«BASTA CON L’UNIVERSITÀ DEI NO» - QUEGLI ATENEI POCO EUROPEI.... - ....MA REFRATTARI ALLE RIFORME - MISTRETTA PRONTO ALLA CONFERMA - MISTRETTA: «DISPONIBILE SE ME LO CHIEDONO» - LA REGIONE NOMINA GUIDO MELIS NEL CDA DELL'ATENEO - L'UNIVERSITÀ CERCA FICCANASO PER LA GESTIONE DELLE RISORSE - MILLE EURO, STIPENDIO DA ORDINARIO - QUEI 107 CORSI DI LAUREA SENZA ALLIEVI - PIÙ SOLDI E DIRITTI A CHI FA RICERCA - «LE LAUREE BREVI SONO UNO SPRECO DI ENERGIE» - PILIA: UNIVERSITÀ INTEGRATE CAGLIARI-SASSARI - SCIENZE MOTORIE NON FORMA TERAPISTI - RISORGE LA SCUOLA DI MEDICINA LEGALE - MEDICINA LEGALE: UNA STORIA DI POLEMICHE E VELENI - LUISS: «APRIRE A DOCENTI STRANIERI E CONQUISTARE L'ECCELLENZA» - RITARDI STRATEGICI NELL’ALTA TECNOLOGIA - BIBLIOTECA NELL'EX ALBERGO DEL POVERO - VITTORIO ANGIUS, L'ARTE DELLA STATISTICA - ======================================================= DON VERZE’: UN PARCO SCIENTIFICO CONTRO LA FUGA DI CERVELLI - ROMA: PREMIATO IL SAN RAFFAELE - GLI INTERESSI DIETRO LA FORMAZIONE IN MEDICINA - AGGIORNAMENTO IN MEDICINA, COME FUNZIONA - TRA CONFLITTO D'INTERESSI E BISOGNO DI SPONSOR - OSTETRICIA DEL SIRAI, APPLAUSI DAGLI USA - PEDAGOGIA CLINICA «NUOVE TECNICHE PER AFFRONTARE IL DISAGIO» - TUMORI,FONDAMENTALE LA RADIOTERAPIA - LE CORONARIE CHIUSE VENGONO RIAPERTE CON LA MICROCHIRURGIA - IL PIERCING SULLE LABBRA FA MALE ALLE GENGIVE - SPERIMENTATO UN TRATTAMENTO CONTRO L'ALLERGIA AL GATTO - L'ELETTROTERAPIA AIUTA I DIABETICI - IDENTIFICATA UNA MOLECOLA CHE INIBISCE I TUMORI TIROIDEI - METÀ DEI SARDI SOFFRE DI GOZZO - BROTZU: FEGATO, NUOVO PRIMATO: IERI IL DOPPIO TRAPIANTO - IN ARRIVO LE PROTESI CEREBRALI - UN TEST PER DATARE L'INFEZIONE DA HIV - BIOLOGIANUOVA LUCE SULL’EVOLUZIONE - COLON-RETTO, SCREENING D’AVANGUARDIA - LENTI "CORRETTIVE" CHE AGISCONO DI NOTTE - MAI DORMIRE CON LE LENTI A CONTATTO - ALLA RICERCA DI UN NUOVO FARMACO CONTRO LA TBC - ======================================================= _______________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mar. 05 «BASTA CON L’UNIVERSITÀ DEI NO» L’appello bipartisan di dodici noti accademici pubblicato su «Il Riformista» di ieri. Il manifesto per ridare competitività agli atenei. De Maio: ormai siamo a un punto limite ROMA - «Siamo stanchi di dire e ascoltare solo dei no: da più di trent’anni l’Università italiana non sa fare altro. O meglio: non l’università, ma quella piccola minoranza alla quale consentiamo da troppo tempo di parlare a nome di tutti, e di bloccare tutto». Comincia così l’appello bipartisan sottoscritto da 12 professori, pubblicato su «Il Riformista» di ieri. Nel mondo accademico li conoscono tutti. Sono Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Nicola Rossi, Giorgio Rumi, Giancarlo Cesana, Biagio de Giovanni, Gaetano Quagliariello, Giovanni Sabbatucci, Aldo Schiavone, Gian Enrico Rusconi, Claudia Mancina e Daniele Bassi . APPELLO - L’appello suona come una chiamata alle armi rivolta a tutti i singoli docenti che hanno a cuore le sorti dell’università. Le Istituzioni non riescono a realizzare alcuna riforma? L’alta formazione sembra destinata ad un rapido declino? Per chi lavora negli atenei, scrivono i dodici intellettuali, è venuto il momento di assumersi delle responsabilità, di uscire allo scoperto , di affermare la propria volontà riformatrice in nome dell’interesse generale». Il nemico da sconfiggere non è cambiato: quelli «del no, senza se e senza ma», associazioni di studenti e organizzazioni di docenti che a parte dire no a tutto, a volte anche a ragione, non hanno mai avanzato alcuna proposta concreta. La riforma dello stato giuridico dei docenti universitari è ferma da diversi mesi durante i quali si sono alternate mobilitazioni, scioperi, trattative, richieste di natura corporativa, che non hanno visto però, come accade da tanti anni, «nessuna proposta concreta nè alcun suggerimento in positivo di portata generale e destinata a durare». Ancora una volta si sta ripetendo il vecchio film. EFFETTO - Programmi dettagliati? Questo non è il momento. Il gruppo bipartisan attende di vedere quale sarà l’effetto del suo appello. C’è un intento costruttivo. Meglio una piccola riforma di nessuna riforma. «Vogliamo batterci contro i progetti sbagliati proposti dall’alto, ma batterci anche a favore di proposte in positivo - si legge nell’appello -. Sappiamo per esperienza diretta che l’università è giunta a un punto limite: vogliamo cercare di riformarla, di migliorarla. Non ci interessa mettere alla gogna il ministro o il governo di turno». E soprattutto c’è un’idea di Università: «Il luogo dove si trasmette e si elabora la cultura. Il luogo cioè dove la nostra società acquista conoscenza e consapevolezza della sua storia, dei suoi valori». L’idea dei dodici professori piace. Per il rettore della Luiss di Roma, Adriano De Maio il metodo è quello giusto. «Non esiste la non decisione, esiste semmai la decisione di non cambiare nulla - spiega De Maio -. Siamo arrivati a un punto limite. Come in molti altri campi anche noi dobbiamo fare i conti con la competizione globale. Se non cambiamo c’è il rischio che i migliori, che siano professori, ricercatori o studenti, non trovino piu spazio e non crescano più nei nostri atenei». ALLE ORIGINI - Per Sabino Cassese, ordinario di Diritto amministrativo a «La Sapienza» di Roma è venuto il momento di «uscire dai piagnistei e mettersi al lavoro». Cassese cita Von Humboldt: «L’università è una comunità di studiosi e studenti, occorre tornare alle origini». «Dobbiamo entrare nel merito dei problemi - afferma Salvatore Settis, rettore della Normale di Pisa - invece di usare le so lite formule: no al precariato, via questo, abbasso quest’altro. Studiamo l’università nel confronto con le altre istituzioni. Non possiamo permetterci di non essere competitivi. Dobbiamo lavorare sui dati e confrontarci sulle cose». «Un appello condivisibile, ma generico» per il matematico Alessandro Figà Talamanca. «Non si indicano i problemi dell’università». Giulio Benedetti __________________________________________________ Il Sole 24Ore 2 Apr. 05 QUEGLI ATENEI POCO EUROPEI.... L’Italia è una grande potenza industriale, ma l’efficienza del suo sistema universitario non regge il confronto con la concorrenza. Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati Ocsc disponibili, basati sull'anno 2002, solo il 10% della popolazione attiva (dai 25 ai 64 anni) possiede un titolo di studio superiore (dalla "laurea breve in su). Percentuale ben al di sotto della media Ocse, che si ottiene sommando l’8% delle lauree di primo livello e il 16% dei livelli superiori: in tutto, dunque. 24 per cento. In Germania i due valori sono 10%,e 13%, nel Regno Unito 8% e 19%. in Giappone 16% e 20%, negli Usa 9% e 29 per cento! Eppure gli iscritti all'università italiana corrispondono. grosso modo, alla media Ocse, in percentuale della relativa fascia di età. Scontato il ritardo storico, la differenza finale è il risultato di due fattori- il tasso di abbandono, che recentemente è migliorato ma rimane molto superiore alla media Ocse, è la mancanza del canale breve, che in Francia, per esempio, pesa quanto il lungo (12%). La `laurea breve" e stata bensì introdotta dalla contestata riforma nota come "tre anni più due" ma i suoi effetti saranno registrati solo nei prossimi anni. L’Italia, per di più, investe troppo poco sui suoi atenei, La spesa annua per .studente universitario, escluse le somme investite in ricerca e sviluppo, è molto inferiore , alla media Ocse: circa 6mila dollari a purità di potere d'acquisto, contro i l0mila della, media Ocse e i più che, 20mila degli Usa! Le lauree infine, non sono tutte uguali: per sostenere la competitività economica quelle scientifiche valgono di più. In Italia invece le lauree dedicate alle scienze umane e sociali e all'insegnamento, pur importanti, sono quasi il 60% del totale: un rapporto che si inverte in Paesi come la Finlandia, la Svezia, la Corea o la Germania. Conclusione: migliorare l’efficienza del sistema universitario é un obiettivo vitale per il Paese. __________________________________________________ Il Sole 24Ore 2 Apr. 05 ....MA REFRATTARI ALLE RIFORME I confronti ricordati sopra sono noti, o dovrebbero esserlo, non solo a chi ricerca e insegna nell'università ma, se non a tutti i cittadini preoccupati del bene pubblico, almeno alla classe dirigente. E’ questa infatti sta provando da anni, da destra e da sinistra, a migliorare il sistema attraverso una serie di riforme, che in parte corrispondono al programma, concordato in sede di Unione, europea, per rendere compatibili i diversi sistemi educativi. L'esempio più noto sono i nuovi ordinamenti didattici, noti come "tre più due" (o "uno più quattro"): ogni facoltà oggi è tenuta a offrire sia corsi triennali orientati alle professioni, sia corsi quinquennali di elevato livello scientifico. Il fatto paradossale è che da noi i diretti interessati oppongono spesso, un rifiuto aprioristico e globale anche alle riforme indispensabili;,è nessuno può contestare che fosse indispensabile creare anche in Italia un canale universitario breve, che esiste in tutti i Paesi ed è scelto da una percentuale consistente dei laureati. Invece, di discutere a fondo le proposte prima che fossero approvate e di collaborare poi a realizzare quelle che si fosse conquistate il meritato consenso, una larga parte di docenti universitari ha preferito contrastarle in blocco: con un sordo disinteresse nella fase di progettazione e con la resistenza passiva non accompagnata da proposte alternative, nella difficilissima fase della realizzazione. Per questo è una buona notizia per tutti che un gruppo di professori universitari di varia tendenza politica ubbia promosso un appello che si apre cosi: «Siamo stanchi di dire e ascoltare solo dei no. Il confronto con l’europa dimostra che l'università Italiana non può restare immobile: "rifiutare il cambiamento significa farselo passare sopra la testa ". L’istruzione superiore è un grande patrimonio collettivo ma anche un meccanismo assai delicato, che può migliorare solo con il consenso attivo di chi vive e lavora negli atenei _______________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Mar. 05 MISTRETTA PRONTO ALLA CONFERMA Già partita la corsa al Rettorato, indiscrezioni sulle candidature nelle facoltà Ma prende forza il nome del preside Raffaele Paci Dal polverone per la scelta dei candidati per la Provincia di Cagliari spunta il nome di Pasquale Mistretta. Non sarà la carta a sorpresa del centrosinistra, in queste ultime ore in affanno per trovare un autorevole e spendibile anti Delogu. Il suo nome, invece, prende quota nel toto candidature per il rettorato. Una scadenza (giugno 2006) solo in apparenza lontana. In realtà molto vicina: l'importante poltrona dell'ateneo cittadino rientra in un giro elettorale ben più vasto che, partendo proprio dalla tornata delle amministrative del prossimo maggio, porta dritti all'anno venturo quando si dovrà votare per il Municipio e per il Senato. In questi giorni si riparla con insistenza di Pasquale Mistretta, magnifico rettore da quindici anni, docente di urbanistica nella facoltà di ingegneria, politico di lungo corso con un passato da socialista (mai rinnegato) e un presente più distaccato dall'agone dei partiti. Mistretta, dunque, destinato a succedere a se stesso nella stanza del seicentesco palazzo Belgrano di via Università. Candidato a un sesto mandato, che segnerebbe un primato personale nella storia secolare dell'ateneo cittadino. L'interessato non conferma, ma neppure smentisce le insistenti indiscrezione che ormai sono più che voci. «Personalmente non mi ricandido, ma se me lo chiederanno valuterò con attenzione la proposta», dice. Il problema è che l'attuale Statuto esclude una rielezione di Mistretta. Statuto già modificato nel 2003 proprio per consentire a Mistretta di ricandidarsi e che ora dovrebbe essere nuovamente emendato. Un'operazione - sottolinea lo stesso rettore - sul filo dell'interpretazione giuridica non impossibile e anzi già oggi praticabile. Come dire, se sarà necessario lo Statuto potrà essere rivisto. «Non dipende da me - aggiunge il rettore - ma dai docenti, dal personale amministrativo e tecnico, e dagli stessi studenti. Nel caso saranno loro a sollecitare un riesame dello Statuto». Le indiscrezioni sulla corsa al rettorato non saltano fuori a caso, ma rientrano nell'acceso e spigoloso dibattito sulle candidature in casa del centrosinistra. Tutto nasce dal nome di Raffaele Paci, dinamico preside di Scienze Politiche, amico e collega di Francesco Pigliaru, assessore regionale alla Programmazione molto vicino a Soru. Paci, cinquantenne, ex militante del Pci ora vicino ai Ds, economista del gruppo di Antonio Sassu, con esperienze all'estero (specializzazioni in Inghilterra e negli Stati Uniti) sarebbe stato indicato come un tecnico ben visto sia dalla sinistra che dall'area di Progetto Sardegna. Sulla sua possibile candidatura per la Provincia Paci non si esprime. Conferma soltanto di essere stato contattato, ma di non aver dato per ora alcuna risposta. Tutto rinviato al vertice di martedì quando il centrosinistra dovrebbe sciogliere i nodi. Nel frattempo prendono peso le voci che, nel caso rimanesse fuori dalla tornata politica, sarebbe lui l'anti Mistretta nel giugno 2006. Un' ipotesi non nuova e anzi sempre più consistente nell'area dei docenti che si riconoscono nel centrosinistra e che lo vedrebbero bene nella successione a Mistretta. «Io al rettorato?»: Paci glissa sulla domanda, ma nell'ateneo negli ultimi tempi le sue quotazioni sembrano in ascesa. E non senza contrasti e possibili avversari. Nell'ambito delle discipline economico giuridiche (dove Paci dovrebbe trovare i maggiori consensi) si parla di una cordata alternativa che farebbe capo a Giovanni Melis (docente di Economia). Ma emerge anche il nome del preside di Giurisprudenza , Francesco Sitzia, studioso di fama vicino alla Margherita. Senza peso politico le facoltà umanistiche, la partita dovrebbe restringersi ai candidati di Ingegneria (per la presidenza si voterà a maggio) e soprattutto di Medicina dove sarebbe molto apprezzato l'attuale preside Gavino Faa. E ci sarebbe ancora un outsider, Giuseppe Santa Cruz, ordinario di anatomia, già avversario di Mistretta due anni fa. Insomma, una corsa ancora apertissima visto che durerà un anno. E con l'incognita dell'attuale rettore che non sembra disposto ad andarsene senza garantire una successione in linea con i suoi programmi iniziati quindici anni fa e da portare avanti. Sempre che non si ripresenti l'opportunità di riproporsi al vertice dell'Ateneo. Carlo Figari I numeri dell'ateneo 38 mila Sono gli studenti iscritti all'università di Cagliari. Di questi 8454 frequentano il primo anno di corso. Continua a calare il numero dei fuoricorso. 1234 Sono gli universitari di Scienze della Formazione, il corso con più iscritti di tutto l'ateneo. 4135 Questo il numero di laureati nell'ultimo anno accademico, il 2004. Il dato, se confrontato con quello dell'anno precedente, evidenzia un leggero calo rispetto al 2003: allora i laureati furono 4203. 10 Sono le facoltà dell'ateneo cagliaritano: Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economia, Scienze della formazione, Lettere e Filosofia, Farmacia, Ingegneria, Lingue e Letteratura straniere, Medicina e Chirurgia, Scienze matematiche e fisiche. A febbraio il senato accademico ha dato il via libera a tre nuove facoltà: Biologia, Psicologia e Architettura. 1000 Mille iscritti più del 2003/04: questo il numero di immatricolazioni per l'anno accademico 2004/05. una crescita del 14,5 per cento. Le uniche facoltà in calo sono Lettere ed Economia, maglia nera con un -4,5 per cento di iscrizioni. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Mar. 05 MISTRETTA: «DISPONIBILE SE ME LO CHIEDONO» Pasquale Mistretta non si scompone alle voci di una nomination per le candidature alla poltrona su cui lui, da quindici anni, siede saldamente. Anche perché, più che del preside di Scienze Politiche aspirante alla successione, nelle facoltà si parla sempre con più insistenza di una sua rielezione. Alla faccia dello Statuto modificato appena due anni fa proprio per consentire un quinto mandato per Mistretta e alla faccia delle dichiarazioni che l'immarcescibile Magnifico pronunciò solennemente alla vigilia dell'ennesima riconferma: «Questa è l'ultima volta». Il rettore è uomo di mondo e soprattutto un politico di esperienza. Sulle voci sempre più forti nei corridoi dell'ateneo ha pronte tutte le risposte. Raffaele Paci candidato dal centrosinistra? «È troppo giovane e poi c'è ancora molto tempo per le elezioni. Queste indiscrezioni rischiano di bruciarlo». L'attuale Statuto esclude la possibilità di un altro mandato, dunque si renderebbe necessaria una nuova modifica. «Non sarebbe impossibile, c'è tutto il tempo», spiega Mistretta: «Anche se, secondo alcune interpretazioni legali, non sarebbe neppure necessario poiché ogni nuova modifica azzera i precedenti mandati e quindi non ci sarebbero impedimenti a una mia nuova candidatura». Ma per Mistretta il problema è un altro: «Sono disponibile ad accettare solo se ci saranno le condizioni». Significa? «Se me lo chiederanno docenti, personale non docente e gli stessi studenti. Non è detto però che da qui a un anno possano accadere altre cose». Per esempio? «Un posto al Senato non è certo da trascurare». Ma chi lo conosce bene, sa che il Magnifico ci terrebbe molto a completare l'opera cominciata quindici anni fa. «Sto lavorando in modo intensissimo perché a breve abbiamo scadenze importanti», dice: «Entro il mese dobbiamo presentare al Ministero il programma triennale che consentirà di quantificare la disponibilità delle risorse assegnate. Da questo programma sapremo quante assunzioni sarà possibile fare in tutti i settori dell'Ateneo. C'è poi da definire l'offerta formativa per il prossimo biennio». Tra gli impegni ravvicinati entro aprile la definizione dei dirigenti amministrativi: verso la conferma al vertice l'attuale direttore Fabrizio Cherchi, da fare quindici nomine. Sempre in tema di nomine c'è da assegnare il prestigioso incarico di manager della nuova Asl che nascerà al Policlinico grazie all'intesa Università-Regione siglata di recente. E ancora il varo delle tre nuove facoltà, da tempo attese e oggi in dirittura finale: Architettura, Biologia e Psicologia che dovrebbero partire nel 2006. Infine i progetti con le imprese sul territorio. C. F. _______________________________________________________ Il Giornale si Sardegna 30 Mar. 05 LA REGIONE NOMINA GUIDO MELIS NEL CDA DELL'ATENEO Per il professore sassarese di 55 anni un posto ai vertici dell'Università Il docente universitario Guido Melis, 55 anni, di Sassari è stato nominato stasera dalla Giunta regionale rappresentante della Regione nel consiglio di amministrazione dell’ateneo di Cagliari. Melis è nato a Sassari l'8 novembre: è professore ordinario di Storia dell'amministrazione pubblica. Ha insegnato nelle università di Sassari e di Siena e per un triennio presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Nell'aprile-maggio 1988 è stato professeur invité presso la Faculté de Droit di Aix-en-Provence (Marseille). Nel luglio 1994 ha tenuto un corso di storia delle istituzioni creditizie presso l'Escuela d'especializacion en ciencias economicas dell'Universidad Nacional de La Plata. Ha insegnato Storia dell'Amministrazione per due anni accademici nella Scuola diretta a fini speciali dell'Università di Cagliari per quadri dell'amministrazione, in Scienze politiche, e per quattro anni accademici sia nella Scuola in discipline bancarie che nella Scuola per quadri amministrativi dell'Università di Siena Dal 1973 ad oggi ha collaborato a varie riviste scientifiche tra le quali "Studi storici", "Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico", "Quaderni sardi di storia". __________________________________________________ Il Sole 24Ore 30 Mar. 05 L'UNIVERSITÀ CERCA FICCANASO PER LA GESTIONE DELLE RISORSE LA SFIDA ISTRUZIONE Chi eroga i finanziamenti dovrebbe provvedere alle nomine dei vertici e assumersi maggiori responsabilità. anche nella gestione degli atenei Spesso rettori e senati accademici amministrano risorse con leggerezza Ai docenti affidare solo la didattica DI MAURIZIO GRASSINI* Prendendo spunto dalle opinioni di alcuni accademici dell'associazione Futura, Franco Morganti riflette sui problemi dell'università italiana e approda al problema della governance. Questo è un punto ostinatamente evitato dai più che si prodigano nel suggerire cosa fare per l'istruzione superiore. Salvo qualche riferimento ai problemi di attualità (precariato, concorsi, stato giuridico, 3+2, Y eccetera) si finisce, sempre, per proporre un sostanziale incremento di risorse finanziarie come atto capace di risolvere ogni problema. Questa proposta viene sostenuta con grossolani indicatori internazionali che pongono l'Italia tra i Paesi meno sensibili al ruolo strategico dell'istruzione superiore e della ricerca. Solo una minoranza, talvolta, tocca questioni inerenti al modello di governo degli atenei ma, come colpita da una scossa elettrica, se ne allontana rapidamente evitando ogni doveroso approfondimento. Questi casi, pur minoritari, preservano il carattere autoreferenziale tipico dell'accademico. Ritengo, invece, che il problema del modello di governo costituisca il nodo cruciale della questione universitaria. Esso è emerso in concomitanza con il completamento del processo che ha conferito ampia autonomia agli atenei. Fino a pochi anni fa, gli organici e i bilanci delle università venivano decisi dal ministro dell'Istruzione. I posti di ruolo (per docenti e personale amministrativo) arrivavano da Roma e, con essi, la corrispondente copertura di bilancio. Ora questi sono stabiliti dagli organi di ogni ateneo e i bilanci sono alimentati da dotazioni ministeriali e da una quota marginale costituita dalle tasse universitarie versate dagli studenti. Oggi, rettori, consigli di amministrazione e senati accademici - i tre organi tipici di ogni ateneo - gestiscono risorse senza alcuna responsabilità. Invocano l’ autonomia - un valore da difendere per assicurare la libertà di pensiero e di ricerca - che viene poi applicata con disinvoltura alla gestione di risorse finanziarie, coltivando il sillogismo: per garantire più autonomia bisogna dare più soldi all'università. In realtà, dietro l'astratta definizione di università, è opportuno non perdere di vista quei docenti particolarmente interessati alla "gestione". Costoro pensano di poter esorcizzare le implicazioni portate dall'autonomia sulla forma di governo degli atenei con un'offensiva di buoni proposi li la cui credibilità dovrebbe fondarsi sulla rispettabilità di cui sembra ancora godere il professore universitario. Ma si tratta comunque di diversivi di retroguardia. È invece necessario considerare che chi fornisce le risorse deve giustamente pretendere di conoscere l'esito del loro impiego. I professori universitari sono solo i destinatari e non i detentori delle risorse finanziarie e per questo motivo essi non vengono mai chiamati a render conto dei proprio operato. Anzi, per evitare questo giudizio hanno escogitato una procedura di "autovalutazione" il cui esito non può che essere. l"'autoassoluzione". Bisogna, pertanto, saper distinguere la gestione dal prodotto. L'erogatore delle risorse deve avere oltre al diritto anche il dovere di governarne l'impiego e, di conseguenza, l'obbligo di risponderne alla luce dei risultati conseguiti. I destinatari, incaricati della realizzazione del prodotto, dovranno, invece, sottoporsi al giudizio dell'erogatore, cioè del padrone. Questo schema, un po' crudo, serve per mettere in luce l'equivoco che avvolge il governo degli atenei. La situazione può essere cosi riassunta. I contribuenti, che erogano le risorse, sono considerati poco più che sgraditi ficcanaso. I professori che gestiscono le dotazioni messe a disposizione dal Governo si ritengono insindacabili e meritevoli di ogni attenzione quando rivendicano senza sosta e senza limiti ulteriori aumenti. Messa cosi, la questione universitaria può sembrare stranamente ridicola, ma è solo il frutto del contrasto tra la vecchia struttura di governo degli atenei e il nuovo portato con l'autonomia. Su questo contrasto, appunto, nasce la questione della governance. I docenti universitari che ogni tanto la sfiorano propongono, di fatto, di non cambiare nulla allontanando le critiche dell'attuale gestione con un fuoco di sbarramento di buone intenzioni. Bisogna, invece, ave re il coraggio di affrontare il problema nei suoi termini più concreti. Sarebbe, anzitutto, opportuno commissariare gli atenei e riscriverne, allo stesso tempo, gli statuti diretti a interpretare le esigenze connesse all'attuale autonomia delle università. Delineare, poi, un modello di governo dove il governatore sia nominato da chi mette le risorse e non dai destinatari delle medesime. Infine, un punto deve essere fermo e chiaro: i professori devono essere allontanati da ogni responsabilità di governo e restituiti alle loro funzioni: didattica e ricerca. * Università di Firenze __________________________________________________ Il Sole 24Ore 24 Mar. 05 MILLE EURO, STIPENDIO DA ORDINARIO Di Niola VASSALLO Specializzazione all'estero in un eccellente college inglese, dottorato di ricerca, tante piccole borse di studio italiane e un lungo precariato. Nel frattempo, un'incessante, attività di ricerca che si concretizza in molti libri, articoli, conferenze,, menzioni, nonché collaborazioni fattive con colleghi stranieri. Poi, finalmente, lo scorso anno, grazie all'intervento del Presidente Ciampi, un posto da ricercatrice. Sempre nel frattempo, un'idoneità da professore associato nel 2002 e un'idoneità da professore ordinario nel 2004, ma chissà se e quando si trasformeranno in altrettante prese di servizio: il Governo ha bloccato le assunzioni all'università per qualche tempo e ora che le ha sbloccate il mio ateneo non ha soldi per inquadrarmi come professore. A quarantadue anni, lo stipendio ammonta a 1.144 euro: avrebbe potuto raggiungere i 1.600 euro, grazie al ministro Moratti e a un decreto del 31 gennaio, ma i rettori si sono opposti; alla Camera dei deputati, è sceso sui 1.300 euro ed è stato poi ratificato dal Senato, Si, il bizzarro caso in questione non é frutto della fantasia. E’ banalmente il mio, ed è bene tenerlo presente non in quanto mio, via in quanto caso concreto e ben poco isolato. Parecchi ricercatori si trovano sulla mia stessa barca, uomini e donne, ma le donne sono sempre le più malmesse: rimangono ferme ai gradini più bassi i sia nell'università, sia negli enti di ricerca. E a questo proposito è pressoché inutile distinguere tra chi fa ricerca in ambito umanistico e chi in ambito scientifico. Non c'è in fondo da recriminare. La precaria situazione della ricerca e dell'università italiana è nota a noi quarantenni,che la constatiamo tristemente da parecchio. Se da giovani ci siamo rifiutati di seguire il saggio consiglio «fuggi all'estero» dei nostri colleghi stranieri, è solo perché abbiamo creduto di poter offrire un, contributo durevole allo sviluppo e al bilancio della ricerca del nostro Paese. Ma la situazione è nota anche al diciottenne che oggi si trova a scegliere il proprio futuro e che è disposto a fare di tutto, pur di non intraprendere la nostra strada. Se convengo con Roberto Casati (vedi il Domenicale del 13 marzo, pagina 36) sul fatto che «manca in Italia una massa critica di intelligenza», questa non é solo scientifica: è intelligenza tout court. La società non se ne rende conto e ne paga il prezzo (alto) in termini economici, L'economia richiede innovazione e l'innovazione richiede linfa intellettuale, scientifica e umanistica. Comunque, visto il calo d'iscrizioni, anch'io incentiverei il giovane brillante, che sceglie corsi di laurea scientifici, con 1000 euro al mese, benché la soluzione debba apparire ad altissimo costo; se apparisse diversamente anche i ricercatori sarebbero retribuiti in modo degno. Peccato che da noi l'apparenza sovrasti la realtà. Al contempo, però, inizierei ad annullare le discriminazioni di genere: stando ad alcune statistiche, una ricercatrice deve dimostrarsi 2,6 volte più, in gamba di un ricercatore per ottenere quanto le spetta di diritto e di fatto; buon lavoro ministro Prestigiacomo. E, su base meritocratica offrirei garanzie e prospettive ai ricercatori e alle ricercatrici, in linea con gli standard europei. Si tratta, oltre che evidentemente di carriere decorose, di condizioni dignitose in cui svolgere la propria attività scientifica, didattica, organizzativa. Cosi, quando i giovani (uomini e donne) ci guarderanno, potranno pensare «Perché non intraprendere questa strada? Mi pare un bel mestiere», e non saranno più costretti ad ammettere «Ma chi me lo fa fare? Meglio una qualsiasi altra _______________________________________________________ Corriere della Sera 25 Mar. 05 QUEI 107 CORSI DI LAUREA SENZA ALLIEVI Da "traduttori dialoghisti" a "storia del Mediterraneo": servono solo a creare cattedre ROMA - La scorsa estate sono stati proposti ai ragazzi appena usciti dagli esami di maturità 3 mila e 29 corsi di laurea triennale o a ciclo unico. Dopo qualche mese all’Osservatorio studenti istituito al ministero dell’Università hanno scoperto che 107 di questi corsi non avevano avuto neppure un iscritto, che 40 avevano attirato meno di 5 studenti e altri 158 erano stati scelti da non più di 10 matricole. Se facciamo due conti scopriamo che i nostri 77 atenei, compresi i 14 non statali, si sono visti bocciare il 10 per cento dell’offerta di formazione. I ragazzi hanno esaminato i titoli di 107 corsi di laurea, si sono chiesti dove andavano a parare, se offrivano qualche opportunità di trovare lavoro e dopo averci pensato un po’ su hanno risposto all’offerta con un «no grazie». Negli altri duecento casi, viste le cifre che vanno da 1 a 10 immatricolati, viene da chiedersi che senso ha un corso con tre, quattro, cinque materie al primo anno, con tutte le dotazioni regolamentari di professori, laboratori, aule e un pugno di iscritti. I dati del Miur parlano chiaro: spesso le università quando creano dei nuovi indirizzi non pensano alle esigenze degli studenti. «L’offerta è sbagliata perché manca una verifica dei fabbisogni - dice Antonello Masia, direttore generale del ministero -. Va razionalizzata. L’abbiamo già fatto e continueremo a farlo fino a quando non risponderà agli interessi dei ragazzi invece che a quelli dell’accademia, sia che si tratti di interessi di singoli docenti o di scuole. Un’offerta sbagliata di corsi di laurea produce danni al sistema universitario e al Paese». Le lauree dai titoli stravaganti, a volte quasi umoristici, da tre anni a questa parte sono bersaglio della scure del ministero che cerca in tutti i modi di ridurre una lista pletorica e spesso poco utile. Dal prossimo anno accademico le lauree prive di requisiti - numero docenti, profilo scientifico dei prof, dotazioni - saranno private del riconoscimento pubblico. La cernita verrà conclusa entro giugno. Secondo fonti non ufficiali del ministero sarebbero circa 4-500 le lauree a rischio. Tuttavia la tendenza a sfornare corsi su corsi continua. Cosa c’è dietro? Per molti prof, più o meno indignati, la logica è quella della moltiplicazione delle cattedre. «L’università deve far fronte alle esigenze della ricerca e della formazione degli studenti invece di soddisfare le prospettive accademiche di questo o quel gruppo di docenti», dichiara il professor Giuseppe Valditara, responsabile di An per le questioni degli atenei. L’offerta rifiutata dagli universitari si caratterizza per la genericità dei titoli o all’opposto per l’estrema specializzazione. Qualche esempio. Chi consiglierebbe al figlio o ad un amico di iscriversi ad un corso triennale per «Traduttori dialoghisti televisivi»? Probabilmente nessuno e infatti la struttura dell’ateneo di Torino non ha avuto successo: zero iscritti. A Roma, dove si contano ben 17 lauree-flop, il corsi di laurea in «Storia del Mediterraneo e dell’Asia» non ha convinto nessuno. Come quella per «Operatori della sicurezza sociale» proposta dall’ateneo fiorentino. Quale è il senso della proposta, si saranno chiesti i ragazzi appena usciti dal liceo. A Pisa il corso di laurea in «Lingua e cultura italiana per stranieri» ha avuto un solo iscritto. Certamente non si sentirà trascurato dai propri docenti. Ma non è sempre la debolezza o la genericità a far declinare l’offerta o a limitarla. «Biotecnologie applicate alla maricoltura e all’acquacoltura nelle aree interne e nella trasformazione dei prodotti ittici», sembra fatto apposta per chi risiede dalle parti di Comacchio. Si sono iscritti in otto, evidentemente tutti molti motivati. Giulio Benedetti _______________________________________________________ La Stampa 24 Mar. 05 PIÙ SOLDI E DIRITTI A CHI FA RICERCA UNIVERSITÀ, IL DECRETO APPROVATO DEFINITIVAMENTE DAL SENATO Dopo un anno di prova i giovani potranno essere confermati nell’incarico. Aumenti del 50 per cento ROMA Non più dopo tre anni ma dopo un solo anno di prova i ricercatori italiani potranno essere confermati nel loro incarico e vedere così il loro stipendio incrementato di circa il 50% su base annua. Si tratta una di misura per favorire la permanenza nelle università e nei centri di ricerca delle migliori risorse umane, altrimenti tentate dal settore privato, se non addirittura dall’espatrio. La decisione era contenuta in un decreto che il ministro Moratti aveva varato il 21 gennaio scorso e che, veicolato dal decreto «omnibus», è diventato definitivamente legge con il voto del Senato di ieri. Il medesimo provvedimento contiene anche un finanziamento per il sincrotone di Trieste e una normativa inerente l’Istituto di geofisica. Per quanto riguarda la norma sui ricercatori «con essa - ha detto il Ministro Letizia Moratti - vogliamo potenziare la politica che mira a trattenere presso le nostre università i giovani migliori e più orientati alla ricerca, riducendo ad un anno il periodo per la loro conferma, attualmente di tre anni». Le norme intervengono anche sul trattamento economico dei ricercatori universitari che, dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma, percepiranno il 70% del trattamento economico previsto per i professori universitari di seconda fascia a tempo pieno e di pari anzianità. «In tal modo - ha aggiunto il Ministro Moratti - vogliamo adeguare sia pure parzialmente la retribuzione dei ricercatori italiani ai livelli retributivi del personale universitario che riveste analoghe posizioni nei principali Paesi comunitari». Va inoltre tenuto presente che l'età di accesso alla qualifica di ricercatore è elevata (circa un terzo accede alla carriera dopo il 38° anno, e l'età media è di 46 anni) sicché la retribuzione del ricercatore non confermato, originariamente stabilita per l'ingresso di giovani, risulta troppo bassa. Sempre nel medesimo decreto viene fissato al 31 marzo 2005 il termine entro il quale le università formulano ed inviano per la valutazione al ministero dell’Istruzione, i programmi triennali relativi al fabbisogno di personale docente, dei ricercatori e dei tecnici. La copertura finanziaria della legge varata ieri è assicurata dal fondo di finanziamento ordinario che nel 2005 è stato incrementato di altri 430 milioni di euro rispetto al 2004. Per quanto riguarda la ricerca, le norme del decreto sono rivolte sia alla società Sincrotrone di Trieste sia all'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Per la prima, il ministro dell'Economia e delle finanze è autorizzato a concedere la garanzia per il rimborso del capitale e degli interessi maturati dalla Società con la Banca europea degli investimenti, su uno o più linee di credito attivate, con un limite di 60 milioni di euro, per la realizzazione del progetto di laser a elettroni liberi. Per assicurare lo sviluppo della competitività internazionale della complessiva infrastruttura, il contributo ordinario per il funzionamento viene integrato con un importo annuo pari a 14 milioni di euro a decorrere dall'anno 2005. La somma viene finanziata da una quota del fondo per il funzionamento degli enti di ricerca. Quanto all'Ingv, viene stabilito che il Consiglio direttivo dell'Istituto è composto dal presidente dello stesso ente e da quattro componenti «di alta qualificazione tecnico-scientifica nello specifico settore di attività, di cui due scelti dal ministro dell'Istruzione, uno designato dal presidente del Consiglio dei ministri e uno designato dalla Conferenza Stato-Regioni». _______________________________________________________ Corriere della Sera 22 Mar. 05 «LE LAUREE BREVI SONO UNO SPRECO DI ENERGIE» COMO - «Nelle università italiane è sempre più difficile ritagliare spazi per la ricerca: eppure non può esservi una buona didattica se il docente non svolge in prima persona ricerca scientifica». Duro monito del rettore dell’Università dell’Insubria, Renzo Dionigi, durante l’inaugurazione dell’anno accademico. Nel suo intervento, ieri a Como, il rettore ha sottolineato come vi sia un gran dispendio di tempo ed energie a causa «dell’articolazione dei corsi di studi in lauree brevi e in lauree specialistiche» e delle «troppe ore di sedute di Senato, consiglio di amministrazione, Facoltà», il tutto a spese della ricerca. A questo, si aggiunga la carenza di soldi. Ciononostante il rettore ha anche sottolineato la buona crescita dell’Università dell’Insubria e annunciato l’istituzione di un centro per il «sistema di supporto alla ricerca e al trasferimento tecnologico». Durante la cerimonia è stata assegnata una laurea honoris causa in Scienze ambientali a Walter Bonatti, l’alpinista valtellinese che nel 1954 partecipò alla spedizione italiana che portò Lacedelli e Compagnoni alla conquista del K2. P. Mor. _______________________________________________________ Sardi news Mar. 05 PILIA: UNIVERSITÀ INTEGRATE CAGLIARI-SASSARI Programmazione didattica e sedi decentrate Una nota dell’assessore regionale alla Pubblica istruzione sulla posizione del ministro Moratti L’intenzione, recentemente ribadita dal ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, di voler imprimere un’accelerazione al disegno di legge delega sull’università, ha suscitato viva preoccupazione nel mondo universitario sardo già impegnato ad affrontare i problemi della debolezza strutturale del tessuto produttivo isolano e della contrazione dei finanziamenti pubblici per il sistema universitario italiano. Il ricorso al disegno di legge, anziché ad una legge ordinaria, costituisce, come ha anche ribadito la Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui), uno strumento inadatto a regolare una materia tanto delicata, complessa e articolata, che avrebbe richiesto invece un attento e ponderato lavoro del Parlamento.Le nubi che si addensano sul sistema universitario italiano a causa delle scelte prefigurate dal Ddl appaiono particolarmente pericolose. La libertà di ricerca e di insegnamento sarebbe infatti messa ancora di più a rischio da una privatizzazione spinta delle strutture universitarie che in Sardegna non potrebbero fare affidamento su finanziamenti privati e non troverebbero adeguati contrappesi in quelli di altri enti pubblici. Altri danni verrebbero da una ulteriore spinta alla precarizzazione dei ricercatori e dei docenti, disastrosa in una realtà periferica come la nostra dove già è molto difficile riuscire a trattenere (e ad attrarre) i talenti migliori e dove la disoccupazione intellettuale continuerebbe ad allontanare i laureati più brillanti dalla ricerca e dall’insegnamento universitario. Inoltre la prevista abolizione della distinzione tra professori a tempo pieno e a tempo definito sarebbe un evidente incoraggiamento ad abbandonare l’impegno nelle strutture universitarie pubbliche. La previsione poi di un corpo docente composto in larga misura da professori e ricercatori precari, ingaggiati con contratti annuali e reclutati al di fuori di procedure scientifico-concorsuali, porterebbe a un’istituzione universitaria che, in contrasto con il dettato costituzionale, risulterebbe svuotata di autonomia e privata di un’effettiva capacità di autogoverno. “Di fronte ai rischi che si profilano all’orizzonte” ha detto l’assessore regionale della Pubblica Istruzione, Elisabetta Pilia, “c’è la volontà politica, da un lato, di farci interpreti delle preoccupazioni del mondo universitario sardo e dall’altro di procedere con particolare determinazione a perseguire gli obiettivi fissati dal Dpef approvato dal Consiglio regionale nella seduta del 22 dicembre scorso, nella convinzione che solo la promozione di un sistema universitario regionale integrato potrà consentire ai due atenei sardi di affrontare con strategie adeguate i processi di ristrutturazione in atto nel sistema universitario del Paese. In particolare l’assessore Pilia intende “proseguire nell’impegno già avviato per promuovere il raccordo dell’attività delle due università della Sardegna sulla programmazione didattica (compresa l’attivazione dei corsi di laurea e il mantenimento di sedi decentrate), per il sostegno della ricerca scientifica e del diritto allo studio. Particolare attenzione sarà riservata al supporto dei processi di internazionalizzazione delle strutture universitarie dell’isola. Saranno fatti investimenti nelle risorse umane. Si punterà a un’alta formazione che metta in grado i giovani di specializzarsi e di fare ricerca in strutture altamente qualificate, che consentano ai giovani di avere serie prospettive di carriera. Gli obiettivi primari della Regione e delle Università sarde saranno – si legge in una nota diffusa dall’assessorato alla Pubblica istruzione - dunque sia di aumentare il numero delle persone in possesso di laurea, di ridurre il tasso di abbandono degli studi e di accorciare i tempi di permanenza nelle università, sia quello di migliorare l’efficienza, la qualità e l’autonomia dei centri universitari dell’Isola, incentivando la razionalizzazione, l’integrazione e la complementarietà delle risorse, delle attività e della programmazione. 54 mila gli iscritti nelle due università sarde Fuori corso 24 mila Gli studenti, nelle due università sarde, nell’anno accademico in corso, sono complessivamente 54.048. Sono 37.784 gli iscritti all’Università di Cagliari mentre a Sassari sono 16.264. I fuori corso sono oltre il 5° per cento. Ecco i numeri:17.048 a Cagliari (con una percentuale del 45,01 per cento) e 7.038 a Sassari (55,6 per cento). Giovanni Lilliu cittadino onorario di Nuoro Il professor Giovanni Lilliu, padre dell’archeologia sarda, accademico dei Lincei, ha avuto la cittadinanza onoraria del Comune di Nuoro. L’assessore regionale alla pubblica Istruzione Elisabetta Pilia ha dichiarato: “Faccio i miei più sinceri complimenti al professor Lilliu per l’importante riconoscimento che gli viene consegnato. Voglio testimoniare la mia stima e l’affetto per un uomo e uno studioso di cui dobbiamo essere orgogliosi e sentirci debitori. Non solo per i meriti di intellettuale e archeologo di fama, con cui ha reso onore alla Sardegna. Il professor Lilliu in più di mezzo secolo di studio e lavoro appassionato ha saputo scavare nella coscienza dei Sardi, riportando alla luce il passato dell’Isola e restituendolo perché crescesse in tutti noi la consapevolezza del valore dell’identità e del senso di appartenenza. È stato l’alfiere di un autonomismo che punta - come lui stesso ha spiegato nei suoi scritti - a una Regione compiuta, una Sardegna in piena libertà, protagonista d’una propria storia. Il professor Lilliu in decenni di impegno politico ha difeso con rigore e coerenza l’autonomia, la cultura, la lingua sarda, senza risparmiare critiche a quanti hanno continuato a farsi schiacciare da un vittimismo atavico o si sono lasciati sedurre dal fascino del potere, che li ha allontanati dal bene comune del popolo sardo. E da un progetto per l’affermazione della Sardegna nel Mediterraneo e in Europa. Per una Giunta investita del compito di costruire un progetto di sviluppo economico e culturale per l’Isola, le “lezioni di autonomia” di Giovanni Lilliu hanno un valore politico e morale. Per questo mi piace ricordare un suo invito ai politici sardi: “Recuperino i consiglieri regionali il governo regionale, l’antico irrinunciabile ideale dell’autonomia, lo rafforzino e lo esaltino senza rinunciare alla dialettica democratica. Restituiscano alla Regione dignità, prestigio, autogoverno, sovranità che le competono, per diritto di natura e ragione etnico-etica-storica”. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Mar. 05 SCIENZE MOTORIE NON FORMA TERAPISTI La laurea che sostituisce l'Isef Ho letto in ritardo un articolo pubblicato qualche tempo fa col titolo "Non solo palestre per lo scienziato dello sport", nel quale si tenta di spiegare le finalità e gli indirizzi lavorativi della laurea in Scienze motorie, che è andata a sostituire il vecchio Istituto superiore di educazione fisica. L'articolo e il titolo contengono alcune affermazioni che, oltre a essere errate, possono ingenerare false aspettative nei giovani che si accingono ad intraprendere tale percorso universitario. In particolare l'occhiello recita: "Prevenzione e fisioterapia tra le competenze delle scienze motorie" o ancora: "Il laureato in questo settore si inserisce di solito in un'équipe di lavoro che comprende psicologi, fisioterapisti, medici". Facciamo una rapida distinzione: il laureato in Scienze motorie non è un professionista sanitario. Lo stesso Decreto legislativo numero 178 dell'8 Maggio 1998 sulla "Istituzione del corso di laurea in Scienze motorie", all'articolo 2, comma 7, recita testualmente: "Il diploma di laurea in Scienze motorie non abilita all'esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in Medicina e chirurgia e di quelle di cui ai profili professionali disciplinati ai sensi dell'articolo 6, comma 3 del Decreto legislativo del 30 dicembre 1992, numero 502 e successive modificazioni". Fare riabilitazione è espressamente vietato nello stesso "atto di nascita" della professione del laureato in Scienze motorie; si può addirittura affermare che la stessa definizione della professione è data anche da questo limite di esercizio, ovvero è definita non solo per le competenze, ma anche per i limiti. A proposito del termine "riabilitazione", poi, nella nota del Miur indirizzata ai rettori delle Università, di "Indirizzo per i corsi di studio con denominazioni simili ai corsi di I e II livello delle professioni sanitarie" del 17 marzo 2003, il dottor Giovanni D'Addona, direttore del Dipartimento per la programmazione, il coordinamento e gli affari economici, ordina di "eliminare dalla denominazione del corso di Laurea di I o II livello le parole "sanitario, medico, analisi di laboratorio, dietista, riabilitazione" o, comunque, qualsiasi riferimento alle denominazioni previste nei Dd Ii del 2 aprile 2001 delle classi delle Lauree di I e II livello delle professioni sanitarie". A riprova che il termine, se non competenza esclusiva del fisioterapista, lo è sicuramente solo delle professioni sanitarie. Alla luce di queste precisazioni, credo sia importante ristabilire la corretta informazione, in un settore così delicato e in rapido cambiamento come quello della formazione universitaria. Vincenzo Ziulu Presidente Associazione Italiana Fisioterapisti Sardegna _______________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Mar. 05 RISORGE LA SCUOLA DI MEDICINA LEGALE Università/1. Approvata la programmazione e assegnati i posti vacanti, esami garantiti Il corpo docente si sostituisce al direttore Risorge la scuola di specializzazione di Medicina legale, grazie al consiglio dei docenti della facoltà di Medicina. Un intervento urgente, per curare un paziente malato dopo le dimissioni del direttore, Pietro Marongiu, e che rischiava il collasso, con l'impossibilità di far svolgere gli esami di ammissioni ad aprile. Ieri l'assemblea di circa duecento professori, riunita alla Cittadella universitaria, ha approvato la nuova programmazione, assegnato i posti di docenza e garantito che in tempi brevi si arriverà alla nomina del nuovo direttore. La decisione spetterà al nuovo consiglio della scuola, che potrebbe arrivare all'elezione prima di Pasqua. Tra i nomi dei possibili successori di Marongiu, Francesco De Stefano e lo stesso Pietro Marongiu. ESAMI SALVIQuel che conta è che la scuola potrà ripartire. «Ringrazio il rettore che ha preso in mano la situazione, chiedendo un intervento immediato della facoltà ? spiega il preside di Medicina, Gavino Faa -, il consiglio ha svolto poi la sua parte, approvando all'unanimità il nuovo programma e le nomine del corpo docente della scuola». Tra le principali novità, l'assenza di Giuseppe Santa Cruz, che ha chiesto, con una lettera indirizzata al preside, di non essere nominato docente. Sostituito anche Antonio Carai, che da tempo aveva manifestato la volontà di non far parte del corpo docente della scuola. «Il nuovo consiglio della scuola ? ricorda Faa ? si riunirà in tempi brevissimi, come richiesto dal rettore, per la nomina del direttore. In questo modo gli esami di ammissione sono salvi. Gli specializzandi che dovevano partecipare possono stare tranquilli». Scampato anche il pericolo del commissariamento, ipotizzato la settimana scorsa dal preside, per cercare di venire a capo della situazione. Qualche garanzia era già stata data da Mistretta, che aveva assicurato che il corso di Medicina legale avrebbe ripreso il suo normale iter. Il prossimo passo sarà la nomina del direttore, che, visto il clima di tranquillità con cui è stata approvata la programmazione didattica, non dovrebbe rappresentare un problema. il TOTO DIRETTOREProprio la programmazione didattica aveva creato notevoli problemi a Marongiu, portandolo alle dimissioni due settimane fa. Erano ancora vacanti alcuni posti (una decina), come tre indirizzi di Giurisprudenza, Medicina del lavoro, Farmacologia e Statistica sanitaria. Le docenze sono in tutto una quarantina. Con il voto di ieri si sono coperti i buchi e sostituiti Santa Cruz e Carai: proprio il corpo docente della scuola (quindici professori universitari), appena ufficializzato, dovrà ora riunirsi per la scelta del direttore. Ovviamente non c'è nessuna ufficialità, ma tra le voci che circolano nell'ambiente il posto dovrebbe essere assegnato a De Stefano o Marongiu. SBOCCHI PROFESSIONALIGli esami di ammissione sono fissati per il 21 aprile e rappresentano per i neo laureati un'opportunità di specializzazione con interessanti sbocchi lavorativi. La scuola è gestita con poche risorse e ha alcuni limiti strutturali (mancano la segreteria, una biblioteca e gli spazi didattici sono ridotti), ma ha sempre dato ottimi risultati, sfornando professionisti della materia. L'anno scorso sono stati un'ottantina i candidati in quella che è l'unica scuola di specializzazione di medicina legale in Sardegna. Due gli indirizzi del corso: uno per gli "strutturati", e uno per i neo laureati. Con uno sbocco professionale certo. Matteo Vercelli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Mar. 05 MEDICINA LEGALE: UNA STORIA DI POLEMICHE E VELENI Università/2. Da subito guerra di ricorsi per la carica più alta La scuola di specializzazione in medicina legale è nata nel 1995 grazie all'impegno di Sergio Montaldo, che la diresse fino al 2 febbraio del '98, data della sua scomparsa. Suo successore fu Giuseppe Santa Cruz, anatomo patologo, eletto per due mandati triennali consecutivi, e restato alla guida della scuola fino e metà del 2004. Un periodo che fu interessato anche dal ricorso al Tar, da parte di Francesco De Stefano, contro la sua nomina a ordinario di Medicina legale nel 2001 (che non riguarda direttamente il ruolo di direttore della scuola). Tutto nasce dal passaggio di Santa Cruz da un settore scientifico- disciplinare (Anatomia patologica) a un altro (Medicina legale). Passaggio che ha portato al ricorso da parte di De Stefano, professore di ruolo di Medicina legale e "scavalcato" dall'affidamento della cattedra a un anatomo patologo. Un caso che aveva mosso anche la Società italiana di Medicina Legale. Ricorso alla fine accolto, che ha revocato il decreto del rettore Pasquale Mistretta, dell'11 ottobre 2001, per il passaggio di Santa Cruz da Anatomia patologica a Medicina legale (pesava il parere negativo del Consiglio universitario nazionale). Annullata anche la sua nomina alla direzione di Medicina legale a Monserrato. Santa Cruz è rimasto comunque a capo della scuola di specializzazione fino al 2004, quando è scaduto il secondo mandato (il tetto massimo fissato per statuto). Il corpo docente ha eletto all'unanimità Pietro Marongiu, che ha dovuto combattere e lottare con le troppe polemiche sulla programmazione didattica («Mi sono accorto delle difficoltà che c'erano nel lavorare e far crescere il corso, e dell'impossibilità, o quasi, nel lavorare serenamente», aveva detto l'ex direttore). Alla fine la decisione delle dimissioni da parte di Marongiu lo scorso nove marzo, che aveva aperto un momento di instabilità e il rischio di non arrivare a poter svolgere gli esami di ammissione fissati per il 21 aprile. Da ieri, con la nuova programmazione del consiglio di facoltà di Medicina e con la nomina in tempi brevi del nuovo direttore, il corso di Medicina Legale sembra destinato a ritrovare un po' di serenità. (m. v.) __________________________________________________ Il Sole 24Ore 22 Mar. 05 LUISS: «APRIRE A DOCENTI STRANIERI E CONQUISTARE L'ECCELLENZA» UNIVERSITÀ E INNOVAZIONE Le nuove strategie della Luiss spiegate da Attilio Oliva. vicepresidente esecutivo e amministratore dell’ ateneo Attilio Oliva (Imagoeconomica) Cambia il modello di gestione ai vertici Didattica, previsti corsi interdisciplinari ROMA «La Luiss è riconosciuta come una delle migliori università d'Italia: la scommessa è farne una delle migliori d'Europa». È la sfida di Attilio Oliva, di recente nominato vicepresidente esecutivo della Luiss. Imprenditore, per undici anni presidente dell'Associazione industriali di Genova e poi della Liguria, già a capo della commissione scuola di Confindustria e ora presidente dell'Associazione "Treellle", Oliva ha avuto mandato dal numero uno degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo, di rilanciare la Libera università degli studi sociali. Fondata da Guido Carli, trent'anni di vita, 70 docenti di ruolo e 450 a contratto, Smila studenti e mille nuovi iscritti ogni anno nei corsi di Scienze politiche, Economia e Giurisprudenza, la Luiss «oggi deve dimostrare senza incertezze di saper affrontare con autorevolezza e competitività le sfide internazionali». In questi giorni saranno selezionate le nuove matricole: entro il 1 ° aprile occorre prenotarsi online (www.luiss.it) e I'8 aprile si svolgeranno le prove in 30 città. Le novità che Oliva ha messo in programma sono molte e alcune forse dirompenti. La tradizione è stata rispettata solo in parte: il presidente della Luiss è rimasto, come di consueto, il numero uno di Confindustria, mentre lei è non solo vicepresidente esecutivo ma anche amministratore delegato, una 6gura inedita alla Luiss. Cosa vuol dire? Significa che sono il garante degli azionisti e rispondo della coerenza alle missioni e degli obiettivi da realizzare. Il suo è un mandato con pieni poteri. Ci sarà un'aziendalizzazione della Luiss? Un momento: l'università non è un'azienda. La sua ricchezza sta nella capacità di formare nuove generazioni e produrre ricerca di qualità a livello internazionale. Noi abbiamo potenzialmente margini di libertà molto più ampi rispetto alle strutture statali. È un'opportunità che dobbiamo sfruttare fino in fondo, con un'attenzione assoluta alla qualità. Come si tradurranno in concreto questi principi? Intanto, cambia il modello di governo dell'ateneo. Sparisce, per esempio, la figura del direttore amministrativo e subentra quella del direttore generale. Un a.d., un rettore e un d.g.: come funzionerà questa terna al vertice? Il rettore, per avere il consenso dell'accademia e degli azionisti, deve avere non solo una forte autorevolezza scientifica ma anche una grande imprenditorialità culturale. Al d.g. spetta garantire l'efficienza della struttura, l'attenzione al rapporto costi/benefici di ogni iniziativa, la qualità dei servizi. Io, oltre ad assicurare il risultato complessivo, sono responsabile verso gli azionisti e garante verso gli studenti della migliore combinazione di tutti i fattori. A cosa si riferisce, in quest'ultimo caso? Ci vuole più attenzione verso i giovani capaci e meritevoli con scarsi mezzi finanziari. Oggi il 20% degli iscritti alla Luiss proviene da famiglie di impiegati del Centro e Sud d'Italia, che fanno grandi sacrifici per investire sul futuro dei loro figli. Auspicherei di passare dal 20 almeno a130%, anche attraverso l'azione della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, nostro socio di minoranza della Luiss, che istituzionalmente sostiene i principi dell'equità sociale. Torniamo ai vertici: si dice che l'attuale rettore, Adriano De Maio, possa lasciare per assumere altri incarichi all'esterno. II professor De Maio è uno dei migliori imprenditori scientifico culturali del sistema universitario. Se dovesse fare questa scelta dovremo sostituirlo con qualcuno che gli assomigli e si dedichi a tempo pieno al nostro ateneo per realizzare gli ambiziosi progetti che abbiamo. Oltre ai vertici, quali saranno le prossime novità? La Luiss ha un vantaggio rispetto alle università di Stato: una burocratizzazione di gran lunga inferiore, una notevole libertà di gestione. Per esempio non siamo costretti a pagare i docenti tutti allo stesso modo, come accade nello Stato, ma possiamo remunerarli in relazione al loro impegno. Come intende sfruttare questa prerogativa? Per esempio chiamando docenti stranieri di chiara fama. Ma anche prestigiosi ricercatori italiani che lavorano all'estero e che, senza una politica incentivante che noi invece potremo avviare, non tornerebbero in patria. Il vero problema, in Italia, non è tanto la fuga dei cervelli, ma il fatto che i nostri scienziati all'estero e i ricercatori stranieri hanno scarse occasioni e poca convenienza a venire nel nostro Paese. Cambierà la didattica? Anche in questo caso vogliamo andare oltre le rigidità burocratiche statali. Nel programma specialistico biennale, la cosiddetta "laurea magistralis", la Luiss ha già istituito corsi interdisciplinari, come "Diritto ed Economia", con un obiettivo preciso: formare nuovi profili professionali che rispondano alla domanda del mercato futuro. Ma la mia ambizione maggiore è un'altra. E cioè? Gli atenei hanno tradizionalmente due missioni: formare le nuove generazioni e fare ricerca. Ormai c'è una terza missione emergente: valorizzare le conoscenze e farne una risorsa per la comunità. Il mio auspicio è che la Luiss diventi una struttura a servizio della società, sulla base del modello anglosassone. Vorremmo diventare un punto di riferimento per il Paese, interlocutori utili per il sistema delle imprese, la pubblica ammministrazione e i decisori pubblici. MARCO LUDOVICO __________________________________________________ Il Sole 24Ore 26 Mar. 05 RITARDI STRATEGICI NELL’ALTA TECNOLOGIA L'Italia è ai primi posti nella Ue per i prodotti innovativi immessi DI MARCO FORTIS L’intervento di Guido Gentili sul Sole-24 Ore del 10 marzo pone un problema cruciale: la necessità di una strategia che possa rafforzare la posizione dell'Italia in attività produttive a più alto contenuto tecnologico. Con ciò non significa negare l'importanza delle cosiddette 4 "A" dell'eccellenza manifatturiera italiana (agro-alimentare, abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione- meccanica), capaci nel 2004 di generare un saldo commerciale attivo con l'estero di 74,5 miliardi di euro. Ma occorre prendere atto che questo attivo, la cui consistenza è sempre più minacciata dalla concorrenza asimmetrica asiatica, è ormai insufficiente per compensare la crescita inarrestabile dei passivi dell'energia e degli "altri settori" (tra cui autoveicoli, elettronica- tlc, chimica-farmaceutica) saliti, rispettivamente, a 30,8 e 45,1 miliardi di euro nel 2004. Se il nostro attivo commerciale record del 1996 (34,9 miliardi di euro) si è disintegrato in otto anni e nel 2004 la bilancia commerciale italiana si è chiusa per la prima volta in rosso dopo 12 anni, ciò è stato dovuto esclusivamente ad una crescita di 15 miliardi di euro della bolletta energetica e ad una autentica esplosione di 27 miliardi di euro del passivo degli "altri settori" rispetto al 1996. Per contro, l'attivo delle 4 "A", pur riducendosi a partire dal 2001 per effetto della crisi tedesca, del supereuro e della Cina, nel 2004 è risultato comunque ancora superiore di 5,6 miliardi rispetto al 1996. Da qui la necessità, da un lato, di tutelare i settori tradizionali del made in Italy (che rimangono per l'Italia una risorsa fondamentale) da forme inaccettabili di dumping e contraffazione, e, dall'altro lato, di puntare con determinazione a politiche che favoriscano la crescita dimensionale e l'internazionalizzazione delle nostre imprese nonché un rilancio della ricerca. Queste ultime sono le ricette di, cui da tempo si parla e su cui dovremmo ormai essere tutti d'accordo. II I problema però non è tanto di ricette bensi di ingredienti. Si prenda per esempio il problema Iella ricerca. II divario in termini di ,pesa in R&S sul Pil tra l'Italia e i maggiori Paesi europei non matura tanto dal versante della spesa pubblica e delle Università (dove siamo solo leggermente dietro ai tedeschi e ai francesi e in linea con gli inglesi), bensì dal versante delle imprese. Nel 2002 le imprese hanno speso in R&S 17 miliardi di euro in Germania, 21,8 miliardi in Francia, 20,8 miliardi nel regno Unito e solo 7,1 miliardi in italia. Ciò non significa che in Italia si faccia poca innovazione. Anzi se ne fa molta, ad esempio, nelle 4 "A", ma di tipo informale (si pensi al desing). Prova ne è che secondo l'ultimo European Innovation Scoreboard l’Italia è prima in Europa assieme alla Finlandia per percentuale di prodotti innovativi immessi sul mercato dall'industria manifatturiera. La realtà però è che il nostro Paese è poco presente nei settori ad alta tecnologia, dove si fa la ricerca "formale" capace di produrre le più rilevanti ricadute tecnologiche. La storia è nota. Abbiamo perso, in passato giganti della ricerca come Montedison e Olivetti. Cosi oggi la Siemens spende da sola in R&S più dei primi 100 gruppi industriali italiani e in Italia vi sono solo due "Pilastri" (Fiat e Finmeccanica) in grado di investire singolarmente più di un miliardo all'anno in R&S. Dunque per l'Italia recuperare il ritardo con gli altri Paesi nella ricerca è cruciale. Ma non è cosi semplice come dirlo. Si pensi che per ridurre anche solo del 25% il divario oggi esistente tra Italia e Germania nella spesa in R&S delle imprese, al nostro Paese occorrerebbero 4 nuove Fiat. Per riposizionarci nella divisione internazionale del lavoro bisogna dunque fare un inventario realistico degli "ingredienti" che abbiamo a disposizione, senza vagheggiare ricette acrobatiche o miracolistiche. L'Italia deve innanzitutto tenersi ben stretta le 4 "A" e i pochi "Pilastri" che le sono rimasti, tra cui alcuni (Finmeccanica e Fincantieri) detengono posizioni di leadership tecnologica e di mercato a livello mondiale. Il nostro Paese deve poi favorire una crescita dimensiona1e delle proprie aziende che possa generare la massa critica di risorse necessaria per incrementare la spesa in R&S anche delle medie imprese, cosi come la loro capacità di promuovere marchi aziendali forti. Infine, va favorita l'interazione tra pilastri "Distretti" e "Laboratori", conferendo maggiore sistematicità e progettualità all'innovazione. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mar. 05 BIBLIOTECA NELL'EX ALBERGO DEL POVERO Viale Fra Ignazio. La facoltà di Economia si fa un regalo per il mezzo secolo di vita Ieri inaugurato l'edificio completamente trasformato Macerie e vetrate frantumate hanno lasciato il posto a postazioni per studenti, scaffali nuovi di zecca, computer e armadi compattabili per la conservazione perfetta dei libri. Così quello che era l'albergo del povero, in viale Fra Ignazio 84, si è trasformato nella biblioteca della facoltà di Economia. Sistemata su tre livelli, oltre ad avere circa 320 posti per la lettura, ha una sala per la consultazione on line delle riviste tra le più attrezzate della Sardegna, grazie ad abbonamenti con quasi seicento periodici di tutto il mondo. L'inaugurazione è avvenuta ieri, alla presenza del preside Roberto Malavasi: una novità per la facoltà economica proprio nel suo cinquantesimo anno di vita. «Speriamo di poter ospitare a Cagliari, a giugno o settembre, il collegio dei presidi delle quaranta facoltà di Economia d'Italia», ha auspicato Malavasi. Un bel modo per celebrare l'importante compleanno. LA BIBLIOTECA Disposta su tre piani, la biblioteca ha tutto quello che serve per essere tra le più moderne dell'ateneo cagliaritano. Nel seminterrato c'è lo spazio destinato alla conservazione del patrimonio librario della facoltà. Possono essere ospitati 75 mila volumi e 40 mila riviste, in speciali armadi compattabili che ne garantiscono una conservazione perfetta. «Attualmente il deposito sarà completato per il 75 per cento», ha spiegato il preside. Nel pianoterra, all'ingresso, la reception e lo sportello per i prestiti, oltre a quattro sale per la consultazione, con circa 320 posti per gli studenti. Al centro lo spazio per la lettura delle riviste specializzate di tutto il mondo (con 50 posti): «È una cosa di cui andiamo fieri ? ha aggiunto Malavasi ? Si possono scaricare gli articoli grazie ai computer e alle stampanti, avendo a portata di clic periodici del settore tra i più importanti. Gli spazi non sono finiti qui: presenti anche gli uffici dell'amministrazione, mentre al primo piano sono sistemati sedici uffici per i docenti. La biblioteca sarà aperta dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20, il sabato dalle 8 alle 13. «Prima la biblioteca ha funzionato con quella di giurisprudenza ? ha ricordato il preside di Economia ? In questo modo si può creare un polo economico, liberando quella per la facoltà di Giurisprudenza, che avrà spazi maggiori per i suoi studenti». ECONOMIA COMPIE 50 ANNI Con l'inaugurazione della biblioteca, subito presa d'assalto dagli studenti presenti, non tantissimi visto il periodo delle vacanze di Pasqua, la facoltà di Economia si prepara a festeggiare i suoi 50 anni di vita. «Ospitare il collegio dei docenti delle facoltà economiche italiane sarebbe il massimo, e siamo sulla buona strada», ha spiegato Malavasi, Intanto i numeri raccontano di una facoltà in ottimo stato: circa quattromila studenti, con 800 nuovi iscritti e cinquecento laureati all'anno. LA STORIAAbbandonato da quindici anni l'edificio comunale è stato ceduto, attraverso un contratto di permuta, all'Università nel 2002, con l'ex istituto dei sordomuti. All'amministrazione erano andate la proprietaria dell'ex palazzo Sacic, di via della Pineta, e oltre quattro milioni (in due rate da 2 milioni 840 mila e un milione 392 mila euro). Per realizzare la biblioteca ci sono voluti due anni e un finanziamento importante, inserito nei fondi (circa un milione di euro) per la creazione di servizi per il polo giuridico ? economico. Matteo Vercelli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 25 Mar. 05 VITTORIO ANGIUS, L'ARTE DELLA STATISTICA Il professor Pippo Puggioni emerge da una stanza carica di tabelle, cartelle e carte di ogni forma e grandezza. Solo lui e i suoi assistenti sono in grado di scovare al primo colpo un fascicolo prezioso. Cinquecento pagine di dati fitti, numeri, percentuali che forniscono il quadro statistico più esaustivo possibile sulla Sardegna di metà Ottocento. Questa piccola bibbia per i demografi storici non potrebbe esistere senza il lavoro di Vittorio Angius. Puggioni, ordinario di Statistica sociale alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Cagliari, ha scartabellato per due anni di fila tutte le voci sulla Sardegna scritte dallo scolopio e pubblicate sul Dizionario storico di Goffredo Casalis. Ne ha tratto uno strumento utilissimo e richiestissimo dai ricercatori che, si spera, potrà essere presto pubblicato. Il professore, allievo di Arcari e collaboratore del grande Corrado Gini, padre della scienza statistica in Italia, conosce la ricerca del religioso cagliaritano come pochi:«Il quadro che ci fornisce Angius è esaustivo, omogeneo e insostituibile perché una tale mole di informazioni sulla Sardegna di allora non ha precedenti». Ai tempi in cui Vittorio Angius effettuava la raccolta di dati per il dizionario del Casalis, qual era lo stato dell'"arte statistica"? «La statistica nei domini italiani muoveva i primi passi già agli inizi dell'Ottocento. Era il momento in cui i governi ritenevano fondamentale acquisire una conoscenza quantitativa e qualitativa della realtà geografica, demografica, economica e sociale. Al di là di quelle che potevano essere le percezioni o le valutazioni, si sentiva l'esigenza di quantificare attraverso un quadro preciso, gli abitanti, la produzione, i fenomeni sociali propri del territorio che si doveva amministrare». Quando è stato istituito il primo servizio statistico in Sardegna e come funzionava? «In occasione del censimento del 1842 ? 1843, però solo in forma temporanea e solo per effettuare quella specifica ricerca. La Regia commissione di statistica con sede a Torino costituì una commissione a Cagliari che a sua volta avrebbe dovuto coordinare 11 giunte provinciali. Il compito era quello di eseguire il censimento generale della popolazione per la prima volta con le caratteristiche di una rilevazione moderna. L'Angius utilizzerà questi dati e li riporterà sul Casalis a partire dalla lettera S. In base a questi strumenti, per esempio, si poteva stabilire quanti stranieri abitassero la Sardegna e distinguere la popolazione in cattolica e acattolica». Che metodo sceglie l'Angius nelle sue rilevazioni? «Utilizza tutte le fonti esistenti relative alla popolazione, al territorio, alla produzione agricola, alle attività manifatturiere, soprattutto attraverso i parroci e i vari intendenti locali. Raccoglie anche i dati personalmente e ne controlla veridicità e attendibilità. Non sempre le informazioni sono fornite in termini quantitativi e per questo lui cerca, dove possibile, di elaborare una valutazione numerica precisa». Può citare un esempio? «Riguardo al paese di Mandas viene fornito un dato sull'incremento della popolazione nel periodo 1831 - 1837 che lui ritiene inammissibile e per questo lo verifica e lo rielabora. Lo scolopio attiva anche diverse corrispondenze con intellettuali del tempo. Per avere notizie su Nuoro si rivolge ad Asproni, su Sassari a Tola. Ma il contributo degli studiosi locali fu molto marginale e lo stesso Angius li definì dei "mandroni" perché ritardavano nel fornire notizie che a volte erano pure incomplete». In base agli attuali parametri scientifici, qual è il giudizio sul lavoro statistico del cagliaritano? «Attraverso le schede dell'Angius siamo in grado di avere un quadro statistico abbastanza definito dello stato della Sardegna nel secondo quarto dell'Ottocento. L'importanza di questo lavoro deriva dal fatto che non esistono fonti alternative. In mancanza d'altro, certe notizie possono essere riprese solo dal Casalis. Il dato sulla popolazione invece può essere confrontato e risulta coerente con altre ricerche. È doveroso specificare però che la rilevazione dell'Angius si prolunga per un intervallo di tempo notevole e quindi diviene necessario desumere il dato medio. Le rilevazioni di oggi devono essere riferite a un determinato e preciso istante temporale». Complessivamente, come sono articolati i dati dell'Angius? «La ricerca è articolata in 18 grossi argomenti. Dalla topografia e caratteristiche del territorio alla storia, dalle acque al clima, dalla popolazione al clero. Fornisce dati epidemiologici riguardo alle malattie più frequenti, dati sul personale sanitario, tradizioni, modi di vestire. Ma anche notizie su quella che veniva chiamata indole degli abitanti. Si tratta evidentemente di indicatori di criminalità e litigiosità. Entro i limiti di attendibilità possibili a quel tempo, l'Angius spiega com'era ripartita la popolazione attiva, quanti erano i negozianti, i muratori, gli agricoltori. Quali le attività prevalenti nei vari centri. Ancora, si sofferma sulle antichità di carattere archeologico che lo storico John Day ha studiato per il suo volume sui villaggi scomparsi della Sardegna. Il quadro che ci fornisce è abbastanza esaustivo ed omogeneo per tutti i comuni anche perché a tutte le sue fonti locali chiedeva di compilare una sorta di questionario». Lei ha utilizzato tutti questi dati e li ha raccolti in un compendio statistico di 500 pagine. Ce ne parli? «Questa idea deriva dalla mia deformazione professionale. Trovo più agevole scorrere dei tabulati anziché leggere una descrizione. Ho pensato quindi di elaborare un compendio statistico articolato in nove sezioni, ognuna delle quali preceduta da una breve descrizione sull'attendibilità dei dati e su alcuni elementi particolarmente interessanti. Esattamente come sono presentati i quadri dell'Istat. Al tempo avevano collaborato alla stesura due mie laureande: Daniela Angioni e Tiziana Medda». Questo materiale non è mai stato pubblicato? «Mai pubblicato. E mi farebbe piacere se potesse essere stampato proprio adesso. Si metterebbe a disposizione una notevole quantità di informazioni sulla Sardegna ottocentesca e si potrebbe ripartire da questo compendio statistico per ricostruire altri aspetti di demografia storica sull'Isola». Può indicare delle curiosità emerse da questa ricerca? «Ultimamente, sulla base del compendio, la professoressa Maria Antonietta Gatti ha potuto verificare che l'area della longevità ai tempi dell'Angius era, come è oggi, l'Ogliastra. È interessante anche rilevare l'anima ecologica dell'autore. Dimostrando notevole sensibilità, egli lamenta la distruzione dei boschi. Lo scolopio ci dà un quadro delle malattie più frequenti per ogni comune, calcola la durata media della vita, valuta le condizioni di igiene, se esiste un buon approvvigionamento di acqua potabile e in particolare sottolinea se si è già provveduto a trasferire il cimitero fuori dall'abitato. Tuttavia erano ancora tanti i comuni in cui i seppellimenti avvenivano al centro del paese. Personalmente ho riscontrato altre curiosità riguardo ai saperi locali. Per esempio mi sono soffermato sul pane ogliastrino impastato con la terra». Dovrebbe essere il pane di ghiande. Ha mai utilizzato questa ricetta? «No, ma l'ho proposta a un noto ristoratore cagliaritano». Come spiega l'interesse dell'Angius per il dato statistico? «L'intellettuale ha attraversato quel momento storico in cui si è voluto ricostruire in chiave moderna un quadro preciso delle risorse e degli abitanti di ogni territorio. L'esigenza era di giungere a una visione non genericamente globale ma disarticolata nelle diverse realtà locali. In questo contesto gli studi dell'Angius assumono un'importanza ancora più notevole perché, tra gli stati sabaudi, la Sardegna era considerata lontanissima e "mal conosciuta"». Walter Falgio ======================================================= ______________________________________________ Libero 23 Mar.05 PREMIATO IL SAN RAFFAELE: È IL FIORE ALL'OCCHIELLO DELLA RICERCA MEDICA ITALIANA il ministero della Salute ha conferito all'ospedale romano titolo di "Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico" per l’ attività di assistenza e studio ROMA - Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Questo il riconoscimento che il ministero della Salute ha attribuito al San Raffaele di via della Pisana a Roma, da ieri entrato,nel numero di quegli istituti (in tutto una trentina in Italia) che «sanno integrare la ricerca scientifica con l'assistenza ai pazienti, in modo che l'una interagisca con l'altra», ha spiegato, Fabrizio Mastrilli, direttore sanitario del centro, nel corso della conferenza stampa tenuta nella sede del moderno ospedale. Ma cosa significa in concreto Irccs? «Questo titolo viene assegnato dal ministero della Salute», ha continuato Mastrilli, «a quelle strutture incaricate di svolgere un'attività di ricerca che ha caratteristiche di tipo nazionale e supportata da un'attività assistenziale altamente qualificata». Con una specializzazione, nel campo riabilitativo, il San Raffaele ha portato avanti numerosi progetti, «organizzando 102 corsi formativi», ha poi aggiunto il direttore scientifico, Pierangelo Bovini. «A tale proposito in un anno», ha quindi concluso, «sono stati attivati, con un finanziamento di 2 milioni di euro, 16 laboratori che collaborano con atenei italiani e stranieri e impiegato oltre 20 ricercatori». Un impegno i cui risultati sono riscontrabili nel 23% dei pazienti ricoverati e provenienti da altre regioni d'Italia. «Una volta questo era il territorio, da cui tutti partivano per andarsi a curare altrove. Ora succede l'esatto contrario». Cosi Francesco Storace, presidente della regione Lazio, ha sottolineato l'importanza di centri perla ricerca scientifica che «arginano la fuga di cervelli, riportandoli in Italia». A margine della giornata di festa a cui hanno preso parte i vertici della Tosinvest Sanità, tra cui Antonio Angelucci e i suoi figli, i pazienti e tutto il personale, il Governatore del Lazio Francesco Storace ha ricevuto una targa da alcuni bambini ricoverati nel reparto di riabilitazione pediatrica. Presente anche il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi, che ha ricordato «gli sforzi, finanziari e scientifici, che sono stati affrontati per far si che il San Raffaele ottenesse questo riconoscimento. _______________________________________________________ Corriere della Sera 29 Mar. 05 DON VERZE’: UN PARCO SCIENTIFICO CONTRO LA FUGA DI CERVELLI In Lombardia un’unica piattaforma per gestire le eccellenze della sanità di don LUIGI VERZÈ* Forse a qualche osservatore meno attento è sfuggito come in queste ultime settimane si siano avviate in Lombardia eccezionali iniziative: la nascita della Fondazione Policlinico, la posa della prima pietra a Pavia del centro di adroterapia, l'avvio della prima macchina in Europa per la tomoterapia e il contemporaneo raddoppio strutturale del San Raffaele con l'avvio di Blue Gene, il computer più potente al mondo per lo studio della proteomica di cui potranno avvalersi tutti gli istituti di ricerca d'Europa, la nascita del Cerba del prof. Veronesi. È il segnale di un rinnovato fervore della genialità italiana verso un sapere ed una medicina d’avanguardia. «Percorri l'uomo ed arriverai a Dio» ci insegna Sant’Agostino. Da sempre mi è chiaro che non si può guarire una patologia senza conoscere tutto l'uomo, perché l'uomo è corpo, mente e spirito in un «unum». È la ricerca il punto chiave per addentrarci in questo percorso: la ricerca nelle scienze umanistiche e bio-molecolari, la ricerca per capire sempre meglio il nostro essere, il nostro genoma e proteoma, al fine di bloccare insipienze e patologie. Tempi lunghi? L'ignoranza, la malattia e la morte non danno tregua e la coerenza cristiana non consente indugi. Dobbiamo essere coscienti che il futuro ci porterà a vincere questa sfida solo se sapremo far lavorare insieme ricercatori, istituzioni, politici. Alcuni Paesi destinano risorse imponenti alla ricerca. L’Italia parrebbe più ricca di geni ed anche di genialità per creare risorse. Ma il genio e la scienza per loro natura sono patrimonio non campanilistico, bensì globalizzante. C'è un modo semplice per riuscire a rendere più fruttuose moltiplicandole le risorse, anche allo scopo di bloccare le «fughe di cervelli». Perché in Lombardia, la regione d'Italia più ricca di strutture scientifiche valide, non si può costituire in «un’unica piattaforma», un unico Parco Scientifico, dove l'autonomia, l'aggregazione e mutuo vantaggio siano un trinomio stimolante? Il San Raffaele ha pronto il progetto di un comune tavolo coordinatore che ho chiamato «Genesis Eden» (Eden in ebraico significa Delizia). Ne ho già parlato con alcuni dei protagonisti ricevendo entusiastiche reazioni. Sfogliando il programma del prossimo mandato del Presidente Formigoni leggo un impegno a creare una rete di eccellenza che sappia coordinare e sostenere i singoli centri, gli ospedali di ricerca e le università. Gli do credito: alcuni importanti risultati si sono visti. Ora occorre il colpo di reni: alla giunta del dopo elezioni chiedo da subito un impegno prioritario su questi argomenti. * Fondatore e presidente San Raffaele _______________________________________________________ La Repubblica 31 Mar. 05 GLI INTERESSI DIETRO LA FORMAZIONE IN MEDICINA Formazione Educazione in medicina ed evidenze scientifiche: dalla parte del malato di Paolo Cornaglia Ferraris Regola prima (ed unica): i medici devono agire secondo EBM ed appprendere secondo ECM. Se si rifiuteranno di farlo,l'assicuratore, (pubblico o privato che sia), si rifiuterà di pagare. Entriamo nelle due sigle e cerchiamo di capire. EBM significa Evidence Based Medicine, ovvero medicina basata sulle evidenze. Scientifiche, ovviamente, ma quali? Molte delle evidenze scientifiche realizzate grazie a studi clinici condotti su malati, aprono e chiudono mercati miliardari: nuovi farmaci, nuovi diagnostici, nuovi apparecchi, enormi consumi. Tutte le università e perfino gli ospedali sono pervase da ricerche pagate dall'industria. Il danaro pubblico a sostegno della ricerca, per contro, è ridotto al lumicino. Il risultato? Nessuno può più fidarsi ciecamente che un farmaco agisca davvero meglio di un altro o che un nuovo apparecchio diagnostico (costoso) sia veramente innovativo. Passiamo alla seconda delle due sigle. Per ECM si intende Educazione Continua in Medicina. In Camici e Pigiami scrissi, nel 1998, che un medico italiano poteva laurearsi "a vita" e che nessuno ne avrebbe mai verificato aggiornamento e preparazione. Scandaloso ma reale, sino a quando l'obbligo di aggiornamento è, finalmente, entrato nella legge italiana. Ogni professionista della sanità deve aggiornarsi, conquistando un punteggio annuale. I punti ECM sono acquisibili tramite corsi di aggiornamento. Ce ne vogliono decine ogni anno per dimostrare d'essere adeguati al Servizio Sanitario e non perdere i vantaggi di stipendi e convenzioni. Così, si va alla caccia delle offerte migliori, proprio come al mercato. Internet è uno dei veicoli, ma il più suadente resta sempre in mano dell'informatore farmaceutico: punti gratis e qualche viaggetto gratificante, non mancano quasi mai. Chi sancisce quanti punti valga che cosa è il "provider", su delega del Ministero, che ha rinunciato a seguire direttamente la cosa. I provider accreditati competono sul mercato, stabiliscono alleanze, vendono prodotti alle aziende e creano pacchetti formativi a prezzi non proprio popolari. La formazione diventa business: si vende per EBM, tramite ECM, ciò che interessa i produttori. Chi vende poco si cura di sprechi, consumi, controlli del rischio. La corsa è inarrestabile, ma crea robuste reazioni. La Medicina è arte del curare e del prendersi cura; le emozioni sono passaggio obbligato della relazione e, quindi, del modo con cui il malato crederà alla cura prescritta. Per arrivare ad una EBM veritiera ed attenta, per conquistare una ECM adeguata al controllo dello spreco e del rischio, ci vorrà ancora tempo. Suggerirei di spenderlo per educare il pubblico ai segreti interessi di chi, cosa e come si muove dietro ai consumi sanitari. Cambiano alcune regole per accelerare gli accreditamenti e limitare le irregolarità. Entro 3 mesi dallo svolgimento dell'evento vanno trasmessi gli elenchi dei partecipanti pena l'annullamento dell'accreditamento. Il ritardo ha dato luogo, ad esempio, ad attestazioni rilasciate ad un numero di partecipanti superiore al dichiarato. Il versamento del contributo alle spese va effettuato entro 3 mesi dalla comunicazione del numero dei crediti attribuibili all'evento, pena l'annullamento della richiesta e cancellazione dalla Banca dati ECM. L'ente accreditatore ha 6 mesi per verificare i requisiti del provider e rilasciare l'accreditamento provvisiorio che dura 2 anni. Dopo 1 anno il provider può richiedere l'accreditamento standard, che va concesso entro 6 mesi, per 4 anni. _______________________________________________________ La Repubblica 31 Mar. 05 AGGIORNAMENTO IN MEDICINA, COME FUNZIONA Novecentomila professionisti della sanità sono coinvolti da tre anni nell'Ecm (educazione continua in medicina): lezioni e corsi per ottenere crediti formativi e mantenersi informati Tra polemiche, centri decisionali, conflitti d'interesse e business di Maria Gullo I medici "col bollino" non smettono di alimentare polemiche. Il programma di Educazione continua in medicina (Ecm) giunto al suo terzo anno di operatività continua a generare dibattiti animati: da un lato le 32 figure professionali coinvolte (900mila persone circa) con i loro ordini, sindacati, società scientifiche, dall'altra la controparte ministeriale. E ora grazie alla new entry delle Regioni la storia senza fine è diventata un triangolo. A chi non si troverà, al momento della verifica ogni 10 anni, con i crediti in regola non resterà che la ripetizione dell'esame di Stato. Questo secondo il Piano nazionale per l'Ecm 2005-2007 le cui prime indicazioni sono state presentate dal ministro alle Regioni. Varranno di più in termini di punti gli eventi relativi agli obiettivi istituzionali dei Piani sanitari regionali e del Ssn e sarà un Organismo tecnico-politico di coordinamento ministero-Regioni, che elaborerà il Piano nazionale, a definire il tutto. Il ministero ha recentemente puntato sulla Fad, formazione a distanza "on line" - sulla linea dell'e-learning previsto per tutta la pubblica amministrazione - per "democratizzare" il sistema, agevolare tutti nei tempi e nei costi ma la vera novità è che la nuova faccia dell'Ecm sarà data dal decentramento, come dimostrano le nuove regole di fine 2004. "Il miglioramento dell'Ecm passa per il decentramento del sistema", aveva anticipato il ministro Sirchia al convegno fiorentino della Società scientifica di medicina generale, "è un nostro obiettivo: lavoriamo con le Regioni affinché quello che era tutto basato sulla commissione nazionale trovi regole comuni ma attori diversi, quindi non più necessariamente la centralizzazione della commissione". Se scopo principe della formazione permanente era migliorare le competenze manageriali e cliniche di tutti gli operatori in sanità, medici e infermieri, psicologi e farmacisti, odontoiatri, veterinari, tecnici sanitari, fisioterapisti (l'Italia è l'unica che la prevede, obbligatoria, per tutte le professioni sanitarie) mantenendoli informati sulle nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche, per garantire un Ssn sicuro ed efficiente, da alcuni è proprio questo ad esser messo in discussione, insieme ad alcune modalità e nodi organizzativi del sistema. Prime fra tutte le modalità di accreditamento dei soggetti privati che accanto alle istituzioni pubbliche hanno l'ok per organizzare corsi ed eventi, i "provider". Poi i tempi burocratici: il passaggio dal provider alla segreteria di Roma, dalla segreteria ai referee e di nuovo al provider, con i tempi che ben conosciamo, ha fatto in modo ad esempio che eventi siano iniziati senza sapere quanti crediti valessero. E quanti soldi sono entrati nelle tasche dello Stato grazie ai contributi versati dai provider e come vengono utilizzati? In pole position tra le polemiche, la leicità o meno che gli interessati debbano pagare per la propria formazione sancita come obbligatoria dalla legge. E poi la questione del "conflitto d'interesse", la sponsorizzazione degli eventi da parte delle case farmaceutiche, chi debba farsi carico dell'organizzazione dell'Ecm nel caso dei lavoratori dipendenti della sanità. "Il percorso da fare è ancora lungo", ha specificato Sirchia, "ma poter dimostrare che un medico sia sempre quel professionista di fiducia cui rivolgersi è un grande valore ed è nell'interesse dei medici e di tutti noi. Nonostante l'impostazione centralistica, con le ovvie difficoltà organizzative, con un ministero che non ha brillato per aver risolto problemi burocratici con agilità, qualcosa è partito e ora bisogna sostenere il miglioramento del percorso. Bisogna capire i valori fondamentali delle cose a fronte dei non valori, quali le competenze, la burocrazia, i poteri e costruire insieme un percorso più efficace". _______________________________________________________ La Repubblica 31 Mar. 05 TRA CONFLITTO D'INTERESSI E BISOGNO DI SPONSOR Regolamenti In arrivo dalla Commissione le linee guida per evitare che i provider non incappino nel conflitto d'interesse. Una sorta di regolamento per disciplinare le sponsorizzazioni. Questo a detta della stessa Commissione a mitigare quelle regole dei Nuovi requisiti minimi di novembre che sembravano sospendere ogni sponsorizzazione, anche indiretta, da organizzazioni con interessi commerciali. Finora le imprese hanno potuto sponsorizzare eventi sia di privati sia di aziende sanitarie, dichiarando la sponsorizzazione e facendo autocertificare da queste ultime e dai relatori una dichiarazione di "non conflitto di interessi". Ora in caso di irregolarità o inadempimenti sarà annullata la richiesta di accreditamento. Dal canto suo l'industria farmaceutica auspica "di poter avere nel futuro un ruolo più attivo", afferma Federico Nazzari, presidente di Farmindustria. "L'industria viene sempre più indotta a sponsorizzare eventi Ecm, soprattutto dopo le ultime leggi emanate in materia di informazione scientifica, che hanno ridotto del 50% convegni e congressi". Gli industriali del farmaco chiedono anche la totale deducibilità fiscale per gli investimenti in Ecm ( ora indeducibili fiscalmente per l'80%). Originale la formula adottata dall'Emilia Romagna che "ha creato un Fondo regionale per ricerca e formazione con il contributo di aziende farmaceutiche che si trovano a investire però "al buio"", dice Serafino Zucchelli, cioè non sapendo esattamente cosa finanzieranno". Del resto, come precisa Lamberto Pressato, responsabile Fnomceo per la formazione e membro della Commissione, "da un lato va favorita la trasparenza e dall'altro consentito ad un sistema di essere sostenuto economicamente". "La dichiarazione di non conflittualità sembra poco. Ci sono vari tipi di conflitti d'interesse e in mancanza di definizioni certe ognuno tenderà ad autoassolversi". _______________________________________________________ La nuova Sardegna 27 Mar. 05 OSTETRICIA DEL SIRAI, APPLAUSI DAGLI USA Uno studio del dipartimento è stato pubblicato su una delle più prestigiose (e famose) riviste mediche CARBONIA.«Le sono sinceramente grato di avermi offerto la possibilità di leggere il suo studio, che considero un mirabile esempio di alta qualità nella ricerca realizzata in ambito clinico». Così Tomas Ganz, direttore del Blood Journal, rivista dell’American Society of Hematology di Washington, una delle più prestigiose del globo, ha annunciato l’avvenuta pubblicazione di uno studio del Department of Obstetrics and Gynecology, Sirai Hospital, Carbonia, Italy. Lo studio che appare sulle pagine della pubblicazione medica statunitense (i cui articoli attribuiscono all’autore un punteggio fra i più alti nell’ambito dei titoli professionali) si intitola «I livelli dell’emoglobina correlati ai livelli dell’interleuchina-6 nei pazienti con tumore dell’ovario non trattato ed in stato avanzato: il ruolo dell’infiammazione nell’anemia cancro-correlata». Un lavoro che Antonio Macciò, primario di Ostetricia e Ginecologia del Sirai ha condotto in particolare con Daniela Massa e Maria Cristina Mudu, del servizio di oncologia medica dell’ospedale di Carbonia, al quale hanno collaborato anche i professori Giovanni Mantovani, direttore della clinica di Oncologia Medica, e Gian Benedetto Melis, direttore della clinica di Ostetricia e Ginecologia, entrambi dell’università di Cagliari. Al lavoro hanno partecipato, inoltre, i dottori Clelia Madeddu, Maria R. Lusso, Giulia Gramignano, Roberto Serpe. Dello studio è pubblicata una sintesi sui siti web del Blood Journal (alla pagina http://www.bloodjournal.org/cgi/content/ abstract/2005-01-0160v1) e del National Center of Biotechnology Information (alla pagina www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi?cmd= Retrieve&db= pubmed&dopt= Abstract&list - uids=15774616). Sono diversi gli studi nei quali Antonio Macciò appare all’interno di èquipe condotte dal professor Mantovani, pubblicati su riviste importanti a livello internazionale, come”Cancer Epidemiology Biomarkers & Prevention”, il Journal of Molecular Medicine, l’Expert Review of Anticancer Therapy, l’International Journal of Cancer, Drugs, il Journal of Immunotherapy, Gynecologic Oncology. «Nello studio - spiega il primario di Ostetricia e Ginecologia - abbiamo posto in primo piano alcune evidenze relative al tumore dell’ovario, ma da tempo stiamo lavorando sul ruolo dell’infiammazione nell’anemia correlata ai tumori. Un dato clinico che noi crediamo non sia da riferire all’effetto delle terapie ma sia conseguenza del tumore stesso e che, quindi, in tale quadro debba essere affrontato». Giovanni Di Pasquale _______________________________________________________ La Nuova 25 Mar. 05 PEDAGOGIA CLINICA «NUOVE TECNICHE PER AFFRONTARE IL DISAGIO» Pedagogia clinica, anche nell’isola il percorso formativo post-laurea NUORO. Ricorrendo a un gioco di parole si può dire che l’oggetto della sua attività è il soggetto. O meglio, la persona e la sua tipicità. Il suo obiettivo quello di aiutare l’individuo a trovare in se stesso le risorse per affrontare situazioni di disagio e difficoltà in qualsiasi condizione esistenziale. Tutto ciò attraverso l’utilizzo di tecniche e metodologie innovative. In estrema sintesi sono questi i tratti distintivi della pedagogia clinica, scienza sociale definita a metà degli anni Settanta dal professor Guido Pesci, che inizia a interessare anche i giovani sardi. Discreta, infatti, è la percentuale di laureati nostrani che decidono di accedere alla formazione post-universitaria per il conseguimento del titolo. “Un’idea di formazione, intesa come interesse globale verso la persona di qualsiasi età - come spiega Carmina Nurchis (foto), giovane nuorese che ha da qualche mese terminato il master, a Firenze -. Il pedagogista clinico è un professionista che ha assunto abilità diagnostiche e metodologiche attraverso le quali aiuta la persona a trovare dentro di sé le risposte ai blocchi e ai conflitti che si trova ad affrontare quotidianamente migliorandone, così, la qualità della vita”. Una figura molto prossima a quella dello psicologo ma che si differenzia in alcuni punti fondamentali. “Il primo - è sempre Carmina Nurchis che parla - è che il pedagogista clinico si pone in ascolto e in osservazione nei confronti della persona per scoprirne abilità e potenzialità. Inoltre non usa la parola, il colloquio, come unico mezzo di comunicazione e di aiuto, ma si avvale anche di metodi pratici, che agiscono sia sull’aspetto emotivo che su quello funzionale. Ne sono esempio il metodo Inter Art (tra le arti) che spazia dalla musica alla poesia fino alla danza piuttosto che la pittura e la scultura al quale si aggiungono i metodi per la distensione, l’esplorazione e la conoscenza del proprio corpo; stimolazioni tattili capaci di far riconquistare un benessere psico-fisico e quindi una personale armonia e benessere interiore”. Dall’infanzia all’adolescenza fino alla terza età l’intervento pedagogico clinico è di aiuto per il superamento di difficoltà di apprendimento e comportamentali, disagi nella sfera affettiva-emotiva, difficoltà delle abilità mnestiche e logico matematiche. Pedagogisti clinici si diventa al termine di un master triennale post- università a Firenze in un ente accreditato dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Si tratta di 1500 ore di lezioni teoriche ed esperienza pratica dirette all’apprendimento di metodi e tecniche brevettate che contraddistinguono la nuova figura professionale. Il percorso formativo si conclude con la discussione di una tesi finale presso l’Istituto toscano, mentre il corso post-universitario si può frequentare presso le 13 sedi decentrate dell’Isfar (in Sardegna è Cagliari). (lil.cos.) ________________________________________ il Giornale 02-04-2005 TUMORI,FONDAMENTALE LA RADIOTERAPIA La necessità del trattamento complementare radioterapico dopo la chirurgia conservativa per un carcinoma della mammella è stata fonte di notevole dibattito negli ultimi anni. Si potrebbe forse evitare la radioterapia, soprattutto in situazioni particolari, quali le neoplasie di piccole dimensioni o l’età avanzata della paziente? Chiediamo al professor Virgilio Sacchini, del Breast Service del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. «La radioterapia è nota creare un certo disagio nelle pazienti, che per 40 giorni devono sottoporsi a questo tipo di trattamento. I centri di radioterapia inoltre, peraltro costosi come impianto e come gestione, spesso sono situati lontano dal luogo in cui vive la paziente. Molti sono stati i trials clinici effettuati negli ultimi anni, ma tutti hanno evidenziato come la radioterapia sia insostituibile nel controllo locale dei carcinoma mammario dopo chirurgia conservativa. Vincent Vinh-I lung, sul Journal of the National Cattcer lastitute, ha recentemente analizzato 15 trials clinici, evidenziando che in tutti il rischio di recidiva locale senza radioterapia è 4 volte maggiore di quanto non sia nelle pazienti che invece la ricevono. Ognuno di questi trials è stato incentrato sul controllo locale e non ha avuto abbastanza potenza per vedere una differenza nella sopravvivenza; però se gli studi vengono combinati in una analisi più complessa (pooled analisys), le pazienti che non hanno eseguito la radioterapia presentano un rischio dell'8.5% in più di morire, rispetto a quelle che hanno ricevuto il trattamento radioterapico complementare. Un recente studio di Hughes, sul New England Jourttal of Medicine, ha riaperto questo dibattito. 636 pazienti di età superiore ai 70 anni sono state rartdomizzate in questo studio cooperativo per ricevere o non ricevere radioterapia dopo trattamento conservativo. La maggior parte delle donne presentava recettori positivi e tutte sono state trattate con tamooifen. Ancora una volta la radioterapia si è mostrata indispensabile nel controllo loco regionale. Infatti nel gruppo senza radioterapia è stata riscontrata una differenza di 4 volte superiore nel rischio di sviluppare una recidiva locale. Anche il tamoacifen non è stato in grado di ridurre questo rischio, nonostante il tumore avesse recettori positivi. Le recidive in questi pazienti sono state abbastanza indolenti, per cui è stato possibile effettuare un secondo intervento conservativo. Gli autori concludono quindi che la radioterapia può essere evitata in donne anziane con tumori piccoli e recettori positivi. È importante uno stretto follow up per garantire l'identificazione precoce delle recidive». ________________________________________________ il Giornale 2 apr. ’05 LE CORONARIE CHIUSE VENGONO RIAPERTE CON LA MICROCHIRURGIA FELICITA DONALISIO Nuove prospettive terapeutiche per i pazienti affetti da cardiopatia ischemica. Una sofisticata tecnica di bypass coronarico, chiamata "microchirurgia liminare", risolve il problema delle stenosi (restringimenti) e delle occlusioni postoperatorie e permette di operare anche i pazienti con coronarie diffusamente malate e di piccolo calibro. Spiega il dottor Salvatore Spagnolo, primario della divisione di cardiochirurgia del Policlinico di Monza (www.spagnolosalvatore.com; tel. 039-2810364): «La cardiopatia ischemica è dovuta ad ostruzioni delle arterie coronarie che impediscono il passaggio di sangue al cuore. L'intervento di bypass aorto coronarico si è dimostrato il trattamento più efficace di questa malattia. L'esperienza clinica degli anni più recenti ha però evidenziato due grossi limiti. Il primo è l'occlusione dei graft (gli innesti venosi che aggirano le arterie ostruite). Circa i120% dei bypass venosi eseguiti con le tecniche tradizionali si occlude entro il primo anno dall'operazione mentre il 70U/o subisce occlusioni o stenosi nell'arco di 10 anni. Ne consegue che ben 30 pazienti su 100 debbono essere nuovamente operati, con tutti i rischi del caso: mortalità più elevata rispetto all'intervento di elezione (4-8°l0), maggior consumo di sangue, lungo periodo di degenza». Il secondo e forse più grave limite delle tecniche tradizionali di bypass è la non operabilità dei pazienti con coronarie di piccolo calibro (circa 1115% dei pazienti con cardiopatie ischemiche, 100.000 all'anno negli USA). Molte di queste persone, oggi, muoiono per infarto cardiaco nell'attesa di un trapianto o aspettando le cellule staminali. Continua il dottor Spagnolo: «Fin dal 1990 abbiamo capito che la causa principale dell'occlusione dei bypass venosi è il restringimento del calibro delle coronarie in corrispondenza dei due estremi dell'innesto tra vena e coronaria. E che questo restringimento è causato dalla quantità di tessuto vascolare utilizzato per confezionare la cucitura. La nostra intuizione, che è all'origine della tecnica da noi messa a punto, è stata di recente confermata dal testo di H. Edmunds (Cardiac Surgery in theAdult) nel quale si consiglia al cardiochirurgo l'uso di un maggior numero di punti di sutura, cosa che noi facciamo da almeno quindici anni. La tecnica operatoria abituale utilizza una quantità di parete vascolare superiore a 1 mm. Ciò comporta un restringimento del lume della coronaria del 30-80% e un proporzionale aumento del rischio di occlusione. Per eliminare ogni possibilità di restringimento in corrispondenza degli estremi dell'anastomosi mi sono avvalso dell'esperienza acquisita nella microchirurgia dei vasi linfatici. La nostra metodica consiste nell'incollare i bordi dell'arteria e della vena da suturare, utilizzando una quantità di parete di soli 0,2-0,3 mm ed eseguendo una sutura invisibile a occhio nudo. La sua realizzazione richiede l'utilizzo di una lente binoculare che ingrandisce di 6 volte e di un filo di sutura sottilissimo». Nell'arco di 10 anni circa 2000 pazienti sono stati operati di bypass con la "microchirurgia liminare". «Di questi - conclude Spagnolo - almeno 300 erano soggetti con coronarie diffusamente malate e di piccolo calibro. I controlli postoperatori di 250 pazienti, a trenta giorni dall'intervento, hanno mostrato risultati nettamente superiori a quelli della letteratura mondiale (0,2% d'occlusioni contro il 20% abituale). A 10 anni dall'intervento, controlli annuali hanno confermato che la maggioranza dei pazienti non presenta ripresa d'angina e che solo il 7% di essi è stato rioperato (contro il 30% descritto in letteratura)». «La tecnica liminare adottata al Policlinico di Monza evita le stenosi e le pericolose occlusioni post-operatorie», afferma il dottor Salvatore Spagnolo, primario di cardiochirurgia __________________________________________________ Il Tempo 30 Mar. 05 IL PIERCING SULLE LABBRA FA MALE ALLE GENGIVE RICERCA USA Il PIERCING alle labbra non è innocuo. Anzi, danneggia le gengive e può farle arretrare, rendendo i denti meno saldi. A mettere in guardia giovani e popstar che hanno decorato la propria bocca è uno studio dell' Ohio State University, condotto su 58 giovani adulti. Non è la prima ricerca che punta il dito contro piercing su labbra e lingua, da anni in voga tra gli adolescenti, ma causa di infezioni anche letali. Secondo l'equipe americana, anellini e barrette di metallo sul labbro sono responsabili dell'arretramento delle gengive, associato a varie patologie che possono provocare la perdita di denti altrimenti sani. Da più tempo si è effettuato il piercing, maggiore è il rischio di rovinarsi la bocca. Per questo, gli esperti consigliano di togliere il piercing durante la notte e di curare con particolare attenzione l'igiene orale, per evitare il proliferare di pericolosi batteri. Lo studio è stato presentato al congresso dell'International & American Association for Dental Research. __________________________________________________ Il Sole 24Ore 30 Mar. 05 SPERIMENTATO UN TRATTAMENTO CONTRO L'ALLERGIA AL GATTO Nuove speranze contro l'allergia al gatto. Alcuni scienziati americani, autori di uno studio pubblicato su «Nature Medicine», hanno messo a punto un rimedio e lo hanno sperimentato proprio "sulla pelle" dello storico nemico del gatto: il topo. La ricerca rivela che è possibile eliminare i sintomi grazie a una molecola costruita fondendo una proteina umana con la sostanza più irritante presente nella saliva e nella forfora del felino. La terapia si è dimostrata efficace anche su cellule umane nei test in vitro. Secondo l'autore Andrew Saxon, dell'Università della California di Los Angeles, l'effetto dovrebbe essere di lunga durata. Infatti con questo trattamento il sistema immunitario "impara" che la molecola allergizzante non va più attaccata. Il metodo, secondo Saxon, potrebbe inoltre essere adattato anche per curare alcune allergie alimentari. ________________________________________________ il Giornale 26 mar. 05 L'ELETTROTERAPIA AIUTA I DIABETICI I risultati di una metodica innovativa adottata dal San Raffaele LUIGI CUCCHI Una nuova metodica, basata sui principi dell'elettroterapia, consente di trattare in modo efficace e senza impiego di farmaci il dolore associato alla neuropatia diabetica. Lo dimostra un importante studio multicentrico di imminente pubblicazione, coordinato dal professor Emanuele Bosi, primario del reparto di Medicina generale a indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico dell'Ospedale San Raffaele di Milano. «La neuropatia diabetica - spiega il professor Bosi - è un disordine del sistema nervoso periferico, una complicanza causata dal diabete mellito che colpisce una percentuale molto elevata di pazienti con questa patologia, quasi i150%. L'iperglicemia cronica provoca l'alterazione delle fibre nervose e delle guaine mieliniche che le avvolgono. Questo danno produce serie conseguenze sulla capacità sensoriale e sul movimento del paziente: i sintomi variano dalle sensazioni cutanee non dolorose (pizzicore, bruciore, raffreddamento, formicolio), alla mancanza di sensibilità tattile, termica, di posizione, fino alla percezione di un dolore profondo, lancinante, trafittivo. A livello motorio, i segni della neuropatia sono la mancanza di coordinamento dei movimenti muscolari, la riduzione-assenza di riflessi osteo-tendinei, l’atrofia muscolare». Questo quadro clinico è molto pericoloso per il paziente che, in mancanza di un trattamento tempestivo, rischia ulteriori complicanze a carico degli arti inferiori che possono giungere fino alla necessità di amputazione. Continua il professor Bosi: «Fino ad oggi, la neuropatia diabetica poteva essere trattata soltanto con i farmaci, la cui efficacia, però, era limitata all'attenuazione dei sintomi, in particolare di quelli dolorosi. A1 momento nessun farmaco è in grado di svolgere un'azione sugli aspetti patogenetici della malattia. Ecco il motivo per cui abbiamo deciso di sperimentare una nuova metodica, la FREMS (frequency modulated electromagnetic stimulation), denominata più brevemente «Lorenz Therapy». La FREMS impiega un sistema di neuromodulazione caratterizzata da sequenze di stimoli elettrici che variano automaticamente in frequenza, durata e ampiezza. Il meccanismo di azitme della terapia non è ancora certo ma un'ipotesi abbastanza plausibile è che la stimolazione elettromagnetica provochi il rilascio in loco di fattori angiogenetici, potenzialmente utili per migliorare la perfusione dei vasi sanguigni che alimentano i nervi». II ciclo terapeutico ottimale è costituito da almeno 10 sedute di 30 minuti ognuna, eseguite in sequenza, con intervallo di 1-2 giorni tra le singole sedute. La «Lorenz Thcrapy» (www.lonenzbiotech.it;) è già utilizzata in molti ospedali italiani e sta per essere inserita nei Livelli essenziali di assistenza di alcune regioni. «Al termine dei cicli terapeutici - conclude il professor Bosi - i pazienti hanno evidenziato una decisa diminuzione dell'intensità del dolore, il miglioramento della sensibilità tattile e della velocità di conduzione nervosa motoria. Inoltre, a distanza di quattro mesi, abbiamo registrato il persistere di tutti questi effetti positivi, oltre a significativi miglioramenti di flusso ematico del microcircolo periferico. In breve, la PREMS ci permette non solo di agire sui sintomi, ma anche di recuperare la funzione del nervo, il che rappresenta un salto di qualità rispetto alle terapie preesistenti in quanto consente di ottenere un miglioramento del quadro clinico del paziente, compresa la sua dualità di vita. 11 tutto, in assenza di rischi ed effetti collaterali». I risultati di questo studio, che rappresenta un successo tutto italiano, hanno suscitato interesse anche, ira gli studiosi della materia nella comunità scientifica internazionale, tanto che tra breve avrà inizio un trial multicentrico internazionale a1 quale parteciperanno i più qualificati ricercatori europei. Oltre a consolidare i risultati clinici, il nuovo studio analizzarà il meccanismo d'azione di questa terapia per chiarirne le dinamiche. ______________________________________________ Libero 23 Mar.05 IDENTIFICATA UNA MOLECOLA CHE INIBISCE I TUMORI TIROIDEI LO STUDIO CONDOTTO DA RICERCATORI ITAlIANI E FRANCESI Nuove strategie per la diagnosi e la terapia dei tumori. A tracciarle un gruppo di ricercatori dell’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale (leos) del cnr di Napoli e del Cnrs e tnsenn francese, che hanno identificato una nuova molecola in grado di inibire un oncogene causa di tumori alla tiroide. «Mediante l'uso di cellule in coltura come bersaglio - spiega il ricercatore Vittorio de Franciscis - abbiamo isolato molecole biologicamente attive, dette attameri, in grado di riconoscere e legare in modo altamente selettivo una proteina-segnale esposta sulla superficie delle cellule di alcuni tumori». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 29 Mar. 05 METÀ DEI SARDI SOFFRE DI GOZZO TIROIDE, SALE IODATO PRINCIPE DELLA DIETA Forzando un po', potremmo chiamarlo il sale della vita. È quello iodato, che secondo le vecchie generazioni di medici in Sardegna non era necessario, perché lo iodio in un'isola non manca mai. Sbagliavano, perché dal 20 al 50 per cento della popolazione (secondo uno studio condotto negli anni scorsi su diecimila alunni delle scuole elementari e medie) soffre di gozzo endemico, cioè di un aumento del volume della tiroide causato proprio dalla carenza di iodio nella dieta dei sardi. Di per sé, non è un grande problema, anche perché in quella percentuale sono compresi i casi minimi, che non soffrono di alcuno scompenso. C'è un però: «Quando la tiroide s'ingrossa e forma noduli», spiega Stefano Mariotti, direttore della cattedra di Endocrinologia dell'Università e presidente uscente della sezione sarda della Società italiana di endocrinologia, «potrebbe rendere difficile l'identificazione di un tumore, che in realtà si verifica in una percentuale bassissima di questi casi». Certo che, a questo punto, non si può far finta di nulla e sono necessari ulteriori esami, il cui risultato è quasi sempre lo stesso: il tumore non c'è, però sono state sprecate energie e, soprattutto, soldi del Servizio sanitario nazionale. In soccorso dei sardi, particolarmente esposti al gozzo endemico, è arrivata alcuni anni fa una legge dello Stato, con la quale si sono obbligati i produttori a introdurre lo iodio nel sale da cucina. Prima era necessario cercare quello con la dicitura "sale iodato", ora succede il contrario: chi non vuole lo iodio, deve cercare la dicitura "sale non iodato". In attesa che la "dieta" faccia effetto, il reparto di Endocrinologia del Policlinico universitario di Monserrato resta assediato dai pazienti per i quali si sospetta, e quasi sempre a torto, che abbiano un tumore della tiroide. Una fatica non da poco per un centro che ha tre medici strutturati (oltre a Mariotti, anche i ricercatori Maria Laura Petrini e Francesco Boi) e tre contrattisti (Francesca Pigliaru, Alessandro Oppo e Giovanni Pinna). Eppure, lì si eseguono ogni anno settemila visite ambulatoriali, 350 ricoveri e sessantamila esami (grazie a quattro tecnici di laboratorio): per tutte le patologie endocrine, non solo della tiroide. Diabete a parte (dove la Sardegna registra percentuali record, ma al Policlinico questa patologia è seguita in un reparto apposito), per quanto riguarda le malattie delle ghiandole la nostra Isola è nelle medie nazionali. «Le maggiori difficoltà», spiega il direttore della cattedra di Endocrinologia, Stefano Mariotti, «le abbiamo con la patologie dell'ipofisi, difficilmente riconoscibili dai medici di famiglia, e che per questo sono spesso curate con 7-8 anni di ritardo». Per questo la cattedra continua a organizzare convegni e seminari dedicati proprio ai medici di base: oltre trecento hanno partecipato, nonostante il convegno potesse erogare crediti di aggiornamento a soli 150. «Un segno», conclude Mariotti, «della sensibilità e professionalità dei nostri medici». Luigi Almiento _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Apr. 05 Brotzu. Dopo i prelievi maratona chirurgica BROTZU: FEGATO, NUOVO PRIMATO: IERI IL DOPPIO TRAPIANTO Due trapianti di fegato nello stesso giorno: in Sardegna non era mai successo. La data di ieri segna una tappa importante, per la sanità isolana. Uno sforzo notevole, per il centro trapianti del Brotzu: per quaranta fra medici, infermieri e anestesisti sono state sedici ore di lavoro ininterrotto. Una maratona chirurgica andata a buon fine grazie a una pianificazione accuratissima e un impegno, da parte di tutti, totale. Si trattava di far fronte a un'emergenza. A innescarla, mercoledì, due tragedie avvenute in simultanea a Cagliari e Sassari: la morte di un ragazzo di 18 anni a Cagliari (Riccardo Pica, rimasto vittima di un incidente stradale) e quella di un uomo di 52 anni a Sassari. Appena le famiglie hanno dato l'autorizzazione al prelievo degli organi, la complessa macchina dei trapianti si è messa in moto. In attesa c'erano due pazienti, una ragazza di 25 anni e un uomo di 45, entrambi in gravi condizioni di salute: per loro, ora, c'è la concreta speranza di riconquistare una vita normale. Su altri due pazienti, di 38 e 39 anni, sono invece stati trapiantati due reni: ma per questo organo, l'esecuzione di più interventi nella stessa giornata non rappresenta una novità. La cronaca di un giovedì campale si apre alle 4 del mattino, quando l'équipe coordinata da Patrizia Meloni parte per Sassari. Dopo è tutto un millimetrico incastro di tempi. Al Santissima Annunziata i medici arrivano intorno alle 6: il prelievo del fegato viene completato intorno alle 9, quando il paziente viene affidato all'équipe di Pierpaolo Manca e Nicola D'Ovidio per il prelievo dei reni. Contemporaneamente, nel reparto di Chirurgia generale, a Cagliari, a partire dalle 6 una seconda squadra, guidata da Fausto Zamboni, preleva il fegato di Riccardo Pica: il trapianto, sulla paziente di 25 anni, comincia verso le 9,30 per concludersi intorno alle 14,30, quando le funzioni epatiche della giovane si regolarizzano. Nel frattempo, la squadra di Mauro Frongia si impegna per il prelievo dei reni, poi trapiantati in successione su due pazienti nella sala operatoria del reparto di Urologia. Il cuore, invece, viene espiantato da un'équipe medica arrivata da Chieti. L'équipe di Patrizia Meloni arriva a Cagliari intorno alle 10,30. Il trapianto del secondo fegato, eseguito dagli uomini di Fausto Zamboni, comincia nel primo pomeriggio. Alle 20, finalmente, anche la seconda operazione può dirsi conclsua. Via le mascherine. E giù con i ringraziamenti: Ugo Storelli, il vicedirettore sanitario del Brotzu che insieme a Elena Molinario del Centro regionale trapianti ha coordinato il lavoro delle quattro équipe, elenca tutti: «Dagli infermieri agli anatomopatologi, dai colleghi dei due reparti di Rianimazione al centro trasfusionale, nefrologi e gastroentrologi: sono stati tutti eccezionali». Marco Noce ____________________________________________________ Libero 26-03-2005 IN ARRIVO LE PROTESI CEREBRALI VERSO LA SOLUZIONE DEI PROBLIMI DEI PARAPLEGICI Per attivare i movimenti del corpo progettati dispositivi guidati dal pensiero PASADENA - Ricercatori Usa hanno identificato con precisione le aree cerebrali preposte alla pianificazione dei movimenti consapevoli, cioè quelle zone del cervello che si attivano quando decidiamo se intraprendere o meno una certa azione. Questa scoperta (realizzata da Richard Andersen e dai suoi colleghi del California Institute of Technology, a Pasadena) ci consentirà in prospettiva di incrementare notevolmente l'efficienza delle attuali protesi neurali, permettendoci cosi di realizzare dispositivi elettronici controllabili direttamente dal cervello. Tale ricerca (pubblicata , sull'ultimo numero di Nature Neuroscience) si inserisce quindi a pieno titolo nell'ambito delle cosiddette neurotecnologie, un innovativo campo di studi che mira a realizzare delle interfacce h;igh tech che ci permettano di connettere computer, arti meccanici e altri strumenti con il sistema nervoso umano (consentendo cosi ai tetraplegici di condurre una vita normale). Per quanto stupefacenti, gli esperimenti realizzati fino a ora sono però piuttosto realizzati, soprattutto perché gli elettrodi utilizzati per connettere i suddetti strumenti con il cervello vengono impiantati in quest'ultimo in modo approssimativo. Andersen e il suo team hanno deciso di analizzare mediante la risonanza magnetica il cervello di alcuni volontari, scoprendo cosi ché la pianificazione di una certa azione (ad esempio, il movimento di un braccio) dipende da una zona precisa della corteccia prefrontale ventrolaterale, che si attiva un attimo prima che tale decisione venga messa in atto. Come noto, nei paraplegici questo rapporto di causa-effetto non risulta però possibile. Almeno finora. Cioè fino a quando le protesi neuronali non saranno diventate realtà. Da un punto di vista pratico l'esperimento é consistito nel chiedere ai soggetti di guardare un punto preciso sullo schermo di un pc e nel toccarlo dopo un certo intervallo di tempo (lungo a piacere), individuando contemporaneamente le aree cerebrali in attive durante questa aree. Le scoperte di Andersen costituiscono un contributo fondamentale alle neurotecnologie, in quanto grazie ai dati da lui raccolti potremo creare protesi neurali (cioè elettrodi e altri dispositivi in grado di interpretare l'attività cerebrale) molto più efficienti di quelli attuali e adatti quindi al controllo di numerosi dispositivi elettronici esterni. __________________________________________________ Il Sole 24Ore 26 Mar. 05 UN TEST PER DATARE L'INFEZIONE DA HIV Grazie a un test del sangue messo a punto in Italia è possibile datare l'origine delle infezioni da Hiv più recenti, risalendo ai sei mesi precedenti, e avere cosi un identikit dell'infezione in corso. Il test è stato sviluppato dai ricercatori del Centro Operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità in collaborazione con gli esperti di diagnosi e immunologia. È un importante passo avanti rispetto ai test tradizionali, che possono soltanto distinguere chi ha l'infezione per mezzo della ricerca di anticorpi, ma non stabilire quanto tempo è trascorso dal momento dell'infezione al primo test positivo. Con questo test sarà più facile anche misurare la frequenza e la diffusione dei contagi. _______________________________________________________ La Stampa 31 Mar. 05 BIOLOGIANUOVA LUCE SULL’EVOLUZIONE Ciò che Darwin non poteva sapere UN GENE PUO’ PRODURRE RAPIDE MUTAZIONI NELLA CRESCITA DI STRUTTURE OSSEE: COME NEL CASO DEL BECCO DEI FRINGUELLI STUDIATI ALLE GALAPAGOS IL 15 settembre 1835 il brigantino britannico «Beagle» gettava l'ancora all'estremo nordoccidentale dell'isola di San Cristobal, nelle Galàpagos. Dell'equipaggio faceva parte un naturalista di 26 anni, Charles Darwin. Quel viaggio, progettato per completare il rilevamento idrografico delle coste del Sudamerica, sarebbe invece passato alla storia per le ricadute dirompenti sulla biologia. Muovendo dal materiale raccolto nei cinque anni di viaggio, Darwin concepì la sua teoria dell'origine delle specie: l'evoluzione per selezione naturale. Il giovane era rimasto impressionato in particolare dalla forma del becco dei fringuelli che, attraverso morfologie intermedie, passava da quella lunga e affusolata di Geospiza scandens a quella massiccia e profonda di Geospiza magnirostris. Fu questo genere di uccelli a suggerirgli che "una singola specie si era modificata per finalità diverse" e a instillargli il dubbio che le specie non fossero immutabili. Darwin però sottostimava l'evoluzione. La considerava troppo lenta per poterla osservare dal vivo, in tempo reale. Centoquarant'anni dopo, i coniugi Peter e Rosemary Grant - biologi del Dipartimento di Ecologia e Biologia evoluzionistica dell'Università di Princeton - avrebbero rimesso piede sull'arcipelago, convinti di osservare l'evoluzione in atto. La loro avventura scientifica, che inizia nel 1973, è diventata il libro di Jonathan Weiner «Il becco del fringuello», premio Pulitzer 1995. Sull'isola di Daphne Major, i Grant hanno scoperto che la forma e la dimensione del becco variano al variare delle condizioni climatiche. Sulle Galapagos "tranne che per una breve stagione, piove pochissimo e anche irregolarmente", annotava Darwin in «Viaggio di un naturalista intorno al mondo». Condizioni in cui è difficile sopravvivere. Come quelle manifestatesi tra la metà del 1976 e l'inizio del 1978, quando - testimoniano i Grant - sulle Galapagos caddero sì e no 25 millimetri di pioggia, che ridussero Daphne Major a una landa semidesertica. Le piante erbacee e le graminacee, generatrici di semi abbondanti, piccoli e facilmente frantumabili da individui di piccola taglia e dal becco più esile, erano praticamente scomparse e da mangiare rimanevano soltanto semi grossi e coriacei. La ripercussione fu quasi immediata: in ambedue le specie studiate dai Grant - Geospiza scandens e Geospiza fortis - sopravvissero (furono selezionati favorevolmente) gli individui di grossa taglia e dal becco robusto. In più, questi trasmisero alla prole il tratto anatomico becco-robusto. La forma di questa struttura si era dunque evoluta e perdipiù in un arco di tempo osservabile: i Grant stavano smentendo il pessimismo di Darwin. La selezione naturale è la seconda fase del processo evolutivo, una sorta di setacciatura di strutture, di fenotipi, che esistono in forme differenti. Ma una teoria evoluzionistica non può dirsi completa senza la spiegazione della sua prima parte, cioè il generarsi di queste forme, il polimorfismo. La biologia evoluzionistica non può perciò prescindere dalla disciplina che spiega questa generazione, vale a dire dalla biologia dello sviluppo: gli evoluzionisti entrano in laboratorio. Come spiegare la generazione di becchi di forma e dimensioni differenti? Ci hanno pensato Abzhanov e collaboratori in uno studio pubblicato su «Science», dove i Grant sono coautori. In breve, risulta centrale il fattore di crescita Bmp4 (bone morphogenetic protein, prodotto dal gene omonimo, il gene bmp4) che regola la crescita delle strutture ossee, come il becco. L'osso è generato dallo scambio di segnali tra due tessuti embrionali: il mesenchima e l'ectoderma. Gli autori della ricerca, ricorrendo a sofisticate tecniche di ingegneria genetica, dove il gene viene immesso nel tessuto usando un virus infettante come vettore, hanno iniettato in un primo tempo il gene nel mesenchima in modo che il gene venisse espresso prima rispetto alla sua espressione naturale (sfasamento eterocronico) in Geospiza difficilis. Il risultato è stata la nascita di fringuelli con il becco più grande, simile a quello di Geospiza magnirostris. In un secondo esperimento, hanno iniettato il gene nell'ectoderma (sfasamento eterotopico): sono nati individui con il becco più piccolo e stretto, come quello di Geospiza difficilis. Riprogrammando lo stesso gene è stato dunque possibile generare forme differenti, simili a quelle che l'evoluzione ha prodotto in natura. Ma stavolta se ne conoscono i segreti molecolari. Ciò dimostra che in tempi molto rapidi è teoricamente possibile generare evoluzione. Darwin in questo si era sbagliato, ma al suo tempo la biologia dello sviluppo non esisteva e i geni erano sconosciuti. Silvio Ferraresi _______________________________________________________ La Stampa 31 Mar. 05 COLON-RETTO, SCREENING D’AVANGUARDIA SONO la prima causa di morte fra tutti i tumori, dopo il cancro della mammella per le donne e quello al polmone per gli uomini. Ogni anno, in Piemonte, i carcinomi del colon-retto colpiscono circa 2700 persone (oltre 600 a Torino), provocando quasi 1700 decessi. La cura di queste forme tumorali è strettamente legata alla fase in cui si scopre la malattia. Una diagnosi precoce consente infatti maggiori possibilità di cura, terapie meno invasive e probabilità di guarigione più elevate: nei tumori diagnosticati in fase iniziale, dopo 5 anni è superiore all'80 per cento dei casi. Purtroppo queste forme tumorali non danno segni della propria presenza e più della metà dei casi si scopre in una fase avanzata, quando le prospettive di sopravvivenza scendono al 30 per cento. Per valutare le strategie più efficaci per la diagnosi precoce di questa forma tumorale è stato organizzato in Italia uno studio multicentrico, coordinato dal Centro di riferimento regionale per l'Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica del Piemonte. Il progetto, finanziato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e dalla Regione Piemonte, ha presentato i risultati 1999-2002 la settimana scorsa sulla prestigiosa rivista oncologica americana «Journal of the National Cancer Institute». Circa 60 mila persone (45 mila a Torino e altre 15 mila a Biella, Firenze, Milano e Rimini) sono state invitate a sottoporsi a un test di screening per i tumori del colon-retto: 7000 persone si sono sottoposte al test per la ricerca del sangue occulto fecale (Fobt) e 10 mila a un esame endoscopico, la sigmoidoscopia. Sono già stati diagnosticati grazie a questi controlli 66 casi di tumore. In sette casi su dieci, fortunatamente, il cancro è in uno stadio iniziale, quando le probabilità di guarigione sono dell’80 per cento. Questi risultati rilanciano l'urgenza della prevenzione di questo tumore attraverso interventi di screening di massa, come già avviene per altre forme tumorali come, ad esempio, il cancro della mammella e il cancro del collo dell'utero. Il carattere innovativo dello studio, come sottolinea l'editoriale che il «Journal of the National Cancer Institute» ha dedicato alla presentazione dei risultati, consiste nel dimostrare come diverse strategie di screening, già disponibili, siano fattibili con la partecipazione di quasi un terzo della popolazione. «Un risultato importante e per certi versi inatteso - sottolinea Nereo Segnan, coordinatore dello studio - è che la rispondenza delle persone invitate a effettuare un test poco invasivo come il Fobt risulta sovrapponibile a quella osservata nei gruppi invitati a sottoporsi a un test più invasivo come la sigmoidoscopia. Le persone cui veniva offerta la possibilità di scegliere il tipo di test in base alle loro preferenze non hanno cioè risposto in misura significativamente superiore a quelle cui veniva proposto uno specifico test». Lo studio ha anche mostrato come, a parità di accettabilità del test da parte della popolazione invitata, la capacità di identificare tumori in fase asintomatica sia diversa per il test per la ricerca del sangue occulto rispetto alla sigmoidoscopia. Il numero di tumori del colon-retto identificato con i due test è simile, ma la sigmoidoscopia consente di individuare il triplo degli adenomi avanzati (cioè lesioni pre-neoplastiche che presentano un’elevata probabilità di trasformarsi in tumore) rispetto al Fobt. Le implicazioni sono evidenti: «Si traducono - spiega Segnan - in una più elevata proporzione di tumori prevenuti attraverso lo screening, e in un più favorevole rapporto costo- benefici». L'effetto benefico della diagnosi precoce si potrebbe tradurre in una riduzione dei costi per le terapie e in una riduzione del numero di pazienti sottoposti ad interventi invasivi. A partire da questo progetto, in Piemonte è partito un programma di screening per la diagnosi precoce dei tumori del colon- retto, che risulta essere una delle prime esperienze di questo tipo in Italia. Il programma prevede l'offerta della sigmoidoscopia «una tantum» a tutte le persone che compiono i 58 anni d'età, e per chi rifiuta quest'esame c'è la possibilità di effettuare il test Fobt. _______________________________________________________ La Repubblica 31 Mar. 05 LENTI "CORRETTIVE" CHE AGISCONO DI NOTTE Adatte se non si superano le 6 diottrie e se non vi sono controindicazioni per l'occhio: "Né moda, né miracolo" Chi è miope potrebbe ora decidere di mettere le lenti di notte invece che di giorno! Se non si superano le sei diottrie (astigmatismo fino a 0,75-1) e se ci si adatta a portare sempre di notte speciali lentine rigide gaspermeabili che comprimono la parte superficiale della cornea anteriore e correggono per qualche ora il difetto visivo. "L'effetto è comunque reversibile", sottolinea Pasquale Troiano, Clinica Oculistica Università di Milano e Presidente Società italiana. Contattologia Medica, "Il risultato si mantiene finché la notte si portano le lenti. Se si sospende si torna indietro". È la tecnica dell'ortocheratologia di cui si parla da tempo. Nell'ultimo anno le tecniche di costruzione sono migliorate e queste lentine notturne, approvate dall'FDA americana e col marchio CE, sono in vendita anche in Italia. Come nella chirurgia rifrattiva il problema è rappresentato dalle indicazioni: ci vuole prudenza e nessuna attesa miracolistica. "Poiché le lenti devono rimanere sull'occhio l'intera notte non sono adatte a tutti: controindicate per esempio ad anemici, diabetici, forti fumatori. Bisogna valutare con una serie di esami e parametri le caratteristiche dell'occhio", precisa Troiano. La superficie oculare non deve presentare controindicazioni di sorta all'uso di lenti a contatto, "chi non può portare quelle normali tanto meno può portare le notturne". Tra i vari esami necessari serve anche "un esame completo della motilità oculare per evitare di cadere in trappole rifrattive che si complicherebbero con queste lenti". La lente è "a geometria inversa": le curve periferiche sono più curve della curva base a differenza delle lenti tradizionali in cui le curve periferiche sono più piatte della curva base. "L'obiettivo è correggere tutto il difetto e dopo una settimana si potrebbe stare quasi tutto il giorno senza nessuna correzione", afferma Troiano. Iniziato il trattamento non si possono più usare le lenti a contatto normali:"la soluzione più corretta prevede che la lente per ortocheratologia sia anche una lente correttiva in modo da portarla anche durante il giorno". Naturalmente dopo averla tolta e pulita prima di reinserirla. "Stiamo attenti a non far diventare una moda questa possibilità, a non enfatizzare le lentine notturne come si è fatto anni fa con la chirurgia rifrattiva", avverte Giulio Velati, presidente Federottica. "Ci sono anche problemi derivanti dalla plasticità della cornea, non tutte possono essere sollecitate alla stessa maniera e va rispettata una precisa metodologia per non buttare opportunità che in alcuni casi possono invece essere utili. Serve uno screening importante prima di utilizzarle". Delineando bene i limiti d'intervento dell'oculista e dell'optometrista. (a. mes.) _______________________________________________________ Le Scienze 1 Apr. 05 MAI DORMIRE CON LE LENTI A CONTATTO Le lenti idrogel-silicone riducono il rischio di infezione Secondo una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista "British Journal of Ophthalmology", dormire con le lenti a contatto può portare a un aumento del rischio di gravi infezioni degli occhi. Ma le lenti a contatto di nuova generazione, da questo punto di vista, sono migliori delle loro predecessori. I ricercatori dell'Università di Manchester hanno scoperto che coloro che dimenticano o trascurano di rimuovere le proprie lenti prima di andare a letto presentano un rischio di sviluppare una cheratite superiore rispetto a quelli che se le tolgono sempre. Lo studio ha rivelato anche che il tipo di lenti indossate ha un effetto significativo sulle probabilità di una persona di sviluppare una grave infezione. Lo studio, condotto per un anno dall'optometrico Philip Morgan sui pazienti in cura presso il Royal Manchester Eye Hospital, ha preso in considerazione quattro tipi di lenti: rigide, idrogel usa e getta, idrogel, e idrogel-silicone. I risultati mostrano che coloro che dormono con le lenti idrogel hanno cinque volte più probabilità di sviluppare una cheratite rispetto a quelli con lenti idrogel-silicone. Non è stata trovata nessuna differenza, invece, fra i vari tipi di lenti per quanto riguarda il rischio di infezione dovuto al normale utilizzo quotidiano. © 1999 - 2004 _______________________________________________________ Le Scienze 1 Apr. 05 ALLA RICERCA DI UN NUOVO FARMACO CONTRO LA TBC Glaxo e TB Alliance si alleano per sostituire i vecchi trattamenti Alcune compagnie farmaceutiche si sono impegnate a raddoppiare i propri sforzi per trovare nuovi farmaci contro la tubercolosi. L'annuncio giunge proprio mentre l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avverte che la situazione in Africa sta peggiorando, pur se migliora nel resto del mondo. La tubercolosi uccide ogni anno due milioni di persone in tutto il pianeta. Quasi ovunque il numero dei decessi sta stabilmente scendendo: il rapporto Global Tuberculosis Control dell'OMS rivela che la prevalenza della malattia è calata di oltre il 20 per cento dal 1990 a oggi. Il direttore generale dell'OMS, Lee Jong-Wook, attribuisce gran parte di questo successo al rafforzamento degli impegni dei governi in alcune parti dell'Asia. "Quest'anno - spiega - c'è stato un forte miglioramento della situazione in Cina e in India. Ma nel frattempo, in Africa c'è ancora molto da fare". Nonostante i tassi di morte per la TBC siano globalmente calati, infatti, la situazione in Africa rappresenta un'eccezione soprattutto a causa della carenza delle infrastrutture sanitarie per fornire il trattamento necessario, che attualmente prevede diversi farmaci somministrati nell'arco di 6-9 mesi. In gran parte del continente, inoltre, l'epidemia di HIV peggiora l'impatto della TBC: i pazienti sieropositivi sono più vulnerabili all'infezione del batterio Mycobacterium tuberculosis e i farmaci anti-AIDS possono provocare pericoli effetti collaterali se presi insieme alla rifampicina per il trattamento contro la TBC. La rifampicina, come gli altri farmaci contro la tubercolosi, è stata introdotta molti anni fa. Con lo sviluppo di varietà resistenti ai farmaci, si sente da tempo l'esigenza di un nuovo tipo di trattamento. La settimana scorsa, la TB Alliance ha annunciato una collaborazione con la GlaxoSmithKline per promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci. Il progetto prevede l'esplorazione di quattro differenti percorsi per trovare composti in grado di attaccare M. tuberculosis e, si spera, di accorciare la durata dei trattamenti fino a portarla a due soli mesi.