UNA GOVERNANCE PER LE UNIVERSITÀ - L’INGIUSTIZIA VERSO I RICERCATORI UNIVERSITARI - ALLARME CGIL SUI TAGLI ALLE RISORSE PER LA DIDATTICA E LA FORMAZIONE - MENO FUORICORSO MA ITALIA IN CODA A 30 PAESI OCSE - LA RICERCA NON HA BISOGNO DI MORATTI - GIURISPRUDENZA: PRONTA LA RIFORMA - UN PORTALE PER I RICERCATORI - RIVA: IL TEATRO DEI CORPI, TUTTI I COLORI DELL'ANATOMIA - ISCRITTI UNIVERSITÀ LA SARDEGNA AL QUINTO POSTO - PASQUALE MISTRETTA: MAGNIFICO IN OGNI COSA CHE FA - MISTRETTA: «NON DOBBIAMO FARCI SOPRAFFARE» - MEDICINA PROPONE CHIRURGIA PLASTICA A CAGLIARI - TASSE, L'ATENEO FA I CONTI AL BANCO - L'EQUAZIONE DI EINSTEIN HA UNA SOLUZIONE - LA LUNGA VITA DI EMILIO SEGRÈ - ZEDDA: LA TELEFONATA DELL'OPERAIO SARDO FA IL GIRO DEL MONDO - IGLESIAS. ISTRUZIONE NEGATA - ======================================================= EMBRIONALI, GLI ITALIANI DICONO SI - LA SCIENZA, L'EMBRIONE E I CATTOLICI - «NUOVI PROGRESSI CON LE STAMINALI ADULTE» - VELENI A MEDICINA LEGALE, SI DIMETTE IL DIRETTORE - MEDICINA LEGALE: NESSUN BLOCCO ORA ARRIVA IL COMMISSARIO - LA DIRINDIN VUOLE MANDAR VIA ASTE - DIRINDIN: MEDICI DI FAMIGLIA SUL PIEDE DI GUERRA - AIDS, LA CHIMERA DEL VACCINO - GENOVA, IN ARRIVO NUOVE CURE PER L'EPATITE C - CNR: LA MANO DI PADRE PIO E QUEI RAGGI BENEFICI - MAPPATI I «GENI DELLE DONNE» - NUOVE CURE PER IL TUMORE ALLA PROSTATA - PSORIASI, LA RICERCA "BIO" NUOVA DIFESA PER LA PELLE - MEZZO MILIARDO DI CASI DI MALARIA L'ANNO - IL GENE DELLA CECITÀ SENILE - ======================================================= _____________________________________________ Il Sole24 Ore 17 mar. ’05 UNA GOVERNANCE PER LE UNIVERSITÀ DI FRANCO MORGANTI Una catena umana di mille persone alla Statale di Milano per manifestare contro il disegno di riforma della docenza universitaria. «Più fondi alle università e posti di lavoro stabili», così chiedevano dottorandi, ricercatori e professori. Ma sarà questa la ricetta per salvare l'università italiana? Basterà questo per far finire la farsa dei concorsi a cattedra, per far finire la finta equiparazione degli atenei italiani in nome di un valore legale del titolo di studio che nessuno, all'atto dell'assunzione nelle imprese, guarda più? Avrei molti dubbi. Per questo ho ascoltato con interesse le opinioni espresse da alcuni accademici, che si riconoscono nell'associazione «Futura», e che i13 marzo a Milano, lo stesso giorno della protesta, hanno presentato alcune tesi innovative per la riforma universitaria. I nomi principali sono quelli di Mario Benassi, cui si deve la relazione di base, Maurizio Decina, Guido Vannucchi. Benassi si è chiesto anzitutto perché il tema universitario interessi così poco e le risposte sono: perché non paga elettoralmente, perché ci sono altre più urgenti questioni sul tappeto, perché il tema è trasversale e scompaginerebbe la compattezza degli schieramenti, costringendoli a fare i conti con vari corporativismi. Se questo è vero, nessun appello morale all'importanza del tema servirebbe a molto, se non fosse accompagnato da solidi contenuti di riforma, su cui i1 confronto, ancorché arduo, sarebbe difficilmente eludibile. E la prima questione è proprio quella del finanziamento. Perché «più fondi (statali) all'università», che adesso rappresentano l’80-90% della spesa? Blair ha aumentato la tassa universitaria da mille a tremila sterline, portando il contributo degli studenti a una quota più ragionevole, ma la riforma strutturale dell'università inglese risale alla Thatcher. Rispetto a quella, la riforma Moratti è acqua fresca. Quelli di Futura pensano che il finanziamento statale potrebbe scendere anche al 50 per cento. Per dirla da liberali: perché i non universitari devono contribuire così tanto a un servizio per -i soli universitari? E dov'è la concorrenza fra atenei, se i titoli di studio sono tutti uguali e le università non possono scegliersi i docenti in autonomia? Recentemente sono state sperimentata forme dì autonomia rappresentate da fondazioni e lo strumento idoneo esisterebbe, anche dal punto di vista giuridico: si tratta delle note "fondazioni di partecipazione", che hanno risolto il problema della collaborazione pubblico-privato. Tuttavia le esperienze fatte non sono tali da risolvere il problema alla radice, perché di concorrenza fra università se ne vede ancora poca. In sostanza si arriva a un problema di governance, e Benassi ha tracciato le linee di una riforma. Un Ministero che agisca sulle università solo attraverso un'Agenzia di valutazione, gli atenei retti da un Consiglio d'amministrazione (per programmi e budget) che governi sia la ricerca che le attività didattiche e a fianco un Consiglio accademico, senza influenza sulla governance ma solo sulla qualità dei contenuti. E nel Consiglio d'amministrazione, la maggioranza ai docenti (in rappresentanza dell'azionista Ministero) e la minoranza agli altri stakeholder che contribuiscano al finanziamento: istituzioni locali, fondazioni bancarie, imprese. Il rettore eletto dal Consiglio d'amministrazione come l’amministratore delegato di una società. Utopia? Forse bisognerebbe trovare una Thatcher per pensare finalmente "diverso", qualcuno che introduca nel sistema universitario un po' di competizione sui docenti, sugli studenti, sui fondi pubblici, sulle istituzioni locali, sulle imprese interessate alla ricerca e alla formazione. E che avvicini le rette al costo del servizio, facendo lo sconto a chi lo meriti e non abbia il reddito per pagarselo. franco_morganti@libero.it __________________________________________________ Il Corriere della Sera 15 mar. ’05 L’INGIUSTIZIA VERSO I RICERCATORI UNIVERSITARI A proposito del dibattito sullo stato giuridico dei professori e ricercatori universitari volevo richiamare l’attenzione sulla profonda ingiustizia che si sta perpetrando nei confronti dei ricercatori e soprattutto dei «maturi». Molti ricercatori, sicuramente tutti quelli che hanno «affidamenti» ufficiali di insegnamenti nei corsi di laurea principali, non hanno potuto partecipare e «vincere» i concorsi solo perché questi non sono stati banditi, o, peggio, ne sono stati dissuasi. Nessuno ora vuole «regali», se ne è già abusato troppo fino ad oggi. I vecchi ricercatori, con almeno 15 anni di servizio, quelli a cui, per almeno 5 anni, le facoltà, ritenendoli meritevoli e capaci e che ora si vuole mettere ad esaurimento hanno affidato insegnamenti ufficiali nei corsi di laurea principali ritengono di essersi conquistati il sacrosanto diritto di veder riconosciuta la loro capacità ed i loro indiscussi meriti almeno con concorsi riservati prioritari a «professori associati confermati» tanti quanti sono gli affidamenti nei corsi di laurea principali. Solo dopo ciò, verificate le reali necessità restanti, si potranno aprire i concorsi nazionali a tutti; faccio gentilmente presente, comunque, che questi nuovi concorsi, come insegna il recente passato, sicuramente non sono stati né saranno in futuro la panacea dei mali dell’università. I ricercatori italiani, che sostengono la stragrande maggioranza del carico didattico delle università, soprattutto a Medicina, non vogliono essere costretti a morire per esaurimento e non possono accontentarsi del risibile titolo senza valore di professore aggiunto o aggregato: non è per questo che hanno speso la loro vita nell'università e non vogliono vedersi gettare via, quasi per un capriccio, anni di sacrifici e di concrete aspettative, ma vogliono lavorare sempre di più e meglio nell’università e per l’università. Giulio Mazzilli Ricercatore di Medicina Docente Affidatario di Chirurgia Vascolare Università di Verona _____________________________________________ Il Sole24 Ore 12 mar. ’05 ALLARME CGIL SUI TAGLI ALLE RISORSE PER LA DIDATTICA E LA FORMAZIONE «Stanziato solo il 6% dell'investimento previsto» ROIWIA, La Flc-Cgil lancia l'allarme tagli nella scuola. Cifre alla mano, per il sindacato i conti non tornano; a cominciare dal piano programmatico approvato nel 2003 per finanziare la legge di riforma Moratti, che prevedeva investimenti per 8,3 miliardi nell'arco di un quinquennio a partire dall'anno scorso. Allo stato attuale, lo stanziamento sarebbe di soli 465,2 milioni. Questo significa, continua la Flc-Cgil, che per i primi tre anni di applicazione il piano programmatico su esprime in misura inferiore al 6% rispetto alla cifra prevista. Secondo il dossier, presentato in occasione del convegno «Conoscenza, sviluppo, pace, democrazia», in un triennio i tagli agli stipendi del personale supplente sono stati del 35%, con un risparmio di 871 milioni. La voce «funzionamento didattico e amministrativo», che serve per fronteggiare tutta la spesa corrente negli ultimi anni, ridotta del 44 per cento. Per i fondi della legge 440 per la formazione, in questa legislatura, una riduzione che sfiora il 22 per cento. Unico settore in ascesa sarebbe la scuola privata, con un aumento stimato del 53,35% nel confronto tra il 2004 e la previsione del 2005. Nel quadriennio 2001/2005 l'unica categoria di spesa del bilancio dell'Istruzione a risultare in aumento è quella della voce "personale". Incremento dovuto in gran parte al costo del rinnovo contrattuale del 2003, che ha impegnato 3,6 miliardi. Ma nell'arco di 5 anni l'aumento complessivo della spesa sarebbe stato di soli 120 milioni. «A fronte di una riforma del sistema scolastico che viene presentata come un avvenimento storico - commenta Enrico Panini, leader del sindacato - gli investimenti sono di gran lunga inferiori agli impegni dichiarati e sono la diretta conseguenza dei tagli fatti ai bilanci delle scuole e al personale». L'analisi si sofferma anche sul versante dell'università e della ricerca. Per gli atenei la Flc-Cgil accusa il ministro Moratti di «bloccare perentoriamente i concorsi per l'assunzione di personale a tempo determinato e indeterminato» dopo lo sblocco delle assunzioni previsto dalla Finanziaria 2005. Inoltre, secondo il sindacato, sono stati incrementati i finanziamenti alle università private, penalizzando le pubbliche. Anche sulla ricerca la Flc-Cgil sottolinea la riduzione del 18% delle risorse per il Cnr, dal 2002 a oggi. LUIGI ILLIANO _____________________________________________ Il Sole24 Ore 15 mar. ’05 MENO FUORICORSO MA ITALIA IN CODA A 30 PAESI OCSE Confronto / Pochi titoli Nel 1999 la formula solenne della proclamazione di un nuovo dottore è risuonata 139mi1a volte nelle università italiane, ed è stata rivolta quasi sempre a studenti "attempati": quasi il 90% di loro, infatti, aveva iniziato la propria carriera universitaria da almeno cinque anni, e i122% poteva "vantare" un'avventura accademica ultradecennale. Da allora il sistema universitario ha fatto passi da gigante. Nel 2003 (a cui si riferiscono gli ultimi consuntivi disponibili) i laureati sono stati 233.501 e tra loro i fuoricorso sono scesi al 67,8%, ma i confronti internazionali continuano a essere impietosi. La competitività italiana soffre per una cronica carenza di laureati, aggravata dagli orientamenti degli studenti che disertano i corsi-pilastro della ricerca scientifica e tecnologica. Pochi dottori. I numeri più eloquenti sono contenuti nell'ultimo rapporto «Education at a Glance» dell'Ocse, che mette a confronto la percentuale di laureati nella popolazione compresa fra i 25 e i 34 anni dei diversi Paesi dell'Organizzazione. Nella classifica delle 30 Nazioni, l'Italia (con il 12%) condivide con Repubblica Ceca e Portogallo la quart'ultima posizione, distante dal 19% registrato come media Ocse e lontanissima dalle posizioni di testa occupate da Norvegia (37%) e Stati Uniti (31 per cento). Tra le principali potenze economiche, solo 13 Germania presenta un dato simile (13%) a quello del nostro Paese, mentre Giappone (25%), Regno Unito (23%) e Francia (19%) mostrano numeri più importanti. Agire sulla domanda. Le differenze tra i sistemi universitari dei vari Paesi spiegano solo in minima parte il dato italiano, perché il confronto prende in considerazione la formazione accademica classica escludendo i corsi post-diploma direttamente orientati al mercato del lavoro, assenti nel nostro Paese prima della riforma del «3+2». «Il problema vero - riflette Giuseppe Roma, direttore generale del Censis - è che la domanda di laureati da parte del tessuto produttivo locale, composto soprattutto da Pini, è deludente. Per orientare le scelte dei giovani servono sistemi industriali e dei servizi forti in grado di influire anche sull'offerta formativa delle università, che da sole non sanno cambiare». Per avvicinare l'Italia agli altri grandi Paesi sviluppati, quindi, bisogna agire sulla leva della domanda di laureati. «Per avere successo - afferma Roma - occorre smettere di pensare che l'industria sia la palla al piede del sistema, perché ci sono comparti manifatturieri che reggono e che per svilupparsi hanno bisogno di introdurre conoscenza». _____________________________________________ Liberazione 16-03-2005 LA RICERCA NON HA BISOGNO DI MORATTI Contro il ministro sit-in al Cnr Oggi Letizia Moratti interverrà al CNR di E le Moro a pochi metri dall'Università La Sapienza, in un convegno dedicato alla mobilità europea dei ricercatori. E' l’ennesima provocazione da parte di un ministro ormai inviso all'intero mondo dell'Università e della ricerca, scrivono studenti e ricercatori del presidio anti Moratti. 1 Ministro, infatti, con il suo progetto di precarizzazìone della ricerca, spinge gli scienziati ad andarsene, ma certo non per amore di novità o di esterofilia. Sono la mancanza di finanziamenti e l'assenza di garanzie a lungo termine le prime ragioni per cui i ricercatorì abbandonano università ed enti di ricerca italiani e si danno alla fuga dei cervelli ormai entrata nel linguaggio quotidiano. Il ministro Moratti, da quando è al governo, ha regolarmente ignorato i bisogni reali dell'Univeristà e della ricerca e le sue proposte incontrano un'opposizione ormai unanime. Così questa mattina davanti al CNR studenti e ricercatori tenteranno di impedire l'accesso del ministro al convegno ed invitato tutti a partecipare. Appuntamento alle ore 9. _____________________________________________ Il Sole24 Ore 12 mar. ’05 GIURISPRUDENZA: PRONTA LA RIFORMA In autunno debutta la laurea quinquennale BOLOGNA a La 'riforma della laurea in Giurisprudenza, costruita sul modello dell' 1+4, muoverà i primi passi a partire dal prossimo anno accademico. Alla seconda Conferenza nazionale dell'Associazione nazionale dei giovani avvocati (Aiga) che si è aperta ieri a Bologna, il sottosegretario all'Istruzione, Maria Grazia Siliquini, ha infatti detto che il Cun ha già espresso il proprio parere. Ora la bozza di decreto ministeriale che introduce la nuova classe delle lauree magistrali in Giurisprudenza, con percorso quinquennale unitario, è alla firma del ministro Letizia Moratti. Il provvedimento dovrebbe vedere la luce nelle prossime settimane. In questo modo, la riforma potrà partire sperimentalmente già dal prossimo anno accademico. E si tratterà - ha detto Siliquini - di un «cambiamento radicale per le facoltà giuridiche». Accanto alle discipline attualmente previste, alcune delle quali saranno tra l'altro rafforzate, dopo il primo anno ne debutteranno alcune inedite, tali da garantire «una nuova figura di laureato con un livello di formazione più elevato dell'attuale». Le novità riguarderanno lo studio obbligatorio degli ordinamenti giudiziari, la deontologia professionale, la logica e l'argomentazione giuridica, la sociologia, l'informatica giuridica e la conoscenza - anch'essa giuridica - di almeno una lingua straniera. Se il primo anno sarà uguale per tutti, dal secondo (ma già all'atto dell'iscrizione potrà essere espresso l'orientamento) gli studenti saranno chiamati a scegliere tra due diversi percorsi. Un primo percorsa è quello che porterà alla nuova laurea magistrale, aprendo così le porte delle professioni di avvocate), magistrato e notaio. Il secondo percorso, invece, più breve, durerà in tutto tre anni e consentirà al laureato di lavorare in banche, imprese, assicurazioni e nelle pubbliche amministrazioni. Se la commissione Siliquini (che ha la delega ministeriale all'accesso alle professioni) ha quindi concluso il lavoro sulla laurea magistrale, va invece avanti quello sulle scuole di specializzazione. «Siamo comunque alle battute finali = ha detto il sottosegretario - e anche in questo caso la base della riforma è certa e condivisa: il percorsa biennale, un misto di pratica retribuita e teoria, non sarà un doppione degli studi universitari. Anche per evitare un simile rischio, introdurremo infatti criteri di accreditamento ministeriale per dare pari dignità alle scuole forensi e a quelle universitarie». AL termine del biennio il «laureato magistrale specializzato» dovrà quindi sostenere l'esame, e anche questa prova andrà rivista rispetto all'attuale. Per l'esercizio della professione occorreranno, dunque, almeno sette anni di preparazione. E poi? «E poi - ha detto il presidente dell'Aiga, Mario Papa - occorre abbattere le cosiddette "soglie di anzianità" che, in molti casi, penalizzano i giovani avvocati». Alla seconda Conferenza dell'Associazione - dedicata appunto alla «Tutela dei giovani avvocati» - Papa ha infatti puntato l'indice contro alcune disposizioni che rischiano di provocare «l'esplosione di un nuovo conflitto generazionale». Sotto accusa, l'articolo 81 del Dlgs 1l5/2002, che richiede un'anzianità di sei anni di iscrizione all'Albo (poi ridotti a due dalla legge 25/2005) per l'abilitazione al gratuito patrocinio e di due anni per l'iscrizione nell'elenco dei difensori d'ufficio; sotto accusa, ancora, i 15 anni richiesti per l'iscrizione negli elenchi dei conciliatori, nonché l'anzianità di 12 e di 10 anni per l'elettorato passivo, rispettivamente, al Consiglio nazionale forense e alla Cassa di previdenza della categoria. «Restrizioni che - ha detto Papa - nel giorno in cui la parola d'ordine è competitività occorre avere il coraggio di eliminare». II ministro della Giustizia Roberto Castelli - che ha chiuso i lavori di ieri - ha promesso di approfondire «almeno le ultime due questioni», quelle cioè di sua più stretta competenza. MARCO PERUZZI __________________________________________________ Repubblica 16 mar. ’05 UN PORTALE PER I RICERCATORI Presentato a Roma un network che guarda all'Europa "Ma vogliamo bloccare la fuga dei cervelli" "Più conoscenza, meno mobilità" di MONICA ELLENA ROMA - Un portale per la mobilità dei ricercatori e un network made-in-Italy che guarda all'Europa per il trasferimento di conoscenze. Un progetto nuovo (www. fondazionecrui. it/eracareers/italy/default. htm) nato nell'ambito della rete europea sulla mobilità finalizzato a favorire lo scambio dei ricercatori e con loro conoscenze ed esperienze tra l'Italia e il resto del mondo è stato presentato oggi al Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma. Scopo principale quello di aprire nuove opportunità, snellire la burocrazia, e richiamare stranieri dall'estero. Una mobilità che "non deve essere senza prospettiva - ha detto Guido Possa del Miur, intervenuto alla presentazione del portale al Consiglio Nazionale delle Ricerche - ma uno strumento che serve a raggiungere l'eccellenza della ricerca e una garanzia di veicolo e rete di conoscenze". Flessibilità quindi la nuova frontiera della ricerca. Ma non l'unica. "Viviamo sulla nostra pelle la mobilità - ha detto Andrea Capocci, fisico ricercatore precario e portavoce di ricercatori precari in protesta fuori dal Cnr - e temiamo che questo gran parlare di mobilità si traduca in un aumento della fuga dei cervelli all'estero". Trentadue anni, cinque dei quali passati tra Svizzera e Francia, per Capocci "la mobilità non deve diventare emigrazione, non può coniugarsi con un precariato a vita". Una critica che s'inserisce nel fronte dell'opposizione di gran parte del mondo universitario al più recente decreto di legge delega firmato dal ministro Moratti sul riordino dello stato giuridico dei professori che, tra gli altri, mette ad esaurimento la figura del ricercatore. Un provvedimento che, dopo essere approdato alla Camera, è stato rimandato alle Commissioni per correttivi. Richiamare i cervelli, avverte Capocci, non basta. "Nessuno lascia rispetto ed eccellenza all'estero per trovare anonimato e precarietà in Italia. Se non si arriva ad un sistema organico nel quale la ricerca è un elemento portante dell'università e non un qualcosa al quale destinare le briciole dei finanziamenti non utilizzati, l'esilio continuerà e non ci sarà ritorno". Siamo ultimi. Eppure l'Italia rimane il fanalino di coda per ciò che riguarda la mobilità in ricerca. Appena 2,2 per cento contro il 3 e il 4 negli Stati Uniti e in Giappone, percentuali che raggiungono il 9 in Cina e il 6,4 in India. E in un quadro normativo disorganico, in Italia ci sono solo 2,8 ricercatori per mille abitanti mentre in Francia sono 7,2, in Germania 6,8 e 5 in Spagna. "Non possiamo nasconderci il fatto che la realizzazione della mobilità è fondamentale per l'alta formazione - spiega Piero Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori italiani. E ribadisce: "Non vogliamo una microriforma ma una riforma seria. Ci si è accorti di quanto fosse sbagliata una politica che non investe in ricerca. La formazione è stata svalorizzata sia all'università sia nelle scuole e c'è una carenza cronica di investimenti". Nella giungla di bandi, concorsi, borse di studio, si comincia a fare pulizia e coordinare le iniziative. La più importante è ERA-MORE - European network of mobility centres - , la rete dei centri di mobilità, frutto di un'iniziativa congiunta della Commissione Europea e dei paesi che partecipano al Sesto programma quadro di ricerca dell'Unione Europea, che registra circa 200 centri di mobilità con un servizio di informazione e assistenza ai ricercatori in mobilità. Il portale pan-europeo per la mobilità dei ricercatori (http://europa. eu. int/eracareers/index-en. cfm) nasce come strumento di supporto, offrendo servizi di inserimento e pubblicazione di bandi e offerte di lavoro nel settore della ricerca da parte di enti ed organismi e curricula da parte dei singoli ricercatori. Lo scopo è fornire assistenza ai ricercatori e alle strutture che ne gestiscono la mobilità con informazioni aggiornate sulle politiche europee, nazionali e regionale e sul sistema della ricerca in Italia, oltre a risposte su questioni ammnistrative e giuridiche - visti, permessi di soggiorno e di lavoro, previdenza sociale, tasse. Quelli che arrivano dall'estero. Se i ricercatori italiani scelgono di perfezionarsi - e spesso di femarsi - all'estero, soprattuto verso Stati Uniti e Gran Bretagna, il nostro paese è di gran lunga meno appetibile per i cervelli stranieri. Nel triennio 1999-2002 con il Quinto programma quadro per la ricerca in Europa sono state appena 500 le domande per borse di studio di ricerca nel nostro paese. Oltre 2000 le richieste per la Gran Bretagna. Gli stranieri sono appena lo 0.8 per cento sul totale dei ricercatori. "Essere bravi non basta, c'è bisogno di strutture, attrezzature, un sistema organico" - spiega Andrea Scozzafava, delegato nazionale per il Comitato "Risorse Umane e mobilità" del Sesto programma quadro. A dire che la mobilità in uscita non è dovuta solo alle carenze del sistema italiano, ma alla maggiore attrattività degli altri paesi. Sul come rendere l'Italia attraente agli occhi stranieri Cristina Gandolfi, responsabile dei rapporti tra Università e mondo delle imprese di Confindustria elenca remunerazioni adeguate, produttività, valorizzazione dell'esperienza privata. Ma la mobilità, non solo tra paesi, ma anche intersettoriale, può essere penalizzante. Non è un caso che il Sesto programma quadro abbia introdotto per la prima volta premi di "reintegrazione" per aiutare il reinserimento dei ricercatori che, dopo un periodo all'estero, si ritrovano a ricominciare da capo al loro ritorno. Se secondo l'APRE - l'Agenzia per la promozione della ricerca europea - per la maggioranza dei ricercatori italiani che hanno trascorso un periodo all'estero, "la borsa di studio ha arricchito il bagaglio scientifico, culturale e personale", il rischio è che la mobilità "selvaggia" diventi l'unica strada. __________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mar. ’05 IL TEATRO DEI CORPI, TUTTI I COLORI DELL'ANATOMIA Alessandro Riva racconta l'Atlante di Fabrici d'Acquapendente, in mostra a Venezia Lo chiama Fabrizio, confidenzialmente. Può permetterselo. Alessandro Riva può permettersi di dare del tu a Girolamo Fabrici d'Acquapendente, (1533-1619) per cinquant'anni professore di anatomia all'Università di Padova, allievo di Falloppio, medico tra i più famosi al mondo, «certamente tra i più ricchi». Certificatore ufficiale della verginità delle principesse, salvatore della patria (curò Paolo Sarpi, gravemente ferito in un attentato dei Gesuiti), autore del primo teatro anatomico permanente, chirurgo abilissimo. E autore, soprattutto, del primo e più grande Atlante di anatomia a colori della storia della medicina. Il professor Riva, docente di anatomia all'Università di Cagliari, appassionato storico della medicina, curatore del museo delle cere anatomiche di Clemente Susini, lo ama appassionatamente. Si intuisce da come racconta la storia della mostra che dal 17 dicembre (e fino all'8 maggio) occupa a Venezia le sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, Libreria sansoviniana. Si intitola Il Teatro dei corpi (nome suggerito dallo stesso Riva che si è ispirato al titolo latino dell'Atlante, Totius Animali Fabricae Teatrum), e propone circa duecento grandi tavole a colori, dipinte a olio, ideate e fatte eseguire da Girolamo Fabrici ai più grandi artisti dell'epoca - molti di scuola fiamminga - pagati profumatamente perché riproponessero sulla carta le parti anatomiche dei cadaveri di uomini e animali che con i suoi assistenti dissezionava nel suo teatro. Parecchie riportano errori anatomici evidenti, altre sono perfette, tutte sono bellissime e assai utili sul piano didattico. Lo stesso Fabrizio le usava nelle sue lezioni. Racconta Riva che se alcune tavole riportano errori macroscopici, altre anticipano scoperte scientifiche di molto successive. «Come questo ventricolo di Monro, che si chiama così perché Monro lo scoprì nel 1761 e noi lo ammiriamo 150 anni prima, come la scoperta dell'aracnoide, o della scissura di Silvio, così chiara». Descrizioni sorprendenti e inquietanti, per un teatro dei corpi esaltato dalla perizia dei pittori. «Vede questo bianco? Sono le fibre del cervello. Vede questi muscoli? Queste ventricoli? Perfetti». Tavole su carta e cartone ritenute dei veri capolavori dai contemporanei, e poi purtroppo cadute nel dimenticatoio. Ci rimasero a lungo, finché un professore di anatomia del '900 le riscoprì. Era il 1909 e Giuseppe Sterzi aveva già sostenuto il concorso che lo avrebbe portato a Cagliari, per cinque anni, dal 1910 al 1915, a ricoprire la cattedra di anatomia, ad avere per allievi Giuseppe Brotzu e Mario Aresu. «Fu mentre studiava i testi di un medico padovano che trovò una lettera intrigante», racconta Riva. «C'era scritto che il grande Fabrici d'Acquapendente aveva lasciato le sue tavole alla Repubblica Veneta in ringraziamento dei privilegi ottenuti. Sterzi fece due più due e cercò le tavole nella vecchia biblioteca di Stato. Le trovò negli armadi sotterranei della Zecca. Quando Napoleone conquistò Venezia, le tavole finirono alla Biblioteca Marciana, riposte in otto grandi faldoni. Fu lì che le trovò Sterzi: 160 tavole più una cinquantina di incisioni in rame. Sconvolto dalla loro bellezza, il medico, che era anche un brillantissimo neurologo, pubblicò un lavoro, dopodiché le tavole furono nuovamente dimenticate. La prima guerra mondiale le sorprese a Firenze, dove vennero danneggiate, dopo la seconda vennero restaurate e pubblicate «in modo non soddisfacente»: appena otto andarono in mostra a Padova, pallida eco di antichi splendori. In tempi più recenti, delle tavole di Fabrizio si è parlato anche negli Stati Uniti, grazie a un lavoro di Riva dedicato a Sterzi. Dall'interesse dimostrato in America alla mostra allestita da Maurizio Rippa Bonati alla Marciana (espone anche una cera cagliaritana) il passo è stato breve. «Ho detto a Marino Zorzi, direttore della Marciana, che la mostra dovrebbe diventare permanente, tanto queste tavole sono importanti, per la grandezza scientifica di Fabrizio, per la bravura dei pittori, ma anche per il ruolo di Sterzi nella riscoperta dell'Atlante». Riva parla con affetto dell'antico predecessore. Ricorda che Sterzi amava a tal punto Mario Aresu da consentirgli di pubblicare, ancora allievo, due studi col suo nome, ma anche da lasciargli in eredità una copia di tutti i suoi lavori. «Morì presto, purtroppo. Nel 1915, quando era a Cagliari da cinque anni, partì volontario per il fronte, con un suo allievo. Quando tornò avrebbe potuto riprendere la vita di sempre ma ripartì per curare i suoi soldati vittime della spagnola. Morì così, lasciando una moglie incinta del quarto bambino: presto diventò pazza, una storia tristissima». Inseguire le sinapsi cerebrali del professore di anatomia è un'impresa intellettualmente stimolante. E sarebbe divertente sapere che cosa avviene di strano nel suo cervello, se da un lato appare impacciato nel maneggiare il mouse del computer sul quale compaiono e scompaiono le "sue" tavole e dall'altro sfodera eloquenza e passione, mischiando sapientemente Seicento e Novecento, Riforma protestante e Controriforma, scissure di Silvio (c'è anche l'acquedotto) e scissure di Rolando, "musi di tinca" rotondi di nullipare e "musi di tinca" trasversali di multipare. La spiegazione che ne dà l'interessato non ha nulla di scientifico ma è illuminante. «Il mio maestro Luigi Cattaneo, nel presentare me e il mio collega Alessandro Ruggeri, diceva sempre "Ruggeri è monsignor Della Casa, Riva monsignor Del Casino». A proposito dei rapporti tra maestri e allievi, Riva - che l'altro ieri in occasione della "Settimana del cervello" ha illustrato al Palazzo delle Scienze le ventuno tavole di Fabrizio relative al sistema nervoso - ama mettere a confronto il rapporto generoso di Sterzi con Aresu e quello arrogante di Fabrizio con Giulio Casserio, fondatore dell'anatomia comparata. Il quale è molto simpatico al nostro professore, e non solo per le sue tavole anatomiche perfette. «Era di famiglia poverissima, inserviente di uno studente, venne a Padova e grazie alla sua bravura divenne dissettore di Fabrizio, che ne fu presto gelosissimo. Ottenne in seguito la cattedra di chirurgia (la prima nella storia) e di anatomia privata. Soltanto un anno il povero Casserio riuscì a insegnare nel teatro anatomico dell'Università, in sostituzione di Fabrizio, malato. Morì pochi mesi dopo, sui sessant'anni. Il suo potentissimo maestro lo seguì tre anni più tardi, quasi novantenne. «Anch'io come lui», scherza (ma non troppo) Riva, «sono diventato docente di anatomia partendo da bidello: ero ausiliario di quarta categoria e Cattaneo mi diede questo ruolo, nonostante fossi laureato, perché non c'erano posti. Dieci anni dopo sono diventato professore». E lui, lombardo, decise che sarebbe rimasto per sempre a Cagliari. Potenza di un cognome. Maria Paola Masala __________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mar. ’05 MISTRETTA: «NON DOBBIAMO FARCI SOPRAFFARE» Inaugurata la settimana scientifica, l’università si apre ai cittadini e al territorio Più scienza per capire e fare CAGLIARI. Cita Prometeo e Tommaso D’Aquino, passando anche per Umberto Galimberti. Nella giornata inaugurale della XV settimana scientifica, in programma contemporaneamente nei diversi atenei d’Italia, il rettore dell’università cagliaritana Pasquale Mistretta invita a una formazione che comprenda sì quella scientifica, ma non trascuri quella umanistica, l’unica capace di difendere le nostre convinzioni e di non “farsi sopraffare dai padroni”. E ancora: in un’università che s’apre al territorio e al futuro, dice Mistretta, le risorse occorre anche saperle trovare. Lamentarsi e poi scoprire che le casse dei dipartimenti conservano “microriserve”, datate anche quindici anni, non può certo giocare a favore. Sono questi i segnali più forti lanciati ieri dal rettore. Nel discorso che ha apeerto una settimana densa d’appuntamenti, s’è letta la volontà di proteggere l’ateneo: la qualità della didattica, certo, ma soprattutto il ruolo di docenti e ricercatori, minacciati in questo momento dal nuovo ‘stampo’ che la riforma Moratti vorrebbe dare alle università. Precisando che dal ministero sono comunque arrivati “segnali d’apertura”, il rettore ha poi voluto battere sulla strada della ricerca, un argomento che sarà affrontato più in dettaglio in una tavola rotonda in programma domani: «Per lungo tempo - ha detto Mistretta - si è creduto che l’università fosse molto gelosa delle sue cose, che volesse pensare al proprio orticello escludendo gli altri. Ora le politiche dell’ateneo percorrono una strada molto diversa: l’università s’apre alle imprese e al territorio e i risultati sono già molto apprezzati». Certo, il disagio portato dalla riforma fa sentire tutto il suo peso. È anche per questo che la valorizzazione delle risorse, l’integrazione con gli altri attori socio-economici diventa importante. Soprattutto in una realtà come quella sarda, dove, dice Mistretta, «le unità fisiche sono circoscritte, mentre in altre parti d’Italia i ricercatori possono far leva su una ben più ampia elasticità di spostamento». Si sa, le risorse sono poche, ma non per questo bisogna demordere: «I soldi per gli assegnisti di ricerca? Bisogna trovarli per forza», dice Mistretta. (s.z.) __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 15 mar. ’05 PASQUALE MISTRETTA: MAGNIFICO IN OGNI COSA CHE FA Magnifico in ogni cosa che fa. Pasquale Mistretta cambia lo statuto per farsi rieleggere rettore (magnifico!). Candidato sindaco - perdente - col centrosinistra, ora per la poltrona è corteggiato dal centrodestra (magnifico!).All'università dà un appalto senza gara: «Per guadagnare tempo» (magnifico!). Guida un team di progettisti (magnifico!). Dove è nato? Nel Psi di Craxi: magnifico, davvero. __________________________________________________ L’Unione Sarda 15 mar. ’05 LA FACOLTÀ DI MEDICINA PROPONE CHIRURGIA PLASTICA A CAGLIARI La facoltà di Medicina dell'Università di Cagliari ha chiesto l'istituzione della scuola di specializzazione in "Chirurgia plastica e ricostruttiva". A firmare la richiesta è stato Diego Ribuffo, professore associato di Chirurgia plastica nell'Ateneo del capoluogo isolano, il quale ha inviato la domanda di attivazione al rettore dell'Università di Cagliari, Pasquale Mistretta, e al preside della Facoltà di medicina dell'Ateneo, Gavino Faa. «La Chirurgia Plastica - si legge nella documentazione ufficiale - è una specialità antichissima, ma nel nostro paese si è diffusa con lentezza. sicpreLo dimostra il fatto che, nonostante la Sicpre, la Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, che raggruppa quasi tutti i professori universitari e i primari ospedalieri, sia nata nel 1933, in Italia non si è valutata appieno l'importanza della figura del Chirurgo plastico fino agli anni ottanta». Da quel tempo l'interesse per questo ramo della medicina è cresciuto in maniera esponenziale. Ribuffo ha sottolineato come la formazione professionale del Chirurgo plastico sia fondamentale anche alla luce dei numerosi contenziosi legati agli interventi di chirurgia e generati dal fatto che «spesso gli operatori non sono in possesso di una formazione specialistica e, a volte, nemmeno di una generale. L'attuale legislazione italiana non impone il possesso del diploma specialistico per effettuare questo genere di interventi, ma è probabile che la situazione cambi anche per la spinta delle compagnie assicurative». specializzazioneIl chirurgo plastico deve laurearsi nella facoltà di medicina e chirurgia e poi affrontare la vera e propria specializzazione nel settore. In Italia esistono oggi 26 scuole di specializzazione, ne è però orfano l'Ateneo cagliaritano «così, i giovani interessati - sostiene Ribuffo - sono costretti a rivolgersi all'Università di Sassari. Quindi è logico aspettarsi che vengano conferiti incarichi dirigenziali di Chirurgia plastica a medici non cagliaritani». Questo è un altro motivo che ha spinto Diego Ribuffo a proporre l'attivazione della scuola. competenzePer il diploma di chirurgo plastico bisogna avere competenze professionali complessive relative a quattro aree scientifiche: di base, mediche, chirurgiche e di supporto. Inoltre bisogna avere competenze anche a livello pratico. Per gli aspiranti chirurgi plastici di Cagliari oggi non ci sono certezze, ma presto, alla richiesta di Diego Ribuffo arriverà una risposta dal consiglio di facoltà. Eugenia __________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mar. ’05 ISCRITTI UNIVERSITÀ LA SARDEGNA AL QUINTO POSTO CAGLIARI. Con 692 nuovi iscritti all’università ogni 100.000 abitanti la Sardegna è la quinta regione in Italia per numero di immatricolati nell’anno accademico 2004/2005, preceduta da Molise, Abruzzo, Lazio e Basilicata. Nell’anagrafe nazionale studenti - secondo dati pubblicati ieri dal quotidiano economico «Sole 24 ore» - figurano 11.075 immatricolati sardi, di cui il 14,45% fuori regione. La Sardegna è, invece, fra le ultime nella graduatoria in base alla quota dei laureati sulla popolazione adulta: con il 6,5% è solo diciasettesima, davanti soltanto a Veneto, Trentino e Val D’Aosta. La media nazionale dei laureati è del 7,6%, mentre quella degli immatricolati è pari a 528 ogni centomila abitanti. __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 16 mar. ’05 TASSE, L'ATENEO FA I CONTI AL BANCO Gli studenti pagano 62 centesimi a ogni versamento ma la banca non offre servizi: raccolta di firme per una convenzione MARCELLO ZASSO IL BANCO DI SARDEGNA prende 62 centesimi di commissione ogni volta che gli studenti universitari pagano le tasse. Le tasse si pagano con quattro-cinque bollettini diversi all'anno. Gli studenti sono 40 mila. Risultato: nelle casse del Banco finiscono circa 100 mila euro all'anno. Senza che gli studenti abbiano nulla in cambio: nessun servizio bancario, nessuna agevolazione. Anzi, spesso allo sportello ci sono disservizi dovuti alla poca comunicazione con l'Ateneo. Perché addirittura non esiste nemmeno una convenzione tra il Banco di Sardegna e l'Università di Cagliari. Ma solo una bozza, realizzata più di cinque anni fa e mai ratificata. Per cui giuridicamente non esiste. Adesso le associazioni studentesche scendono in campo: chiedono qualche agevolazione da parte del Banco (come prestiti agevolati, borse di studio o conti correnti gratuiti) e soprattutto la stipula di una convenzione vera, con un bollettino unico per tutti i pagamenti e le comunicazioni al domicilio dello studente. Per evitare di finire in mora senza nemmeno sapere che c'erano tasse da pagare. Come avviene a quelli studenti che non frequentano le lezioni e hanno meno possibilità di essere informati. Una raccolta di firme Da domani, in tutte le segreterie della facoltà è possibile firmare l'istanza che l'associazione "Università per gli studenti" ha presentato ieri mattina al Rettore. La raccolta di firme serve a incitare l'approvazione della convenzione: «II semplice conferimento dell'incarico non è di per sè sufficiente a prevenire e risolvere tutti i promi lamentati dagli studenti ad ogni scadenza di pagamento», si legge nel documento preparato da Giuseppe Frau (consigliere del Cda dell'Ateneo) e Fabio la Nucifofa (Senato Accademico). Problemi come gli importi da pagare, che spesso non corrispondono a quelli risultanti alla segreteria dell'Università. L'istanza chiede un bollettino unico per tutti i pagamenti, la previsione di modalità di pagamento differenziate (come il bonifico), la rettifica in tempo reale per eventuali discrepanze tra i dati in possesso delle segreterie e quelli del Banco. Le firme verranno allegate all'istanza. Le altre proposte Altre proposte arrivano anche dal Gruppo Giovanile dell'Udc: il Banco, spiegano, dovrebbe offrire qualche servizio in cambio del prezzo della commissione. Ad esempio, la possibilità per gli studenti di ricorrere al prestito d'onore, a finanziamenti a tasso agevolato, conti correnti gratuiti, oppure ancora l'organizzazione di stage, tirocini o altre borse di studio (ce ne sono due all'anno). E anche dall'Udc arriva la richiesta di più comunicazione tra banca e Ateneo. Ma l'accordo è in vista Intanto, però, qualcosa già si muove: nelle ultime settimane si sono svolte diverse riunioni tra i vertici del Banco e quelli universitari, perla definizione di questa famosa convenzione. Che dovrà essere approvata dal cda dell'Ateneo e forse presto diventerà realtà. SERVE TRASPARENZA «Una ragazza e andata in banca e ha chiesto quanto dovesse pagare di tasse: allo sportello risultava due euro, così ha fatto un versamento di due euro pagando pure il prezzo della commissione. È solo una delle tante vicende al lucinanti che succedono non tanto per colpa del Banco di Sardegna, quanto per l’Università, non so se a causa della segreteria o del l'Ufficio didattica e orientamento». Docente di algebra e geometria in Ingegneria Elettronica, Giuseppe Arca è consigliere dei cda dell'Ateneo: «Abbiamo fatto diverse interrogazioni al Rettore sul tema della convenzione mancante, perché purtroppo non c'è mai stata chiarezza e trasparenza. Ora speriamo che questo accordo venga stipulato», BASTA FILE E RITARDI «Auspichiamo che finalmente questo problema delle tasse, che è fortemente sentito da tutti i 40 mila studenti universitari, finalmente venga risolto per evitare inutili file agli sportelli del banco e delle segreterie. Oltre che perdite di tempo e di denaro». Giuseppe Frau del gruppo "Università degli studenti" invita proprio gli studenti universitari ad andare nelle segreterie di qualsiasi facoltà, dove troveranno l'istanza rivolta al Rettore con la richiesta di una convenzione con la banca. «Più firme ci saranno più sarà autorevole». II documento verrà depositato oggi in tutte le segreterie. Poi le firme saranno allegate all'istanza e girate al Rettore, Pasquale Mistretta. __________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mar. ’05 L'EQUAZIONE DI EINSTEIN HA UNA SOLUZIONE Fisica. Tre italiani nel team di scienziati che ha spiegato il fenomeno dell'accelerazione A quasi un secolo dalla formulazione dell'equazione di Einstein sull'espansione dell'universo, un gruppo di fisici italiani e americani è riuscito a risolverla spiegando il fenomeno dell'accelerazione dell'universo. La soluzione, la più elegante e semplice finora proposta, è stata pubblicata oggi on-line e si deve ai fisici teorici Antonio Riotto dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Padova, Sabino Matarrese dell'università di Padova, Edward Kolb del Fermilab a Chicago, Alessio Notari, attualmente all'università di Montreal. «Abbiamo risolto l'equazione formulata da Einstein nel 1916», ha detto Riotto, ed è naturalmente un caso fortunato che questo sia avvenuto nell'anno mondiale dedicato alla fisica e alla teoria della relatività. Spiegare perchè l'universo si espande accelerando è stata finora una delle sfide più difficili, che i fisici hanno affrontato ricorrendo a un artificio, ipotizzando la presenza dell'energia oscura. Nella soluzione proposta dai quattro fisici, presentata alla rivista Physical Review Letters, non si ricorre ad ipotesi aggiuntive, ma si considera il fenomeno delle «increspature» dello spazio-tempo previsto ben 65 anni dopo l'equazione di Einstein, nel 1981, dalla teoria inflazionaria. Questa prevede che immediatamente dopo il Big Bang che ha dato origine all'universo sia avvenuta, in una frazione di secondo, un'espansione rapidissima. Recentemente, ha osservato Riotto, questa teoria è stata confermata dagli esperimenti Boomerang e WMap, entrambi volti a misurare le piccole fluttuazioni della radiazione di fondo che ancora esiste in tutto l'Universo e che riecheggia quella lontanissima esplosione. GIGANTESCHE INCRESPATUREQuella stessa espansione, ha proseguito il ricercatore, «ha generato delle «increspature» che, abbiamo scoperto adesso, si estendono in regioni molto più grandi rispetto all'universo osservato». In altre parole, se le increspature dello spazio-tempo fossero onde che si propagano, sarebbero così ampie da avere una lunghezza maggiore dell'universo osservato. L'ERRORE DI EINSTEINCome tutti i suoi contemporanei, Albert Einstein era inizialmente convinto che l'universo fosse statico e quando la sua stessa teoria della relatività generale gli indicò che l'universo si espande, si vide costretto a introdurre una variabile (la costante cosmologica) che permetteva di riportare l'universo ad una calma immutabile. Ma quando, nel 1929, anche le evidenze sperimentali provarono che l'universo si espande, Einstein stesso non potè che definire la costante cosmologica come «il più grande errore» della sua vita. L'ENERGIA OSCURA. Il problema, però, si ripropose per i fisici che vennero dopo di lui, quando nel 1998 l'osservazione di alcune supernovae lontanissime dimostrò che non soltanto l'universo si espande, ma che lo fa accelerando. Di qui l'introduzione di una nuova variabile per spiegare il fenomeno dell'accelerazione, l'energia oscura, che però è solo un'interessante ipotesi molto difficile da dimostrare. __________________________________________________ La Stampa 16 mar. ’05 LA LUNGA VITA DI EMILIO SEGRÈ dal tecnezio all’antiprotone NATO CENTO ANNI FA, STUDIO’ ALLA SCUOLA DI ENRICO FERMI POI NEGLI STATI UNITI SI DEDICO’ A RICERCHE SULLE PARTICELLE CENTO anni fa, quando Einstein scriveva il suo primo articolo sulla relatività, nasceva a Tivoli Emilio Segrè. Le biografie indicano come data di nascita il primo febbraio del 1905, ma Segrè scrive nella sua autobiografia di essere nato il 30 gennaio e spiega che il motivo di questa discordanza si deve al fatto che il padre andò a denunciare la sua nascita con qualche giorno di ritardo. Premio Nobel per la fisica con Owen Chamberlain per la scoperta dell’antiprotone, Segrè appartenne al mitico gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” e fece parte al gruppo di scienziati che lavorò alla prima bomba atomica. Fin da bambino si sentì attratto dai problemi scientifici: leggendo la rivista di Sonzogno “La scienza per tutti” imparò a conoscere il funzionamento del motore a scoppio e la liquefazione dell’elio. Dopo il liceo classico si iscrisse alla facoltà di ingegneria di Roma, dove ebbe come insegnanti Francesco Severi, Guido Castelnuovo, Enrico Persico e Tullio Levi Civita, che ad un esame lo onorò con un “30 e lode speciale”. Suoi compagni di studio furono Ettore Majorana e Giovanni Enriques, figlio del matematico Federigo. Ben presto si sentì attratto dalla fisica e nel 1927 cambiò facoltà e discusse la tesi con Enrico Fermi. Dopo alcune esperienze in Germania con Otto Stern e Peter Zeeman, Segrè torna in Italia nel 1935 per insegnare fisica all’Università di Palermo. Qui dirige anche il laboratorio della facoltà e nel 1937, insieme con Carlo Perrier, bombardando il molibdeno con neutroni, ottiene il tecnezio, il primo elemento creato dall’uomo, che in seguito si sarebbe dimostrato molto utile soprattutto nella diagnostica medica. Per questo elemento fu proposto anche il nome “trinacrio”, in onore della Sicilia. Nel 1938, dopo le legge razziali (la sua famiglia era di origine ebrea), emigra negli Stati Uniti e con Fermi e Bruno Rossi partecipa al progetto Manhattan per l’atomica. Nel dopoguerra Segrè si occuperà soprattutto di fisica delle particelle elementari e proprio mezzo secolo fa, nell’ottobre del 1955, insieme a Chamberlain, scopre l’antiprotone, che Ernest O.Lawrence (l’inventore del “ciclotrone”) avrebbe preferito chiamare “protone negativo”. L’esistenza delle antiparticelle era stata postulata nel 1928 da Dirac, che in una “memoria” affermava l’esistenza di una particella con la stessa massa, ma con carica elettrica e momento magnetico opposti a quello dell’elettrone. La particella doveva chiamarsi positrone: il fatto che non fosse mai stata rivelata sperimentalmente metteva però seriamente in dubbio la teoria di Dirac. Ma nel 1932 Anderson scoprì il positrone e così il concetto di antiparticella fu esteso anche a tutte le altre, tant’è che molti, fra i quali Rossi e Amaldi, si misero alla ricerca dell’antiprotone studiando i raggi cosmici. Per la scoperta dell’antiprotone gli fu conferito nel 1959 il Nobel per la fisica, premio che ritirò indossando un frac che gli aveva prestato l’amico medico Giacomo Ancona, mentre il gilet bianco gli era stato passato da Edwin McMillan, Nobel per la chimica nel 1951, che gli chiese di firmarlo. Questo gilet bianco divenne famoso perché fu indossato da altri Nobel amici di McMillan, tant’è che uno di essi, ritirando il premio, disse al re di Svezia: “Maestà, guardi bene questo gilet. L’ha visto altre volte!”. Segrè è autore di un testo fondamentale della fisica delle particelle elementari, “Nuclei e particelle”, definito dal suo autore “un grosso mattone che ha avuto il suo successo”. Uscì nel 1958 in inglese. La stesura impegnò Segrè per cinque anni e nel 1978 uscì una seconda edizione. L’opera, tradotta perfino in cinese, ebbe una edizione italiana curata da Zanichelli nel 1982. Appassionato di storia della scienza, ha pubblicato anche due interessantissimi volumi dedicati ai personaggi e alle scoperte della fisica classica e contemporanea, entrambi editi nella Est di Mondadori. Segré morì a Lafayette, in California, nella primavera del 1989 durante una passeggiata. A Tivoli, sua città natale, in una aiuola di piazza Garibaldi è stato collocato un suo busto con il contributo degli ex alunni del Convitto Nazionale Amedeo di Savoia, mentre la scuola media “Piazza Trento” è stata intitolata ad Emilio Segrè. [TSCOPY](*)Planetario di Ravenna [/TSCOPY] __________________________________________________ Repubblica 18 mar. ’05 ZEDDA: LA TELEFONATA DELL'OPERAIO SARDO FA IL GIRO DEL MONDO La richiesta in dialetto di Salvatore Zedda al call center di Tiscali fa il giro della rete via e-mail e diventa un mix da discoteca nuovo tormentone su internet Il protagonista travolto da telefonate e richieste di interviste I dipendenti responsabili della diffusione sospesi dal servizio di CRISTINA NADOTTI ROMA - Una accorata richiesta di "passavord" a un provider importante, fatta con marcato accento sardo, da un operaio di un paese in provincia di Oristano, ha fatto il giro della rete via mail ed è diventata anche una hit nelle discoteche della Sardegna. Il garante sulla privacy avrà parecchio da dire sul nuovo tormentone via internet, mentre un sacco di gente continua a ridacchiare e la storia finirà in tribunale. Tutta colpa di Internet, della diffusione che la rete ha in Sardegna e di addetti del call centre di Tiscali poco accorti. Un operaio comunale di Ortacesus, un piccolo centro del Campidano, è diventato una star mediatica, con tanto di remix da discoteca, solo perché ha lasciato un reclamo sulla segreteria telefonica del call centre del suo provider, Tiscali, appunto. Salvatore Zedda, cantoniere di 58 anni, il mese scorso ha chiamato Tiscali lamentando di non riuscire ad accedere a una sezione del sito. Lo ha fatto con la titubanza di chi parla a una macchinetta, acuita da una live balbuzie e da una cadenza dialettale troppo simile a quella del comico Benito Urgu per non risultare esilarante. Per metterci su il carico, il monologo è intercalato da frasi in dialetto per far star zitto qualcuno intorno ("cittiri pagu pagu" stai un po' zitta) e termina con un'esclamazione in campidanese puro: "ci du fazzus ficchiri..." che ricorda il sardo estroso di Aldo Giovanni e Giacomo e invece è un vero insulto pesante e quasi intraducibile. Un mix perfetto di tradizione e tecnologia: il signor Zedda vuole la "passavord", la chiede in campidanese e poi dà il suo indirizzo mail. Gli impiegati che sbobinano la telefonata non resistono alla tentazione, registrano il file, lo comprimono e lo mandano a qualche amico. E' un successo: le mail con la voce di Salvatore Zedda si moltiplicano (a chi scrive, il file è arrivato dal Canada). Il quotidiano "L'Unione sarda" racconta la storia, un trio comico molto noto in Sardegna, i "La Pola", invita Zedda alla trasmissione sportiva più seguita dell'isola, su Videolina, e le discoteche cagliaritane suonano la versione mix della telefonata, che viene accolta dalle ovazioni di chi balla in pista. Tutti ridono tranne il signor Zedda e gli impiegati di Tiscali. Il primo, oltre ad essere travolto dall'improvvisa notorietà (è stato contattato anche da Striscia la notizia) è tormentato da gentaglia che gli fa scherzi telefonici, i secondi se la sono vista brutta sul lavoro. All'inizio di marzo Tiscali ha avviato un'indagine per risalire agli autori della goliardata e li ha sospesi dal servizio. L'amministratore delegato della sezione italiana dell'azienda, Sergio Cellini, ha chiamato di persona il signor Zedda per scusarsi e assicurare la disponibilità dell'azienda a far luce sulla vicenda e prendere ogni provvedimento necessario. Salvatore Zedda avrebbe detto che non voleva la testa di nessuno e dimostrato grande disponibilità e comprensione. Dopo il primo momento di stupore Zedda pareva aver accettato il lato comico della cosa, tanto da rendere disponibili i file audio sul suo sito personale e rilasciare interviste. Ora, però, il signor Zedda ha deciso di fare causa alla società. E' scomparsa dal web la pagina personale di Salvatore Zedda, on line fino a pochi giorni fa, e con questa i file audio. La conclusione è che una goliardata telematica finirà in un'aula di tribunale: un nuovo esempio delle discussioni che internet è capace di suscitare __________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mar. ’05 IGLESIAS. ISTRUZIONE NEGATA Studenti in difficoltà Il 27 per cento bocciato a scuola L'istruzione è un optional, i libri qualcosa di cui liberarsi quanto prima. C'è qualcosa che non funziona nella scuola e in quella iglesiente in particolare. I dati lo confermano. La percentuale degli studenti che lasciano le aule e vengono bocciati è del 27 per cento. Un dato che fa paura, emerso sabato sera nel corso del convegno Scuola e città, quale scuola per quale società, organizzato dalla Società operaia industriale di Mutuo soccorso che ha proposto il dibattito nell'aula magna della scuola elementare di Serra Perdosa, puntando l'attenzione soprattutto sugli effetti negativi della riforma Moratti. Ventisette per cento, dunque: ciò significa che su cento iscritti lasciano la scuola anzitempo o vengono bocciati poco meno di trenta studenti. A diffondere l'allarmante dato è stata Marina Muscas, insegnante impegnata da tempo assieme ad altri colleghi in progetti per combattere la dispersione scolastica, ovvero la tendenza che porta gli studenti a lasciare il corso di studi prima di aver ottenuto il diploma. Che non è più un traguardo ambito, oramai, visto l'alto numero di studenti che si perde per strada e sceglie di non completare il corso di studi. I dati diffusi dagli insegnanti, tuttavia, comprendono abbandoni e bocciature. Se si isolano i dato e si prende in considerazione soltanto quello relativo agli studenti che lasciano prima del tempo la scuola, la percentuale si ferma al 14,5 per cento. Più o meno in linea con l'andamento regionale, ma molto al di sopra di quello nazionale, pari al 7,1 per cento. Perché? Non è soltanto un problema di volontà, di scarsa propensione agli studi, svogliatezza. Fernando Nonnis, docente dei corsi di formazione post laurea all'università di Cagliari, invita a fare una riflessione, pur premettendo che non esiste una statistica certa e una mappa definita in grado di fare un quadro preciso di tutto il territorio. «Il nodo centrale è che la dispersione si deve combattere ogni giorno in classe - spiega Nonnis- . È necessario prestare attenzione ai singoli studenti, piuttosto che ai progetti. Perché sotto questo punto di vista possiamo dire che la nostra città fa parte, ad esempio, di una rete di scuole cui arrivano contributi notevoli per progetti. Soldi ce ne sono, ma non si riversano nell'attività quotidiana in classe». I dati cui si appoggia Nonnis riguardano un vecchio studio «ma ancora molto attuale», portato avanti dalla precedente amministrazione provinciale, quella che aveva istituto l'osservatorio sulla dispersione scolastica, e quella attuale che oggi pubblica i risultati nel suo sito internet. «Sicuramente la situazione generale non aiuta. Se poi uniamo l'aspetto nazionale del diritto dovere all'istruzione, sempre meno rispettato, alla disperazione di questo territorio il risultato non può che essere questo». A parlare della crisi della scuola è stata anche Alba Sasso, parlamentare e componente della commissione istruzione. Approdata in Sardegna appositamente per partecipare al convegno promosso dalla Società operaia industriale di Mutuo soccorso, la parlamentare ha puntato il dito contro la riforma Moratti e sugli effetti dannosi nelle singole realtà, rivendicando un'azione forte da parte degli enti locali per assicurare «il diritto al sapere piuttosto che il diritto allo studio». Cinzia ======================================================= _____________________________________________ Il Sole24 Ore 15 mar. ’05 EMBRIONALI, GLI ITALIANI DICONO SÌ I168% dei cittadini é favorevole alla ricerca sulle cellule staminali «bambine» Il Nobel Dulbecco: spetta all'etica e non alla scienza stabilire se la sperimentazione é opportuna Gli italiani non hanno dubbi: la ricerca con le cellule staminali embrionali va fatta. Per il 68% è, infatti, «moralmente accettabile» impiegare embrioni umani per la ricerca, magari per curare malattie come Parkinson o Alzheimer. Un sì convinto che diventa ancora più forte se si contano quanti ritengono, comunque, «utile» (ben il 76%) spingere sull'acceleratore di queste ricerche al centro di un dibattito che si sta infuocando con l'avvicinarsi del referendum sulla procreazione assistita. II conto alla rovescia verso le urne, scandito spesso da posizioni molto critiche su queste tecniche, sembra non scalfire il giudizio degli italiani che, per il 60%, vorrebbe che le biotecnologie investissero innanzitutto nel «campo delle ricerche sulle cellule staminali di embrioni umani per sviluppare nuove terapie mediche». Queste opinioni così nette, su una delle frontiere più contrastate della scienza moderna, sono contenute nel nuovo rapporto «Biotecnologie e opinione pubblica in Italia», realizzato da Observa in collaborazione con il Comitato nazionale per le biotecnologie e presentato, ieri, a Palazzo Chigi. Un "via libera", quello degli italiani, che non è comunque assoluto: è sonora, infatti, la bocciatura della clonazione come mezzo per combattere la sterilità. Una tecnica, questa, giudicata, rischiosa dal 74% degli intervistati e moralmente accettabile solo per il 19 per cento. Ma sul tema caldo dell'uso delle cellule staminali embrionali umane non si concentrano solo i sondaggi o coloro che hanno proposto i quattro referendum abrogativi della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale, ma anche chi è chiamato in causa in qualità di esperto. II Sole-24 Ore ha chiesto il parere del professor Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel 1975, ed ex presidente della Commissione che era stata istituita dal ministro della Sanità Umberto Veronesi proprio col compito di fornire un orientamento in materia. «Non spetta alla scienza - dice Dulbecco - stabilire se è lecito impiegare a scopo di ricerca le cellule staminali embrionali umane, ma è compito dei cittadini definirne la questione, dal momento che si tratta di un problema etico. È giusto quindi proporre sotto forma di referendum un tema che riguarda tutti e non solo gli addetti ai lavori. Entrano infatti molti fattori quando si tratta di definire che cosa è un embrione, mentre gli uomini di scienza posso no fornire solo risposte parziali. Qual è allora l'apporto della ricerca scientifica?, «Il compito degli scienziati, a mio avviso è piuttosto un altro - continua Dulbecco -. E cioè identificare quali sono le possibilità di utilizzo di queste cellule che aprono senza dubbio una nuova frontiera della medicina. In altri termini, spetta alla ricerca stabilire con chiarezza che cosa si può ottenere, e di conseguenza curare in un futuro, da un lato con le cellule staminali adulte dall'altro con quelle embrionali. Infatti, nonostante siano numerosi in tutto il mondo gli studi sperimentali che impiegano questo tipo di cellule (per curare malattie come il Parkinson, l'Alzheimer, ma anche sclerosi e distrofie, infarti e ictus, ndr) allo stato attuale non si hanno risposte definitive, ma si parla purtroppo ancora in termini di possibilità». Ma ci sarà abbastanza tempo per informare i cittadini con chiarezza prima del voto sui quesiti referendari? Prova a rispondere Leonardo Santi, presidente del Comitato nazionale per le biotecnologie di Palazzo Chigi: «Dipenderà dall'impegno che ci si vorrà mettere. Non sempre avere tanto tempo a disposizione è producente, perché si rischia di diluire le informazioni. A volte puo essere più efficace concentrare il messaggio». MARZIO BARTOLONI FRANCESCA CERATI __________________________________________________ Repubblica 17 mar. ’05 di Guglielmo Pepe C'è un gran fermento sulla fecondazione assistita. L'appuntamento referendario si avvicina e nelle ultime settimane hanno preso corpo numerose iniziative di schieramento. Si acquistano intere pagine pubblicitarie sui quotidiani da parte di comitati trasversali per lanciare appelli "in difesa della vita". Invece i referendari chiedono a gran voce che si fissi al più presto la data, affinché gli italiani possano esprimersi liberamente. L'impressione che si ricava dalle ultime prese di posizione e iniziative è che mentre i sostenitori dell'astensione si stanno compattando (trovando dei sostegni molti forti oltre Tevere), nel fronte referendario si sono invece aperte alcune crepe. In particolare dopo il fallimento delle trattative tra Unione di centrosinistra e radicali per le elezioni regionali. Schieramenti (e condizionamenti) a parte, tutti i cittadini sono chiamati a pronunciarsi in base a convinzioni etiche, culturali, religiose e politiche. Anche se sappiamo che non sarà un voto a sciogliere nodi spesso indissolubili e che sono radicati profondamente nella coscienza di milioni e milioni di persone. Però non va dimenticato che oltre la coscienza c'è la scienza. E questo mondo, in maggioranza, sembra propendere per l'abrogazione dei quattro articoli sottoposti a referendum. L'obiettivo principale è la riscrittura della legge 40 che "regolamenta" la fecondazione assistita. A tale proposito va sottolineato che da quando sono state approvate le nuove norme è stato registrato un netto calo delle richieste di assistenza da parte delle coppie infertili. Si calcola tra il 20 e il 25 per cento: numeri che dimostrano la restrittività della legge. Gli scienziati. Tra i tanti per il "sì", c'è Umberto Veronesi, oncologo stimato da gran parte del Paese. Più volte il professore ha manifestato la sua contrarietà alla 40, perché a suo parere nega uno dei più importanti progressi medici, come le analisi preimpianto (che evitano a chi ha una malattia genetica di trasmetterla agli eredi). Veronesi, appunto da oncologo, in una intervista al "Corriere della sera", ricorda che prima della legge si potevano congelare gli ovociti fecondati di una paziente, che doveva essere sottoposta a chemioterapia, per poi reimpiantarli dopo il completamento della cura (al fine di evitare di danneggiare l'eventuale nascituro). Con le norme attuali non è più possibile seguire questa prassi. E così si vieta ad una donna malata di poter procreare. Nasce spontanea una domanda rivolta a chi si batte in difesa della vita e della famiglia: impedire di far procreare figli non è contro la morale cattolica? L'Italia peraltro rischia di apparire arretrata rispetto da altri paesi, come ad esempio il Brasile, dove c'è il più alto numero di cattolici del mondo: qui il Parlamento ha appena approvato la legge che consente la ricerca scientifica sull'embrione a fini terapeutici. Ma chi è convinto della "sacralità" dell'embrione probabilmente resterà sordo ai richiami della scienza. E sicuramente sarà più sensibile agli appelli di chi - come il presidente della Cei, il cardinale Ruini - invita i fedeli ad astenersi. Tant'è: le "invasioni" di campo sono una caratteristica italiana. Tuttavia più di queste ingerenze, è importante la data referendaria. La maggioranza dei cittadini è ancora indecisa sul da farsi. Ed è su questa massa di milioni di persone che si gioca l'esito del voto. Ebbene, al momento in cui scrivo, ancora non è stato indicato il giorno per l'appuntamento con le urne. Decidere se i 4 referendum si terranno a maggio o nelle prime domeniche di giugno non è indifferente: in quest'ultimo caso significherebbe volere ad ogni costo il fallimento del voto. Per far scattare il quorum, dovranno votare 24,5 milioni di cittadini. E certamente non sono pochi. g.pepe@repubblica.it ______________________________________________________ Avvenire 18 mar. ’05 «NUOVI PROGRESSI CON LE STAMINALI ADULTE» Recentissime acquisizioni scientifiche aprono nel lungo termine prospettive terapeutiche che non hanno bisogno della distruzione di embrioni. «Ma l’informazione trascura tutte le scoperte che vanno in questa direzione» «Si è capito il modo in cui il gene Pax3 può mantenere le staminali allo stato indifferenziato, fornendone riserva» «Nel liquido amniotico, a fine gravidanza, vi sono cellule pluripotenti, con alta capacità di differenziazione» Di Marina Corradi È appena tornato dalla Germania, il genetista Bruno Dallapiccola, e non trattiene l'entusiasmo per i giorni di convegno della Società genetica tedesca, snodo della più avanzata ricerca occidentale sulle cellule staminali. «Mi ha colpito soprattutto - dice il professore - il lavoro di un gruppo di ricercatori di Vienna, che ha dimostrato come nel liquido amniotico, al termine della gravidanza, siano presenti cellule staminali embrionali pluripotenti. Cellule, cioè, con una capacità ancora molto alta di differenziazione, e portatrici di marcatori neuronali tali da renderle potenzialmente neurogenetiche, cioè produttrici di tessuti nervosi». Dunque, nel liquido amniotico vi sarebbe una possibile risorsa di cellule staminali utilizzabili contro le malattie neurologiche, simili a quelle ottenibili forse un giorno dall'embrione? Esatto. Ma l'altra novità, non minore, pubblicata anche su Nature (24 febbraio), riguarda un gene, il Pax3. Esso regola lo sviluppo della staminale adulta. Diciamo che è stato scoperto il modo in cui il gene Pax3 può mantenere la cellula staminale allo stato indifferenziato, quello cioè in cui è in grado di svilupparsi in ogni direzione. La grandissima utilità di questa sorta di "stand by" sta nella possibilità di costituire delle riserve di staminali, destinabili poi secondo le necessità. Una sorta di "materia prima" da stoccare per darle un giorno forma definita. Altre ragioni di speranza nelle staminali adulte? L'estrazione delle staminali dal cordone ombelicale. Oggi che queste cellule sono amplificabili in vitro dopo la sperimentazione svolta a Pavia, questa è diventata un'autentica "banca" di staminali per l'individuo, per tutta la vita. Lei privilegia la ricerca sulle staminali adulte, mentre uno dei temi più forti della campagna dei promotori del referendum è la "necessità" della ricerca sugli embrioni per ottenere staminali embrionali, indispensabili per vincere l'Alzheimer o il Parkinson. Questa è propaganda. In realtà, le staminali adulte hanno 30 anni di ricerca alle spalle; si sa con certezza che hanno la facoltà di ricostruire midollo, muscolo cardiaco e pelle. Esiste una logica nella biologia: se in tutti gli organi queste cellule sono selezionate e presenti, vuol dire che hanno un vantaggio selettivo, cioè che qualche ragione funzionale ne giustifica la sopravvivenza. Non possiamo affermare lo stesso invece delle staminali embrionali, la cui stabilità e plasticità è tutta da verificare. Ora, che in presenza di una ricerca molto più avanzata si debbano invece sacrificare gli embrioni per ricerche dagli esiti assolutamente incerti, appare almeno discutibile. Che cos'è un embrione secondo lei, professore? È, fin dall'unione dei gameti, il portatore di un programma biologico unico e irripetibile. Non è una questione di fede, ma di biologia. E non c'entra, come ho sentito vergognosamente affermare da Giovanni Sartori a "Otto e mezzo", se ha o no il cervello funzionante - allora gli handicappati e i malati di Alzheimer non sarebbero degni di vivere. Con i fondamenti biologici del medico dunque, e non del politologo, mi permetto di dire che l'embrione è quel programma biologico unico, che prosegue per tutta la vita dell'uomo che nascerà. Il 75% degli italiani però, secondo un sondaggio del Sole 24 Ore, ritiene «utile usare embrioni umani nel tentativo di curare malattie come l'Alzheimer». Bisogna vedere come sono formulate le domande. Se dici semplicemente alla gente: volete che si curino le più gravi malattie della vecchiaia, diranno quasi tutti di sì. Se però spieghi che la strada delle staminali embrionali è a tutt'oggi utopistica, e che piuttosto è più prossima quella delle staminali adulte, per le quali già si parla di prospettive di trials - secondo il professor Angelo Vescovi - su tessuti nervosi, quelle stesse persone cambieranno idea. Il 52,4% di coloro che rispondono al sondaggio dice però che «non sa cosa siano le biotecnologie in campo medico». Su una batteria di domande, un terzo dà 1 risposta esatta su 5, e l'11% nemmeno una. Il che conferma un mio piccolo test. Durante i week end a Ferrara ho provato, fra amici con tanto di laurea, a verificare cosa sanno di staminali, eterologa, diagnosi preimpianto. Niente, zero o quasi, non uno che avesse un'idea chiara. Questo è il motivo per cui io ho aderito al Comitato per l'astensione, e ritengo giusto non votare al referendum. Non si può chiedere al cittadino di esprimere un voto competente su temi di questa complessità. Andrà a votare guidato da sentimenti politici, senza capire quello che va veramente a decidere. Non si tratta di dare dell'ignorante all'italiano medio, ma di riconoscere che il referendum è uno strumento inappropriato, nella rudimentalità dei suoi quesiti, per ridisegnare una legge delicata come quella sulla procreazione assistita. Alcuni giornali riferiscono di esodi di coppie sterili all'estero - benché nessuno abbia cifre dimostrate. Ho letto anch'io di dottoresse operanti in centri che hanno perso qualche cliente, che si lamentano: «Adesso le pazienti vanno in Croazia, senza garanzie sanitarie». Perché, in Italia, in tanti centri, prima della legge, che garanzie c'erano? La legge 40 è stata fatta anche per fermare abusi e sfruttamenti ai danni delle coppie. È stata fatta per regolamentare i problemi della sterilità, e non quelli della ereditarietà: la confusione fatta in questo senso è impropria. È stata fatta per non creare altri embrioni sovrannumerari oltre ai 30 mila esistenti, e per impedire la donazione eterologa, nel momento in cui anche la Gran Bretagna rimuove l'anonimato e restituisce ai figli il diritto di conoscere il nome del padre. Ma tutto questo i giornali non lo dicono. Perché non dicono delle prospettive della ricerca sulle staminali adulte? Come mai questa preferenza per le embrionali? È una battaglia ideologica, e economica. La terapia genica, su cui si era tanto fatto affidamento, non sta mantenendo le aspettative: resterà comunque un fatto elitario, e bisognoso di adattamento a ciascun paziente. La grande prospettiva ora è la terapia cellulare, cioè derivata da staminali. Se queste fossero embrionali, però, lo spazio per il brevetto delle tecniche di applicazione terapeutica sarebbe in buona parte ancora vergine, con grandi possibilità di guadagno. Così dice un grande genetista, vox clamantis in deserto insieme al professor Angelo Vescovi e a pochi altri studiosi italiani. Sui giornali invece raccontano: volete curare l'Alzheimer? O con gli embrioni, o niente. __________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mar. ’05 VELENI A MEDICINA LEGALE, SI DIMETTE IL DIRETTORE Università. Contrasti interni e polemiche per il corso di specializzazione che rischia di saltare Il corso di specializzazione in medicina legale dell'Università di Cagliari rischia di non poter partire. Il 21 aprile sono stati fissati gli esami di ammissione, ed entro ieri doveva essere formata la commissione. Il tutto si è risolto con un nulla di fatto. A questo punto la possibilità che l' inghippo, nato da contrasti interni alla facoltà di Medicina, si sciolga in tempo per far svolgere regolarmente gli esami è appeso a un filo. A rischio quindi un'opportunità di specializzazione per i neo laureati, che dà interessanti, e quasi sicuri, sbocchi lavorativi. Le continue polemiche sul corso e l'impossibilità di lavorare, ha portato lo scorso nove marzo alle dimissioni da direttore della scuola di specializzazione del professor Pietro Marongiu. «Avevo accettato di buon grado di prendere questo incarico, ma alla fine mi sono accorto delle troppe difficoltà che c'erano nel lavorare e far crescere un corso che è tra i pochi a dare uno sbocco occupazionale immediato», commenta Marongiu. La scelta di dimettersi dalla direzione della scuola di specializzazione aveva un fine preciso: sbloccare la situazione. Per farlo ora si aspetta un intervento del rettore e del preside di Medicina. «Il rischio di non poter attivare la commissione e quindi che quest'anno il corso non possa partire è davvero alto. ? prosegue Marongiu ? Ieri sono scaduti i termini per la riunione della commissione. Basterebbe una proroga, ma questo deve avvenire in tempi ristretti. Infatti gli esami per l'ammissione alla scuola sono fissati per il 21 aprile». I problemi sono notevoli. Oltre a scontri interni («Erano davvero tante le tensioni e le difficoltà che incontravo ogni giorno per far funzionare la scuola», ribadisce l'ex direttore), ci sono una serie di intoppi dovuti agli strumenti che dovrebbe avere una scuola di specializzazione: segreteria, biblioteca e spazi didattici. Strumenti che il corso dell'ateneo di Cagliari non ha. «Le risorse a disposizione sono poche e bisogna campare con quello che arriva», aggiunge Marongiu. Ora, oltre alle difficoltà economiche e strutturali, si aggiunge anche quella degli scontri interni. Il tutto rischia di ricadere sui neo laureati che vogliono puntare su una specializzazione che dà buone opportunità di sbocchi occupazionali. «L'anno scorso abbiamo avuto un'ottantina di candidati ? prosegue Marongiu ? ricordo inoltre che quella dell'Università di Cagliari è l'unica scuola di specializzazione di medicina legale». Sono due gli indirizzi del corso: uno per gli "strutturati", e uno per i neo laureati. Per loro, nell'ultimo anno, sono state previste solo tre borse di studio. Per evitare quella che sarebbe una beffa, ora si attende un intervento del rettore e del preside di Medicina. Si dovranno rivedere i tempi per la riunione della commissione, in modo da riuscire ad arrivare pronti per svolgere gli esami d'ammissione. «Sono pronto a far parte della commissione ? conclude Marongiu ? Chi ha gli strumenti deve intervenire il prima possibile». Matteo Vercelli __________________________________________________ L’Unione Sarda 18 mar. ’05 MEDICINA LEGALE: NESSUN BLOCCO ORA ARRIVA IL COMMISSARIO Gli esami per l'ammissione al corso di specializzazione in medicina legale si faranno. Le polemiche e le tensioni all'interno della scuola, che la settimana scorsa avevano spinto alle dimissioni del direttore, Piero Marongiu, hanno portato all'immediato intervento da parte del preside di Medicina, Gavino Faa, e del rettore Pasquale Mistretta. «Ho chiesto il commissariamento della scuola, e il problema sarà affrontato martedì prossimo nel consiglio di facoltà», spiega Faa. Dal rettorato arriva invece la garanzia «che gli esami si faranno, e che questa situazione non lascerà a terra gli studenti». Il rettore ha garantito il suo impegno per risolvere la grana di una scuola che ha prodotto specialisti di primissimo livello, e che dal '98, anno della morte dell'allora direttore Sergio Montaldo, ha vissuto un declino e un periodo nebuloso. Non tanto per i risultati conseguiti, ma per i veleni personali che hanno creato un clima di tensione. La scuola è stata in mano a Giuseppe Santa Cruz per due mandati di presidenza (per statuto non era possibile presentarsi per il terzo anno), per passare poi a Marongiu. Difficoltà gestionali, rapporti interpersonali difficili, tensioni dietro ogni decisione operativa da prendere, hanno portato il noto criminologo a dare le dimissioni lo scorso nove marzo. Si è così aperto un periodo di instabilità, che ha messo a rischio lo svolgimento degli esami di ammissione, fissati per il 21 aprile. La commissione giudicatrice non si è ancora riunita, aprendo le porte all'ipotesi concreta di non poter far svolgere gli esami. Il rettore ieri ha tranquillizzato tutti, e la strada più rapida per sbloccare la situazione è quella indicata dal preside di Medicina: il commissariamento. Dopo si affronterà il nodo del nuovo direttore, che deve essere nominato dai docenti della stessa scuola, e che deve essere un medico legale (categoria med43). Il toto-direttore è già iniziato. Tra i tanti papabili, l'anatomopatologo Francesco Paribello. Altri quelli dell'ordinario Francesco De Stefano, e lo stesso Piero Marongiu. Ovviamente a patto che la situazione diventi facilmente governabile. Dopo il progressivo decadimento di questi ultimi anni è necessario riportare una scuola importante come quella di medicina legale al livello che le compete. Matteo Vercelli __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 16 mar. ’05 LA DIRINDIN VUOLE MANDAR VIA ASTE Lettera d'addebito al manager Asl: «Violato principio di buona amministrazione» Non SOLO l’Appalto. Dopo la decisione della Giunta regionale di bloccare il contratto del maxi appalto per i lavori di restauro e ampliamento degli ospedali Businco e Microcitemico, la scure della Dirindin arriva anche sopra la testa di Efisio Aste. Lunedì pomeriggio un addetto dell'assessorato regionale alla Sanità ha notificato al direttore generale della As18 una contestazione d'addebito. Che potrebbe trasformarsi in una lettera di prelicenziamento: il comandante in capo dell'azienda sanitaria locale di Cagliari avrà adesso quindici giorni di tempo per preparare la sua difesa. Poi la decisione dell'assessorato alla Sanità: Aste rimarrà al suo posto o sarà mandato a casa. Le motivazioni della lettera Nel documento spedito al manager della Asl 8 Le motivazioni della lettera d'addebito. Motivazioni strettamente collegate al blocco del contratto firmato tra laAs18 e la Siemens per il restauro e l'installazione dei macchinari elettromedicali nei presidi ospedalieri Microcitemico e Businco: a seguito di una «dettagliata analisi tecnico-economica e giuridica dell'articolato rapporto negoziale», scrive l'assessorato, è emerso «il fatto che gli atti annullati si traducono, sotto molteplici e concorrenti profili, nella violazione delle leggi nonché dei principi di buon andamento ad imparzialità dell'amministrazione». In sostanza Efisio Aste avrebbe, spiegano dalla Regione, «violato il principio di buona amministrazione». Cosa che secondo la Regione, sulla base del contratto firmato da Aste nel 2000 al momento della nomina a direttore generale, potrebbe configurare il licenziamento. Di cui quello della lettera d'addebito è passaggio preliminare e obbligato. La decisione della Giunta La decisione di spedire ad Aste la lettera di addebito è stata presa, su proposta dell'assessore alla Sanità Dirindin, durante la riunione straordinaria della Giunta di venerdì scorso. Nella stessa occasione era stata bloccato il contratto da quasi 450 miliardi di lire che Aste aveva firmato e, dopo la gara, aggiudicato a una cordata d'imprese con a capo la Siemens spa. (g. b.) __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 mar. ’05 DIRINDIN: MEDICI DI FAMIGLIA SUL PIEDE DI GUERRA «L'assessore Dirindin non ci ascolta» Gli operatori sanitari accusano la Giunta Soru di emarginarli nella programmazione sanitaria MEDICI DI FAMIGLIA in rivolta contro la Giunta Soru. I camici bianchi, che accusano l'assessore alla Sanità regionale Nerina Dirindin di averli i completamente bypassati nella stesura del piano sanitario regionale, hanno proclamato ieri uno stato di agitazione che potrebbe portare anche a un clamoroso sciopero. La Fmmig, il sindacato più rappresentativo dei medici di base, denunciano una situazione «insostenibile» che rischia di affossare ancor più la già critica sanità isolana. In particolare, la Federazione italiana dei medici di famiglia contesta l'impostazione "ragionieristica" da parte della Giunta e, tanto per cambiare, l'assenza di concertazione sulle riforme e chiede con forza un incontro pubblico con l'assessore. Le ragioni della protesta «La situazione è al capolinea», ha detto ieri Giampietro Andrisani, segretario regionale del sindacato che raccoglie oltre due terzi dei circa 1200 medici generici isolani. «Dopo aver incalzato l'assessore per nove mesi - ha aggiunto - non ci sono ancora state date risposte sulla politica sanitaria della Regione e sulle nostre proposte. La Sardegna è il fanalino di coda nel servizio sanitario nazionale insieme a Sicilia e Lazio. Nel piano annunciato dall'assessore Dirindin non si intravede una seria programmazione per la medicina generale». Evidenziando le «gravissime carenze strutturali e di personale paramedico nell'assistenza domiciliare e la mancata ricezione in Sardegna della legge 328 del 2000, che avrebbe dovuto introdurre nell'Isola il sistema socio sanitario integrato riordinando i servizi sociali e dislocandoli in maniera capillare nel territorio, la Fimmg chiede che siano operativi i distretti sanitari delle Asl e ampliate le strutture mediche territoriali in modo da venire incontro ai cittadini sardi che sempre più spesso e soffrono di malattie croniche. La spesa farmaceutica Quanto alle risorse spese per i farmaci, il 13% della quota di fondo sanitario nazionale a disposizione dell'Isola, per il sindacato sono poche. Le medicine, infatti, hanno spesso una funzione sostitutiva di ricoveri ospedalieri e prevenzione di infarti e interventi chirurgici e accade sempre più di frequente che i sardi, per usufruirne siano costretti a indebitarsi. «Sarebbe opportuno - hanno spiegato il rappresentanti del sindacato - controllare le risorse attribuite agli ospedali». Tra le censure all'assessore c'è anche quella di aver bloccato la sperimentazione della "disponibilità telefonica" dei medici di base (ovvero il contributo di 2,5 euro a paziente per 8 ore giornaliere di reperibilità al cellulare ) che, a detta dei medici, avrebbe fatto diminuire gli accessi al pronto soccorso di circa il 3%. All'assessore, infine, il sindacato imputa il fatto di non aver più convocato l'osservatorio per l'appropriatezza e quello per il farmaco (che hanno elaborato 3 linee guida perla cura di alcune patologie) sostituendoli con l'Agenzia regionale sul farmaco. Alessandro Zorco Le linee guida inattuate Tra le doglianze dei medici di famiglia c'è la mancata convocazione, da parte dell'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin, degli Osservatori per l'appropriatezza e per il farmaco istituiti nel 2003. II primo, in particolare, ha elaborato le linee guida sulla diagnosi di alcune patologie (cardiovascolare, peptica, artropatie degenerative e broncopatie croniche ostruttive) che, oltre a dare precise direttive ai medici di base isolani nella diagnosi di queste malattie, avrebbero dovuto contribuire a svuotare in modo fisiologico le liste di attesa. Ma questi strumenti, denunciano i medici, sono rimasti lettera morta. _____________________________________________ Il Sole24 Ore 16 mar. ’05 AIDS, LA CHIMERA DEL VACCINO LE FRONTIERE DELLA SCIENZA A vent'anni dalla scoperta dell'Hiv, il virologo Robert Gallo ,ammette: «Non sappiamo né se né quando ci sarà una soluzione» DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE a «Quando avremo un vaccino contro l’Aids?». Sono più di vent'anni che Robert Gallo viene assediato - e assillato - con questa domanda. Per la precisione dal 1984, quando (nella celebre contesa con Lue Montagnier dell'Istituto Pasteur di Parigi) rivelò al mondo che il responsabile della terribile Sindrome da immunodeficienza acquisita era un retrovirus di nome Hiv. «In questi vent'anni -racconta lui stesso - sono state espresse speranze, promesse, previsioni e, a dire la verità, sono state sparate anche parecchie bufale. La verità è che oggi nessuno può permettersi di dire né se, né quando». AL fuoco di domande però, lo scienziato qualcosa deve pur rispondere. Anche ieri, in Italia per ritirare la terza edizione del Premio Firenze sulle scienze molecolari - promosso da Ente Cassa di Firenze, Banca Cr Firenze, Camera di commercio e Università - Gallo non ha fatto altro che replicare al solito ritornello interrogativo. «L'unica buona notizia che posso dare - ha detto durante un lungo colloquio con il Sole-240re - è che siamo vicini a risolvere i problemi connessi con le mutazioni dell'Hiv. Il che è un grande passo». Ma che dire della provocazione di Richard Norton, direttore di «The Lance», che sul «New York Books Review» ha scritto che è ora di abbandonare gli studi sui vaccini, a suo parere destinati solo a sprecare fondi pubblici e privati? «L'impresa è ardua, ma non possiamo non provarci», sentenzia Gallo. La pandemia chiamata Aids ha già mietuto oltre 20 milioni di vite umane e quasi 40 milioni sono oggi infettate dall'Hiv. «La terribile peculiarità del retrovirus - osserva lo scienziato, oggi direttore dell'Institute for Human Virology di Baltimora - è che muta a velocità impressionanti. Ma il vero problema è che si insidia dentro ai geni della "vittima", per restarci». L'antica peste era come un tornado, osserva, che distruggeva tutto quello che trovava, per poi andarsene. «Ma l'Hiv è come un temporale cronico: non distrugge in maniera indiscriminata, ma non se ne va mai». Ecco perché tutte le strade tentate finora hanno dato esito negativo. «Semmai, è stata una sorpresa scoprire che si potevano fabbricare molecole capaci di limitare la diffusione della malattia: il che ha reso sin qui possibile la diminuzione e il rallentamento della mortalità». Però ci sono dei però. Per definizione, il retrovirus si replica tramite la cosiddetta trascriptasi inversa - dall'Rna al Dna e non viceversa come avviene nelle nostre cellule - e così è talmente incline agli errori di copiatura che «si possono addirittura avere più mutazioni in un solo paziente». II risultato è che sta crescendo la resistenza dei vari ceppi di Hiv ai trattamenti farmacologici. «La metà dei nostri 4.200 pazienti a Baltimora - racconta Gallo - riscontra ormai una resistenza ai farmaci. E nel mondo circa il 15% dei nuovi infetti non trova miglioramento con le cure attuali». II che è una prospettiva sinistra. Nelle ultime settimane si è saputo di un paziente di New York che ha contratto l’Aids in pochi mesi (di solito l'incubazione richiede anni) in una forma resistente a tutti i farmaci, sbattendo sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo lo spettro di una sorta di SuperAids in arrivo. «Sono tutte fandonie - taglia corto Gallo - al momento non c'è mezza prova che si tratti di qualcosa di radicalmente nuovo. Forse non è il virus ad essere speciale, ma il paziente che l'ha contratto». Però una verità c'è: mentre gli scienziati continuano a dare la caccia a un vaccino che potrebbe arrivare fra decenni (nell'84 si disse che sarebbero bastati due anni), dovranno anche proseguire nel perfezionamento di nuovi farmaci, per tenere il passo con le migliaia di mutazioni di un virus che ha un genoma con appena 9.700 basi. «Ecco perché - s'infiamma Gallo - il mio istituto continua a criticare l'idea della semplice donazione di farmaci al Terzo Mondo: senza training e senza strutture adeguate, non si risolverà nulla. Dopo due anni sarà tutto come e peggio di prima». Gli altri strali del virologo più famoso del mondo vanno a tutti coloro che hanno qua e là annunciato («anche in Italia») l'imminente arrivo di un vaccino; a tutti coloro che hanno ingannato l'opinione pubblica pur di rastrellare finanziamenti («come la californiana Vaxgen, che aveva portato un vaccino fino all'ultima fase di sperimentazione clinica, ben sapendo che non avrebbe funzionato») adducendo che «qualunque soluzione potrebbe funzionare». «E se funzionasse una cura con le foglie d'acero?», chiede provocatoriamente Gallo. Ma la verità è che in questi vent'anni ne ha viste delle belle. «Ai tempi della contesa con l'istituto Pasteur, che poi si riduceva alla proprietà dei brevetti sui test diagnostici, oggi ormai scaduti, la stampa mi aveva fatto nero». Certo, è facile immaginare che a Gallo piacerebbe più passare alla storia come colui che ha risolto il problema dell'Aids, e non solo come colui che lo ha descritto. Ma non è detta l'ultima parola. «II mio istituto ha di recente scorporato una società, battezzata Profectus, che è titolare di tre brevetti», racconta. Fra una ventina di giorni, dovremmo annunciare un accordo di partnership con una grande gruppo farmaceutico. Gallo si rifiuta di fame il nome, dice soltanto che «è un gruppo americano», ma il buon senso e qualche indiscrezione lasciano intendere che dovrebbe trattarsi della Wyeth. «Abbiamo elaborato un nuovo percorso: in poche parole, abbiamo notato che durante l'infezione c'è un particolare momento in cui il "ventre della bestia" è scoperto. E crediamo di essere quindi vicini a risolvere il problema delle mutazioni, anche se restano due problemi: la breve durata di questo effetto e il livello degli anticorpi che resta ancora basso». Anche la sua voce è bassa, quasi sussurrata, mentre lo racconta. Non sia mai detto che un altro giornalista vada a raccontare un'altra fandonia. Del tipo: il vaccino dell'Aids sta per arrivare. MARCO MAGRIN! _____________________________________________ Il Messaggero 15 mar. ’05 GENOVA, IN ARRIVO NUOVE CURE PER L'EPATITE C AL via sperimentazione di farmaci GENOVA -Nuove prospettive per la cura dell'epatite C. La buona notizia arriva dal congresso sulle malattie dell'apparato digerente, in corso a Genova. AL via un nuovo progetto sperimentale per studiare i farmaci più efficaci, che coinvolgerà 3.0(10 pazienti. «Il raggio d'azione dei virus responsabile dell'epatite C si sta stringendo - spiega l’epatologo Mario Rizzetto - L'Impiego di una molecola delta pcg-interferone alfa-2b sta dando attimi risultati, i farmaci composti con questi interferoni infatti sono in grado di ridurre la carica virale in modo più radicale rispetto ai loro predecessori». __________________________________________________ Il Giorno 17 mar. ’05 CNR: LA MANO DI PADRE PIO E QUEI RAGGI BENEFICI CAMPI MAGNETICI La scoperta La mano di Padre Pio e quei raggi benefici BUCCINASCO (Milano) - Non tutti i campi magnetici sono negativi, anzi. Secondo le rilevazioni di uno scienziato del Cnr-Aim, associazione informatica medica, nel Comune di Buccinasco si registrano strani e "sacri" campi magnetici, non solo positivi ma, addirittura, dalle proprietà terapeutiche. In particolare, a "bombardare" di campi magnetici della stessa potenza di quelli emessi dai macchinari di fisioterapia presenti in tutti gli ospedali, sarebbe la manica destra della statua di bronzo a grandezza naturale raffigurante padre Pio e posizionata nel,vecchio borgo di Romano Banco, nel piccolo centro storico della cittadina alle porte di Milano. Nessun fenomeno "sacro", nè tanto meno un miracolo,, ma un meccanismo spiegabile scientificamente come dimostra lo scienziato buccinaschese, già insignito con la stella al mento per la ricerca scientifica e tecnologica. «Le radiazioni magnetiche terapeutiche scaturite dalla manica bronzea della statua di padre Pio> sono assimilabili sia per l'intensità che per la frequenza, a quelle dei sofisticati macchinari tecnologici utilizzati negli ospedali per terapie di riabilitazione o calcificazione delle ossa - spiega il professor Franco Missoli -. Ma non vorrei accendere false speranze: non è che avvicinando una mano,lesionata alla statua del santo la lesione viene miracolosamente risolta. occorre; per la guarigione, che la mano ferita sia bombardata con la radiazione per 4 0 6 mesi per avere un beneficio». Questo quanto afferma la scienza che, però, non sempre tiene conto dell'aspetto "placebo" e che quindi, potrebbe portare alla guarigione m pochissimo tempo. Ma come è possibile tutto questo? Nonostante la fede nel Santo di Petralcina, all'origine del fenomeno ci sarebbe una combinazione di fattori che concentrerebbero nella piccola forma concava della manica bronzea un vero e proprio bombardamento di "onde" positive. Tra i motivi scatenanti ci sarebbe îl tetto di rame, a forma piramidale, della chiesa di Romano Banco. Proprio da lì, partirebbero le onde che, "rimbalzando" su tubi di rame nel sottosuolo finirebbero nell'incavo dell'enorme manica. Le ricerche del professor Missoli, da sempre studioso delle conseguenze dell'inquinamento elettromagnetico in tutte le sue forme, sono iniziate quattro anni fa. Negli anni 2000, lo scienziato ha iniziato a monitorare il territorio con uno sofisticato e speciale strumento di misura, atto a rilevare, mediante una complicata logica "fuzzy" la presenza di campi magnetici pulsati. Dopo aver battuto palmo a palmo il territorio, si è accorto della particolare intensità registrata nella manica bronzea della statua. Francesca Santolini _____________________________________________ Il Sole24 Ore 17 mar. ’05 MAPPATI I «GENI DELLE DONNE» Molte malattie ereditarie sono localizzate su questo frammento di Dna - Ora si studieranno nuove cure GENOMICA «Nature» annuncia: sequenziato il cromosoma X, quello che caratterizza il sesso femminile geni che differenziano le donne dagli uomini sono stati ti identificati. Un articolo pubblicato oggi sulla rivista scientifica «Nature» annuncia la realizzazione della sequenza completa (quasi, il 99,3°I°) dei geni che compongono il cromosoma X, quel "bastoncino" formato dall'avvolgimento dell'elica del Dna, che rende le femmine differenti dai maschi. Le donne infatti ne possiedono due copie (come per i restanti 22 cromosomi), mentre i maschi hanno un cromosoma X e un cromosoma Y (già "decifrato" nel 2003). Il cromosoma X è un cromosoma importante: quello dove si localizza la maggior parte delle malattie genetiche, il più ricco di errori. Errori che per lo più ricadono sui maschi: possedendone uno solo, non riescono a compensare i malfunzionamenti di un gene utilizzando il "gemello" presente sull'altro cromosoma. E il caso dell'emofilia, del daltonismo o della distrofia Duchenne. Un altro articolo, sempre su «Nature», annuncia l'individuazione di tutti i geni che sono attivi, quelli cioè che vengono effettivamente usati per dare forma e vita all'essere umano. Fra questi sono stati individuati quelli che danno le istruzioni per costruire tutti gli "ingredienti" esclusivi delle donne. Conoscere le istruzioni che servono a costruire i mattoncini per fare una donna (o un uomo) non significa però comprendere come è fatta. Bisognerà capire quali sono le molecole (proteine) che possono essere fabbricate con le indicazioni contenute in questi geni e come queste molecole si comportano e interagiscono fra loro. Servono anni, forse decenni, di ulteriori studi. La notizia di oggi può sembrare un déjà-vu: nel 2000 i giornali di tutto il mondo hanno annunciato il sequenziamento dell'intero genoma umano; nel 2003 ci dissero che quella mappa non era completa, e che quella quasi completa era stata terminata. «In realtà quella era ancora una bozza - spiga Andrea Ballabio, direttore dell'Istituto Telethon di Napoli, professore di genetica medica presso l'università partenopea e uno degli autori dello studio -. Era come se fosse stata tracciata una prima mappa del mondo, dove si individuavano i continenti. Ora stiamo invece andando ad analizzare i continenti uno ad uno, abbiamo tracciato i confini degli Stati e individuato le città. Stiamo infatti studiando con molta più precisione e accuratezza ognuno dei ventitrè cromosomi che, presenti in doppia copia (fatta eccezione per il ventitreesimo dei maschi), compongono l'intero patrimonio genetico umano». Il cromosoma X è piuttosto complicato - come le donne, potrebbe dire qualche maschio - e come le donne viene impiegato solo in parte (potrebbe dire qualche donna): «poiché le femmine possiedono due copie di questo cromosoma e i maschi solo una - spiega Ballabio - i geni che si trovano su una delle due copie presenti nelle donne vengono "silenziati". Altrimenti vi sarebbe un sovra dosaggio dei prodotti di questi geni». La ricerca, fra le altre cose, ha stabilito che sul cromosoma X si trovano poco più di mille geni (in totale ne abbiamo 25mila) e ha mostrato quello che già altri studi avevano trovato: nelle donne non tutti i geni della copia "in più" del cromosoma X sono inattivati. Il 15% rimane sempre acceso e il 10% è attivo in alcune cellule e silenziato in altre. «Gli effetti di questi geni, che sono sempre accesi anche sul cromosoma "silenziato", possono spiegare alcune delle differenze tra l'uomo e la donna che non sono riconducibili agli ormoni sessuali» dice Laura Carrel del Penn State college of medicine in Pennsylvania, una delle autrici dello studio. Dei 1.098 geni che si trovano sul cromosoma X più del 10%, se mutati, possono dare origine a malattie genetiche e un gruppo di questi sono correlati ad alcuni tipi di tumori (come quelli al testicolo). Un ampio numero di questi, inoltre, dà le istruzioni per costruire proteine importanti nel funzionamento del cervello. Elemento che potrebbe spiegare le differenze nel cervello di uomo e donna (si veda anche l'articolo in basso). «L'analisi dei geni del cromosoma X permetterà di comprendere meglio molte malattie genetiche - dice Ballabio -. Potremo migliorare la diagnosi e le terapie. Noi, come molti ricercatori in tutto il mondo, stiamo già lavorando all'analisi delle funzioni di alcuni di questi geni e stiamo studiando delle possibili terapie». I cromosomi X e Y, che sono caratteristici dei mammiferi e sembrano essersi evoluti circa 300 milioni di anni fa, promettono di fornire anche molte risposte agli studiosi dell'evoluzione e, in particolare, di spiegare perché a un certo punto i cromosomi sessuali si sono differenziati. In origine il cromosoma maschile Y era uguale al cromosoma X, ma poi, progressivamente si è impoverito, perdendo lungo la via dell'evoluzione molti dei suoi geni e mutandone altri. LARA RICCI ____________________________________________________________-- il Giornale 19-03-2005 NUOVE CURE PER IL TUMORE ALLA PROSTATA IGNAZIO MORMINO II carcinoma prostatico è dopo quello polmonare il tumore maligno che uccide di più. Spesso viene diagnosticato tardivamente perché non ha una precisa sintomatologia. In molti casi i portatori sono refrattari alla terapia ormonale e ciò impone il ricorso alla chemioterapia. Due studi internazionali pubblicati sul «New England journa) of medicine» hanno dimostrato l'efficacia di un tassano (nome chimico: docetaxel) in questa patologia. Duemila pazienti sono già stati sottoposti a questa terapia, approvata dalla Fda americana e dall'Enea europeo, con ottimi risultati: netta riduzione della mortalità (meno 24%) e del dolore (meno 59%). Ridotta la mortalità nei pazienti in cura con il docetaxel - Uno degli specialisti che ha partecipato a questi studi, il professor Luigi Dogliotti, cattedratico di oncologia medica all'università di Torino, afferma che «prima della registrazione del docetaxel c'era un solo chemioterapico il mitroxantrone che dava qualche risultato ma non abbatteva la mortalità». «Lo studio che abbiamo condotto - continua Dogliotti - ci ha dato un'altra grande conferma: i malati hanno una qualità di vita nettamente migliore, rispetto a quelli che hanno seguito altre cure. Ciò autorizza la speranza che in futuro potremo ricorrere alla chemioterapia anche nei soggetti che non sono refrattari alla terapia ormonale». La Regione Piemonte ha approvato il protocollo che prevede di trattare 200 pazienti con caratteristiche cliniche omogenee con 4 cicli di docetaxel associati all'ormonoterapia. «Ci aspettiamo che questa terapia combinata - dice il professore Dogliotti - possa assicurare una vita più lunga». Nei casi più gravi il carcinoma prostatico dev'essere trattato chirurgicamente. Il professore Giuseppe Martorana, cattedratico nell'università di Bologna, consiglia la «prostatectomia laparoscopica». ____________________________________________________ Il Messaggero 19-03-2005 PSORIASI, LA RICERCA "BIO" NUOVA DIFESA PER LA PELLE MILANO- Chiazze squamose sulla pelle. Non contagiose, ma spesso indelebili e vissute male dai pazienti, che si sento no a disagio nei rapporti con gli altri. La psoriasi colpisce il 2-3 per cento della popolazione mondiale, uomini c donne senza distinzioni e soprattutto giovani- in Italia i pazienti sono circa 2 milioni e mezzo. Sulla malattia, legata ad un'attivazione anomala delle naturali difese del nostro organismo, e in particolare dei linfociti T, «cellule-soldato del sistema immunitario» sì sta svolgendo a Milano un convegno promosso da Adoi (Associazione italiana dermatologi ospedalieri) e Sidemast (Società italiana di dermatologia universitaria, medica, chirurgica, estetica e delle malattie sessualmente trasmesse). Al centro del dibattito scientifico la nuove cure bio frutto della ricerca bio immunologia. «La psoriasi è una malattia con forti implicazioni sociali - spiega Gianfranco Altomare, direttore dell'istituto di Dermatologia dell'università di Milano e ospedale Galeazzi – le cure tradizionali non agiscono alla radice della malattia e riescono solo a controllare temporaneamente i sintomi, a Volte sono poco pratiche e non prive di effetti collaterali. Oggi a venti anni di distanza l’introduzione dell'ultima terapia immunosoppressiva, si presentano finalmente nuove prospettive ma i per i pazienti gravi, con l’introduzione di un trattamento innovativo specifico». Esistono, infatti, nuove molecole biologiche ottenute attraverso le tecniche del Dna ricombinante, «più facili da gestire, efficaci, sicure e capaci di un controllo a lungo termine delle psoriasi». «Tra queste - spiegano gli specialisti - l’efalizumab, un immunomodulatore in grado di inibire l'attivazione,la riattivazione il "traffico" dei linfociti T associali alla malattia». Al termine del congresso, i pazienti lanceranno un appello. «Come rappresentante degli psoriasici italiani ma, soprattutto, con il paziente -commenta Mara Maccarone, romana presidente di Adipso (Associazione per la difesa degli psoriasici)-intendo segnalare situazioni sempre più gravi che, oltre a dover affrontare forti disagi a causa della loro precaria condizione di salute, vedono molto spesso compromessi anche 1 rapporti sociali e interpersonali. Un grande aiuto ci potrebbe essere dato dalle nuove terapie, già disponibili nei maggiori paesi europei ma, purtroppo, non ancora in Italia». La malattia CHE COSA E" la Psoriasi è una malattia cronica della pelle non contagiosa. Sì presenta, generalmente con chiazze eritematose (chiazze rosse) ricoperte da squamo color argento, Non si conosce ancora esattamente quale sia la causa. Sicuramente vi sono molti fattori che concorrono nel determinare la malattia (genetici, immunologici) DOVE SI MANIFESTA Si localizza preferibilmente al cuoio capelluto, gomiti, ginocchia, mani e piedi. Comunque può colpire qualsiasi zona molto rara sul viso LE CONDIZIONI Non è una malattia invalidante (tranne alcune forme particolari) anche se la presenza di lesioni psoriasiche in sedi esteticamente rilevanti spesso condizionano i rapporti sociali ( determinando imbarazzo, ansia e depressione). La forma artrite psoriasiea si associa a dolore articolare e, in alcuni casi, ostaolisi e anchiliosi Colpisce il 2-3% della popolazione mondiale, uomini e donne senza distinzioni e, soprattutto, giovani. In Italia sono circa 2 milioni e mezzo i pazienti Sono due milioni e mezzo i pazienti in Italia. Come la malattia ostacola i rapporti con gli altri __________________________________________________ Le Scienze16 mar. ’05 MEZZO MILIARDO DI CASI DI MALARIA L'ANNO La malattia è in crescita in Africa, in Asia e nel Pacifico Nel 2002 circa 515 milioni di persone, quasi il doppio di quanto stimato in precedenza, sono stati colpiti dalla forma più letale di malaria. La maggior parte dei casi si è verificata nell'Africa sub-sahariana, ma circa il 25 per cento dei pazienti si trova nell'Asia sud-orientale e nel Pacifico occidentale. "Il problema è maggiore di quanto pensassimo" ha commentato Bob Snow del Kenyan Medical Research Istitute di Nairobi all'agenzia Reuters. Le cifre, pubblicate sulla rivista "Nature", sono quasi il doppio rispetto alle stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ipotizzava un'incidenza globale di malaria nel 1998 pari a 273 milioni di casi in tutto il mondo, con il 90 per cento dei casi in Africa. La malaria viene trasmessa dal morso di una zanzara infetta. La malattia è presente in oltre 100 paesi, e uccide più di un milione di persone l'anno, soprattutto bambini piccoli nell'Africa sub-Sahariana. La maggior parte dei decessi è causata dal parassita Plasmodium falciparum. Snow e colleghi hanno usato dati epidemiologici, informazioni demografiche e dati dai satelliti per individuare le aree dove la malattia è maggiormente prevalente. La ricerca suggerisce che le persone a rischio sono 2,2 miliardi. La campagna "Roll Back Malaria" dell'OMS e dell'UNICEF punta a dimezzare i decessi entro il 2010. __________________________________________________ Le Scienze16 mar. ’05 IL GENE DELLA CECITÀ SENILE L'identificazione del gene CFH potrebbe condurre verso nuovi trattamenti Una variazione di un singolo gene potrebbe essere responsabile della metà di tutti i casi di degenerazione maculare senile. Lo sostengono tre diversi gruppi di ricercatori, la cui scoperta potrebbe condurre verso nuovi e migliori trattamenti per quella che è la principale causa di cecità in età avanzata. La degenerazione maculare senile provoca il deterioramento della retina dell'occhio, danneggiando così la vista. Finora non esistono cure efficaci, anche se un farmaco di recente approvazione pare in grado di rallentare il disturbo in alcuni pazienti. Gli scienziati hanno ora scoperto che le persone con una mutazione nel gene CFH (complement factor H), coinvolto in un componente del sistema immunitario che regola l'infiammazione, hanno maggiori probabilità di sviluppare la malattia. Anche se la mutazione di un solo gene non può essere l'unico fattore della degenerazione maculare, la scoperta potrà aiutare a identificare gli individui a rischio e a comprendere il processo di degenerazione. I tre gruppi di ricercatori, guidati da Albert Edwards del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas, da Josephine Hoh della Scuola di Medicina dell'Università di Yale, e da Margaret Pericak-Vance del Medical Center della Duke University, hanno pubblicato separatamente i propri risultati sulla rivista "Science".