UNIVERSITÀ, RIPARTE LA PROTESTA I RETTORI: CI HANNO EMARGINATO - ATENEI-GOVERNO: ADDIO TREGUA, PRONTE LE CARTE BOLLATE- «IL BLOCCO DEI CONCORSI? I MIEI GIURISTI DICONO CHE È INCOSTITUZIONALE»- MORATTI: SE LA SCIENZA HA POCHE RISORSE NON É COLPA DELLA STATO - RICERCA, ECCO I MAGNIFICI UNDICI (C’E’ ANCHE PULA) - CATANIA: MICROELETTRONICA - TORINO: WIRLELESS - LIGURIA:SISTEMI INTELLIGENTI - FRIULI:BIOMEDICINA - LE MILLE FORME DEL PUBBLICO-PRIVATO - LECCE: NANOTECH - PALERMO: TUTOR PER GLI STAGE - TRENTO: NON SOLO MICROSOFT - TOLU: NELLA RICERCA LA REGIONE FAVORISCE CAGLIARI (53 a 13) - RECLUTAMENTO:UNA LISTA APERTA PER I DOCENTI - ASSUNZIONI DEI DOCENTI, INCERTEZZE - SULLA RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ - FORZA ITALIA CONTRO LA RIFORMA MORATTI: «SEMBRA BERLINGUER» - LA LAUREA NON È PIÙ DI MODA UNO SU TRE FERMO ALLE MEDIE - ATENEI “FAI DA TE”, L’ULTIMO FA INFURIARE LA CRUI - CREAZIONISMO FOLCLORISTICO ALL'ITALIANA - PROVINCIA: LA BIBLIOTECA CHE FA SALTARE I PASTI - ITALIA E LIBIA, UNIVERSITÀ DEL MEDITERRANEO - ENTI PUBBLICI, ACQUISTI IN RETE - ================================================================== BYPASS, IL BORTZU TRA I CENTRI MIGLIORI DOVE OPERARSI - TRAPIANTI, L'ITALIA AL TERZO POSTO DOPO USA E SPAGNA - TRAPIANTI ITALIA DA RECORD - LA RICERCA MEDICA ITALIANA VINCE CON ALLEANZE MONDIALI - ZINKERNAGEL: L'IMMUNOLOGIA? UNA RIVOLUZIONE - ZINKERNAGEL:CONTRO L'HIV UNA GUERRA INFINITA - OBESITÀ E DIABETE SCOPERTO IL LEGAME - LA RADIOGRAFIA VIAGGIA ONLINE - LA PREVENZIONE EVITA 9 TUMORI AL COLON SU 10 - BASTA DIETE PER DIMAGRIRE LAVATEVI SPESSO I DENTI - PASSEGGIARE FA DIMAGRIRE DI PIÙ CHE CORRERE - FARMACI, PREOCCUPA IN EUROPA L'ABUSO DI ANTIBIOTICI - BERE TROPPO UCCIDE - TEST PER IL RISCHIO ANEURISMA - LA NICOTINA NON CURA L'ALZHEIMER - LA PROTEINA CHE CAUSA IL MORBO DI CROHN - ================================================================== _____________________________________________________ Il Messaggero 6 Feb. 05 UNIVERSITÀ, RIPARTE LA PROTESTA I RETTORI: CI HANNO EMARGINATO Il ddl sullo stato giuridico sta per approdare alla Camera Per il 2 marzo indetto lo sciopero di ANNA MARIA SERSALE ROMA - «Il disegno di legge delega sullo stato giuridico è blindato e il mondo universitario è stato escluso dall’elaborazione di un provvedimento che lo riguarda». Lo dicono i Consigli di facoltà, i Senati accademici e i Collegi dei presidi, mentre nelle università riparte la protesta. E lo dicono i rettori di tutta Italia che ieri si sono riuniti in assemblea straordinari. I “magnifici” hanno ribadito con forza anche la necessità di «individuare soluzioni rapide che non comportino blocchi delle assunzioni». Il 21 febbraio, giorno in cui alla Camera inizierà il dibattito sulla riforma, ci sarà una manifestazione sul piazzale di Montecitorio. Si riapre così lo scontro con il governo. Al sit-in e alla mobilitazione degli atenei, segue una giornata di sciopero nazionale. Il 2 marzo le università si fermeranno. La protesta è sostenuta quasi dall’intero arco sindacale e da tutte le associazioni della docenza. Sono dodici le sigle in campo, tra queste Cisl, Cisal, Snals, Cgil, Adu e Andu. Da mesi gli atenei chiedono il «ritiro del ddl» che, a loro giudizio, «minaccia l’autonomia» e «danneggia l’università pubblica». Ecco i punti contestati: «L’assenza di qualsiasi riferimento all’attività di ricerca», «il ricorso a contratti di diritto privato», «l’abolizione della distinzione tra tempo pieno e tempo definito», che, cancellando il rapporto esclusivo che la maggioranza dei docenti ha con le università, rischia di avviare un «processo irreversibile di disimpegno». E ancora: «La messa ad esaurimento dei ricercatori», «la centralizzazione delle decisioni e il trasferimento agli atenei di scelte solo marginali», lasciando sul tappeto i problemi della «precarietà» e della «mancanza di risorse» con l’unica prospettiva di recuperare fondi facendo leva sulle tasse a carico degli studenti. Nonché il «ricorso ad incarichi a tempo determinato per i posti di prima e seconda fascia, successivo ad un percorso di precariato di almeno otto anni». Il ministero dell’Istruzione e dell’Università smentisce. Afferma che «il disegno di legge non si presenta così come viene descritto» e che i «timori dei docenti sono del tutto infondati». Il ministero chiede anche agli atenei (lo prevede un decreto legge) la presentazione entro il 31 marzo di piani triennali di assunzione del personale, riservandosi di valutare la compatibilità con i soldi a disposizione. Resta il fatto che la Crui, la Conferenza nazionale dei rettori, pur volendo garantire posizioni equilibrate, ha ribadito il suo fermo «no al blocco dei concorsi» e ha rivendicato la necessità di «riconoscere a pieno titolo il ruolo docente ai ricercatori». I rettori chiedono anche il ritiro del ddl e il passaggio alla «legge ordinaria» che possa permettere la «ripresa del dibattito parlamentare». «E’ grave - affermano i prof universitari - la scelta di iniziare il 21 febbraio la discussione in aula passando sulle nostre teste». _____________________________________________________ Il Corriere della sera 8 Feb. 05 ATENEI-GOVERNO: ADDIO TREGUA, PRONTE LE CARTE BOLLATE Autonomia e finanziamenti, la crisi rinsalda l' alleanza fra La Sapienza, Tor Vergata e RomaTre Finazzi Agrò: c' è un forte rischio di ribellione, che sarà difficile tenere a freno. E non escludo lo sciopero» «Il ministero ci chiede il piano triennale, ma senza conoscere i fondi è impossibile». Contestati alcuni provvedimenti «scollegati e irrazionali» Capponi Alessandro «Siamo subissati di provvedimenti legislativi scollegati e irrazionali». La pace tra atenei e governo - siglata all' indomani della legge Finanziaria che ha stanziato un più 7 per cento per il sistema universitario - è saltata: pochi giorni fa, la conferenza dei rettori del Lazio, che riunisce strutture sia pubbliche sia private, ha diffuso un documento chiaro, inequivocabile, diretto. A questo documento - recepito dalla conferenza nazionale - adesso seguono parole. Come queste, pronunciate dal rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò: «Negli atenei c' è un rischio ribellione, che se le cose non cambiano sarà difficile tenere a freno. Scioperi e chiusura corsi, mobilitazioni, ma non solo: sono pronto a impugnare davanti al Tar i provvedimenti del ministero. Perché sono incostituzionali, intaccano la nostra autonomia». Roma Tre di Guido Fabiani si dice «pronta a prendere in esame il ricorso», e la Sapienza di Renato Guarini «ha firmato il documento di protesta della Crul». Altro che pace, i rapporti tra atenei e governo sembrano sintetizzabili col concetto opposto. «Il provvedimento dei requisiti minimi, il blocco dei concorsi, il piano triennale». È a questa frase che va collegata quella iniziale: provvedimenti scollegati e irrazionali. Finazzi Agrò ha il tono pacato, e anche i concetti: «Vorrei precisare che molti di questi provvedimenti si basano su principi giusti. Il modo di applicazione, però, è, come detto, irrazionale». Tanto, dice Finazzi Agrò, da «non consentirci di lavorare, almeno non in modo sereno». È così che le università del Lazio hanno deciso di protestare assieme, con un documento durissimo. Si leggono richieste: «Tempi e modi adeguati». Giudizi, anche: «...secondo regole condivise che non mortifichino l' autonomia decisionale degli atenei e che siano connesse esclusivamente con la certezza delle risorse». Perché il punto, ancora una volta, è quello: le risorse. O meglio: «Ci chiedono un piano triennale di sviluppo. D' accordo, giustissimo. Solo che - attacca il rettore - è un po' difficile presentare il piano entro il 31 marzo: per quella data, non sapremo neanche i fondi che avremo a disposizione per il 2005. Ma come si fa? Ma com' è possibile?». Si aggiunga il resto: «Il ministro ha congelato i concorsi. Altro che piani triennali. A proposito: ma su quali parametri saranno valutati?». Esempi di provvedimenti «scollegati e irrazionali», dicono i rettori, «non mancano». «Prendiamo quello dei cosiddetti requisiti minimi. Si tratta, in sostanza, di presentare i nostri corsi al ministero: una spiegazione completa di tutto, dai docenti alle ore. Bene, anche in questo caso: principio giusto. Solo che poi ci si accorge che il provvedimento, varato il 27 gennaio, chiedeva la presentazione dei corsi il 31 dicembre, quattro giorni dopo. Dopo le prime proteste, la data di consegna è stata spostata: al 19 febbraio. Sia chiaro che in ballo c' è la perdita di validità dei corsi, non una cosa da nulla». In effetti, però, che questi prospetti dovessero essere presentati si sapeva da tempo: «Vero, certo. Ma prima si fanno le regole, poi si chiedono i prospetti. Ci si dica: per una facoltà ics, occorrono un numero di docenti e un numero di ore. Invece, nulla. I nostri corsi saranno valutati come?». Il rettore non aspetta domande: «Avevamo appena tirato un sospiro di sollievo con la Finanziaria che aumentava le risorse, e ci ritroviamo con uno stillicidio di norme che restringono l' autonomia». Così, adesso, dalle parole si passerà alla via giudiziaria «Non accetto che la Costituzione venga contraddetta in questo modo, non accetto l' autonomia degli atenei sia limitata in modo surrettizio, non accetto questo modo di procedere, irrazionale, confuso e scollegato». Alessandro Capponi La città dei cervelli 147.000 LA SAPIENZA «La Sapienza» è la più antica e affollata università della Capitale. L' ateneo, fondato oltre 700 anni fa da Bonifacio VIII con l' intenzione di farne un polo d' eccellenza, conta 147 mila iscritti ed è la città universitaria più grande d' Europa. 35.000 TOR VERGATA Tor Vergata ha 35 mila iscritti. L' università ha 22 anni di vita, sei facoltà (Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Filosofia, Medicina e Chirurgia, Scienze matematiche, fisiche e naturali). Il campus occupa un' area di 600 ettari. 35.000 ROMA TRE La terza università conta 35 mila studenti. Ha otto facoltà. Negli ultimi cinque anni la crescita delle iscrizioni è stata costante, passando da 22 mila ai 35 mila attuali. Ma il 2004 ha segnato un' inversione di rotta, con un 12,7 per cento in meno di immatricolazioni. 1.035 LO STIPENDIO I soldi destinati alla ricerca allontanano l' Italia dall' Europa. Lo stipendio medio di un ricercatore italiano è di 1.035 euro al mese. I colleghi europei guadagnano almeno il doppio, con uno stipendio che varia dai 2.000 ai 4.000 euro. _____________________________________________________ Il Corriere della sera 9 Feb. 05 «IL BLOCCO DEI CONCORSI? I MIEI GIURISTI DICONO CHE È INCOSTITUZIONALE» GUIDO FABIANI Capponi Alessandro Guido Fabiani, rettore di Roma Tre: «Pronti ad unirci nel ricorso al Tribunale amministrativo. Ma ci sono anche altri problemi, come la valutazione dei ricercatori» «Il blocco delle procedure concorsuali lede l' autonomia dell' università». Guido Fabiani, rettore di Roma Tre, la più giovane università pubblica della capitale, risponde così a chi gli chiede del ricorso al Tar che il suo collega di Tor Vergata è pronto a inoltrare. Rettore, tra ministero e governo sembrava essere giunta una tregua. «Già, quel sette per cento in più in Finanziaria era stato un bel segnale. Purtroppo, subito dopo, tutto è ricominciato. Esattamente come prima». Cioè? «Il ddl del governo ci impone di trasmettere il piano di sviluppo triennale entro il 31 marzo. Fin qui, non ci sarebbe nulla di strano. Ma il fatto è che, come anche i bambini capiscono, un piano si fa sulla base delle risorse. Ecco, il punto è questo: nessuna università conosce la cifra che avrà a disposizione. Non quella del 2007, non quella del 2006, e neanche, finora, quella del 2005. Presentare un piano triennale sulla base di nessuna cifra è, francamente, impossibile. Non abbiamo neanche un orientamento sui fondi, niente. E poi...». E poi? «E poi il blocco dei concorsi, in attesa delle valutazioni dei piani triennali, semplicemente lede la nostra autonomia. Oltretutto i concorsi fanno parte della programmazione, o no? Noi abbiamo un unico vincolo: destinare in stipendi non più del 90 per cento del finanziamento ordinario. Nessun altro». Non sarà mica contrario alla programmazione? «No, chiedo e chiediamo solo di essere messi in condizione di programmare. Ma in queste condizioni non si può». I requisiti minimi non erano previsti? «Sì, nei due anni precedenti nei quali c' era il blocco delle assunzioni». Cosa significa? «Significa che gli ultimi due anni non sono stati normali. Ma fosse questo l' unico problema». Ce ne sono altri? «Sì, il decreto diminuisce, da tre a un anno, il tempo per valutare i ricercatori che hanno vinto il concorso. per confermarli, devono produrre qualcosa di interessante. Ora, chiunque abbia fatto ricerca sa che un anno è un tempo insufficiente. E allora cosa accadrà? Che basterà un lavoretto qualsiasi per essere riconfermati. Insomma, non si favorisce certo il merito. Per non parlare dell' aspetto economico: se riconfermato, il ricercatore ha diritto a un aumento del 40 per cento. Prima ci volevano tre anni, adesso uno. E indovinate chi paga?». Si unirà al ricorso al Tar di Tor Vergata? «I giuristi del mio ateneo, dopo una prima verifica, sostengono che il blocco dei concorsi è incostituzionale. Se lo confermeranno sì, ci uniremo al ricorso». Al. Cap. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’05 MORATTI: SE LA SCIENZA HA POCHE RISORSE NON É COLPA DELLA STATO IL MINISTRO REPLICA Al RICERCATORI i LETIZIA MORATTI* L’articolo pubblicato sul Sole-24 Ore di ieri, concernente l'appello di alcuni autorevoli scienziati italiani al Capo dello Stato per il potenziamento dell'attività di R&S nel Paese, merita un commento e alcune precisazioni. Concordo con le valutazioni positive sulla ricerca italiana espresse dai ricercatori particolarmente per quanto concerne i settori della genomica e dell'oncologia. A questi vorrei aggiungere i risultati di eccellenza internazionale raggiunti anche in altri campi quali, ad esempio, la fisica nucleare e subnucleare, l’astrofisica, la vulcanologia. Per quanto riguarda il quadro prospettato dal "Gruppo 2003", vorrei in particolare segnalare la relazione annuale (dicembre 2004) dell'Istat sulla ricerca italiana e l'autorevole analisi formulata da Sir David King "The scientific impact of Nations" (Nature, 14 luglio 2000). Anzitutto, il rapporto tra spese in ricerca e Pil, attualmente del 2,98% in Giappone, 2,69% negli Usa, 1,93% nella Ue dei 15, per l'Italia ha ripreso a salire dopo un decennio di decremento, attestandosi all'1,16% (dati Istat per il 2002). La discrepanza tra il dato italiano e quello dei Paesi citati tuttavia non può essere addebitato a disattenzione dell'intervento pubblico per questo settore. La percentuale del finanziamento governativo nel 2001 risultava il seguente: Italia, 0,53; Giappone 0,57; Ue dei 15 0,66; Usa, 0,76%. Per il 2004 il dato italiano, per quanto concerne le previsioni di intervento si attesterà almeno alla 0,60% del Pil, in linea con quello medio europeo. Inoltre, la percentuale del finanziamento pubblico italiano sul totale delle spese di ricerca (effettuate cioè sia dal settore pubblico che da quello privato) risulta rispettivamente del 50,8% in Italia (1999), 34,4% nella Ue dei 15,27% negli Usa e 18,5% in, Giappone (2001). Tale rapporto è il più alto tra tutti i Paesi industrializzati, preceduto sola dal Portogallo (61%). In secondo luogo: il rapporto tra ricercatori pubblici e quelli privati e in Italia pari a 1,49, mentre per la Ue è 1,03, per il Giappone 0,48 e per gli Usa 0,17. L'Italia è quindi al primo posto a livello mondiale nell'impegno pubblico relativo rispetto al totale (Terzo rapporto sulla Ricerca europea della Ue). Le difficoltà italiane per quanto concerne le spese in ricerca sono determinate fondamentalmente da un basso livello di spesa del sistema delle imprese, dovuto essenzialmente all'elevato numero di Pmi (oltre 4 milioni), che hanno maggiori difficoltà di investimento in R&S. L'eliminazione dell'Irap sul personale di ricerca delle imprese potrà contribuire a incentivare gli investimenti privati. Ma veniamo ad altri risultati ottenuti dal Governo italiano in un periodo di stagnazione dell'economia mondiale e dopo la crisi dell' 11 settembre: riordino, con nuove distinte missioni, della rete degli enti pubblici di ricerca; approvazione del Piano spaziale nazionale; approvazione di una rete di 11 distretti tecnologici in varie regioni italiane, a cui faranno seguito già da quest'anno, l0 liason-offices e 10 incubatori di impresa pressò università e enti di ricerca; adozione di nuovi meccanismi di finanziamento delle Università basati su quattro nuovi parametri: 30% in base agli studenti iscritti, esclusi le matricole e i fuoricorso; 30% risultati dei processi formativi, misurabili annualmente in termini di crediti acquisiti; 30% risultati delle attività di ricerca scientifica; 10% incentivi specifici. Ricordo, ancora, l'avvio; per la prima volta nell'Europa continentale, di un meccanismo di valutazione di enti e università sul modello ben collaudato del Research assestment exercise inglese. Importante è inoltre l'avvio di una nuova politica internazionale di ricerca, che si è concretizzata con la firma di accordi di collaborazione bilaterale e l'istituzione di laboratori congiunti su base paritetica, sotto il profilo sia scientifico sia finanziario, con alcuni dei più prestigiosi centri di ricerca a livello mondiale (Mit, Caltech, Ucla, Harvard University; Weizman Institute, Università di Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e Istituto Technion; Waseda e Tokyo University). Tale politica consente per la prima volta di avere ricadute scientifiche ed economiche nel nostro Paese, quali la recente creazione a Trento di un nuovo istituto di Bioinformatica fondato congiuntamente con Microsoft. Si tratta del primo centro in Europa, finanziato per il 40% da Microsoft, inserito nel programma EuroScience promosso da Bill Gates. Da ricordare, ancora, la revisione dei meccanismi di finanziamento del fondo Firb, che abbiamo trasformato in voce permanente del bilancio dello Stato e non più episodico, e i bandi Firb (circa 100 milioni di euro) per l'istituzione di laboratori pubblico-privato nel settore dei nuovi materiali; nanoteenologie, biotecnologie, diagnostica medica avanzata; sviluppo di nuovi farmaci, chimica combinatoriale. Desidero infine sottolineare l'impegno per il Mezzogiorno,, che Prevede l'istituzione 11 laboratori pubblico-privati, finanziati con oltre 200 milioni di euro di fondi Pon. Potrei continuare a lungo nell'elencare azioni e traguardi raggiunti in questi ultimi tre. Quanto ai risultati, mi limito a tre: l'Italia si classifica al terzo posto al mondo, dopo Usa e Regno Unito, per il numero di lavori scientifici per ricercatore, come riferito da King su Nature; secondo, le proposte accettate per il finanziamento dei progetti sono state 538 per la Germania, 452 per la Francia, 448 per il Regno Unito e 420 per l'Italia. Il numero di brevetti depositati presso l’European patent, office e l’Us Patent office è passato da 2879` nel 2000.a 4235 nel 2003, (dati A: T. Kearriey), un incremento di circa il 47% in soli quattro anni. Due ultime annotazioni. per incentivare il numero, degli immatricolati e dei laureati nelle discipline scientifiche, condizione indispensabile per lo sviluppo della competitività del Paese, abbiamo varato il Progetto lauree scientifiche, che interesserà nell'arco di tre, anni 14mila docenti e l0mila studenti e sarà sostenuto finanziariamente con otto milioni é mezzo di euro. Per guanto riguarda infine la proposta di istituire una Giornata nazionale per la ricerca, ricordo che il Miur da anni organizza non una "Giornata", ma una "settimana della cultura scientifica e tecnologica", durante la quale vengono organizzate centinaia di manifestazioni in tutta Italia, comprese le visite guidate ai laboratori e agli enti di ricerca, La prossima edizione si terrà dal 14 al 20 marzo. Invito tutti i ricercatori del Gruppo 2003 a partecipare alla nostra iniziativa. * Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca _____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’05 RICERCA, ECCO I MAGNIFICI UNDICI Ai distretti tecnologici creati se ne affiancheranno presto altri 10 Sono oramai undici i distretti industriali nati nel nostro Paese a seguito di accordi tra il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca da un lato e tutta una serie di attori locali dall'altro. Obiettivo comune: favorire la collaborazione ira centri di ricerca, imprese e università facendo leva su risorse esistenti e creando terreno fertile per la nascita di nuove iniziative e nuove imprese. I distretti rappresentano uno degli assi portanti delle linee guida per la politica Scientifica e tecnologica varate dal Governo nell'aprile del 2003 e che si propongono di sostenere azioni, progetti e programmi almeno fino al 2006. Tali iniziative sono anche in linea con i nuovi strumenti previsti da Sesto programma quadro per la ricerca varato dalla Commissione Ue. «La nostra strategia come Governo per rilanciare la ricerca - ha dichiarato il ministro per l'Istruzione, l'università e la ricerca Letizia Moratti - passa attraverso il modello dell'investimento nei distretti hi-tech. Finora ne abbiamo aperti undici, ciascuno dei quali ha ricevuto un finanziamento tra i 20 e i 30 milioni di euro». Nuovi distretti al Sud. Ma soprattutto, dieci nuovi distretti dovrebbero prendere il via nel Mezzogiorno: lo scorso 20 dicembre è stato infatti approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) - su proposta del ministro Letizia Moratti - un finanziamento complessivo di 140 milioni di euro per l'istituzione di nuovi poli tecnologici. Un'iniziativa, questa, con cui il Governo intende portare anche nel Sud del Paese l'esperienza dei distretti tecnologici che fino a oggi hanno trovato casa soprattutto nelle regioni del Centro e del Nord. In particolare sono stati stanziati oltre sei milioni di euro per la realizzazione del distretto dedicato alla sicurezza e qualità degli alimenti con sede in Abruzzo, mentre il Molise ospita il distretto per le filiere agroindustriali con investimenti pari a oltre 3,6 milioni. Altri 33 milioni e mezzo servono per consolidare il distretto campano sui materiali polimerici e compositi; 15 milioni sono destinati al distretto che si occupa c4 nanoscienze, bioscienze e infoscienze con sede in Puglia, dove arriveranno altri sei milioni per il distretto sulle biotecnologie e ulteriori due milioni circa per il distretto dedicato alla meccatronica. Quasi 6,3 milioni sono destinati al distretto tecno1c7gico che si occupa di tutela dai rischi idrogeologici, sismici e climatologici con sede in Basilicata. Due invece i distretti per la Calabria: il primo per la logistica a Gioia Tauro, con un finanziamento di quasi. 12 milioni, e il secondo a Crotone per i beni culturali, che prevede la costituzione del centro nazionale per il restauro e che può contare su quasi 5,5 milioni. Per la Sicilia sono previsti 8,5 milioni per il consolidamento del distretto sui micro e nanoststemi, più 2,9 milioni per il distretto dedicato ai trasporti navali, commerciali e da diporto e 22,2 milioni per il distretto dedicato all'agricoltura biologica e alla pesca ecocompatibile. Infine, 16,8 milioni di euro andranno alla Sardegna per la costituzione del distretto della biomedicina e delle tecnologie per la salute, che avrà sede nell'area compresa tra Cagliari e Pula. I vecchi distretti. Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia (ne ospita tre), Piemonte, Sicilia e Veneto sono le regioni che ospitano gli undici distretti. Il distretto campano è dedicato alla ricerca sui materiali polimerici e compositi e vede la partecipazione dell'Università Federico Il di Napoli, del Centro italiano per le ricerche aerospaziali e di una serie di imprese tra cui Alenia, Fincantieri e Pirelli Labs. In Emilia Romagna è invece sorto il distretto «Hi-tech» dedicato ala meccanica avanzata, che vede la collaborazione tra gli atenei di Modena e Reggio Emilia, Bologna, Parma, Ferrara e il tessuto imprenditoriale: questa regione vanta un'alta densità di realtà che operano proprio nel settore della meccanica. Alla biomedicina si dedica il distretto nato in Friuli Venezia Giulia (si veda l'articolo sotto). Il Lazio ospita invece il distretto tecnologico aerospaziale: in quest'area la ricerca è finalizzata allo sviluppo di innovativi sistemi di telecomunicazione e telerilevamento e a nuove soluzioni per il controllo del traffico aereo e aeroportuale. Logistica e sistemi intelligenti integrati costituiscono la missione del distretto tecnologico ligure (si veda l'altro approfondimento in questa pagina), che mira a mettere a punto applicazioni nel settore dei trasporti per merci e persone, dell'energia, della tutela dell'ambiente, l'automazione e la sanità. Tre in Lombardia. i tre distretti lombardi si occupano di biotecnologie, Information communication technology e nuovi materiali. In particolare il distretto sulle biotecnologie ha avviato progetti di ricerca nell'ambito della salute, del l'agro-zootecnia e dell'industria, soprattutto del settore chimico e farmaceutico. In Piemonte ha sede il distretto noto con il nome di «Torino wireless» che effettua ricerca nell'ambito delle telecomunicazioni e deli'informatica. 11 distretto tecnologico sui miero e nano-sistemi ha invece trovato ca sa in Sicilia grazie alle sinergie tra le Università di Catania, Palermo e Messina cori l'industria privata, tra cui spicca StMicroelectronics. «Veneto nanotech» è il nome del distretto dedicato alle nanotecnologie applicate ai materiali: alle attività di ricerca partecipano le Università di Padova e Venezia, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'Istituto nazionale -per la fisica della materia (Infm) e i parchi scientifici di Verona, Marghera e Padova. Emil Abirascid • I NUOVI FONDI Gli stanziamenti del Cipe per i prossimi distretti (in milioni di E) Regione Quota Cipe Abruzzo 6,034 Molise 3,626 Campania * 33,488 Puglia I 6,000 Puglia II 1,960 Basilicata 6,230 Calabria I 11,812 Calabria II 5,450 Sicilia I * 8,500 Sicilia II 2,900 Sicilia III 22,200 Sardegna 16,800 * I fondi sono destinati a distretti già esistenti SICILIA A CATANIA BATTE IL CUOR DELLA MICROELETTRONICA Un aggregato territoriale a elevato contenuto tecnologico collegato alla filiera della microelettronica che ha come centro di riferimento l’StMicroelectrunics di Catania. «Catania è un modello ideale per un distretto tecnologico - dice Elita Schillaci, preside della facoltà di Economia dell'Università locale - per via della stretta intesa di molti dipartimenti del nostro ateneo con le imprese. Non solo con ST-Microelectronics, ma anche con Marconi, Ibm, Nokia e altre del settore Information and communications technology». Questa la realtà su cui è stato condotto dal ministero dell'Istruzione, dall'Università degli studi di Catania e da StMicroelectronics lo studio che ha portato al varo del Distretto della regione Sicilia sui micro e nano-sistemi, con riferimento ai campi dell'optoelettronica, della bioelettronica, della biosensuristica, della bioinformatica, della fotonica molecolare e organica, dell'elettronica di potenza su materiali composti, dei dispositivi c materiali nanostrutturati e dei microsistemi per l'integrazione in silicio. Compito del distretto è di promuovere progetti di studio e di ricerca, anche cooperativi, da trasformare in nuove iniziative imprenditoriali, nonché di attirare, anche dall'estero, competenze complementari a quelle presenti sul territorio. Per le attività che il distretto dovrà svolgere è previsto uno stanziamento iniziale di 16,3 milioni di euro, di cui 8,5 da parte del Ministero e 7,8 da parte della Regione. Secondo una stima preliminare, il fabbisogno complessivo per il quinquennio 2004/2008 è di circa 40 milioni di euro. Circa il 10% delle risorse dovranno essere spese per la formazione di ricercatori con competenze trasversali: «C'è già stata molta formazione mirata al territorio, tra cui i master progettati con un occhio all'evoluzione del mercato e stage che spesso hanno portato ad assunzioni degli stagisti -afferma Schillaci -. II nostro ateneo ha inoltre una certa esperienza di promozioni imprenditoriali. lo stessa sono amministratore delegato di uno spin-off accademico, nato da un consorzio tra l'Università di Catania e Sviluppo Italia Sicilia». TORINO WIRLELESS Le tecnologie senza fili hanno già dato 21 brevetti Leva finanziaria e brevetti. Torino Wireless, il distretto Ict specializzato in tecnologie senza fili e in e-security, punta adesso su questi elementi. Il progetto, che ha preso il via in forma di fondazione nel dicembre 2002 ed è stato costituito in distretto nel maggio 2003, incomincia a raccogliere i primi risultati di un modello basato sulle sinergie fra ricerca, industria e finanza. Sul versante dell'accelerazione d'impresa, finora sessanta aziende hanno ricevuto Supporti dal Progetto Imi: studi di fattibilità, assistenza nella stesura di progetti di ricerca, prototipazione, test per l'industrializzazione e formazione manageriale, in collaborazione con l’incubatore del Politecnico di Torino I3P. Tutte prestazioni gratuite. II Design Center, sorto con la partnership di Accent e dell’Istituto superiore Mario Boella, permette alle aziende di avere un aiuto sulla progettazione e la produzione in campo microelettronico. In questo caso, soltanto una quota delle spese è coperta da Torino Wireless e, per ora, sono cinque i progetti in corso. Intanto, gradualmente vanno al loro posto le tessere del complesso mosaico finanziario. Nell'agosto scorso il ministero dell'Istruzione ha reso disponibili 11 milioni per cofinanziare progetti di ricerca e sviluppo nel settore dei servizi e delle applicazioni delle tecnologie senza fili. E sta assumendo contorni sempre più netti la politica di Torino Wireless in tema delle risorse per la capitalizzazione delle imprese che sono "nutrite", sotto il profilo tecnologico e industriale, dal distretto. La neo costituita Piemontech è entrata nel capitale di otto aziende, con investimenti del valore medio di 100mila euro: «Sono interventi di tipo angel - specifica Claudio Giuliano, responsabile finanziario del distretto - a cui si aggiungeranno presto le operazioni di seed e di midstage». Per effettuare queste ultime, è stata costituita la Sgr Innogest, nel cui capitale si trovano Torino Wireless, Ersel e il management team: a essa è collegata il fondo Alpinvestimenti, in attesa dell'autorizzazione della Banca d'Italia. «L'obiettivo - dice Giuliano - è la raccolta di una cifra compresa fra i 40 e i 50 milioni, da spalmare su cinque anni con investimenti dalla taglia media di un milione». Denaro, ma anche trasformazione della ricerca in progetto industriale come elemento qualificante del distretto. Cuore di questa attività è il settore- brevetti. Finora, all'Ufficio europeo dei brevetti di Monaco di Baviera ne sono stati depositati 21 e per un paio l’iter è in dirittura d'arrivo. Paolo Bricco LIGURIA TRECENTO RICERCATORI SUI SISTEMI INTELLIGENTI Il distretto tecnologico sui sistemi intelligenti integrati nasce a settembre dello scorso anno grazie all'accordo tra il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la Regione Liguria. In particolare il distretto mira a sviluppare soluzioni tecnologiche per il miglioramento della qualità della vita dal punto di vista della sicurezza, della tutela dell'ambiente e della salute. Per fare questo si lavora su diversi fronti tecnologici e diversi settori: informatica, elettronica, telecomunicazioni, bioingegneria, meccanica, ricerca operativa, automazione, ambiente ed energia. Il tutto con l'attivo coinvolgimento delle imprese grandi, medie e piccole che hanno sede nella regione. Grazie a un tessuto imprenditoriale che storicamente ha visto la Liguria al centro di attività che hanno avuto rilevanza nazionale - si pensi alle industrie per la produzione di locomotori e motori marini come per esempio Ansaldo - la regione si propone oggi come territorio ideale per lo sviluppo dei sistemi intelligenti integrati. In Liguria le imprese dedicano consistenti risorse alle attività di ricerca e sviluppo: circa 7mila addetti su un totale di 110mila che operano nel settore industriale, mentre gli investimenti sono quantificabili in oltre 200milioni di euro l'anno. Le soluzioni che nascono da questo distretto industriale hanno potenzialmente sbocchi sui mercati della logistica avanzata per merci e persone, dei sistemi di trasporto, della sicurezza, dell'energia, dell'automazione, delle telecomunicazioni, dell'ambiente e della sanità. Ma soprattutto, il distretto si propone di favorire la collaborazione tra mondo accademico e industriale e di incoraggiare le imprese a dedicare risorse ed energie allo sviluppo di progetti nell'ambito dei sistemi intelligenti integrati. Ma anche di stabilire un efficace trasferimento tecnologico tra il mondo della ricerca e quello delle imprese in modo da concretizzare più rapidamente la ricaduta economica. I finanziamenti pubblici a sostegno del distretto industriale ligure ammontano a circa 30 milioni di cure, con i quali si prevede di generare una ricaduta occupazionale che darà opportunità di lavoro a circa trecento nuovi ricercatori. E.Ab. FRIULI VENEZIA GIULIA LANCIATE ,NUOVE IMPRESE PER LA BIOMEDICINA Un terreno fertile di ingegni indirizzati all'innovazione quello su cui è nato il distretto di biomedicina molecolare del Friuli Venezia Giulia, per il cui supporto è previsto un impegno finanziario di 15 milioni di euro da parte del ministero dell'Istruzione e di 21 milioni di euro da parte della Regione per i prossimi tre anni. Con una previsione di incremento della forza lavoro qualificata di 200-300 unità nei primi 5 anni e di 1.500-2.000 unità in 10 anni. «Esistono da tempo - dice Domenico Romeo, rettore dell'Università di Trieste - le competenze scientifiche necessarie per portare a compimento gli obiettivi del distretto, la crescita tecnico-economica del territorio attraverso il miglioramento della competitività delle imprese esistenti e la creazione di nuove realtà imprenditoriali. Queste figure professionali si trovano negli atenei di Trieste e di Udine; nell'Area science park di Basovizza, negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di Trieste e Aviano e nella Scuola di studi superiori avanzati (Sissa) di Trieste». Per favorire il trasferimento tecnologico alle imprese, l'Area science park ha avviato fin dal 2000, in collaborazione con le università di Trieste e di Udine, il progetto Sister, che ha prodotto 31 nuovi brevetti, sei nuove iniziative imprenditoriali, la cessione dei risultati della ricerca a realtà industriali e l'avvio di nuove collaborazioni con l'industria. «Siamo riusciti nell'impresa di avvicinare il mondo imprenditoriale e quello scientifico su un terreno concreto - dice Ma ria Cristina Pedicchio, presidente del Centro di biomedicina molecolare -. L'interesse immediato dimostrato da un'industria come la Bracco, la disponibilità di un colosso della finanza come Generali, entrambi nella compagine societaria del Centro di biomedicina, uniti alla capacità di un nuovo approccio all'attività di ricerca riscontrata alla Sissa e al Centro di riferimento oncologico di Aviano, hanno prodotto il risultato del primo distretto "science based" nato in Italia. II passo iniziale è stato fatto: ora si tratta di operare in modo che dalla collaborazione tra la componente scientifica e la componente industriale si arrivi alla nascita di una nuova filiera imprenditoriale nel campo delle cure mediche di frontiera, che porti a nuove applicazioni nelle seguenti aree: oncologia, cardiologia vascolare, neuroscienze, epatologia, medicina rigenerativa». Rosanna Mameli LE MILLE FORME DEL PUBBLICO-PRIVATO Dalle collaborazioni spontanee fra atenei e aziende fino ai laboratori Dalle collaborazioni spontanee fra atenei e aziende fino ai laboratori finanziati dal ministero dell'Istruzione Il progresso della ricerca scientifica passa dalle partnership tra il settore pubblico e quello privato. Il ritornello, per il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, è di quelli vecchi, di moda com'è fin dai tempi dalle Linee guida enunciate nel lontano 2002. Ma il suo smalto non accenna a incrinarsi, anzi si rifà continuamente il trucco: l'ultima mano, in ordine di tempo, se la darà proprio in questi giorni, quando verrà lanciato il bando per la creazione di 12 laboratori di ricerca pubblico-privati nel Mezzogiorno. «I laboratori verranno fisicamente costruiti grazie ai 240 milioni di curo stanziati ad hoc dal Cipe - racconta Luciano Criscuoli, direttore generale del ministero dell'Istruzione per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca -e al loro interno lavoreranno fianco a fianco le imprese e le università». I fondi in campo. Il direttore Criscuoli snocciola dati sugli investimenti messi a disposizione dal Ministero a sostegno delle forme più diverse di partnership tra il pubblico e il privato per la ricerca. A cominciare dai 200 milioni di euro all'anno di stanziamenti per il Firb, il Fondo per gli investimenti della ricerca di base istituito nel 2001 a soste,Mo dei progetti lanciati dalle università da sole o insieme alle imprese Segue il Far, il Fondo agevolazioni ricerca creato con la legge 197/99, da cui sono usciti i fondi per gli undici distretti tecnologici voluti dal Ministero e da cui provengono premi particolari per quelle università e imprese che scelgono di lavorare insieme. Quattro formule. Quella dei laboratori pubblico-privati, fra l'altro, è anche la più recente fra le formule messe a punto dal Ministero per la promozione delle singergie tra università e imprese, fra ricerca di base e trasferimento tecnologico all'industria. Secondo quanto teorizza il ministro Letizia Moratti, infatti, il panorama delle collaborazioni si dipana lungo una piramide fatta di quattro gradini, dal più informale al più strutturato. Alla base, cioè, il canale di collaborazione più diffuso, che è quello dei progetti di ricerca affidati autonomamente dalle singole imprese agli atenei in virtù dei legami personali con i singoli docenti e ricercatori. Al vertice, invece, si posizionano i distretti tecnologici, una formula altamente strutturata in cui entra una compagine complessa di attori: non più solo le imprese e gli atenei, ma il Ministero stesso, le istituzioni politiche locali e gli enti di ricerca pubblici e privati. Nel mezzo, nell'ordine, ci stanno i progetti finanziati con il fondo Firb e, appunto, i laboratori pubblico-privati. Il livello internazionale. A tutto questo, poi, si aggiunge il livello internazionale: operano infatti a questo livello le cosiddette piattaforme tecnologiche, lanciate nell'ambito del Sesto programma quadro di ricerca Ue e finalizzate a raccogliere insieme una pluralità di soggetti pubblici e privati al lavoro sui grandi temi di ricerca che possono aprire nuovi settori di interesse industriale: nanoelettronica, bioinformatica, Grid, prevenzione delle catastrofi naturali. Su questo fronte il ministero dell'Istruzione si è già impegnato per il 2004 con fondi per 43 milioni di curo. Tra le piattaforme che hanno già raggiunto un alto livello di definizione c'è quella sui materiali polimerici, alla cui progettazione hanno partecipato Alenia, Yirelli Labs, Esaote, Elasis, Mapei, STMicroelectronícs e Fincantieri; quella sui sistemi di produzione innovativi, con Fiat, Coniati, Alenia e numerosi atenei; quella sulla bioinformalca, con Ibm e un lungo elenco di piccole e medie imprese. IL RUOLO DEGLI ATENEI. Vista così, la strategia Moratti delle partnership sembra un piano coerente, con tanto di fondi ad hoc per ciascuno dei livelli. Ma il lavoro del Ministero da solo non sarebbe mai bastato a mettere in i piedi quelle centinaia di collaborazioni spontanee fra gli atenei e le imprese che costituiscono l'ampia base della piramide teorizzata dalla Moratti, e che non sarebbero mai nate senza 1 "intraprendenza dei singoli professori. Ovvero: anche gli atenei hanno un loro ruolo. E forte. Intanto, è chiaro che al mondo dell'università il modello della collaborazione con il privato non dispiace affatto: prova ne è l'accordo siglato nel luglio scorso tra 1a Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) e Confindustria per la definizione di sei azioni concrete tese a ottimizzare la cooperazione fra atenei e imprese, tra cui la proposta di un credito d'imposta pari al 50% dei trasferimenti dalle aziende all'università. E poi, gli atenei ci tengono a mettere i puntini sulle i: «La Costituzione - spiega Piero Tosi, presidente della Crui - riconosce alle università lo statuto di enti autonomi che programmano le proprie politiche di formazione e ricerca nell'ambito di requisiti previsti per legge». In quest'ottica di autonomia, cioè, vanno intese anche le relazioni con il territorio, cioè con 1'insieme degli attori (pubblici e privati) che localmente interagiscono con gli atenei sul fronte della ricerca. La spesa pubblica destinata alla ricerca, ricorda l'osi, resta comunque esigua rispetto alle esigenze delle università e del territorio. E anche quando si concretizza in iniziative specifiche mirate alla crescita delle partnership tra il pubblico e il privato, deve restare facoltà degli atenei dire la propria opinione in proposito: «Tutte le iniziative legislative che intendono regolare questo tipo di partnership - aggiunge Tosi - rappresentano sempre utili strumenti di lavoro se vengono concepite nel dialogo con le parti interessate e nel rispetto sia delle loro esigenze che dell'autonomia che la costituzione riconosce loro». Micaela Cappellini LE AREE Settori di riferimento della prima tranche di progetti finanziati dal fondo Firb (in %) Ingegneria medica 17,9% Diritti 0,4% Ict 22,2% Neurosrienze 4,3% Scienze umane 0,8% Genoma 29,7% Scienze e tecnologie 0,4% Nanomicro 24 3% Fonte: Crui I SOGGETI COINVOLTI In %, gli enti che hanno partecipato ai primi progetti finanziati dal Firb Imprese e fond. – Università – Enti – ricerca- Altri Istituti scientifici Menoma - 10 - 61 - 26 - 3 Ingegneria medica – 39 – 36 - 23 - 2 Neuroscienza - 10 – 64 – 23 - 3 Nanomicro – 14 – 44 – 40 - 2 Ict - 14 – 70 – 16 - 0 Scienze Umane – 0 – 78 – 5 - 17 Scienze e Tecnologie – 23 – 54 – 23 - 0 Diritti - 20 - 20 – 20 - 40 Fonte: Cruri Settori di riferimento della prima tranche di progetti finanziati dal fondo Firb (in %) Fonte: Crui UNIVERSITA’ DI LECCE L'ECCELLENZA SUL NANOTECH ATTRAE AGILENT E STM Sul National nanotechnology laboratory (Nnl) di Lecce, diretto da Roberto Cingolani e considerato in Europa uno dei pochi centri competitivi nel settore delle nanoscienze, hanno investito multinazionali del calibro di Agilent technologies e S Microelectronics (Stm). Agilent, in particolare, ha investito a partire dal 2001 oltre un milione di dollari dando vita a un'intensa attività di ricerca: la collaborazione ha prodotto brevetti e prototipi di interesse industriale ed è recentemente sfociata in un progetto finanziato dalla legge 297 (che promuove ricerche a carattere misto pubblico-privato), Il progetto coperto dalla 297 è intervenuto a supportare le attività proprio quando la crisi internazionale del settore telecomunicazioni e fotonica avrebbe potuto metterne a dura prova lo sviluppo. Si focalizza su laser a stato solido per telecomunicazioni, alternativi per efficienza e convenienza a quelli più tradizionali. Il caso di Lecce segna dunque un successo della formula mista pubblico-privata, in cui le imprese intervengono con proprio personale, finanziano borse di dottorato e forniscono strumentazione per usufruire, in cambio, delle facilities di un laboratorio basato sull'hardware e attrezzato per attività di punta, dalle life sciences ai materiali. Ciò che attira a Lecce industrie del calibro di Agilent è la disponibilità di spazi (il nuovo centro occupa 4mila mq nell'ambito del distretto tecnologico universitario), di strumentazione (vale almeno 35 milioni di euro in attrezzatura) e soprattutto di competenze interdisciplinari. StMicroelectronics, invece, ha avviato il primo rapporto con l'Nnl nel 2002 perché era interessata a lavorare in un primo momento nell'area software e reti con l'Università di Lecce, e poi nell'area hardware, punto di forza del Nnl, per lo sviluppo di nuovi materiali piezoelettrici applicati a tecnologie che vanno dalla telefonia cellulare alle sensoristica, ai Mems (Micro electro-mechanic systems). Ma la cooperazione tra Nnl e la società si è successivamente aperta a un altro settore, quello dei dispositivi a stato solido per l'analisi genomica: è la nuova frontiera del cosiddetto «lab on chip», che esegue su un unico substrato elettronico tutte 1e operazioni di analisi del Dna e apre le porta a tecniche rivoluzionarie di diagnosi e terapia medica. Elisabetta Durante UNIVERSITA' DI PALERMO SE LA PARTNERSHIP NASCE DAL TUTOR PER GLI STAGE Se comincia dall'analisi delle esigenze avanzate dal tessuto produttivo locale e si finisce per allargare la rete delle collaborazioni fra università e imprese anche nel campo della ricerca. È quanto è avvenuto negli ultimi tre anni attorno all'Università di Palermo, che ha capitalizzato sotto forma di sinergie a lungo termine il progetto lanciato nell'ambito di CampusOne per l'individuazione dei corsi di laurea più adatti al territorio. Tutto ha avuto inizio con una serie di incontri con le associazioni locali degli imprenditori per spiegare la riforma del "3+2", racconta Vincenza Capursi, responsabile del progetto CampusOne all'Università di Palermo: «Ci siamo divisi per aree tematiche, dall'ambiente alla sanità, e con loro abbiamo cercato di capire come si poteva dare una mano alla crescita economica delle piccole e medie imprese e alla creazione di profili professionali adatti alle richieste di sviluppo del territorio. E da questa operazione sia il tessuto imprenditoriale sia quello universitario ha tratto suggerimenti importanti». Negli anni, il legame più stretto e duraturo si è dimostrato quello degli stage, che le imprese interpellate nel 2002 - tutte ricomprese nelle cinque province della Sicilia occidentale - hanno richiesto sempre più insistentemente all'ateneo. Vero è che dagli stage è nato altro: «Centrale, in questo senso, è stata la figura del tutor universitario per i tirocini - racconta la professoressa Capursi - che gestisce i contatti diretti con le aziende e che soprattutto è un docente dell'ateneo». Un professore, cioè, che per le imprese può fare molto di più, dalle consulenze ai progetti di ricerca comuni. Ed è proprio così che sono nate molte delle collaborazioni dell'Università di Palermo con le aziende del territorio: «Piccoli progetti - specifica la professoressa Capursi - perché si sa, in Sicilia la spesa per la ricerca è ancora più bassa che in tutto il resto del Paese», ma pur sempre di inziative di reciproco vantaggio si tratta. UNIVERSITA’ DI TRENTO NON C'È SOLO MICROSOFT NEL CARNIERE DEGLI SPONSOR L’ ateneo di Trento è quello che si può chiamare un privilegiato. Non tanto perché ha appena ottenuto un finanziamento di 11 milioni di euro per fare ricerca sulla bioinformatica, ma soprattutto perché i fondi arrivano da quattro padrini altamente qualificati: il ministro Letizia Moratti, il suo collega all'Innovazione Lucio Stanca, la Provincia autonoma di Trento e niente di meno che Bill Gates, patron della Microsoft. La scorsa settimana questa illustre partnership tra il pubblico e il privato a vantaggio della ricerca di base è salita alla ribalta di quasi tutti i principali giornali. Eppure non è l'unico successo messo a segno dall'Università di Trento, che da anni lavora su questa formula: «C'è ad esempio il consorzio Idea - racconta Davide Bassi, fresco di nomina alla carica di rettore dell'ateneo dove è arrivato lo scorso lo novembre - che si occupa dello sviluppo di nuove tecnologie nel campo energetico e che è stato inizialmente costituito dall'Università di Trento e da Marangoni Meccanica, ma che u breve vedrà l'entrata di altre realtà sia pubbliche che private. Partecipiamo inoltre al progetto GraphiTech per lo sviluppo di tecnologie informatiche applicate alla grafica. in collaborazione con il Centro per la ricerca scientifica e tecnologica della Provincia di Trento e con la tedesca IniIGraphicsNet». Questo per quanto riguarda la ricerca pura, perché sul fronte delle applicazioni l'ateneo di Trento ha fatto accordi con il gruppo Unicredit e con la Federazione trentina delle cooperative, mentre la facoltà di Ingegneria partecipa ad Intesanova, l'iniziativa promossa da Banca Intesa per la valutazione di progetti di innovazione tecnologica delle Pmi. Trento conosce dunque la ricetta giusta per mettere insieme il pubblico e il privato? «Non ci sono ricette preferenziali - sostiene il rettore Bassi - a seconda delle esigenze, proponiamo le forme di accordo che riteniamo più efficaci: il finanziamento dello Stato, della Provincia autonoma di Trento e della Commissione europea è richiesto quando 1e attività coprano settori di ricerca di non immediato utilizzo industriale. Ma ciò non preclude i contatti con le singole aziende, i quali si stabiliscono, principalmente, per conoscenza diretta: gli accordi di collaborazione di lungo periodo, infatti, sono spesso preceduti da scambi legati allo svolgimento di consulenze o di specifici contratti di ricerca. I nostri ex-studenti costituiscono un ulteriore importante canale per il collegamento tra l'ateneo ed il mondo delle imprese». _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 Feb. 05 TOLU: NELLA RICERCA LA REGIONE FAVORISCE CAGLIARI (53 a 13) A Cagliari la Regione finanzia 53 progetti di ricerca Sassari 13, la musica non cambia Lettera del prof. Eusebio Tolu* Cagliari batte Sassari 53 a 13. E’ il risultato di una partita di calcio, di palla a volo o di pallacanestro? Niente di tutto questo è il risultato dei progetti di ricerca di Prevenzione ed Educazione Sanitaria finanziati dalla Regione Sardegna. Su 66 progetti finanziati 53 spettano a Cagliari e 13 a Sassari. Già 53 a 13. Il finanziamento totale erogato è di 1.500.000 euro, 1.230.000 euro per Cagliari e 270.00 euro per Sassari. Le briciole, bel risultato non c’è che dire. Lamentarsi non serve, contano i fatti, vuol dire che i sassaresi non sanno fare ricerca o non sono capaci di presentare progetti credibili. Peccato che a livello nazionale e internazionale le cose non stiano proprio così. Basta leggere la classifica delle Università italiane stilata dal Censis, in graduatoria quella di Sassari stacca di diverse lunghezze quella di Cagliari. Non si vuole fare del campanilismo spicciolo, ma si vuole anche credere che non esista un campanilismo alla rovescia. Un ricercatore sassarese non può che rimanere perplesso ed esternare indignazione per questa decisione ingiusta e discriminatoria. Dal nuovo corso politico ci si aspettava ben altro. Non si vuole credere che le parole cambiamento, voltar pagina, discontinuità col passato abbiano avuto un significato soltanto in campagna elettorale. Il rinnovamento deve essere vissuto giorno per giorno, nelle cose grandi e nelle cose piccole. Nel merito, i criteri utilizzati per la selezione dei progetti ammessi al finanziamento e riportati nella delibera, sono gli stessi da almeno 20 anni. Sono criteri ambigui e fuorvianti, in pratica qualunque progetto di ricerca può essere incluso o escluso. Dipende. Si è sempre criticata la distribuzione a pioggia operata dalle precedenti amministrazioni, ma questa volta la distribuzione è stata torrenziale in un verso e a goccia nell’altro. Si è persa l’occasione di emanare un bando di selezione con criteri nuovi e trasparenti. In altra occasione si era sostenuto che la Regione Sardegna poteva fare molto per rimettere in moto le sue Università, dicasi le due Università di Cagliari e di Sassari. Non è importante soltanto investire in ricerca e in formazione ma occorre individuare priorità e programmi, stabilire regole certe e valutare i risultati. Niente da dire sui progetti di ricerca selezionati per il finanziamento, diciamo che sono tutti meritevoli. Ma non si parli di coerenza del progetto con gli obiettivi regionali, tanti progetti manterrebbero la loro validità scientifica anche se presentati negli Stati Uniti. Non si parli di competenza scientifica del responsabile del progetto di ricerca, alcuni non pubblicano un lavoro degno di questo nome dal almeno 5-7 anni. Non si parli di ringiovanimento dei ricercatori, si è riusciti a finanziare anche ricercatori in pensione. Ed intanto Sassari ed il nord Sardegna vivacchiano in attesa di tempi migliori. Speriamo. E pensare che eravamo convinti che il 53 non fosse ancora uscito, invece si, ovviamente nella ruota del Capo di Sotto. * ordinario di Fisiologia Umana-Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Sassari SONO ANNI che sostengo, spesso con troppa veemenza e qualche aggettivo di troppo, che la Regione Sardegna, specie per quanto riguarda la Sanità, si comporta come la più malvagia delle matrigne. Da anni la maggior parte dei fondi per l’edilizia sanitaria vanno a Cagliari, da anni i fondi per le attrezzature prendono la strada di Cagliari. Sono d’accordo con lei. No al campanilismo. Ma quando le sperequazioni sono macroscopiche a quale santo bisogna rivolgerci? Da qualche mese i suonatori sono cambiati ma la musica è la stessa. La signora Dirindin evidentemente pensa alla piemontese: Torino in serie A gli altri in B e in C. Bisogna che qualcuno le faccia capire che l’equazione non può essere applicata in Sardegna. Dovrebbero farlo i nostri rappresentanti in Regione. Non lo fanno. Non so se per pigrizia o per mancanza di interessi. Occorre allora che Sassari provi ad alzare il tono della sua voce. Io l’ho fatto. E quando la Dirindin si presentò in Sardegna con una soluzione già scritta per i trapianti di fegato e quant’altro, urlai. Mi accusarono di aspirare alla poltrona di direttore generale della Asl. Così vanno le cose a Sassari. Teniamoci quindi le pedate sui denti. Livio Liuzzi _____________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’05 RECLUTAMENTO:UNA LISTA APERTA PER I DOCENTI La proposta del Governo, che vincola l'idoneità ai posti disponibili, peggiora il sistema perché e ingiusta e poco praticabile: tutti i candidati meritevoli vanno «promossi» Le singole facoltà sceglieranno i nuovi professori dall'elenco di quelli idonei Va riconosciuto il contributo essenziale dei 21 mila ricercatori che insegnano DI DARIO ANTISERI Il 21 febbraio inizierà in Parlamento la discussione sullo stato giuridico dei docenti universitari. Cominciamo dal punto essenziale: il reclutamento della docenza. Il testo dice: «II ministro dell'Istruzione; dell'università e della ricerca bandisce, con propria decreto, per settori scientifico-disciplinari, procedure finalizzate al conseguimento della idoneità scientifica nazionale, annualmente e distintamente per le fasce di professori ordinari e di professori associati». E aggiunge che il numero massimo di soggetti che possano conseguire l'idoneità scientifica per ciascuna fascia é per settori disciplinari è pari al fabbisogno indicato dalle università, e per cui è garantita la relativa copertura finanziaria, incrementato di una quota ulteriore, ma non superiore al 20 per cento. Dunque le commissioni dovranno dichiarare idonei tanti candidati quanti saranno i posti messi a concorso dalle diverse facoltà, nei differenti settori scientifica-disciplinari, incrementando la quota degli idonei al massimo di un quinto. La proposta peggiora il già sgangherata sistema vigente. Attualmente i concorsi per professori universitari si chiudono con due idonei per ogni posto messo a concorso. Se, per esempio, si presentano per un posto trenta candidati, la commissione è costretta a sceglierne due, anche se tra questi almeno dieci meritano pienamente l'idoneità. Così, per non incorrere in eventuali ricorsi, i commissari debbono arzigogolare giudizi in qualche modo limitativi nei confronti degli otto candidati degni di un'idoneità che viene loro negata. Di conseguenza oggi i commissari coscienziosi chiudono non di rado gli atti del concorso con forti sensi di colpa, mentre i candidati meritevoli respinti sono scoraggiati nella loro carriera da un'umiliazione immeritata. Certe ingiustizie sono ferite che non si rimarginano. In ogni caso, se i posti a concorso sono, per esempio, cinque, dieci saranno gli idonei, e ci saranno quindi dei candidati bravi che non verranno eliminati. La proposta che sta per giungere all'esame del Parlamento peggiora la situazione, giacché restringe il numero dei possibili idonei. La ragione più volte addotta a sostegno di tale misura è che così si eliminerebbe il "cancro del localismo". A dire il vero non si capisce il motivo per cui, se un ricercatore o un associato hanno dato per anni buona prova nel campo della ricerca e in quello didattico, una facoltà dovrebbe farseli sfuggire. I candidati locali non sono per definizione asini, come gli esterni (che sono pur sempre "locali" di altri luoghi) non sono per definizione geni. Ma, a parte tutto ciò, dovrebbe essere chiaro anche ai più sprovveduti che la proposta (tanti idonei quanti i posti messi a concorso, più il20%) incoraggerebbe il più rigido localismo, poiché nella stragrande maggioranza dei casi verrebbero banditi concorsi per ricercatori o associati che le facoltà siano disposte a chiamare e che riscuotano il consenso delle rispettive corporazioni disciplinari, In conclusione: o il localismo più rigido o la paralisi dei concorsi. Parimenti frutto d' «ignoranza pugnace», per dirla con Benedetto Croce, è l'idea che delle commissioni giudicatrici debbano far parte docenti designati da atenei dell'Unione europea. Senza richiesta di reciprocità, tale proposta costituisce semplicemente un'ingiustificabile offesa all'intera classe docente universitaria da parte dei nostri politici. Sembra che tutti i guai del nostro sistema universitario dipendano dalla "marea dei ricercatori", e che per difendersi sia necessario bloccare i concorsi, o farne il meno possibile, e invocare la presenza di salvatori esterni. Ma nelle nostre facoltà i 21.462 ricercatori (con un'età media di 47 anni) hanno quasi tutti un incarico 0 più incarichi d'insegnamento. Si affidano ai ricercatori insegnamenti anche fondamentali, ma non si chiedono concorsi per Loro. Una vera follia, solo che si pensi che entro quattordici anni andranno in pensione, tra ordinari e associati, circa 23mila docenti di ruolo. I ricercatori con affidamento di insegnamenti, che mandano avanti gran parte della didattica universitaria, vanno retribuiti come meritano. Per il reclutamento della docenza le liste aperte di idonei testano lo strumento migliore. Per non lasciare adito a equivoci, a scadenza di tempi determinati le commissioni dichiareranno . idonei tutti i candidati che ne siano degni. È questo il compito della comunità scientifica. Saranno poi le singole facoltà, in base alle loro esigenze, a scegliere i propri docenti dalla lista degli idonei. Questa proposta rispetta il lavoro dei ricercatori, non mette in imbarazzo morale le commissioni giudicatrici, offre alle facoltà possibilità di scelta ed è, nella situazione attuale, la proposta più ragionevole, meglio praticabile e più liberale. Nella passata legislatura l'attuale presidente del Senato Marcello Pera difese con lodevole impegno, dalle file dell'opposizione, la proposta della lista aperta. Risulta davvero incomprensibile che il ministra dell'Istruzione e dell'università Letizia Moratti non faccia uno »sforzo per prendere in considerazione le ottime ragioni dell'allora senatore Marcello Pera. Oggi il problema dell'università è forse il più urgente della Nazione, e non può venir risolto a colpi di decreti legge, tra la disattenzione di forze politiche interessate solo alle ragioni di calcolo elettorale. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 8 Feb. 05 ASSUNZIONI DEI DOCENTI, INCERTEZZE Blocco delle assunzioni del personale docente. La notizia, non ufficiale, diventa attendibile dopo l'annuncio della Moratti che auspica nuove regole per l'assunzione di docenti e ricercatori. Una situazione a livello nazionale, quindi, che include gli Atenei sardi. Dal 31 dicembre 2004 nelle Università di Sassari e Cagliari sono state indette procedure di valutazione comparativa per più di 130 posti tra professori e ricercatori. I termini per le candidature, in alcuni casi, sono ancora aperti. Le prime avvisaglie sulla veridicità di queste informazioni si riscontrano nell'accorpamento della quarta sessione delle valutazioni comparative del 2004 con la prima del 2005. È probabile, inoltre, che le quattro sessioni valutative previste nell'arco di un anno vengano diminuite a due. Nell'ateneo sassarese sono state rinviate le votazioni telematiche in programma nella prima decade di febbraio. La procedura informatizzata, adottata nel 1999 in seguito a uno specifico accordo tra il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (Murst) e la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), si propone, solitamente, di velocizzare e rendere più efficiente il sistema di reclutamento dei docenti e le elezioni dei componenti delle commissioni giudicatrici. Una situazione di stallo imbarazzante per i ricercatori che sono costretti a sopravvivere con forme occasionali e umilianti di retribuzione o ad emigrare all'estero, ma un provvedimento quasi assurdo per gli idonei ai concorsi di ordinario e associato che devono semplicemente "avanzare di carriera". (r.f.) _____________________________________________________ AVANTI 9 feb. ’05 SULLA RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ Dopo le scuole secondarie scende in campo l'Università: ha avuto luogo nei giorni scorsi un incontro tra il rettore Renato Guarini e una delegazione dei ricercatori delle diverse facoltà de "La Sapienza" per discutere sull'attuale stato dell'università pubblica e sull'accelerazione che è stata impressa all'iter legislativo del disegno di legge delega sullo stato giuridico e sul reclutamento della docenza universitaria. Nel corso dell'incontro, a fronte della delicatezza , e della complessità dei problemi, sul piano del metodo legislativo si è convenuto nel ritenere che è necessario avvalersi di una legge ordinaria; sul piano dei contenuti, si è constatato che sono purtroppo ancora attuali le posizioni critiche espresse dal senato -accademico il 9 settembre 2004. Per il mantenimento della qualità del sistema universitario pubblico è stata chiamata in causa la Conferenza di Ateneo per potersi avvalere dei contributi direttamente espressi dal mondo delle università, di cui "La Sapienza" rappresenta una parte significativa. La Conferenza avrà carattere ampio e istituzionale e consentirà a tutti i dipartimenti e ai corsi di studio de "La Sapienza", per tramite dei loro direttori e presidenti, di affermare le proprie posizioni rispetto a tale questione, cruciale. Tra il 21 e il 25 febbraio, quando il disegno di legge delega sarà discusso alla Camera, il rettore inviterà i direttori dei dipartimenti e i presidenti dei corsi di studio a convocare i rispettivi consigli per discutere dei contenuti_ del testo emendato ora all'esame del Parlamento e delle prese di posizione da esso suscitate. _____________________________________________________ Il Corriere della sera 9 Feb. 05 FORZA ITALIA CONTRO LA RIFORMA MORATTI: «SEMBRA BERLINGUER» Orari, materie, autonomia della scuola: agli esperti del partito del premier non piace il progetto sulle secondarie Benedetti Giulio ROMA - «La riforma Moratti assomiglia sempre più alla riforma Berlinguer». Questa volta al coro di protesta del centrosinistra, contrario al nuovo progetto di scuola superiore, si unisce Forza Italia. Una bocciatura senza mezzi termini della proposta riguardante i licei e l' istruzione professionale, partorita dagli esperti del ministero, è venuta dal Dipartimento scuola e università del partito, riunitosi ieri al gran completo per dire la sua sulla bozza che dovrà essere portata al Consiglio dei ministri. Per i consiglieri provinciali alla scuola azzurri, per gli assessori regionali, per i parlamentari e via salendo fino ai presidenti delle commissioni Cultura di Camera e Senato, il testo su cui si sta discutendo «presenta significative discordanze con la legge di riforma, al punto da vanificarne i propositi di cambiamento e innovazione». Forza Italia chiede dunque dei cambiamenti altrimenti, è il messaggio implicito, la riforma non andrà avanti. «Quella bozza - dice il senatore Franco Asciutti, presidente della commissione Cultura di Palazzo Madama - mi sembra scritta da qualcuno che non ha letto la legge 53 (la legge delega ndr) oppure, se l' ha letta, la detesta». «Appena la proposta ha cominciato a circolare - continua Asciutti - l' abbiamo confrontata col programma elettorale del 2001 ma non abbiamo trovato alcun riscontro. La bozza del decreto licealizza i tecnici, quindi tutte le superiori, e avvilisce quel poco che resta di istruzione e formazione professionale: è esattamente ciò che prevedeva la riforma Berlinguer. Per Forza Italia invece all' istruzione e alla formazione professionale, che in Europa raccoglie il 50 per cento delle iscrizioni, vanno riconosciuti pari dignità e risorse». In concreto l' offerta dell' istruzione tecnica deve stare insieme alla formazione professionale nella seconda «gamba», quella gestita dalle Regioni. «Un orario rigido, con troppe materie obbligatorie». Contro la bozza confezionata dagli esperti della Moratti si scaglia anche Mario Mauro, responsabile scuola e università di Forza Italia. Per Mauro, l' altro grave difetto consiste nella ridotta autonomia concessa alle scuole in materia di gestione dell' orario. Oggi si aggira su un 15 per cento: 4 ore e mezzo, da riempire con le discipline decise nell' istituto. Nell' ipotesi di riforma quelle ore scenderebbero a 3. Per i prof di FI invece devono aumentare, se possibile fino a 5, consentendo alle scuole e ai ragazzi un più ampio ventaglio di scelte. Latino, filosofia, diritto, fisica e chimica, cinque materie forti, devono trovare posto nelle attività opzionali dei licei, anche se sono già presenti. Infine da FI un tentativo di salvataggio per l' educazione fisica: se la si riduce ad un' ora tanto vale abolirla. Giulio Benedetti _____________________________________________________ LA STAMPA 7 feb. ’05 LA LAUREA NON È PIÙ DI MODA UNO SU TRE FERMO ALLE MEDIE «TUTTOSCUOLANEWS» ELABORA I DATI ISTAT SUL CENSIMENTO 2001 E Un ragazzo su tre si accontenta della licenza media. II 31,7% dei giovani si ferma alla scuola dell'obbligo rinunciando a proseguire gli studi. II primato della scolarizzazione ai minimi livelli spetta al meridione. Lo afferma un'anticipazione di TuttoscuolaNews, disponibile oggi, che ha elaborato dati dell'Istat sul censimento 2001. Secondo l'indagine, il Sud ha perso anche il record per numero di laureati. Considerando i qiovani con età compresa fra i 20 e 29 anni (7,7 milioni), ben un terzo si è fermato alla scuola dell'obbligo. Si tratta del 38,9% degli under 30 in Sardegna, del 36,3% in Puglia, del 35,1% in Sicilia, del 34,6% in Campania. Sotto la media nazionale però ci sono anche i giovani valdostani, gli altoatesini e i lombardi. Gli umbri, i laziali e gli abruzzesi sono in una condizione migliore, compresa fra il 22,8% e il 25,9%. La provincia dove ci si ferma prima a scuola è Oristano (41 %); segue Nuoro (40,8%) e Bolzano (39,6%). Le aree di eccellenza invece si trovano a L'Aquila, segue Terni, Perugia, Roma, dove questa categoria di studenti si limita al 22-24%. Rispetto alla formazione universitaria, Tuttoscuola evidenzia che le nuove generazioni meridionali non hanno più l'obiettivo della laurea: il record di laureati non si trova più al Centro Sud ma al Nord. Considerando la fascia di età con oltre 30 anni, quasi 8 italiani su 100 (7,9%) possiedono una laurea. La maggiore incidenza è nelle regioni centrali e meridionali. Se si considerano invece i laureati con meno di 30 anni, la tendenza è del tutto capovolta: in testa ci sono ora i liguri, gli emiliani, i lombardi; mentre i calabresi, i campani e i siciliani sono precipitati agli ultimi posti. _____________________________________________________ L’Unità 7 feb. ’05 CREAZIONISMO FOLCLORISTICO ALL'ITALIANA Darwin Day Fra pochi giorni avranno inizio le celebrazioni per l'anniversario della nascita di Charles Darwin, un utile pretesto per parlare di evoluzione in vista del bicentenario del 2009. Anche il nostro paese, con qualche ritardo, entra ora a pieno titolo in questa tradizione e offrirà al pubblico un ricco programma di eventi, come il Darwin Day che si terrà al Museo di Storia Naturale di Milano il 15 e 16 febbraio. A sottolinearne il rilievo internazionale, l'etologo Richard Dawkins, fra i più noti evoluzionisti contemporanei, ha deciso di festeggiare quest'anno il Darwin Day,proprio a Milano, insieme a molti suoi autorevoli colleghi italiani. Meno di un anno fa, l'Italia raggiungeva la ribalta internazionale per un motivo meno nobile - la rimozione di ogni riferimento alla teoria dell'evoluzione dalle indicazioni programmatiche per la scuola media riformata - inducendo lo stesso Dawkins, e con lui migliaia di scienziati e ricercatori, a firmare un appello per la sua reintroduzione. L'esito di questa protesta è sotto gli occhi di tutti: il ministro ha istituito un'apposita commissione per affrontare il caso, garantendo la conclusione dei lavori entro la metà di ottobre 2004. Quattro mesi dopo la scadenza non si ha alcuna notizia dei lavori di tale commissione e si è diffuso il luogo comune secondo cui, tutto sommato, si è fatto tanto rumore per nulla. Dopo l'enunciazione delle sconcertanti motivazioni pedagogiche della rimozione, la questione di come e quando sia opportuno insegnare l'evoluzione a scuola è stata semplicemente accantonata. Intanto, resta il dato di fatto: la voce che recitava «origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana» non c'è più. È allora quanto mai opportuno che il Darwin Day milanese> frequentato con passione da studenti e docenti, abbia scelto come tema del 2005 proprio l'evoluzione umana. L'antievoluzionismo all'italiana non è il creazionismo americano, che da noi assume connotati folcloristici. È una strategia più indiretta, fatta di piccole furbizie, che si alimentano di un clima di diffidenza verso la scienza sempre più diffuso. Il «problema Darwin» va infatti al cuore dell'impresa scientifica e riguarda il modo in cui una società percepisce il valore della libera ricerca. I consulenti ministeriali e i politici di governo sono intervenuti nel merito specifico della vicenda rivelando una preoccupante inconsapevolezza del significato della teoria dell'evoluzione, e forse qualche incertezza anche a proposito del concetto di «teoria scientifica» in generale. Risulta quanto mai urgente la condivisione delle informazioni di base riguardanti l'evoluzione naturale e proprio per questo il Darwin Day lancerà sul web «Pikaia», il primo portale telematico interamente dedicato all'evoluzionismo e ai suoi aggiornamenti. L'impressione è che i tentativi di marginalizzare la teoria dell'evoluzione si siano agganciati in modo bizzarro a quella scienza «confessionally correct» di cui notiamo le avvisaglie e di cui potremo ammirare le stupefacenti contorsioni filosofiche in occasione della prossima campagna referendaria. La bioetica italiana si avvia verso nuovi gloriosi approdi, come quello ipotizzato alcuni giorni fa secondo cui gli embrioni congelati sono si «vita», e non grumi di cellule come una non meglio identificata «mistificazione» supporrebbe, ma che dopo un certo periodo potremo usarli per la ricerca, purché si prometta di non congelarne mai più. Insomma, la condizione di «vita» non sacrificabile è a tempo: dopo un po' scade, basta mettersi d'accordo sulla data. Il nostro paese, nonostante queste acrobazie che non rendono merito alle sensibilità ben più avanzate dei credenti, ha le energie intellettuali per tentare altre strade e per capire che la riflessione sui limiti della scienza è cosa ben diversa dal volerla rendere compatibile per forza con un particolare magistero teologico. Una di queste è quella di mostrare come la scienza sia una forma alta e indipendente di cultura, senza sudditanze e proprio per questo capace di dialogare con le altre forme di sapere. A1 Darwin Day parteciperanno specialisti di discipline molto diverse, scienziati e non, per offrire al pubblico il fascino di una visione che, nella penna e negli occhi di un «ribelle di campagna» nato il 12 febbraio del 1809, ci regalò allora e ci regala ancora oggi, grazie a nuove prove genetiche e paleontologiche, la profondità della storia e la bellezza impagabile di sentirsi parte di un meraviglioso mondo naturale. E a Milano si parla di evoluzione umana II 12 febbraio del 1809 nasceva Charles Darwin. Tra pochi giorni avranno inizio le celebrazioni per l'anniversario. Dopo il successo della prima edizione del 2004, torna il Darwin day a Milano. Questa volta alcuni dei protagonisti del dibattito evoluzionistico italiano ed internazionale si confronteranno tra loro e con il pubblico attorno al tema dell'evoluzione umana. Pateoantropologi, biologhi evoluzionisti, genetisti, filosofi delle scienze animeranno le due giornate del convegno, il 15'e il 16 febbraio. Lo stile divulgativo misto agli approfondimenti sarà calibrato per un pubblico curioso, non necessariamente di addetti ai lavori, con particolare attenzione agli studenti nell'intento di coltivare la passione per la cultura scientifica. «Darwin Day 2005: l'evoluzione umana» si svolgerà nell'aula magna del Museo di Storia Naturale, Corso Venezia 55, Milano. Fra i relatori: Juan Luis Arsuaga, Marcello Buiatti, Richard Dawkins, Aldo Fasolo, Giacomo Giacobini, Giulio Giorello, Michael Mclllwrath, Giorgio Manzi, Pietro Omodeo, Andrea Pilastro, Carlo Alberto Redi, Antonio Torroni, Paolo Vidali. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 6 Feb. 05 PROVINCIA: LA BIBLIOTECA CHE FA SALTARE I PASTI Boom grazie all'orario non stop E' la preferita dagli studenti universitari che hanno ha disposizioni testi specializzati di tutte le discipline. La biblioteca provinciale, in vico XIV San Giovanni, non ha rivali in Sardegna per il servizio che offre agli studenti, specialmente quelli fuori sede, che possono studiare e preparare gli esami in tranquillità nelle ampie sale a disposizione. La struttura che occupa ottocento metri quadri offre al pubblico in totale 75 mila pubblicazioni, 4 mila nella sezione Sardegna, 15 mila nella sezione generale e 10 mila in quella di narrativa. Gli utenti non sono solo studenti ma anche studiosi e semplici cittadini che fruiscono dei servizi offerti come prestiti gratuiti dei testi, la navigazione internet e la consultazione di riviste e giornali che com-prende circa 80 pubblicazioni tra periodici e i principali quotidiani sardi, nazionali e stranieri. L'asso nella manica e vanto della biblioteca è però una assortita raccolta di libri d'arte appartenenti ai principali generi come musica, scultura pittura, architettura e fotografia. Per adeguarsi ai tempi e in fase di crescita anche la mediateca mentre, per favorire il servizio internet, tra breve ci saranno a disposizioni numerose postazioni dove potersi collegare in rete con il proprio portatile. "Gli spazi a disposizione sono ormai stretti", spiega il responsabile della biblioteca Salvatore Melis, "le nostre sale sono sempre piene e la struttura non è più sufficiente per far fronte alle richieste e questo malgrado il problema della Ztl. Da parte nostra ci sforziamo di mettere gli utenti a proprio agio con la dovuta gentilezza e i risultati ci stanno premiando". Nel 2004 le presenze totali hanno sfiorato le 20 mila unità, gli iscritti in cinque anni si sono decuplicati passando da 361 nel 2000 a 3947 nel 2004, i prestiti e le consultazioni da circa 12 mila nel 2003 sono diventati oltre 19 mila nel 2004 con un incremento del 60 per cento mentre 15 mila e cinquecento persone hanno consultato le riviste (136 per cento in più del 2003). Numeri importanti raggiunti grazie alla professionalità del personale ma anche all'orario di apertura continuato, dalle 8,30 alle 20, che permette l'accesso ai servizi per 11 ore e mezzo consecutive e per cinque giorni alla settimana. La biblioteca provinciale tra breve, nei giorni di sabato e domenica, attiverà una promozione dei libri organizzando incontri con autori, seminari di lettura e scrittura: la struttura sarà in grado quindi di fornire servizi sette giorni su sette. La continua crescita della biblioteca ha reso inadeguati gli attuali spazi, e l'amministrazione provinciale si sta impegnando per trasferire la struttura in locali più adeguati. Per informazioni telefoniche: 070403352, sito internet http://biblioteca.provincia.cagliari.it. Sergio Atzeni _____________________________________________________ Il Messaggero 6 Feb. 05 In Calabria il caso della “F. Ranieri” ATENEI “FAI DA TE”, L’ULTIMO FA INFURIARE LA CRUI di LUIGI PASQUINELLI ROMA Si fa presto a salire in cattedra e a dispensare, a studenti danarosi in cerca di titolo, dotte qualifiche. Basta tirar su un ateneo e il gioco è fatto. Non è difficile in Italia. Con un po’ di intraprendenza, una palazzetta e qualche fondo a disposizione si può aprire un’università a norma di legge. Nessuno vieta inoltre di conferire all’intestazione, tanto per renderla più altisonante, un respiro internazionale. Come tutte le botteghe anche quelle del sapere hanno bisogno di una “licenza”, in questo caso l’autorizzazione viene rilasciata dal ministero dell’Istruzione (Miur). Sembra che negli uffici di Letizia Moratti, che predica rigore e qualità, gli esami non siano affatto severi. I candidati, perlomeno alcuni di essi, vengono promossi nonostante compatte richieste di bocciatura da parte dei rettori. Il caso esplode a Villa San Giovanni in provincia di Reggio Calabria ma, giurano i magnifici a “denominazione di origine controllata” riuniti nella Conferenza dei Rettori (Crui), l’eclatante episodio è solo la punta di un iceberg. A ridosso dello stretto di Messina accade che un signore, tal Ranieri Francesco, fondi un nuovo ateneo: l’“Università Europea degli studi Franco Ranieri” (lui presiede il consiglio d’amministrazione, il figlio Rocco, caso di ateneo a gestione familiare, lo dirige). Tre le facoltà: Giurisprudenza, Economia, Medicina, cinque i corsi di laurea, una sede di 3000 metri quadrati ripartiti in una palazzina a due piani, un progetto finanziario che lo stesso ministero ha definito ”discutibile” per le entrate basate unicamente sulle tasse studentesche (5 mila euro l’anno a iscritto), un corpo docente dai contorni, per ora, nebulosi. Tali referenze vengono ritenute inadeguate dai rettori della Calabria riuniti nell’apposito comitato regionale. Il progetto viene bocciato lo scorso luglio anche dal comitato nazionale del ministero dell’Istruzione. Ma solo cinque mesi dopo, a dicembre, invitato dal ministro a ponderare meglio la questione, l’organismo presieduto da Luigi Biggeri (che è anche presidente dell’Istat) cambia radicalmente opinione e decide di promuovere il tenace candidato calabrese che nel frattempo riceve dal Garante una censura per pubblicità ingannevole, reo di aver garantito anzitempo sul sito internet la legalità della sua creatura e la validità delle relative lauree: perché tale possibilità si trasformi in realtà manca ora solo la firma del ministro Moratti, poi la palazzina di Villa San Giovanni comincerà a formare, e a “sfornare”, giuristi, economisti, medici, odontoiatri. I rettori giudicano la situazione niente affatto magnifica. Il ministero sembra averci preso gusto a contraddire il loro autorevole parere, richiesto ma non vincolante. Nel 2004 il Miur ha già bocciato tre relazioni dei comitati regionali permettendo la nascita di altrettanti atenei privati: i “Legionari di Cristo” a Roma, l’Università del Gusto a Pollenzo in Piemonte, l’Università della Sicilia Orientale di Enna. «Proliferano succursali universitarie in tutto il territorio nazionale lamenta il rettore di Reggio Calabria Alessandro Bianchi senza programmazione né controllo. Secondo le leggi un ateneo può nascere purché sia innovativo o geograficamente indispensabile. Non mi sembrano questi i casi della “Franco Ranieri”, dei “Legionari di Cristo” o del Consorzio di Enna, circondati da atenei di consolidata esperienza». In Italia esistono 77 università riconosciute dallo Stato (oltre alle tre neo- nate), tutte aderenti alla Crui. Di queste una quindicina sono private: alcune, come Bocconi, Luiss, Cattolica, vantano un prestigio universale. Altre, come si è visto, faticano a conquistare una credibilità regionale. «Esiste un circuito parassita di centri accademici privati denuncia il rettore di Palermo Giuseppe Silvestri che vampirizza gli atenei pubblici. In queste strutture vengono ingaggiati titolari di cattedre statali che trasferiscono nel loro secondo lavoro competenze e ricerche acquisite altrove grazie ai soldi pubblici». Qualsiasi istituto o scuola può, nel nostro Paese, fregiarsi dell’appellativo “libera università”: è quello che fanno, per esempio, molti istituti per la terza età. L’aggettivo “libera” significa che in tali strutture si studia ma non si rilasciano titoli validi. Onde evitare equivoci e per rivendicare l’esclusività di definizioni evocanti attrezzati campus multidisciplinari e articolate cittadelle della conoscenza più che modesti edifici condominiali, i rettori-doc vorrebbero vietare, in assenza di comprovate attività di Didattica&Ricerca, l’uso, o meglio l’abuso, dei termini “laurea” e “università”. _____________________________________________________ La Stampa 9 Feb. 05 ITALIA E LIBIA, UNIVERSITÀ DEL MEDITERRANEO NASCE IL NUOVO CENTRO DI FORMAZIONE SUPERIORE: AMBIENTE E TECNOLOGIE TRA I TEMI DI RICERCA IMPORTANZA massima alla ricerca, scientifica e tecnologica su temi di interesse comune per l’Italia e la Libia. Incremento della reciproca conoscenza attraverso lo studio delle rispettive lingue, storia, letteratura. Messa a punto di sistemi normativi bilaterali che, garantendo sviluppo massimo alle attività produttive, difendano l’ecosistema mediterraneo. Definizione, per il medio e lungo termine, di parametri comuni di macro e micro economia. Questi, gli obiettivi principali della costituenda Università italo-libica. Vi partecipano gli atenei di Palermo, Catania, Messina, Reggio Calabria (la “Mediterranea”), e di Tripoli, Sirte, Bengasi. Segreterie centrali a Palermo e Tripoli. A coordinare le attività, l’Accademia libica in Italia, istituzione fondata nel 1998 a Roma e Tripoli (dal 2002, c’è anche un ufficio distaccato a Palermo) per curare i rapporti con la cultura italiana. Le lezioni cominceranno nel 2006/2007. Elaborati e realizzati da un comitato congiunto di docenti di entrambi i paesi, i corsi prevedono, nella prima fase di attività dell’ateneo, un percorso duplice scelto anche per contenere le spese che una struttura più complessa inevitabilmente imporrebbe. Da un lato programmi di alta formazione di tipo scientifico e/o tecnologico, con dottorati e master su temi di interesse comune. Dall’altro lato corsi di laurea (alcuni anche di specializzazione), su materie in area sostanzialmente umanistica e di taglio rigorosamente interculturale. In ambito scientifico, gli insegnamenti si terranno, in linea di massima, in inglese; in Libia, lo si studia fin dalle elementari, insieme con il francese. Due corsi di alta formazione (sede ospite, Palermo) verteranno sull’archeologia mediterranea e la biologia marina; un altro (a Reggio Calabria) tratterà dell’architettura, con particolare riferimento ai paesaggi e alla gestione del territorio. Tra i due paesi, i principali interessi comuni richiamano l’ambiente, l’energia, l’agricoltura. I progetti di ricerca in questi settori sono tanti, e molto impegnativi, racconta Ibrahim Magdud, coordinatore dell’Accademia italo-libica e docente (a contratto) di arabo alla facoltà di lettere dell’Università di Palermo. Per esempio il problema della carenza di acqua, o dell’inquinamento del mare, o l’insufficiente comunicazione tra le coste del Mediterraneo. In programma c’è anche una collaborazione con l’Istituto di ricerca tecnologica del Politecnico di Napoli, mirata a promuovere in Libia l’energia pulita che, in futuro, potrebbe essere anche esportata in Italia, a fianco al gas. In ambito umanistico docenti e allievi dovranno essere bilingui arabo/italiano. Tra i corsi di laurea ci sarà l’archeologia, settore nel quale già esiste una collaborazione di lunga data tra la Libia e l’Italia. Molto importanti gli studi arabo-islamici e storico-culturali. Secondo l’impegno assunto in febbraio dal rettore dell’ateneo di Palermo, Giuseppe Silvestri, e dal suo omologo libico, l’Università Karyunis di Bengasi ospiterà un Dipartimento di Italianistica. Finora, in Libia, non si studiava l’italiano. La relativa laurea corrisponderà a quella in arabistica conseguita nell’ateneo di Palermo. I docenti della nuova università, dice Antonino Pellitteri, ordinario di storia dei paesi islamici alla facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, saranno scelti tra coloro che avranno dichiarato la propria disponibilità per “comandi” temporanei dalla Libia all’Italia e viceversa. Anche questo sistema consentirà di arginare i costi nella fase iniziale; successivamente, con l’ingresso di altri atenei e l’aggiunta di ulteriori corsi di studio (già in programma medicina, agraria, ingegneria, botanica) si potrà pensare a reclutare docenti stabili. Ornella Rota _____________________________________________________ L’Unione Sarda 7 Feb. 05 ENTI PUBBLICI, ACQUISTI IN RETE Confcommercio stipula un accordo con Consip e prepara alcuni corsi di formazione Opportunità per le imprese che forniscono la PA Per le aziende arriva un'ulteriore possibilità per vendere i propri prodotti alla pubblica amministrazione. È nato su internet un sito che permette alle imprese di diffondere i prezzi, le offerte e tutto quanto possa interessare Comuni, Università, Asl, scuole e così via. Il portale internet, www.acquistinretepa.it, consente alle pubbliche amministrazioni di prendere visione dei servizi disponibili e di effettuare direttamente gli acquisti. Facile comprendere che anche le imprese potranno ricevere benefici da questa forma di commercio elettronico. In una vetrina virtuale dovranno presentare i prodotti e il listino prezzi, poi la pubblica amministrazione valuterà dove e che cosa comprare. Mentre nel resto d'Italia l'iniziativa ha subito trovato il consenso delle imprese, in Sardegna questa nuova forma di mercato on line stenta a decollare. Fino ad ora, le aziende che hanno aderito sono solo sei, prevalentemente concentrate nel Cagliaritano. Come fareIntanto, come per ogni forma di e-commerce, anche in questo caso, il titolare dell'impresa deve inviare al Comune dove l'esercente, se persona fisica, ha la residenza o dove l'impresa ha sede legale una comunicazione di inizio attività. Trascorsi trenta giorni è possibile operare. Ecco allora che l'azienda dovrà entrare nel sito, accreditarsi e, dopo una serie di passaggi, potrà inserire i propri prodotti e i prezzi. I beni più richiesti sono attrezzature sanitarie, articoli di cartoleria, accessori per personal computer, impianti video e tanto altro ancora. «Le aziende sarde che hanno aderito sono pochissime», sottolinea Giuseppe Scura, direttore della Confcommercio di Cagliari, «forse per scarsa conoscenza, forse perché non c'è mai stata molta informazione. Proprio per venire incontro alle esigenze delle aziende, la Confcommercio ha stipulato un accordo con il Consip e sta per iniziare un seminario formativo per le aziende che si vogliono affacciare al marketplace (il mercato elettronico): può essere un grosso volano per le imprese locali». Già a fine mese presso le Ascom provinciali sarà operativo uno sportello per tutte le imprese che vorranno chiarimenti, informazioni e supporto tecnico. Il listinoInserire i propri prodotti e il listino è totalmente gratuito, la Consip non chiede nulla alle imprese. L'azienda deve essere in possesso della "smart card" rilasciata dalla Camera di commercio, poi arriva il bello della rete. Una volta che un'azienda ha inserito il proprio prezziario, le offerte e quanto può interessare la pubblica amministrazione deve attendere che i vari enti siano interessati alle proposte. Anche perché, anche le pubbliche amministrazioni devono registrarsi. Ecco allora che in rete ci sono già molte scuole isolane, piccoli Comuni, alcune Asl. La pubblica amministrazione sarda, a differenza delle imprese, sta già utilizzando il nuovo sistema di acquisti. I vantaggiIl marketplace permette alle imprese di abbattere i costi di vendita grazie alla parziale riduzione dei costi di intermediazione, e consente poi di adottare un nuovo canale di vendita e allargare il proprio bacino di clienti. Un altro aspetto interessante è rappresentato dalla possibilità di recuperare competitività, soprattutto sul mercato locale, rispetto al sistema delle convenzioni Consip. L'unico limite è rappresentato dal fatto che on line la pubblica amministrazione potrà effettuare acquisti solo "sotto la soglia di rilievo comunitario" (50.000 euro). Alessandro Atzeri ================================================================== _____________________________________________________ Il Corriere della sera 9 Feb. 05 BYPASS, I CENTRI MIGLIORI DOVE OPERARSI La mappa dell' Istituto superiore di sanità: al primo posto Modena, in coda un policlinico milanese Punteggio calcolato a partire dai risultati raggiunti Fra i peggiori due strutture lombarde Il rischio di morte durante l' intervento può variare dallo 0,3 all' 8%. «Ora servono correttivi» La classifica delle cardiochirurgie italiane: è frutto di tre anni di lavoro, dati così «sensibili» non erano mai stati resi pubblici. Da domani lo studio sarà su Internet Satolli Roberto I migliori bisturi italiani per un intervento di bypass si trovano negli ospedali di Cuneo, Trento, Trieste e alla clinica Hesperia di Modena. Questi quattro reparti, secondo una dettagliata analisi dell' Istituto superiore di sanità, rappresentano il benchmark (termine di riferimento ottimale). Risultati molto buoni, anche se meno probanti perché il volume di interventi eseguiti è minore, si riscontrano anche a Brescia (clinica San Rocco Franciacorta), al San Raffaele di Milano, agli ospedali di Mantova e di Legnano. Se la distribuzione geografica di queste eccellenze non sorprende, meno scontata è quella delle maglie nere. Nessuno si sarebbe aspettato di trovare nelle posizioni di coda due centri lombardi: l' ospedale San Donato, la cui pessima riuscita è molto attendibile per l' alto numero di interventi, e un policlinico privato di Monza. Gli altri indirizzi con performance nettamente al di sotto della media sono concentrati al Sud: uno a Roma (San Filippo Neri), uno a Napoli (ospedale Monaldi), uno a Palermo (Villa Maria Eleonora) e due a Catania (ospedale Vittorio Emanuele e casa di cura Morgagni). Per tutti questi sorprende e allarma soprattutto l' entità dello scostamento: la mortalità, corretta per la gravità dei malati operati, risulta doppia o addirittura tripla rispetto alla media nazionale. LA CLASSIFICA - Va detto subito che le classifiche di cui si parla meritano di essere prese molto sul serio. Sono il risultato di tre anni di lavoro di esperti ricercatori dell' Iss, in collaborazione con le società scientifiche interessate, in particolare quella dei cardiochirurghi. I risultati completi riguardano 64 centri (sugli 88 censiti) e verranno messi a disposizione dei cittadini da domani sul sito dell' Istituto (http://bpac.iss.it/risultatistudio/mdno/). Ma già dalla metà dello scorso dicembre, dopo un convegno di presentazione per addetti ai lavori, tutti i dati sono stati girati alle singole équipe chirurgiche e ai responsabili regionali, che sono i veri protagonisti e i destinatari principali dell' intera operazione. Adesso spetta a lora trarre considerazioni, indicazioni, spunti per le azioni correttive o migliorative. L' IDEA - L' aspetto più rivoluzionario dell' operazione (almeno per il nostro Paese) è la decisione di mettere tutti i risultati a disposizione anche del pubblico. Tutto è cominciato con un' idea del ministro della Salute, Girolamo Sirchia, che nel 2001 aveva chiesto all' Istituto superiore di sanità di misurare le riuscite (in termini tecnici si parla di esiti) di alcuni interventi chirurgici rilevanti, proprio con l' intento di renderle pubbliche. Si è proceduto prima con i trapianti, e in questo caso il compito era reso più facile dal fatto che i centri autorizzati sono pochi e tutta l' attività risulta coordinata e sistematicamente monitorata sin dalle prime esperienze. Dalla primavera del 2004 sul sito del ministero (www.ministerosalute.it) è possibile confrontare i risultati dei vari centri italiani in termini di sopravvivenza: la novità non ha fatto scalpore perché normalmente i malati non scelgono dove farsi trapiantare. Diverso è il discorso per il bypass, sia riguardo alla difficoltà nella raccolta e nell' interpretazione dei dati, sia per l' onda d' urto, positiva o negativa, che potrà avere su malati, chirurghi e amministratori. Le tabelle che saranno disponibili non vanno lette come «pagelle» agli operatori, né come strumento per scegliere dove rivolgersi: oltre che sbagliato e controproducente, sarebbe prematuro perché, come scrivono gli autori dello studio, «per ottenere una valutazione attendibile occorre raccogliere dati continuativamente per molti anni». Il vero scopo della pubblicazione, insomma, non è creare una «guida Michelin» della cardiochirurgia italiana, ma stimolare un circuito virtuoso di miglioramento, come è già accaduto in altri Paesi. RISULTATI A CONFRONTO - Tanto per cominciare, il risultato complessivo è rassicurante. Con quel 2,61% di mortalità nazionale le nostre cardiochirurgie si collocano in buona posizione nel confronto europeo e mondiale. Ma se oggi è del tutto inutile andare all' estero per farsi operare alle coronarie, preoccupano molto le differenze da centro a centro, che in alcuni casi risultano troppo vistose. Come si spiega? Certo non con una diversa gravità dei malati, perché questo fattore, come si è detto, è stato «corretto». Anzi, laddove i risultati sono scadenti, paradossalmente tendono a peggiorare dopo la «correzione». In altre parole, alcuni centri mediocri tendono a selezionare malati meno gravi (o forse anche a fare interventi non necessari?) e nonostante ciò registrano un maggior numero di morti. Alcune delle punte sono drammatiche: nei sette centri con riuscite peggiori della media, si sono contati complessivamente 141 morti in più di quanti erano attesi, su un totale di 851 decessi complessivamente registrati nello studio. CONCLUSIONI - In questo momento in Italia funzionano reparti di cardiochirurgia dove un cittadino ignaro corre un rischio di decesso del 7-8%, o anche più alto, per un bypass semplice. La speranza è che i responsabili, a livello di istituzione e di Regione, siano già al lavoro per individuare le cause di queste anomalie e per rimuoverle. La cosa è fattibile. Una decina di anni fa l' ospedale San Camillo di Roma risultava avere una mortalità da bypass fuori scala rispetto agli altri nosocomi (nel 1996 aveva toccato addirittura il 15 per cento). L' effetto di questa osservazione - allora non divulgata al pubblico - fu però una sferzata positiva: venne chiamato un nuovo cardiochirurgo, e i buoni risultati non si fecero attendere, in breve tempo l' attività di bypass venne quasi raddoppiata e la mortalità ritornò in linea con la media. Roberto Satolli «In vetta per i risultati Ora ampliamo la ricerca» «Iniziativa lodevole nell' ottica della creazione di un registro nazionale dell' attività cardiochirurgica», dice Bruno Turinetto dell' Hesperia Hospital di Modena e segretario della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca. «Però, fotografa solo una parte della realtà. Infatti il by-pass rappresenta solo il 40 per cento dell' attività cardiochirurgia, contro circa il 70 per cento di cinque anni fa». «E' auspicabile - conclude Turinetto - che l' indagine sia estesa in futuro anche ad altri interventi, come quelli sulle valvole cardiache o sull' aorta, che invece sono in aumento per l' invecchiamento della popolazione». CLINICA HESPERIA «Il precedente? New York Così tutto il sistema cresce» «Questa è la prima volta che sono stati presi in considerazione i dati di mortalità cardiochirurgia con un approccio veramente scientifico - sottolinea il professor Mario Ferrari Vivaldi, primario cardiochirurgo della clinica San Rocco di Brescia -. Ed è un risultato davvero molto importante, perché le esperienze già fatte all' estero, come nello Stato di New York agli inizi degli anni ' 90, indicano chiaramente che quando si adottano criteri di questo tipo la mortalità operatoria negli anni successivi cala in modo consistente». «C' è da sperare che questo registro e questa valutazione siano ripetute nei prossimi anni, perché sono utili non solo ai pazienti, che hanno bisogno di trasparenza per orientarsi meglio nelle proprie scelte, ma anche ai chirurghi stessi, che hanno nuovi punti di riferimento di cui tenere conto». SAN ROCCO, BRESCIA «Siamo ultimi, ma da noi arrivano i malati più gravi» «Noi abbiamo aderito con entusiasmo all' iniziativa. Tanto è vero che abbiamo fornito un alto numero di pazienti da analizzare», spiega Lorenzo Menicanti responsabile con Alessandro Frigiola della cardiochirurgia di San Donato Milanese. «I nostri risultati appaiono inferiori alla media, ma la realtà è diversa. E la colpa è nostra, che non abbiamo fornito dati completi sulla gravità dei nostri malati, che arrivano da tutta Italia e in condizioni ben più gravi che in altri centri». E conferma il giudizio positivo sull' iniziativa, «che dovrebbe diventare continuativa: alcuni centri potrebbero aver omesso proprio i periodi più sfortunati». SAN DONATO «C' è chi evita gli anziani per non rovinarsi la media» «Sono caduto in una trappola. Io a questi studi ci credo. Ho fornito tutti i dati in modo onesto e adesso mi ritrovo con una mortalità maggiore di altri», si sfoga il cardiochirurgo del San Filippo Neri di Roma, Mario Staibano. Punta il dito contro possibili falsificazioni e contro gli ospedali che non hanno voluto fornire i loro dati: «La nostra cardiochirurgia è sottodimensionata per scelte regionali, ma fa fronte a una quantità enorme di malati gravissimi. Quelli meno gravi vanno in lista d' attesa e quando li richiamiamo per operarli sono già passati a qualche clinica. Lo studio dell' Iss ha cercato di correggere i dati per le differenze di gravità, ma non riesce a tener conto di condizioni critiche in cui siamo costretti a lavorare. Se in Emilia Romagna i cardiochirurghi non operano malati gravi sopra degli 80 anni mentre qui in Lazio li operiamo le statistiche non rispecchiano la realtà». SAN FILIPPO NERI, ROMA Gli altri centri di qualità I centri sopra la media: villa Maria Cecilia, Cotignola (Ra); ospedale Maggiore di Verona; San Camillo di Roma; San Camillo de Lellis, Chieti; clinica Mediterranea, Napoli; ospedale Pasquinucci, Massa; Monzino, Milano; ospedale Maggiore, Parma; San Bortolo, Vicenza; Sant' Anna, Catanzaro; Sacco, Milano; Humanitas, Rozzano (Mi); villa Anthea; policlinico Le Scotte, Siena; Santa Maria della Misericordia, Udine; Poliambulanza, Brescia; San Martino, Genova; villa Maria Beatrice, Firenze; Sant' Orsola, Bologna; ospedale Brotzu, Cagliari; Papardo, Messina; policlinico Gemelli, Roma; casa di cura Santa Maria, Bari; Mauriziano, Torino; villa Azzurra, Rapallo; Umberto I, Roma; ospedale Mazzini, Teramo; villa Bianca, Bari; villa Torri, Bologna; Santa Maria dei battuti, Treviso; ospedale di Circolo, Varese; San Matteo, Pavia; Consorziale, Bari COMITATO SCIENTIFICO ISS «Ancora troppi reparti con risultati scadenti» «Penso che il modo in cui vengono presentati i dati possa produrre un' immagine non corretta della realtà», fa notare Carlo Perucci, membro del comitato scientifico del progetto ISS. E spiega: «Ciò che interessa non è il confronto con una media nazionale, che appiattisce i risultati. Conta piuttosto il fatto che ci sono 3-4 centri che presentano risultati nettamente migliori della media. Se si fa il confronto, risulta chiaro che sono molti di più i centri con risultati vistosamente peggiori». AGENZIA DELL' EMILIA ROMAGNA «Non servono le pagelle Decida una commissione» «Che bisogno c' è di pubblicare la mortalità dei singoli centri, se poi si dice ai cittadini che si tratta di una realtà complessa?», si chiede Roberto Grilli, dell' Agenzia sanità dell' Emilia Romagna. La Regione dal 1998 sorveglia l' attività cardiochirurgica dei suoi 6 centri e dal 2002 ha costituito un registro che anticipa quello dell' Iss. C' è una commissione che interviene. Con questo sistema «la mortalità si è ridotta, senza pagelle pubbliche». Interviste di Luigi Ripamonti e Roberto Satolli _____________________________________________________ LA STAMPA 9 feb. ’05 TRAPIANTI, L'ITALIA AL TERZO POSTO DOPO USA E SPAGNA RESTANO LUNGHE LE LISTE D'ATTESA Gli interventi cresciuti di quasi il 17% nel 2004 a l'Italia scala il vertice delle nazioni con il maggior numero di donatori di organi ed interventi. Nell'arco di una decina di anni è riuscita a salire sul podio: la terza dopo gli Usa e la Spagna, da fanalino di coda che era una decina di anni fa. A vent'anni dal primo intervento di cuore nel nostro paese, i centri per i trapianti registrano un incremento record dei risultati: il 16,7& in più nel 2004 rispetto all'anno precedente per tutto il settore, in tutto 3216 interventi. Ma le liste di attesa restano lunghe: aumenta infatti la domanda, sempre troppo rispetto all'offerta. II futuro, ha del resto spiegato il ministro Girolamo Sirchia durante la presentazione dei dati 2004, non è quello di reperire sempre più organi e nemmeno il trapianto da vivente, ma riuscire a riparare gli organi. Alessandro Nanni Costa, direttore del centro nazionale trapianti, coordinerà una banca di tessuti e cellule, in particolare di cellule staminali placentari. ________________________________________________ la Repubblica 09-02-2005 TRAPIANTI ITALIA DA RECORD: Nel gior di 10 anni il nostro paese é risalito dal gruppo degli ultimi Incremento record nei centri regionali: 16,7 % in più rispetto al 1983 Il trend positivo delle donazioni coinvolge il centro Sud: più 40% MARIO REGGIO ROMA - Un anno record per i trapianti d'organo. Nel giro di dieci anni l'Italia è passata dal gruppetto di coda al terzo posto assoluto al mondo. Terza, alle spalle di Stati Uniti e Spagna, per il numero di donatori e interventi. Aumenta la disponibilità di organi ma crescono anche le richieste e le liste d'attesa, specie per il trapianto di rene, aumentano. A vent'anni dal primo trapianto di cuore, avvenuto a Padova nel novembre del 1985, i centri regionali hanno registrato un incremento record: più 16.7 per cento nel 2004 rispetto all'anno precedente. In tutto 3.126 interventi. Il trend positivo ha coinvolto per la prima volta le Regioni del centro-sud, dove le donazioni sono aumentate fino a140 per cento. Diminuiscono, anche se di poco, le opposizioni da parte delle famiglie, dopo la morte cerebrale, al prelievo degli organi. Malgrado i successi il futuro, ha spiegato il ministro della Salute Girolamo Sirchia durante la presentazione dei dati 2004, non è quello di reperire sempre più organi e neanche il trapianto da vivente, peraltro limitato a Rochi casi, ma riuscire a riparare quelli in cattive condizioni per tempo. E per raggiungere questo obiettivo Sirchia ha incaricato Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, di coordinare le attività della «banca» di tessuti e cellule, in particolare quelle staminali placentari. «E' la grande speranza che si basa su una prevenzione più efficace», ha detto il ministro della Salute. «Quest'anno i piani nazionali per la prevenzione sono finanziati nella manovra e diventano obiettivi per le Regioni. Poi occorre utilizzare gli strumenti normali, cioè le cellule riparatrici dei tessuti, le staminali, una grande popolazione di cellule madri, primitive e commissionate per vari funzioni e di cui non si conosce ancora molto. Sappiamo però che cellule emopoietiche si trasformano in cellule riparatrici del danno del miocardio attraverso insegnale», ha aggiunto Sirchia ricordando che questo «è il futuro che comincia oggi, una strada nuova su cui bisogna investire moltissimo e che può dare una svolta alla medicina in generale». Per Sirchia poi i trapianti non rappresentano un costo aggiuntivo. «Non creano disabili, ma il paziente trapiantato si inserisce nuovamente nella famiglia, nella società, nel mondo. Il paziente non è quindi un malato cronico ma un riabilitato a tutti gli effetti e i dati della qualità dei trapianti in Italia, la migliore nel mondo, dimostra che il servizio sanitario nazionale funziona bene e tutti i giorni». Il successo dei trapianti non è un evento casuale. «Si è verificato grazie al lavoro del direttore del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Costa e di tutti coloro che hanno dato la vita, come gli esperti di Cagliari e di Bologna, e non grazie a singoli centri come avviene, invece, in America», ha concluso Sirchia. E Alessandro Nanni Costa ha annunciato che dal I marzo 2005 sarà attivata una lista unica nazionale d'attesa per i pazienti che da molti anni aspettano il trapianto di rene. «Nel 2004 i tempi medi d'attesa si sono attestati attorno ai 3 anni - ha spiegato - ma ci sono persone che pazienta no da 10, perché per loro l'intervento è molto complesso. Si tratta di persone che producono anticorpi capaci di danneggiare l'organo trapiantato o di malati al secondo intervento. A loro riserveremo un percorso preferenziale». Trapianti, Italia da record terza dopo Usa e Spagna ___________________________________________________ Il Sole24Ore 8 feb. ’05 LA RICERCA MEDICA ITALIANA VINCE CON ALLEANZE MONDIALI SALUTE Sulla rivista dell'Accademia delle scienze americana tre studi realizzati grazie a sinergie con i migliori centri nazionali La ricerca italiana continua a mietere successi grazie alla preparazione dei suoi scienziati e ad alleanze scientifiche con i migliori centri del mondo. La prova viene dall'ultima rivista «Proceedings of the National Academy of Sciences» (il giornale dell'Accademia delle scienze americana) che oggi esce con ben quattro studi italiani (su tre dei quali diamo conto in questa pagina). Sugli scudi Andrea D'Avella della Fondazione Santa Lucia di Roma ed Emilio Bizzi del Mit di Boston, richiamato in Italia per dirigere lo European brain research institute di Roma. Un altro studio nasce dalla collaborazione tra l'Università di Pisa, il Neuromed di Isernia e il Max Planck Institut di Gottingen. La piccola Isernia si conferma così capitale delle neuroscienze. Infine, dalla triangolazione tra Genova e i ricercatori di Bethesda e Toronto nasce una ricerca che può portare a un nuovo approccio terapeutico per l’Aids. Prove tecniche di sinergie che funzionano. FE.ME. II centro di ricerche Neuromed in provincia di Isernia attira ricercatori da tutto il mondo, oltre ai migliori talenti del Sud. Nel tempo, si è conquistato la fama di capitale delle neuroscienze italiane, assieme all'Istituto Besta di Milano. Due suoi studi sono stati pubblicati di recente su «Pnas» _____________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’05 L'IMMUNOLOGIA? UNA RIVOLUZIONE Il Premio Nobel Rolf Zinkernagel a Milano: bisogna imparare a convivere con la cronicizzazione di buona parte delle malattie virali Perché non è stato ancora sviluppato con successo un vaccino contro il virus Hiv, che infetta circa 42 milioni di persone e che ha causato nel 2003 circa 3 milioni di morti? Perché abbiamo solo un vaccina inefficiente, detto Bcg, vecchio oltre ottant'anni, contro il germe della tubercolosi che infetta un uomo su tre? Perché non abbiamo vaccini contro il cancro? Queste le domande poste dal premio Nobel Rolf Zinkernagel nella sua «Guido Venosta Lecture» che si è tenuta ieri presso l'Istituto Mario Negri a Milano), sotto l'egida congiunta dell'Università Statale e dell'Associazione Italiana per la ricerca sul cancro e dell'Istituto stesso. Di ALBERTO MANTOVANI* Rolf Zinkernagel ha ottenuto il premio Nobel per la Medicina nel 1995 per aver scoperto negli anni '70 come i linfociti T, i direttori d'orchestra del sistema immunitario, distinguono il "sé medesimo" (self, da non aggredire) da ciò che è "altro da sé" (non seif), virus e tumori in particolare, da attaccare e distruggere. Peter Doherty e Rolf Zinkernagel scoprirono che il senso di identità del sistema immunitario è costruito sul riconoscimento del "sé medesimo" costituito dai prodotti del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (Mhc). Il fenomeno da loro scoperto è detto in gergo - restrizione - solo riconoscendo il "sé medesimo" che il sistema immune riconosce il mondo esterno. Si può forse dire metaforicamente che questa scoperta è un po' la traduzione immunologica dell'antico motto di Agostino da Ippona "te ipsum cognosce": il sistema immunitario riconosce il mondo esterno (virus, tumori ecc.) solo specchiandosi nel "sé medesimo" (Mhc self) Questa scoperta ha avuto ricadute un mense sia sul piano conoscitivo che su quello applicativo. Si è innanzitutto iniziato a comprendere come sia costituito e si costruisca il senso di identità immunologica dell'individuo e cella specie: i paradigmi che hanno preso le mosse da quegli esperimenti fondamentali sono tutt'ora in evoluzione. Sul piano applicativo, la scoperta della "restrizione" ha consentito di guardare con occhi nuovi alle malattie autoimmuni, in cui il sistema immune aggredisce il "sé medesimo", ai trapianti, alla resistenza contro i tumori, allo sviluppo di vaccini innovativi. Su quest'ultimo tema si sviluppa la riflessione critica di Rolf Zinkernagel. I vaccini costituiscono uno dei contributi più importanti é à basso costo della, medicina alla salute dell’uomo. Tuttavia gli approcci convenzionali empirici della vaccinologia hanno a tutt'oggi avuto successo marginale nei confronti di malattie quali AIDS, tubercolosi o cancro, che per il modo in cui si trasmettono, la capacità di mutare, il fatto di interferire con le cellule stesse dell'immunità e la persistenza nel tempo, pongono grandi ostacoli di tipo immunologico. E solo grazie allo sviluppo della comprensione dell'immunologia di queste malattie che si potranno sviluppare strategie vaccinali capaci di attivare risposte immunitarie adeguate. L'individuazione degli ostacoli di tipo più scientifico-concettuale che tecnologica che si frappongono allo sviluppo di vaccini efficaci contro alcuni agenti che costituiscono veri e propri flagelli, non può però far da velo ai progressi reali compiuti e a grandi speranze che si sono aperte proprio negli ultimi mesi. Così, ad esempio, nel caso del micobattere, la comprensione di come questi si nasconda all'interno di cellule specializzate dette macrofagi, sfuggendo alla loro aggressione, ha aperto la strada al disegno di nuovi vaccini ora in sperimentazione nell'uomo. Nel settore dei vaccini contro il cancro, è di questi mesi la notizia che il progresso verso lo sviluppo di un vaccino con il virus del papilloma (Hpv) è più rapido di quanto si potesse ragionevolmente sperare. Hpv è causa del carcinoma della cervice uterina, di cui si hanno circa a 70mila nuovi casi l'anno, con circa 23mila morti l'anno; di questi, circa l’80% nei paesi del terzo mondo dove spesso il cancro della cervice è il tumore femminile più comune. Il:vaccino anti-Hpv è probabilmente a portata di mano a tempi brevi e potrebbe costituire uno strumento di cambiamento epocale per la salute femminile su scala globale. Il suo sviluppo e il suo, uso porranno problemi di equità d’accesso (da parte delle donne africane per esempio dove il cancro della cervice é la prima causa di morte per cancro e flagello grave quanto l'Hiv) e di utilizzo (vaccinare solo le femmine, o anche i maschi che trasmettono Hpv?) che vanno al di là dei dilemmi strettamente immunologici discussi da Rolf Zinkernagel. * Capo dei diPatrirnento di immunologia e biologia cellulare dell'Istituto Mario Negri «A portata di mano il vaccino per il papilloma virus: una svolta epocale per la salute femminile» _____________________________________________________ Il Sole24Ore 1a feb. ’05 ZINKERNAGEL:CONTRO L'HIV UNA GUERRA INFINITA MEDICINA II Premio Nobel Rolf Zinkernagel a Milano: bisogna imparare a convivere con la cronicizzazione di buona parte delle malattie Per motivi evolutivi la difesa dell'organismo dai virus è funzione un'attesa vita di 25-30 anni Professor Ralf Zinkernagel, partiamo dalla domanda che dà il titolo alla sua conferenza, Perché non c'è un vaccino per l'Hiv? L'Hiv al momento resta una malattia molto pericolosa. È una malattia che uccide. Ci mette 10, 15, magari 20 anni, ma alla fine uccide. La storia mostra che ogni volta che una nuova infezione colpisce per la prima volta una popolazione, la sua manifestazione è assai più aggressiva e virulenta rispetto a una situazione in cui una popolazione convive da tempo con tale infezione. Un buon esempio è la peste che colpi l'Europa nel quattordicesimo secolo causando la morte del 50-70 per cento della popolazione. L'Hiv è una infezione nuova per l'umanità. Questo è vero per l’Hiv. Ne esiste però una variante, l'Hiv2, diffusa in alcune zone a ovest dell'Africa che è molto vicina a Hiv l come virus ma che ha manifestazioni molto meno terribili. Una spiegazione di questo è che l'HIv2 ha subito un processo di adattamento. Sia la popolazione sia il virus sono più preparati a coesistere in un modo assai più pacifico. Ed è questo il modo in cui in genere le infezioni funzionano. Può darsi che, tra un secolo o due, l’Hiv1 diventi come l’Hiv2, comportandosi in maniera meno drastica, come accade ad esempio con la malaria, l'epatite B e l'epatite C, tutte malattie che non uccidono in maniera così efficiente. Un aspetto che vorrei sottolineare è che, in molte circostanze le malattie a trasmissione sessuale (e tale è almeno in parte l'Hiv), perlomeno nel mondo occidentale, prosperano grazie alla stupidità della gente. Per questo prevenzione ed educazione sono cruciali per evitarne la diffusione. A proposito di educazione e prevenzione, lei è noto per il suo impegno nella divulgazione. E anche intervenuto durante il referendum svizzero sulla sperimentazione animale e sull'ingegneria genetica. L'opinione pubblica all'inizio sembrava avere un orientamento contrario, ma alla fine ha, votato a favore. Che ruolo possono avere gli scienziati nel far capire all’opinione pubblica i termini reali dei problemi? Capire esattamente le cose nella scienza oggi è essenziale per essere buoni cittadini. Non è più lecito un comportamento da Medioevo di chi dice di non voler sapere. Il pubblico ha diversi livelli di comprensione e bisogna adottare linguaggi diversi. Una strategia che ho adottato è quella di dire: «Eccomi. lo mi occupo di questo e quello. Penso di fare un buon lavoro come scienziato. Vo glio capire come stanno le case, e quando lo avrò scoperto questo potrà avere delle ripercussioni utili per tutti». Insomma metto al centro me stesso, come fa un calciatore o un campione di sci. Per alcuni anni ho tenuto una rubrica in un giornale ultra,popolare svizzero. E stata un'esperienza positiva. Dobbiamo abituare i cittadini a riflettere e a prendere decisioni responsabili sul modo di usare le conoscenze. Tornando all'Hiv, dunque oggi è più facile trovare vaccini per i virus che hanno un effetto veloce è chiaro che per quelli che imparano a convivere nell'organismo che li ospita? La metterei in questo modo. Ci sono infezioni che ti uccidono in, diciamo, 7-20 giorni, e in maniera molto efficiente. Per queste infezioni la protezione è molta semplice. L'unica cosa che ti protegge, di fatto, sono gli anticorpi. Quelli che chiamiamo anticorpi, neutralizzanti a protettori. Poi c'è un genere assai diverso di infezioni. Sono quelle croniche, persistenti e non letali, come la malaria, i vari tipi di herpes, l'epatite A, l'epatite B eccetera. Queste non uccidono in maniera efficiente come le prime. Contro di esse si produce ugualmente una risposta immunitaria, ma essa non è mai sufficiente per rimuovere completamente l'infezione. In un certo modo si finisce per convivere con queste infezioni. Ci si immunizza nei loro confronti. Esse continuano ad andare per la loro strada ma sono sotto controllo, non ci uccidono e in un certo senso, siamo tutti contenti. Mentre per il primo tipo abbiamo vaccini efficientissimi, per il secondo tipo non ne abbiamo affatto. Fino a che punto dobbiamo preoccuparcene? In genere la gente comune pensa che le malattie debbano sempre sfociare in una completa guarigione. Non dovremmo invece abituarci a convivere con malattie che si cronicizzano? Dobbiamo tener conto del fatto che la natura, o una forma vivente, in termini molto generali, si interessa salo alla generazione successiva. Mi spiego. Gli uomini nella loro storia hanno in genere avuto il loro primo figlio a 14-15 anni. Gli servivano ancora 5-10 anni per allevare i figli. Tutto ciò che la natura fa è dunque garantire che vivremo all'in circa 25-30 anni in tutto. II resto per lei è del tutto irrilevante. Il mio ragionamento è che le infezioni più acute, quelle che normalmente contraiamo dalla nascita ai 5 anni di età, sono, quelle contro cui l'evoluzione ci ha selezionati. Noi possiamo morire ma anche i virus che veicolano queste infezioni possono morire, perché la maggior parte di queste infezioni hanno bisogno di essere ospitate in un organismo vivente. Attraverso questo processo si forma un equilibrio evolutivo. Tutte le altre infezioni possono uccidere qualche persona, ma solo molto poche, prima che esse compiano 25 o 30 anni. In un certo senso, per la natura, sono irrilevanti. Noi viviamo molto più a lungo e quindi siamo interessati come individui a stare in buana salute. La biologia, la natura non la pensano affatto come noi. Non è una cosa piacevole, ma la vita è fatta così. L'immunologia è un campo pieno di idee in costante cambiamento, dove convivono diversi modelli e diverse metafore. In che senso per esempio si parla di "memoria immunologica"? La si può vedere in due modi diversi. L'idea che in genere si cerca di catturare è che se per esempio si è contratta un'infezione da polio una volta, non si prenderà più questa infezione di nuovo e non si svilupperà la malattia. Da sempre si è pensato che ciò sia dovuto a una sorta di memoria che è simile alla nostra memoria neurologica. Ma si può anche argomentare in un altro modo. Il sistema di fatto reagisce nuovamente a questo antigene estraneo ma non ha realmente una memoria, comparabile con quella del cervello: semplicemente incontra questo antigene continuamente in sempre nuove occasioni. Questo antigene torna di nuovo' dall'esterno, per esempio portando il virus della polio, che incontriamo ripetutamente, per esempio ogni estate. Oppure di fatto persiste nello stesso organismo, dove l'antigene mantiene costante la sua risposta. E questa é un'idea completamente diversa rispetto alla memoria come l'abbiamo definita. Si può però anche andare oltre, e chiedersi se la memoria funziona davvero come avevamo detto all'inizio. Si può vedere la memoria come meccanismo per cui, una volta che ascoltiamo una cosa, poi ce la ricordiamo per sempre. Oppure possiamo riconoscere che la memoria va continuamente esercitata. Quest'ultimo non é il modo in cui normalmente vediamo la memoria, ma è Più vicino a quello che realmente facciamo. Ed è forse anche un miglior modello per l'immunologia. ARMANDO MASSARENTI _____________________________________________________ Il Secolo XIX 7 feb. ’05 OBESITÀ E DIABETE SCOPERTO IL LEGAME Scoperto negli Usa un invisibile legarne che unisce obesità e diabete di tipo due, la forma più comune di questa malattia che interessa almeno due milioni e mezzo di persone in Italia e si manifesta nell'adulto. Nelle persone eccessivamente "robuste" si verificherebbe nel fegato una sorta di "trasformazione" negativa che modifica l'attività di una proteina chiamata NF-kB inducendo uno stato di infia3nmazione costante, pur se impercettibite. E proprio questa "errata" risposta dell'organismo sarebbe una delle cause che impediscono la normale attività dell'insulina sulle cellule, con aumento della glicemia, cioè dei valori del glucosio nel sangue. A identificare questa condizione sono stati i ricercatori del Joslin Diabetes Center di Boston guidati da Steven E. Shoelson, che hanno pubblicato i risultati della loro ricerca condotta sui topi sull'edizione ori )me della rivista Nature Medicine. Ma non basta. Gli studiosi americani sono riusciti anche a "controllare" questo meccanismo biologico perverso intervenendo con composti antinfiammatori molto diffusi come i salicilati, di cui fa parte anche l'acido acetilsalicilico. Questa osservazione, che deve ancora essere dimostrata nell'uomo anche se sono già partiti i primi studi clinici nello stesso centro americano, potrebbe aprire la strada a un nuovo approccio terapeutico per il diabete. Nell'attesa di queste conferme gli stessi ricercatori americani ricordano che la prevenzione del diabete di tipo 2, in costante aumento con l'incremento del peso medio della popolazione, si basa sul controllo del peso attraverso la corretta alimentazione e sulla regolare attività fisica. Per il momento, tuttavia, la cosa più importante è avere scoperto cosa lega aumento di peso corporeo e diabete. La chiave dell'intero processo sarebbe nel fegato e andrebbe ricercata in una trasformazione genetica indotta dall'eccesso di tessuta adiposo sul sistema di controllo della produzione della proteina NF- kB. Questa sostanza normalmente entra in gioco quando l'organismo è esposto a un'infezione, ad esempio da virus o batteri. in queste condizioni NF-kB viene prodotta in grandi quantità perché ha il compito di stimolare le reazioni difensive dell'organismo aumentando il livello di infiammazione e quindi la potenza della risposta del sistema immunitario. Lo studio dei ricercatori americani ha però dimostrato che nei topi obesi il fegato sembra "impigrirsi" e non risponde a dovere producendo le consuete quantità di NF-kB ma solo una quota inferiore di questa proteina. IL risultato di questa ridotta risposta infiammatoria mediata dalla proteina "variata" é che scende la capacità delle cellule di utilizzare l'insulina, si sviluppa la temuta "insulino-resistenza", situazione che porta il pancreas a "stancarsi" nel tentativo di produrre sempre maggiori quantità dell'ormone che controlla la glicemia e si apre la porta al diabete. I ricercatori americani, modificando il sistema di controllo genetico che governa la produzione di NF-1cB nel topo, sono riusciti a ricreare questa catena di reazioni, dimostrando in laboratorio l'azione del grasso in eccesso sul fegato che stimolerebbe questo "passaggio" negativo. Non solo: gli studiosi sono anche riusciti a controllare nell'animale da esperimento l'evoluzione di questa alterata infiammazione con farmaci simili all'acido acetilsalicilico, la comune aspirina. Ma non si può pensare a un utilizzo pratico di questa osservazione nell'uomo, anche per la difficoltà di definire i dosaggi dei medicinali, fino a quando studi clinici mirati avranno dato risultati soddisfacenti. Federico Mereta _____________________________________________________ Il Tempo 8 feb. ’05 BASTA DIETE PER DIMAGRIRE LAVATEVI SPESSO I DENTI TOKYO - Se volete dimagrire, lasciate stare la palestra e i libri di dietologia, potreste farcela semplicemente lavandovi i denti più spesso, secondo una ricerca giapponese. In uno studio sulle abitudini quotidiane di quasi 14.000 persone con un'età media di 45 anni, Takashi Wada dell' Università Jikeidi Tokio ha scoperto che quelli che riescono a mantenersi magri tendono a lavarsi i denti dopo ogni pasto. Gli nomini sovrappeso a volte passano oltre un giorno senza farlo, secondo lo studio, pubblicato sulla rivista della Società giapponese per lo studio dell'obesità. Wada e il suo team hanno paragonato lo stile di vita delle persone con indice di massa corporea (Bmi) superiore a 25, che secondo i medici indica un soggetto sovrappeso, con quello dei più magri. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’05 LA PREVENZIONE EVITA 9 TUMORI AL COLON SU 10 I risultati di uno screening su vasta scala VENEZIA m prima di tutto la prevenzione, Il tumore al colon e al retto, seconda causa di morte in Italia per cancro dopo quello al polmone, può essere curato e guarito in nove casi su dieci se individuato precocenlente. Provocato dai comportamenti tipici della società del benessere, oggi uccide in Italia 17.500 persone l'anno, poco più della metà dei 33mila nuovi casi che si riscontrano, ed è in continua crescita. Uno screening di massa partito dal Veneto e già allargato a undici regioni italiane sta però dimostrando che si può contrastare efficacemente l'espansione, di questa malattia. I primi risultati arrivano dalla più massiccia campagna di controllo realizzata nell’USl veneta n. 7 di Conegliano e Vittorie Veneto. I quasi 52mila residenti fra i 50 e i 69 anni sono stati invitati a fare un semplice esame del sangue occulto nelle feci. All'appello hanno risposto in oltre 38n-ila, grazie anche all'azione di informazione svolta in collaborazione con i medici di base e gli enti locali: una percentuale, il 74,3%, altissima per questo tipo di indagini. Poco più di 2.800 soggetti sono stati trovati positivi e invitati a proseguire gli accertamenti con una colonscopia, e ancora la risposta è stata molto elevata: l'ha eseguita quasi l’89% degli interessati. Poco più di mille persone avevano lesioni non importanti, 1.203 una neoplasia benigna, 154 una neoplasia maligna. Le neoplasie benigne, possibili anticamere del tumore, sono state asportate per via endoscopica, riducendo del 90°% una possibile degenerazione; quelle maligne erano in buona parte allo stadio iniziale e quindi risolvibili con un intervento chirurgico. «Abbiamo calcolato - dicono i sanitari che hanno curato l'iniziativa - che una volta a regime questa forma di prevenzione potrebbe consentire di curare il 90% delle persone affette da neoplasie maligne al colon e al retto». «Nel Veneto - aggiunge l'assessore alla Sanità Fabio Gava - abbiamo già allargato lo screening a quasi tutte le altre Ulss, con un in- , vestimento iniziale ' di 1,5 milioni di euro e altre undici regioni italiane stanno seguendo questa strada. E di un vero e proprio investimento si tratta visto che, come verificato nell'indagine dell'Ulss 7, a fronte di una spesa locale di 300mila euro c'è un risparmio sociale nel medio periodo stimato in almeno 3 milioni di euro, dieci volte tanto». Fondamentali per la riuscita dell'indagine sono stati il gioco di squadra e gli incentivi. I medici di base hanno avuto un "premio" di 2,5 euro a paziente purché si superasse la soglia del 70% delle adesioni, mentre il sistema ospedaliero e del volontariato ha creato corsie preferenziali e lavorato anche sull'impatto psicologico di esami e controlli. CLAUDIO PASQUALETTO I RISULTATI Screening del carcinoma colonrettale nell'Alss 7 del Veneto Popolazione 38.158 Negativi all'esame di primo livello 35.315 Positivi all'esame di primo livello 2.802 Invitati alla colonscopia 2.792 Esami eseguiti 2.437 Neoplasie benigne individuate 1.203 Neoplasie maligne individuate 154 Neoplasie solitamente diagnosticate allo stadio iniziale 10% Neoplasie diagnosticato allo stadio iniziale con lo screening 41% _____________________________________________________ Il Sole24Ore 10 feb. ’05 LA RADIOGRAFIA VIAGGIA ONLINE Un archivio elettronico per i referti Un archivio elettronico con la storia radiologica di ogni paziente, la possibilità di accedere dall'esterno a immagini e referti, la documentazione per medici e pazienti disponibile su Cd. Così il progetto Rita (Radiologia Ist territorio ampliato) si prepara a trasformare progressivamente la gestione dei referti radiqdiagnostici della Regione Liguria. Frutto della collaborazione tra l'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova e la società EbitAet (gruppo Esaote), il progetto di informatizzazione del dipartimento di diagnostica per immagini presentato ieri a Genova punta a rendere disponibili online immagini e referti, rendendoli fruibili sia (la parte degli operatori dell'Ist che da soggetti esterni. Primo tassello del «distretto virtuale» allo studio in Liguria, il progetto consta di tre fasi. La prima fase - conclusa nel giugno 2004 - ha consentito la creazione di un sistema di archiviazione, consultazione e gestione digitale delle immagini e dei relativi Il progetto parte dall'Ospedale San Martino di Genova referti e la creazione di un archivio centrale completo dei dati storici dei referti a partire dal 1996, collegato a diverse stazioni periferiche di consultazione ed elaborazione delle immagini. Il passaggio successivo sarà rappresentato dalla condivisione delle immagini radiologiche e dei relativi referti con altre strutture sanitarie regionali: l'operazione prenderà il via sul piano operativo dal mese prossimo, col collegamento al sistema dell'Azienda ospedaliera San Martino di Genova e la progressiva apertura ad altri enti sanitari locali e ai medici di famiglia. L'intero sistema sanitario regionale, così, dovrebbe beneficiare di una contrazione dei tempi di attesa tra produzione delle immagini e redazione dei referti, di una diminuzione nei tempi di elaborazione dei piani di trattamento nonché di una riduzione degli esami ripetuti. Il tutto garantendo la massima facilità d'accesso dalle postazioni esterne nonché la sicurezza e la privacy dell'assistito. SARA TODARO _____________________________________________________ Il Messaggero 9 Feb. 05 Ricerca italiana PASSEGGIARE FA DIMAGRIRE DI PIÙ CHE CORRERE ROMA - L'attività fisica ideale per diminuire i grassi in eccesso ed evitare così i rischi legati al sovrappeso? È una lenta camminata, come ha dimostrato una ricerca tutta italiana, che ha identificato quale sia l'andatura "sciogli- grassi" per eccellenza, pubblicata sulla rivista americana Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism. Per buttare giù i chili di troppo non serve andare di corsa nè a passo spedito. Il rimedio più efficace è proprio una lenta passeggiata. La scoperta è arrivata da un gruppo di ricerca dell'Università di Verona, che ha messo sotto osservazione una trentina di ragazzi con un soprappeso che variava da lieve a grave. Scopo dello studio: calcolare il consumo delle diverse riserve energetiche durante camminate a diverse intensità e identificare le velocità associate al maggiore consumo di depositi di grasso. "Abbiamo identificato l'andatura "sciogli grasso" per eccellenza: si tratta della camminata costante a 4 km/h. È la dimostrazione - ha affermato Claudio Maffeis, docente di Clinica Pediatrica all'Università di Verona e responsabile dello studio - che un'attività consueta, economica e facilmente praticabile ovunque come il cammino è molto utile per combattere l'obesità". A 4 km/h, ha spiegato, "il 40% delle calorie bruciate deriva dai grassi. Aumentando la velocità, questa percentuale si riduce: a 6 km/ora, ad esempio, il consumo di grassi si ferma attorno al 20%". _____________________________________________________ Il Sole24Ore 11 feb. ’05 FARMACI, PREOCCUPA IN EUROPA L'ABUSO DI ANTIBIOTICI In Europa c'è preoccupazione per l’abuso di antibiotici e l’insorgenza di resistenza farmacologiche. É quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista «The. Lancet» . condotta dall’Università di Antwerp in Belgio. Entrando nel merito della ricerca che ha coinvolto 26 Paesi cm una raccolta di dati relativi agli anni 1997-2002, l'Italia si classifica tra le prime cinque nazioni che usano di più gli antibiotici, ma la maglia nera per abuso e insorgenza di resistenze spetta alla Francia. Mentre la nazione più virtuosa è l'Olanda. Bocciate in pieno le nazioni del Sud Europa dove si usano troppi antibiotici e c'è un picco stagionale troppo elevato. Invece è promosso il Nord Europa dove se ne usano di meno e il picco della stagione influenzale non supera mai il 25% di aumento: E c'è un altro comportamento che preoccupa. la tendenza a somministrare subito gli antibiotici di-nuova generazione, quelli ad ampio spettro pensati per germi già dotati di molte resistenze. Invece, secondo gli esperti, la cura dovrebbe iniziare con gli antibiotici classici e meno potenti in modo che, solo nel caso in cui l'infezione sia dovuta a un patogeno resistente, si ricorre a quelli più potenti. Se non si correggono questi comportamenti a1 più presto, ha concluso il coordinatore dello studio Herman Goossens, «rischiamo di perdere la medicina del ventesimo secolo». _____________________________________________________ La Stampa 7 Feb. 05 BERE TROPPO UCCIDE LO STUDIO DI UN’EQUIPE INTERNAZIONALE DI SCIENZIATI L’alcol provoca il 4 per cento delle malattie, le sigarette il 4,1 «In Italia sono a rischio almeno quattrocentomila giovanissimi» ROMA La salute si può perdere in tanti bicchieri. Di vino, birra, superalcolici. Ma anche di aperitivi e digestivi che diventano, a poco a poco, una droga. L’abuso di alcol è un killer che sta sul podio, a pari merito, con fumo e ipertensione. Lo rivela lo studio di un’équipe internazionale. La stessa che, tra l’altro, critica il governo britannico, ritenendolo colpevole di non dare il giusto rilievo al problema. Robin Room dell’università di Stoccolma, Thomas Babor dell’università del Connecticut, e Jorgen Rehm del Centre for addiction and mental health, in Canada, hanno revisionato una vasta serie di dati e hanno dimostrato che il 4 per cento delle malattie è attribuibile all’alcol, mentre il 4,1 spetta al tabacco e il 4,4 all’ipertensione. La loro ricerca è stata pubblicata su The Lancet. Secondo quanto riferito dagli scienziati l’alcol è responsabile, in maniera più o meno diretta, di circa 60 diverse malattie tra le quali il cancro della bocca, del fegato e del seno, cardiopatie, ictus e cirrosi. Oltre, naturalmente, ad aumentare il tasso di incidenti stradali, omicidi, annegamenti e cadute. «Un dato - sottolineano gli autori dell’articolo - che dovrebbe indurre il governo a cercare di limitare il consumo di alcolici e non estendere, come è previsto secondo i piani governativi, l’orario di apertura dei pub a 24 ore al giorno». Gli scienziati hanno calcolato che un ipotetico aumento, su scala nazionale, del 10 per cento del prezzo degli alcolici ridurrebbe del 7 per cento il numero di morti per cirrosi negli uomini e dell’8,3 per cento nelle donne. «Ci sono stati davvero pochi studi seri finora – ha detto Ian Gilmore della Royal college of physicians - così non sappiamo perchè beviamo tanto e come possiamo cambiare questa situazione». Gilmore ha anche sottolineato come l’emergenza alcol non sia circoscrivibile a un ristretto numero di cittadini ma riguardi un quarto della popolazione che beve a livelli «potenzialmente rischiosi». Di fronte alle nuove critiche per l’imminente riforma sulla vendita degli alcolici, il Dipartimento della salute pubblica britannico ha ricordato che in molte nazioni, dove sono in vigore legislazioni più liberali, ci sono comunque meno casi di eccessi, sottintendendo che la soluzione non sta nel limitare l’orario dei pub. Quando si parla di abuso di alcol, si pensa subito agli effetti devastanti sul fegato. Ma la maggior parte dei danni è di tipo neurologico. «Il primo problema, infatti, è legato allo scarso assorbimento di vitamine, soprattutto del complesso B, a carico dello stomaco, che si riflette sul sistema nervoso periferico», dice Fabrizio Stocchi, dell’Irccs Neuromed (Università La Sapienza, Roma). È la neuropatia alcolica. «Una sofferenza del nervo periferico - continua il neurologo - che porta a riduzione della forza e della massa muscolare, a dolori diffusi e a una lenta, ma progressiva paralisi». Ci sono, poi, gli effetti sul sistema nervoso centrale. Un’encefalopatia con caratteristiche tipiche: deficit di memoria, disturbo dell’attenzione, allucinazioni e problemi di affettività. «I soggetti colpiti - spiega il professor Stocchi - diventano anaffettivi, quando non addirittura violenti». Ritiene che possa essere utile, come suggerisce qualcuno, aumentare il prezzo degli alcolici? «Ho lavorato per molti anni in Inghilterra e ho visto che quando questo venne fatto ci fu un enorme aumento di giovani che sniffavano vernici e benzina, con conseguenze tragiche. Bisogna andare alla radice di un comportamento, non soltanto fare campagne». «L’alcol è davvero un problema da non sottovalutare - sostiene lo psichiatra Raffaele Morelli - e ben vengano campagne di informazione, ma che siano ben fatte. Finora non si sono visti grandi risultati. Perché, purtroppo, il bere smodato sta prendendo piede, soprattutto, tra i giovanissimi: in Italia sono 400 mila. E i risultati li vediamo nelle stragi del sabato sera». Non è difficile finire alcolisti. «Ricorrere all’alcol è sempre un tentativo di darsi calore dentro una frustrazione. Cercare di risolvere i guai abbandonandosi all’euforia che il tasso alcolico nel sangue fa sentire. Ma anche un modo, per i ragazzi, di cementarsi nel branco». _____________________________________________________ La Repubblica 10 Feb. 05 TEST PER IL RISCHIO ANEURISMA L'APOPTOSI (la morte cellulare programmata) potrebbe essere la causa della rottura degli aneurismi intracranici, e quindi all'origine dell'emorragia intracranica che si verifica tra la superficie del cervello e il cranio: un evento devastante che si associa a elevata mortalità e la cui prognosi spesso è infausta. Questa la conclusione di uno studio ("Role of apoptosis in intracranial aneurysm rupture") condotto da Giulio Maira, direttore dell'Istituto di Neurochirurgia dell'Università Cattolica di Roma e dai suoi collaboratori, appena pubblicato sul "Journal of Neurosurgery". Poter definire con certezza i fattori della crescita e della rottura degli aneurismi intracranici è un essenziale passo in avanti per definire le strategie di monitoraggio e intervento terapeutico. Accade sempre più spesso che nel corso degli esami di screening venga rilevato un aneurisma cerebrale asintomatico. L'incidenza di un aneurisma cerebrale è nel 5% della popolazione. I meccanismi coinvolti nella rottura degli aneurismi intracranici non sono ancora chiari e in letteratura ben poco è dedicato allo studio dell'apoptosi, cioè della morte cellulare programmata, in questo tipo di lesioni che sono costituite da dilatazioni, per lo più a forma di sacco, delle arterie intracraniche. L'ipotesi è che l'apoptosi contribuisca a ridurre la resistenza del vaso e quindi porti alla sua rottura. Per verificare ciò sono stati esaminati 27 aneurismi confrontando quelli rotti con quelli ancora integri. In 13 pazienti si è studiato anche i livelli di apoptosi in altre arterie craniche. "I risultati", spiega Maira, "mostrano che i livelli di cellule apoptotiche erano elevati nell'88% degli aneurismi rotti rispetto al 10% di quelli ancora integri. Anche nelle altre arterie prese in esame (meningea e temporale superficiale), i livelli di apoptosi erano molto elevati nei pazienti colpiti da rottura mentre minimi o addirittura assenti negli altri. I risultati suggeriscono l'ipotesi che in futuro la misurazione dei livelli di apoptosi, non solo sulle arterie intracraniche, sia uno strumento importante per valutare il rischio di rottura degli aneurismi ancora integri, consentendo programmi di screening per gruppi a rischio". _______________________________________________ Le Scienze 11 Feb. 05 LA NICOTINA NON CURA L'ALZHEIMER Un nuovo studio contraddice i risultati di ricerche precedenti In uno studio pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences", un gruppo di ricercatori dell'Università della California di Irvine riferisce che l'esposizione cronica alla nicotina fa peggiorare alcune delle anormalità cerebrali associate al morbo di Alzheimer, contraddicendo precedenti ricerche che suggerivano invece un effetto benefico. Alla malattia di Alzheimer sono associate due distinte patologie cerebrali: le placche dovute ai depositi di proteina beta-amiloide e i grovigli neurofibrillari contenenti ammassi di proteine tau alterate. Per determinare se la nicotina avesse un effetto preventivo sugli accumuli di beta-amiloidi o di tau, Frank LaFerla e colleghi hanno somministrato il farmaco in acqua potabile a topi geneticamente modificati per sviluppare entrambe le patologie. I ricercatori hanno scoperto che l'esposizione cronica alla nicotina incrementava l'aggregazione di tau, mentre non aveva alcun effetto significativo sui livelli di beta-amiloidi. A differenza di precedenti ricerche che riferivano di effetti benefici della nicotina, questi risultati suggeriscono dunque che l'esposizione cronica alla nicotina può in realtà peggiorare alcune patologie cerebrali del morbo di Alzheimer. Gli autori sottolineano l'importanza di studiare eventuali terapie contro la malattia in modelli animali che presentano entrambi i tipi di patologia. Salvatore Oddo, Antonella Caccamo, Kim Green, Kevin Liang, Levina Tran, Yiling Chen, Frances M. Leslie, Frank M. LaFerla, "Chronic nicotine administration exacerbates tau pathology in a transgenic model of Alzheimer’s disease". Proceedings of the National Academy of Sciences (2005). _______________________________________________ Le Scienze 9 Feb. 05 LA PROTEINA CHE CAUSA IL MORBO DI CROHN La scoperta è stata effettuata in un modello di topo della malattia Secondo una ricerca effettuata da scienziati dell'Università della California di San Diego, una proteina pro-infiammatoria, attivata da batteri nel colon, svolgerebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della colite sperimentale nei topi, una versione animale del morbo di Crohn umano. Lo studio, pubblicato sul numero del 4 febbraio 2005 della rivista "Science", ha identificato nell'interleuchina-1 beta la causa principale della grave infiammazione nel modello di topo della malattia di Crohn, un doloroso disturbo infiammatorio cronico dell'intestino. I pazienti che soffrono di questa malattia sono considerati anche a forte rischio di cancro del colon. L'identificazione di IL-1beta offre un target potenziale per lo sviluppo di nuovi farmaci. Anche se sul mercato esiste già un inibitore di IL-1beta per altre condizioni infiammatorie croniche - come l'artrite reumatoide -, il farmaco non è abbastanza potente per poter essere usato contro il morbo di Crohn. "Adesso abbiamo maggiori speranze - ha commentato Michael Karin, il principale autore dello studio - di riuscire a sviluppare nuovi farmaci che inibiscano IL-1beta e che si dimostrino efficaci per questi pazienti".