicazione è realistica perché non c'è intenzione di tenere doppioni: nata architettura spariranno i corsi di ingegneria più o meno equivalenti. Spiega Antonello Sanna docente di architettura tecnica e di caratteristiche degli edifici: "I corsi esistenti non continueranno, si trasformeranno perché pensiamo di formare meglio gli studeti con corsi di maggior respiro per la missione che ci poniamo: la qualità dell'ambiente costruito. In Sardegna l'edilizia pesa di più rispetto ad altri settori, gli indici hanno un trend positivo dove l'industria, per esempio, è in negativo. Ci vogliono ambiti di formazione appropriati. In questi anni abbiamo cambiato l'offerta formativa: c'è stato un riscontro positivo da parte degli studenti e nessuna lamentela da sovraccarico sul mercato del lavoro. Formiamo una figura professionale flessibile, il settore è in movimento e ha bisogno di strumenti per attivare dibattito e per promuovere scambi con altre facoltà. Tutto ciò è cominciato, ma non è ancora al livello delle necessità. La facoltà di architettura - conclude Antonello Sanna - sembra la risposta adeguata". ______________________________________________________________ 28 Gen. 05 UNIVERSITA’: LA SCENEGGIATA DEL MINISTRO E LA MORTE (ANNUNCIATA) DELL'AUTONOMIA Dobbiamo confessarlo apertamente: per un po’ ci avevamo creduto anche noi. Avevamo creduto alla favola bella del Ministro dell’Istruzione (non piu’ Pubblica, ormai da tempo) che, folgorato sulla via di Damasco, capisce che nella formazione e nella ricerca risiede il futuro del Paese e in Consiglio dei Ministri si straccia le vesti (firmate), si mette di traverso, minaccia di dimettersi e di ritirarsi a San Patrignano se l’Universita' non verra' finanziata, se il blocco delle assunzioni dei giovani ricercatori non verra' annullato, se insomma non verra' ripristinata quell’autonomia così importante per tutti da essere perfino oggetto di un articolo della Costituzione. E in questo slancio di ritrovato entusiasmo ci eravamo anche detti che in fondo il modesto vincolo della Finanziaria, la richiesta che gli Atenei presentassero piani triennali di sviluppo, era una cosa sensata.. Per anni ci eravamo riempiti la bocca con appelli alla programmazione, e ora che ci chiedevano di farla per davvero non potevamo certo lamentarci. E non sono mancati pranzi e cene per festeggiare i neo-assunti, che accettavano con gioia di svolgere compiti piu' onerosi in cambio del solito stipendio, perche' questa e' la natura del docente universitario: vale piu' un titolo su un pezzo di carta che una cifra maggiore in busta-paga. Ma ai poveretti era gia' toccato aspettare per un paio di anni, dopo che avevano vinto i rispettivi concorsi, prima che il Governo vedesse la luce e capisse che il taglio di una spesa (irrisoria) non iscritta nel bilancio dello Stato non aiuta a sanarlo ne' ad abbassare le tasse (ammesso che questo sia davvero il primo problema del Paese). Forti della nostra illusione, riuscivamo persino a scandalizzarci solo moderatamente del fatto che le nostre rappresentanze piu' o meno legittime e piu' o meno istituzionali, come la Conferenza dei Rettori e il CUN, per dirne due, stessero concludendo a tarallucci e vino una terrificante vertenza sullo stato giuridico dei docenti, e che, ben sazi del classico piatto di lenticchie, aiutassero il Ministro a imbellettare, con una mano di vernice trasparente, un provvedimento il cui iter naturale sarebbe stato invece nella direzione del cestino. In fondo ci era andata comunque meglio che ai magistrati! Potevamo inaugurare gli Anni Accademici senza sfilare con la Costituzione sotto il braccio, e dire ai nostri studenti, ai nostri dottorandi, alle nostre migliaia di precari di ogni genere, specie e varieta' che, in fondo, lassu' qualcuno li amava. Non sono passati quindici giorni, e ci siamo svegliati con la notizia che le elezioni per le commissioni dei nuovi concorsi, quasi tutti destinati ai piu' giovani, e attesi da piu' di un anno, erano state rinviate dal Ministero, come minimo per sei mesi, e piu' probabilmente a tempo indeterminato. E' stata dura, ma li' per li' siamo rimasti sopraffatti dalle profonde motivazioni tecniche: non c’era stato il tempo di ricontrollare le liste elettorali. Poi qualcuno si e' preso la briga di fare una verifica on line (siamo nell’era di Internet, per fortuna), e ha scoperto che le liste erano gia' perfettamente in ordine, con ritardi massimi di due giorni, grazie alla solerzia di migliaia di vituperati e malpagati funzionari amministrativi locali che hanno passato le vacanze di Capodanno a fare gli straordinari (non sempre retribuiti) per sistemare le pratiche pendenti. Ma non c’e' stato il tempo di metabolizzare il lutto: dopo una settimana si riunisce il Consiglio dei Ministri, e decide che abbiamo due mesi per predisporre una programmazione che nessuno e' stato capace di fare in vent’anni. Il tutto stabilito per Decreto-Legge, lo strumento-principe della governabilita' craxiana (a volte ritornano!) e col rischio che poi la maggioranza non lo converta in legge in parlamento entro i sessanta giorni di rito (sto scherzando, ovviamente: “questa” maggioranza approverebbe a scatola chiusa e con voto di fiducia anche la Legge del Menga). Non importa, ce la siamo voluta, e la faremo, anche a costo di rinunciare per l’occasione al nostro sport preferito, la bega accademica. Ma il Decreto in questione ci offre un altro regalo (timeo Danaos et dona ferentes, ammoniva Laocoonte davanti al cavallo di Troia): un “formidabile” aumento di stipendio ai giovani ricercatori mediante la riduzione a un anno, rispetto ai tre attuali, del periodo di prova. Ma un momento: e chi paga, visto che ovviamente l’operazione costa ma nel Decreto non pare si parli di vile denaro? Ma un altro momento: non è questo stesso Ministro quello che sta proponendo al Parlamento l’abolizione del ruolo dei ricercatori? E allora per chi è lo sconto di pena, per i pochissimi che sono appena entrati e che comunque si guarderebbero bene dall’andarsene, ormai, dopo averne passate tante? Ma ancora un momento: accorciamo il periodo di prova a persone cui stiamo dando un posto fisso per tutta la vita, e che hanno appena vinto il loro primo concorso, e continuiamo a lasciare in prova per tre anni il neo-professore associato (con un minimo di dieci anni di dimostrata professionalità alle spalle) , e per altri tre anni il neo-ordinario, che intanto si era gia' fatto i tre anni di cui sopra, e che di anni di professionalita' alle spalle ne ha almeno venti? Ma un attimo ancora: se davvero la preoccupazione era quella di sanare le discrepanze, e non soltanto quella di gettare fumo negli occhi, perche' non restituire semplicemente il maltolto e pagare ai giovani ricercatori l’indennita' di tempo pieno (40% del salario base) che viene loro indebitamente e iniquamente sottratta da tempo immemorabile in virtu' della solita legge stupida e raffazzonata? Il beneficio economico sarebbe stato all’incirca lo stesso, la perequazione normativa infinitamente maggiore, e il sospetto di truffa un po’ più lontano. Quanto alla durata del periodo di prova, riduciamola a scalare verso l’alto, non verso il basso, se non vogliamo che Aristotele e Cartesio si rivoltino nella tomba. E fosse finita qui! Passa un altra settimana, l’ultima, e arriva a tutti i Rettori, al CUN, alla CRUI, al CNVSU e, immagino, al Cappellano Militare d’Italia, l’ukase del Ministro: “bla bla in relazione a quanto sopra bla bla entro il termine ivi previsto bla bla SOSPENDERE L’AVVIO DI NUOVE PROCEDURE CONCORSUALI. (bla bla) SIA A TEMPO INDETERMINATO CHE DETERMINATO, bla bla fino alle previste verifiche di compatibilità da parte di questo Dicastero, bla bla bla” Ma se ci vogliono sei mesi per controllare un elenco di nomi, quanto tempo ci vorrà per controllare i piani triennali per tutti i tipi di personale di tutte le settantotto Università italiane? Sei anni? Sei lustri? Sei secoli? L’autonomia e' morta, viva l’autonomia. Il blocco annuale del reclutamento e' abolito, ora si passa al BLOCCO SECOLARE. Il Ministro ha salvato la ricerca: da chi? da se stessa? Perche' d’ora in poi, state pur tranquilli, la ricerca in Italia non la fara' piu' nessuno: i fondi non ci sono, quelli che ci sono vanno all’IIT, che anche a sentire il parere di chi lo aveva proposto e' il bidone del secolo; l’Italia ha deciso di non partecipare al Consiglio Europeo delle Ricerche; siamo fuori da tutti i programmi congiunti europei di ricerca industriale degni di nota; l’INFM e' definitivamente assassinato, l’INAF ha zero fondi sul bilancio di previsione 2005, l’INFN non potrebbe reclutare neanche Enrico Fermi se si presentasse redivivo, il CNR e l’ENEA sono navi senza nocchiero ( e senza quattrini). Ci avviamo a essere la settima potenza industriale a partire dal basso, anziche' dall’alto, e la nostra ricerca industriale e' esattamente un quarto di quel che dovrebbe essere. Nel frattempo abbiamo la meta' dei ricercatori per abitante e dei docenti per studente rispetto alla media dei Pesi industrializzati e, forse non per caso, abbiamo gli studenti piu' asini di tutti i Paesi OCSE, vedi il rapporto P.I.S.A. 2003 sulle conoscenze dei quindicenni scolarizzati. E sapete perchè fanno la statistica sui quindicenni? Perchè in Italia, e ormai solo in Italia, a 15 anni finisce la scuola dell’obbligo, e quindi se si prendessero ragazzi piu' maturi il campione non sarebbe omogeneo. Godi Fiorenza, godi patria delle scienze e delle arti, godi terra di eroi di santi e di navigatori! Ma oggi nella busta paga mi sono ritrovato 150 euro in piu'. Mi sono vergognato, ma non potendoli restituire, ne' versare nelle casse del mio Dipartimento da cui il Governo li ha indebitamente sottratti (fare una donazione a un Ente pubblico e' infinitamente piu' difficile che derubarlo), li inviero' alle vittime dello tsunami. E, per favore, non parlatemi di primarie! P.S. Mi rendo conto che tutto cio' che ho scritto e', per gli standard del nostro Presidente del Consiglio, comunista, e pertanto equiparabile alla Shoah (cronaca del 27.1.05). Vado a prepararmi per Norimberga. Prof. Paolo Rossi - Direttore Dipartimento di Fisica “E.Fermi” Universita' di Pisa ______________________________________________________ L’Unione Sarda 2 feb. ’05 UNIVERSITÀ, DALLA REGIONE TAGLI PER OTTOCENTOMILA EURO Nella Finanziaria sparisce la voce di spesa per il Consorzio Uno Ottocentomila euro per l'università oristanese. Col segno meno davanti. Il 2005 sarà un anno da ricordare, in negativo, per l'ateneo diffuso e in particolare per il Consorzio Uno, che gestisce al chiostro del Carmine cinque corsi di laurea triennale più uno biennale specialistico per circa 750 iscritti. L'articolo nove della Finanziaria regionale 2005 stesa dalla giunta di Renato Soru parla chiaro: è stato creato il cosiddetto fondo unico per l'università che servirà a finanziare tutti i corsi di laurea sparsi nell'Isola, compresi i due consorzi, quello di Oristano appunto e quello di Nuoro. Se nelle manovre degli anni scorsi per i due organismi di gestione pubblico-privati compariva una specifica voce, ora tutto cambia. I finanziamenti saranno destinati all'università diffusa in genere: ciò vuol dire che dallo stesso capitolo di spesa dovranno venir fuori i soldi non solo per Oristano e Nuoro, ma anche per tutti i corsi di laurea a distanza attivati nei vari centri della Sardegna, da Alghero a Tempio, da Olbia a Ilbono. E se i partecipanti al banchetto crescono, diminuisce la porzione di torta da assegnare a ciascuno. In più, se si aggiungono i tagli che questa finanziaria porta con sè, allora la somma a disposizione - sei milioni 250 mila euro contro gli otto milioni e ottocentomila del 2004 - si assottiglia ancora. A conti fatti, a Oristano arriverà dalla Regione circa un milione ottocentomila euro contro i quasi due milioni e seicentomila euro del 2004. Conseguenze immediate: se in programma c'era la partenza per il prossimo anno accademico di nuovi corsi di laurea, questi rimarranno nel libro dei desideri. L'allarme lanciato nei giorni scorsi dal Consorzio per la promozione degli studi universitari nella Sardegna centrale di Nuoro, attraverso il suo presidente Bachisio Porru, non ha tardato ad arrivare in città, anche se della questione ufficialmente ancora nessuno si è occupato. «In consiglio di amministrazione non ne abbiamo ancora parlato, lo faremo a breve - precisa il presidente di Consorzio Uno Antonio Barberio - ma è indubbio che per noi sarebbe un guaio, anzi se il provvedimento venisse confermato sarebbe esiziale. L'alternativa sarebbe cercare nuove fonti di finanziamento, magari ministeriali ma in quell'ottica dovremmo stabilizzare alcuni docenti che adesso arrivano da Cagliari e Sassari. E non è così facile». Più cauta la direzione generale del consorzio: «I tagli ci sono, siamo intorno al 26 per cento in meno rispetto al passato, ma tutto va visto nell'ottica di razionalizzazione che questo settore doveva subire, prima o poi. Qui si rischia che ogni Comune della Sardegna abbia la propria università, e non va bene. Se l'input è razionalizzare, razionalizzeremo anche noi. In ogni caso siamo tranquilli, ci siederemo con i rettori nel tavolo dell'assessore regionale alla Pubblica istruzione e porteremo i nostri risultati, poi si vedrà». Meno tranquillo, invece, il consigliere di amministrazione del consorzio (e presidente della Provincia nonché consigliere regionale di An) Mario Diana: «Così si manda a morire l'università diffusa - taglia corto - E pensare che nella prima versione della finanziaria compariva una cifra a parte da destinare alla nostra provincia così come per quella di Nuoro. Invece ora, chissà per quale ragione, è scomparsa, si è accorpato tutto in un singolo capitolo senza specificare chi saranno i beneficiari del fondo unico. Certo è che su questo bisognerà intraprendere una battaglia dura prima in commissione e poi in aula, dove chiederemo il voto elettronico per chiamata nominale. Intanto, sto preparando un apposito emendamento per Oristano e spero che mi seguano tutti i consiglieri, di opposizione ma anche di maggioranza, che hanno a cuore le sorti dell'università in città». Il primo appuntamento è fissato proprio per oggi: alle 10 in commissione Bilancio si comincerà a parlare della manovra e anche dei tagli all'università diffusa. Daniele Casale ___________________________________________________ Il Sole24Ore 5 feb. ’05 RETTORI IN DIFESA DELL'AUTONOMIA Un documento della Crui chiede al ministro di non bloccare i concorsi ROMA Università, il blocco dei concorsi può far scattare i ricorsi da parte degli atenei. L'avvertimento arriva dalla Crui, la Conferenza dei rettori, che in un documento approvato ieri denuncia «lo sconcerto» per le norme sulla programmazione delle assunzioni contenute nel decreto legge n. 7/2005 e sul successivo blocco delle procedure coucorsuali, comunicato nei giorni scorsi ai rettori dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti (si veda «Il Sole-24 Ore» del 28 gennaio). Il dl stabilisce che - come previsto dalla Finanziaria per il 2005 - entro il prossimo 31 marzo ogni ateneo dovrà presentare al Miur il piano delle assunzioni che intende fare nei prossimi tre anni. Sarà poi il ministero a verificare la coerenza dei piani con le risorse del Ffo, il Fondo di finanziamento ordinario, ma nel frattempo i concorsi vanno sospesi. «Simili provvedimenti potranno dar luogo a legittime azioni giuridico- amministrative da parte delle università», avverte la Crui, aggiungendo che «è impossibile ipotizzare programmi triennali in assenza di programmazione triennale degli investimenti da parte del Governo» e senza sapere «come il ministero intenda distribuire il Ffo per il 2005». Inoltre, denuncia ancora la Crui, «le norme relative alla verifica del possesso dei requisiti minimi risultano irrealistiche nell'impossibilità di procedure alle assunzioni>.. Il documento descrive una situazione complessa, nella quale gli adempimenti richiesti agli atenei si moltiplicano e si sovrappongono. Il giudizio dei rettori è categorico: «Non ci sono ragioni perché si debba ricorrere allo strumento del decreto legge. ovvero all'emanazione di direttive che travalicano le norme di riferimento e ledono l'autonomia universitaria. L'atteggiamento del ministro - accusa la Crui - finirà, ove non corretto, con il vanificare ogni possibilità di raccordo con l'intero sistema universitario». Per i rettori è necessario, invece, «individuare soluzioni rapide che non comportino blocchi per l'assunzione degli idonei e per le scadenze concorsuali del prossimo 18 aprile». Il documento affronta anche la questione del riordino dello status giuridico, reputando «indispensabile la trasformazione del disegno di legge delega in disegno di legge ordinaria» e proponendo «un ruolo docente a pieno titolo per i ricercatori». ALESSIA TRIPODI Docenti universitari Ordinari 18.106 Associati 18.130 Ricercatori 21.462 ___________________________________________________ L’unità 31 Gen. ’05 SU INTERNET APPRODA LA PROTESTA DEI RICERCATORI DEL CNR Un forum aperto dalla rivista «Le Scienze» ospita le critiche alla riforma del nuovo presidente: un modello economicistico che priva di autonomia gli scienziati Federico Ungaro Internet è un approdo sicuro anche per i ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche. A quanto pare, infatti, solo sulla rete, ed in particolare in un forum ospitato dalla rivista «Le Scienze», trovano spazio alcune critiche alla riforma del Cnr, così come sta per essere messa in pratica dal nuovo presidente, Fabio Pistella. A suscitare il malumore di alcuni ricercatori è in particolare il modello di gestione per commesse dell'ente. Un modello che secondo loro rappresenta una visione gerarchica ed economicista della ricerca, che priva della necessaria autonomia gli scienziati. Su questo punto anche altri ricercatori temono effetti negativi della riforma. «Sembra difficile non condividere alcune delle critiche apparse sul forum» spiega Aldo Amore dell'Istituto di struttura della materia. «Il sistema prevede una struttura burocratica, basata sui capi dipartimento, i capi progetto e i capi commessa che finisce per sovrapporsi a quella già esistente (i direttori degli istituti) complicando ulteriormente la situazione». «Non critichiamo l'idea di ricorrere a questo strumento - aggiunge Annamaria Paoletti, dello stesso istituto - ma sembra esagerato che circa il 70 per cento delle risorse del CNR per la ricerca vengano destinate a questo tipo di finanziamento. Del 30 per cento che rimane, solo la metà è lasciata alla "libera curiosità" dei ricercatori»: «Senza contare un altro problema - aggiunge la Paoletti - e cioè il modello full costing». Con questo termine si intende che nella commessa vanno indicati tutti i costi dell'attività, compresi gli stipendi dei ricercatori e le spese di gestione del laboratorio. «Un modello - dice Amore - adatto a una ricerca privata, finanziata dall'industria, dove si deve valutare rapidamente il rapporto costo/benefici ma che non sembra applicabile nel caso delle ricerche di medio-lungo termine che dovrebbero caratterizzare un ente pubblico di ricerca». «Insomma - aggiunge Amore - il risultato è che il lavoro del ricercatore rischia di essere declassato a quello di un tecnico che non deve far altro che mettere in pratica quanto stabilito dall'alto. Un peccato visto che il Cnr ha formato nel corso degli anni dei veri ricercatori, cioè delle teste pensanti, che ora però rischiano di essere sprecate». «Se si voleva cercare di riformare l'ente era possibile farlo in modo diverso, mantenendo intatto la sua funzione di ente di ricerca pubblico - continua -. Si poteva recepire il modello europeo, quello delle "calls for proposal", in cui l'ente decideva il tema e i ricercatori erano liberi di organizzarsi per presentare progetti di ricerca all’ interno del tema proposto». II malumore però sembra emergere solo sul forum> che non è nemmeno troppo frequentato. «In realtà - dice la Paoletti - ci sono ricercatori critici verso la riforma, ma non posso dire che siano la maggioranza. E questo succede un po' per desiderio di quieto vivere e un po' perché le continue riforme hanno frastornato molti». Un altro fattore di cui tenere conto è una particolarità un po' bizzarra per un ente di ricerca e cioè l'età media molto alta dei ricercatori, che si aggira sui 50 anni. «Nei prossimi due anni, 500 sugli oltre 3000 del Cnr se ne andranno in pensione per raggiunti limiti di età - spiega la Paoletti - ed è comprensibile che a loro non interessi prendere posizione su questo tema»: Una situazione questa che però finirà per indebolire la posizione di chi rimane. «I pensionati non saranno sostituiti da nuove assunti, perché il Cnr è sottoposto al blocco delle assunzioni valido per la pubblica amministrazione. E restano molti giovani che lavorano con contratti flessibili e sono quindi più vulnerabili», continua. «Condividiamo la posizione di quei ricercatori che hanno avviato il forum - commenta Rino Falcone, coordinatore dell'Osservatorio per la ricerca - ma non il metodo di agire attraverso un forum ospitato da una rivista su internet. Se non si protesta apertamente all'interno del Cnr - continua - si trasmettono due messaggi negativi. Il primo è che il clima nell'ente è tale da non lasciare spazio al dissenso: Il secondo è che in questo modo si giustifica il comportamento di chi tra i ricercatori preferisce stare da parte, mentre la riforma viene messa in atto». ___________________________________________________ Repubblica 3 feb. ’05 HARVARD NON TIRA PIÙ. MEGLIO LA SVIZZERA SOFIA fRA5tHIN1 Un tempo erano un modello assoluto, una terra promessa per dare prestigio al corso di studi e una svolta alla carriera. Oggi non più. Anzi, studiare negli States sta diventando demodé. Colpa., ancora una volta, dell' 11 settembre e dei suoi tanti effetti collaterali. Yale, Princeton, Columbia, Harvard e le meno note università a stelle e strisce continuano a perdere iscritti. A vantaggio di chi? Può sembrare incredibile, ma la concorrenza arriva dagli atenei svizzeri, che attirano matricole da tutto il mondo. Secondo una ricerca dello Swiss Federal Statistical Office, nel 2003 il numero di studenti stranieri iscritti nelle università della Confederazione è cresciuto del 16,6%, mentre negli Usa è sceso del 28 per cento. La fuga dì cervelli è nata con gli attentati alle lbvin Towers e la conseguente difficoltà a ottenere un visto d'ingresso per gli Usa. Non si tratta però solo di una questione burocratica, gli atenei americani iniziano a soffrire la competizione con le scuole di altri Paesi e a subire i risultati imprevisti delle scelte politico-sociali del Paese. La possibilità che alcuni tipi di ricerca, come quella sulle cellule staminali per esempio, vengano ostacolate o addirittura proibite per motivi etico religiosi sta allontanando Fonte: Swiss F.S.O. gli studenti interessati alle materia scientifiche. Una. tendenza confermato dal fatto che la Svizzera registra il maggior numero d'iscritti tra gli studenti stranieri proprio nel campo delle scienze naturali (53%). Ad attirare i giovani, soprattutto nei politecnici federali di Zurigo e Losanna, sarebbero inoltre la centralità in Europa e il plurilinguismo. Ma se è vero che il 75% dei nuovi iscritti proviene per lo più da Paesi limitrofi come Francia (14%), Italia (7%), Austria (4%) e Germania (24%), sono molto alte anche le quote di studenti provenienti dall'Africa (10%), dall'Asia-Oceania (9%) e dalla stessa America (8%). A quattro anni di distanza dall'11 settembre restiamo «tutti americani», ma per la laurea è meglio la vecchia Svizzera. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 CNR, NON SOLO SCIENZA Nell'articolo L'Eneide in greco? La finanzia il Cnr», apparso il 16 gennaio sul Sole-24 Ore, Carlo Ossola ha ben colto lo spirito che anima il Consiglio nazionale delle ricerche nella sua attività di promozione di progetti riguardanti le identità culturali. Desidero a questo proposito rassicurare l'autore e i lettori: l'auspicio che il finanziamento a tali ricerche venga raddoppiato per il 2005 si è infatti già tradotto in realtà con un provvedimento di approvazione del Consiglio di amministrazione. Ma non solo: alle identità culturali, il Cnr dedicherà - nell'ambito del già avviato riordino dell'ente - un dipartimento ad hoc. Una rilevanza fondata sulla convinzione che le scienze umanistiche, spesso classificate come "inutili e improduttive", ritrovino il loro ruolo soprattutto nelle situazioni di emergenza politica e sociale (basti pensare a quanto è accaduto con la conoscenza dell'Islam dopo l'attentato alle Twin Towers). È da dissipare, cioè, l'equivoco sulla "ricaduta produttiva" della ricerca, che non può essere valutata secondo criteri puramente economici e quantitativi, così come il patrimonio culturale non va considerato un "fondo" da amministrare secondo la legge del mercato, bensì come un elemento costitutivo dell'identità nazionale e quindi un bene comune della collettività. Roberto de Mattei Vicepresidente del Cnr ____________________________________________________ Il Sole24Ore 4 feb. ’05 AL MINISTERO L'INGLESE NON PIACE DI GIORGIO BARBA NAVARETTI Parola d'ordine, internazionalizzarsi. In questi giorni ogni bravo professore universitario, più o meno aperto al mondo, si dà un gran da fare. L'occasione è ghiotta. Il ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica ha stanziato 15 milioni per finanziare accordi internazionali tra università italiane e straniere per realizzare corsi di studio e programmi di ricerca congiunti. Obiettivo: giungere alla "costituzione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore". Tutto davvero molto efficiente. Moduli da compilare online; decreti online e, meraviglie delle meraviglie, il documento che non manca mai in qualunque sito aperto al mondo, il Faq, ovvero "Frequently Asked Questions". Finalmente, non più delle istruzioni top-down in un burocratichese che nessuno capisce, ma delle risposte a delle domande bottom-up che nascono dal cuore e dalla testa confusa di altri poveri e volenterosi professori come lui. Che cosa ha ancora da invidiare il Miur ad Harvard o al sito che promuove i server Ibm? Possibile che ci dobbiamo sempre lamentare delle cose di casa nostra? Il volenteroso professore, orgoglioso del suo Miur, potrà finalmente chiarire tutti i suoi dubbi. Il suo istinto a internazionalizzarsi sarà soprattutto attratto dalle Faq intitolate "Lingua" e favorevolmente impressionato dalla precisione delle risposte. Ah che meraviglia il,bottom up! Eccole. Il primo chiede: «E possibile avere la modulistica anche in lingua inglese?». «No, non è prevista in quanto sono solo i coordinatori italiani a presentare i progetti». Riprova il secondo: «Si potrebbe avere un breve documento in inglese che specifichi i punti più importanti?». «No, non è prevista nessuna modulistica in inglese». Infine il terzo, quasi insistente: «I nostri colleghi stranieri ci propongono di redigere la, proposta in inglese, è possibile?». «E previsto che la proposta da inviare al Miur debba essere redatta in italiano». Insomma, se dev'essere vera internazionalizzazione, e allora che i nostri colleghi stranieri imparino l'italiano, che diamine! Nel sito del Miur i moduli per gli stranieri ci sono solo in italiano ___________________________________________________ Il Sole24Ore 29 feb. ’05 TASSE ALL'INSÙ ANCHE PER LE INVENZIONI Innovazione / Procedure meno convenienti che in altri Paesi Ue Pari al 30% l'incremento della concessione per chi punta a ottenere tutela dei propri brevetti Aumentano le tasse da corrispondere allo Stato ~ quando si deposita una domanda per ottenere la concessione di un brevetto o la registrazione di un marchio, nonché quelle da versare annualmente o a scadenze prefissate per mantenere in vigore diritti già acquisiti. Scorrendo gli importi delle nuove tasse si può rilevare un aumento medio del 30% che, quindi, non è certamente ininfluente. In linea di massima un aumento di questo genere non aiuta le industrie a prendere in considerazione l'idea dì tutelare ì risultati della ricerca tecnologica e le innovazioni. Per comprendere il significato di questi aumenti è opportuno riassumere brevemente l’ iter di una domanda di brevetto di invenzione. Domanda di brevetto di invenzione. Il deposito della domanda deve essere accompagnato dal preventivo versamento della tassa di domanda (e della lettera di incarico se è nominato un mandatario) nonché dalla tassa di pubblicazione e stampa della descrizione, del riassunto e dei disegni, che varia a seconda della lunghezza della descrizione (ineluso riassunto e disegni), e è suddivisa in scaglioni a partire da meno di 10 pagine fino a più di 100 pagine. Si devono anche pagare anticipatamente le tasse di mantenimento in vigore per le prime tre annualità. La domanda è sottoposta dall'Ufficio italiano brevetti e marchi a un esame per verificare la regolarità formale e che non si tratti di invenzione non brevettabile, ma non ad accertare se sono soddisfatti i requisiti di novità, attività inventiva e applicabilità industriale, nonché quello della sufficienza e chiarezza di descrizione. L'Uibm procede, quindi, alla concessione del brevetto che viene inviato al titolare sotto forma di un semplice frontespizio. Questa procedura può richiedere anche più di due anni, dopo di che il titolare del brevetto è tenuto al pagamento della tassa annuale di mantenimento in vigore che aumenta di anno in anno. Lo Stato ritiene, infatti, che se il titolare ha interesse a mantenere in vita il brevetto questo significa che ne trae un utile per cui è giusto che si applichi una tassazione crescente (dal momento che passati i primi anni il titolare non ha più oneri di sviluppo e industrializzazione dell'invenzione brevettata). Consideriamo, per esempio, un brevetto di lunghezza (intesa come descrizione più riassunto più disegni) compresa tra 10 e 20 pagine (che costituisce la tipologia più frequente). Fino a ieri allatto del deposito si dovevano versare (mediante bollettino postale) 188,51 euro, corrispondenti a 41,32 euro (tassa di domanda e di lettera di incarico), 77,47 euro (tassa di pubblicazione e stampa fino a 20 pagine), e 12,91 +25,82 +30,99 (tasse di mantenimento per le prime tre annualità). Con i nuovi importi per la stessa domanda di brevetto l'esborso preventivo sarà di 246 euro, corrispondenti a 54 euro (tassa di domanda e di lettera di incarico), 101 euro (tassa di pubblicazione e stampa fino a 20 pagine), 17 +34 + 40 euro (tasse di mantenimento per le prime tre annualità). L'incremento è di circa il 30 per cento. Per giunta poiché il brevetto concesso non viene più pubblicato, anche la voce intitolata «tassa di pubblicazione e stampa» e la suddivisione in scaglioni crescenti non hanno alcuna ragione di essere perchè non corrisponde a un servizio effettivamente reso dalla Pa. Il confronto con l'Europa. Se effettuiamo lo stesso calcolo per il deposito di una domanda di brevetto in Francia, le tasse ufficiali da corrispondere all'amministrazione ammontano complessivamente a 370-385 euro, ma sono comprensive di una tassa dì 320 euro per la ricerca di novità, servizio che non viene reso dall'amministrazione italiana. La ricerca di novità consiste nell'individuare tutti i documenti di tecnica anteriore che su scala mondiale sono in qualche modo pertinenti all'invenzione rivendicata nella domanda di brevetto. Il titolare della domanda in possesso di questa informazione può valutare se si tratta di invenzione validamente brevettabile e se può ragionevolmente ritenere probabile che gli venga concesso un brevetto di contenuto. Le tasse annuali in Francia sono dovute a partire dal secondo anno dopo il deposito. Prendendo in considerazione la Germania, la stessa domanda comporta un costo iniziale come tasse di 660 euro, comprensivo di tassa di ricerca (250) e tassa di esame (350). Anche in Germania il pagamento delle tasse annuali di mantenimento in vigore inizia con il terzo anno. Venendo alla domanda di brevetto europeo, al deposito o entro 30 giorni dal deposito, va corrisposta una tassa che ammonta a 850 euro (tassa di domanda di 160 euro e tassa di ricerca di 690 euro). Le tasse annuali vanno corrisposte dal terzo anno. Tuttavia nel caso europeo la domanda può arrivare a coprire fino a 25 paesi. GIANFRANCO DRAGOTTI ___________________________________________________ Il Sole24Ore 1 feb. ’05 ITALIA LEADER NELLA RICERCA SUI NEUTRINI Fisica In arrivo nei laboratori del Gran Sasso 12 milioni di lastre hi-tech per fotografare le inafferrabili particelle L'esperimento in preparazione con il Cern di Ginevra è più avanzato di quello studiato dal FermiLab americano Ai laboratori nazionali del Gran Sasso è appena stato consegnato un carico molto delicato: si tratta di lastre fotografiche molto speciali prodotte in esclusiva per i ricercatori del grande laboratorio sotterraneo, che hanno un'esigenza molto particolare: fotografare i deboli segnali della più "elusiva" delle particelle, il neutrino. Questo particolare tipo di emulsione, sviluppato dalla Fuji Films, ha viaggiato dal Giappone via mare, e non in aereo, perché si temeva che potesse essere danneggiato dall'incontro con uno scia me di raggi cosmici; nessuno, però, aveva previsto l'incontro con lo tsunami, che ha sorpreso la nave al largo dell'isola di Sumatra e provocato seri problemi lungo tutta la rotta dal Giappone. L'arrivo di questo materiale prepara il terreno per una gara che vede iscritti alcuni dei più importanti laboratori di fisica del mondo, pronti a dare il meglio di sé per giungere primi al grande traguardo: la risoluzione del mistero della massa del neutrino. Se si potrà dimostrare che il neutrino è, come si sospetta, una particella che "cambia pelle" (fenomeno che in gergo viene definito "oscillazione del neutrino"), vorrà dire che essa è provvista di massa, e se il neutrino possiede una massa può anche aver influenzato - e non poco - la nascita e l'evoluzione del nostro Universo. Intorno a questi interrogativi si è aperta una sfida tra scienziati di tutto il mondo che, per venire a capo del problema, hanno pensato di mettere in piedi due esperimenti analoghi, uno in America e uno in Europa, per tenere sotto controllo il comportamento di questa particella, con cui è davvero difficile fare conoscenza. L'idea è quella di generare un fascio di neutrini e di osservarne il comportamento lungo il viaggio dal laboratorio-generatore al laboratorio- ricevitore. Si tratta di un viaggio di 730 km, che corrisponde alla distanza che separa tanto il Certi di Ginevra dal grande laboratorio sotterraneo del Gran Sasso dell'Infn (Lngs), quanto il FermiLab di Chicago dal principale centro underground degli Usa, che è il laboratorio "Soudirn" (Minnesota). Gli americani partiranno con qualche mese di anticipo, ma questo vantaggio potrà essere recuperato dall'esperimento concorrente (a leadership europea, riunisce 160 esperti di 35 istituzioni di Francia, Germania. Belgio, Svizzera, Russia, Croazia, Giappone, Cina, Turchia, oltre all'Italia), che risulta favorito da due fattori: le straordinarie facilities dei Lags, e la particolare qualità delle lastre made in Japan, con cui saranno fotografate le interazioni prodotte dal neutrino. «Tutta la ricerca internazionale guarda oggi con grande attenzione ai Laboratori del Gran Sasso, considerati i migliori del mondo per esperimenti come "Opera", che stiamo ora preparando: lo dimostra l'interesse dei nostri partner giapponesi, che hanno già investito 15 milioni di euro a copertura dell'intero costo delle emulsioni», dichiara il Direttore dei Lags Eugenio Coccia. Le speciali emulsioni giapponesi, dotate di altissima risoluzione spaziale, sono ciò che serve ai cacciatori di neutrini di Opera, l'esperimento che si prepara a utilizzare - entro il 2006 - il fascio di particelle prodotto al Cern e poi "sparato" in direzione dei laboratori del Gran Sasso. Se, lungo la distanza di 732 km che separa i due centri di ricerca, i neutrini di tipo "Mu" generati a Ginevra si trasformeranno in neutrini di tipo "Tau", ecco provata la tesi sull'oscillazione del neutrino formulata già una cinquantina di anni fa da uno dei ragazzi di via Panisperna, Bruno Pontecorvo. Dunque, c'è una ragione importante per andare a caccia del neutrino Tau, anche se si tratta della complessa ricerca di tracce che misurano appena qualche decina di millesimo di millimetro. «Per aumentare le probabilità di intercettare l'evento desiderato, siamo obbligati a costruire apparati "rivelatori" di enormi proporzioni, in grado di offrire alle particelle grandi superfici di bersaglio. «Opera», infatti, è alto 10 metri, largo altrettanti e profondo 30: ospiterà qualcosa come 12 milioni dì lastre fotografiche, che un robot monterà intervallandole a mattoncini di piombo, vero bersaglio dei neutrini. Dall'insieme formato da 200mila di questi "sandwich", un secondo robot estrarrà di volta in volta il mattoncino contenente l'evento da analizzare e lo porterà in una camera oscura, dove il film verrà sviluppato», spiega Piero Monacelli, ordinario di Fisica all'Università dell'Aquila, che dal '92 al '97 ha diretto i Laboratori del Gran Sasso ed è ora uno dei responsabili di «Opera». ELISABETTA DURANTE ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 LE BIBLIOTECHE VIRTUALI SPOSANO LA GRID Costruire ogni volta da zero una Biblioteca digitale (Bd), è un'operazione lunga e costosa. Le cose sarebbero ben diverse se fosse già disponibile un'infrastruttura di gestione a cui ogni gruppo di ricerca potesse aggiungere e togliere gli elementi. necessari per la sua attività. Immagini e video, inoltre, spesso per essere usati hanno bisogno di elaborazioni che richiedono molta potenza dì calcolo, non facile da reperire. Combinando la Bd con il grid computing, le reti di calcolatori che rendono disponibili le loro risorse non utilizzate, molti problemi sarebbero risolti. Il progetto Diligent. Questo è quanto si sta realizzando nell'ambito del progetto Digital library infrastructure oq grid enabled technology, abbreviato in Diligent (www.diligentproject.org) e avviato nel settembre del 2004 con un finanziamento triennale di circa 9 milioni di euro, per la maggior parte del]'Unione europea. Diligent è affidato al coordinamento tecnico dell'Isti, Istituto di scienza e tecnologia dell'informazione A. Faedo (www.isti.cnr.it), del Cnr dì Pisa. «Con la diffusione di Internet si possono creare strutture molto più ricche di funzioni rispetta a una biblioteca tradizionale - spiega Donatella Castelli, la responsabile dei progetto per l’Isti - formate da archivi, dai programmi necessari a elaborare i loro contenuti, da strumenti per il lavoro di gruppo e, grazie alla grid, da potenza di calcolo, il tutto creato on demand, solo quando è necessario». In collaborazione con Delas, una rete di eccellenza europea per le Bd, l’Isti ha già sviluppato un sistema di Digital library management systems (Dlms), chiamato Open Dlib (www. opendlib.com) e adatto alla gestione anche del materiale multimediale. Ora si tratta di completare questo lavoro e innestarlo sul grid realizzato per la ricerca europea da Egee (http://public.eu-egee.org). L'Unione europea potrebbe essere la prima a ottenere dei risultati concreti in questo campo, dato che di matrimonio tra la Digital library e il grid si parla molto anche negli Stati Uniti e vi sono degli studi condotti autonomamente dal Regno Unito, ma senza che sia stato avviato alcun progetto operativo. «Finora sono state realizzate solo Bcl di prima generazione -- osserva la ricercatrice -can archivi costituiti da un solo tipo di materiale e per un progetto di ricerca specifico. Noi stiamo lavorando alle Bd di seconda generazione, con la combinazione di più media e con una struttura riutilizzabile. Un docente potrebbe riunire testo, dei lucidi, un video, dei dati prelevati da una banca dati di astrofisica e i programmi necessari a elaborarli, per poi condividere il tutto con i colleghi, che poti-ebbero aggiungervi annotazioni. L'ambiente che ne risulta è così sofisticato che molti preferiscono chiamarlo non biblioteca ma Dynamic universal knowledge enviroument». I partner. A Diligent partecipano 14 partner. Il consorzio europeo Ercim (www.ercim.org) coordina l’arnministrazione, il Cerri (http:(/public.web.cern.ch)fornisce la tecnologia grid, diverse Università europee intervengono ciascuna su uno degli aspetti più avanzati della Bel, e due aziende private, Engineering (www.eng.it) e Fast search & trasfer (www. fast.no), si occupano dello sviluppo e delle tecnologie di ricerca dei dati. Diligent ha due applicazioni pratiche allo studio. La prima è per l'agenzia spaziale Esa (www.esa.int), per organizzare le informazioni relative al monitoraggio ambientale. con dati provenienti dalle immagini satellitari e da altri archivi. La seconda realizzazione è per il Ctl (www.ctl.sns.it), un centro della Scuola normale superiore di Pisa che studia il rapporto tra testi e immagini e che collabora con la Rai (www.rai.it). Un altro passo verso la Bd dovrebbe essere l'automazione della catalogazione dei materiali, una delle operazioni più costose. «Con il grid si possono utilizzare anche algoritmi molto elaborati - prevede la ricercatrice - le tecnologie sono già buone per i testi, ma qualche risultato si inizia a ottenere anche per la catalogazione dei materiali multimediali». Fabio Metitieri Donatella Castelli ______________________________________________________ Il Messaggero 4 feb. ’05 A TRENTO NASCERÀ IL COMPUTER-UOMO Accordo tra Bill Gates, Moratti e Stanca: l'informatica aiuta la medicina PRAGA - L'uomo più ricco del mondo mette in cantiere un altro sogno, il cui business avrà ricadute planetarie, e sceglie Trento come base di lancio della nuova avventura. L'obiettivo è penetrare nei segreti degli organismi, svelare i misteri della vita, impadronirsi delle sue leggi. Una scommessa del sapere che sfrutterà la potenza dell'elettronica per allargare all'infinito i limitati orizzonti dell'intuizione e dell'osservazione. Informatica e biologia, uomini e macchine, cervelli e microchip. Quando i primi traguardi saranno alle spalle sarà possibile, per esempio, conoscere il patrimonio genetico di ogni singolo individuo: di Mario Rossi, o John Smith, si conosceranno fin dalla nascita i punti deboli congeniti, le vulnerabilità alle malattie, e le industrie farmaceutiche confezioneranno per loro medicine su misura, efficaci al cento per cento. Bill Gates, l'ex studente di informatica che a vent'anni capì prima di tutti le potenzialità del personal computer e che grazie alla sua visione è oggi il sovrano di un impero con oltre 55 mila sudditi, tanti i dipendenti della Microsoft, e un fatturato di 37 miliardi di dollari all'anno, era ieri a Praga, accanto a capi di governo e funzionari di tutta Europa per promuovere scienza e conoscenza nel vecchio continente. Il programma si chiama "Euroscience", decollerà da Trento e volerà su Francia, Inghilterra, Germania, sulla scia di quelli già esistenti a Pechino, Cambridge, Bangalore, San Francisco, Silicon Valley. Il magnate-mecenate di Seattle, promotore di un nuovo illuminismo senza frontiere fondato sull'uso dei suoi software, ha siglato un accordo con il governo italiano rappresentato dai ministri dell'Istruzione Letizia Moratti e dell'Innovazione Lucio Stanca. Il nuovo super laboratorio di biologia informatica, che convoglierà tra le montagne alpine cervelli italiani e stranieri, potrà contare per i primi cinque anni su 10 milioni di euro coperti al 40 per cento da Microsoft, al 60 da Stato ed enti locali italiani. Con la sua aria da studente intelligente e secchione il miliardario americano santifica l'università italiana e delinea gli scenari di domani: "Ho riscontrato nell'università di Trento un eccezionale livello di competenza. Noi vogliamo incrociare i saperi delle diverse scienze, la biologia deve incontrare la fisica, dalla ricerca di base devono nascere nuovi farmaci in grado di migliorare il futuro dell'umanità. Questi studi sono cominciati negli Stati Uniti, ora coinvolgono Europa e Asia. Microsoft aiuta la scienza e lo sviluppo economico". I ministri Stanca e Moratti, sconfessando la tradizionale incompetenza poliglotta dei politici italiani, snocciolano dati e concetti in un fluente inglese. Profetizza, aiutato da studi americani, il responsabile dell'Innovazione: "Biologia, informatica e nanotecnologie sono le punte di un triangolo magico che nei prossimi cinque anni produrrà nel mondo 100 milioni di nuovi posti di lavoro. E' qui il futuro". Anche la titolare di Scuola e Università scruta gli orizzonti che stanno per spalancarsi davanti agli occhi del genere umano: "Negli Usa - dice - e penso anche altrove, i farmaci prescritti causano più decessi dell'Aids o degli incidenti automobilistici. Al momento nessun medico può sapere quale sarà la risposta del paziente a un determinato farmaco, si procede per tentativi. Nel prossimo futuro, grazie alla mappatura genomica dell'individuo si potranno prevedere gli effetti dei farmaci in base alle differenze individuali". Poi, preso lo slancio, sfida le statistiche internazionali sulla Ricerca che puntualmente relegano l'Italia in coda: "Secondo "Nature" - puntualizza - gli scienziati italiani in quanto a produttività scientifica occupano il terzo posto, dopo americani e britannici. Tra il 2000 e il 2004 il numero di ricercatori italiani è aumentato di 7000 unità. E secondo l'Istat nel 2002 la spesa totale per la ricerca nel nostro Paese, che nei dieci anni precedenti era scesa dall'1,32% del Pil all'1,4, ha invertito la tendenza, ricominciando a crescere e raggiungendo l'1,16". Ma la media europea, in equilibrio intorno al 2,5, rimane pur sempre un miraggio. LUIGI PASQUINELLI L'INTERVISTA AL RETTORE "Abbiamo già dei ricercatori all'avanguardia, riprodurremo il funzionamento di organismi" ROMA - Davide Bassi, docente ordinario di fisica sperimentale, è il rettore dell'università di Trento. Professore, come è avvenuto il contatto con Bill Gates? "Tre anni fa a Cambridge abbiamo incontrato la Microsoft per un progetto analogo. Ci siamo offerti pensando che la cosa finisse là, invece ci hanno richiamati". Perché secondo lei? "A Trento ci sono le persone giuste. Abbiamo un gruppo di venti bioinformatici guidati dal professor Corrado Priami che da tre anni lavorano a questi temi. La struttura c'è già, verrà solo allargata e potenziata grazie al programma di Bill Gates, del Governo italiano e della Provincia di Trento". Quali studi condurrete esattamente? "Cercheremo di ricreare al computer modelli di funzionamento degli organismi. Sono ricerche difficili ma se riusciremo a copiare la complessità della vita allora si potranno prevedere i comportamenti degli organismi". Vi basteranno i soldi promessi? "Il problema non sono i soldi. Se c'è un pool di cervelli che ottiene risultati i soldi arrivano. Bisogna partire dalle persone". Siete in attesa di nuovi scienziati? "Sì, li aspettiamo per ottobre, una ventina di ricercatori, inviati dalla Microsoft e chiamati da noi in altre università". Lei non si lamenta, come molti suoi colleghi, dello stato degli atenei italiani? "Le cose a Trento funzionano. Ho 15 mila studenti, non sono troppi, la Provincia destina oltre il 6% del suo bilancio ad attività di ricerca, la situazione ambientale è buona". L. P. ______________________________________________________ Corriere della Sera 3 feb. ’05 E BILL GATES FA RICERCA A TRENTO Via all'accordo tra Microsoft e ateneo. "Dall'informatica la chiave per vincere le malattie" Il ministro Moratti: "Una rivoluzione grazie al genoma, sarà il secolo della biologia" PRAGA - L'informatica per creare modelli in grado simulare i processi biologici e sconfiggere le malattie più gravi e diffuse con i vaccini e i farmaci del futuro. Bill Gates, presidente della Microsoft punta sui cervelli europei e come prima mossa annuncia l'apertura di un centro di ricerca pura a Trento. Sì, proprio a Trento. Non ci sono soltanto giovani studiosi delusi costretti a fuggire oltreoceano, ma anche promettenti scienziati arruolati in patria. Da Praga, dove ha preso parte alla conferenza europea "Government leaders forum", Gates ha annunciato il piano pluriennale di ricerca EuroScience da realizzare attraverso forme di cooperazione tra università, aziende private e governi del vecchio continente. In Europa, secondo il presidente della Corporation, c'è la maggior concentrazione di scienziati con le caratteristiche giuste per la sfida. E il primo gruppo di cervelli, che godrà del supporto logistico e dei finanziamenti Microsoft, Gates l'ha individuato proprio a Trento, nell'ateneo della Provincia Autonoma. Nel piccolo ma competitivo ateneo da alcuni anni un gruppo di studiosi - ricercatori, dottorandi, professori di ruolo - tenta di risolvere gli stessi problemi che impegnano di ricercatori Microsoft. E lo fa, a quanto pare, in modo eccellente. Il primo centro di ricerca pubblico che cercherà di svelare, attraverso il computer, i segreti della biologia sarà gestito in modo paritetico dall'Università e dalla Corporation. "E' una buona notizia per la scienza e la tecnologia italiana - ha detto il ministro dell'Istruzione, università e ricerca, Letizia Moratti, a Praga per il Forum -. Il XXI secolo sarà il secolo della biologia. La mappatura del genoma ha dato avvio ad una rivoluzione che cambierà la medicina rispetto a come viene considerata oggi. I farmaci salvano molte vite ma spesso risultano inefficaci. Al momento nessun medico sa quale sarà la risposta del paziente. Nel prossimo futuro speriamo di riuscire a determinare gli effetti dei farmaci sugli individui grazie al profilo genomico di ciascuno". "Ci sono studi che attribuiscono alle bio-info-nano tecnologie - ha affermato il ministro per l'Innovazione, Lucio Stanca - la possibilità di creare nei prossimi 5 anni 100 milioni di nuovi posti di lavoro". L'obiettivo del Centro è di mettere insieme 30 cervelli, attirando via via i migliori specialisti. Si parte con una finanziamento di 15 milioni di euro, 9 a carico della Provincia autonoma di Trento - dove gli amministratori riservano alla ricerca fino al 6 per cento del bilancio - e i rimanenti 6 milioni investiti da Microsoft. "Ma i soldi non sono un problema - ripetono i collaboratori di Gates -. Quelli si trovano sempre, sono i cervelli che scarseggiano". Tra cinque anni il primo bilancio. "Oggi gli ingegneri usano il computer per progettare un motore. In biologia non si può fare nulla di simile - dice il rettore Davide Bassi -. Ci proveremo". Giulio Benedetti Il segreto della città? Studenti da primato e caccia ai cervelli Per l'Ocse è la culla delle menti matematiche "Non siamo dei geni, ma sappiamo come portarli qui" TRENTO - Nel Calavino, la sua squadra di calcio, Luca Tasin lo mettono in difesa o al massimo mediano, perché non è proprio un fenomeno. Ha cominciato col pallone a sei anni e oggi che ne ha 20 gioca sui campi di prima categoria. Ma nel 2004 ha vinto le Olimpiadi regionali di matematica, è andato a quelle nazionali, è arrivato alle selezioni per i mondiali. "Non ce l'ho fatta perché era un test molto nozionistico - racconta - e io non ho mai avuto troppa voglia di studiare. A me piace risolvere problemi". Per i professori, dice, era un mezzo fannullone. Gli amici sostengono che è un tipo strano. "Ma un buon matematico è sempre un po' strano". E ride. Luca, matematico scarpone, rilascia interviste da quando l'Ocse ha stabilito che gli studenti di questa Provincia autonoma sono i migliori al mondo in scienze e matematica. I livelli di apprendimento di mille quindicenni, 35 per ogni istituto superiore trentino, erano più brillanti persino di quelli dei temuti finlandesi. Allora pensi: ecco perché Bill Gates aprirà qui il polo europeo della ricerca in bioinformatica. E invece no. Questa non è una culla di menti matematiche, si sgolano in città. "Discorso troppo provinciale, il genio trentino qui non c'entra - conferma Marco Andreatta, preside della facoltà di Scienze -. Il nostro è un polo di ricerca riconosciuto a livello internazionale, ma il 90% dei docenti non è di Trento". Merito loro se qui si fa ricerca ad alto livello, con punte di eccellenza. "Noi, però, siamo stati bravi ad attirarli" dice Massimo Egidi, che dopo 8 anni ha lasciato l'incarico di Rettore. Sprezzante del pericolo, Egidi parla di rientro dei cervelli: "Abbiamo riportato qui Alfonso Caramazza, direttore del dipartimento di neuroscienze ad Harvard. Possiamo offrirgli un ambiente perfetto e attrezzature all'avanguardia". D'accordo, Caramazza ha lasciato l'Italia a 12 anni, ma va riconosciuto che Trento un po' all'avanguardia lo è sempre stata. Fu la prima città italiana ad avere un piano regolatore. Ospitò la prima facoltà di sociologia del Paese. E tutte e due le volte su intuizione di Bruno Kessler che molti anni fa, da presidente di una Provincia che era feudo democristiano inattaccabile, potè permettersi di guardare al futuro invece che pensare ai giochi elettorali. Nel '62 creò l'Istituto di cultura perché desse alla città l'Università che le mancava, e dalla quale molte cose sono cominciate. E ancora lui, negli anni '80, rilanciò l'Istituto di ricerca scientifica (provinciale) indirizzando gli studi verso ambiti poco esplorati: intelligenza artificiale e microsistemi. Ora l'Irst, con Oliviero Stock, coordina un progetto sull'intelligenza artificiale assieme all'università di Haifa, in Israele. La Trento che, almeno per la ricerca, parla con il mondo ha radici profonde. Oggi si raccolgono frutti. E si continua a coltivare l'istruzione come un bene prezioso. Le scuole sono belle e funzionali: computer, laboratori, palestre. Tutte le biblioteche trentine sono in rete fra loro, dalla più grande a quelle dei paesini di montagna. La Provincia (e i Comuni) investono su ogni alunno di elementari, medie o superiori il 54% in più che nel resto d'Italia: 8.160 euro all'anno, contro 5.284. Di miracolo non vogliono sentir parlare: i risultati qui li spiegano con il lavoro, i soldi, il fatto di essere un piccolo centro dove è nato un "sistema". E l'avvento di Bill Gates? "Di certo lui non è venuto per i quattrini - dice Gianluca Salvatori, assessore all'Innovazione -. E' qui perché, a Trento, Microsoft ha trovato ricercatori che parlano la sua stessa lingua". Uno in particolare: Corrado Priami professore di informatica. Nasce a Piombino, si laurea a Pisa, passa da Parigi e nel 2001 arriva al Povo, la collina che ospita la facoltà di Scienze. Da lì dialoga con i cervelloni di Microsoft. Se lui è una punta di diamante, intorno c'è questo "sistema": soggetti e fattori diversi che spingono nella stessa direzione. Gli insegnanti, dipendenti provinciali, lavorano 40 ore in più all'anno e guadagnano 100-150 euro in più al mese rispetto ai loro colleghi "italiani". Il dipartimento di Fisica ha lanciato una linea di ricerche in Comunicazione delle scienze. Il museo di Scienze naturali, diretto da Michele Lanzinger, dal '92 organizza mostre per avvicinare i ragazzi al mondo scientifico. Luca Tasin ha già preso due 30 e lode all'università. Il Trentino calcio gioca in serie D. Mario Porqueddu ______________________________________________________ Corriere della Sera 3 feb. ’05 HP: ECCO IL COMPUTER SENZA TRANSISTOR L'annuncio della Casa americana su una rivista scientifica La miniaturizzazione dei sistemi utilizzati oggi è destinata ad arrivare al limite tra qualche anno, ma si lavora a un'alternativa MILANO - Sempre più piccoli, sempre più potenti. Ma col passare degli anni il limite fisico della miniaturizzazione dei transistor al silicio, quelli che tutti utilizziamo nei nostri computer, si avvicina inesorabilmente. La data critica potrebbe collocarsi intorno al 2012, dicono gli scienziati. Per quella data bisogna trovare il modo di mandare in pensione il beneamato transistor e sostituirlo con qualcosa di altrettanto potente ma più piccolo. Ad archiviarlo non può che essere una tecnologia che lavora a livello molecolare, per far stare nello spazio di un capello sempre più capacità di calcolo. Su questo filone sono impegnati i laboratori di mezzo mondo (il budget in gara è di circa 200 miliardi di dollari), ed è proprio da uno di questi, quello dell'azienda americana Hewlett Packard (in accordo con il Darpa, il braccio scientifico della ricerca militare statunitense dal quale uscì anche l'antenato di Internet), che arriva un po' a sorpresa l'annuncio: abbiamo eseguito le operazioni di base contenute nel tradizionale transistor (l'apertura e la chiusura di un circuito elettrico) in uno spazio molto più piccolo. Il circuito dovrebe impegnare non più di 2 o 3 nanometri, quando i sistemi attuali misurano circa 90 e secondo gli scienziati non possono essere ridotti oltre la barriera dei 15. L'ARTICOLO - In un articolo pubblicato mercoledì nel Journal of Applied Physics, Hp annuncia che tre membri del suo gruppo di ricerca sulla scienza quantistica hanno proposto e dimostrato una "barra di chiusura" ("crossbar latch"), che consente il ripristino e l'inversione del segnale necessari alle operazioni di calcolo senza l'utilizzo di transistor. Hp ha detto in una nota che la nuova tecnologia potrebbe portare alla costruzione di computer migliaia di volte più potenti di quelli che esistono oggi. "Stiamo re-inventando il computer a livello molecolare", ha detto in una nota Stan Williams, uno degli autori dell'articolo. "La 'barra di chiusura' fornisce un elemento chiave per costruire computer utilizzando dispositivi misurabili in nanometri , e relativamente economici e facili da costruire". Phil Kuekes, un altro autore dello studio, ha detto in una nota che i transistor continueranno ad essere usati per anni ancora con i convenzionali circuiti al silicio. Ma, ha aggiunto: "Questo sistema potrebbe un giorno sostituire i transistor nei computer, come i transistor hanno sostituito le valvole, e le valvole i relé elettromagnetici. ______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 feb. ’05 SARDEGNA DIGITALE IN RITARDO: LE STRATEGIE REGIONALI Incontri sul progetto Diesis La Sardegna è in forte ritardo per quanto riguarda l'Information Tecnology. Pubblica amministrazione e aziende non sono al passo con i tempi, rispetto ad altre regioni dell'Europa, per i servizi digitali, l'e-commerce e le reti informatiche. È emerso ieri al Setar Hotel di Quartu in occasione di una conferenza internazionale su Diesis, il programma di azioni innovative Fers (Fondo europeo di sviluppo regionale). Ai lavori, che proseguiranno oggi dalle 9.30, è intervenuto l'assessore regionale agli Affari generali, Massimo Dadea, soffermandosi sulla strategia regionale per la società dell'informazione. Secondo una ricerca Assinform/Net Consulting, il mercato sardo delle imprese dell'IT si aggira sul 6,7% su scala nazionale e l'Isola è ultima nella spesa per occupato (372 euro, -60% sotto la media nazionale) e nel valore aggiunto regionale dato dall'IT. Al continuo calo degli investimenti corrisponde, paradossalmente, un aumento delle imprese di Information Tecnology. Per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, una soluzione è stata ipotizzata dall'Ancitel per sviluppare in 13 amministrazioni comunali lo Sportello telematico municipale (Stm). L'utilizzo della Carta d'identità elettronica consentirebbe di erogare, via internet o attraverso postazioni multimediali, servizi amministrativi reingegnerizzati per i cittadini e le imprese, garantendo nel contempo accessibilità, trasparenza e certezza delle informazioni o delle pratiche. Novità emersa ieri. Al Setar c'era anche Linetta Serri, presidente dell'Anci Sardegna. Alla due giorni di Quartu stanno partecipando anche alcuni delegati della Commissione europea. Il progetto Diesis (Driving innovative exploits for the sardinian information society) era partito nel 2002 con lo scopo di realizzare in Sardegna la sperimentazione di nuovi sevizi digitali per i cittadini, le imprese e la Pubblica amministrazione locale con l'obiettivo ultimo di produrre delle ricadute positive sul tessuto socio-economico dell'Isola. Un programma della Regione Sardegna finanziato nell'ambito delle azioni innovative del Fesr per il periodo 2000-2006 e che vede come partner l'Ancitel, il Crs4, l'Enaip Sardegna, la Sfirs, Tiscali e il Formez. In particolare, si proverà a realizzare programmi per promuovere, soprattutto all'interno della Pubblica amministrazione locale, l'innovazione nel campo della società dell'informazione, contribuendo a realizzare un piano strategico di sviluppo della società digitale in Sardegna in alcune aree prioritarie sulla base delle esperienze e delle risorse disponibili sul territorio. La "via sarda" è stata articolata attraverso cinque aree considerate strategiche: il turismo (e-tourism), il governo elettronico (e-government), la formazione (e-learning), il commercio elettronico (e-commerce) e la gestione della conoscenza (knowledge management). I finanziamenti verranno oltre che dalla rimodulazione dei fondi Por (in particolare la misura 6.3), anche dai fondi europei per l'innovazione tecnologica (cofinanziati dalla Regione) e da un accordo di programma quadro siglato tra l'assessorato regionale agli Affari generali e il ministero per l'Innovazione e le Tecnologie, che mette in campo circa 53 milioni di euro per la Società dell'informazione. Oggi dalle 9.30 la seconda giornata del convegno e, alle 12, una tavola rotonda sul tema "Il partenariato pubblico-privato in Sardegna per promuovere l'innovazione". ___________________________________________________ Il Mondo 11 feb. ’05 RUBBIA NON VUOTE IL NUOVO DG ENEA Il presidente di Enea, il nobel per la fisica Carlo Rubbia, intraprenderà un'azione legale impugnando la nomina di Giovanni Lelli a direttore generale dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente. Lelli è subentrato come facente funzioni all'ex dg Gaetano Tedeschi, rimosso dalla nuova gestione e tuttora in causa con l'ente, Rubbia aveva abbandonato la seduta del cda dello scorso novembre in cui era stata votata la nomina. Il nome da lui proposto (Roberto Andreani,un ingegnere di 67 anni che lavora in Germania) non era stato approvato. I consiglieri avevano avanzato dubbi sull’età, e avevano proposto di rimando Giovanni Lelli. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 5 feb. ’05 COMPETITIVITÀ, I FALSI MITI DA SFATARE I Paesi non sono in gara tra loro come le imprese, e la produttività non coincide con l'affermazione sul mercati internazionali - Necessari più investimenti in ricerca é incentivi rivolti all'innovazione DI RENATO BRUNETTA* E GIOVANNI TRIA Sta risorgendo in Italia un insieme di idee confuse, e a volte errate, intorno alla politica industriale, che tuttavia si presentano come ragionevoli e attraenti per chi ha bisogno di facili ricette da comunicare agli elettori. Il cosiddetto declino industriale e la globalizzazione sono il contesto in cui queste idee si materializzano oggi in Italia, così come 15 anni fa negli Stati Uniti, quando il rallentamento della crescita e della produttività ossessionava l'altra sponda dell'Atlantico. Una possibile vulgata di queste idee può essere così sintetizzata. L'Italia fa parte di un'economia globale e per mantenere lo standard di vita dei propri cittadini deve essere più competitiva in mercati internazionali sempre più difficili. Per aumentare la competitività deve aumentare la produttività e la qualità dei prodotti, possibilmente spostando la produzione verso settori esportatori o ad alto valore aggiunto che assicureranno la produzione per il futuro. Tutto ciò richiede una forma di partnership fra Stato e imprese. II primo errore concettuale consiste nell'idea che i Paesi competano tra loro come le imprese. Questa è un'idea estranea agli economisti. Il problema è che mentre la singola impresa guadagna da protezioni dalla concorrenza e da situazioni di monopolio, ciò non avviene per i Paesi. Tant'è che la teoria dei "campioni nazionali" regge solo in situazioni in cui competono due grandi imprese e in cui il sussidio pubblico può influenzare le scelte delle imprese nel gioco strategico tra le due. Altre confusioni derivano dal non comprendere appieno alcuni concetti economici. Q La produttività non ha nulla a che vedere con la competitività. La Cina non ha produttività più alta dei Paesi europei o degli Stati Uniti, ma vende in tutto il mondo. La produttività determina invece il livello di vita dei cittadini. © Non è vera l'idea che siano più importanti i settori che esportano perché sono quelli che competono sui mercati internazionali. Da questa idea deriva quella che sia necessario concentrare risorse anche pubbliche per far aumentare la produttività in questi settori. Ciò che conta nel determinare gli standard di vita dei cittadini è la produttività complessiva dei lavoratori. L'idea che sia necessario spostare la produzione verso i settori ad alto valore aggiunto per lavoratore non tiene conto, spesso, che in genere questi settori sono tali perché sono ad alta intensità di capitale fisico o umano (cioè di lavoro specializzato). Se così non fosse, investimenti e lavoro si indirizzerebbero spontaneamente in questi settori. Il problema è semmai aumentare la dotazione di questi fattori. In sintesi, non vi è una gara a somma zero tra Paesi, ciò che conta è la dinamica della produttività. Le tendenze di lungo periodo mostrano che la crescita dei redditi pro capite rallenta perché la crescita della produttività rallenta. Ma allora cosa deve fare il governo per aumentare la produttività? Se la ricetta fosse nota agli imprenditori essi l'applicherebbero, si rimboccherebbero le maniche come sollecita il loro presidente. Supporre che il governo conosca meglio la ricetta sarebbe arroganza. Neppure un fanatico del laisser faire e del libero mercato può sostenere che il governo non debba far nulla. Esso deve innanzitutto assicurare l'offerta dei beni e servizi pubblici che i fallimenti del mercato non consentono di produrre in misura ottimale nel settore privato. Quali essi siano è noto. Ecco un possibile elenco di azioni. Investire pesantemente in istruzione e ricerca di base. La ricerca di base, il cui risultato è non prevedibile e difficilmente appropriabile dai privati, è condotta anche negli Stati Uniti principalmente nelle Università e centri di ricerca similari con dotazioni pubbliche. La ricerca applicata dovrebbe invece essere condotta, godendo delle esternalità della ricerca di base in termini di personale specializzato e risultati scientifici, principalmente dal settore privato. Lo Stato dovrebbe finanziare direttamente la ricerca applicata solo in campi che riguardano la produzione di beni pubblici (difesa, controllo del traffico aereo, protezione ambientale). Alla voce "politica di sviluppo" si registri una maggiore attribuzione di fondi all'istruzione superiore post- graduate e fondi ai centri di ricerca. Investire in infrastrutture di base. Investire in sicurezza e sistema giudiziario (a volte investire significa dedicare attenzione al mutamento delle regole). Incentivare l'aumento della produttività nei servizi e il trasferimento sui prezzi degli aumenti di produttività. Vi sono ampi margini in molti di questi settori per introdurre maggiore concorrenza. Sarebbe bene preparare un piano preciso di smantellamento delle protezioni di cui godono i vari settori dei servizi, pubblici e privati - preparato da esperti e con le competenze dell'Antitrust - indicando tempi precisi dell'azione e i risultati attesi in termini di riduzione dei differenziali di costo sia all'interno del Paese (pubblici servizi locali) sia con gli altri Paesi europei. Ridurre l'effetto distorsivo del prelievo fiscale sull'allocazione delle risorse. Poiché anche i sussidi alle imprese sono distorsivi di questa allocazione, una generale riduzione di tassazione, finanziata con l'eliminazione dei sussidi (contributi contro Irap) sarebbe un' azione semplice e positiva. e Usare la politica fiscale per incentivare l'innovazione. La tassazione dovrebbe essere inferiore per le imprese che aumentano i profitti aumentando in tal modo il premio, a posteriori, per gli imprenditori di successo. Se gli aiuti pubblici non devono andare a imprese in difficoltà essi devono andare tuttavia ai lavoratori colpiti dagli insuccessi. Una politica industriale, qualcuno ha affermato, non si limita alla riforma del mercato del lavoro. Tuttavia ne è una parte integrante, soprattutto quella relativa agli ammortizzatori sociali. Si tratta di alcune proposte, forse discutibili, ma coerenti tra di loro. Altre se ne possono aggiungere. Devono essere tuttavia chiari i principi guida, senza oscillazioni e contraddizioni, affinché si possa offrire agli imprenditori un quadro certo del tipo di sistema in cui sono chiamati a operare. *Consigliere economico Presidenza del Consiglio ================================================================== ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 feb. ’05 DON VERZÉ: LA CHIESA PRESTO DOVRÀ ACCETTARE PILLOLA E PRESERVATIVO «Fecondazione, i cattolici possono anche votare sì» L' INTERVISTA / Il sacerdote fondatore del San Raffaele: nulla può fermare la scienza, la ricerca deve essere spiegata e rispettata Cazzullo Aldo Don Luigi Verzé, qui al San Raffaele lei presiede il più grande centro di ricerca italiano, che ora sarà raddoppiato. Eppure tra fede e ricerca sembra essersi creata un' antinomia. «Invece sono sorelle gemelle. Oggetto della fede è la verità. Oggetto della scienza è la verità. L' errore sta nel contrapporle». L' impressione è che sia la Chiesa a farlo. «Gli uomini della Chiesa si preoccupano del miglior bene per l' uomo in rapporto a Dio. Spesso questa preoccupazione diventa preconcetto, diffidenza. Mi auguro che molti sacerdoti diventino medici e biologi, e molti medici e biologi diventino anche filosofi, umanisti e teologi: in modo che si capisca che la verità va incontro ai liberi, ai liberi anche da se stessi. Non amo la Chiesa proibizionista. Amo la Chiesa illuminante». Quando al San Raffaele ci si imbatte in una questione etica e di coscienza, lei come si comporta con i suoi ricercatori? Li ferma? «Nulla può fermare la scienza. La libertà, come la ricerca, va spiegata e rispettata; allora scansa il libertinismo distruttivo, perché è accompagnata dalla responsabilità individuale. La regola del buon ricercatore è l' equilibrio, l' intuito, il discernimento prudente. Io i miei ricercatori non li condanno mai. Coltivo in loro questa regola. Li stimo, li amo, e li incoraggio a rischiare, dopo aver ben calcolato, in nome della vita. Il fare può essere immorale; ma il non fare, e subito, lo può essere più spesso». Gli italiani tra pochi mesi saranno chiamati a esprimersi su un tema delicato, gli embrioni. È lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure a terribili malattie? «È un tema che non mi fa paura, anzi mi fa piacere che se ne discuta. Credo che qui non valga il paradosso di Aristotele, che distingue tra "essere in realtà" e "poter essere", tra esseri reali e possibili, ipoteticamente infiniti. L' embrione è reale sin da quando è vero, quando avviene la fusione dei due gameti che dà origine a un essere nuovo. E diventa persona quando Dio gli infonde l' anima». Appunto: quando? «Se ne discute da sempre. Quello che mi meraviglia è che se ne discuta come di una cosa estranea dal sé. Si parla sempre degli embrioni altrui. Io vorrei parlare del mio. Sono geloso della mia personale dignità, di quel che mi fa cosciente di me. Non può una legge stabilire cosa io sia, cosa io debba essere. Solo la biologia ha cominciato a spiegarlo. Il mio embrione è il mio essere: corpo, intelletto, spirito, in unum. Guai a chi avesse toccato il mio esistere, fossi anche cieco e talassemico; gli spaccherei la testa. Così farebbe Pannella, se a suo tempo avessero toccato il lui ancora pannellino. Che poi era sempre il lui, il grande Pannella, in nuce». Lei non ha ancora risposto: è lecito usare embrioni umani per trovare nuove cure? «Sì, è lecito. A patto di non uccidere l' embrione, né ferirlo. La ricerca al San Raffaele procede su un doppio binario: l' invocazione della gente; il comandamento di non uccidere. La scienza è lenta, ma arriva. I nostri ricercatori stanno mettendo a punto una tecnica contro la talassemia che interviene sui gameti femminili anziché sull' embrione. Si evita così la selezione discriminatoria degli embrioni, permettendo la fecondazione solo di ovociti sani». Ma per la Chiesa la fecondazione in vitro è moralmente inaccettabile. «La fecondazione omologa va vista come completamento dell' atto coniugale. Non sopporto gli irsuti inquisitori che pretendono di alzare il lenzuolo del letto nuziale; mi pare impudico. Credo che a suo tempo la Chiesa accetterà la fecondazione omologa in vitro, come accetterà, almeno per situazioni limite, la pillola contraccettiva e il preservativo. Per farlo capire a certi proibizionisti basterebbe che uscissero dalle affrescate stanze curiali e si intrattenessero per un po' nelle favelas e nei tuguri africani». Le sue parole le costeranno qualche polemica. Lei non è un teologo del dissenso, è il fondatore di ospedali e centri di ricerca, insomma è in condizione di dare un seguito a quanto dice; ed è pure considerato, mi perdoni la battuta, un prete di destra. «Non sono né di destra né di sinistra. Il San Raffaele non è un' istituzione ecclesiastica, destinata a sfasciarsi se non viene conferita alla curia di Milano o di Roma. È un' istituzione laica, e il mio successore sarà laico, scelto tra un gruppo di votati ai principi evangelici: i sigilli, nati con il San Raffaele, laici consacrati non con voti ma con promesse di coerente e perenne lealtà. La ricerca è per me un obbligo: una ricerca a tutto campo, non solo sul corpo ma sulla psiche e sullo spirito. Per questo ho voluto una facoltà di filosofia il cui preside è Massimo Cacciari, e presto una di teoantropologia: un termine di mio conio che esprime la tensione dell' uomo a indiarsi, a diventare come Dio». Anche a fare di tutto pur di avere un figlio? «La fecondazione assistita deve essere il modo di aiutare i coniugi legittimi a esercitare un diritto. Tutti hanno il diritto di avere figli. Qualcuno può rinunziarvi, come ho fatto io; ma la scelta è individuale. Negare il diritto di avere figli è una stupidaggine contro natura. Anche prima della legge 40, i nostri ginecologi inseminavano un numero limitato di ovociti, sufficienti per un unico e contemporaneo impianto; e solo il 5% di quelle gravidanze è bigemina. Il limite di tre mi pare eccessivo, perché limita la possibilità di avere figli. In casi particolari, l' inseminazione forse può essere portata a un numero leggermente superiore di ovociti, purché tutti impiantati. Anche qui occorre scienza, sapienza e cuore». E la fecondazione eterologa? «Non vorrei essere un figlio "spurio", ma se lo fossi non me ne vanterei. Non mi sentirei quell' autentico io, di Lucilla Bozzi ed Emilio Verzé, che preferisco essere». Come voterà al referendum? «Io farei il referendum quando la scienza mi darà più luce, a me e alla gente che per decidere ha diritto di saperne di più. Insisto: l' importante è non uccidere. Io, se voterò, voterò per essere quello che sono, figlio di mio padre e di mia madre, non un numero ma una persona, questa che loro mi hanno trasmesso». È d' accordo con Ferrara e quei vescovi che vedono dietro l' astensione la mancanza del coraggio di dare battaglia? «Stimo molto Ferrara, la sua intelligenza vola in proporzione diretta alla sua gravità e simpatia. Ma si può dimostrare coraggio, tenere una posizione culturale ed etica, anche astenendosi strumentalmente dal voto, dopo che si è ben riflettuto». Non cambierebbe quindi la legge? «Perché no? Ma non subito». Ma un cattolico potrebbe votare sì? «Se è un cattolico libero, avverte la responsabilità di quel che fa, ha vera consapevolezza di sé e del valore del suo sé, in teoria potrebbe». In che senso lei dice che nulla può fermare la scienza? «Al banco del laboratorio lo scienziato cammina con la sua testa. I ricercatori bisogna accompagnarli, non giudicarli. Detesto quelle persone che, intendendosi molto di dogmatica e di etica, credono di intendersi anche di biologia. Che arrivano al tavolo di una discussione delicata come quella sull' embrione con la faccia arcigna di chi ha già un giudizio sull' interlocutore. In questo modo non danno il clima della libertà ma dell' imposizione entro regole che hanno già stabilito; lasciano il sapore della presunzione e non della verità. E questo vale per i cattolici, ma anche per certi cosiddetti laicisti». Aldo Cazzullo IL TESTO I QUESITI PROCREAZIONE La legge La legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita è stata approvata dal Parlamento il 10 febbraio 2004. Il ricorso alla fecondazione assistita è consentito alle coppie formate da maggiorenni di sesso diverso sposati o conviventi, in età potenzialmente fertile e viventi, se non vi sono altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità. Una volta che l' ovulo è fecondato la coppia non può cambiare idea. È vietata ogni sperimentazione sull' embrione REFERENDUM I contenuti La Consulta ha dato il via libera ai quattro quesiti referendari che vogliono abrogare in parte la legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Il primo quesito chiede di abrogare il divieto di compiere ricerche scientifiche sull' embrione; il secondo l' obbligo di creare in vitro non più di tre embrioni per l' impianto in utero; il terzo l' affermazione che i diritti dell' embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate; il quarto il divieto fecondazione eterologa Il fondatore OSPEDALE E UNIVERSITÀ Don Luigi Verzé, 84 anni, nel ' 48 viene ordinato sacerdote. Nel 1971 crea a Milano l' ospedale San Raffaele. Nel ' 96 fonda la libera Università Vita-Salute San Raffaele ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 1 feb. ’05 «L' INIZIO DELL' ESISTENZA? E' L' ATTO DELLA FECONDAZIONE» «La nascita di un nuovo organismo avviene con la fusione dei due gameti» «La biologia non distingue tra organismo vivente, essere vivente o individuo» Colombo Roberto Come il professor Boncinelli ed altri ricercatori intervenuti sul Corriere nel dibattito sulla fecondazione in vitro, mi sono sentito interpellato dalla domanda che ricorre con insistenza: che cosa sanno e dicono gli scienziati sull' inizio della nostra vita individuale? Senza chiarire anzitutto un aspetto di metodo scientifico, ogni ricorso alla biologia per sapere quando ha inizio la vita di un individuo umano è privo di valore conoscitivo e, dunque, eventualmente decisivo in ordine alla questione del rispetto e della tutela di questa vita giovanissima. La scienza moderna non si fonda sul sapere di rari cultori di arcane discipline, ma sul complesso delle conoscenze consolidate, validate e condivise dalla comunità internazionale dei ricercatori attraverso gli strumenti della letteratura scientifica (le migliaia di riviste scientifiche sulle quali appaiono i risultati dei lavori degli studiosi, le rassegne ed i manuali di riferimento). Come «una rondine non fa primavera», così non è l' affermazione di questo o di quello scienziato che fa la scienza. Neppure se è un premio Nobel. Negli Stati Uniti, dove la stima per la scienza non fa certo difetto, alcuni vincitori del Nobel si sono visti bocciare i propri progetti di ricerca, o respingere una richiesta di contributi, per una valutazione negativa di alcune loro affermazioni da parte di anonimi colleghi senza fama ed onori, ma tra di loro concordi nel riconoscere che la realtà era diversa da come prospettata dall' insigne studioso. Questa procedura viene chiamata "recensione anonima" o "recensione alla pari", perché mette tutti sullo stesso piano (una sorta di democrazia della scienza), e viene ormai applicata in tutto il mondo scientifico. Alla fine ciò che conta è la forza delle evidenze osservazionali e sperimentali e dell' esercizio corretto della ragione, non il nome di chi fa un' affermazione. Non ha dunque nessun senso (tanto meno scientifico) citare a sostegno delle proprie tesi uno, dieci o cinquanta premi Nobel, soprattutto se la maggior parte di questi ultimi non è uno studioso che si è occupato specificamente della materia in questione. L' ipse dixit appartiene ad altre forme di sapere e ad altri tempi. Da dove dunque è corretto attingere le informazioni biologiche necessarie per poter affermare o negare che la vita di ciascuno di noi è iniziata nella forma di un embrione umano e che quest' ultimo si è costituito attraverso la fusione di due cellule germinali, l' ovocita maturo e lo spermatozoo? Come ogni altra informazione di tipo scientifico essa deve venire ricercata leggendo con competenza e confrontando con pazienza le migliaia e migliaia di lavori osservazionali e sperimentali e le centinaia di rassegne e di manuali di riferimento scritti da studiosi di tutto il mondo, che sono passati al vaglio della "recensione alla pari" e sono stati ritenuti metodologicamente corretti per la realtà che descrivono. Proviamo, come esercizio esemplificativo, a interrogare il complesso degli studi, dei manuali di riferimento e dei testi di insegnamento a livello universitario - diversi per lingua e luogo di edizione - per conoscere che cosa la scienza, attraverso oltre un secolo di indagini - afferma a proposito dell' inizio della vita di un nuovo essere vivente, un individuo appartenente ad una data specie (compresa quella umana) che si riproduce sessualmente. La risposta è certa e unanime: la vita di un nuovo organismo vivente (o essere vivente o individuo vivente: la biologia non distingue tra questi tre termini, come invece fanno alcuni filosofi) ha inizio con un processo chiamato fecondazione, che consiste nella fusione tra lo spermatozoo e la cellula-uovo. Non è questo lo spazio idoneo per citare tutte le pagine delle riviste internazionali e dei volumi che si trovano nelle biblioteche scientifiche di università e centri di ricerca, che riportano una amplissima e consistente documentazione di tale affermazione. Ne ricordiamo una per tutti. Per il sito web della più vasta biblioteca biomedica del mondo, la National Library of Medicine di Bethesda (Usa), è stato scelto come manuale che riassume il saper più aggiornato nel campo della embriologia il volume Developmental Biology del professor Scott F. Gilbert, il testo di biologia dello sviluppo maggiormente diffuso nelle università americane e giunto in pochi anni alla sesta edizione. Il capitolo 7, nel quale viene illustrato come inizia la vita individuale di un essere vivente sessuato, ha per titolo: "Fertilization: Beginning a new organism". La fecondazione è l' inizio di un nuovo organismo. Non uno o alcuni giorni dopo la fecondazione, non con l' impianto nell' endometrio dell' utero, non passate due settimane, ma quando i due gameti "fuse togheter" (Gilbert, inizio del capitolo citato), si fondono per dare origine all' embrione unicellulare o zigote. L' espressione "one-cell embryo" (embrione unicellulare) si ritrova in numerosissimi lavori di biologia dello sviluppo animale e umana, a testimonianza della consapevolezza dei ricercatori che l' embrione inizia ad esistere già allo stadio di una singola cellula, derivante dalla fusione dell' ovocita e dello spermatozoo. Il professor Boncinelli ha ragione quando afferma che "dal punto di vista biologico non c' è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre". E' ciò che tutta la scienza sull' embrione da sempre conosce e insegna. E giustamente sottolinea che ogni "spartiacque" successivo alla fecondazione è una "convenzione umana". Non ci appelli dunque alla scienza - né, tantomeno, a uno, dieci o cinquanta premi Nobel - per forzare le decisioni dei cittadini in merito ad una scelta convenzionale che nulla ha di scientifico, ma si affronti con coraggio e libertà la vera questione che è in gioco: vi sono ragioni adeguate per ritenere che non ogni essere umano sia una persona umana come noi, meritevole di rispetto e di tutela? * docente di Neurobiologia e Genetica dell' università Cattolica di Milano Biologia e diritti L' INIZIO DELLA VITA In un intervento pubblicato dal Corriere il 26 gennaio scorso, Edoardo Boncinelli si è interrogato su «quando inizia la vita umana»: «Quando è che l' embrione è un essere senziente? Non lo sappiamo con certezza, ma è difficile pensare che ciò possa accadere, anche solo potenzialmente, prima della comparsa di una minima traccia di sistema nervoso, comparsa che si registra il quattordicesimo giorno» L' INTERROGATIVO «Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti a una persona? - scrive Boncinelli -. Questa è una domanda che esula dalla biologia e dalla scienza in generale (...). Dal punto di vista biologico non c' è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre. Questo non significa che non si possano porre degli spartiacque» l' Intervento ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 3 feb. ’05 RICERCA, CATTOLICI DIVISI SPUNTA IL FRONTE DEL «SÌ» Il filosofo Mathieu: su un quesito possibile il via libera Pessina, dell' Università di Milano: il referendum rischia di peggiorare la legge FECONDAZIONE / Le Acli dopo don Verzè: tutelare i diritti del concepito De Bac Margherita ROMA - C' è chi ancora non ha deciso, chi si allinea col cardinale Ruini, chi rivendica la necessità di un voto esplicito. E chi non è così sicuro che, recandosi alle urne, porrebbe le crocette su tutte le caselle del «no». Ondeggia il mondo cattolico, e si diversifica, dopo il suggerimento del presidente della Cei («sul referendum bisogna astenersi») e dopo la dichiarazione possibilista del fondatore del San Raffaele, don Luigi Verzè, che in un' intervista al Corriere non ha escluso la liceità di fare ricerca sull' embrione «a patto di non ucciderlo». LA RICERCA - Vittorio Mathieu, ordinario di filosofia morale all' università di Torino, confessa l' imbarazzo con cui si sta preparando all' appuntamento di fine primavera: «Può darsi che non recandosi alle urne si finirebbe per favorire il sì». La sua posizione sulla procreazione medicalmente assistita è molto definita: «A mio parere andrebbe vietata, ma visto che una legge è stata fatta tanto vale lasciarla così com' è». Il professore è per il rispetto assoluto dell' embrione, «è uno di noi», ma non esclude l' uso scientifico di «quelli che esistono già, conservarli all' infinito sotto zero sarebbe accanimento terapeutico». E come voterà al referendum? «Temo sia necessario dire no ai 4 quesiti anche se può darsi che ne esista uno per cui convenga dire sì». La necessità di tutelare i frutti del concepimento resta prioritaria e indispensabile per tutti i cattolici e «occorrerà impegnarsi di più per difenderli», dice Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica all' Università Cattolica di Milano: «Non andrò a votare e non è una scelta di disimpegno. I quesiti rischiano di peggiorare la legge e hanno titoli equivoci», spiega. L' ASTENSIONE - Le Acli devono ancora decidere la linea sul referendum. Il presidente nazionale, Luigi Bobba, fa un ragionamento: «Non ritengo che la scelta dell' astensione sia di serie B, è uno strumento per esprimersi. Credo sia doveroso da cattolico portare avanti una battaglia culturale per i diritti del concepito e a mio parere non è una scelta di minore rilevanza il non recarsi alle urne. Non tutto si risolve col bipolarismo del sì e del no». Anche sulla risposta ai quesiti l' Acli si esprimerà con un documento ufficiale. A titolo personale Bobba trova maggiori punti di contatto con Angelo Vescovi che con don Verzè, a proposito delle ricerche sull' embrione: «Sono d' accordo col genetista. Non c' è ragione per non concentrare gli sforzi sulle staminali dell' adulto, che hanno dato ottimi risultati. Anche i referendari, quando si riferiscono alla diagnosi preimpianto, ammettono implicitamente che l' ovulo fecondato contiene tutte le potenzialità della vita. Ci vuole prudenza». Bruno Dalla Piccola, genetista: «Ritengo che la ricerca vada limitata agli animali e, in campo umano, alle linee embrionali già esistenti». Seguirà l' indirizzo della Cei Vincenzo Saraceni, presidente dei medici cattolici: «Non votare è un modo di esprimere un giudizio sulla legge e sulle prospettive che si aprirebbero se vincessero i sì». Per Aldo Isidori, del Comitato nazionale di bioetica, il voto è invece espressione di diniego più forte dell' astensionismo. Margherita De Bac DON LUIGI VERZE' AL CORRIERE I quesiti e la ricerca I referendum? Un cattolico in potrebbe votare sì (...) È lecito usare l' embrione per trovare nuove cure purché non lo si uccida o lo si ferisca (...) Nulla può fermare la scienza, la ricerca deve essere spiegata e rispettata I REFERENDUM 1 Il primo quesito referendario chiede di abrogare il divieto di compiere ricerche scientifiche sull' embrione 2 Il secondo quesito vuole abrogare l' obbligo di creare in vitro non più di tre embrioni per l' impianto in utero 3 Il terzo riguarda l' affermazione che i diritti dell' embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate 4 Il quarto quesito referendario propone l' abrogazione del divieto alla fecondazione eterologa ______________________________________________________ La Stampa 2 feb. ’05 «GLI EMBRIONI CONGELATI BASTANO PER 500 ANNI» ROMA Fecondazione: la mobilitazione dei giuristi per una nuova legge e le ultime frontiere della sperimentazione con gli scienziati che lanciano un appello a utilizzare per la ricerca gli embrioni in sovrannumero ottenuti negli interventi di fecondazione assistita e abbandonati dalle coppie che li hanno generati. «Considerata la rilevanza costituzionale dei valori posti in gioco dalle tecniche di riproduzione assistita, serve una norma che non sia solo un “pro- forma”», invocano i giuristi Augusto Barbera, Aldo Loiodice e Franco Modugno al convegno sulla procreazione assistita organizzato all’Accademia dei Lincei dall’Istituto per la documentazione e gli studi legislativi (Isle). Un «forum» misto scienziati-giuristi mirato a portare il dibattito sulla legge 40 al livello accademico, scientifico e interculturale grazie alla presenza di accademici di fede cattolica, ebraica, musulmana e di impostazione laica. Significativa, in apertura dei lavori, la citazione latina-leitmotiv: «Non dubitiamo che il pretore debba venire in aiuto del concepito: egli è infatti favorito perché venga alla luce, affinché sia introdotto nella famiglia. Questo concepito si deve alimentare perché nasce non solo per il genitore, cui si dice di appartenere, ma anche per la “res publica”». A reclamare una disciplina della materia anche sul piano costituzionale è anche Riccardo Chieppa, presidente emerito della Consulta: «Il punto di partenza deve essere il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, tra cui, in primo luogo, la famiglia come società naturale, compreso il nascituro, in quanto c’è continuità naturale fra il concepimento e l’evento procreativo-generazionale». Intanto la scienza progredisce senza sosta creando nuovi dilemmi. È previsto per il 2006 in Italia il primo intervento sull’uomo basato sull’uso di cellule staminali prelevate dieci anni fa da feti naturalmente abortiti per curare due gravi malattie neurodegenerative. E arriva così, in piena campagna referendaria, un annuncio importante: l’Italia è in «pole position» nella corsa internazionale alla sperimentazione basata sulle cellule fetali per la cura di patologie del cervello. «Altri due studi sull’uomo - afferma Angelo Vescovi, il co-direttore dell’istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano - sono al nastro di partenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Abbiamo utilizzato la metà delle cellule prelevate. Le cinque fiale che oggi ci restano permetteranno di ottenere ancora centinaia di migliaia di cellule nervose». In preparazione nei laboratori delle università di Milano e Pavia c’è anche una macchina del tempo cellulare capace di riportare una cellula adulta indietro nello sviluppo, fino a farla tornare ad essere immatura e indifferenziata come era nella fase embrionale. L’obiettivo è arrivare ad ottenere cellule staminali embrionali senza passare per l’embrione. «Tutto ha origine dalla nascita della pecora Dolly perché quell’esperimento ha dimostrato che una cellula adulta può essere de-programmata - precisano i ricercatori -. Si tratta di ricreare attorno ad una cellula adulta un ambiente il più possibile simile a quello presente nell’ovocita». L’idea di ottenere cellule staminali embrionali senza passare per l’embrione risale ai tempi della commissione Dulbecco, istituita nel 2000 dall’ex ministro della Sanità Umberto Veronesi. La tecnica indicata allora dalla commissione, chiamata Trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe (Tnsa), consisteva nel privare del nucleo un ovocita umano non fecondato e nel trasferire al suo interno il nucleo prelevato da cellule somatiche del paziente in modo che nell’ovocita si sviluppassero cellule staminali con un patrimonio genetico identico a quello del paziente che le ha donate. La nuova strada ora intrapresa prevede la realizzazione in laboratorio dell’ambiente che si trova all’interno dell’ovocita. Sugli aspetti etici, poi, non sempre scienza e religione collidono. «Attualmente l’uso terapeutico delle cellule staminali embrionali è meno avanzato rispetto alle ricerche basate sulle staminali prelevate dai tessuti adulti - ammette Vescovi -. Avere a disposizione le cellule staminali prelevate dagli embrioni abbandonati consentirebbe ai laboratori di poter fare ricerca per i prossimi 500 anni. Quindi non ci sarebbe alcun bisogno di produrre altri embrioni». Però, prima di prendere una decisione in questo senso, «si dovrà essere sicuri che di embrioni sovrannumerari non se ne producano più». ______________________________________________________ La Stampa 1 feb. ’05 DAL MITO GRECO AI LABORATORI LE CHIMERE DIVENTANO REALTÀ ALLARME DAGLI USA: SI RISCHIANO TERRIBILI DILEMMI ETICI corrispondente da WASHINGTON Cellule umane in ovuli di coniglio, maiali con il sangue umano, topi con la materia grigia ed esseri umani nati dalla fertilizzazione in vitrio di embrioni frutto di topi. Nei lavoratori scientifici di Stati Uniti e Cina stanno prendendo forma ciò che nell’antichità la mitologia identificava come le chimere, creature diaboliche, metà umane e metà animali, e l’Accademia delle Scienze di Washington teme all’orizzonte un caso di conflitto fra etica e scienza da far impallidire l’attuale polemica sull’uso delle cellule staminali. E’ previsto all’inizio di marzo un summit del gotha scientifico degli Stati Uniti per decidere se seguire o meno l’esempio del Canada, dove è stato sensibilizzato il Parlamento, che è intervenuto votando la legge «Assisted Human Reproduction Act» nella quale si proibiscono espressamente le chimere. A far scattare l’allarme sono stati una serie di esperimenti sui quali alza il velo il «National Geographic News». Alla Stanford University, in California, è in programma quest’anno il tentativo di manipolare le cellule staminali di un topo per farlo nascere con la tipica combinazione di materia grigia e bianca che distingue il cervello dell’essere umano. Il test potrebbe generare un topo super-intelligente oppure incapace di muoversi, ma la scommessa di ingegneria genetica è simile a quella fatta nel 2004 da un gruppo di ricercatori della «Mayo Clinic» del Minnesota, riusciti senza troppa difficoltà a far scorrere sangue umano nelle vene di alcuni suini. Risale invece a due anni fa il successo raccolto nella fusione di cellule umane con ovuli di coniglio dalla II Università Medica di Shanghai, in Cina. I passi avanti compiuti fanno sì che la chimera mitologica greca, che aveva testa di leone, corpo di capra e coda di serpente, possa prima o poi uscire dalle pagine illustrate dei libri di epica ed entrare in quelli di scienza, ma ciò pone problemi etici su più fronti. David Magnus, direttore del Centro di Bioetica dell’Università di Stanford, ad esempio, già guarda ai rischi relativi all’«uso futuro» delle chimere. Riuscendo ad esempio a far produrre ad alcuni topi sperma e ovuli umani si potrebbe senza troppa difficoltà fertilizzarli in laboratorio e dunque arrivare a produrre un bambino che per genitore avrebbe degli animali. Si tratta di uno scenario che sfida gli estremi confini dell’etica contemporanea e Cynthia Cohen, che fa parte della commissione canadese sull’uso delle cellule staminali, avverte come «ciò potrebbe portare a negare protezione all’esistenza del genere umano». Avere creature metà uomini e metà animali dentro scuole, autobus ed uffici può far venire i brividi a molti, ma nel mondo scientifico c’è anche chi, come Irv Weissman, direttore dell’Istituto di Biologia e Medicina dell’Università di Stanford, chiede all’Accademia delle Scienze di non pronunciarsi a favore della messa al bando totale degli esperimenti: «Chiunque mette le proprie convinzioni morali sulla strada della scienza biomedica tenta di imporre la propria volontà con l’obiettivo di fermare un settore di ricerca che promette di salvare numerose vite umane» grazie a passi decisivi nella lotta contro malatie considerate oggi incurabili. Weissman è uno dei pionieri nella creazione di chimere. Può già vantare di aver confezionato in lavoratorio topi che sono l’un per cento umani e sarà lui che tenterà l’esperimento di immettere cervello umano nei piccoli animali, iniettando neuroni umani nel cervello di un topo embrionico. Il programma della ricerca prevede che l’animale sarà ucciso prima di nascere e quindi sezionato per vedere se l’esperimento è riuscito o meno. In caso positivo il passo seguente sarà tenerlo in vita e vedere se ha sviluppato una conoscenza superiore a quella che distingue la sua specie. «Ci stiamo avviando verso un territorio di biologia inesplorato - avverte William Chesire, docente di neurologia a Jecksonville, in Florida - e rischiamo di superare la soglia della morale senza neanche accorgerci di averlo fatto». ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 feb. ’05 LA DIRINDIN: IL DISAVANZO 2004 SARÀ SUPERIORE RISPETTO AL 2003 L'assessore parla ai consiglieri della settima commissione. "Bisogna contenere la spesa". Sanità, scatta l'allarme: i debiti sono in aumento La Dirindin: il disavanzo 2004 sarà superiore rispetto al 2003. Nel 2005 si migliorerà CAGLIARI. I debiti aumentano, nel settore della sanità. La denuncia arriva da Nerina Dirindin, che ieri ha parlato di fronte alla settima commissione presieduta da Pierangelo Masia. "Il disavanzo del 2004 - ha riferito l'assessore - sarà elevato, superiore a quello del 2003 e sarà necessario ricorrere all'assestamento di bilancio. Nel 2005, invece, nonostante i rinnovi contrattuali, la situazione dovrebbe migliorare". La Dirindin ha anche spiegato in quale modo intende muoversi la giunta. "Il primo impegno è quello di contenere la spesa per liberare risorse mettere in gioco. Il secondo, quello di garantire finanziamenti alle politiche sociali, il cui ruolo è cruciale all'interno del processo di riordino. Intanto questa finanziaria ha pochi soldi per gli interventi strategici, ma intende ricorrere al Por oltre che per le politiche sociali, anche per la formazione degli operatori, l'informatizzazione (nell'ambito del più vasto progetto della pubblica amministrazione) e per i progetti di ricerca, questi ultimi (si spera) sostenuti dalle fondazioni bancarie". Secondo l'assessore regionale alla Sanità "il 2005 sarà un anno di transizione, nel corso del quale vorremmo mettere in piedi analisi, monitoraggio e verifica della spesa farmaceutica e avviare il Comitato regionale di bioetica che potrà fare riflessioni importanti su alcuni temi di attualità, dalla genetica alle biotecnologie, alla riqualificazione dell'assistenza". Nerina Dirindin si è soffermata anche sulle case di riposo "nelle quali regna incertezza e disordine" soprattutto sul ruolo del personale, scoglio sul quale si sono arenati i precedenti tentativi. Il discorso sul personale coinvolge l'intero mondo sanitario: si registrano, infatti, molti contratti atipici, assunzioni determinate per carenza del personale (lo ha ricordato Mariuccia Cocco della Margherita) anche di durata semestrale, che creano uno stato di perenne precarietà. La Dirindin si è detta convinta della necessità di stabilizzare gli operatori, perchè la continuità delle équipe non può che migliorare i livelli delle prestazioni. Ci sarà un tavolo tecnico, con i sindacati confederali, per trovare risposta. Altrettanta attenzione merita anche il problema del personale sanitario, che i parametri del ministero della Salute, della Corte dei conti e dell'Agenzia nazionale dei servizi sanitari indicano superiore alla media nazionale. "Ciò dipende - ha sottolineato l'assessore - dalla prevalenza del pubblico rispetto al privato; ma l'analisi va fatta ed è possibile anche pensare a una rimodulazione, considerato che in alcune realtà territoriali e in alcune specialità mancano invece le risorse umane". Sulla dotazione di personale sono intervenuti, chiedendo garanzie, Antonello Liori (An), Mimmo Licandro (FI) e Silvestro Ladu (Fortza Paris). "I dati forniti dai precedenti assessori - hanno detto - andavano in altra direzione. Vista la carenza di medici, c'è la sensazione che a fare sbilancio siano soprattutto gli amministrativi. Situazione che l'assessore appurerà". Tore Amadu (Udc) ha, invece, registrato segnali negativi da parte dell'attuale Giunta: "la svolta non c'è stata - ha denunciato -, gli sprechi (se sprechi erano) continuano ad esserci, anzi crescono a giudicare dal bilancio, non si riesce a spostare un medico, le liste d'attesa sono pesanti". "Il timore che resti tutto come prima - ha risposto l'assessore - dimostra che c'è un interesse diffuso a cambiare registro, ma ci vuole tempo e, comunque, qualche segnale è già evidente (come la legge 162, che sblocca risorse a favore dell'assistenza all'handicap). E' miope e ingeneroso sostenere il contrario". Più tecnici gli interventi di Raimondo Ibba (Sdi-Su) sulla necessità che anche questa Finanziaria "sia il primo anello della catena della riforma" e di Giorgio Oppi (Udc) che ha dato suggerimenti su alcune risorse, chiedendo che "per pareggiare il bilancio non si penalizzino altri settori (com'è avvenuto per l'agricoltura)". Di prevenzione (compreso il diabete giovanile) e dei rapporti con l'Università, per la formazione di medici specialisti, ha parlato Nazareno Pacifico (Ds). L'assessore ha assicurato di tenere conto delle segnalazioni della commissione con la quale "è opportuno avere frequenti scambi di opinione". ______________________________________________________ L’Unione Sarda 2 feb. ’05 IL CONSIGLIO: «CHIAREZZA SULLO SVINCOLO DEL POLICLINICO» A due giorni dalla conferenza di servizi per decidere la sorte dello svincolo, in Consiglio comunale il primo cittadino chiede chiarezza alla Regione e dichiara: «Monserrato non ha mai partecipato al gioco delle parti». Si avvicina la data fissata dal presidente della Provincia Sandro Balletto che ha convocato per venerdì tutti gli enti coinvolti nel progetto per la realizzazione dello svincolo sulla statale 554. E lunedì in Consiglio comunale un'interrogazione di Franco Tinti (Udc) ha sollevato il problema in aula: «Vorrei capire cosa intende fare la Giunta riguardo al ponte e ritengo che anche questa volta l'assemblea civica debba dire l'ultima parola e magari proporre altre soluzioni». A sostegno anche altri consiglieri tra cui Cesare Cao capogruppo dei Riformatori. «La vicenda dello svincolo ci dimostra che vale il detto secondo il quale tutto quello che fanno gli altri, inteso come parte politica, è sbagliato». È stato sufficiente che alla Regione cambiassero i dirigenti «e ne è risultato che tutto quello fatto precedentemente fosse sbagliato», prosegue Cao. «Intanto chi soffrirà più di tutti questa situazione saranno gli automobilisti che ogni giorno sono costretti a stare incolonnati per ore». Il sindaco Antonio Vacca ha ripercorso l'intero iter del progetto. «Il tutto risale a 11 anni fa quando nel '97, prima della nascita del presidio universitario, ci fu una conferenza di servizi per decidere come risolvere il problema del traffico sulla statale 554. Oggi mi devo porre rispetto al problema in maniera propositiva ma voglio ricordare che Monserrato è stata l'unica amministrazione, tra gli enti partecipanti al progetto, che si è espressa sempre con chiarezza e coerenza». Prosegue Vacca: «Ricordo di aver firmato un accordo di programma con gli altri enti e di aver rispettato il compito che ci spettava che era di "difendere" il territorio e non di sindacare sul progetto». Un'intesa rispettata, ma «adesso chiedo chiarezza per poter gestire l'eventuale soluzione», afferma Vacca. Perché «noi non abbiamo mai giocato al "gioco delle parti"», che sembra muovere i fili dell'importante opera pubblica. «Ho scritto una lettera a Soru, per capire cosa la Regione debba fare concretamente». Perché il governo dell'Isola «ha l'autorevolezza di decidere di non fare lo svincolo, visto che è partner del progetto, ma deve spiegarne i motivi e dare una soluzione». Una cosa è certa: «Abbiamo ricevuto una determina regionale che ci impedisce di rilasciare una concessione edilizia ma a questo punto vorrei sapere cosa dobbiamo fare perché l'unico vincolo valido è quello di poter garantire ai cittadini di poter uscire agilmente da Monserrato e consentire il raggiungimento del Policlinico e della cittadella universitaria senza stop», conclude Vacca. Serena Sequi ______________________________________________________ L’Unione Sarda 3 feb. ’05 AL BROTZU ARRIVA LA SUPER TAC L'apparecchio permette di evitare le analisi cruente con le sonde dentro le arterie Immagini così veloci da fotografare il cuore in movimento A prima vista sembra un giocattolone della Chicco, una specie di maxi balocco posato per errore in Radiologia anziché nella nursery del Brotzu. Ma basterebbe il prezzo per capire che quel ciambellone di plastica chiara con le bande di gomma azzurra di ludico non ha nulla: un milione e 200 mila euro più 240 mila euro di Iva. L'azienda sanitaria guidata da Franco Meloni ci metterà i prossimi cinque anni per pagare alla General Electric la nuova macchina per la Tac a 32 strati, un apparecchio tra i più rapidi e precisi sul mercato sanitario. Abbastanza rapido da catturare le immagini nitide del cuore in movimento. È questo, come spiega la radiologa Annarella Pelaghi, il primo vantaggio che un'apparecchiatura così sofisticata può garantire. Ai medici che la usano, ma soprattutto ai pazienti. Se si ha a disposizione un procedimento Tac più lento non si può fare a meno, per capire bene che cosa è successo all'apparato cardiocircolatorio di un paziente, di un sistema abbastanza cruento come l'angiografia. Vale a dire: si infila nell'arteria del paziente un catatere che poi viene spinto per esplorare la situazione. Con una Tac così rapida invece si può sincronizzare il ritmo delle scansioni sul battito cardiaco (in sostanza: una o più instantanee ai raggi x per ogni battito) e avere velocemente un quadro attendibile. Non è una differenza di poco conto rispetto al passato recentissimo (e al presente della maggior parte degli ospedali italiani). Non solo perché si evita una tecnica d'esame invasiva e spiacevole, ma anche perché si eliminano tutti i problemi che i pazienti poco collaborativi possono creare. Non si tratta di degenti dispettosi: semplicemente è difficile eseguire un esame attraverso un catetere su un ferito grave reduce da un incidente stradale o un bambino spaventato. Ma sarebbe ingenuo, avvisano al Brotzu, pensare che la velocità senza precedenti dell'apparecchiatura comporti altrettanta rapidità nelle diagnosi. Anzi, i medici del reparto guidato dal primario Paolo Schifini hanno d'ora in poi una mole molto più cospicua di immagini da studiare e interpretare. Un patrimonio di conoscenze che la tecnologia consente di sfruttare al meglio: accanto alla sala dove è installato il ciambellone a raggi x (alimentato da "tubi" che al Brotzu consumano a velocità tale da stupire i fornitori Usa, giura Giorgio Sorrentino della direzione sanitaria), a due passi e a un pannello di vetro di distanza c'è lo studio dove le immagini vengono elaborate dai computer e visualizzate a tre dimensioni. L'acquisizione (a colori, con una resa grafica che fa pensare a un videogame molto più che a una lastra) permette all'operatore di ruotare l'immagine per osservare un torace o un cranio da tutte le direzioni, eliminando con un clic sulla tastiera la visualizzazione di uno o più elementi. Per intendersi: tasto destro ed ecco il paziente visto dall'interno, tasto sinistro e dal video scompare lo scheletro, lasciando solo l'apparato circolatorio. Qualche altra videata per circoscrivere la zona a rischio, qualche ingrandimento per capire se quello che sulla prima proiezione sembrava un aneurisma lo è davvero e poi, spesso nel giro di qualche secondo, il paziente viene affidato al chirurgo vascolare. Giusto il tempo di sfilarlo da quel ciambellone bianco e azzurro che sembra un giocattolo ma serve per salvare più di qualche vita. Sempre meglio e sempre più velocemente. ______________________________________________________ L’Unione Sarda 3 feb. ’05 BROTZU: CARTELLA CLINICA ADDIO, C'È IL PC Pronto il sistema informatizzato con i dati di ogni degente Si chiama Pacs e serve a eliminare la carta. Non è un cestino per la spazzatura ma il sistema informatizzato che il Brotzu sta installando per raccogliere in modo organico tutti i dati di ciascun paziente in un unico dossier informatico, poco ingombrante e poco costoso. Il risparmio - non tanto rispetto ai fogli delle cartelle quanto alla pellicola delle lastre - è tale che basterà a finanziare l'allestimento del sistema. In sostanza, spiega la direzione sanitaria dell'ospedale di via Peretti, si tratta di una rete che raccoglie gli esiti di tutte le Tac, le risonanze magnetiche, le radiografie e le ecografie che ogni ricoverato accumula nella sua storia di degente. A questi dati va aggiunta la biografia medica dell'ammalato, con tutte le informazioni (anamnesi, terapie, interventi) che possono essere utili a chi lo cura. Il collegamento in rete, infine, permetterà a ogni reparto di avere accesso all'archivio elettronico, studiando sul video tutte le immagini e le scansioni e consultando le note caratteristiche dell'ammalato. Un intranet sanitario che elimina le spese per l'acquisto delle lastre e rende molto più rapida l'acquisizione di informazioni spesso indispensabili. «Qualcuno - spiegano alla direzione sanitaria - ci ha rimproverato di puntare troppo sulla tecnologia. In realtà da tempo abbiamo come politica la valorizzazione del contatto umano con il paziente, ma se la tecnologia serve a migliorare i servizi e a garantire terapie migliori non c'è proprio nulla di male nell'investire anche in questo campo». Il più recente degli investimenti voluti dalla direzione generale, appunto, è la nuova apparecchiatura per la Tac, che si aggiunge a quelle già esistenti. Una strumentazione che consente ai sette camici della squadra di radiologia di lavorare su ritmi molto elevati (anche in termini di orari, visto che il reparto marcia dalle 8 alle 22 più gli impegni extra dettati dalle eventuali emergenze). Le Tac ormai al Brotzu sono diecimila ogni anno. A queste si aggiungono le cinquemila risonanze magnetiche e le duemila angiografie. _________________________________________________ il Giornale 5 Feb. 05 DIAGNOSI TEMPESTIVE E TERAPIE EFFICACI CON LA TELEMEDICINA RICCARDO VETTORE Con l'invecchiamento della popolazione aumentano in modo consistente gli accessi al pronto soccorso che denunciano sintomi come palpitazioni. Le palpitazioni (o cardiopalmo) sono definite come la sensazione alterata del proprio battito cardiaco. Questo può venir percepito come accelerato (simile a quello che si avverte dopo aver fatto una corsa), aritmico (come se fosse saltato qualche battito) o la combinazione di entrambi. Alla loro base c'è un'aritmia che può essere di diversi tipi e gravità, come sottolinea Leopoldo Zauner, direttore commerciale della Telbios, azienda leader nella progettazione e offerta di servizi di telemedicina e telesoccorso. «In un cuore sano - afferma Maurizio Del Greco, dirigente medico di I livello presso la Unità operativa di cardiologia dell'ospedale civile di Trento - in genere si tratta di semplici extrasistoli (ventricolari o sopraventricolari) non ripetitive che hanno pertanto carattere di benignità. Altre volte sono aritmie causate da alterazioni cardiovascolari abbastanza frequenti ma non importanti dal punto di vista prognostico: un tipico esempio è il prolasso di un lembo della valvola mitrale che può esser rilevato all'ecocardiogramma e determinare qualche semplice extrasistole». Nelle persone anziane una causa frequente di cardiopalmo è rappresentata dalla fibrillazione atriale che dopo i 70 anni si riscontra fino al5-10% della popolazione: si tratta di un'aritmia che se trattata adeguatamente permette di fare una vita del tutto normale ma al contrario se non rilevata può causare complicanze come l’ictus cerebrale. Infine ci sono le tachicardie ventricolari o peggio la fibrillazione ventricolare che si registrano in cuori malati (ad esempio dopo un infarto o per patologie importanti delle valvole cardiache) e richiedono una terapia pronta ed adeguata. «Presso il nostro centro - spiega il dottor Del Greco - utilizziamo servizi di telemedicina ormai da oltre un anno impiegandoli in oltre 50 pazienti. In pratica attraverso un piccolo apparecchio portatile registriamo, memorizzandoli, fino a 6 periodi di ECG di superficie di 30 secondi che possono successivamente essere trasmessi via telefono ad una centrale di riferimento, aperta 24/24 ore. Da qui le registrazioni vengono inviate al medico di riferimento. L'attività dì consegna dell'apparecchio e di istruzione del paziente è affidata a personale infermieristico dedicato. I pazienti sottoposti a procedura di ablazione transcatetere in atrio sinistro per il trattamento della fibrillazione atriale (attività da noi iniziata nel 2001) necessitano di un follow-up attento almeno nei sei mesi successivi. In questo periodo la telecardiologia può essere utile per i seguenti motivi: a. possibilità di documentare recidive tachiaritmiche, spesso di breve durata dovute ad aritmie diverse dalla fibrillazione atriale; b. possibilità di documentare episodi di cardiopalmo riferiti dal paziente come simili a quelli della fibrillazione atriale ma spesso dovuti a battiti ectopici sopra o ventricolari; c. per lo stesso motivo, cioè la difficile scelta della sospensione degli anticoagulanti, è dì supporto nel paziente asintomatico la documentazione ripetuta di ritmo sinusale (insieme al responso Holter di 24 ore). Da quando disponibili, tutti i pazienti sottoposti ad ablazione per fibrillazione atriale presso il nostro centro ricevono un registratore di eventi per un periodo di 3 mesi con la raccomandazione di attivarlo in caso di sintomi anomali». ________________________________________________ Libero 05-02-2005 ALLA CAMERA UNA LEGGE PER NON FAR SOFFRIRE DI ANIMALI Il deputato Schmidt riscrive la normativa sulle specie usate per la ricerca. Ai trasgressori multe fino a 50mila euro di BRUNELLA BOLLOLI ROMA - Una legge per non far soffrire gli animali utilizzati nella ricerca scientifica. Perché se devono morire, muoiano con dignità e durante i test non patiscano dolore, forti stress e danni permanenti. In pratica, una risposta ai frequenti interrogativi sulla sperimentazione in vista di un obiettivo: riscrivere l'attuale normativa che tutela tutti gli animali utilizzati nei laboratori, anche quelli geneticamente modificati e migliorare, quanto più possibile, le loro condizioni. Dall'allevamento fino agli stabilimenti dove gli animali diventano cavie. Padre di questo importante progetto di riforma, presentato ieri alla Camera, è il deputato di Forza Italia Giulio Schmidt che, insieme a ricercatori, medici veterinari, aziende farmaceutiche, società italiane di psicologia, farmacologia, tossicologia, Lav (Lega anti-vivisezione) e altre associazioni animaliste, lo scorso novembre, ha creato un Comitato per la revisione del decreto legislativo 116 del 1992. «AL termine di un lungo lavoro di squadra», ha spiegato Schmidt, da sempre sensibile al tema animalista, «è nata questa proposta di legge che prevede, tra l altro, il sistema delle "3R"». Cosa significa? Le tre erre stanno per: Relacement, Reduction, Refinement (sostituzione, riduzione, perfezionamento). In sintesi, un'alternativa alle attuali procedure di ricerca. Sostituzione, infatti, dei metodi dannosi per gli animali. Ad esempio, tutte le procedure che creano dolore devono essere condotte in anestesia generale o locale. Riduzione del numero degli animali impiegati al fine, anche, di evitare la reiterazione di test sullo stesso esemplare. Infine, il perfezionamento, per promuovere una "cultura dell’attenzione" alla tutela e al benessere delle specie stesse. La proposta del deputato azzurro è dettagliata. All'articolo 2 precisa le specie che possono essere impiegate: topi, ratti, porcellini d'India, mesocriceti dorati, conigli, primati non umani, cani, gatti, quaglie, gerbilli, furetti e minipig. Vietati, invece, gli animali selvatici e in via di estinzione. Proibito pure l'utilizzo di scimmie antropomorfe, ovvero scimpanzé, bonobo, gorilla e orango, salvo che si ritenga indispensabile ai fini della cura di malattie delle specie stesse o della loro conservazione. La legge, inoltre, disciplina il personale abilitato alle procedure, gli stabilimenti (obbligatoria un'autorizzazione dal ministero della Salute) e istituisce un Osservatorio nazionale per la Tutela degli animali da laboratorio. All'articolo 18 sono previste le sanzioni (da 3mila fino a 50mila euro con revoca dell'autorizzazione al progetto) per chi viola le norme sul corretto utilizzo delle cavie. Perché, ha ribadito lo stesso Schmidt, «anche per i nostri amici animali c'è modo e modo di soffrire, c'è modo e modo di morire. Noi chiediamo che tutto questo avvenga con dignità». ___________________________________________________ Il Tempo 2 feb. ’05 GLI OSPEDALI SI METTONO IN MOSTRA AL SANIT Il 9 febbraio comincia la seconda esposizione dei servizi sanitari. Stand e incontri ospitati negli spazi della Fiera di Roma I visitatori potranno effettuare anche check-up gratuiti per verificare il proprio stato di salute dl CARLO ANTINI IN MOSTRA i servizi sanitari. Mercoledì 9 febbraio comincerà alla Fiera di Roma la seconda edizione del Sanit, la mostra convegno sulla sanità. L'esposizione durerà quattro giorni e si concluderà sabato 12. Negli spazi della Cristoforo Colombo saranno messe in mostra le buone prassi e le punte di eccellenza del sistema sanitario: Asl e ospedali del Lazio e istituti ed enti di carattere nazionale. II 5anit 2005 ospiterà circa 30 tra convegni e workshop, oltre a centinaia di stand e percorsi espositivi. Non mancheranno, ovviamente, le Asl e gli ospedali più importanti che metteranno in mostra i servizi al pubblico, i nuovi progetti e le opportunità di prevenzione. Alla Fiera di Roma sarà anche possibile effettuare check-up completi e gratuiti per verificare il proprio stato di salute cori diete personalizzate, controlli dermatologici, misurazione della pressione P della glicemia. valutazione del rischio cardiovascolare, controlli odontoiatrici e molto altro. Negli spazi espositivi ci saranno anche le aziende private che operano in un settore strategico per lo sviluppo economico e occupazionale. Tra i tanti convegni previsti nel corso del Sanit, ci saranno quelli dedicati alla figura professionale dell'infermiere, alle nuove tecnologie e innovazioni scientifiche, agli interventi di emergenza, alle nuove terapie contro l’infertilità. E ancora incontri sui trapianti, immigrazione e salute, sport e sana alimentazione. Tra gli stand e i percorsi espositivi, sarà anche possibile vedere e toccare con mano le nuove tecnologie sperimentate dal Cnr, le, applicazioni tra ricerca spaziale e salute presentate dall'Agenzia spaziale italiana c dall'Ente spaziale europeo, gli ospedali da campi) dell'Aeronautica militare che nel mondo hanno portato la solidarietà dell'Italia, ma anche la Guardia di Finanza e la Croce Rossa con i suoi mezzi per gli interventi di emergenza in Italia c all'estero. Insomma il Sanit sarà l'occasione per conoscere la sanità che funziona. Al Sanit è una delle maggiori fiere per i servizi alla salute - ha detto Francesco Storace, governatore del Lazio, durante la presentazione dell'iniziativa - L'edizione dell'anno scorso ha potuto contare su cinque mila presenze. Quest'anno puntiamo a raddoppiare i visitatori. Abbiamo chiesto agli ospedali di mettere- in mostra i servizi al pubblico. Il Sanit è l'occasione per conoscere meglio la sanità che funziona_ Il nostro obiettivo è quello di far incontrare istituzioni e cittadini. Oltre a Storace, alla presentazione del Sanit 2005 erano presenti anche Cesare Cursi, sottosegretario al ministero della Salute, Ferdinando Romano, presidente dell'Aran, Andrea Costanzo, presidente, dei Sanit, e Aldo Morrone, dell'Istituto San Gallicano. «Oggi molti pazienti che soffrono di osteoporosi - ha detto Cursi - possono ottenere i medicinali gratuiti solo dopo aver subito una frattura. Da qualche tempo invece stiano cercando un rimedio a questa situazione. Stiamo studiando, infatti, una carta del rischio della malattia, su modello delle carte del rischio cardiovascolare. L'obiettivo è fissare una serie di requisiti come età e gravità della patologia, per consentire al medico di riconoscere i casi particolarmente gravi e prescrivere così i farmaci nella fascia A ai pazienti che ne. hanno realmente bisogno». ______________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’05 PACEMAKER ANTI-DEPRESSIONE SOTTO PELLE L'idea venuta a un radiologo dell'Università del South Carolina Sì alla vendita negli Usa: impulsi elettrici al cervello. "Solo quando le altre terapie non funzionano" Il pacemaker anti-depressione è a un passo dalla commercializzazione, almeno negli Stati Uniti. La Fda, l'ente federale americano per il controllo dei farmaci e delle apparecchiature mediche, ha dato l'ok "con la condizionale" alla vendita: l'azienda produttrice, la Cyberonics di Houston, dovrà soltanto perfezionare alcuni aspetti che riguardano i controlli di qualità. Così fra pochi mesi migliaia di americani, colpiti da forme di depressione refrattaria ai normali trattamenti, avranno a disposizione un'opzione terapeutica in più: un elettrostimolatore da impiantare sotto la cute del torace, capace di inviare impulsi al cervello attraverso il nervo vago (la tecnica si chiama infatti Vns, stimolazione del nervo vago). Almeno il 20 per cento di chi soffre di depressione maggiore, cioè della forma più grave della malattia (quella che abbassa il tono dell'umore, fa perdere la voglia di vivere, evoca pensieri di morte e colpisce una persona su cinque nel corso della vita) non risponde alle cure tradizionali, farmaci e psicoterapie, e nemmeno all'elettroshock: ecco perché gli studiosi sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni. L'idea di utilizzare, come alternativa terapeutica, il neuro-pacemaker è venuta per caso a Mark George, un radiologo americano dell'Università del South Carolina: questo dispositivo era già usato per combattere crisi epilettiche non controllabili con i farmaci e i ricercatori avevano visto che i pazienti manifestavano uno stato di euforia. L'apparecchio, infatti, è dotato di due fili che vanno a stimolare il vago, un nervo che arriva dai visceri, passa attraverso il collo e raggiunge diverse aree del cervello. Nel caso delle crisi epilettiche, provocate da un'eccessiva attività elettrica di gruppi di neuroni, la stimolazione del vago porta a una normalizzazione della situazione; nel caso della depressione, questi impulsi servono, al contrario, per attivare certe aree del cervello, come l'ipotalamo, che giocano un ruolo chiave nella depressione e per stimolare la produzione di neurotrasmettitori, come la serotonina, carenti nei depressi. Per il momento l'Fda ha raccomandato l'impiego del dispositivo soltanto quando un paziente con depressione cronica o ricorrente non risponde ad almeno quattro trattamenti antidepressivi diversi, condotti "a regola d'arte" e comunque quando ha più di diciotto anni d'età. "Siano di fronte a una nuova possibilità terapeutica - commenta Michele Tansella psichiatra all'Università di Verona e direttore del Centro di riferimento dell'Oms nella stessa città - ma occorre, come sempre, una certa dose di cautela. Innanzitutto non si devono accendere speranze in pazienti che invece non sono idonei a terapie di questo tipo: ancora oggi, soprattutto in Italia, non sempre vengono percorse adeguatamente tutte le strade terapeutiche, soprattutto quelle psicoterapiche. E poi bisognerà valutare bene l'efficacia: le sperimentazioni condotte finora parlano di un 30 per cento di risultati positivi". Negli Stati Uniti il trattamento Vns costa circa 20.000 dollari, spese chirurgiche comprese. "Una cifra che andrà rapportata alla situazione italiana", ricorda Tansella che ha appena concluso una ricerca chiamata Psycost condotta per valutare i costi dell'assistenza ai pazienti psichiatrici in Italia, compresi i depressi gravi. "Per stimolare le strutture pubbliche a prendersi carico di questi malati con continuità - spiega Tansella - abbiamo studiato pacchetti di cura, con interventi differenziati, che costano da 5 mila a 36 mila euro l'anno, da contrapporre ai rimborsi per ogni singola prestazione". Adriana Bazzi ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 CERVELLO, AL DI LÀ DEI NEURONI Con tecniche di imaging si é scoperto che le cellule gliali facilitano lo scambio di informazioni Il dipartimento di Biologia cellulare dell'Università di Losanna, futuro dipartimento di Neuroscienze, è un luogo tranquillo e silenzioso, un'atmosfera che rimanda rigore e attenzione alla ricerca. Una ricerca di poche parole, di sostanza. Qui, è approdato Andrea Volterra alcuni anni fa per esplorare possibili collegamenti con il dipartimento di Scienze farmacologiche e il Centro di eccellenza sulle Malattie neurodegenerative dell'Università dì Milano. La ricerca. «Accanto alle vie neuronali, i canali principali di elaborazione delle informazioni cerebrali, esistono altri canali che funzionano grazie alle cellule gliali, un'infinita possibilità di scambi finora sconosciuta». Così Volterra racconta la sua ricerca, i suoi obiettivi di svelare il funzionamento del cervello al di là del neurone. La scoperta del professore e della sua equipe avrà delle ricadute non da poco sulla comprensione e sulla cura di malattie neuropsichiatriche, come, per esempio, il morbo d'Alzheimer e la sclerosi laterale arniotrofica. E la passione per il cervello ha spinto Volterra a esplorare territori fuori dall'Italia «per trovare un contesto favorevole alla crescita di progetti di ricerca multidisciplinari e allo sviluppo. Da questa collaborazione di cui parla Volterra è già nata la piattaforma di "Imaging cellulare" da lui diretta, come pure il "Centro di genomica integrativa", diretto dal professor Walter Wahli, due progetti di alto respiro internazionale, che sono tra le perle della nuova facoltà di Biologia e medicina dell'Università di Losanna, «la prima in Svizzera a unire tutte le Scienze degli organismi viventi, dalle piarite all'uomo, favorendo il raggruppamento tematico dei ricercatori, lo sviluppo di piattaforme tecnologiche e di consorzi interistituzionali, in uno sforzo di coordinamento trasversale del sapere biomedico» come sottolinea Patrice Mangin, preside dell'Università elevetica. Centro multidisciplinare. «Questa nuova Facoltà è un esempio dell'integrazione tra saperi di cui accennavo prima - spiega Volterra -. In Italia, spesso si fatica a uscire dalle visioni locali e disciplinari e a creare strutture che favoriscano le sinergie tra le molte teste». La ricerca in Neuroscienze a Losanna segue un approccio, appunto, multidisciplinare, dall'interazione proteina-proteina in vitro fino alle cure negli esseri umani. «Una struttura del genere dà dignità e fiducia al ricercatore incoraggiandolo, a differenza di ciò che accade spesso in Italia, a sentirsi parte attiva e, in un certo senso, obbligandolo a tirare fuori il meglio da sé. Il rapporto tra qualità e opportunità è assai equo. Oggi, nel nostro paese è ancora difficile: operare una selezione qualitativa che permetta ai migliori di fare ricerca con la sicurezza di un luogo, delle apparecchiature, un'èquipe nonché una rete di competenze di supporto per un lavoro di qualità. Questo vale anche, e soprattutto, per i giovani che si trovano qui in un complesso stimolante e ricco di opportunità». Il centro multidisciplinare si propone, dunque, di contribuire allo studio delle neuroscienze grazie alla collaborazione tra gruppi di ricerca dell'Università di Losanna, dell'Epfl -la scuola politecnica - e dell'Ospedale Universitario Vaudois. Inoltre, ha sviluppato con l'Università di Ginevra un "training program" di dottorati e master in Neuroscienze che attira studenti da tutto il mondo. Il professor Volterra va fiero di questo nascente "consorzio di Neuroscienze" perché «rappresenta un traguardo di collaborazione tra istituzioni diverse, non semplice perché vuole andare al di là di possibili conflitti d'interesse o di obiettivi istituzionali specifici. Sarebbe utile metterlo a confronto con i progetti che si sviluppano in Italia, per allargare il dibattito e stimolare il mondo accademico del nostro Paese». Network cerebrale. Se, dunque, la parola chiave di Andrea Volterra è collaborare pare che funzioni perché, entrando più nel dettaglio della sua ricerca, il professore ha pubblicato nel luglio scorso un articolo su «Nature Neuroscience». Utilizzando tecnologie innovative di imaging cellulare ha scoperto che gli astrociti, un particolare tipo di cellula gliale, facilitano la comunicazione cerebrale rilasciando per esocitosi trasmettitori chimici come il glutammato, finora creduti specifici dei neuroni. «Ancora oggi - spiega Volterra - il linguaggio delle cellule gliali rimane assai misterioso. Ma il fatto importante è questo: anche queste cellule, non solo i neuroni, lanciano messaggi. Siccome le cellule gliali sono dicci volte più numerose dei neuroni, si pub comprendere l'ulteriore complessità del network cerebrale. Un passo avanti, dunque per un professore italiano con la passione per la ricerca che ha trovato nel collegamento con la Svizzera un contesto dove far maturare le proprie idee e progetti dando una sferzata allo studio del cervello umano. IL RICERCATORE A New York con Kandel Andrea Volterra, nato a Bologna nel 1957, si è laureato e specializzato all'Università di Milano. Ha poi trascorso oltre 3 anni presso la Columbia University di New York, nel laboratorio del Premio Nobel Eric Kandel, per ritornare nel 1990 all'Università di Milano dove è diventato ricercatore e quindi professore associato. Dal 2001 fa parte del Consiglio scientifico del Centro di eccellenza sulle Patologie neurodegenerative (Cend) e collabora attivamente con l'Università di Losanna dove dirige la Piattaforma tecnologica di Imaging cellulare. La sua attività di ricerca è incentrata sullo studio detta comunicazione tra cellule nel sistema nervoso, in particolare ì nuovi linguaggi del dialogo tra neuroni e cellule non-neuronali (la glia) e il loro contributo alla funzione integrativa cerebrale delle patologie neurodegenerativ e psichiatriche ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 L’ALZHEIMER NASCE DALL'EVOLUZIONE Un cervello col "turbo" è ciò che ci fa uomini, ma è forse anche la causa di malattie gravissime come l’Alzheimer e il Parkinson. Il metabolismo più rapido del nostro cervello ci garantirebbe capacità intellettuali sconosciute alle altre specie, ma è probabilmente anche il nostro tallone di Achille secondo Todd Preuss, ricercatore presso la Emory University di Atlanta, negli Stati Uniti, che ha osservato più di quattromila geni coinvolti nell'attività del cervello nei primati. «Anche se molto più piccolo, il cervello delle scimmie è simile al nostro nella distribuzione delle aree cerebrali - spiega Preuss, che ha presentato i suoi dati nell'ultimo numero di "Nature genetics reviews" -, ma diversamente da noi gli altri primati non sviluppano malattie neurodegenerative nonostante vivano fino a età anche molto avanzate. Gli scimpanzé diventano anziani intorno ai 45-50 anni e i macachi a 25-30». Biologia a confronto. Il completamento della sequenza del genoma umano nel Duemila e, più recentemente, di quello dello scimpanzè con il quale condividiamo il 98,6% del Dna, hanno aperto nuove strade per confrontare la nostra biologia con quel la dei primati. L'obiettivo è spiegare non solo come ci siamo evoluti in ciò che siamo, ma anche trovare indicazioni per nuove terapie e farmaci contro le malattie neurodegenerative sempre più diffuse nei Paesi sviluppati a causa dell'invecchiamento della popolazione. In collaborazione con l'équipe di Dan Geschwind, direttore del centro per la Genetica del comportamento dell'Università della California a Los Angeles, Preuss ha confrontato i dati prodotti da quattro diversi studi sull'attività di 4.159 geni della corteccia prefrontale di 21 uomini, 12 scimpanrè e 37 tra gorilla, macachi, bonobi e orang-utang. La corteccia prefrontale è molto indicativa dell'attività cerebrale perché è qui che avviene la maggior parte dei processi coscienti, ma i ricercatori americani hanno osservalo l'attività degli stessi geni anche in altri organi come il fegato, il cuore e nei muscoli per isolare quelli con uno specifico ruolo nel cervello. «Sono almeno 100 i geni che si comportano molto diversamente nel cervello umano - spiega Preuss - e la maggior parte tende ad avere un metabolismo più veloce, producendo più proteine rispetto a ciò che fanno nelle altre specie». Stress da evoluzione. Osservando diverse specie di primati che discendono tutte da un antenato comune vissuto almeno 25 milioni di anni fa, i ricercatori hanno inoltre potuto stabilire che la maggior patte dei cambiamenti nella biologia del nostro cervello sono una caratteristica tipica dell'uomo e sono probabilmente avvenuti negli ultimi milioni di anni della nostra evoluzione. Oranghi, gorilla e scimpanzè, con i quali condividiamo antenati comuni vissuti rispettivamente 15, 10 e otto milioni di anni fa mostrano infatti poche delle caratteristiche osservate da Preuss in questa manciata di geni. Un'attività molto intensa dei neuroni è però uno stress per il cervello umano che nel corso della sua evoluzione ha perciò prodotto anche meccanismi di protezione. Proprio l'invecchiamento dei tessuti potrebbe essere responsabile del cattivo funzionamento di queste barriere, lasciando così il campo libero all'avanzata delle malattie neurodegenerative. «Questo è il punto debole della nostra specie - osserva Preuss -, ma potrebbe diventare il bersaglio per nuove terapie. Prima però dobbiamo capire come funzionano esattamente questi geni e isolare le proteine che producono. La sfida più grande sarà capire che cosa esattamente fanno e come intervengono in funzioni cruciali della vita umana come il linguaggio e le funzioni cognitive più complesse». Guida Romeo ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 LA RISONANZA MAGNETICA VEDE SINGOLE MOLECOLE L'uso di un nuovo liquido di contrasto potrebbe migliorare notevolmente il potere di risoluzione della risonanza magnetica. Balaji Sìtharaman, dell’Università Rice a Houston, ha incapsulato del gadolinio all'interno di molecole di fullerene, strutture complesse formate da decine di atomi di carbonio. In questo modo la tossicità del metallo è stata ridotta quasi a zero, ma soprattutto è aumentato di un centinaio di volte il potere di risoluzione dell’esame diagnostico. Secondo il ricercatore, infatti, in questo modo saranno visualizzabili anche singole cellule. L'obiettivo dello studioso è ora usare la medesima tecnica per rendere evidenti cellule malate o tumorali. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’05 TUTTE LE ANALISI MEDICHE IN UN CHIP I Dna array, capaci di sondare migliaia di geni, sono la promessa detta diagnostica - Francesco Stellacci, al Mit di Boston, ha scoperto come ridurne i costi E ispirato alla biologia il metodo di fabbricazione che dovrebbe ridurre a un decimo il costo dei Dna array, nanodispositivi per la diagnostica medica avanzata. L'ha sottoposto a domanda di brevetto il gruppo di ricercatori di cui è responsabile l'italiano Francesco Stellacci, assistant professor of materials science al Mit (Massachusetts institute of technqlogy) di Boston. Dalla riduzione del casto dovrebbe derivare la disponibilità per tutti di una tecnologia ricca di promesse: applicazioni diagnostiche (si veda l'altro articolo nella pagina) che vanno ben oltre il test del Dna per il riconoscimento delle persone, resoci familiare dalla catastrofe del sud-est asiatica. Il Dna, una macromolecola che risiede nelle cellule, è di fondamentale importanza per ogni essere vivente, perché contiene tutte le informazioni necessarie al suo sviluppo e al suo mantenimento, anche quelle riguardanti le sue malattie. Ogni essere umano ha segmenti di Dna che appartengono a lui solo e perciò lo distinguono da chiunque altro. I Dna array, detti anche Dna microchip e gene chip array, sono dispositivi simili ai microchip usati nei computer sia per l’aspetto, sia per i processi di fabbricazione finora usati. La differenza tra questi chip e quelli della microelettronica sta nel fatto che i primi non hanno elementi elettronici e che portano sulla superficie centinaia o migliaia di pezzetti ben noti di una molecola di Dna, disposti in righe e colonne. La frammentazione della mole cola in segmenti aventi all'incirca le dimensioni di un gene si ottiene tramite specifici enzimi. I gene chip array sono progettati per analizzare sia il Dna sia l’Rna, un'altra molecola appartenente alle cellule, capace di copiare l'informazione del Dna e di trasmetterla al di fuori di esse ai sistemi dedicati alla produzione di proteine. Agli effetti di questo discorso, Dna e Rna si possono considerare equivalenti. Per eseguire l'analisi, si depone il Dna o l’Rna ignoto sul chip, dopo averlo ridotto in pezzi aventi all'incirca le dimensioni di quelli che si trovano sul chip stesso. A questo punto, siccome il funzionamento dei microarray è basato su una proprietà dai componenti basici del Dna, la complementarietà delle basi, è necessario ricordare che il Dna è costituito da due filamenti, o stringhe di informazione genetica, avvolte a doppia elica; che in ogni stringa sono presenti in gran numero quattro basi, A (adenina), T (timina), G (guanina), C (citosirla) e che ogni A di un filamento è associata a una T dell'altro, ogni C dell'uno a una G dell'altro. Si dice che A è complementare di T e C lo è di G. Per cui, se un pezzo di Dna sconosciuto, una volta deposto sulla superficie dell'array, si attacca a un pezzo già presente su di essa, all.ora i due sono complementari. Vale a dite: se quello noto è costituito, ad esempio, dalla sequenza TTAA, il pezzo sconosciuto è sicuramente AATT. Perciò, quando il Dna, o l’Rna, estratto da, una cellula tumorale viene deposto sul Dna chip, i geni provenienti dalla cellula si attaccano ai loro complementari presenti sul chip. Allora, reso fluorescente il Dna in esame, misurando la fluorescenza delle coppie formatesi si deduce, con l'aiuto di un computer, sia l'identità, sia l'attività dei geni interessati. Ed è possibile non solo distinguere il tipo di tumore dai geni che attiva, ma anche la sua malignità. Inoltre, se due geni vengono attivati contemporaneamente, si può pensare a una loro correlazione. «Attualmente - dice Stellacci - il costo degli array, esclusa l'analisi, varia dai 400 ai ,1.500 euro, a seconda del metodo di produzione e del numero di sequenze note che vengono usate. II metodo sviluppato dal mio gruppo consente una drastica riduzione di tale costo, perché richiede tre soli passaggi di processo, anziché 400 come gli altri. Questo avviene grazie al fatto che esso si ispira alla natura, mentre gli altri si ispirano ai processi della microelettronica». E prosegue spiegando che tale metodo è basato sulla proprietà di autoriprodursi del Dna. La "replicazione" della molecola del Dna avviene a opera di un enzima e inizia con la separazione dei due filamenti che costituiscono la doppia elica. Ogni filamento funge da matrice per la sintesi di uno nuovo, a esso complementare, che gli si avvolge attorno a formare -una nuova doppia elica. Si generano così due nuove molecole, contenenti ciascuna un filamento nuovo e uno vecchio. «Altrettanto si fa col nostro metodo - dice Stellacci -: si copia un filamento di Dna presente su una superficie e lo si trasferisce su di un'altra. Il vantaggio? Una volta trasferito il metodo su scala industriale, prevedibilmente tra uno o due anni, sarà possibile eseguire spesso, e su tutti, analisi che attualmente sono molto costose. Con la frequenza con cui si esegue oggi l'esame del sangue più banale». Previsioni Tra pochi anni questi strumenti entreranno nello routine Sono utilizzati dalLe aziende farmaceutiche per studiare nuove moLecole ___________________________________________________ lIBERO 2 feb. ’05 LA SINDONE NON É UN FALSO HA DAI 1300 AI 3000 ANNI Il lenzuolo nel quale si ritiene sia stato avvolto Gesù dopo la crocifissione è un reperto estremamente antico e non un falso di origine medievale». Lo sostiene Ramond Rogers, chimico del laboratorio nazionale di Los Alamos, nel New Mexico. La ricerca di Rogers, diffusa dalla rivista Termochimica Acta, ha dimostrato che nel sudario è presente una sostanza chimica chiamata vanillina. Quest'ultima è prodotta dalla decomposizione termica della lignina, un polimero naturale che si trova in alcune piante come il lino. Con il tempo essa scompare e dunque la sua presenza o meno in un materiale ne permette la datazione. Rogers dice in particolare di aver trovato tracce di vartiflinasolo in un punto della Sindone, quello corrispondente a una "pezza" sostituita in epoca medievale in seguito a un incendio. «Uno studio della cinetica della perdita di vanillina suggerisce che il sudario dovrebbe avere dai 1.300 ai 3.000 anni», ha concluso Rogers. Secondo lo scienziato «si può inoltre affermare che il tessuto analizzato corrisponde a un autentico sudario, che le macchie di sangue su di esso sono vere, e che la tecnologia impiegata per realizzarlo era esattamente quella descritta da Plinio il Vecchio alla sua epoca, intorno al70 dC». Il risultato contraddice quanto stabilito dalla ricerca al radiocarbonio condotta nel 1988, che fa risalire la Sindone ad un periodo tra il 1260 e il 1390 d.C. _______________________________________________ Libero 05-02-2005 27 L’ARTRITE REUMATOIDE PUÓ NASCONDERE MALATTIE CARDIACHE' Le patologie hanno forse un'origine comune DAGLI STATI UNITI L'artrite reumatoide spesso nasconde malattie cardiache "silenziose" che restano nascoste per lungo tempo. Questo il risultato di una ricerca pubblicata sulla rivista "Arthritis & Rheumatism". «I malati di artrite reumatoide rischiano tre volte più degli altri di finire in ospedale per un attacco di cuore acuto, cinque volte di più di vedersi diagnosticato un infarto», spiega Hilal Maradit Kremers, della Mayo Clinic di Rochester, in Usa. Da qui l'ipotesi che «malattie cardiache e artrite reumatoide abbiano cause comuni». _______________________________________________ Libero 05-02-2005 27 STOP ALLA MIOPIA CON UN FARMACO OCULISTICA USA Rallenta del 50 per cento il calo delle facoltà visive WASHINGTON - [g.g.] Un nuovo farmaco sarebbe in grado di bloccare il progredire della miopia. Si chiama ` Pirenzepina" ed è stato testato con successo dai ricercatori del US Pirenzepine Study. Gli studiosi hanno condotto i test su un campione di bambini di età compresa tra gli 8 ed i 12 anni i quali presentavano difetti diottrici, relativi alla miopia,variabili da -0,75 a -4 diottrie ed un astigmatismo di una diottria o meno. Per un anno, metà dei pazienti hanno assunto un gel oftalmico a base di Pirenzepina per due volte al giorno, mentre l'altra metà è stata trattata senza medicine. Infine si è visto che, se all'inizio dei test il deficit oculare corrispondeva in media - 2,098 diottrie per il gruppo Pirenzepina e - 1, 933 per il gruppo placebo, dopo dodici mesi è stato osservato un aumento medio della miopia di 0,26 diottrie nel rimo gruppo e di 0,53 nel secondo. L'11% dei pazienti trattati con Pirenzepina ha interrotto lo studio, il 4% a causa di effetti indesiderati). La miopia è un difetto di rifrazione, ossia un difetto del sistema che mette a fuoco le immagini. È molto frequente, si calcola che in Italia circa 12 milioni di persone ne siano colpite. Nell'occhio normale, i raggi luminosi che provengono dagli oggetti distanti cadono, quindi vanno a fuoco, esattamente sulla retina. Nell'occhio miope invece i raggi cadono su un piano posto davanti alla retina per poi divergere e raggiungerla formando un'immagine sfuocata a livello retinico. L'occhio miope per questo motivo percepisce immagini confuse che si possono correggere con le lenti da vista. ______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Gen. ’05 «IO, DOTTORE IN REFLECTING, CURO USANDO LE PAROLE DEI PAZIENTI» Alberto Sevini è uno dei primi esperti della nuova scienza che aiuta a guarire riflettendo su se stessi MILANO - E se un giorno vostro figlio venisse da voi dicendovi che da grande vuole fare il «reflector»? Una professione nuova: chi per mestiere aiuta gli altri a riflettere. Come Alberto Sevini, nato a Paderno Dugnano 40 anni fa, uno dei primi in Italia a fare il libero professionista nel campo della riflessione. «La mia vita da reflector è incominciata tre anni fa - spiega -. Dopo la laurea in pedagogia ho preso la specializzazione a Firenze in "reflecting", una scienza giovane che studia come aiutare l’individuo a riflettere su di sé e a superare, con le proprie risorse, i disagi e le difficoltà della vita». Si è sempre saputo che, per le faccende dell’io, a curare i tanti mal di anima o le angosce dell’esistenza ci ha sempre pensato lo psicologo o lo psicoanalista sul suo lettino: perché una persona dovrebbe mettersi invece fra le mani di un reflector? «Una volta un mio paziente mi disse: "Non mi dica cosa devo fare, ascolti quello che ho da dire". Cominciamo da qui: il reflector non cura il problema, ma si prende cura della persona. È contrario a ogni terapia basata su autoritarismi, ordini, consigli o inviti. Presta ascolto, individua durante il colloquio concetti espressi dal paziente e, in una sorta di ping-pong terapeutico, glieli rimanda indietro: può essere la stessa frase, pronunciata però con un particolare tono della voce, accentuata con la gestualità, avvicinandosi magari a lui con la sedia. Si approfondisce l’argomento, usando la comunicazione non verbale per far pensare l’altro. Per usare una metafora, è come se si sottolineasse un nodo cruciale del problema che è emerso in un punto preciso del racconto e lo si fa capire al paziente per auto-indurlo alla riflessione». Coppie in crisi, persone depresse, chi ha problemi legati all’ambiente di lavoro, chi non sa come risolvere una storia sentimentale, adolescenti che non sanno dare un senso alla propria vita, dirigenti d’azienda in crisi esistenziale: in cura dal reflector ci vanno un po’ tutti, stando alle parole di Sevini. «Le giovani donne e gli adolescenti sono le figure più in crisi in questo momento. Poi vengono gli uomini sui 50 anni con dei forti sensi di colpa perché hanno un’amante. Molti hanno avuto una precedente esperienza di psicoterapia: la differenza sostanziale è nella partecipazione emotiva, che la psicoterapia non prevede». Conta in questo mestiere anche il luogo dove si esercita: colori pastello molto tenui, parquet, arredamento scarno, sedie «austere» e la scrivania meglio se di cristallo per avere sott’occhio l’intera postura del paziente. Le tariffe? «Un’ora da un reflector costa 45 euro: il colloquio dura 50 minuti. I casi più gravi necessitano di un anno e mezzo di terapia con due sedute settimanali, come nel caso di una persona con attacchi di panico ogni volta che esce di casa». Chi fa sedute di reflecting non prende farmaci e impara da solo a «dominare le circostanze» aggiunge lo studioso di Paderno Dugnano. E a Milano, nella sala Lavoro dell’hotel Mennini, si svolgono le lezioni di reflecting. Oggi sono una decina gli aspiranti reflector. Vengono a lezione da Guido Pesci, ordinario di Pedagogia speciale all’Università di Siena e inventore di questa scienza da cui è nata una nuova professione. «L’idea del reflecting - spiega Pesci - più che dalla pedagogia clinica nasce da un principio filosofico vecchio come il mondo: conosci te stesso. In troppi abusano della parola per guidare, gestire, consigliare gli altri, costretti poi a chiedere consigli per tutta la vita. Con il reflecting, portiamo le persone a risolvere da sole i loro problemi». Gianluca Mattei ______________________________________________________ La stampa 2 feb. ’05 TRE CAFFÈ AL GIORNO? GIOVANO ALLA SALUTE NEGLI USA E IN ITALIA. LA CAFFEINA NON SI ACCUMULA E NON DA’ DIPENDENZA TRE caffè al giorno tolgono il medico di torno. Sì, un moderato uso quotidiano dell'italico espresso avrebbe soltanto benefici effetti sulla nostra salute. Ce lo dicono Amleto De Amicis, epidemiologo nutrizionista, direttore dell'unità di documentazione e informazione nutrizionale dell'INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione); Carlo La Vecchia, capo del Laboratorio di Epidemiologia dell'Istituto Mario Negri di Milano; Fabio Parazzini, ricercatore presso la I° Clinica Ostetrico e Ginecologica dell'Università di Milano. E la loro assoluzione della tazzina del caffè è supportata da un corpus ragguardevole di ricerche condotte non soltanto in Italia e che sono state ora sintetizzate nel volumetto «Caffè e Salute» distribuito dall'INRAN in occasione di un incontro promosso dalla Fosan (Fondazione per lo studio degli alimenti e della nutrizione) svoltosi nei giorni scorsi a Milano. Che il caffè non fosse un «veleno» si sapeva da molto tempo. Se ne aveva anzi una assoluta certezza - come si narra nel volumetto - fin da quando, nel Settecento, il re Gustavo III di Svezia pensò di infliggere delle condanne a morte con la somministrazione di dosi massicce di caffè. Ma tutti quei condannati non soltanto non morirono ma raggiunsero una ragguardevole età. Infatti tutti gli studi epidemiologici confermano la totale assenza di effetti del consumo del caffè sulla mortalità in generale. Benché la caffeina sia una sostanza psicostimolante, non induce assuefazione, non si accumula (viene eliminata con le urine) e, per esempio, per quanto riguarda la pressione sanguigna, è dimostrato come questa sia generalmente inferiore nei consumatori di caffè rispetto ai non consumatori: gli effetti della caffeina si uniscono con quelli diuretici della bevanda caffè e il suo contenuto in potassio. «Il caffè assunto nelle corrette dosi di consumo - dice Amleto De Amicis - si sta rivelando ricco di proprietà antiossidanti, dovute ai suoi composti come le melanoidine, i tannini, gli acidi clorogenici. Inoltre non va dimenticato che il caffè contiene anche potassio e alcune vitamine, come la niacina. Un recente studio ha dimostrato come il caffè, consumato durante un pasto a base di alimenti ad alto potenziale ossidante, come cibi fritti ricchi di radicali liberi, protegga le lipoproteine a bassa densità (LDL) dall'ossidazione, reazione che sta alla base del processo di ateriosclerosi. Al contrario lo stesso pasto consumato senza un espresso, o altri elementi antiossidanti, provoca una forte ossidazione delle LDL». Il caffè, con i suoi vari composti, la caffeina in primo piano, svolge un ruolo molto importante nel metabolismo energetico. Aumentando "la termogenesi post prandiale", cioè la dispersione dell'energia introdotta con i cibi e quindi non rendendola disponibile come riserva sotto forma di grasso, diventa importante per il controllo del peso corporeo. Una serie di studi americani, giapponesi e italiani ha poi rivelato la importanza del caffè nella prevenzione di patologie del fegato come la cirrosi epatica e la calcolosi biliare grazie a composti attivi quali i diterpeni kawehol e cafestol. Ma c'è di più. «Il rischio di tumori del cavo orale e faringe ed esofago - spiega Carlo La Vecchia - è ridotto nei bevitori rispetto ai non bevitori di caffè. Per il tumore al colon gli studi mostrano rischi relativi inferiori all'unità nei bevitori di caffè e i dati delle ricerche indicano che la bevanda possa avere effetti favorevoli sui tumori all'intestino in relazione al fatto che provoca la riduzione delle secrezioni biliari. Anche se il rischio di tumore della vescica tende ad essere elevato nei bevitori di caffè, non vi è evidenza di relazione tra la dose (o durata) e il rischio. Ciò fa pensare che l'associazione con il caffè probabilmente non è causale ma dovuta a qualche fattore di confondimento come il fumo. C’è infatti un rischio elevato di neoplasie delle vie urinarie nei fumatori». E' ormai accertato come il consumo da una a tre tazzine al giorno di caffè sia protettivo nei confronti della malattia di Parkinson e che i consumatori abituali di caffè sarebbero protetti rispetto ai non consumatori dal diabete di tipo 2. Se questo è già insorto, il caffé produrrebbe invece delle complicazioni. Una ricerca condotta da Fabio Pirazzini ha permesso anche di «escludere una associazione tra assunzione di caffè e rischio di ritardo di crescita intrauterina e parto pretermine». Secondo questo studio, che ha coinvolto 553 gestanti, la donna in gravidanza può continuare a bere senza alcun timore tre tazzine al giorno: in queste dosi il caffè (al quale è dedicato il sito www.decoffea.it ricco di informazioni scientifiche) non solo non fa male ma fa bene. Ma, come sempre, tutto dipende anche dalle caratteristiche del singolo individuo. Alcuni, si avverte, sono così sensibili alla caffeina da avere, anche con un solo caffè, le reazioni tipiche di chi ne ha presi troppi: tremori, insonnia, nervosismo. E allora non rimane che ricorrere a un decaffeinato. Luciano Simonelli ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 3 feb. ’05 USA, DA CELLULE STAMINALI DI EMBRIONI UMANI LA VIA PER CURARE LE PARALISI Creati i neuroni del movimento E' la ricerca per cui si batteva l' attore Reeve Un traguardo inseguito da anni Pappagallo Mario Cellule nervose che controllano il movimento create da staminali umane di embrione. Un passo avanti della scienza inseguito per anni da diversi ricercatori in tutto il mondo. Il perché si inanellavano fallimenti continui è stato individuato da Su-Chun Zhang e Xuejun Li, coordinatori dell' équipe di studio dell' università del Winsconsin a Madison, Stati Uniti. E oggi la rivista Nature Biotechnology pubblica il loro lavoro, consacrando un successo che avrebbe dato nuove energie all' attore tetraplegico Christopher Reeve, paladino della ricerca sulle cellule staminali di embrione vietata dal governo Bush, morto lo scorso ottobre. I ricercatori di Madison hanno identificato l' anello mancante per ridare speranza a tutte quelle persone che a causa di un incidente (lesioni spinali) o di una malattia neurodegenerativa perdono il movimento, perdono la connessione nervosa (i neuroni motori spinali) tra livelli centrali e muscoli vari. Creare questi neuroni da cellule embrionali era un traguardo inseguito da anni. «Chiariamo subito - avverte Li - c' è ancora molta strada da fare, ma nel frattempo i motoneuroni ottenuti potrebbero essere utilizzati per testare farmaci contro le stesse cause che li danneggiano». Per comprendere meglio la portata dell' esperimento occorre chiarire, semplificando, la differenza tra le cellule staminali adulte e quelle di embrione. Le prime sono già più «programmate» rispetto alle seconde. In altri termini, sono «riserve» dell' organismo pronte all' uso per riparare le zone in cui si trovano: le staminali adulte del midollo osseo possono trasformarsi in elementi del sangue, diventare cellule dei vasi sanguigni o del cuore, riparare ossa e cartilagini, muscoli; le staminali adulte dell' occhio vanno a ricreare cornee e affini; nel cervello si trovano «riserve» per riparazioni locali. E così via. Le cellule staminali di un embrione ai primi stadi di sviluppo, al contrario, sono «tabula rasa» e possono diventare tutto (per questo si chiamano «totipotenti»). Il problema è capire quali sostanze comandano l' avvio della specializzazione o lo stop quando è raggiunto l' obiettivo. Sostanze identificate come fattori di crescita o di inibizione. Fondamentali anche per lavorare con le staminali adulte: una cellula del midollo osseo potrebbe essere «riprogrammata» per diventare fegato se solo si conoscesse come, dove, quanto stimolarla. E come fermarla, altrimenti invece di nuovi organi si rischia di dar vita a tumori. Li e colleghi hanno riflettuto sul fatto che i neuroni spinali motori sono tra le prime cellule nervose a fare la loro comparsa durante lo sviluppo embrionale. Quindi le staminali embrionali, per quanto capaci di trasformarsi in qualunque tipo di cellula, perdono molto presto, probabilmente fra la terza e la quarta settimana di sviluppo, la capacità di dare neuroni spinali. Individuata questa ristretta finestra temporale è stato cruciale stabilire un cocktail di fattori di crescita e ormoni su cui coltivare le staminali embrionali, «mimando» la natura. Prima è stato usato un cocktail di coltivazione per trasformare le embrionali in cellule neuronali, poi un altro per trasformare queste ultime in progenitori dei neuroni spinali, infine un ultimo terreno di crescita per compiere il salto finale. Il prossimo passo? Testare la funzionalità dei neuroni. Per ora sui polli. Mario Pappagallo ______________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 feb. ’05 IMPIANTI DENTARI CON QUESTE AVVERTENZE Il fumo è un fattore in grado di ridurre la percentuale di successo di un impianto dentario *Ordinario di Malattie Odontostomatologiche Università di Milano L' implantologia ha arricchito le possibilità di cure odontoiatriche, fornendo un importante complemento alle terapie più tradizionali. Chi debba sottoporsi a cure protesiche, deve considerare che uno stesso caso può oggi riconoscere opzioni terapeutiche diverse, la cui scelta si baserà sulle caratteristiche cliniche, sui desideri e le aspettative del singolo. Gli impianti dentari, quando correttamente inseriti, offrono una percentuale di successo di oltre il 90% a cinque anni e di oltre l'85% a dieci anni dal loro posizionamento. Consideriamo però questi dati con cautela. Essi, infatti, provengono per lo più da ricerche condotte in ambito universitario od in centri specialistici, ambienti poco paragonabili ad un ambulatorio professionale privato; si riferiscono a sperimentazioni cliniche condotte con solo alcune marche di impianti e si modificano significativamente se, invece del successo dell'impianto come tale, si valutati il successo della protesi poi inserita sull'impianto. Non tutti i pazienti sono candidati ideali per una protesi su impianti. E' sconsigliabile applicarli nei soggetti che non abbiano un appropriato livello di igiene orale e nei fumatori. Infatti, chi ha perso uno o più elementi dentari a causa di una cattiva igiene orale, per malattia parodontale o per carie, potrà facilmente, non modificando le proprie abitudini, perdere per gli stessi motivi gli impianti o i "denti pilastro" delle protesi tradizionali. Perciò andrà anteposta comunque una fase preliminare volta a rimuovere la placca batterica, a migliorare il livello d'igiene orale ed a promuovere sani stili di vita. Questa fase è fondamentale per il successo di qualsiasi riabilitazione. Il fumo poi provoca significative modificazioni infiammatorie dei tessuti e della rete vascolare del cavo orale in grado di ridurne drammaticamente la percentuale di successo. L'utilizzo degli impianti è, infine, sconsigliato nei pazienti affetti da malattie che direttamente o a causa dei farmaci assunti per la loro cura rendano più suscettibili alle infezioni. In tutti i casi sarà opportuno comunque discutere approfonditamente con il proprio dentista i vantaggi, gli svantaggi, i rischi, le controindicazioni e le aspettative di successo di questa terapia. ______________________________________________________ Repubblica 1 feb. ’05 FEGATO, IL VERO PERICOLO È DOPO I QUARANT'ANNI Oltre ad epatiti e abuso di alcol, emerge anche il fattore iperalimentazione di Silvia Baglioni Le malattie croniche del fegato rappresentano in Italia una rilevante causa di mortalità, per quanto sottovalutata. Gli ultimi dati indicano che i decessi per cirrosi epatica sono oltre 11 mila all'anno (la prima causa di morte nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni), mentre quelli per tumore primitivo del fegato sono circa 10 mila (nel 90% dei casi strettamente legati alla cirrosi, che ne costituisce il principale fattore di rischio). La cirrosi è l'esito finale di infezioni virali (epatite B, C e delta), malattie genetiche, disordini del sistema immunitario, e all'alcool. L'abuso è un problema molto frequente nel nostro Paese ed emergente tra gli adolescenti e le donne. "Oltre a queste patologie", spiega Fabio Marra, docente dell'Università degli Studi di Firenze e coordinatore dell'Associazione Italiana per lo Studi del Fegato, "ve ne una meno nota, ma altrettanto grave e diffusa: l'accumulo di grasso nel fegato non dovuto ad abuso di alcool, detto steatosi non-alcolica. Benché pochi lo sappiano, la steatosi è certamente la più frequente alterazione del fegato in Italia e nei paesi occidentali. In base a studi condotti negli Stati Uniti e in altri paesi ad elevato livello socio-economico, il 20% della popolazione generale ha un certo grado di steatosi epatica. Tra questi circa un quinto è affetto da una forma più severa, detta steatoepatite, che può progredire fino alla cirrosi anche in assenza di infezioni virali o ad altre patologie". "Questa sorta di "epidemia"", continua Marra, "si deve al fatto che i fattori di rischio per la steatosi sono diventati comunissimi nella nostra popolazione, essendo legati all'alimentazione ed allo stile di vita. Questi sono rappresentati dall'obesità, soprattutto quella con accumulo di grasso a livello dell'addome, dagli elevati livelli di colesterolo e trigliceridi e dal diabete di tipo 2. Se osserviamo la popolazione nella fascia di età tra i 6 e i 17 anni vediamo che un ragazzo su quattro è sovrappeso, da ciò è facile comprendere che steatosi rischia di diventare la patologia epatica del futuro. Inoltre chi soffre di steatosi ed è affetto da epatite C ha una più rapida progressione della malattia e una minore probabilità di guarigione con la terapia antivirale". La steatosi quasi sempre è asintomatica. Infine è bene ricordare un campo di ricerca comune alle varie malattie del fegato: lo studio della fibrosi. È l'accumulo di tessuto cicatriziale nel fegato, che si osserva in tutte le patologie croniche dell'organo. Nel tempo, contribuisce ad alterarne la struttura e la funzione, determinando in ultima analisi il quadro della cirrosi. La ricerca può contribuire a trovare nuove cure: per esempio con una terapia contro il virus o una dieta adatta a prevenire la steatosi, ma anche cercando di fermare la cicatrizzazione che conduce alla cirrosi. ______________________________________________________ Le Scienze 2 feb. ’05 LE DONNE E LA SCLEROSI MULTIPLA Lo sviluppo della malattia sarebbe associato ai livelli prodotti di interferone gamma Perché le donne sviluppano la sclerosi multipla (SM) almeno due volte più spesso degli uomini? Da tempo i medici cercano una risposta a questa domanda, e ora un gruppo internazionale di ricercatori (provenienti da Stati Uniti, Irlanda del Nord, Belgio e Italia) ha identificato una variazione genetica che potrebbe risolvere l'enigma. Lo studio è stato pubblicato online il 27 gennaio sulla rivista "Genes & Immunity". "La nostra scoperta - spiega il neurologo Brian Weinshenker della Mayo Clinic di Rochester - suggerisce che la quantità di 'interferone gamma' prodotta da un individuo rappresenti una variabile chiave per determinare il rischio di sviluppare la SM. Chi possiede un gene che produce livelli elevati di questa proteina può essere maggiormente predisposto alla malattia. Secondo questo scenario, gli uomini sono meno a rischio perché presentano meno frequentemente una variante genetica associata a una maggior secrezione di interferone gamma". I risultati saranno utili agli scienziati che cercano una cura - che attualmente non esiste - per la malattia. Infatti, lo studio fornisce un target per eventuali terapie, suggerisce metodi per migliorare i trattamenti che possono minimizzare i danni ai tessuti e ai nervi causati dalla SM, e potrebbe far avanzare la ricerca di nuove cure per altre malattie. Allo studio ha collaborato Maria Marrosu dell'Università di Cagliari. ______________________________________________________ Avvenire 4 feb. ’05 QUANDO COMINCIA LA VERA MORTE? CONVEGNO Neurologi e scienziati discutono in Vaticano degli indizi che indicano l'assenza di vita in un paziente: il momento in cui staccare la spina Nonostante il decesso cerebrale alcuni muovono ancora mani e braccia; e in certi casi i medici possono anche sbagliare. Come tutelare l’individuo da errori diagnostici che potrebbero privarlo del bene più grande? Da Roma Luigi Dell'Aglio Quand'è che l'essere umano supera il confine tra vita e morte? E, soprattutto, quali sono i segni inequivocabili con i quali la morte si presenta? Quando il corpo umano può essere privato di uno o più organi, da trapiantare in un altro essere umano per salvarlo da una fine imminente? Non poteva essere più animato, ricco di idee e di contraddittorio scientifico, il convegno «Signs of Death» apertosi ieri in Vaticano, alla Pontificia Accademia delle Scienze. La sostanza era già indicata nel messaggio del Papa, E il dibattito si è concentrato subito sui doveri che vincolano gli specialisti che praticano il trapianto. Bisogna esplorare ancora una volta questa materia, perché i segnali neurologici e clinici che definiscono la morte di una persona siano autentici. Il dibattito si riscalda subito. «È lecito espiantare il cuore da un uomo che respira ancora (sia pure con l'ausilio di una macchina) e i cui vitali battiti cardiaci risuonano nella sala di rianimazione?». Dà subito fuoco alle polveri il vescovo di Lincoln (Nebraska, Usa), Fabian Bruskewitz. Lui cita il caso di T.K: a quattro anni di età, ne era stata accertata la "morte cerebrale" ma è sopravvissuto altri quindici anni, certo non nelle condizioni di un individuo normale. E allora, incalza, che senso ha la miriade di definizioni che sono state date della "morte cerebrale" e le dozzine di "parametri" neurologici di cui si parla nella comunità scientifica? «Estrarre un cuore che pulsa è omicidio, secondo alcuni tribunali dello Stato del Colorado», aggiunge il vescovo del Nebraska. «E il donatore finisce per essere un involontario suicida». E qui turba almeno una parte dell'uditorio dicendo che al donatore vengono somministrati farmaci paralizzanti per evitare lo choc dei chirurghi al momento dell'espianto. Del resto, ammette, non avrebbe senso trapiantare un cuore che non fosse vivo. «Ma, conclude, non è arroganza avocare a noi il diritto di decidere se qualcuno è morto?». Conrado Estol, 46 anni, è un brillante esperto di neuroscienze, nato e formato negli Usa, che ora dirige il Centro Neurologico de tratamiento y rehabilitacion di Buenos Aires. Certo che al donatore viene prelevato un cuore che batte, ma questa non è una prova che il donatore è vivo. «La scienza non ha dubbi. I dubbi li ha chi non conosce che cos'è la morte cerebrale. E pensa che sia una "morte incompleta". Attenzione: è facile fare confusione tra coma e morte cerebrale. Questa si accerta rigorosamente con esami come l'angiografia cerebrale o il doppler endocranico. È facile dire che qualcuno è morto quando il suo polso non batte più. Ci possono essere invece reazioni fisiche anche in chi è "cerebralmente morto" e sta per essere avviato all'espianto». E mostra una serie di filmati che mettono i brividi. Un pollice che si piega. Una gamba che si alza. E poi la sequenza più dura da vedere: il cosiddetto "segno di Lazzaro". Diagnosi di morte cerebrale. Il paziente è disteso. Un medico gli solleva appena la nuca, e lui porta le braccia in avanti come se volesse buttarsi al collo di qualcuno, chiedere aiuto, e poi le incrocia sull'addome. Il professor Estol non mostra certo queste immagini per sadismo. Vuole spiegare che - almeno nella prime 24 ore - i movimenti riflessi sono compatibili con lo stato di morte cerebrale ma non significano affatto che il paziente sia ancora in vita. Se non subisse l'espianto, morirebbe ugualmente "tra qualche giorno". L'intervento di Estol provoca una valanga di domande. I criteri in base ai quali si dichiara morto il cervello vengono universalmente accettati e applicati? «Nell'American Neurology Association c'è generale consenso», è la risposta. E se in una o più singole cellule cerebrali c'è ancora vita residua? Voi che cosa ne sapete?, domanda il vescovo Bruskewitz. Risposta: «Anche se uno muore per infarto, ci possono essere cellule residue ancora buone. Non vuol dire nulla». Può darsi, replica il reverendo, ma non possiamo non distinguere la morte clinica dalla morte teologica. Parla il professor Cicero G. Coimbra, del dipartimento di neurochirurgia dell'Università federale di San Paolo in Brasile. Secondo lui non tutta la comunità scientifica è sulle posizioni dei neurologi Usa. «Allora può capitare di essere considerati vivi da un medico e morti da un altro» obietta. A Coimbra si associa Andrew Armour, dell'Università e dell'Hopital du Sacré Coeur di Montreal. Un segno della morte cerebrale è anche l'ipotermina, cioè la bassissima temperatura, secondo Estol. Ma lui, Armour, ha accertato che molti pazienti, portati artificialmente in ipotermia nel corso di un intervento di cardiochirurgia, poi si sono ripresi benissimo. Anche la prova del respiro può essere alterata: il paziente può aver avuto una patologia polmonare e il medico del reparto di rianimazione non ne è al corrente. «Ma se il medico è bene informato, questo non avviene», replica Estol, e osserva che in questo dibattito gli interlocutori gli sottopongono "i casi strani", cioè le "eccezioni". Come i casi di madri "morte cerebralmente" che hanno portato a termine la gravidanza, segnalati dalla psichiatra canadese Ruth Oliver. Robert Naqué, dell'Institut de Neurobiologie Alfred Fessard, dice che è il concetto di «morte cerebrale a far paura». Il professor Jean-Didier Vincent, neurologo francese di grande fama, sdrammatizza l' "effetto Lazzaro": «Quella scena molto impressionante che abbiamo vista è proprio la prova lampante della morte cerebrale, è un riflesso normale di questa condizione». Il professor Estol, chiamato in causa più volte, non nasconde che esistano condizioni che possono simulare la morte cerebrale. Ma ripete: i luminari sostengono la morte cerebrale, diagnosi che nel 99,999 per cento dei casi è sicura. La prima giornata del dibattito ha dato sfogo a tutti gli interrogativi. La seconda ed ultima, quella di oggi, tirerà le somme. Bisogna garantire che i criteri diagnostici siano sempre più perfezionati, condivisi, applicati bene. E che non si commettano errori. In un reparto di rianimazione, contiguo a una sala trapianti, un errore di diagnosi costa troppo caro al paziente. INTERVISTA Lo scienziato Rodolfo Proietti: «Ma lo stato vegetativo non è encefalogramma piatto Una grave disabilità è ancora vita per noi» Se è cerebrale, è vera morte Da Roma Luigi Dell'Aglio «Si definisce morte cerebrale la condizione che sopraggiunge quando il cervello è completamente e irreversibilmente compromesso. E dalla morte cerebrale, che per la scienza individua la morte dell'essere umano, nessuno si è mai risvegliato». Il professor Rodolfo Proietti, direttore dell'Istituto di Anestesia e di Rianimazione dell'Università Cattolica, ribadisce la posizione assunta da più di venti anni dalla comunità scientifica mondiale e fatta propria, già nel 1985, dalla Pontificia Accademia delle Scienze. L'argomento è caldo, e Proietti si accinge a spiegare in un rapporto quali sono i criteri neurologici su cui si basa l'accertamento della morte. Ne parlerà nel convegno internazionale, che si preannuncia molto vivace, organizzato proprio dall'Accademia Pontificia, per oggi e domani in Vaticano, dal titolo «The signs of Death», i segni della morte, e che ha come scopo una nuova approfondita riflessione su questa delicata materia. Professor Proietti, con quali segni certi si presenta la morte? «Le condizioni necessarie perché sussista la morte cerebrale vengono valutate in base a criteri neurologici molto rigorosi. Sono condizioni che debbono risultare assolutamente certe. Non può essere ammesso alcun rischio di errore. Perciò sia la scienza sia il diritto sia i comitati etici hanno ritenuto opportuno fissare un adeguato periodo di osservazione. Questo va da un minimo di sei ore per gli adulti a un massimo di 24 ore per i bambini di età inferiore a un anno. Alla fine del periodo di osservazione, una commissione (composta da tre specialisti: anestesista-rianimatore, neurologo esperto in elettroencefalografia e medico legale), se l'encefalo del paziente ha subìto lesioni complete e irreversibili, dichiara la morte». Questa norma è seguita in tutti i Paesi? «Tutte le grandi società scientifiche e le commissioni mediche riconoscono questi criteri, sia pure con piccole differenze tra paese e paese. Si considera giusto rispettare un adeguato periodo di osservazione, anche se l'avvenuta morte dell'encefalo potrebbe essere accertata in tempi molto più brevi, utilizzando indagini strumentali». Quali, per esempio? «L'angiografia cerebrale, prima di tutto. Si usa nei casi in cui possa sussistere un minimo dubbio. Con questo esame si accerta se, all'interno del sistema nervoso centrale, arriva ancora sangue oppure no. Se emerge che l'intero cervello non è più irrorato, tutti gli altri segni clinici diventano irrilevanti: la morte cerebrale è evidente. Ma bisogna dire subito che tutta la fase di osservazione clinica e strumentale per accertare la morte cerebrale ha inizio soltanto dopo che i medici hanno messo in atto tutte le terapie per prevenire questo evento. Supponiamo che un paziente sia trasportato in ospedale per un grave trauma cranico. I medici interverranno con una terapia anti-edema, per evitare che si gonfi il tessuto cerebrale. Se si crea una forte ipertensione endocranica, e non viene trattata, sopraggiunge la morte del cervello. In caso di emorragia cerebrale, si ricorre a un intervento chirurgico per togliere il sangue travasato. Oppure può essere necessaria una craniotomia per decomprimere il cervello ed evitare un arresto di flusso del sangue». Qual è la percentuale di pazienti che non sopravvivono dopo un grave trauma cranico? «Nei reparti di rianimazione, dove si viene seguiti da un'équipe multidisciplinare, i risultati sono abbastanza soddisfacenti: più dell'80% dei pazienti guarisce; meno del venti per cento può andare incontro a disabilità anche pesanti; solo nell'uno per cento dei casi il danno è tale che, nonostante gli interventi terapeutici più avanzati, si verifica la morte cerebrale». Spesso, dopo un trauma o per una grave patologia, sopraggiunge il coma, cioè la perdita di coscienza. Può essere sempre accertata, con la massima chiarezza, la differenza tra questa condizione (o altre simili), e la morte cerebrale? «Le varie condizioni sono definite con la massima chiarezza. Il paziente in coma ha gli occhi chiusi e reagisce - anche se scarsamente - agli stimoli esterni. Il coma però può evolvere in tre direzioni. La prima è la guarigione : dal coma si esce in un'elevata percentuale di casi. La seconda è lo stato vegetativo persistente: il coma si trasforma in un'altra condizione, prevalentemente per effetto di una lesione della corteccia cerebrale, la parte più esterna del cervello. Il paziente riapre gli occhi, riacquista una mimica, cioè una capacità di espressione del viso, recupera l'attività respiratoria, e una certa reattività agli stimoli esterni. Anche lo stato vegetativo può migliorare in modo significativo, specie nei primi due anni; talvolta, tuttavia, il paziente non riesce a recuperare - spesso nemmeno dopo anni - un vero contatto con l'ambiente esterno. Poi c'è la terza, possibile conclusione del coma: la lesione si estende a tutto il sistema nervoso centrale. Ed è la morte cerebrale». In questo convegno saranno presentati dati nuovi e si aprirà un dibattito. Potrebbero essere avanzate proposte più restrittive che limitano il valore della dichiarazione di morte cerebrale? «Per discutere nuove posizioni, occorre prima conoscerle. Penso che si tratti soprattutto di dubbi che proprio nel dibattito potranno essere risolti. Qual è l'interrogativo principale che può sorgere? Che i metodi utilizzati dalla scienza non siano sufficienti, in qualche modo, ad accertare la morte dell'encefalo? Tenuto conto dei criteri neurologici da tempo consolidati, ritengo che questi dubbi non siano giustificati. Nessuno ha mai notato un recupero, anche minimo, laddove sia stata accertata la morte cerebrale». Esistono fasi di confine, near-death, in cui la morte cerebrale non è ancora avvenuta? «C'è chi ha proposto di equiparare alla morte cerebrale lo stato vegetativo. A questa idea ci opporremo sempre, e strenuamente. La distruzione completa della corteccia e uno stato vegetativo irreversibile non bastano per dichiarare la morte cerebrale. Occorre che siano completamente e irreversibilmente distrutte non solo la corteccia ma anche le strutture troncoencefaliche, che permettono ai polmoni di respirare e al cuore di battere. Si tratta di situazioni ben diverse. Una grave disabilità non può mai essere equiparata alla morte cerebrale. Per noi, in quel caso, la vita è presente». Sfoglia le pagine