UNIVERSITÀ PRONTE ALLA CERTIFICAZIONE - DI CHIARA: FINANZIAMENTI E CONCORSI: UNIVERSITÀ DA RIVOLUZIONARE - SEI LAUREATI OGNI DIECI MATRICOLE - LAUREATI SORPASSO DELLE DONNE TRAI 30 E I 40 ANNI - ATENEI, ECCO COSA STA CAMBIANDO - L'AUTARCHIA MIOPE DEI NOSTRI ATENEI - L'AUTARCHIA IN CATTEDRA... - MAZZOTTA: UNIVERSITÀ IN CRISI DI QUALITÀ - LOMBARDI: L' UNIVERSITÀ DEVE RINNOVARSI - LUNEDÌ SIT-IN DEI RICERCATORI AL RETTORATO - RICERCATORI, SPARISCE IL RUOLO A ESAURIMENTO - I RICERCATORI IN ETERNA ATTESA - LA SAPIENZA: I DOCENTI AL RETTORE "STOP DI 5 GIORNI CONTRO LA MORATTI" - IL COORDINAMENTO ATENEI-REGIONE CONGELA LE TRE NUOVE FACOLTÀ - SORGERÀ TRA CAGLIARI E PULA IL DISTRETTO DI BIOMEDICINA - ATENEI, PREISCRIZIONI ONLINE - SCUOLA MATERNA E UNIVERSITÀ: RESTANO I TAGLI DELLA GIUNTA - GLI ATENEI SNOBBANO L'INFORMATICA - RICERCA PER LE AZIENDE, ATENEI SOTTO ACCUSA - PIÙ DIFFICILE OTTENERE I FONDI PER LA RICERCA - E L’EUROPA PUNTA SUL GRID - CHI HA PAURA DELL'EMBRIONE - CHI METTE IN DUBBIO DARWIN SI METTE CONTRO LA RAGIONE - ================================================================== LAUREE BREVI MEDICINA, VERTICE DALLA DIRINDIN - POLICLINICO DI MONSERRATO, ORA È UN OSPEDALE - MONSERRATO: L'OSPEDALE HA UN ALTRO REPARTO - MONSERRATO: L'OSPEDALE HA UN ALTRO REPARTO - CAGLIARI ISTITUISCE LA CATTEDRA DI CHIRURGIA PLASTICA - CAGLIARI: L'AGONIA DELLA CLINICA PEDIATRICA - MEDICI PIÙ RESPONSABILIZZATI PER LIMITARE LE PRESCRIZIONI - LA MADDALENA TELEMEDICINA, UN SIMPOSIO CON L'ASSESSORE DIRINDIN - RIFORMA: HANDICAP E DISAGIO SOCIALE, L’EDUCATORE CANCELLATO - SIRCHIA, INDAGATA LA SEGRETARIA - LA FERTILITÀ DI LUI? UNA QUESTIONE DI PESO - ASMA, UN ANTICORPO PER FAR MENO DANNI - ECCO LA MEDICINA DEI GRUPPI ETNICI - VICINI AL SOGNO DEI FARMACI SU MISURA - MEDICINA. UN DIFETTO GENETICO CHE COLPISCE UN BAMBINO SU 4000 - CONTRACCETTIVI PER LA NUOVA GENERAZIONE - CANNABIS, DIPENDENZA O NO? - UN FARMACO NATURALE ANTI-TBC - GLI SCIENZIATI E L'AUTOCENSURA - LE CAROTE RIDUCONO IL RISCHIO DI TUMORE - ================================================================== _________________________________________________ Il Sole24 ore 16 feb. ’05 UNIVERSITÀ PRONTE ALLA CERTIFICAZIONE LEGGE BIAGI Una circolare del ministero fissa le istruzioni per le commissioni ROMA a Le commissioni di certificazione dei contratti di lavoro istituite nelle Università possono già presentare le domande di iscrizione all'Albo tenuto al ministero del Welfare. II via libera viene dato dal ministero del Lavoro con la lettera circolare protocollo n. 15/0002568/01.02.05 del 15 febbraio scorso che, in attesa del portale telematico, detta le istruzioni per l'applicazione del decreto ministeriale 14 giugno 2004. Cos'è la certificazione. Debutta con il decreto legislativo 276/03 in attuazione della legge 30/03 (la legge Biagi): l'obiettivo della certificazione (cosiddetta «volontà assistita») è quello di ridurre "preventivamente" il contenzioso davanti al giudice tra datore e lavoratore. Con la certificazione dei rapporti di lavoro (può essere svolta dagli enti bilaterali, dalle Direzioni provinciali del lavoro, dalle Province e dalle Università) si darà valenza giuridica a un contratto di lavoro mettendolo al "riparo" da eventuali cause davanti alla magistratura. Il "sigillo" delle Università. Con il decreto del 14 giugno 2004 si è dato il via all'Albo informatico dove verranno registrate le commissioni istituite nelle Università private e statali (comprese le Fondazioni) e che potranno certificare i contratti di ricerca, di consulenza e le convenzioni effettuati dagli atenei. La circolare. Con il provvedimento del Welfare si fa sapere che già dal 15 febbraio scorso le commissioni di certificazione istituite presso gli atenei legalmente riconosciuti, e autorizzati al rilascio di titoli aventi valore legale, possono presentare le domande di iscrizione e la documentazione richiesta. La trasmissione della domanda di iscrizione (sottoscritta dal presidente della commissione) all'Albo può essere effettuata. Con lettera raccomandata con avviso di ricevuta di ritorno indirizzata al «Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro Divisione V Via Fornovo n. 8, 00192 Roma; a per e-mail all'indirizzo DivSTutelaLavoro@welfare.gov.it nel caso si disponga di firma digitale oppure quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica. Alla domanda, il cui schema di compilazione è contenuto nella circolare, deve essere allegata la documentazione attestante la regolare costituzione della commissione di certificazione da parte dell'Università, il documento analitico dal quale si evince la composizione della commissione e i requisiti tecnico- professionali dei componenti e le eventuali convenzioni. Il Welfare ricorda infine che la domanda inviata con lettera raccomandata deve essere corredata da floppy-disk, cd-r, dvd-r, nel quale è riprodotta tutta la documentazione in uno dei seguenti formati: office word, office excel, Pdf. Entro cinque giorni dal ricevimento della domanda il Welfare comunicherà al richiedente, tramite posta elettronica, il tipo di studi e gli elaborati specifici necessari ai fini dell'iscrizione. La registrazione all'Albo è effettuata dopo la verifica della documentazione prodotta, decorsi 30 giorni dal ricevimento degli studi ed elaborati. MARCELLO FRISONE _______________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’05 DI CHIARA: FINANZIAMENTI E CONCORSI: UNIVERSITÀ DA RIVOLUZIONARE Gaetano Di Chiara e le proposte del Gruppo 2003 I soldi per l'Università bastano. O meglio: basterebbero, se fossero attribuiti meglio. La formula è semplice: almeno il 60 per cento del Fondo ordinario alla ricerca, non il 30 stabilito, pur coraggiosamente, dal ministro Letizia Moratti. Firmato: Gaetano Di Chiara, preside di Farmacia e farmacologo di fama, componente di quella elite - il Gruppo 2003, ovvero gli scienziati italiani più citati al mondo per le loro ricerche - che nei giorni scorsi è stata ricevuta dal presidente della Repubblica. A Ciampi gli scienziati hanno detto le cose che hanno spiegato in queste settimane ai lettori del Sole 24 Ore. Non solo un allarme sul degrado dell'Università italiana, ma anche una ricetta in dieci punti per invertire la tendenza. E se dieci prescrizioni possono sembrare poche, secondo il professore l'elenco dei comandamenti si può restringere anche di più: "Ci accontenteremmo di molto meno. In primo luogo di una vera meritocrazia nelle Università, non per dare medaglie ai più bravi ma per far funzionare meglio il sistema. E poi serve una diversa distribuzione delle risorse. Il ministro ha portato al 30 per cento la quota del Fondo da attribuire in base all'attività di ricerca che si svolge: la strada è giusta ma la quota è bassa per un sistema degradato come il nostro, bisognerebbe portarla al 60". E chi valuta la ricerca? "Per le discipline scientifiche ci sono criteri accettabili e accettati. Sarebbe più difficile per quelle umanistiche e per quelle basate sulle professioni più che sulla ricerca, come ad esempio Giurisprudenza. In ogni caso la strada è questa, attribuire i fondi in base a parametri come il numero di docenti o di studenti non premia la qualità". Qualcuno obietterà che questo è liberismo accademico. "Non penso, questo è semplicemente l'unica medicina per un sistema malato. Nel rapporto tra l'efficacia della ricerca e il prodotto interno lordo siamo distanti non solo dalla Svezia e dall'Olanda, ma anche dalla Spagna. Paurosamente indietro". Ma sul "Sole" il ministro dice che lo Stato fa quel che può, sono i privati che non finanziano la ricerca. "Certo, rispetto alla modestia dei finanziamenti provati quelli statali sembrano gran cosa. Eppure il punto non è tanto aumentare i finanziamenti quanto riformare il sistema. Prendiamo i concorsi universitari: molti li vedono come fenomeni al confine tra il diritto civile e quello penale. Di sicuro oggi non servono a selezionare i migliori, servono a chi ha il potere per cooptare gli elementi più affidabili, più utili per perpetuare l'influenza di chi li ha scelti. Se la sopravvivenza, l'ossigeno di un'Università dipendesse dai suoi risultati nella ricerca tutti si contenderebbero i migliori, non ci sarebbe neppure bisogno di concorsi". Per ora i ricercatori sono in sciopero. "Lo so bene, come preside li ho ricevuti e ho detto loro: chi ha da temere di più per l'abolizione della figura del ricercatore non siete voi, che ormai siete dentro, ma gli assegnisti di oggi - che non saranno mai i ricercatori di domani - e noi professori, che abbiamo la responsabilità del programma di ricerca e ci troveremo senza nuove leve". Eppure il rettore Pasquale Mistretta ha detto che la scommessa del 2005 a Cagliari sarà la ricerca. "Non posso dare troppe colpe al rettore, che tuttavia viene da una formazione sindacale che dà molta importanza ai posti di lavoro, più che ad altri aspetti". Allora fa bene chi se ne va ed esporta il cervello? "Certo che sì. Mi basta dire che mio figlio, dopo aver sentito tante volte questi discorsi a casa, è andato a fare il suo PhD negli Stati Uniti". (cel. ta.) _________________________________________________ Il Sole 24 Ore 14 feb. ’05 SEI LAUREATI OGNI DIECI MATRICOLE UNIVERSITÀ Migliora la produttività degli atenei: nei 1999 arrivava alla meta solo il 36% dei debuttanti Quasi ferma la quota degli iscritti in corsa mentre in alcune facoltà gli «irregolari» sano addirittura in crescita. Gli studenti universitari di oggi sono più bravi rispetto ai loro colleghi di qualche anno fa. Oppure, ribaltando la prospettiva, gli atenei italiani sono più attenti a seguire gli studenti nel corso della loro vita accademica e a condurli fino alla laurea. Fatto sta che il sentiero che porta in aula magna a discutere la tesi è meno accidentato che in passato. Lo dice l'ultimo Rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu), che mostra un aumento netto del numero dei laureati in rapporto alle matricole (saliti al 61,1% nel 2002103 contro il 38,5% del 1998/99). Aumentano, anche se in modo meno deciso, gli iscritti in corso (sono il 57,9% del totale nel 2002/03, contro il 56% di cinque anni prima) segno che la forbice fra durata legale e reale degli studi si sta stringendo. Tanti corsi, forse troppi. Dati che promuovano sul campo il «3+2» o, quantomeno, la scelta di rimettere mano a ordinamenti universitari inalterati dal dopoguerra. «La riforma - riflette Antonello Masia, direttore generale del Miur per l'Università - ha permesso di incontra re meglio la domanda di formazione dei giovani, che proprio per questo incontrano risultati migliori. È il frutto della decisa diversificazione dei percorsi». Una diversificazione anche eccessiva, se nel giro di pochi anni è arrivata a triplicare, fino a infrangere quota 6mila, il numero dei corsi di laurea attivati dagli atenei italiani. La strada per semplificare questa foresta troppo intricata non passa più, come ipotizzato in passato, dall'accorpamento delle classi di laurea ma dall'attenzione alla qualità dei corsi. Spiega Masia: «Dall'anno prossimo potranno essere attivati solo nuovi corsi che rispettino i requisiti minimi di qualità, e anche su quelli esistenti è in atto un monitoraggio che ha già portato a molti accorpamenti». Dopo il picca raggiunto qualche anno fa, oggi i curricula sono circa 5mila. La qualità si ottiene anche riducendo l'eccesso di percorsi perché molti corsi hanno dovuto fondersi con altri per sopravvivere. Le facoltà. Le tendenze positive dunque non mancano, anche se i numeri non disegnano un bilancio trionfale. L'aumento di iscritti in corso è contenuto (+1,9% in cinque anni), le facoltà viaggiano a ritmi diversi e, soprattutto, alcuni risultati apparentemente molto positivi hanno motivi particolari. È il caso di architettura, che può vantare un + 9,1 % ma, come spiega Carlo Magnani, preside della facoltà allo Iuav di Venezia, «l'aumento si spiega soprattutto con l'introduzione del numero chiuso, che seleziona i giovani più motivati». Anche l'aumento degli iscritti regolari a economia (+5,9%) ha una lettura particolare: la offre Alberto Guenzi, presidente della conferenza dei presidi, che spiega come «considerando la laurea specialistica quinquennale equivalente alla vecchia laurea, quadriennale, la durata legale si alza di un anno e si avvicina a quella reale. Ecco perché facoltà che erano già quinquennali, come ingegneria, non mostrano risultati analoghi». Sintomatica al riguardo è la netta flessione (-11,3%) degli iscritti regolari ad agraria che, come sottolinea il presidente dei presidi Salvatore Barbagallo, «è il segno che il passaggio dai percorsi quinquennali a quelli triennali è complicato, e necessita di un cambio di obiettivi formativi da parte dei docenti». E proprio quest'ultimo rappresenta l'aspetto fondamentale per un salto di qualità, non solo ad agraria. «I docenti - commenta Guido Fiegna, del Cnvsu - non possono più limitarsi a trasferire conoscenze ma devono essere capaci di coinvolgere lo studente in un progetto formativo complessivo». Si tratta di una rivoluzione di mentalità e, conclude Fiegna, «il fatto che l'età media dei professori sia così alta certo non aiuta», SERVIZI A CURA DI GIANNI TROVATI _________________________________________________ Il Messaggero 14 feb. ’05 LAUREATI SORPASSO DELLE DONNE TRAI 30 E I 40 ANNI Dati Istat rilevati nel 2001 ROMA - Che le ragazze a scuola siano più brave dei ragazzi non é una novità, ma il censimento 2001 rivela che questa tendenza delle donne a prevalere negli studi ha ormai assunto le caratteristiche strutturali di una vera c propria valanga rosa. A mettere in evidenza l'inarrestabile sorpasso in campo scolastico è tutto scuola News. Se tra i quarantenni (40-49 anni) censiti dall'Istat prevale, se pur di poco, la maggior incidenza di uomini con laurea (10,67 per cento) rispetto alle laureate donne (9,82), la situazione risulta già capovolta nella generazione successiva dei trentenni (30-39 anni) dove l'incidenza di laureate tra le donne di quella fascia di età è dell'11,73 contro il 10,26 di incidenza tra i coetanei laureati uomini, con un divario che si attesta intorno al punto e mezzo percentuale. Ma, a dimostrazione che non si tratta più di un fatto congiunturale, nella fascia dell'Ultima generazione (under 30 anni) il divario si accentua ulteriormente sfiorando i 2,5 punti di differenza percentuale (sono laureati il 7,16 delle donne, contro il 4,70 degli uomini ira i 20 e i 29 anni). E i migliori esiti delle studentesse rispetto ai colleghi maschi si registrano ovunque, dal Nord al Sud della penisola, Non c'è regione italiana che non abbia fatto registrare questa prevalenza delle donne sugli uomini in fatto di laurea (sia per quantità assoluta che per incidenza percentuale) con punte di divario tra incidenza di laureate e di laureali che hanno toccato i 3,60 punti in Emilia-Romagna, 3,54 in Umbria, 3,40 in Abruzzo c 3,38 nelle Marche. Coerentemente con questa tendenza la terza media è l’ultima fermata più per i maschi che per le femmine. Ben il 36 per cento dei maschi italiani tra i 20 e i 29 anni non è andato negli studi oltre la licenza media , mentre le ragazze hanno fatto un po' meglio soltanto 27 su cento si sono fermate alla terza media. Il divario cresce con l'abbassarsi dell'età. Sono di più i maschi fermi alla terza media _________________________________________________ L’Avanti 14 feb. ’05 ATENEI, ECCO COSA STA CAMBIANDO Più iscritti grazie alla diversificazione dell'offerta formativa e meno studenti inattivi La fotografia è stata scattata dal rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario ROMA - Nuove facoltà, corsi triennali, bienni di specializzazione e un sistema che impone più regolarità negli studi e più autodisciplina. A tre anni dall'entrata in vigore della riforma nota come il tre più due (ma è già stato approvato il provvedimento che sostituirà il 3+2 con un nuovo percorso a Y) l'università si sta trasformando e con essa anche il grande esercito degli aspiranti dottori. Aumentano, infatti, le matricole i laureati così come la percentuale di studenti in regola con gli esami. Sale anche il numero di chi va all'estero per un'esperienza di studio e scende il numero di studenti 'parcheggiati' nelle aule e nei chiostri di dipartimenti e facoltà. Diminuiscono, invece, ancora troppo poco i giovani che decidono di abbandonare gli studi. Lo rivela il quinto rapporto sullo stato dei 75 atenei del nostro Paese realizzato dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu). In particolare, nonostante i diciannovenni italiani siano sempre di meno (-40 mila tra il 2001 e i12003), i nuovi iscritti per l'anno accademico 2003-2004 sono stati 353 mila, cioè circa il 73% dei diplomati (erano il 66,5 per cento nel 2000). Di fatto le nuove leve aumentano del 19,6 per cento rispetto al 2000-2001, un dato molto probabilmente legato alla grande attrattiva che hanno esercitato i nuovi corsi di laurea inaugurati con la riforma. Aumentano anche le matricole con più di 22 anni: il 21 per cento nel 2003-2004 contro il 16 per cento del 2000-2001. Parallelamente sono cresciuti gli studenti che portano a compimento gli studi (nel 2003 sono stati più di 200mila, con un aumento del 15 per cento rispetto a12001 e del 26 per cento rispetto al 2002) e quelli che si sono laureati entro la durata legale del corso di studi (erano i16,5 per cento nel '99 e so no saliti al 9,4 per cento nel 2002). Diminuiscono, invece, gli studenti che in un anno accademico non sostengono neanche un esame: 62 mila nel 2002-2003 dei quali il 34,4 per cento iscritti a Sociologia; il 25,4 per cento a Giurisprudenza e il 23,7 per cento a Lettere e Filosofia. Quasi 17 mila studenti hanno, poi, scelto di recarsi all'estero col Progetto Socrates/Erasmus di più rispetto a12001/2002, ma appena l’ 1 per cento circa del totale degli studenti italiani, che nel 2003 erano circa 1 milione e 800 mila. Usufruisce di borse di studio solo uno studente su sette, ma l'Italia rimane ancora indietro rispetto alla media europea per quanto riguarda i posti alloggi per chi arriva da fuori, nonostante l'aumento del 26 per cento registrato nel 2003 rispetto al 1947. Anche il numero delle aule (9mila) e dei posti a sedere (800mi1a) è ancora insufficiente rispetto al totale degli iscritti. In compenso è cresciuto il numero dei laboratori informatici: quasi 2 mila aule per 35 mila computer la cui distribuzione tuttavia non è omogenea (sono di più al Nord). Esattamente come accade per le biblioteche. Capita, infatti, che mentre uno studente milanese, per esempio, riesce a trovare un posto per un'ora e mezza al giorno, all'altro estremo dello Stivale il tempo si riduce drasticamente a una mezz'ora. _________________________________________________ Il Sole24 ore 15 feb. ’05 L'AUTARCHIA MIOPE DEI NOSTRI ATENEI Dall'estero solo il 2% / Convegno in Bocconi MILANO Se gli Usa riaprono le porte agli studenti stranieri, consapevoli di quanto sia essenziale per la competitività attirare i cervelli migliori, l'Italia fatica a tenere socchiuse le proprie. L'Università Bocconi di Milano discute oggi, con la partecipazione del presidente Mario Monti, uno studio sullo «splendido isolamento dell'università italiana», mentre da tempo Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria con delega per l’Education, ha lanciato l'allarme sul nostro «isolamento culturale». «La quota degli studenti stranieri in Italia è in lieve risalita, ma rimane al 2% - denuncia Rocca - contro il 30% Usa, il 12% in Germania e Regno Unito, il 10% in Australia, il 9% in Francia. Ciò mette in difficoltà le nostre industrie, perché lo scambio culturale è un veicolo fondamentale della globalizzazione. Chi vuole affermarsi sul mercato cinese si trova di fronte, per esempio, migliaia di buoni tecnici cinesi che parlano correntemente tedesco, perché hanno studiato in quelle università. Per questo Confindustria ha varato, insieme alla Conferenza dei rettori, il programma Marco Polo, con l'obiettivo di raddoppiare o triplicare, in un paio d'anni, il numero degli studenti cinesi in Italia». «Ma queste iniziative non bastano - continua Rocca - senza un vero gioco di squadra tra le istituzioni, poiché l'insufficiente "appeal" dei nostri atenei nelle materie scientifiche e tecniche è aggravato da varie difficoltà di ordine pratico e burocratico, come la mancanza di strutture di accoglienza, di borse di studio e di corsi di lingua italiana, e i criteri troppo restrittivi per l'ingresso degli studenti esteri». L'importanza degli scambi culturali è confermata dalla nostra massima istituzione di eccellenza, la Scuola normale superiore di Pisa. «Gli stranieri sono pochi di numero - spiega Fabio Beltrami prorettore con delega al bilancio - ma molti in percentuale: tra il 15 e il 20% nei corsi ordinari. In quelli di perfezionamento, che ogni anno accolgono circa venti dottorandi a Lettere e altrettanti a Scienze, non si fa distinzione tra i Paesi comunitari, e dai tre ai cinque posti sono riservati agli Stati esterni all'Unione. A Scienze corsi e tesi si svolgono in inglese, e anche nell'area umanistica si utilizzano varie lingue straniere. D'altro canto quasi tutti i nostri studenti svolgono una parte dei propri corsi all'estero». Lo studio discusso oggi all'Università Bocconi, redatto da Stefano Gagliarducci, Andrea Ichino, Giovanni Peri e Roberto Perotti, si sofferma in particolare sui migliori dipartimenti di economia del mondo (la classifica si basa sulla produttività scientifica riconosciuta a livello internazionale); e constata che ai primi posti la presenza di docenti stranieri non solo è assai elevata (nei primi tre, tutti americani, Harvard, Chicago e Mit, è 32, 16 e 27%), ma è «correlata in modo positivo» con la produttività scientifica. II problema dell'internazionalizzazione non è però slegato da quello più generale dell'efficienza delle nostre università. Per questo il documento propone di abolire il valore legale dei titoli di studio, di «liberalizzare completamente la didattica», di investire maggiori risorse nelle situazioni di eccellenza e di allocare i fondi pubblici «sulla base di indicatori di produttività scientifica». Esso chiede, inoltre, più libertà per gli atenei: nel differenziare le retribuzioni dei docenti e nelle assunzioni, nella determinazione delle tasse d'iscrizione, nella possibilità di ricevere senza vincoli «finanziamenti addizionali» dai privati. ANDREA CASALEGNO _________________________________________________ Il Sole24 ore 16 feb. ’05 L'AUTARCHIA IN CATTEDRA... Anziano, ben pagato, autarchico e ope legis. È il ritratto del docente-tipo dell'università italiana che emerge da una ricerca presentata all'Università Bocconi, a Milano. «Lo splendido isolamento dell'università italiana», questo il titolo, traccia un quadro disarmante, più di quanto abbiano fatto altre recenti e impietose autopsie. E chiama di fatto a raccolta non solo quei numerosi docenti forse anziani e decentemente stipendiati rispetto all'estero - certamente non autarchici e in cattedra per meriti - ma tutti coloro che sanno valutare il peso di una buona università per un'economia e una società che vogliano guardare avanti. Il dramma vero non è la fuga dei cervelli, ma il mancato arrivo, in cambio, di cervelli stranieri in un sistema che preferisce l'autarchia. Lo stesso sistema, spesso, non ama gli italiani che tornano dall'estero e «pretendono» un posto, e amerebbe ancor meno gli stranieri, che infatti non vengono, pochi a studiare e nessuno a insegnare. Mentre sono 170 gli economisti italiani che insegnano nelle università dei primi 200 dipartimenti di Economia del mondo, non c'è praticamente nessuno straniero che insegni in Italia e solo la Finlandia, clima tanto inospitale, sta peggio. L'assoluta indisponibilità dei corsi di dottorato a favorire insegnamenti e tesi in inglese (centri privati dell'area milanese come il Mario Negri o il San Raffaele invece lo fanno) complica le cose, mentre persino la Francia finanzia adesso l'uso del detestato inglese in certi settori della ricerca, soprattutto scientifica. A mancare non sono particolarmente i fondi, anche se mediamente il 90% dei bilanci va tutto in stipendi, ma l'ossigeno. La cura sta nel rientrare in un vero circuito internazionale, per farlo occorre competizione e meritocrazia. Altrimenti si resta a quel quadro desolante in cui l'università è caduta, così italiano in senso deteriore, e che un secolo fa Gaetano Salvemini denunciava per la scuola, facendone colpa al cinismo culturale di una certa borghesia di certe parti d'Italia. __________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb. ’05 MAZZOTTA: UNIVERSITÀ IN CRISI DI QUALITÀ Milano sta perdendo le sue eccellenze Il presidente della Banca Popolare: più matricole, ma l' offerta culturale è in calo Soglio Elisabetta La domanda la fa lui: «Una volta le università di Milano erano sempre al vertice. Oggi, possiamo sinceramente dire la stessa cosa?». Roberto Mazzotta, presidente della Banca Popolare di Milano, scuote la testa. Poi, tenta di rispondere: «A me pare che il profilo qualitativo dei nostri atenei si sia appannato, perché la loro stessa missione è stata corretta negli anni». Presidente Mazzotta, sta dicendo che Milano non può ambire ad essere polo universitario? «Al contrario. Una realtà come Milano deve vedere nelle università, nelle strutture di ricerca e nel sistema delle intelligenze uno dei suoi punti di forza produttiva. La Milano postindustriale ha in questa realtà un elemento decisivo: una volta l' università era soltanto un apparato per fornire personale qualificato. Oggi è un comparto base per il futuro della città e di tutta l' area». Quindi, bisogna puntare sulle università? «Che non sono elemento di accompagnamento, ma esso stesso di spinta. Non è un' infrastruttura, ma un comparto produttivo primario». Questo, però, in teoria. E la pratica? «Parliamo di qualità, visto che la quantità non costituisce problema: ci sono tanti atenei, tanti studenti. Quanto a numeri, hanno peso a livello internazionale». Ma la qualità? «Partirei da questo punto. Che oggi le università sono soltanto di massa. Ma mi sento di affermare, senza timore di offendere qualcuno, che l' offerta culturale e il livello di chi esce sono in calo. La curva che ha come punto d' inizio 15 anni fa non è crescente». Cosa è cambiato? «Anzitutto la struttura, perché le riforme sono state quelle che sono state. Abbiamo voluto un' università democratica, e questo in sé è un principio positivo. Ma il risultato è quello che vediamo: se alcuni anni fa dicendo Politecnico o Bocconi o Cattolica, pensavi ad una tradizione di vertice nel sistema europeo, oggi...». Diciamolo. «Non spetta a me giudicare. Ma tutti vedono che si sono moltiplicati i corsi di laurea, il numero di matricole è aumentato e che questa crescita numerica non è andata di pari passo con quella qualitativa». Colpa delle università? «Colpa dell' orientamento politico tradotto in legge. Ed è arrivato il momento in cui, se vogliamo bene ai nostri figli, dobbiamo chiederci quanto ancora possiamo andare avanti così». Secondo lei? «Secondo me dobbiamo invertire la rotta al più presto. Abbiamo scommesso sul livellamento e non sulle eccellenze». I rettori dicono che ci sono pochi fondi. «Dipende anche da come si spendono, i fondi. La mia sensazione, quella che mi faccio parlando con i docenti, è che oggi predominino gli obiettivi di fatturato e gli studenti si mandino avanti comunque». Bisogna tornare all' università dei ricchi? «Ma no. Il paradosso è che questa scuola democratica è più classista di quella dei miei tempi: perché oggi il successo personale del giovane dipende dalla sua famiglia di origine. L' università dura dava spazio anche al figlio dell' operaio: questa promuove tutti, ma alla fine si afferma chi arriva da un ambito più protetto. La scuola, a partire dalla superiore, sta diventando un elemento di regressione sociale molto pericoloso». È per questo che le università milanesi attraggono meno? «Una università di massa non può essere attrattiva. Le nostre università non attraggono più perché non rappresentano più un' eccellenza». Presidente, ma lei li vede questi giovani laureati? «Molti». E come sono? «Allevati in serra e buttati in gelo». Cioè? «Noi lavoravamo sodo, avevamo un decimo delle possibilità e degli stimoli dei giovani del Duemila, ma il giorno dopo la laurea avevamo alcune offerte di lavoro fra cui scegliere. Oggi abbiamo scelto la strada di rendere le cose facili ai nostri giovani: a partire da scuola, li alleviamo nella bambagia, evitiamo la selezione, li coccoliamo e loro restano in università sempre più a lungo. Poi escono e inserirsi nel mondo del lavoro è difficilissimo. Non stiamo facendo un gran servizio ai nostri ragazzi...». Ma all' impresa, alla banca, al mondo del lavoro, che cosa serve? «Servono laureati fortemente selezionati, con una formazione di base solidissima, e parlo anche di cultura generale, e che siano contenitori rapidi di nuove conoscenze. Persone colte, forti e capaci di apprendere». Invece? «Invece abbiamo ragazzi con un pezzo di carta e alcune nozioni. Destinati a diventare al massimo esecutori con un titolo: non certo la classe dirigente del futuro». Elisabetta Soglio LA DISCUSSIONE Milano e i suoi dieci atenei: con un fondo pubblicato il 9 febbraio Gaspare Barbiellini Amidei ha aperto il dibattito. Sono poi intervenuti i rettori Angelo Provasoli della Bocconi, Giulio Ballio del Politecnico e Giancarlo Lombardi del Collegio di Milano. Intervenuti anche il finanziere Francesco Micheli e il presidente dei costruttori Claudio De Albertis Dibattito sugli atenei IL PROFILO Roberto Mazzotta, milanese, laureato alla Bocconi, è stato deputato per tre legislature, dal 1972: sottosegretario nel 1974, ministro nel 1980. Nell' 86 è stato eletto presidente della Cariplo. Dopo altri incarichi, è nominato presidente alla BpM: oggi è nell' esecutivo di Abi ed è amministratore di Dexia Banque e del Crédit Industriel et Commercial ANGELO PROVASOLI Servono alloggi, spazi ricreativi e una buona rete di trasporti GIANCARLO LOMBARDI L' università deve rinnovarsi: servono programmi e risorse FRANCESCO MICHELI Manca la capacità manageriale di inventare nuove cose GIULIO BALLIO Non possiamo permetterci di perdere i nostri studenti __________________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’05 LOMBARDI: L' UNIVERSITÀ DEVE RINNOVARSI Non è un dramma se si perdono matricole Il presidente del Collegio di Milano: bisogna essere competitivi. Anche i rettori devono fare la loro parte Manca una classe politica che affronti con rigore il problema degli atenei Mentre alziamo l' obbligo scolastico aumenta il numero di chi non vuole studiare Sacchi Annachiara La quadratura del cerchio, un piccolo gioiello nato dalla collaborazione tra banche, imprese, atenei, istituzioni e privati, l' ha trovata lui. Creando il Collegio di Milano, un campus dove vivono e studiano cento tra i migliori studenti del Paese. Del resto Giancarlo Lombardi, presidente del Collegio di via San Vigilio, è uno che il mondo della formazione lo conosce bene: è stato ministro dell' Istruzione durante il governo Dini. «Ma il sistema universitario ha bisogno di un rinnovamento». Anche lei teme la fuga degli studenti? «Ma no. Oggi la nostra società è talmente globalizzata che è difficile dare un giudizio negativo sul fatto che i nostri ragazzi vadano a studiare all' estero. Non dobbiamo lamentarcene. Possiamo solo preoccuparci se i migliori vanno via e gli stranieri non arrivano». Il saldo, adesso, è negativo. «Vuol dire che c' è un problema. È, questo, l' aspetto preoccupante di un Paese che si sta spegnendo». L' Italia non è capace di attirare gli studenti stranieri? «È poco attrattiva. Il nostro Paese avrebbe la possibilità di chiamare validi studenti dall' estero, ma è poco efficiente, c' è troppa approssimazione». Di chi è la colpa? «Noi manchiamo di una classe politica che affronti questo problema con rigore. La scuola, poi, ha le sue responsabilità, è innegabile. I rettori ci dicono che i ragazzi arrivano all' università non sapendo scrivere né contare». Un commento da ex ministro... «I ministri che sono arrivati dopo di me avrebbero dovuto occuparsi di più della qualità della scuola che di una riforma dagli aspetti ingegneristici». Ma cosa dovrebbe fare allora la scuola? «Prendere atto del fatto che mentre alziamo l' obbligo scolastico aumenta il numero di chi non vuole studiare». E l' università? «Si vede arrivare addosso questa situazione». Alcuni rettori si sentono abbandonati dal sistema produttivo. «C' è sempre stato, da parte della sinistra, il timore che la scuola fosse piegata all' interesse delle imprese. Un pericolo che, a dir la verità, non si è mai corso: fino a poco tempo fa c' è stato un completo disinteresse delle imprese verso il mondo della formazione». E ora? «Ora è diverso. E il Collegio di Milano ne è una dimostrazione: la sua nascita è stata possibile grazie a un gruppo di 22 imprenditori. Oggi dovremmo avere il coraggio di pensare al problema senza pregiudizi ideologici. Gli slogan non servono: la scuola è una realtà molto complessa». Qual è il ruolo di Milano in questa partita? «Milano non è attrezzata, è dispersiva e le università non sono un punto di richiamo, non ci sono centri di aggregazione». Serve una figura di raccordo tra i dieci atenei milanesi? «Ma no, quello dell' assessore all' Università è un discorso disperato: c' è già il ministero e poi ci sono i rettori, le gelosie... Il problema è un altro». Quale? «Viviamo in un Paese che non pensa, che non programma. Dove ci si impegna soltanto a risolvere il quotidiano e non ci si ferma a riflettere. Sono tutti bruciati dal timore di non essere eletti. Anche per questo i ragazzi hanno perso fiducia nella politica». Serve un rinnovamento? «Sì, ma credo che non possa passare solo dall' università. Il rinnovamento parte dalla società intera. È questione di responsabilità: ognuno faccia del proprio meglio». Perderemo settemila matricole ogni anno, come prevede il rettore del Politecnico? «Io non drammatizzerei oltremisura. Certo, bisognerebbe che i giovani degli altri Paesi venissero a studiare qua. Ma pensiamo allo straniero, poveretto. Arriva a Milano e chi lo accoglie?» In effetti... «E allora bisogna decidere se questo è un problema serio o no». Ma chi deve risolverlo? «Si parte sempre dai rettori, a loro compete buona parte della facoltà decisionale». Ma i rettori dicono che non possono fare niente senza risorse. «È un problema serio. Anche per il Collegio di Milano: il ministero contribuisce solo all' 8 per cento del suo budget. Il 45 per cento, invece, viene direttamente dai privati, il 25 dalle rette dei ragazzi». Quali prospettive di lavoro per chi ha studiato all' università? «Un altro punto importante. Bisogna stare attenti al numero dei laureati». In che senso? «Nel senso che ci deve essere un' economia intelligente della Milano universitaria. Non è un dramma se si perdono matricole. L' importante, in futuro, sarà riuscire ad avere un numero di studenti che sia dignitosamente sopportabile dal sistema». Il Collegio rimane un episodio unico? «Iniziamo a dire che questa cosa c' è. E che esiste solo perché alcune persone si sono riunite attorno a un tavolo. Ma quello del Collegio è un modello sicuramente esportabile. A Milano come in altre città». Annachiara Sacchi. Il dibattito aperto da Barbiellini : Con un fondo pubblicato sul Corriere del 9 febbraio Gaspare Barbiellini Amidei ha aperto il dibattito sul rapporto tra Milano e i suoi dieci atenei. La prima risposta, sabato 12 febbraio, è arrivata dal rettore della Bocconi, Angelo Provasoli. Domenica è toccato all' imprenditore e finanziere Francesco Micheli, poi al rettore del Politecnico Giulio Ballio e ieri al presidente dei costruttori Claudio De Albertis. Giancarlo Lombardi, 68 anni, attuale presidente del Collegio di via San Vigilio, è stato ministro dell' Istruzione durante il governo Dini. Sposato e padre di tre figli, si è laureato in ingegneria elettronica nel ' 60 al Politecnico. Industriale nel settore tessile, è stato anche consigliere di Confindustria e presidente del quotidiano economico «Il Sole-24 Ore». Servono alloggi, spazi ricreativi e una buona rete di trasporti Università lontane dal lavoro: a rischio la competitività Non possiamo permetterci di perdere i nostri studenti Manca la capacità manageriale di inventare nuove cose ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’05 LUNEDÌ SIT-IN DEI RICERCATORI AL RETTORATO Università: venti di guerra contro la riforma Moratti A quasi quattro mesi dall'ultima protesta (durante la seduta straordinaria del Senato accademico) i ricercatori dell'Università di Cagliari si preparano a una nuova battaglia. Nella riunione del coordinamento dei ricercatori dell'ateneo cagliaritano si è capito che la riforma Moratti sarà approvata e che il tempo a disposizione per evitarlo è poco. Così lunedì mattina, alle 10,30, si sono dati appuntamento tutti sotto il rettorato per un'occupazione simbolica. Ma il primo passo, cioè sospendere le attività didattiche non istituzionali, è già stato fatto in alcune facoltà, come Scienze e Medicina. Insomma: l'impegno preso il 28 ottobre, nel caso di un nulla di fatto sul disegno di legge della Moratti, deve essere mantenuto. Proprio ieri si è riunita l'assemblea dei ricercatori della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, che ha sottoscritto il documento del coordinamento. "Sospensione dell'attività didattica, a eccezione delle sessioni di laurea, dal 14 al 25 febbraio, con l'invito a tutti i docenti di aderire alla forma di protesta, interrompendo gli insegnamenti e gli esami fino al 25 ? scrivono i ricercatori del polo di Scienze ?. Inoltre invitiamo tutti a partecipare all'occupazione del rettorato lunedì prossimo, giorno d'inizio della discussione sul disegno di legge della Moratti in Parlamento. Speriamo di avere un incontro con il rettore perché si faccia portavoce delle richieste dell'ateneo di Cagliari". All'incontro di ieri, nella cittadella universitaria di Monserrato, erano presenti circa trenta ricercatori su settantaquattro. Tutti svolgono attività didattiche non istituzionali (che non rientrano nel contratto) e in caso di astensione (come capitato all'inizio di questo anno accademico) ci sarebbe il blocco di molti corsi di laurea. Nella facoltà di Farmacia l'assemblea si svolgerà stamattina: possibile che anche in questo caso ci sia il via libera alla protesta. Questi trenta ricercatori svolgono il 30 per cento delle lezioni dei corsi triennali. In Medicina le adesioni all'interruzione delle attività didattiche sono già arrivate: i ricercatori che hanno incarichi sono almeno 85 su circa 150, senza contare l'attività nelle scuole di specializzazione. Matteo Vercelli ___________________________________________ ItaliaOggi 18-02-2005 RICERCATORI, SPARISCE IL RUOLO A ESAURIMENTO La novità nel ddl su stato giuridico dei docenti alla camera Niente più ruolo a esaurimento per i ricercatori universitari. Governo e maggioranza sono al lavoro per trovare gli stanziamentî necessari a creare una terza fascia di docenti che sarebbe riservata proprio agli attuali 21 mila ricercatori italiani. Il ministro dell'istruzione, università e ricerca, Letizia Moratti, ha deciso di tornare sui suoi passi e di ascoltare, almeno in parte, le richieste che in questi mesi erano state avanzate da una buona parte del mondo universitario a partire dalle associazioni dei ricercatori, ma anche dalla conferenza dei rettori e dal Consiglio universitario nazionale. Le due istituzioni proprio ieri assieme alla Conferenza dei presidi di facoltà erano tornate a chiedere importanti modifiche al ddl sullo stato giuridico. Una pressione che ha dato i suoi frutti. Intervenuto in commissione cultura della camera il ministro ha detto di essere disponibile a rivedere il testo nella sua interezza, a patto che le modifiche siano compatibili con le possibilità di spesa e con gli stanziamenti previsti in Finanziaria. Con questo impegno la commissione ieri ha concluso l'esame del provvedimento che da lunedî prossimo sarà inserito all'ordine del giorno dell'aula. Ma le intenzioni non sono di chiudere in fretta, come spiega il relatore al ddl, Mario Pepe. «Abbiamo tutto i1 tempo per discutere emendamenti e modifiche: l'aula non potrà occuparsi del ddl prima di un paio di settimane», spiega il deputato di Forza Italia. «Nel frattempo noi costituiremo un comitato ristretto nel quale esamineremo le varie proposte». Non prima però, spiega lo stesso Pepe, di avere convocato una riunione della propria maggioranza. «Dobbiamo trovare le risorse per dare una solida copertura finanziaria al provvedimento», dice il relatore, facendo sue le osservazioni critiche che proprio l'altro ieri sono state avanzate dalla commissione bilancio della camera che ha messo in luce le difficoltà di copertura alle quali va incontro la riforma. La decisione di accantonare la messa a esaurimento dei ricercatori, se da un lato assicura la fine delle ostilità con il mondo accademico, crea ulteriori problemi di cassa. «Dobbiamo trovare i fondi per assicurare ai 21 mila ricercatori attuali il ruolo di docenti di terza fascia», ammette Pepe che spiega come sarà anche necessario concedere il passaggio alla docenza superiore a coloro che già da almeno cinque anni svolgono attività regolare di didattica. Meno problematico appare invece il passaggio dalla legge delega a quella ordinaria, come anche questa volta chiedevano Crui, Cun e Consiglio dei presidi, oltre naturalmente a tutte le associazioni di ricercatori. «Siamo tutti d'accordo a trasformare la parte che riguarda lo stato giuridico in una legge ordinaria, mentre quella sui i concorsi potrà restare sotto forma di delega». Come poi viaggeranno i due provvedimenti, se insieme o per strade diverse, è presto per dirlo. _________________________________________________ Il Sole24 ore 16 feb. ’05 UNIVERSITÀ ..CON I RICERCATORI IN ETERNA ATTESA Per diventare ricercatore, universitario o comunque "pubblico", in Italia occorre una famiglia pronta al sacrificio o benestante alle spalle, e sapere all'occorrenza fare del chiasso. Sono 50mila secondo gli organismi di rappresentanza e compresi i tecnici, quasi quanti i 56.480 del personale docente di ruolo nelle Università. L'avere il ricordo delle misure "automatiche" con cui venti e più anni fa furono imbarcati gli incaricati stabilizzati e i contrattisti crea aspettative. E alcuni anni di dottorato pagato (anomalia tutta italiana che ha illuso parecchie famiglie, altrove i corsi di PhD si pagano con soldi o con lavoro) e di cabotaggio nell'arcipelago delle borse di ricerca, ha dato a molti la sensazione di essere già nel sistema. Una sistemazione pur parziale del problema dei ricercatori difficilmente potrà venire dal ricambio generazionale che invece si avvicina per la scuola di secondo grado. Molti insegnanti, stanchi di tenere classi ondivaghe, pensano alla pensione; mentre pochi docenti universitari, stando a un sondaggio, la prendono in considerazione (i maligni insinuano che non sono affaticati). Ma sciogliere un poco il nodo dei ricercatori precari, formula tutta italiana perché il ruolo di ricercatore è considerato ovunque precario e a progetto fino a quando non si passa a strutture stabili di insegnamento o aziendali, non deve trasformarsi nell'ultimo colpo all'università italiana. Che ha bisogno di uno scatto eccezionale, soprattutto nelle materie tecnico- scientifiche, per accorciare le distanze con gli altri che continuano a correre. È vitale immettere forze che abbiano imparato a produrre, salvare i pochissimi centri di eccellenza esistenti, crearne di nuovi, rompere il meccanismo di indifferenza e torpore che fa si che i docenti italiani di economia all'estero abbiano una produttività scientifica, in pubblicazioni, sette volte superiore ai colleghi rimasti in patria. La differenza tra pessimisti e ottimisti, quanto a ricerca scientifica, è fra chi dice che il treno è perso e chi dice invece che lo stiamo perdendo. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’05 LA SAPIENZA: I DOCENTI AL RETTORE "STOP DI 5 GIORNI CONTRO LA MORATTI" Chiesta l'interruzione della didattica dal 21 al 25: "Servono riforme vere" Cinque giorni, dal 21 al 25 febbraio, di interruzione dell'attività didattica per protestare contro il disegno di legge Moratti sullo stato giuridico dei docenti. E' la proposta dell'assemblea aperta di ieri della comunità accademica della "Sapienza": al dibattito, introdotto dall'ex prorettore vicario Gianni Orlandi, hanno partecipato le rappresentanze del coordinamento nazionale dei ricercatori, docenti e politici. "L'assemblea ribadisce con forza il giudizio negativo su un'ipotesi legislativa che mortifica l'università pubblica rinnegando l'autonomia universitaria, disconoscendo il ruolo dei ricercatori e precarizzando la docenza universitaria: lo specchio di una complessiva logica di sottovalutazione del ruolo dell'alta formazione, della ricerca e dell'innovazione, come leve essenziali per il futuro del Paese", spiega il documento finale. Fra le proposte dell'assemblea, c' la raccolta in un "Libro bianco" di tutte le mozioni già approvate nei mesi scorsi. Oltre a manifestare, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico, la volontà dell'ateneo di opporsi al ddl sullo stato giuridico. E l'invito a presidi e direttori di Dipartimento "a non procedere a sostituzioni nelle commissioni di esame dei componenti che in questo periodo ritengano di aderire alle diverse forme di protesta". Il tutto per sostenere "la necessità di un'inversione di rotta nella politica complessiva dell'università pubblica, a partire dall'incremento di investimenti e dal riconoscimento dell'intreccio qualificante tra didattica e ricerca". Perchè, come spiega ancora il documento di ieri, "occorre eliminare l'equivoco che debbano essere i soli ricercatori ad assumere la guida della protesta: al contrario deve essere tutto il sistema universitario (personale docente, personale tecnico-amministrativo, studenti) ad opporsi ad una legge sbagliata, che danneggia in modo irreparabile l'università pubblica. L'assunzione a livello dagli organi di governo centrali dell'ateneo della responsabilità delle forme di protesta è un passaggio indispensabile per chiarire questo equivoco". Più possibilista il rettore Renato Guarini, che sul Ddl Moratti, che dovrebbe andare in discussione in Parlamento la prossima settimana, commenta: "Si tratta di un'occasione per fare in modo che la Sapienza si possa proiettare verso il futuro anche da un punto di vista della didattica". E a proposito delle celebrazioni per i 700 anni dell'ateneo, aggiunge: "L'importante anniversario cade proprio mentre nel Paese si avvia a maturazione il difficile cammino della Riforma Didattica, con tutto il suo carico di problemi e speranze". _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’05 UNIVERSITÀ IL COORDINAMENTO ATENEI-REGIONE CONGELA LE TRE NUOVE FACOLTÀ CAGLIARI. Stop improvviso per le nuove facoltà universitarie di Architettura, Biologia e Psicologia. Soltanto fra venti giorni la riserva sarà sciolta dal coordinamento Regione-Atenei, che avant'ieri ha rinviato la decisione dopo tre ore di confronto tra l'assessore Elisabetta Pilia, i rettori Pasquale Mistretta, Alessandro Maida (Sassari) e il rappresentante degli studenti, Giuseppe Bertotto. Due i problemi: la possibile concorrenza e comunque da evitare tra la facoltà di Architettura ad Alghero, aperta da tempo, e quella che potrebbe essere inaugurata dall'università cagliaritana all'inizio dell'anno prossimo. Seconda problema: la Regione chiede il coordinamento effettivo tra gli atenei, per evitare sprechi _________________________________________________ Il Sole24 ore 16 feb. ’05 ATENEI, PREISCRIZIONI ONLINE ROMA Al via le preiscrizioni online all'università. Fino al 15 marzo gli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori potranno scegliere il loro percorso formativo superiore per l'anno accademico 2005-2006. Attraverso il sito Internet http://universo.miur.it, le aspiranti matricole potranno preiscriversi a uno dei corsi di laurea offerti dai 77 atenei italiani, a un corso di formazione tecnica superiore (Ifts), alle accademie o ai conservatori. L'iscrizione non è vincolante e al momento dell'immatricolazione vera e propria sarà possibile modificare la preferenza. Nessun adempimento burocratico, quindi, ma la possibilità per gli studenti di orientarsi nella vasta offerta formativa universitaria. Il sito del Miur offre agli utenti una banca dati con informazioni sui corsi di laurea di ogni ateneo, la descrizione delle attività formative e degli sbocchi professionali. Il Miur raccoglierà i moduli in una banca dati telematica, che sarà messa a disposizione delle Università, dei centri servizi amministrativi (nel caso di studenti provenienti da scuole private), delle scuole pubbliche collegate in rete e degli istituti di alta formazione artistico-musicale. AL.TR. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. ’05 SORGERÀ TRA CAGLIARI E PULA IL DISTRETTO DI BIOMEDICINA Salute e biomedicina, dal Cipe i fondi per creare il distretto Nasce un distretto tecnologico nel settore della biomedicina e delle tecnologie per la salute nell'area di Cagliari?Pula. L'iniziativa è stata resa possibile grazie alla manovra finanziaria del governo che ha erogato complessivamente 140 milioni di euro per rilanciare la ricerca nel Mezzogiorno d'Italia. Tra le regioni beneficiarie anche la Sardegna che nello specifico ha ottenuto 16,8 milioni di euro, erogati dal Cipe. I finanziamenti saranno utilizzati per dare corpo a un progetto mirato alla realizzazione di un distretto per biomedicina e tecnologie per la salute, promosso tra gli altri dal Consorzio ventuno, per un costo complessivo di 42.4 milioni di euro. L'importo restante del progetto verrà infatti cofinanziato dalla Regione e da imprese del settore privato, interessate a portare avanti l'iniziativa. "Si tratta di un investimento consistente da parte della Regione, avviato già negli ultimi tre anni, che darà vita all'unico distretto tecnologico dell'isola. Un forte segnale dunque per far sì che in Sardegna si possa promuovere una propensione a sviluppare le nuove tecnologie e puntare così sull'innovazione", spiega Francesco Marcheschi, direttore del Consorzio Ventuno. Oltre al Consorzio Ventuno, sono coinvolti nel progetto anche Crs4, l'Università degli studi di Cagliari e tutte le aziende attive nel polo tecnologico di Polaris (Medinest, Farmanes, Kelio, Biofleg, Bioker per citarne solo alcune). L'iniziativaIl progetto (già approvato) è denominato "Biomedicina e Tecnologie per la Salute" e riguarda lo sviluppo del distretto della biomedicina e delle tecnologie per la salute nell'area territoriale che va da Cagliari a Pula. L'obiettivo è quello di focalizzare le competenze sviluppate nel campo della biologia e patologia molecolare, della genetica, della farmacologia, dell'ingegneria biomedica e delle tecnologie informatiche applicate alla medicina, epidemiologia e nei rapporti che nascono dallo studio di ambiente e salute. Il progetto per il distretto di biomedicina rappresenta un importante passo nella realizzazione di una strategia per la ricerca, portata avanti da Regione, Università ed enti strumentali. Con il distretto, infatti, prende il via la creazione di "Cluster innovativi territoriali" ceh saranno poi i principali protagonisti della ricerca e dell'impresa. Tra i punti di forza dell'isola, eletta a candidata ideale, c'è proprio la prossimità geografica tra i vari soggetti (Polaris), la circolazione delle informazioni, la condivisione di comuni radici e interessi economici e culturali. i presuppostiL'idea di realizzare un sistema integrato a supporto della ricerca e dello sviluppo imprenditoriale è stata determinata, inoltre, dall'esistenza nell'isola di un patrimonio genetico (umano, animale e vegetale) di eccezionale importanza scientifica frutto di un isolamento millenario, che ha fatto arrivare nell'isola studiosi da tutto il mondo. Inoltre, la presenza nell'area tra Cagliari e Pula di un importante nucleo di competenze e conoscenze scientifiche nel campo dell'Information Technology hanno fatto il resto. A questo si deve poi aggiungere la presenza di una massa critica di ricercatori nel campo dello sviluppo delle tecnologie biomediche e chirurgiche applicate, oltre all'esistenza nell'area indicata di un parco scientifico e tecnologico, Polaris appunto, che funge da catalizzatore dello sviluppo dei processi innovativi. I laboratoriIl progetto prevede la creazione di cinque laboratori: ci sarà il potenziamento del sistema ricerca?impresa nel settore della Biomedicina; verrà incrementata l'attività di promozione della ricerca, lo sviluppo del capitale umano, i servizi per la valorizzazione dei risultati della ricerca e trasferimento tecnologico, ma verrà portata avanti anche un'attività di incubazione e assistenza allo start up per le imprese di biotech, con la promozione di strumenti finanziari per lo start up d'impresa, l'animazione tecnologica distrettuale, il marketing territoriale e azioni di internazionalizzazione. "Non resta, dunque", conclude Marcheschi, "che attendere il bando che consentirà alle imprese che possiederanno i requisiti richiesti, di poter entrare a far parte dell'unico distretto tecnologico dell'isola. (al. co.) ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’05 SCUOLA MATERNA E UNIVERSITÀ: RESTANO I TAGLI DELLA GIUNTA Commissione Bilancio L'apertura dei lavori slittata di quasi un'ora, sospensioni e impegni imprevisti per i capigruppo della minoranza, impegnati nel tardo pomeriggio nel vertice richiesto dal presidente Soru. In commissione Bilancio, così, non è rimasto il tempo per approvare l'articolo 9 della manovra finanziaria sui finanziamenti in materia di istruzione, cultura, spettacolo e sport. Se saranno state ore sprecate, potrà dirlo solo l'andamento dei lavori nei prossimi giorni. La seduta di ieri è stata interamente dedicata al voto su una quarantina di emendamenti. Fra le bocciature che più hanno dato materia per polemiche, quella dell'emendamento soppressivo- primo firmatario Giorgio La Spisa di Forza Italia- che mirava a ripristinare finanziamenti nella misura del 75 per cento per le scuole materne non statali. Nelle intenzioni della Giunta quei fondi non sono soppressi, bensì consentiti fino al limite massimo del 75%. È vero però che si tratta di contributi potenzialmente limati nella portata dalla dicitura "fino al 75%", ha osservato Giorgio Oppi: "Sino al 75 per cento può anche voler dire 0%". Il capogruppo Udc parla di "bocciatura, che oltre ad andare contro ai 1.600 operatori del settore e ai 14 mila alunni sardi, cozza anche contro il principio della libertà di istruzione sancito dalla Costituzione". Ecco perché Oppi promette anche di rendere pubblico l'elenco dei consiglieri che hanno votato contro. Se i mugugni sono evidenti nel centrodestra, la bocciatura raccoglie, a taccuino chiuso, diverse critiche di parti della maggioranza, in particolare fra le fila della Margherita, naturalmente sensibile riguardo ai problemi delle scuole confessionali non pubbliche. Altra materia del contendere, il fondo unico da 6 milioni e mezzo di euro per i finanziamenti alle università diffuse nel territorio. Secondo il centrodestra la scelta di accorpare i finanziamenti in un unico blocco comporta nei fatti la riduzione del 55% dei fondi riservati a ogni singolo consorzio universitario. Non che non ci sia necessità di ridisegnare una strategia per il sostegno all'università del territorio, ma prima, è il ragionamento, occorre fissare le regole. Per i tagli resta sempre aperta la porta dell'assestamento di bilancio. Ed è sempre sull'argomento università che il centrodestra si è visto bocciare l'emendamento che proponeva un contributo da oltre un milione di euro a favore della Libera Università nuorese "Ailun", ma ha anche incassato l'impegno della maggioranza a ricollocare il finanziamento all'interno del fondo unico, in sede di bilancio. Sorte sospesa per i 50 mila euro proposti, per il Comune di Oristano, dall'emendamento del centrodestra, primo firmatario Mario Diana di An, per il funzionamento dell'Istituto storico Arborense, a spese della programmazione negoziata. Se ne riparlerà al momento di esaminare le tabelle. La commissione ha invece accolto due emendamenti per la valorizzazione della lingua sarda targati Psd'Az: 100 mila euro per borse di studio, altri 50 mila euro per una conferenza su cultura e lingua sarda da svolgersi entro il 2005. I lavori della terza commissione ripartono stamattina alle dieci, con il voto su un pacchetto di emendamenti firmati Psd'Az e Casa delle Libertà. La commissione ieri ne aveva deciso la sospensione per consentire un esame più approfondito. Roberta Mocco _________________________________________________ La Repubblica 14 feb. ’05 GLI ATENEI SNOBBANO L'INFORMATICA Al di là degli slogan non esiste una facoltà che punti sull'It, ma sola corsi di laurea a Ingegneria e Scienze. AI settore restano le briciole. Eppure il suo insegnamento ha valenze didattiche che sono sempre più fondamentali per le professioni intellettuali CARLA ALBERTO PRATESI Roma Due che l'informatica è importante perché condiziona tutti i settori dell'economia e moltissimi ambiti della nostra vita privata è un vero e proprio luogo comune. Ed è altrettanto lapalissiano affermare che per trovare un buon lavoro occorre avere una preparazione di base che preveda una discreta dimestichezza con i computer. Eppure, al di là degli slogan (spesso utilizzati anche dai politici), la formazione in questo ambito non è così presente nelle nostre università. Basti pensare che da noi non esiste una facoltà di informatica (ma solo corsi di laurea ad ingegneria e scienze) e che gli insegnamenti relativi, impartiti nelle altre facoltà, salvo rare eccezioni vengono in genere considerati poco più di una "abilità", di ridotta rilevanza sia in termini di ore di lezione che di crediti didattici. Mentre all'estero le cosiddette "computer science" hanno notevole peso e autorevolezza accademica. «Questa contraddizione la si nota soprattutto quando si tratta di distribuire le risorse all'interno delle università-commenta Daniele Marini, dell'Università di Milano e membro del Consiglio Universitario Nazionale - per l'informatica restano solo le briciole, anche se nei programmi degli atenei viene spesso citata come un punto cardine della preparazione universitaria». La realtà è che si è diffusa la convinzione che, alla fin fine, quello che serve davvero è saper utilizzare quanto basta due o tre software di Windows (Word ed Excel in primis), eventualmente acquisendo il cosiddetto "patentino europeo". «Invece, al di là dell'uso dei più diffusi programmi applicativi, l’inse gnamento dell'informatica ha delle valenze didattiche importantissime per chiunque voglia svolgere professioni di tipo intellettuale. E, in questo senso, è necessario conoscere anche i fondamenti logici della disciplina», spiega Marini. Studiando l'informatica si acquisiscono infatti almeno tre capacità: 1) progettazione: un po' come avviene nell'architettura, lo sviluppo di un sistema informativo richiede una rigorosa analisi delle esigenze e il disegno delle soluzioni atte a soddisfarle; 2)problem solving:l'informatica è probabilmente la scienza che meglio delle altre aiuta a capire i meccanismi che consentono di affrontare e risolvere un problema complesso, suddividendolo nelle sue componenti più semplici; 3) astrazione: una capacità anch'essa necessaria alla soluzione di problemi complessi, che si esercita quando si analizzano i dati da sottoporre alla elaborazione di un programma. «Quello che servirebbe, quindi, a chiunque voglia prepararsi ad operare in ambiti complessi e tecnologicamente avanzati (dalla medicina all'economia, dalla fisica all'agraria) è un corso di informatica sviluppato su due piani: da un lato l'insegnamento dei principi e delle metodologie (dall'uso del dato alla sua elaborazione). Dall'altro un forte adattamento dei concetti alla realtà specifica per la quale ci si sta preparando», aggiunge Marini. Per uno studente di geologia, per esempio, può essere essenziale approfondire i database territoriali; per chi studia marketing è senz'altro molto utile impratichirsi della "cluster analisys", tipica delle ricerche di mercato; mentre lo statistico dovrebbe studiare a fondo tutte le tecniche necessarie per rappresentare i dati in modo chiaro e corretto. In definitiva, i crescenti sforzi per rendere "user friendly" i software non devono indurre a trascurare la necessità di comprenderne il funzionamento e gli algoritmi che ne sono alla base. «Una volta arrivati nel mondo del lavoro, senza una preparazione adeguata - continua Marini - si corre il rischio di diventare facili ostaggi dei consulenti e de gli esperti che, se non seguiti, potrebbero condizionare con progetti inadatti il funzionamento stesso dell'organizzazione aziendale». In fondo, per gli architetti è facile illustrare la propria idea (basta usare piantine e plastici tridimensionali), mentre un progetto informativo può essere assolutamente incomprensibile a un non addetto. «Non c'è dubbio che l'informatica abbia un importante ruolo nello sviluppo della professionalità, e in questo senso merita particolare attenzione da parte dell'accademia - conferma Giovanni Aliverti, responsabile relazioni istituzionali di IBM - ma vorrei sottolineare che l'università di oggi deve impegnarsi soprattutto nel far comprendere agli studenti come applicare concretamente tutte le nuove tecnologie, nei vari ambiti lavorativi: solo così è possibile sfruttarne appieno le immense potenzialità. I futuri manager, medici, policy maker o avvocati che opereranno in un ambiente sempre più complesso non possono accontentarsi di una semplice infarinatura sull'uso dei software: devono acquisire una piena consapevolezza dei diversi modi in cui l'informatica può migliorare l'efficacia e l'efficienza del loro lavoro. In questo senso, è ovvio che un rapporto più stretto tra atenei e aziende non può che giovare». *Università Roma Tre _________________________________________________ Corriere della sera 14 feb. ’05 PIÙ DIFFICILE OTTENERE I FONDI PER LA RICERCA SESTO PROGRAMMA QUADRO Maggiore attenzione ai processi di base Per battere le frodi l'Ue complica le procedure. Piccole imprese in crisi consapevole che la sfida economica e tecnologica l'Europa la potrà sostenere e magari vincere facendo leva sugli strumenti informatici trasversali ad ogni attività umana, già nel V programma quadro dell'Unione Europea dedicato alla ricerca e allo sviluppo concluso nel 2003 aveva preso corpo il progetto Ist (acronimo di Information society technologies). La sua importanza si è rivelata presto notevole perché ha generato benefici significativi per le aziende coinvolte, sostenendone la competizione e nello stesso tempo aiutandole a sviluppare un know-how strategico sia per le industrie che per le università. Lo dimostrano, con ricchezza di dati, due studi condotti da Databank Consulting dai quali emerge un dato importante, e cioè la consistente partecipazione al programma europeo da parte delle piccole e medie imprese. Un aspetto importante, perché è proprio questa fascia produttiva che soffre per la carenza di un'iniezione costante dei frutti della ricerca. Le aree considerate dagli studi Databank hanno riguardato la microelettronica, le comunicazioni mobili e la sanità. «Per la metà delle aziende partecipanti - precisa Gabriella Cattaneo, uno degli esperti alla guida dell'indagine pilotata dall'ex ministro portoghese della scienza José Gago- l’impegno profuso ha consentito di rafforzare o stringere nuove alleanze per la ricerca o il business, presidiando le frontiere di sviluppo dei propri settori. Inoltre, per la metà dei partecipanti, i progetti dell'Unione hanno anche portato all'ingresso in nuovi mercati e per circa un quarto a concreti benefici di miglioramento del giro d'affari e della profittabilità». I partecipanti al progetto Ist nel V programma quadro sono stati 18.888. Di questi 9.423 erano industrie, metà delle quali piccole e medie aziende. Ma l'avvio del VI programma quadro in atto da un paio d'anni e che si concluderà nel 2006 ha purtroppo rivelato una sorpresa negativa inaspettata, come dimostra l'indagine Databank. «Nella nuova fase c'è stato infatti - spiega Cattaneo - un calo significativo nella partecipazione delle piccole e medie industrie ai vari progetti oltre ad una scarsa partecipazione dei nuovi Paesi membri dell'Unione». Che cosa non ha dunque funzionato dopo il concreto successo degli anni passati? L'indagine ha messo in evidenza un aspetto, o meglio un ostacolo che andrà presto rimosso. «La causa della scarsa partecipazione - sottolinea Cattaneo - è legata alla crescente complessità delle procedure burocratiche richieste dagli organismi comunitari di valutazione oltre all'inserimento di nuove regole penalizzanti le imprese minori, tra le quali, ad esempio. l'implementazione restrittiva di varie tipologie di contratto». Ciò è stato messo in atto - si spiega -per evitare frodi che toglievano risorse preziose. Ma c'è anche un altro aspetto che grava negativamente. L'impostazione del nuovo programma Ist è più rivolta alla ricerca di base e questo è un territorio poco coltivato ad esempio in Italia per cui è minore il numero delle aziende piccole e medie disposte ad impegnarsi su questa più difficile frontiera. «Ma non siamo solo noi in tale situazione- commenta Cattaneo - il calo è generalizzato a livello europeo, Gran Bretagna compresa». Questa via è comunque obbligata perché ricerca di base e applicata sono oggi due facce della stessa medaglia ed entrambe indispensabili. Il rapporto, infatti, suggerisce alcune linee prioritarie d'intervento nei tre campi indagati, seguendo le quali oltre a maturare vantaggi competitivi permetteranno pure di contrastare il trend di spostamento dei grandi centri di ricerca avanzata verso l'Asia-Pacifico. Giovanni Caprara ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. ’05 RICERCA PER LE AZIENDE, ATENEI SOTTO ACCUSA Oristano. Al convegno organizzato dalla Cna posizioni distanti tra imprese e Università Ricerca per le aziende, Atenei sotto accusa «Lo sviluppo e la crescita delle microimprese sarde, può avvenire solo con l'innovazione, la tecnologia e soprattutto con la sua diffusione tra le imprese». Parola di Mario Cavada, presidente della Cna sarda, che ha aperto ieri pomeriggio a Oristano il convegno organizzato dall'organizzazione di categoria e dal Consorzio Ventuno su "Ricerca e innovazione tecnologica nell'artigianato e nelle piccole e medie imprese". Ad Adolfo Lai e ad Attilio Mastino, in rappresentanza delle due Università sarde, è toccato invece assumere il ruolo di "venditori" della capacità di ricerca (d'eccellenza in alcune discipline) e soprattutto di offerta formativa e di alta istruzione dei due Atenei. Pur consapevoli che il sistema sardo (quasi tutto solo pubblico) spende lo 0,6% del Pil in ricerca e innovazione tecnologica, la metà della media nazionale, un quarto di quella europea e lontano anni luce dal 3% degli obiettivi di Lisbona per l'economia della conoscenza, da attuarsi entro il 2010. Il presidente del Consorzio Ventuno, Giuliano Murgia, ha raccontato che su 2.000 imprese che hanno chiesto all'ente l'erogazione di servizi negli ultimi anni, almeno 1.200 hanno avanzato una richiesta di consulenza per adeguarsi alle norme sulla sicurezza, mentre troppo poche hanno puntato su servizi più avanzati. «Serve una maggior partecipazione delle imprese», ha sostenuto. Il presidente del Banco di Sardegna, Antonio Sassu, ha spiegato invece il concetto di "innovazione incrementale" ovvero il collegamento tra la competitività e la "curva di apprendimento" delle imprese e del suo personale, e ha citato come caso di successo lo sviluppo registrato nella produzione del "pane carasau". Assente l'assessore alla programmazione Francesco Pigliaru, super impegnato nella Finanziaria, e il presidente della Sfirs, il dibattito si acceso con diversi interventi: alcuni imprenditori hanno accusato le Università di chiusura nei confronti delle piccole imprese. Altri hanno descritto la ricerca come "business" di approvvigionamento di soldi pubblici al di là della verifica dei risultati e della diffusione efficace delle innovazioni nelle attività produttive. (g. c.) _________________________________________________ Corriere della sera 14 feb. ’05 E L’EUROPA PUNTA SUL GRID E l'Europa vuole puntare sul Grid, il computer-griglia che batte gli Usa Le raccomandazioni espresse dal rapporto Databank suggeriscono di investire in risorse umane, sulle biblioteche digitali, sui servizi pubblici e in particolare sul potenziamento delle infrastrutture informatiche perla ricerca a partire dalla rete Grid. L'idea del Grid nata al Cern di Ginevra riesce a unire in un unico gigantesco computer virtuale tutti gli elaboratori che possono essere collegati fra di loro. In tal modo si possono ottenere capacità di calcolo strabilianti alle quali possono accedere senza ostacoli anche le piccole e medie aziende di solito sprovviste di simili pezzi di elaborazione. Proprio per sviluppare il mondo Grid che oggi rappresenta una tecnologia d'avanguardia davanti anche agli Stati Uniti, dove solo ora si cerca di colmare il divario, è stato varato il progetto Egee (da Enabting grids for E-science in Europe), sostenuto da un finanziamento di 50 milioni di euro. «Già sono coinvolte 71 organizzazioni industriali e di ricerca appartenenti a 27 Paesi - precisa Fabrizio Gagliardi direttore del progetto al Cern di Ginevra -. Con le loro risorse di calcolo formano il più grande strumento di elaborazione mai concepito e accessibile da qualsiasi parte del pianeta. Già conta novemila Cpu e più di 90 centri di calcolo». Finora 3 mila utenti utilizzano Grid in cinque campi diversi che vanno dalla medicina all'osservazione della Terra, dalla fisica alla progettazione di molecole farmaceutiche. Ma sono coinvolte anche le aziende meccaniche e chimiche, oltre ai centri di ricerca più avanzati che necessitano di grandi potenze di calcolo. «Gli strumenti software finora sviluppati per mettere insieme tutte le macchine che entrano in rete, condividendone le possibilità - nota Mirco Mazzuccato direttore del progetto Grid presso l'istituto nazionale di fisica nucleare aprono l'accesso e il loro utilizzo oltre alle industrie anche al mondo dei servizi». «Forse per la prima volta - dice Gagliardi - l'Europa ha un vantaggio su un settore strategico per lo sviluppo economico, come è appunto la risorsa informatica. C'è stato in questo caso un tempismo straordinario dei nostri ricercatori e il loro impegno va sostenuto per garantire un futuro competitivo all'Europa. _________________________________________________ Il Sole24 ore 18 feb. ’05 CHI HA PAURA DELL'EMBRIONE Una pretesa chiedere alla scienza di rispondere alla domanda su cosa sia una persona umana - La discriminante dei primi quindici giorni DI PAOLO RAINERI* I n un'intervista concessa a Corriere della Sera del 2( gennaio, Antonio Socci la menta che i cattolici attendono da anni una risposta non «PC convenzione, ma con un certo appiglio scientifico» alla domanda sul momento in cui l’embrione diventa un essere umano. In un pregevole articolo due giorni dopo sullo stesso giornale, Edoardo Boncinelli illustra con chiarezza lo sviluppo dell'embrione sin dall'inizio, ma a giusta ragione, frustrando forse le attese dei lettori, afferma che «noi possiamo chiedere alla natura, c alla scienza, di cavare le castagne dal fuoco al posto nostro» La risposta a quella domanda dipende infatti da «una scelta che spetta all'uomo in una autentica prospettiva umanistica». Mi sembra tuttavia che, come medico e come credente, si possano aggiungere alcune chiose, parallele all'intervento di Boncinelli, tali da imprimere una certa efficacia ai nostri ragionamenti nella direzione di restringere il campo di indeterminazione in cui Boncinelli ci lascia. A1 riguardo, vale la pena ricordare anzitutto le parole di Nicola Berdiaeff, un filosofo russo noto anche in occidente il quale nel 1936 scriveva: «L'individuo è una categoria biologica... la persona è, prima di tutto, una categoria assiologica» e cioè portatrice di valori non limitati alla pura realtà di fatto. La scienza ha una comprensione profonda ma limitata alla pura realtà di fatto, non può quindi vantare l'aspirazione a rispondere alla domanda su che cosa sia una persona umana, come sottolinea correttamente Boncinelli. Tuttavia, ci rimane pur sempre l'interrogativo se questo implichi una soluzione completamente convenzionale o se, piuttosto, proprio la scienza possa aiutarci a chiarire almeno le pre-condizioni minime di fat to per abbozzare una risposta: la stessa impostazione di Berdiaef ammette che per parlare di per sona umana abbiamo prima bisogno di un dato biologico, cioè dell'individuo. Su questo schema, già nel V secolo, Severino Boezio formulò la sua ben nota definizione di persona come rationalis naturae individua sub stantia (sostanza individuale d natura razionale): una formulazione filosofica non condizionata da conoscenze fattuali. Si potrebbe oggi obiettare che la persona umana è un individuo con molte altre qualità oltre la razionalità, che ne è, tuttavia l'elemento qualificante. Rimane comunque il fatto che la biologia può aiutarci a delimitare le "condizioni minime" per definire non la persona umana, ma il suo substrato biologico, cioè l'individuo. II termine discriminante, come necessario substrato dell'individuo, è "sostanza individuale" che significa entità unitaria, autonoma, distinta e indivisibile; se una identità unitaria e autonoma è condizione preliminare al costituirsi della persona non si può applicare questo termine né allo zigote, né all'embrione sino allo stadio di blastula compreso (circa quattordicesimo giorno): le nostre conoscenze biologiche ci dicono che nelle prime due settimane l'embrione è una vita che si esplica in stati potenzialmente aperti, potendo andare incontro ai destini alternativi di dare luogo a uno o a due (o anche a più) individui (gemelli monozigoti), ma anche, e più probabilmente (per ben quattro quinti dei casi, come dice Boncinelli), proprio a nessun individuo, perché destinato a disperdersi con il sangue catameniale. E qui entra in scena una seconda condizione preliminare. infatti affinché l’embrione continui il suo sviluppo, condizione preliminare necessaria è che esso si impianti nell'utero, cioè nell'unico ambiente che ne permette la crescita. Solo quando l'embrione si annida nell'utero materno (e ciò tende pure ad avvenire verso la seconda settimana), possiamo parlare di una persona in formazione. È singolare che un fattore cosi preminente e discriminante come l'impianto dell'embrione sia generalmente poco considerato. Sorprende in effetti che questo argomento sia presente più nella filosofia classica (in Aristotele e San Tommaso per esempio) che nelle discussioni moderne. Riportare l'attenzione su questi aspetti preliminari a me sembra possa offrire una soluzione razionalmente fondata, che basa le condizioni preliminari necessarie su un preciso ragionamento filosofico e conseguente definizione e verifica quando queste condizioni si realizzano su precise conoscenze scientifiche. Questa impostazione se non esclude del tutto la convenzionalità di quando inizi la persona umana (bisogna pure accordarsi, argomentando, su una definizione), riferisce almeno l'inizio dell'individuo" a precisi dati di fatto; sembra, cosi facendo, di venire incontro al desiderio di trovare una risposta che contenga un aggancio scientifico oggettivo. Un tale ragionamento non significa affatto che nelle due prime settimane l'embrione non debba essere meritevole della cura e del rispetto appropriati alla sua straordinaria condizione di contenere l'inizio di una vita umana, ma anzi, proprio al contrario, fa sorgere il problema, certo non facile da risolvere, delle cautele e del rispetto da accordare a una entità biologica che è tanto prossima a una persona umana. Esclude tuttavia che esso possa già considerarsi persona: per chiarirne lo stato, San Tommaso affermò - forse con più saggezza di qualche teologo moderno - che a quello stadio non si può ancora dire di essere in presenza di una creatura che parteciperà alla resurrezione della carne. *Già primario dell'Ospedale Fatebenefratelli Oftalmico di Milano _________________________________________________ il Giornale 16 feb. ’05 CHI METTE IN DUBBIO DARWIN SI METTE CONTRO LA RAGIONE Per dare la misura del suo inossidabile credo darwiniano, basti una battuta: «Tutte le risposte alle domande "che cos'è l'uomo?", o "la vita ha un significato?", datate prima del 1859 (pubblicazione di L'origine delle specie di Charles Darwin) sono da rigettare perché sbagliate e prive di valore». Non per niente Jay Gould, l'altro grande evoluzionista contemporaneo, l'ha definito un «fondamentalista daiwiniano». Si potrebbe aggiungere: mangiapreti. Sulla religione va giù pesante: «Una pericolosa utopia collettiva». Lo dice senza un filo di ironia british, Richard Dawkins, uno dei più importanti biologi dell'evoluzionismo viventi, teorico del «gene egoista», scienziato della Oxford university e autore di bestseller divulgativi (tradotti in Italia da Cortina, l'ultimo è Il cappellano del diavolo, pagg. 347, euro 25.50). Ieri ospite d'onore per il secondo Darwin Day (a Milano, al Museo civico di storia naturale), giornata celebrativa del grande naturalista britannico, proprio mentre negli States s'avanza una nuova ondata antidarwinista per cancellare dai libri di scuola l'immagine dell'uomo parente della scimmia. E rimettere al suo posto quella di Michelangelo. Professore, secondo un sondaggio della Cbs, i155 per cento degli americani pensa che l'evoluzionismo di Darwin sia aria fritta. Lei che dice? «Facciamo due ipotesi: se queste persone credono che il libro della Genesi sia letteralmente vero, e che l'intero universo sia nato meno di diecimila anni fa, allora ogni persona di media cultura di ogni paese del mondo direbbe che queste persone sono semplicemente ignoranti. Se invece accettano che l'universo sia molto più antico, e che la teoria evoluzionistica sia sostanzialmente vera tranne alcuni aspetti sbagliati, allora sarebbe una posizione rispettabile. Ma temo proprio che la maggior parte di quegli americani appartenga alla prima categoria». Quindi? «Quindi la colpa è del sistema educativo americano, delle scelte politiche sbagliate, di chi cerca di omettere anche la minima conoscenza della teoria evoluzionista. Questa gente non sa nemmeno di cosa sta parlando. Perché le idee creazioniste contraddicono non solo la biologia, ma anche la fisica, la cosmologia, geologia, archeologia, ogni singola scienza è incompatibile con le idee di chi rifiuta a priori Darwin». Però non sembra che la fede sia incompatibile con l'evoluzionismo. Il Papa, recentemente, ha detto che quella di Darwin è più che una semplice teoria. «Dal punto di vista empirico non è incompatibile visto che il Papa crede nell'evoluzione, e nessuno può dubitare che il Papa non sia credente. Ho molto apprezzato quelle parole, anche se ha aggiunto che la teoria non può spiegare il mistero, la coscienza umana, mentre credo che prima o poi ci riuscirà. Personalmente, tuttavia, credo che la teoria evoluzionista e la religione siano difficilmente conciliabili». Negli Stati Uniti si pensa anche di toglierlo dai libri scolastici. Perché Darwin fa così paura? «Penso che si possa girare la domanda in questo modo. Perché un evoluzionista come me ha tanta diffidenza verso 1a religione? Bene, il problema è che la scienza, e in particolare la biologia, cerca di spiegare ciò che è altrimenti difficile o molto improbabile spiegare in altra maniera. La teoria dell'evoluzione darwiniana è un meccanismo molto semplice che spiega molti problemi enormemente complicati. La fede, invece, la spiegazione religiosa, dice che l'universo, il mondo, la vita, è creata da una intelligenza soprannaturale, e in questo modo parla di un'entità che è ancora più complicata e difficile da spiegare di quello che dovrebbe spiegare. Quindi, c'è una difficoltà fondamentale per ogni vero scienziato nell'accettare la fede». Però, molti scienziati non la pensano così. «È vero. Ma credo che non possano conciliare veramente le due cose. Penso dividano in qualche modo la loro intelligenza in due compartimenti separati». Ci sono anche suoi colleghi che hanno qualche dubbio in più sulla teoria evoluzionista, sul suo fondamento scientifico. Lei non ammette sbagli? «Non credo si possa negare la teoria dell'evoluzione. Sono convinto che nessuno possa ragionevolmente mettere in dubbio la verità dell'evoluzione naturale. Certo, si può dubitare dei meccanismi proposti da Darwin, cioè della naturale selezione. Ma se non si crede che gli uomini e gli scimpanzé siano cugini, allora non ci si pub chiamare scienziati». Obiezione degli antidarwiniani: in un mondo darwiniano l'etica non ha più senso. Che etica può esserci in un mondo dove conta solo la legge del più forte? «Innanzitutto, anche se fosse vero questo non proverebbe che la teoria è falsa. Ma rifiuto l'idea che il darwinismo escluda la morale. Nel senso che noi non dobbiamo cercare l'etica nella scienza. Se lo facessimo sarebbe certo un'etica poco piacevole, senza dubbio. Anche io sono un darwinista convinto quando parlo della natura, non lo sono più quando si deve ragionare di morale. Ma non è quello che facciamo. Dobbiamo cercare i principi della morale dalla ragione, dal dialogo, dalla filosofia, dalla legge e dalla sua storia, dalle istituzioni democratiche. Non dobbiamo prenderla dalla scienza, ma nemmeno dalla religione, perché vorrebbe dire tornare indietro». Lei oltreché di geni, parla anche di "memi", cosa sono? «Le idee della mente, i programmi dei computer, una canzone, una moda, sono qualcosa che passa da una mente all'altra, come i geni passano da un individuo alla sua prole. E che in questo passaggio possano migliorare via via. Come prodotti della selezione naturale». Vuol dire che anche nella società, in politica, vale la regola del più adatto? «Altri hanno ripreso questa mia idea per sostenerlo, ma non era la mia vera intenzione, anche se certo potremmo seguire quella strada. Quello che volevo dire è soltanto che i geni non sono gli unici attori della selezione naturale». In un suo libro lei scrive: «Siamo macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni». Non le fa un po' paura? «Non si può rifiutare una verità perché fa paura. No, non mi spaventa questa idea. D'altra parte è solo un modo di spiegare la funzione dei geni nella vita umana». Lei sostiene che l'uomo potrà ancora evolvere. Come? «Quello che mi chiedo è se l'uomo sia un genere di cosa che può evolvere più di una volta, come il suo occhio, passato attraverso un'evoluzione di 40 passaggi. La maggior parte delle persone risponderebbe di no. Ecco, vorrei soltanto sollevare il dubbio che la risposta negativa non è affatto scontata come si pensa di solito». Intervista con .Richard Dawkins, uno dei più importanti biologi dell'evoluzionismo viventi e autore del «Gene egoista» «I creazionisti americani contraddicono non solo la biologia ma anche la fisica, la cosmologia, la geologia e l'archeologia» ================================================================== ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’05 LAUREE BREVI MEDICINA, VERTICE DALLA DIRINDIN Giornata intensa ieri per i rettori dei due atenei sardi, e fitta di contatti con la Regione. Dopo l'incontro con Elisabetta Pilia in rettorato - inizialmente la riunione del coordinamento Atenei-Regioni era prevista in viale Trento alla presenza di Renato Soru - Pasquale Mistretta e Alessandro Maida si sono spostati all'assessorato alla Sanità per un incontro con il direttore generale. I tre hanno messo a punto alcuni aspetti dal dossier sull'offerta formativa che verrà inviato al ministero dell'Università per il via libera operativo. Il progetto non è ancora chiuso, ci sono degli aspetti da mettere a punto ma in tempi decisamente rapidi: il termine entro il quale inviare a Roma la relazione sulle nuove lauree in scienze infermieristiche e altre discipline mediche è venerdì 18. Ma i nuovi corsi triennali non sono gli unici argomenti di dialogo tra Regione e Università. Il protocollo d'intesa siglato dai rettori, dal presidente della Regione e dall'assessore Nerina Dirindin ha tra i suoi capitoli principali la creazione dell'azienda mista che gestirà il nuovo policlinico, che verrà creato accorpando cliniche universitarie e alcune strutture dell'Asl 8. _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’05 POLICLINICO DI MONSERRATO, ORA È UN OSPEDALE Pronta l’équipe per anestesia e rianimazione, si può aprire la terapia intensiva CAGLIARI. Si chiama Gabriele Finco e viene da Verona il nuovo ordinario di anestesia della facoltà di Medicina cagliaritana. Con lui si potrà inaugurare la rianimazione al policlinico universitario, l’anello mancante per inserire l’ospedale di Monserrato nella rete delle emergenze ma, soprattutto, per dare fiato alla chirurgia degli universitari. Lo spiega qualunque medico: ci vuole una rianimazione perché gli interventi chirurgici siano affrontati con tutto il contorno di sicurezza necessario. Assieme a Finco lavorerà (e insegnerà) Antonio Marchi. Cosa cambia nel panorama ospedaliero in grande attesa per il piano sanitario imminente e la nascita dell’azienda mista? Per dirla col preside di Medicina: "Il policlinico entra in trincea". Il rettore dell’università Pasquale Mistretta scrive in questi giorni all’assessore regionale alla sanità. In sostanza dice: abbiamo le attrezzature, degli spazi a Monserrato non c’è neppure bisogno di ricordarlo, siamo pronti a gestire i posti letto in ragione di due più due (due di terapia intensiva e altri due già riconosciuti come terapia intensiva post operatoria) con l’équipe che è pronta dal 10 gennaio scorso, giorno in cui Finco ha preso servizio. Ma per cominciare, ed è questa la ragione della lettera all’assessore, ci vuole una delibera che si porta appresso l’impegno finanziario. Il rettore spende qualche parola per ricordare che il servizio di anestesia e rianimazione è indispensabile e che i comuni attorno al policlinico avranno in questo modo presìdio attrezzato per le emergenze. Non da oggi, infatti, le municipalità sollecitano l’apertura di un pronto soccorso nell’ospedale universitario che, alle spalle, ha un territorio vasto e popolato il quale, come unico punto di riferimento ospedaliero, ha le strutture della Asl 8, tutte concentrate su Cagliari e quindi raggiungibili attraversando la temuta (perché trafficatissima) 554. Tornando al policlinico: cosa cambia per gli ospedali cagliaritani in attesa della riorganizzazione della rete ospedaliera e della nascita dell’azienda mista Regione-Università. Nulla, per ora. Per chiarezza: Finco non sbalza fuori dalla sedia Tupputi, il docente già in cattedra e a suo tempo contestato dal reparto ospedaliero di cui era il direttore. Finco è ordinario di anestesia, Tupputi di rianimazione, il reparto del San Giovanni di Dio resta sotto la gestione di un dirigente di primo livello ospedaliero (il primario) e tale potrà continuare a essere anche nella non ancora nata azienda mista. "Quel che accadrà con l’azienda mista - precisa il preside di Medicina Gavino Faa - discenderà dalle decisioni del nuovo direttore generale il quale ragionerà assieme al San Giovanni e al policlinico, che ormai saranno una cosa sola, e valuterà tanti aspetti tra cui anche le economie di servizio". In altre parole, si aggiunge una cattedra, si apre il policlinico universitario all’assistenza effettiva, ma per il momento gli equilibri restano quelli e le sedie agli attuali titolari. Per l’azienda mista si aspetta. La commissione regionale non si è ancora riunita. (a. s.) __________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 feb. ’05 MONSERRATO: L'OSPEDALE HA UN ALTRO REPARTO Sei medici, undici infermieri e una caposala, guidati da Gabriele Finco, professore e rianimatore proveniente da Verona: sarà questa l'equipe medica che gestirà il nuovo reparto di rianimazione del Policlinico Universitario di Monserrato. In questi giorni lo specialista in terapia del dolore ha preso possesso della sua nuova cattedra proprio mentre il rettore dell'Ateneo cagliaritano, Pasquale Mistretta, scriveva all'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, per chiedere il via libera all'apertura della struttura. «I locali sono già pronti - fa sapere il Direttore Sanitario del Policlinico, Rosa Cristina Coppola - ora servono le attrezzature per attivare fisicamente il reparto che prevede complessivamente quattro posti letto (due di terapia intensiva e altri due per il post operatorio) ». Una realtà in cui si fonderanno le professionalità dell'Università con quelle dell'Azienda Ospedaliera, anche in vista dell'intesa raggiunta sulla nascita dell'Aou (Azienda Ospedaliera Universitaria). «Credo che sarà necessario qualche mese per vedere funzionare il reparto - afferma il Preside della Facoltà di Medicina Gavino Faa - Tuttavia, possiamo dirci soddisfatti: non solo abbiamo la disponibilità dei locali, ma il Rettore, su mia richiesta, è riuscito a rendere disponibili, in tempi brevissimi, 300 mila euro per acquistare una parte delle attrezzature necessarie ad avviare la funzionalità del reparto di rianimazione». La conferma del possibile raggiungimento del progetto arriva dallo stesso Gavino Faa. «Condizione indispensabile perché nasca un qualsiasi Pronto Soccorso è quella di avere una buona rianimazione. Il Policlinico finora ha sofferto due ordini di problemi. In primo luogo l'Università non poteva assumere personale infermieristico che non fosse con contratto a tempo, mentre ora con l'Azienda mista sarà possibile prevedere personale specializzato nei reparti. In secondo luogo, appunto, la nascita del reparto di Rianimazione dove monitorare le situazioni più complesse. Questo significa poter gestire le urgenze 24 ore su 24». Ora si attende che la la Regione si pronunci sull'apertura della nuova struttura di rianimazione e che preveda un congruo apporto finanziario da stanziare. _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 feb. ’05 CAGLIARI ISTITUISCE LA CATTEDRA DI CHIRURGIA PLASTICA C'è lavoro per gli esperti di una disciplina in crescita La facoltà di Medicina istituisce la cattedra e presto avvierà il corso di specializzazione CAGLIARI. Riecco la chirurgia plastica all'università di Cagliari con cattedra, ordinario e, al più presto, la scuola di specializzazione. Riaffiora fra gli insegnamenti impartiti nel corso di laurea, ma la novità è che diventa disciplina ufficiale fra le scelte possibili di un laureato che deve specializzarsi. Se ne fa ancora poca, chirurgia plastica, nella Sardegna meridionale, e molti dei professionisti che la praticano vengono "da fuori". La facoltà di Medicina ha deciso di aprire questo fronte per intero e c'è speranza che si riveli un buon investimento: qui, nel sud, soltanto l'ospedale Brotzu ha un reparto. Certo non è più tempo di doppioni, ma secondo i calcoli della facoltà non ci sarà disoccupazione per un chirurgo plastico. "La chirurgia plastica è molto interdisciplinare", spiega in parole povere Diego Ribuffo, il nuovo ordinario, allievo del celebre Scuderi dell'Università La Sapienza di Roma. Si affianca a parecchie branche della chirurgia e ricostruisce quel che altri sono stati costretti a togliere. Vale per gli arti, per la mammella, per la mandibola e altro ancora. Spiega il nuovo maestro che ormai il 95 per cento delle facoltà di Medicina italiane ha la scuola di chirurgia plastica ("anche a Sassari", sottolinea Ribuffo, da buon vicino), neppure la grande Bologna fino a un paio d'anni fa ce l'aveva ("ma c'erano e ci sono ospedalieri bravissimi..."). Negli ultimi vent'anni la disciplina s'è affermata, prima in Italia veniva considerata e praticata soltanto per risolvere problemi estetici. Non è un'arte nuova: precedono la nascita di Cristo le descrizioni di alcuni interventi su nasi, che venivano mutilati per punire ladri e adulteri. In epoca moderna le tappe sono la prima e la seconda guerra mondiale: "Dopo questi eventi bellici sono nate le grandi scuole in Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti un grande apporto è stato dato dalla sanità militare dell'esercito. Le scuole hanno trascinato tutta la chirurgia generale verso una nuova mentalità. Basta pensare alle mastectomie allargate di un tempo, mentre ora negli interventi alla mammella si punta alla conservazione". Ribuffo, 42 anni, a Cagliari dal 3 gennaio ma chiamato a operare dal 2002, si porta appresso l'esperienza e le scelte di campo fatte a Roma, negli Stati Uniti e in Australia. Come la ricostruzione della mammella dopo un tumore: "Già si occupano di questo i chirurghi generali, si tratta di potenziare il settore". E gli arti inferiori: dopo traumi, tumori, "assieme al chirurgo ortopedico - va avanti Ribuffo - si ricostruiscono parti compromesse per evitare l'amputazione". Poi, "il distretto testa-collo, con la ricostruzione della mandibola, che fanno bene in clinica otorino e che mi auguro di potenziare, così come in oculistica la ricostruzione della palpebra. Inoltre, con l'aiuto della facoltà, vorremmo aprire il centro studi sul melanoma e andremo avanti con i lavori sui linfonodi sentinella" (che vengono tolti oltre un certo spessore e possono lasciare zone da ricostruire). Infine, l'estetica. E' solo una piccola parte della "chirurgia plastica e ricostruttiva", ma nel sentire comune attira e tiene banco come soltanto il calcio e certa politica riescono a fare. E' vero che, negli anni, i pazienti sono cambiati: "Un tempo le persone che si presentavano al chirurgo avevano di frequente difficoltà psicologiche mentre adesso - spiega il docente - nella maggior parte dei casi vengono da noi persone consapevoli di sé e informate su ciò che la chirurgia estetica può offrire. Ma anche davanti al paziente più informato non bisogna rinunciare a parlarci, è indispensabile capire le sue ragioni profonde: ci possono essere persone, per esempio, che focalizzano altri loro problemi sul naso imperfetto. In un caso del genere può succedere che anche l'intervento più riuscito sul piano tecnico non potrà portare il paziente alla soddisfazione che cerca. E se si comprende che ci sono false aspettative, queste non vanno incoraggiate. Il colloquio con un chirurgo può concludersi anche con la decisione di non arrivare all'intervento. Si tratta di problemi ben riconosciuti e infatti nel corso di specializzazione metterò insegnamenti di psicologia e psichiatria. Perché l'obbiettivo della chirurgia estetica non può essere l'eterna giovinezza, ma il ritrovarsi un po' più in ordine". Alessandra SALLEMI ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 feb. ’05 CAGLIARI: L'AGONIA DELLA CLINICA PEDIATRICA Clamorosa denuncia dei medici. Il direttore Pintor: "Risposte o vado via" "Non c'è personale e la Asl ci ha abbandonati" Sos dalla clinica pediatrica Macciotta: personale insufficiente e scarse condizioni igieniche. Situazione assurda che si ripercuote sui piccoli pazienti, costretti a subire i disservizi di un ospedale che potrebbe essere all'avanguardia se solo ci fosse una migliore programmazione e qualche risorsa in più. "Tutto questo capita mentre Università e Asl non intervengono, malgrado le ripetute richieste di intervento. Se non ci saranno risposte in tempi brevi lascerò l'ateneo e l'ospedale". Non usa mezzi termini Carlo Pintor, direttore del dipartimento di Scienze pediatriche e della scuola di specializzazione in Pediatria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta il 31 gennaio: una lettera a firma di tutti i direttori delle unità della clinica Macciotta, indirizzata al direttore generale della Asl numero 8, Efisio Aste, al direttore e al dirigente sanitario della stessa azienda, in cui si evidenziava il problema infermieristico nella clinica. "Non abbiamo mai ricevuto una risposta, né positiva né negativa", ha spiegato ieri Pintor, in una conferenza stampa convocata assieme agli altri medici dell'ospedale pediatrico cagliaritano. "Lo stesso atteggiamento di questi ultimi anni. Così il degrado aumenta così come le difficoltà organizzative per l'esiguità del personale". Dai dati illustrati dal direttore del dipartimento, la clinica ha oltre il 30 per cento degli infermieri assunti con contratti part-time. "A questo bisogna aggiungere malattie, congedi, maternità", ha evidenziato Pintor. "Servirebbero più persone, ma soprattutto abbiamo bisogno di un aumento delle quote ora di servizio. Cioè personale che lavori di più. In questo momento raggiungiamo il 50 per cento del personale, per coprire i servizi offerti". Anche i professori Carlo Cianchetti e Adriano Corrias hanno aggiunto particolari che confermano lo stato di emergenza: "Nei tre scaglioni giornalieri riusciamo ad avere due infermieri per turno, il minimo indispensabile". Questo diventa insostenibile nel reparto di Psichiatria infantile, dove possono esserci episodi di violenza patologica, che devono essere affrontati con un personale maggiore di quello attualmente in servizio. "Poche settimane fa", ha aggiunto Pintor, "è stato trasferito senza preavviso un tecnico del nostro laboratorio. Ora siamo bloccati: utilizzava un macchinario a micrometodi, che permetteva di fare le analisi del sangue ai bambini con poche gocce di sangue. Ora non possiamo più contare su questo aiuto". Altra disfunzione quella della radiologia: le lastre eseguite in Pediatria devono essere trasferite al San Giovanni di Dio per essere sviluppate e poi tornare indietro. "Per fare questo serve un ausiliario che faccia la spola, privando la clinica di una persona interna". Basta un giro nei corridoi della clinica per accorgersi dello stato di abbandono di alcune ali dell'edificio: crepe nei muri, coperture del soffitto rotte, poltrone letto per le mamme dei bambini. Ancora: la Chirurgia pediatrica opera lontana dalle altre realtà pediatriche ("Serve un complesso pediatrico, senza se e senza ma", ha attaccato Pintor), mentre la Psichiatria infantile lavora senza che in Sardegna sia operativa una struttura di osservanza e ricovero per le emergenze. "Eppure le professionalità esistono, così come l'edificio", ha concluso Pintor. "Se ci fosse la volontà basterebbe poco per trasformare la clinica in un gioiello. Invece si rifiutano di darci delle risposte. Per questo, se non si troveranno soluzioni, lascerò definitivamente ospedale e Università". Matteo Vercelli I numeri dell'ospedale 30% La percentuale del personale infermieristico presente in clinica pediatrica rispetto a quello previsto. Un dato che crea gravi disagi nell'articolazione dei turni in tutti i reparti dell'ospedale. 50% La percentuale di personale presente rispetto a quello necessario alla copertura dei servizi. 2 Gli infermieri presenti nei singoli turni di lavoro. Il minimo indispensabile per il funzionamento dei reparti. Anche se in alcuni casi, come in Psichiatria infantile, il numero è del tutto insufficiente. 20 Il numero dei posti letto nel reparto di Pediatria. È sufficiente per coprire le richieste di degenza, in diminuzione per il calo delle nascite e per l'utilizzo sempre maggiore del day hospital. 1.000 I ricoveri in un anno nella clinica. 12.000 Le visite effettuate in dodici mesi nell'ospedale cagliaritano. (m.v.) _________________________________________________ Il Messagero 15 feb. ’05 MEDICI PIÙ RESPONSABILIZZATI PER LIMITARE LE PRESCRIZIONI di FEDERICO UNGARO ROMA - «Serve una politica di contenimento della spesa non legata solo al taglio dei prezzi. Insomma una visione , un po'più di lungo periodo». A parlare così è Vittorio Mapelli, professore di Economia sanitaria della facoltà di Medicina dell'Università di Milano e autore della ricerca "Invecchiamento e consumo di farmaci", la cui presentazione ha fatto da sfondo allo scontro tra Farmindustria e il ministro Sirchia. Professor Mapelli, perché dice che tagliare sui prezzi non va bene «Il taglio dei prezzi è uno strumento, ma direi che si deve usare solo come ultima risorsa. Gli attori di questo gioco, governo, aziende sanitarie locali e regioni, possono usare molte altre frecce». Quali sono? «In qualche regione è stata introdotta la distribuzione diretta dei farmaci attraverso le Asl, cosa che taglia i margini d i costo legato ai canali distributivi. Ancora si deve agire in modo da stimolare l'innovazione e il consumo responsabile dei farmaci»_ II volume in distribuzione da parte del ministero della Salute va in questa direzione... «Si ma non basta. Manca l'altra faccia della medaglia e cioè i medici. Anche loro vanno sensibilizzati in modo che si eviti una prescrizione eccessiva di prodotti farmaceutici». Quali sono i punti salienti della sua ricerca? «Lo studio ipotizza che entro il 2010 la spesa farmaceutica possa aumentare all'interno di una forbice compresa tra i19 e il 124 per cento rispetto alla spesa dei 2000. Il tutto sulla base di alcuni fattori che sono l'invecchiamento della popolazione, il peggioramento della salute nelle fasce più vecchie, l'aumento del prezzo dei farmaci come quello registrato tra il 1995 e il 2000 e l'aumcnto dei consumi». All'interno di questa forbice, quale sarà l'aumento più probabile che ci troveremo a registrare tra cinque anni? «Dirci che tutto sommato è abbastanza probabile un aumento del 100 per cento». Quindi che cosa bisogna fare? I dati dimostrano che non è più possibile sottovalutare le tendenze che sono in atto nel nostra paese, attuando solo interventi economici concentrati sul breve periodo. Bisogna fare un salto in avanti pianificando politiche di lungo periodo che tengano conto di tutte le variabili in gioca e dei loro effetti futuri». Quindi Farmindustria non ha tutti i torti a lamentarsi con il ministro della Salute... «Dirci di no, si è operato un po' troppo sul fronte dei prezzi». E sul fronte dell'innovazione' «Qui ha invece ragione il Ministro Girolamo Sirchia. Le imprese ne fanno poca e presentano troppi farmaci che sono in realtà fotocopie di quelli vecchi». __________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 feb. ’05 LA MADDALENA TELEMEDICINA, UN SIMPOSIO CON L'ASSESSORE DIRINDIN La moderna tecnologia telematica al servizio della medicina nelle situazioni di difficoltà, che sono tipiche delle isole minori. Il Rotary Club della Maddalena, in collaborazione con l'Associazione dei Comuni delle Isole Minori, nonché del Banco di Sardegna e del Parco Nazionale, ha organizzato per domani un simposio nel salone municipale (alle 9,30), proprio sulla possibilità di realizzare una rete di informazioni mediche. "Un Paese in rete: dalla banda larga alla Telemedicina", così è stato chiamato l'incontro, con al tavolo dei relatori illustri operatori del settore. A cominciare dalle esperienze raccontate da Maurizio Koch, l'operatività della larga banda di Sergio Piras della Tiscali e l'intervento conclusivo dell'assessore regionale alla sanità Nerina Dirindin. I problemi delle isole minori sarà invece trattato da Nino Scirè. I fondi per dare avvio a quello che potrebbe determinare la cancellazione delle distanze per i presidi ospedalieri delle isole minori provengono da un investimento di quasi 26 milioni di euro messi a disposizione dal Cipe già da qualche anno e riproposti all'attenzione del pubblico proprio dalle iniziative dell'Ancim. «Tutti i medici, circa diecimila, di medicina generale che operano in presidi del mezzogiorno italiano ? ha affermato Tomaso Casalloni, del Rotary Club - possono essere collegati fra loro con una rete telematica per offrire migliori servizi al paziente e tenersi in costante aggiornamento su tecniche e terapie». Il progetto, di cui si discuteranno i limiti durante il simposio, può fornire anche servizi di vigilanza medica, di formazione e aggiornamento professionale, di informazione agli utenti, di monitoraggio e prescrizione di varie attività sanitarie. Fra le finalità, l'idea di avviare una modernizzazione dell'indagine sanitaria affidata alle tecnologie di trasmissione delle immagini più moderne. Francesco Nardini __________________________________________________________ La Stampa 16 feb. ’05 RIFORMA: HANDICAP E DISAGIO SOCIALE, L’EDUCATORE CANCELLATO LA NUOVA RIFORMA UNIVERSITARIA DI FATTO MEDICALIZZA LE PERSONE IN DIFFICOLTA’ TRASCURANDO LA FORMAZIONE ESISTONO diritti che a prima vista sembrano garantiti per sempre. In realtà, molti di essi sono tutt'altro che consolidati e bastano piccole trasformazioni normative o culturali per metterne a rischio la sopravvivenza. Uno di questi è il diritto a realizzare in libertà le proprie potenzialità e le proprie ambizioni. Un diritto scontato per la maggior parte di noi, ma particolarmente prezioso per quanti non hanno la forza di rivendicarlo. Anche sotto leggi che li tutelano, per i soggetti in difficoltà l'aspirazione a sviluppare appieno le proprie capacità psichiche e fisiche resta di fatto una conquista quotidiana. Oggi è cosa comune incontare portatori di handicap nelle scuole, al lavoro in aziende pubbliche e private, in piscina, al cinema. La loro integrazione nella società è stata possibile grazie alla rivoluzione culturale iniziata alla fine degli Anni 60 da cui trassero origine le leggi che sancirono la chiusura degli ospedali psichiatrici, l'abolizione delle classi differenziali e la nascita dei SERT, i Servizi per la Tossicodipendenza. In quegli stessi anni nacquero in Italia gli «educatori»: persone dotate di buona volontà e senza particolari competenze, che prestavano la propria opera con i malati psichiatrici e con i ragazzi a rischio. Ben presto si capì che era necessario dar loro una formazione specifica, sia per aumentarne l'efficacia, sia per tutelarli in un lavoro logorante e ad alto coinvolgimento emotivo. Vennero, così, istituiti i corsi regionali per educatori professionali, basati su contenuti pedagogici, psicologici e sociologici. Nel 1998 il ministero della Sanità ha sancito il passaggio della formazione degli educatori destinati a operare nei servizi sanitari, come i Centri Socio-Terapeutici, i Servizi per le Tossicodipendenze e le residenze per disabili gravi, a un corso di laurea interfacoltà dipendente da Medicina e Chirurgia, con la collaborazione di Scienze della Formazione e di Psicologia. Questa decisione ha avuto due effetti quasi immediati: il primo è la chiusura dei corsi regionali, il secondo la frammentazione della figura dell'educatore in base all'ambito di intervento. Infatti, prescrivendo per i futuri operatori dei servizi socio-sanitari una formazione clinica, la legge li ha distinti nettamente dagli educatori impiegati nei servizi socio-assistenziali (comunità alloggio per minori, centri diurni, servizi di educativa territoriale). In realtà, sino ad oggi, i due percorsi formativi hanno conservato numerosi elementi di convergenza. Ma un fatto nuovo sta intervenendo a rendere più profonda la frattura: la riorganizzazione dei piani di studio in seguito all'introduzione della riforma universitaria che prevede, per le lauree triennali, un anno comune seguito da un biennio specifico per ciascun curriculum. Nella revisione complessiva delle professioni della riabilitazione, gli educatori professionali vengono di fatto equiparati ai fisioterapisti, ai logopedisti e ai podologi. Scomparse quasi del tutto la pedagogia e la psicologia, i futuri educatori saranno esperti di psichiatria, di biochimica e di farmacologia, ma non immagineranno neppure di svolgere una professione educativa. Il legittimo sospetto è che coloro che hanno concepito questo nuovo profilo dell'educatore intendano impiegarlo non in attività relazionali, che costituiscono il suo campo d'intervento specifico, ma piuttosto come un assistente del medico. Il limite di questa prospettiva è evidente: per indurre una trasformazione consapevole nel comportamento e nel pensiero di un paziente non sono sufficienti le medicine; è necessario aiutarlo a cambiare stile di vita. E ciò si può, forse, ottenere interagendo con lui, accompagnandolo giorno dopo giorno nella costruzione della propria personalità. Fare affidamento in modo esclusivo sul trattamento farmacologico è sbagliato: dal punto di vista economico, in quanto la medicalizzazione sclerotizza la malattia e rende il malato dipendente dai farmaci, con gravi costi sociali; dal punto di vista etico, poiché per sostenere le persone in difficoltà non basta riconoscerne formalmente i diritti ma bisogna garantire loro l'effettiva opportunità di crescere autonomamente; e infine dal punto di vista culturale, poiché si corre il rischio di riportare in vita il manicomio attraverso le medicine, di trasformare gli psicofarmaci, che negli ultimi decenni sono divenuti insostituibili supporti per l'intervento educativo e riabilitativo, in nuove camicie di forza, ancora più terribili in quanto più subdole. [TSCOPY](*)Università di Torino[/TSCOPY] Paolo Bianchini _______________________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’05 SIRCHIA, INDAGATA LA SEGRETARIA Acquisiti i documenti su un'altra consulenza registrata dell'attuale ministro per 110 milioni di lire l'anno Per vent'anni al Policlinico con lo stipendio pagato da una Casa farmaceutica MILANO - Per 20 anni, e fino al 1998, a pagare lo stipendio della segretaria particolare del primario del Policlinico di Milano, Girolamo Sirchia, è stata la società farmaceutica Ortho-Clinical Diagnostics: la signora lavorava per il professore nella Fondazione onlus dell'ospedale, ma a retribuirla non erano nè il Policlinico nè Sirchia, bensì (con contratto di lavoro) la società farmaceutica che nel contempo figurava anche tra i fornitori dell'ospedale. Per questo, in attesa di chiarire i contorni di quello che appare quantomeno un inelegante conflitto di interessi, è ora indagata per l'embrionale ipotesi di corruzione anche l'interessata, che nel frattempo è diventata oggi la segretaria particolare di Sirchia al Ministero della Salute (come verificabile sul sito web del dicastero). E nell'inchiesta sulla sanità milanese spunta un'altra robusta somma (circa 110 milioni di lire all'anno, dal 1997 al 2001) pagata dalla società farmaceutica Jannsen Cilag (collegata alla Ortho) all'allora primario del Policlinico e oggi ministro della Salute. Ma dietro questa somma c'è un dato formale apparentemente ineccepibile: sia sul versante dell'azienda, che ha regolarmente messo a bilancio le consulenze a Sirchia, sia sul versante del professore, che ne ha denunciato gli emolumenti e che aveva chiesto e ottenuto dal suo ospedale una preventiva autorizzazione. Eppure qualcosa (forse ancora il misterioso verbale segretato dell'indagato ex capo italiano dell'americana Immucor Inc., Nino De Chirico, già manager della Ortho) ieri ha spinto i pm Maurizio Romanelli e Eugenio Fusco a verificare la cornice di questi compensi a Sirchia, al cui nome già un'altra società del settore (appunto l'Immucor) nel 1999-2000 aveva indirizzato almeno tre assegni di 11mila marchi l'uno a compenso di "consulenze" negate invece dal ministro. Ieri, dunque, gli investigatori della sezione di polizia giudiziaria della Procura hanno bussato, per procedere ad "acquisizioni presso terzi", ad altre due società del settore: la Ortho-Clinical Diagnostics a Milano e la Janssen Cilag a Cologno Monzese (nel 1961 Cilag Chemie Italiana spa nasce per la commercializzazione dei prodotti farmaceutici e diagnostici di tutte le linee del gruppo Johnson & Johnson; poi, attraverso successive riorganizzazioni, giunge all'assetto societario attuale formato da Janssen-Cilag spa e da Ortho- Clinical Diagnostics spa). Nel fare riferimento al materiale acquisito il primo febbraio al Policlinico di Milano e alla deposizione di De Chirico, gli inquirenti hanno domandato ad entrambe le società "documentazione inerente le forniture al Policlinico, i contratti di consulenza e/o collaborazione con medici o ospedali pubblici, elaborati e attività dei consulenti e collaboratori, fatture emesse dagli stessi, relative e-mail, ed eventuale documentazione contabile infragruppo relativamente a tali contratti". Ma alle società (ecco l'altra novità) è stata chiesta anche un'altra cosa: appunto la "documentazione inerente il rapporto di lavoro/collaborazione con Daniela Notari", indicata tra i quattro nuovi indagati insieme a Enzo Papini (ex amministratore delegato di Ortho, in pensione), Walter Cernò (già assistente di Papini, in pensione), e Giovanni Guglieri (ex direttore finanziario di Ortho, in pensione). E' immaginabile che gli ex vertici della società si difendano spiegando di aver solo effettuato per anni una sorta di "donazione" alla Fondazione onlus del Policlinico, mettendole a disposizione una risorsa umana (la segretaria stipendiata dall'azienda) anziché contributi in denaro. Fatto sta che nel 1998, quando arrivano nuovi dirigenti ai vertici della società Ortho, nel quadro di "tagli" al personale essi provvedono subito a interrompere questo singolare rapporto di lavoro, valso in 20 anni a Sirchia il "risparmio" (stimabile in quasi un miliardo di lire) degli stipendi della segretaria a sua disposizione. Non è la prima volta che le due società, e uno dei loro dirigenti, compaiono nelle carte dell'inchiesta emersa il 29 settembre 2003 con gli arresti domiciliari del professor Giuseppe Mercuriali, il primario di Niguarda poi suicida a casa sua (dove tra i primi a precipitarsi la mattina del suicidio fu l'amico e collega Sirchia). Proprio nel suo memoriale, Mercuriali scriveva: "Una società per cui sono stato consulente, a partire dall'inizio della mia carriera, è stata la Ortho Diagnostisc (già Cilag). Io e altri colleghi, abbiamo realizzato il primo libro italiano di immunoematologia che è stato edito dalla società e distribuito gratuitamente: due generazioni di specialisti vi hanno studiato. E presso questa società ho contribuito a creare la Biblioteca di Ematologia e Immunoematologia più ricca d'Italia. Questa attività ha determinato che il presidente di allora della Cilag, sig. Papini, per questa opera sia stato insignito della laurea honoris causa in Medicina dall'Università di Ferrara". Luigi Ferrarella _____________________________________________________ Libero 17-02-2005 LA FERTILITÀ DI LUI? UNA QUESTIONE DI PESO CORPO E ORMONI RICERCA SU 1500 GIOVANI Se é troppo magro 0 obeso i suoi ormoni ne risentono e la qualità dello sperma peggiora di GI IANLUCA GROSSI GOPENHAGHEN - Essere troppo grassi o troppo magri nuoce alla fertilità maschile. È quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori del Rigshospitalet di Copenhagen, in Danimarca. Essi, in particolare, hanno preso in esame 1.558 ragazzi, aventi in media 19 anni, in procinto di partire per il servizio militare. Gli esperti danesi hanno cosi scoperto che l'indice di massa corporea (BMI, dato dal rapporto tra il peso e l'altezza) influisce sulla produzione di estrogeni, la cui azione è alla base della qualità degli spermatozoi. Per ogni soggetto coinvolto nell'esperimento è stato inizialmente calcolato l'indice di massa corporea, e in seguito si è proceduto all'analisi della qualità dello sperma. Tenendo conto che per gli uomini un indice BMI considerato normale varia tra 20 e 25 kg/ml, la conta spermatica e la concentrazione spermatica è risultata più bassa del 28,1% e del 36,4%, rispettivamente, negli uomini con peso corporeo inferiore alla norma e più bassa del 21,6% e del 23,9%, rispettivamente, negli uomini in sovrappeso. I ricercatori hanno dichiarato che la minore fertilità negli uomini troppo magri e in quelli over size dipenderebbe dalle alterazioni della produzione di estrogeni da parte delle cellule adipose. Gli estrogeni sono ormoni steroidi a 18 atomi di carbonio prodotti sia dai testicoli sia dall'ovaio e dalle ghiandole surrenali. In particolare i livelli sierici del testosterone, della globulina che lega l'ormone sessuale (5HBG), e della inibina B sono risultati tutti diminuiti con l'aumentare dell'indice di massa corporea, mentre l'indice di androgeno libero e l’estradiolo sono aumentati in rapporto all'obesità. L'ormone follicolo stimolante (FSH) plasmatico è inoltre risultato più elevato tra gli uomini magri. Infine si è potuto constatare che gli unici parametri a non essere condizionati dall'indice di massa corporea sono il volume del liquido seminale e la percentuale di spermatozoi mobili. L'infertilità maschile rappresenta circa il 35% delle cause di infertilità nella coppia. Nelle donne è invece soprattutto l'obesità a far correre il rischio di non avere figli. In questo caso nell'organismo femminile si hanno un accumulo eccessivo di glucosio, acidi grassi, e aminoacidi: essi innescano una lunga serie di azioni metaboliche che coinvolgendo l'insulina, alcuni neurotrasmettitori quali le endorfine e la dopamina, nonché ormoni estrogeni e la proteina SHBG, provocano la sindrome dell'ovaio policistico, (PCO) caratterizzata da alterazioni dell'ovulazione, aumento di androgeni circolanti, alterazioni dell'equilibrio ormonale, alterazioni mestruali, e quindi sterilità. Ma la raccomandazione degli esperti è comunque quella di non esagerare con la mania del peso forma, poiché un minimo di grasso corporeo è indispensabile anche alle donne per mantenersi fertili. Essi affermano infatti che rimanere al di sotto del peso minimo accettabile, ad esempio in seguito ad una dieta o a causa di un intensivo allenamento sportivo, può portare alla sterilità. Questo pericolo interessa soprattutto le sportive: infatti, se in media nel corpo femminile la percentuale di grasso corporeo varia dal 20 al 22 per cento, nelle atlete non supera il 10 per cento. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ ___________________________________________________ il Giornale di Napoli 17-02-2005 SOCIETÀ DI CHIRURGIA, BRACALE È IL PRESIDENTE NOMINA. È DOCENTE ALLA FEDERICO II Giancarlo Bracale, docente ordinario di Chirurgia Vascolare dell'Università di Napoli Federico II esponente della scuola fondata dal professor Giuseppe Zannini, è stato eletto, per il prossimo biennio, presidente della Società napoletana di Chirurgia. Nel 2005 ricorre l’80esimo anniversario della fondazione della prestigiosa Società: alla sua presidenza si sono avvicendati nel corso degli anni prestigiosi nomi della chirurgia italiana tra i quali figurano i professori Torrazza, Ruggeri, Zannini, Mazzeo e Dorimo. Con Bracale fanno parte del nuovo direttivo i vicepresidenti Giulio Belli, Enrico Di Salvo, Ludovico Doriano, Biagio Trojaniello ed i consiglieri Angrisani, Ansalone, De Palina, Di Martino, Marano, Marzano, Masclla. Mirone, Pucci, Romagnuolo, Servillo, Sodo, che sarà il nuovo segretario, e Buonanno tesoriere. ____________________________________________________________ LA GAZZETTA DEL METZOGIORNO 17-02-2005 ASMA, UN ANTICORPO PER FAR MENO DANNI Un farmaco riduce le riacutizzazioni Asma, un anticorpo ti metterà la sordina- La rivista c