DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AGLI AMMALATI DEL «BROTZU» - UNIVERSITA’ :DUE MODELLI: DI MASSA O DI ÉLITE? - RICERCA, IL MONDO SCIENTIFICO FIRMA UN APPELLO EUROPEO - RICERCATORI, ECCO LA CARTA - RICERCA, ORA LA UE PUNTA 70 MILIARDI - LA MORATTI CHIEDE AIUTO AI DOCENTI - I SINDACATI DEI DOCENTI NON SONO IL FRONTE DEL NO - SCONTRO ALLA LUISS, DE MAIO LASCIA - I RICERCATORI PRECARI: «MORATTI SI DIMETTA» - IL CONSIGLIO DI STATO TAGLIA LE COMPETENZE DEI LAUREATI TRIENNALI - NELLE FACOLTÀ RIENTRA LA PROTESTA - UN COLLEGE UNIVERSITARIO AL SEMINARIO - MEDICINA LEGALE: FRANCESCO DE STEFANO NUOVO DIRETTORE - UNIVERSITÀ: CRITERI DI MERITO PER I DOCENTI - ERASMUS GLI STRANIERI GIUDICANO CAGLIARI - DOCENTI, UN VINCITORE AI CONCORSI - "ATLANTIKÀ" DI FRAU ALLA CONQUISTA DELLA CULTURA PARIGINA - ======================================================= MANAGER ASL, BLITZ IN GIUNTA - IL CASO DEI MANAGER ASL PER CHI SUONA LA DIRINDIN DI ROBERTO CASU - POLICLINICO: CAPPELLANO AGGREDITO IN SACRESTIA - CHIRURGIA DOLCE PER GLI ANZIANI - LE PROTESI VALVOLARI PIÙ INDICATE - IL COLESTEROLO METTE IL TURBO, ALL'INTELLIGENZA - LA SALVIA PUÒ BATTERE L'ALCOLISMO - LE LEGGI DI MENDEL MESSE IN DISCUSSIONE - Chi si è ammalato dopo una trasfusione ha diritto a ricevere un risarcimento - ======================================================= _____________________________________________________ Libreria Editrice Vaticana 20/10/1985 DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AGLI AMMALATI DELL'OSPEDALE CIVILE «BROZZU» Cagliari - Domenica, 20 ottobre 1985 Carissimi fratelli e sorelle! 1. Ho molto apprezzato le nobili parole e i profondi sentimenti di fede che uno di voi, a nome di tutti, ha voluto esprimere in occasione di questa mia presenza tra voi. Sì, io sono qui per portarvi la Parola di Cristo, la sua testimonianza, il suo affetto, il suo conforto. Queste parole che avete voluto dirmi vanno al di là della mia persona e si rivolgono con fiducia a Gesù redentore e salvatore. Egli stesso scenda nei vostri cuori, vi mandi il suo Spirito, vi dia le sue consolazioni! 2. Saluto cordialmente tutti i presenti: oltre a voi, carissimi malati, saluto il Personale dirigente, medico e paramedico, i Cappellani e le Religiose, che sono fra voi un segno dell’amore di Cristo e della maternità della Beata Vergine Maria, Madre di Dio. Anche la Sardegna, come ogni regione di questa terra, va soggetta a certe malattie caratteristiche, che ancora resistono agli sforzi condotti contro di esse dalla scienza medica, una di queste, la più grave e diffusa, è l’anemia mediterranea, che colpisce la vita al suo primo sbocciare e tende crudelmente a stroncarla, dopo un lungo e penoso deperimento, nel fiore dell’età o quando la vita dovrebbe essere nel suo massimo rigoglio. La Sardegna ha trionfato su un morbo antichissimo, così preoccupante, che scoraggiava molti dall’abitare nelle vostre terre e che sembrava aver fatto della vostra bella Isola quasi un luogo di esilio e di pena: la malaria! Sconfitto questo terribile nemico, ora si para innanzi quello già accennato. Ma la scienza non desiste dalla sua nobile lotta in favore della vita: presto o tardi anche questo nemico sarà sconfitto. È l’augurio che sorge, forte e spontaneo, dal mio e dal vostro cuore. 3. La scienza trionfa sulla malattia e sulla morte se conduce la sua lotta con coerenza, promovendo, difendendo e curando la vita in tutte le sue forme e a tutti i livelli, rinunciando a concezioni edonistiche o materialistiche, che tendono a sottovalutare la dignità assoluta della vita umana, in ogni istante del suo processo evolutivo, dal suo concepimento fino all’estremo palpito della vecchiaia. La scienza trionfa nella sua lotta per la vita e per la salvezza dell’uomo, nella misura in cui essa è aperta alla luce e all’energia di fede e di carità che vengono dal Dio della vita, quel Dio che Gesù chiama il “Dio dei vivi, e non dei morti” (cf. Mt 22, 32). E questa apertura alla luce e alla forza benefica che vengono da Dio si ottiene, in modo decisivo e incancellabile, nel momento del dolore. La ragione umana non sa spiegare il perché di questo fatto, ma l’esperienza di fede ci dice che è così. Spesso il dolore è il luogo profondamente misterioso e misteriosamente profondo dell’incontro di Dio con l’uomo. È il luogo del riscatto e del perdono. È il momento nel quale la giustizia divina si congiunge con la sua misericordia. Il pentimento fiorisce allora nella speranza. E dall’intimo dell’animo sorge una pace ineffabile e invincibile. È la pace di Cristo. La pace che viene dalla sua Croce. 4. Esorto tutti voi, cari fratelli e sorelle, malati e sani, ad approfondire questo mistero della croce, mistero di luce e di pace, che non s’arrende alla morte, ma che, sia pure dopo pericoli e peripezie, trionfa definitivamente su di essa con la vita eterna. E voi, cari Cappellani e care sorelle Religiose, voi, in forza del dono ricevuto con la vostra vocazione, siete chiamati in modo speciale a insegnare ai fratelli il mistero della Croce. Sarà questo il vostro modo di essere missionari, secondo l’appello che ci viene dalla Giornata odierna. Io vi sono vicino in modo particolare nella preghiera perché il Signore vi assista. Come pure sono vicino a tutti voi qui presenti, malati, personale curante, parenti e amici, invocando su tutti la luce e l’assistenza divina. Sant’Ignazio da Laconi, da voi tanto venerato e invocato soprattutto in occasione della malattia, continui ad assistervi con la sua dolce e potente presenza e vi conduca tutti alla piena accettazione della volontà di Dio, con la fiducia del fanciullo che si abbandona alla guida del padre che ama. Niente dà serenità come il rimettersi al volere di Dio. E la mia affettuosa Benedizione sia con tutti voi. Infine, prima di impartire la benedizione conclusiva, il Papa aggiunge alcune parole sul significato e sul valore della Benedizione. Queste le sue parole. Seguendo l’esempio di questo vostro Santo, Ignazio da Laconi, rivolgo a tutti l’augurio e prego che tutti possano affidarsi, rimettersi nelle mani di Dio che è Padre. Egli ci ha dato suo Figlio, ce lo ha dato anche sofferente, crocifisso, perché sia vicino a tutti coloro che sono in certo senso crocifissi dalla sofferenza e dalla malattia. Poiché egli ci ha dato questo suo Figlio, noi dobbiamo tutti con ancor più grande fiducia rimettere nelle sue mani la nostra vita così come Gesù ha rimesso la sua vita nelle mani del Padre. “In manus tuas commendo spiritum meum”, furono le sue ultime parole. Con questi pensieri, con questi sentimenti, nello spirito di una comune orazione, vorrei offrire a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, una benedizione della Chiesa, benedizione che viene portata nel cuore e nelle mani del Papa e di tutti i Vescovi. Questa è la nostra missione, il nostro compito, non solamente liturgico, ma anche teologico e teleologico: portare questa benedizione a tutti, questa benedizione che esprime l’amore che Dio ha per tutta la creazione. Sappiamo bene che nel libro della Genesi si ripete questa parola: “et benedixit”, “et benedixit diebus suis”. Dio ha benedetto, giorno dopo giorno, tutta la sua creazione. Vuol dire che egli ha amato, vuol dire che egli ha creato nello Spirito Santo, vuol dire che con questo amore egli continua ad essere tra noi e con noi, specialmente da quando suo Figlio si è fatto uomo per soffrire con noi, per risorgere per noi. ___________________________________________ Europa 9 apr. ’05 UNIVERSITA’ :DUE MODELLI: DI MASSA O DI ÉLITE? Michele Salvati discute con il presidente della conferenza dei rettori, Piero Tosi, delle risposte da dare al futuro degli atenei italiani, rispetto alla domanda di competitività che il Paese deve affrontare. Partendo da un bivio: l'università per tutti, ma appiattita su standard di qualità medio-bassi, oppure un'università di eccellenza. per i capaci e i meritevoli com'è in molti altri paesi occidentali. MICHELE SALVATI. Sono molto contento di parlare con Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori italiani. Oggi fare il rettore è un compito che fa tremare le vene ai polsi, un mestiere ingrato. Perché? Perché il rettore è da un lato il responsabile della qualità dei servizi di una grande azienda quale è oggi l'università, ma dall'altro è anche "direttore del personale" eletto dal personale stesso. Questo è un aspetto curioso: in nessuna azienda, nemmeno pubblica, gli interessi del fornitore del servizio quasi istituzionalmente dominano gli interessi dei fruitori del servizio. Voglio dire, c'è qualcosa di singolare nel meccanismo di governance dell'università, per esempio nel ruolo particolarmente forte che hanno oggi i professori universitari. Piero Tosi, cosa propone per la governance dell'università, anche alla luce del conflitto di ruolo della figura del rettore? PIERO TOSI. Io credo che l'università italiana non abbia bisogno di molte riforme, ma di una sola grande riforma. Dagli anni '80 ad oggi siamo stati subissati di microriforme, dai provvedimenti urgenti ai piani triennali alla revisione dei piani di studio fino alla revisione della revisione e cosi via. Non c'è mai stata una riforma organica. Se pensiamo alla grande riforma, dobbiamo partire da alcune parole-chiave: autonomia, responsabilità, passiome, obiettivi, risorse, governance. Ecco, la governance la metterei in fondo. Se si riuscisse ad :mere un quadro generale nel quale il ministero fa la sua parte, cioè indica le linee strategiche del sistema, e le università esercitano I;r propria autonomia e cercano di raggiungere gli obiettivi. Certo, si dovrebbe introdurre m modello di valutazione su quello che le Università stanno facendo o hanno fatto. Di qui la necessità di un organo di valutazione serio che -a mio parere- non può che essere indipendente. Le conseguenze deV0110 portare automaticamente, oltre a un minore o maggiore prestigio di un ateneo, anche a maggiori o minori risorse a disposizione in rapporto ai risultati. Perché metto il problema della governance in fondo? Perché con questa riforma automaticamente le università dovranno essere indotte ad attuare almeno due modifiche necessarie affinché la responsabilità prevalga sulla rappresentatività di governo. Non credo che riformando semplicemente la governance, cosi com'è stato fatto in alcuni paesi europei (penso all'Austria) con il rettore imposto da un board esterno o magari dallo stato (Ma dai politici si salvi chi può), si risolva il problema. Un problema che invece va risolto attraverso l'induzione di comportamenti positivi nell'università, attraverso una strada decisamente persuasiva. S. Prendiamo una coppia di parole-chiave: università di massa e università di élite. Oggi l'università italiana svolge un doppio ruolo. Da un lato dovrebbe alzare il grado medio di cultura di tutti coloro che entrano nel mercato dei lavoro. È la funzione di quelle che definiamo le lauree triennali, ma oggi non è cosi perché i tre quarti degli studenti non si fermano alla laurea triennale e proseguono nel biennio specialistico. E si arriva al problema dei finanziamento che è cruciale e che può indurre a comportamenti virtuosi. Se lo stato continua a distribuire risorse a seconda dei numero degli studenti iscritti allora tutte le università avranno l'incentivo sbagliato ad aprire le porte dei secondo livello della (aurea a tutti. II che va contro qualsiasi idea di università per i "capaci e meritevoli", un'università non dico di élite ma intesa come universitas, che troviamo in molti altri paesi occidentali. Ci dev'essere un momento in cui l'università dice no e fissa il numero chiuso per alcuni corsi. I) problema è che questa decisione non dev'essere penalizzata dalle risorse dei ministero. T Non a caso ho parlato di un modello di valutazione e non della valutazione o della pseudovalutazione che viene fatta oggi. Oggi i parametri considerati per la parte didattica sono il numero degli studenti, il numero degli studenti in corso, il numero dei crediti conseguiti, senza nessun elemento che prenda in considerazione la qualità, l'inserimento nel mondo del lavoro o comunque il successo post laurea. È un modello pericoloso. Le università, invece, dovrebbero essere incoraggiate a perseguire la qualità, la cosiddetta eccellenza. Quanto alla riforma del "3+2" noi siamo stati costretti, secondo me in modo assolutamente improprio, ad applicarla in tempi molto brevi, senza avere avuto il tempo di riflettere. Questo ha portato a due conseguenze: le università sono state spinte a produrre una proliferazione di corsi, che i contatti non felici con il mondo del lavoro hanno notevolmente accentuato. C'è un vizio di base in questa riforma, il tentativo di conciliare due aspetti a mio parere difficilmente conciliabili: la cosiddetta professionalizzazione e la cultura generale. L'università è sempre stata per sua natura intrinseca generalista, cioè ha sempre dovuto insegnare essenzialmente ad imparare. Con la riforma del "3+2" le università hanno finito per accumulare nel triennio tutte le discipline possibili producendo anche un certo sconcerto negli studenti che oggi, giustamente, chiedono più materie generali. S. È vero, però è anche vero che quello che era stato chiamato il "processo di Bologna", ovvero la distinzione di stadi all'interno dell'università, un'esperienza binaria che, per esempio negli Stati Uniti, distingue i community colleges dalle universities. Una soluzione in qualche modo binaria esiste in molti altri paesi e ci si è arrivati quasi spontaneamente. Sul "processo di Bologna» sembra esserci un accordo molto ampio tra ministeri e rettori. Poi, certo, la riforma del "3+2" è stata realizzata in fretta, gli atenei hanno fatto i loro errori, e anche le domande dei mondo dei lavoro spesso si sono rivelate le più strane, per cui in una zona in cui si lavora la ceramica si richiede ('università della ceramica. In ogni caso si viaggia ormai su questo doppio binario, con la laurea triennale tendenzialmente generalista, il biennio specialistico e l'eventuale dottorato di ricerca su cui si dovrebbe investire di più. T La riforma del 3+2 in sé non è stata né buona né sbagliata: è stata applicata di corsa e quindi abbastanza male. Doveva creare una serie di percorsi del triennio e una serie di percorsi moltiplicati del biennio di specializzazione. È accaduto l’opposto anche perché è stato applicato prima il triennio e le risorse si sono concentrate su quello. Io credo che l'occasione che probabilmente ci è stata offerta dal ministero di,rivedere le cose debba essere colta, proprio nella direzione che lei indicava, di un triennio abbastanza generalista salvo casi specifici e una specializzazione nel biennio che dev'essere selettiva. Con la prosecuzione, poi, nel dottorato che dovrebbe diventare una fase sempre più seria, un vero e proprio terzo ciclo come è ormai in tutta Europa. S. Non abbiamo ancora affrontato un tema cruciale. Oggi l'università italiana è un servizio che viene pagato soprattutto da chi non la fa, si regge in buona parte sulla tassazione generale dei lavoratori dipendenti, piccoli, medi e medio-alti. L'università è un elemento di redistribuzione di ricchezza per niente equo. !n realtà dovrebbe offrire delle chances anche professionali e quindi giustificherebbe delle tasse più alte, al limite da ripagare con un sistema di prestiti d'onore. Questo è un aspetto che va affrontato con cui l'eventuale governo di centrosinistra si troverà a fare i conti. Ma per venire alla sua risposta mi ha colpito l'aver collocato il problema della governance in fondo. Oggi esistono sostanzialmente due modelli di università. II primo è quello continentale in cui il ruoto fondamentale è dello stato che delega come suoi rappresentanti i rettori e i professori ai qua. li affida i) compito di rappresentare l'interesse generale fissando un insieme di regole a livello centrale. Questo sistema si sfalda nel momento in cui I'autonomia comincia ad essere presa sempre più sul serio. L’autonomia implica un modello che nulla ha a che {are con questo modello statalista, piuttosto un modello all'americana con un board di governance dell'università, tasse alte, stipendi dei docenti differenziati e completamente liberi. Ho l'impressione che noi rischiamo di stare nel peggiore dei due mondi. II tentativo di riforma di Blair dovrebbe essere quello cui dovremmo essere più attenti perché rafforza il sistema pubblico, ma innovandolo con elementi all'americana. Per esempio, oggi in Italia il livello di retribuzione dei professori è rigido e centralizzato, mentre anche in questo ambito dovrebbero essere introdotti elementi di autonomia. Non è facile. T Si, non è facile, però bisogna partire da alcuni principi. Alla conferenza di Berlino i ministri degli stati europei hanno ribadito che l’università è un bene pubblico. Quindi noi dobbiamo ricavare ambiti di autonomia e responsabilità all'interno di questi paletti. Purtroppo l’università americana si può fare in America, non in Italia. Continuiamo a parlare di fondi esterni da attingere da parte dell’università ma non affrontiamo il problema della defiscalizzazione e degli incentivi alla ricerca. Quanto al problema delle tasse continuiamo a dire che è ridicolo che lo studente italiano paghi due lire per andare all’università, ma noi abbiamo fatto un po' di conti e ci siamo accorti di quanto uno studente deve pagare per trasferirsi dalla Calabria a Bologna per studiare. Allora, dov'è il diritto allo studio in Italia? E con i prestiti d'onore cosa succede? Le banche chiedono garanzie all'università: per esperienza posso dire che se volessi assicurare i prestiti d'onore ai miei studenti dovrei impegnare il bilancio per una cifra enorme. S. Certo, non può essere la singola università a garantire i prestiti d'onore, ma lo stato. T. Appunto. E purtroppo tutto questo manca. Quando parlo di una riforma organica intendo dire proprio questo, che non si possono toccare solo alcuni aspetti ma dobbiamo collocarli in un quadro complessivo. S. Resta il fatto che oggi le tasse universitarie pagate dagli studenti coprono non più del i5-2o per cento dei costi. Un ordine di grandezza che dovrebbe cambiare... T Sono d'accordo. Infatti come Conferenza dei rettori noi abbiamo detto che ci deve essere una forte rappresentanza esterna nei consigli di amministrazione delle università, non maggioritaria ma forte, perché è giusto che tutti i portatori di interessi siano rappresentati. Il problema è sulla figura del rettore, se questo debba essere l’espressione di un'elezione oppure debba essere nominato dall'alto. Io continuo a pensare che valga la prima soluzione, almeno in Italia. In ogni caso vorrei cimentare questa soluzione in un contesto come quello che ho descritto. S. Però il conflitto di ruolo del rettore dovrebbe essere il più possibile ridotto, anche con l'intervento dello stato. T Certo, attraverso l’induzione di buoni comportamenti. Io non sono né favorevole né sfavorevole ai ranking, la graduatoria degli atenei. Penso che in assoluto non siano sbagliati anche se si sa che le classifiche hanno sempre dei limiti. S. Di fatto le graduatoria tra le università c'è già, un processo di differenziazione esiste. 11 problema è che in realtà si trovano punti di eccellenza nella didattica ma soprattutto nella ricerca molto dispersi: un'università mediamente scadente può avere un paio di dipartimenti eccezionali, che magari durano per 15 anni e poi la gente si stanca e se ne va. T. È un fenomeno inevitabile. Le università devono riuscire a costruire delle reti di eccellenza o comunque di alta qualità in alcuni settori ma anche mettere insieme le forze. Ci vuole competizione ma anche collaborazione. È un po' come nel rapporto tra università e impresa: è inutile pensare che la singola impresa, magari piccola, possa innovare e fare ricerca da sola, c'è bisogno di fare massa critica. Nella ricerca, soprattutto in certi settori, la collaborazione è indispensabile. S. Certo, università e ricerca si tengono, cosi come scuola e università. L'università italiana è quella che è perché la qualità della scuola media superiore è quella che è. Tutto si tiene. L'intero comparto che va dalla scuola media all'università alla ricerca spero sia oggetto di particolare attenzione di qualsiasi governo che verrà. È un settore cruciale: ormai lo hanno capito tutti. Ma vorrei ricordare che il sistema universitario statunitense ha sviluppato caratteristiche di eccellenza molto superiori alle nostre: sono le prime 100 università a creare la classe dirigente e tecnica di un paese come gli Stati Uniti. Non si può conciliare università di massa e università di eccellenza. Certo, nessuno pensa all'importazione secca e brutale di altri sistemi. Probabilmente serve un processo incrementale, non una rivoluzione. T Noi continuiamo a vivere in un cantiere in cui si fanno piccoli interventi, ma non si tocca mai il nocciolo della questione. Spero che chi si occuperà di università in futuro abbia in mente il disegno generale. (a cura di Giovanni Cocconi) TOSI PURTROPPO L'UNIVERSITÀ AMERICANA SI PUO FARE IN AMERICA, NON IN ITALIA. Parliamo di fondi esterni da attingere da parte dell'università ma non affrontiamo il problema della de, fiscalizzazione e degli incentivi alla ricerca TOSI Se pensiamo alla grande riforma, dobbiamo partire da alcune parate-chiave: autonomia, responsabilità, passione, obiettivi, risorse, governance. Certa, si dovrebbe introdurre un modello di valutazione su quello che le università stanno facendo a hanno fatto ___________________________________________ Il Sole24Ore 9 apr. ’05 RICERCA, IL MONDO SCIENTIFICO FIRMA UN APPELLO EUROPEO Manifesto / Proposta a Bruxelles MILANO o Più fondi, interventi mirati per potenziare la ricerca di base e la preparazione scientifica dei giovani, ridurre il peso della politica e della burocrazia sulla gestione e la programmazione della ricerca: è quanto chiede un, nutrito gruppo di scienziati promotori del "Manifesto per una nuova alleanza in Europa tra scienza e società", riuniti oggi presso la Città della Scienza di Napoli per discutere su prospettive e necessità della ricerca europea. Le richieste formulate nel documento sono precise: «Che cosi come sono stabilite soglie minime dei parametri economici che ogni stato deve rispettare per poter essere accettato come membro dell'Unione Europea, cosi analogamente venga stabilita una soglia sulla variazione di Pil da destinarsi alla ricerca fondamentale. Che vengano definite regole di autogoverno degli organismi comunitari e nazionali deputati alla ricerca fondamentale, liberandoli da improprie ingerenze della politica e di altri poteri forti». Il manifesto sarà pubblicato in rete all'indirizzo www.forscience.it. Attraverso lo stesso sito, chiunque potrà aderire all'appello aggiungendo la propria firma a un lungo elenco, che comprende nomi eccellenti come Rita Levi Montalcini, Anthony Legget, Tullio Regge, Tullio De Mauro e Margherita Hack: «II prossimo autunno, terminata la raccolta di firme, presenteremo il documento ai massimi organi dell'Unione europea, Parlamento e Commissione», dice Vittorio Silvestrini, fisico dell'Università Federico II di Napoli, ideatore dell'iniziativa insieme al fisico romano Carlo Bernardini. «Anche i politici concordano che occorre fare uno sforzo per recuperare la competitività dell'Europa in campo scientifico a livello mondiale», spiega Silvestrini, «le opinioni si differenziano sui mezzi da adottare. Va fatta una scelta tra due scenari: potenziare la ricerca di base, la produttività di nuova conoscenza scientifica e i rapporti tra la ricerca, l'università, la scuola e la società, oppure incentivare lo sfruttamento delle conoscenze che la scienza ha già prodotto, con una rigida programmazione della ricerca a livello politico. Il nostro Paese, come tanti altri Paesi europei, ha imboccato la seconda strada. Già i maggiori organismi di ricerca italiani sono commissariati o si avviano al commissariamento e il peso crescente della burocrazia schiaccia lo spirito di iniziativa degli scienziati. Tutto questo ci condurrà a un fuoco di paglia effimero e al rischio di un progressivo inaridimento del sapere scientifico». La scelta dei settori della ricerca da privilegiare, sostiene Silvestrini, non deve cadere dall'alto, operata dai politici senza consultare gli scienziati, ma deve scaturire da valutazioni oggettive e da un chiaro confronto tra i ricercatori stessi e la società. «Attualmente abbiamo un migliaio di adesioni provenienti da tutti i Paesi d'Europa e da tutti i campi scientifici ed umanistici della ricerca», dice Berardo Ruggiero, fisico dell'Istituto di Cibernetica del Cm- e coordinatore del comitato organizzatore del manifesto. «Biologia e fisica sono le discipline più rappresentate dai firmatari - aggiunge Silvestrini - perché sono le due colonne portanti della ricerca fondamentale e i settori più attivi nella politica della scienza, ma l'importanza della questione è evidente a tutti i ricercatori». MARIA CRISTINA VALSECCHI ___________________________________________ Il Sole24Ore 4 apr. ’05 RICERCATORI, ECCO LA CARTA MOBILITA In una raccomandazione dell'Unione europea i diritti e i doveri Rendere la ricerca una carriera attraente rappresenta un punta di fondamentale importanza per stimolare la crescita dell'economia e dell'occupazione. Per creare un autentico spazio europeo della ricerca, la Commissione europea ha adottato, con una Raccomandazione dello scorsa 11 marzo, una Carta europea per i Ricercatori e un Codice di condotta per la loro assunzione. I due nuovi documenti daranno ai ricercatori gli stessi diritti e doveri in tutta l'Unione, mentre oggi le loro carriere sano frammentate a livello locale, regionale e nazionale. La Carta europea dei ricercatori stabilisce i ruoli, le responsabilità e i titoli dei ricercatori e dei loro datori di lavoro o organizzazioni finanziatrici. Il suo scopa è assicurare che la relazione tra queste parti contribuisca al successa della produzione, del trasferimento e della condivisione di conoscenze e allo sviluppo della carriera dei ricercatori. Tutti i ricercatori che hanno abbracciato questa carriera devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. I datori di lavoro o finanziatori dei ricercatori non dovranno in alcun modo discriminarli sulla base del genere, dell'età, dell'origine etica, nazionale o sociale, della religione o delle convinzioni, dell'orientamento sessuale, della lingua o delle condizioni sociali o economiche. Il codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori ha invece lo scopo di migliorare il reclutamento, di rendere più eque e trasparenti le procedure di selezione e di proporre mezzi differenti per il giudizio di merito. La valutazione non avverrà solo in base al numero delle pubblicazioni, ma prenderà in considerazione una scala più ampia di criteri di valutazione, come le, attività di insegnamento, di supervisione, lavora di gruppo, trasferimento di conoscenza c conceranno anche 1e attività di gestione e sensibilizzazione del pubblico. Eventuali esperienze di mobilità> ossia un soggiorno in un Paese o regione diversi o in un altro istituto di ricerca o un cambiamento di disciplina o settore, sia nell'ambito della formazione iniziale che in una fast ulteriore della carriera o. ancora, un'esperienza di mobilità "virtuale", verranno considerate contributi preziosi allo sviluppo professionale del ricercatore. MARIA ADELE CERIZZA ___________________________________________ Il Sole24Ore 5 apr. ’05 RICERCA, ORA LA UE PUNTA 70 MILIARDI COMPETITIVITÀ La Commissione europea propone di raddoppiare i finanziamenti er il periodo 2007-2013 - Parla Riccardo Varaldo (S.Anna di Pisa) L'obiettivo è il rilancio dell'alleanza pubblico privato DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES a Rilanciare la ricerca di base, ma allo stesso tempo creare e rafforzare network di eccellenza aperti alle necessità delle imprese impegnate sul terreno dell'innovazione; coordinare meglio le politiche nazionali a favore della scienza su temi specifici e varare un Consiglio europeo della ricerca, che raggruppi scienziati di fama, con l'intento di selezionare e indirizzare i migliori progetti europei. Sono questi alcuni degli obiettivi previsti dalla cornice del Settimo programma quadro per la ricerca, che la Commissione europea si appresta ad approvare domani e a presentare giovedì. Molto forte l'impulso finanziario che Bruxelles intende dare al piano, volto a coordinare i fondi comunitari per la ricerca nel periodo dal 2007 al 2013. L'importo che l'Esecutivo Ue intende impegnare nel settennato è di 70 miliardi di euro. Verrebbe perciò raddoppiata, da 5 a 10 miliardi la cifra investita annualmente, rispetto all'attuale Sesto programma quadro che copriva un periodo di soli quattro anni. Per il momento, quella sul Settimo programma, è una proposta, che dovrà fare perciò i conti con l'ansia di risparmio sui contributi comunitari di alcuni Paesi, Germania in testa, e che potrebbe risentire, nel suo volume finanziario, degli esiti del dibattito sulle prospettive finanziarie Ue, in corso tra i Governi dei 25. Tuttavia, la Commissione di José Manuel Barroso ha posto il rilancio della competitività come priorità delle priorità. Bruxelles intende perciò pungolare i leader europei a mantenere fede alle proprie promesse sul rilancio della strategia di Lisbona e a sottoscrivere l'ambiziosa dotazione finanziaria del piano. Oltre che ad aumentare nei bilanci nazionali gli investimenti per la ricerca, che vedono al momento l'Europa nel suo complesso lontana dall'obiettivo del 3% del Pil, ferma all'1,93%, rispetto al 2,76% investito negli Stati Uniti e al 3,12% del Giappone. Il settimo programmo quadro, prevederà tutti i nove assi di intervento del precedente, dalle tecnologia dell'informazione all'energia, dalle scienze della vita alle nanotecologie, con l'aggiunta di un nuovo asse riguardante spazio e sicurezza. Ma ciò che il commissario alla Ricerca, Janez Potocnick,intende promuovere è soprattutto un'azione molteplice, che si articoli orizzontalmente su quattro fronti: miglioramento della cooperazione, sviluppo di nuove idee, valorizzazione del capitale umano e potenziamento delle infrastrutture. Da un lato si pensa a un sostegno allo sviluppo di reti di ricerca e di eccellenza paneuropee, capaci di attrarre scienziati e cervelli, soprattutto giovani. Ma cercando di generare opportunità e risultati che siano utilizzabili dalle imprese europee, e le mettano in grado di generare posti di lavoro ad alto valore aggiunto. L'obiettivo è perciò stimolare al massimo le partnership pubblico privato e i consorzi che possano facilitare la partecipazione di piccole e medie imprese. Per la definizione degli indirizzi di ricerca da seguire, un ruolo importante viene attribuito al nuovo Consiglio europeo della ricerca, del quale non si conosce ancora composizione o sede, ma che Bruxelles vorrebbe operativo dal 2007, al via del nuovo Programma quadro. La Commissione intende esplorare anche la strada del coordinamento delle politiche nazionali per la ricerca su alcuni temi specifici, come potrebbe essere la nanotecnologie. È una possibilità che i Trattati europei attribuiscono a Bruxelles, ma che finora è stata sfruttata solo una volta, per dare più incisività agli interventi europei contro malaria, tubercolosi e Aids nei Paesi in via di sviluppo. ENRICO BRIVIO __________________________________________________ IL Riformista 09-04-2005 LA MORATTI CHIEDE AIUTO AI DOCENTI CONVERSAZIONE. DOPO L’APPELLO DEL RIFORMISTA SULL'UNIVERSITÀ Ripensare l'università partendo dalla tradizione italiana, recuperare l'antico rapporto tra «maestro e allievo», riuscire a condurre in porto una riforma del sistema universitario. Con un'idea precisa: il dialogo con l'opposizione e con la comunità scientifica. «Visto che dalle università passa il futuro del nostro paese, nessun provvedimento in materia può essere visto, né pensato, né portato avanti come un progetto di parte». Letizia Moratti traccia un bilancio degli ultimi quattro anni da ministro dell'Istruzione e dell'Università ma soprattutto delinea la sua tabella di marcia per ciò che resta di questa legislatura. «L'università italiana dev'essere ripensata. Certo, un ministro può facilitare questo percorso ma da solo non può determinare una nuova cultura del mondo universitario. Da questo punto di vista, l'appello dei dodici docenti accolto dal Riformista e da Magna Carta è un'iniziativa apprezzabile. Perché comporta una nuova assunzione di responsabilità individuale da parte di tutti i docenti che lo hanno firmato. È questo è il dato più importante di un documento in cui si legge la volontà di cambiamento. Credo che sia arrivata l'ora di sapere chi vuole cambiare le cose e chi non vuole. Il tempo di dire sempre e solo no è imito». E ancora: «L'appello mi ha reso molto più fiduciosa. Credo che questo desiderio di ribadire la centralità dell'università nelle politiche di crescita del paese sia condiviso dalla maggioranza delle persone che vivono e operano all'interno degli atenei». Per questo, aggiunge il ministro, «il dibattito culturale che il Riformista ha aperto servirà, e non poco». Ripensare il ruolo dell'università vuol dire anche, secondo il ministro, cercare di recuperare eredità e tradizioni. «L'università italiana - sostiene la Moratti - ha una tradizione straordinaria. I primi atenei sono nati in epoche di guerre, di divisioni. Ma hanno sempre svolto quel ruolo di elaborazione critica della cultura, dei saperi, della ricerca, che ha permesso di superare momenti culturalmente difficili». Il dibattito sulla riforma dell'università, come rilevano anche i dodici firmatari dell'appello, è sempre stato ancorato ad uno slogan: più fondi. «È vero - ammette il ministro - purtroppo, negli ultimi anni, le uniche cose per cui la Conferenza dei rettori ha chiesto di parlarmi sono state legate ai fondi e alle ripartizioni dei fondi». Un problema reale da un lato, o uno spettro che viene agitato per mantenere lo status quo? «Io non voglio affrontare un dialogo prescindendo dal problema dei fondi», risponde la Moratti. «Gli atenei hanno giustamente richiesto fondi maggiori perché l'università italiana continua a essere sottofinanziata rispetto a quelle europee. Noi abbiamo incrementato i finanziamenti del 13 per cento negli ultimi quattro anni, del 7 per cento solo nell'ultimo anno. Quello dei fondi è un problema vero perché, ad esempio, la riforma del 3+2 era stata fatta senza copertura finanziaria, per cui gli atenei avevano raddoppiato l'offerta formativa praticamente a fondi invariati. Ma va detto che le università usufruiscono anche dei finanziamenti sulla ricerca: dal 2002 all'ultimo provvedimento sulla competitività, sono stati stanziati 2,8 miliardi in più rispetto al passato». Guardando all'ultimo scorcio di legislatura, la Moratti non rinuncia a una riforma concreta: quella che riguarda lo stato giuridico dei docenti. «La maggioranza è compatta ed era pronta a votare il testo. Ho chiesto io al Parlamento di rimandarlo in commissione, per continuare a cercare il consenso più ampio possibile. La Crui mi ha presentato 15 proposte, ne ho accolte 14 (tra queste, la rinuncia alla legge delega, ndr). L'unico punto non accettato completamente riguarda i ricercatori attuali, per i quali veniva chiesto il riconoscimento di un ruolo di professore, una sorta di ope legis. Un'occupazione, questa, che toglierebbe a molti giovani meritevoli la possibilità di concorrere per un posto di ruolo in università. Dobbiamo trovare soluzioni che riconoscano l'importante contributo dato dai ricercatori ma che nel contempo consentono di premiare i migliori. Tra l'altro, nei prossimi anni usciranno dall'università dai 28 ai 30mila docenti. Con l'idoneità scientifica nazionale aperta, non legata al ruolo ed eventualmente con numeri predeterminati, potremo trovare una soluzione per tutti. Ma se non lo facciamo adesso, questa finestra si chiude e non potremo più farlo». La ricerca di una soluzione che in cui si fondano «equità e merito» offre la speranza di riuscire a elaborare un testo il più possibile condiviso. «Perché ogni riforma nei settori pubblici deve partire dalla ricerca del dialogo tra maggioranza e opposizione». Ma un ripensamento dell'università italiana passa, secondo il ministro, anche dal recupero «di un'eredità legata alle nostre radici storiche, ai pensatori greci, romani, alle radici cristiane, alle radici dell'umanesimo. In questa eredita è possibile leggere una grande fiducia nell'uomo e nella sua capacità di cambiamento». Un'università che sappia riappropriarsi della sua missione sociale è un veicolo per migliorare la qualità della vita in tutto il pianeta. «La consapevolezza di questa missione si è come un po' persa negli ultimi anni. Ho lavorato su molti temi che vanno dal dialogo con le culture mediterranee, alla collaborazione coi i paesi tecnologicamente più avanzati. Purtroppo solo a livello di singoli atenei. E come se mi mancasse una controparte istituzionale che lavori sul quel terreno di collaborazione scientifica e culturale che sta alla base di un rinnovamento anche nel nostro paese. Naturalmente anch'io posso sbagliare, forse a volte non ho avuto l'approccio più giusto...». Con lo sguardo rivolto al recente passato, la Moratti elenca gli obiettivi raggiunti, anche fuori dai confini nazionali. Uno in particolare: «Prima ancora del semestre di presidenza italiana aveva mo chiesto all'Ue di tenere finanziamenti in ricerca e sviluppo fuori dai parametri del Patto di stabilità. All'inizio, non ci dava retta nessuno. Poi Germania, Inghilterra, Francia e Spagna ci hanno seguiti. Durante il Consiglio europeo del 22 e 23 marzo, questi finanziamenti sono stati inseriti tra i fattori tenuti in considerazione per la flessibilità su un eventuale sforamento del 3 per cento. E questa, se permette, è stata una grande vittoria italiana». ____________________________ Il Riformista 09-04-2005 I SINDACATI DEI DOCENTI NON SONO IL FRONTE DEL NO Le nostre proposte giacciono da anni al ministero LETTERA 2. SIAMO DA SEMPRE DISPONIBILI AL CONFRONTO Caro direttore, ho letto con estremo interesse l'appello per l'Università pubblicato il30 marzo in prima Pagina dal quotidiano da lei diretto e non posso fare a meno di intervenire. Attualmente coordino le iniziative delle associazioni e dei sindacati rappresentativi della docenza universitaria (Adu, Andu, Apu, Auri, Cisl-Università, Cnru, Cnu, FlcCgil, Snals-Università, Uilpa- Ur) che hanno portato a un momentaneo ritardo l’approvazione del disegno di legge delega governativa Intervengo perché appartenendo a quella minoranza che pretende di parlare a nome dell'intera Università e si esprime regolarmente contro tutti i progetti, contro tutti i tentativi di cambiare le cose» mi corre l'obbligo di fare chiarezza sulle ragioni del dissenso e ancor più di controbattere sull'affermazione