LA RIFORMA MORATTI A UN PASSO DALLO STOP - MODICA: RIDARE VOCE ALL’UNIVERSITÀ - TRIENNALI: «L'ORDINE CI TUTELI» - STATUTO E ELEZIONI: IL SENATO ACCADEMICO FISSA IL CALENDARIO - PANI: L'OPINIONE L'ANGUSTO DIBATTITO SULL'ETERNO RETTORE - STUDENTI, BOOM DI ABBANDONI - SARDEGNA IN EUROPA GRAZIE AL MANUALE DEI SERVIZI COMUNITARI - SEMPRE PIÙ DONNE ALL’UNIVERSITÀ - LE DONNE EVITANO LA CARRIERA SCIENTIFICA - SICUREZZA E PRIVACY LE PROVE DEL FUOCO - LE DIGHE IDROELETTRICHE? RESPONSABILI DELL’EFFETTO SERRA - ======================================================= COSA È CAMBIATO ALLA REGIONE LA SCOSSA INAVVERTIBILE - ROSATI: LA SANITÀ NELL'ISOLA È SENZA PROGETTO - MANAGER E INVASIONI BARBARICHE - E DALL'EPURAZIONE SI SALVA (FORSE) SOLO MELONI - ASL7 IL CONSULENTE? UN MODENESE COME IL NUOVO MANAGER - CARDIOCHIRURGIA INDICI DI MORTALITÀ SOTTO ACCUSA - VIA LO SPAZZOLINO LA LUCE BLU CI PULIRÀ I DENTI - LA SCOPERTA DI UN ENZIMA METTE L'ARTRITE ALLE CORDE - CHIRURGIA: "A NUORO COME I MAGGIORI CENTRI EUROPEI" - SASSARI: LE NOVITÀ SU EPATITE E CIRROSI - DISTROFIA MUSCOLARE ECCO I PRIMI SUCCESSI - UN FATTORE COMUNE DIETRO INFARTO E REUMATISMI - L' "EMERGENZA DENTI" NEI PAESI POVERI - EPATITE C, MALATTIA SOMMERSA - ======================================================= _____________________________________________ La Stampa 15 Apr. 2005 LA RIFORMA MORATTI A UN PASSO DALLO STOP TEMPI SEMPRE PIU’ STRETTI PER VARARE I DECRETI APPLICATIVI Oggi meeting del ministro con i responsabili scuola della coalizione Al centro dello scontro gli istituti tecnici e il rapporto con le Regioni «Si rafforza il partito trasversale che preme perché salti tutto» ROMA Si chiama «effetto Berlinguer» la paura che serpeggia tra i corridoi del ministero dell’Istruzione, dopo l’esito delle elezioni regionali: se la legislatura dovesse essere più corta e il governo dovesse tornare a casa, il lunghissimo lavoro di Letizia Moratti per la riforma della scuola farebbe la stessa fine di quello del suo predecessore Luigi Berlinguer. Detta brutalmente: se ci sono le elezioni, la riforma salta. Ma il guaio è che, se anche le elezioni non ci fossero, portare a compimento la riforma Moratti potrebbe diventare complicato per le forti divergenze che ci sono sempre state nella Casa delle libertà, ma che si stanno acuendo ora, dopo la disfatta delle urne. Per ricomporre queste dispute, oggi il ministro incontrerà i responsabili scuola dei partiti della coalizione (Brocca per l’Udc, Mauro per Forza Italia, Valditara per An e Bianchi-Clerici per la Lega). Ma vediamo più da vicino i motivi del contendere. La legge di riforma della scuola (numero 53 del 2003) dava al governo due anni di tempo per varare i decreti legislativi applicativi. Fino ad ora sono stati emanati quelli relativi al primo ciclo, quello sull’estensione del percorso formativo fino a 18 anni, quello sull’alternanza scuola-lavoro. Il decreto sulla formazione dei docenti, approvato dal governo, dev’essere ancora pubblicato. Ne resta un ultimo, il più lungo, il più controverso ma anche il più qualificante: quello sulle superiori. Se non passa entro la legislatura, la riforma Moratti andrà in archivio. Inutile dire che c’è un partito trasversale (politico, sindacale, culturale) che preme perché questo sia l’esito degli eventi. Urge, dunque, che il governo acceleri i tempi. La delega al ministro, scaduta il mese scorso, è stata prolungata fino ad ottobre, ma per andare sul sicuro bisogna fare tutto entro giugno (sempre che non si vada alle urne). Per questo venerdì Letizia Moratti cercherà di mettere d’accordo le varie sensibilità della coalizione. Il motivo del contendere riguarda soprattutto gli istituti tecnici e il loro destino. La riforma prevede per le superiori il duplice canale dell’istruzione e della formazione professionale. Dove vanno collocati gli istituti tecnici? Nella mente di chi ha scritto la riforma l’attuale esperienza degli Itis andrebbe collocata all’interno del liceo tecnologico con pochissimi indirizzi. Si tratterebbe di una scuola di buon livello culturale, ma non più «professionalizzante», in senso stretto, in quanto a questo provvederebbe la formazione professionale regionale. La posizione di Forza Italia, espressa dal responsabile scuola, l’europarlamentare Mario Mauro, spinge perché non ci siano ambiguità: o l’Itis diventa un liceo, con carattere propedeutico all’università, oppure tutto deve passare al sistema regionale della formazione. L’Udc, invece, la scelta l’ha fatta: poiché l’istruzione tecnica è un aspetto della formazione professionale, tanto vale accorpare il tutto e affidarlo alle Regioni, senza ulteriori indugi. La posizione di An, espressa dal senatore Giuseppe Valditara, è invece per inserire l’Itis all’interno del sistema dei licei, in quanto i quadri dell’industria devono avere una preparazione culturale di rango, ma salvando il carattere «specialistico» di questo indirizzo di studi e, quindi, anche gli indirizzi attuali. Il modello di riferimento è quello del liceo vocazionale francese, sul quale concordano anche Confindustria, associazioni di categoria e sindacati. Ma c’è anche una questione cara alla Lega da dirimere: l’articolo 2 della riforma prevede delle materie scelte dalle Regioni. Se si eccettua l’esperienza dell’Emilia Romagna, che ha rimesso questa competenza all’autonomia delle singole scuole, le altre Regioni non si sono ancora pronunciate. Ma il rischio è che, quando lo faranno, andranno a incappare nella complicata articolazione dell’orario scuola: quelle ore saranno curricolari e quindi ridurranno il tempo- scuola nazionale oppure saranno opzionali e, quindi, chi non vuole non le segue? E se le Regioni volessero imporre un obbligo, come reagirebbero le scuole, vedendo lesa la loro autonomia? Aspettiamoci un’altra guerra. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Atenei, Tosi: «Per fondi siamo ben al di sotto della media europea» CosenzaPer il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, Piero Tosi, «nei finanziamenti agli atenei siamo ben al di sotto della media europea. Va bene distribuire i fondi secondo i meriti, ma i fondi devono esserci, altrimenti è tutto inutile». Tosi è intervenuto al convegno nazionale Fuci, in corso da ieri all'Università della Calabria. «L'università deve rimanere un bene pubblico - ha aggiunto Tosi -, è illusorio pensare che cambiando il pubblico in privato si trasformino i problemi in opportunità. Lo Stato deve indicare linee di indirizzo lasciando autonomia agli atenei senza soffocarli con le microriforme». _____________________________________________ Il Riformista 14 Apr. 2005 BASTA CON LE TEORIE SULLA MAGGIORANZA SILENZIOSA LAVORIAMO INSIEME PER (RIDARE VOCE ALL’UNIVERSITÀ APPELLO . AL CLUB DEI DODICI Di Luciano MODICA Un appello per la riforma dell'università è stato recentemente pubblicato sul sito della Fondazione Magna Carta da dodici autorevoli professori universitari, diffuso e commentato dal Riformista e sottoscritto da alcune centinaia di docenti. Sotto il titolo "Ridare voce all'Università" l'appello sostanzialmente lamenta l'assenza di proposte politiche costruttive sulle necessarie riforme dell'università di fronte ai tanti no "senza se e senza ma" pronunciati da una minoranza del mondo universitario sui provvedimenti legislativi proposti da tutti i ministri negli ultimi trent'anni. Secondo i firmatari occorrerebbe invece passare a dire sì a scelte profondamente riformatrici, i cui contenuti l'appello rinvia però a interventi ancora da preparare. Detto così, verrebbe quasi voglia di sottoscrivere quest'appello. Certamente l'università italiana ha bisogno di profonde riforme. Certamente un approccio di larga convergenza politica in questo settore cruciale della società sarebbe auspicabile e forse irrinunciabile. Ma più di un dettaglio dell'appello lascia invece dubbiosi per non dire sconcertati. E il diavolo, si sa, si annida tra i dettagli. L'accenno ai no "senza se e senza ma" riguarda sicuramente anche l'opposizione al disegno di legge Moratti su un nuovo stato giuridico dei docenti universitari. Ma si può definire di minoranza il parere del Consiglio universitario nazionale, della Conferenza dei rettori, del coordinamento delle conferenze dei presidi di facoltà e di decine e decine di organi elettivi di rappresentanza dei docenti, degli studenti e del personale tecnico- amministrativo delle università? Ha senso rispolverare la vecchia teoria della maggioranza silenziosa che vorrebbe le riforme rispetto a una minoranza chiassosa che invece le ostacola? È curioso inoltre che, usando un fuorviante artificio retorico da cui purtroppo siamo quotidianamente martellati, reclamino voce in capitolo persone che ne hanno già un'enorme disponibilità sui giornali, in televisione e persino nelle sale riunioni del ministero. Tra i sottoscrittori dell'appello troviamo opinionisti che vanno per la maggiore sui quotidiani nazionali e autorevoli consulenti del ministro. Essi pretendono addirittura che si tolga la parola a chi osi contraddirlo. II rischio serio che questi yes-men corrono è che, in mancanza di quelle proposte concrete che essi stessi reclamano, possano essere immediatamente arruolati, spero a torto, tra coloro che dicono sì anche a recenti provvedimenti sconsiderati del ministro Moratti. Ma vogliamo credere nella migliore buona fede dei sottoscrittori dell'appello e accoglierli invece tra noi, tra coloro che di proposte concrete, seriamente e profondamente riformatrici, ne hanno avanzate da tempo molte e nuove. Possiamo chiedere loro di leggere sul sito del bollettino Università & Ricerca l'appello «Diamo voce alle università» che fu sottoscritto nel novembre scorso da oltre 1.500 universitari e di dire che cosa ne pensano? Quell'appello - a parte il titolo tanto simile che in altra situazione farebbe persino sospettare un plagio - non si limita affatto a contrastare le proposte riformatrici della Moratti ma elenca con precisione e concretezza tutta una serie di riforme importanti e urgenti per l'università: migliorare il nostro sistema didattico senza rinunciare ai suoi capisaldi innovativi; superare il vecchio stato giuridico dei docenti con procedure di reclutamento e promozione dei talenti allineate con gli standard internazionali; ripensare i diritti di cittadinanza degli studenti; dare al sistema e ai singoli atenei efficienti forme di governo e di valutazione della qualità; far rifiorire la libera ricerca come sorgente di ogni avanzamento culturale e di ogni innovazione tecnologica; soprattutto, riaprire il reclutamento per i giovani più brillanti prima che sia troppo tardi per evitare la loro fuga da un'università chiusa che invecchia ogni giorno di più. Non si tratta solo di un indice da scorrere perché a esso corrispondono pure capitoli di approfondimento: vere e proprie proposte spesso già mature per un articolato legislativo. Quelle, ad esempio, che avanzarono i Ds in un convegno che si tenne i13 febbraio 2004 e i cui atti sono stati pubblicati, quelle che si possono trovare nelle analisi dei quaderni della Fondazione TreeLLLe, quelle testimoniate nei molti documenti prodotti dai vari think-tank italiani, piccoli e grandi, noti e meno noti, di giovani appassionati o di esperti navigati. Siamo convinti che si debba discutere con l'obiettivo comune di far riprendere all'università italiana un percorso di crescita e di innovazione che è stato interrotto negli ultimi anni. Ma non si può continuare a farlo producendo periodicamente proclami generici. Si deve discutere con serietà e nelle forme appropriate a un dibattito politico e culturale di grande rilevanza. Proponiamo per questo una grande Conferenza nazionale sull'università. Solo dal confronto approfondito tra proposte e buone pratiche, nate in contesti diversi, sarà possibile generare una sintesi politica condivisa e la base di una nuova agenda per le riforme dell'università. Senatore ds, ex presidente della Crui _____________________________________________ Il Sole24Ore 12 Apr. 2005 TRIENNALI: «L'ORDINE CI TUTELI» Il nuovo regolamento elettorale previsto dal Dpr I32812Q(11,, approvato in via preliminare il 7 aprile dal Consiglio dei mînistri, rischia di non dare una reale 'rappresentanza ai professionisti triennali, Vero è che la legge 43120(}S ha affermato l'esigenza, di assicurare la rappresentanza unitaria degli iscritti agli Albi professionali nei consigli nazionali e territoriali, dal momento che i consiglieri «rappresentano tutti i,professionisti appartenenti all'Albo»'. Ma, a ben vedere, la previsione ha avallato un principio di governa degli Ordini quanto meno non equamente bilanciato tra professionisti con laurea,trîennale (sezione B) e , con laurea specialistica (sezione A)la maggioranza dei componenti dei consigli, oltre che il presidente, devono essere sempre e comunque della sezione A. Non risulta immediatamente comprensibile questa antinomia; visto che si prevede un giusto richiamo all'unitarietà della rappresentanza salvo, poi, procedere a una ingiustificata blindatura della sezione alta. Ed era stato questo il motivo che aveva mossa i1 Cup3 a presentare istanza al ministero dell'Istruzione di prevedere la "gestione" di una fase transitoria; consentendo agli iscritti $ di votare salo per i B almeno per il primo mandata: Invece, con le regole in via di approvazione, sarà la sezione A a eleggere anche il rappresentante junior, considerato lo squilibrio dei numeri in questa prima,fase (circa 1 a 54). L'auspicio è che ora il Consiglio di Stata si pronunci quanto prima, per giungere in 'breve alle elezioni ponendo cosi fine all'ingessamento cui è costretto gran parte degli ordini territoriali per via delle continue proroghe nell'ultimo triennio. Magari con qualche piccola ma significativa annotazione del Consiglio di Stato visto che, tra l’altro, si é trascurato che per, alcune categorie esiste un ingombrante vincolo di anzianità di iscrizione all'Albo (per esempio dieci anni per gli agronomi), per cui, almeno per il prossimo decennio, la disposizione del Dpr 328/2001 di garantire comunque la minima rappresentanza, per agili sezione, sarà; da alcuni, puntualmente disattesa. Infine, se é vero, come tutti noi Juniores ci auguriamo, che l'Ordine rappresenta l'ente esponenziale dell'intera collettività, ci aspettiamo che proprio l'Ordine, di cui ci sentiamo parte integrante, sappia :darci risposte rassicuranti, cominciando proprio con l'indagare su alcuni temi per noi particolarmente critici. Facendo, per esempio, comprendere perché accade che le università, le stesse che aggi formano sia i laureati di primo livello che, gli -specialistici, in sedé di , valutazione di esami di Stato scoprano, improvvisa,mente, che i primi sono ' malto mena idonei per, la professione dei quinquennali. Delle due l'una: o si fornisce un servizio scadente a monte o maldestramente efficiente a valle. Antonio Picardi ____________________________________________________ L’Unione Sarda 15 apr. ’05 STATUTO E ELEZIONI: IL SENATO ACCADEMICO FISSA IL CALENDARIO Di nuove regole per l'elezione del rettore non si è parlato, ma il senato accademico allargato si è nuovamente riunito per iniziare ad affrontare le tematiche che riguarderanno la modifica dello statuto. Statuto che sarà certamente aggiornato, ma che prima aprirà un dibattito, con un'attenta analisi delle proposte che saranno messe in campo. Per ora, nella seduta di mercoledì, l'argomento che più attira i curiosi, la modifica del tetto massimo di mandati da rettore, non è stato affrontato. Così come quella relativa ai presidi di facoltà, viste le prossime elezioni di giugno, che riguarderanno alcuni poli accademici (in particolare Medicina, Lettere, Ingegneria, Scienze Politiche). Sono in pochi i presidi ad avere raggiunto i tre mandati, e dunque a non poter più essere candidati, se non si varia lo statuto. Il meccanismo delle elezioni impiegherà poco a mettersi in moto: il decano organizzerà la seduta del Consiglio di facoltà, saranno poi formalizzate le candidature per poi arrivare alla votazione del Consiglio. L'argomento dell'elezione del rettore, è tornata di attualità dopo le dichiarazioni di Pasquale Mistretta, che si era detto pronto a una nuova candidatura, puntando così al suo sesto mandato. Mandato che scadrà nel 2006. È però necessaria una modifica dello statuto, che seguirebbe quella del 2003. Argomento come detto per ora non affrontato nella seduta di senato accademico allargato, ma che tornerà sul tavolo molto presto. In settimana, oltre al senato allargato, si è riunito anche il senato accademico ordinario, che ha ricevuto la comunicazione, da parte del rettore, del via libera per quei concorsi per ordinari, associati e ricercatori, rimasti bloccati per motivi burocratici. Il concorso per 129 nuovi docenti delle tre fasce era stato bandito dall'ateneo di Cagliari a dicembre. A gennaio erano stati pubblicati sulla gazzetta ufficiale circa cento posti, mentre gli altri erano rimasti impelagati nella ragnatela amministrativa. Ora anche i restanti posti saranno ufficializzati nella prossima pubblicazione della gazzetta, entro il 15 maggio. Di vero e proprio concorso, fatto di esami, se ne parlerà a ottobre, quando dovrebbero essere nominate le commissioni e si far sul serio. Nell'ultima seduta del senato accademico sono stati approvati inoltre quattro nuovi master, che andranno a integrare l'offerta formativa dell'ateneo cagliaritano. Questi gli indirizzi: Esperti di pubblica amministrazione in Sardegna (facoltà di Scienze Politiche, master di secondo livello), Linguistica, filologia e letteratura della Sardegna (Lingue, secondo livello), Civiltà urbane in Sardegna (Lettere e Filosofia, secondo livello), Governare multilivello (Giurisprudenza, primo livello). Rinviata al 2 maggio invece la seduta del consiglio di amministrazione in programma ieri. Un rinvio dettato dal lavoro che sta effettuando il nucleo di valutazione per la qualità metodologica dell'offerta didattica e formativa, presieduto dal professor Armando Buccellato, alle prese con scadenze amministrative e quindi urgenti rispetto agli argomenti del Cda dell'Università. Nessuna novità intanto per quanto riguarda l'istituzione delle tre nuove facoltà (Psicologia, Architettura e Biologia): le commissioni di valutazione sono ancora a lavoro. Nelle prossime settimane se ne saprà di più, e tra facoltà, statuto ed elezioni si prospetta un'estate calda per l'ateneo di Cagliari. Matteo Vercelli =========================================== L'Unione Sarda 17 apr. '05 L'OPINIONE L'ANGUSTO DIBATTITO SULL'ETERNO RETTORE DI PAOLO PANI* Nei diversi progetti di riforma universitaria, quelli ministeriali e quelli suggeriti, almeno nelle linee generali, dalle diverse parti del mondo accademico, non compare mai un approfondimento sulla carica rettorale, se non in modo molto marginale e contingente. Il lungo e faticoso processo di "democratizzazione" dell"'Università italiana ha compreso, ma forse in modo subordinato, anche i meccanismi elettorali della nomina del Rettore, delegati, oggi, alle norme statutarie dei singoli Atenei. Vediamone i risultati. I Rettori sono eletti, oggi, da un ampio corpo elettorale, che comprende dal corpo docente ai rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e degli studenti. In altre parole è un meccanismo che, con buona approssimazione, possiamo definire di "democrazia diretta" e di "politica del consenso democratico". Tale meccanismo ha permesso una più larga partecipazione politica di tutte le componenti universitarie contro l'antica gestione "verticistica" del periodo dei "baroni universitari". Sarebbe stato però auspicabile che questa tendenza fosse stata accompagnata dalla persistenza, nell'Università, di un continuo movimento politico-sindacale riformatore, che però si è fortemente attenuato, appiattendosi forse nei modi della conservazione e negli eccessi di spirito corporativo. È opportuno, a questo punto, chiarire alcuni concetti: da una parte il carattere, originario, "critico" (anche propositivo, quello definito altrimenti come "cultura") del ruolo universitario e dall'altra la necessità "tecnica" di un processo riformatore al suo interno. Il carattere di "cultura" della nostra Università (di autonomia e di libertà della ricerca) è istituzionale: è, infatti, sancito nella nostra Carta costituzionale. È un carattere che non può certamente esaurirsi nell'Università dei ""movimenti", i quali rappresentano, nella storia universitaria, episodi pur significativi, ma contingenti. D'altra parte, la stessa Conferenza nazionale dei Rettori riflette il carattere "partecipativo" dell'attuale Università, di "politica del consenso", ma forse, oggi, definibile meglio come "consenso corporativo", che segna la sua distanza dal rigore degli interessi istituzionali (della "cultura" universitaria). Questa tendenza è nazionale, ma è tanto più evidente negli Atenei della periferia (vi comprendiamo quelli di Cagliari e Sassari), in un periodo della storia universitaria di eccessi di localismo accademico. Si è detto di una caduta di una tensione riformatrice e di rigore istituzionale, ai diversi livelli a partire dalla stessa carica rettorale. A Cagliari, il dibattito è, infatti, molto angusto, confinato al nome di un singolo Rettore, che ripropone se stesso ai limiti di una ragionevole decenza istituzionale. Un processo riformatore può, anzi dovrebbe, partire all'interno dell'Università. Le elezioni per il Rettore potrebbero rappresentare un'occasione se solamente il corpo dei docenti riuscisse ad uscire dalle strettoie del "consenso corporativo", di una difesa acritica delle carriere e degli interessi particolari, ed a individuare le necessarie priorità, in primo luogo quelle dell'efficienza amministrativa e gestionale. *Professore ordinario Facoltà di Medicina e Chirurgia Sezione di Patologia sperimentale Università di Cagliari ____________________________________________________ Corriere della Sera 15 apr. ’05 STUDENTI, BOOM DI ABBANDONI Partono i corsi di formazione Milano. Ragazzi che abbandonano la scuola. Lasciano i banchi delle superiori attratti dal miraggio di un lavoro facile. Che permetta loro di guadagnare subito. Salvo poi scoprire che l'assunzione a tempo indeterminato è un miraggio. E che il futuro riserverà loro solo opportunità di scarso livello professionale. A Milano e in Lombardia i giovani in queste condizioni sono sempre più numerosi. I dati sono stati presentati ieri dall'assessorato al Lavoro del Comune di Milano. In provincia i ragazzi che hanno abbandonato la scuola superiore sono passati dai 3.588 dell'anno scolastico 2002-2003 ai 3.800 del 2003-2004. Un'impennata si è registrata anche in regione: dagli 8.194 casi del 2002-2003 ai 9.420 casi del 2003-2004, più 15 per cento. Durante il primo anno delle superiori il tasso di abbandono si attesta sul 5 per cento. Dal secondo al quarto scende al 3,2 per cento. Il quinto anno l'emorragia è contenuta allo 0,8 per cento degli studenti. Per affrontare il problema il Comune aveva messo a punto un'iniziativa tre anni fa, quando ancora la situazione degli abbandoni era sotto controllo. Si tratta del progetto Insieme, realizzato in collaborazione con cinque istituti superiori, l'università Milano Bicocca, alcuni centri di formazione professionale e istituti di ricerca (Enaip, Fantanet, fondazione San Carlo, Ial, Irecoop, istituto Iard, Ceref, Centro lavoro Cisl, Satef). In pratica, gli studenti che si apprestavano ad abbandonare sono stati intercettati dalla scuola. Hanno quindi seguito un percorso di analisi delle competenze e, successivamente, di formazione. In tutto 354 giovani sono stati coinvolti da una prima fase di colloquio. Di questi, 120 ragazzi hanno compilato un bilancio di competenze sotto la guida di un esperto. Per finire, 45 ragazzi hanno seguito corsi di formazione per uno dei seguenti profili: impiegato addetto a paghe e contributi, organizzatore di eventi, caporeparto della grande distribuzione. I corsi prevedevano 200 ore di lezione. Attualmente i ragazzi stanno svolgendo uno stage in azienda. Un'esperienza che per cinque di loro ha già portato all'assunzione. Il prossimo passo sarà coinvolgere il maggior numero possibile di scuole e, quindi, di giovani. A oggi, infatti, la sperimentazione ha riguardato solo l'istituto tecnico commerciale Schiapparelli-Gramsci, l'istituto superiore Sraffa-Luxemburg, il liceo classico-scientifico Casiraghi di Cinisello Balsamo, il liceo scientifico Bottoni e gli istituti professionali commerciali Oriani- Mazzini e Frisi. "L'obiettivo è utilizzare in maniera estesa questa esperienza - dice l'assessore al Lavoro del Comune, Carlo Magri -. Da settembre potremmo offrire questa opportunità a tutte le scuole superiori di Quarto Oggiaro. Abbiamo già un accordo con la direzione scolastica regionale". Il progetto Insieme è stato finanziato dalla regione con 990 mila euro, poco meno di due miliardi di vecchie lire. Una cifra consistente per 45 corsi di formazione. "Il fatto è che l'iniziativa non si esaurisce con i corsi - obietta l'assessore al Lavoro -. Dietro, c'è un lungo lavoro di codifica della competenze". Ri. Que. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 apr. ’05 La guida ai finanziamenti SARDEGNA IN EUROPA GRAZIE AL MANUALE DEI SERVIZI COMUNITARI L'Europa è più vicina grazie alla guida sugli uffici e gli sportelli di informazione comunitari sparsi per la Sardegna. Trenta schede a colori, racchiuse in un opuscolo pieghevole, che contengono notizie e numeri utili su enti, patronati e società private che operano con sportelli di assistenza e comunicazione tra cittadini, imprese e gli uffici amministrativi della Comunità Europea. Realizzato dalla Euro Info Centre di Cagliari in collaborazione con la Camera di Commercio ed il Centro Servizi Promozionali per le Imprese, il progetto sarà presentato domani nella prima giornata "Workshop Easy Europe" al centro congressi della Fiera Internazionale della Sardegna. Una grande manifestazione aperta al pubblico, che raggrupperà le società e gli enti che hanno preso parte al progetto. In ogni stand verranno allestite delle postazioni Internet e i vari enti potranno diffondere gratuitamente il materiale informativo. «Sarà un'occasione unica per approfondire le politiche europee in vari settori», ha detto Sisinnio Fadda, presidente del centro servizi promozionali per le imprese, «sarà messo a disposizione dei visitatori tutto ciò che riguarda il rapporto con l'Unione Europea: istruzione, formazione, mobilità intereuropea degli studenti e dei lavoratori, ma anche la lotta alla disoccupazione, politiche per lo sviluppo dell'imprenditoria o per rilanciare l'innovazione delle piccole e medie imprese». Al centro del progetto c'è la guida a moduli stampata in 10mila copie che verrà diffusa gratuitamente ai partecipanti, ma anche distribuita ai vari partner. In ogni scheda, oltre al nome dell'organizzazione, i numeri telefonici dei referenti e una breve carta d'identità dove appaiono il settore d'attività, i destinatari e la descrizione dei servizi erogati nei vari sportelli. L'opuscolo è stato suddiviso in sette categorie a seconda dei destinatari: imprese, università e centri di ricerca, enti e associazioni, disoccupati e lavoratori, giovani e studenti, scuole ed enti di formazione e privati cittadini. «Uno strumento importante per avere accesso a informazioni ancora troppo lontane dai cittadini», ha spiegato Romano Mambrini, presidente della Camera di Commercio, «soprattutto ora che bisogna avviare una riflessione seria per affrontare una fase critica, come quella dell'uscita della Sardegna dall'Obiettivo 1. Superata con successo questa tappa, sarà fondamentale l'accesso collettivo alle informazioni comunitarie». La manifestazione sarà suddivisa in tre sessioni: al mattino verranno tracciati dei quadri dei finanziamenti messi a disposizione dai fondi strutturali per la Sardegna, al pomeriggio sarà fornita una panoramica degli strumenti che assicurano la mobilità dei lavoratori e degli studenti in Europa, mentre in serata si chiuderà con un approfondimento sulle opportunità di sviluppo per le imprese nel mercato unico. Presto, la guida sarà disponibile anche su Internet per la consultazione. Francesco Pinna ____________________________________________________ Corriere dela Sera 10 apr. ’05 SEMPRE PIÙ DONNE ALL’UNIVERSITÀ Sondaggio sulle iscrizioni. Piace la comunicazione, in calo l’interesse per ingegneria e medicina «SEMPRE PIÙ DONNE ALL’UNIVERSITÀ» Le ragazze sono oltre la metà delle matricole e scelgono materie scientifiche In prevalenza donna. Viene dal Nord, soprattutto dalla Lombardia o dalle province vicine del Piemonte, meno da Emilia Romagna e Veneto. A sorpresa, apprezza di più le materie scientifiche. Identikit della matricola che sceglierà le università milanesi nel prossimo anno accademico. Una fotografia scattata tra gli stand allestiti dalla fondazione Rui (Residenze universitarie internazionali) per la sedicesima edizione della giornata di orientamento universitario. Tra i circa 2.500 giovani che hanno partecipato al Matricola Day, ben più della metà sono ragazze. Oltre il 71 per cento di donne tra i 1.499 studenti che hanno risposto al sondaggio della fondazione. E proprio il sondaggio dà un’idea della matricola tipo che l’anno prossimo potrebbe frequentare gli atenei milanesi. Le donne sono la maggioranza tra chi inizierà a frequentare il primo anno (il numero di maschi è superiore solo a ingegneria: 116 contro 47). C’è però una tendenza assolutamente nuova: le future matricole sembrano cominciare ad orientarsi verso le materie scientifiche. La maggior parte, infatti, è interessato a scienze umane (il 28,4 per cento), cioè ai corsi di laurea in psicologia, scienza dell’educazione o scienza della comunicazione. Ma le materie dove crescono di più le preferenze sono scienze politiche e sociali (che passano dal 4 per cento dello scorso anno al 13,6 per cento di questa edizione), architettura (che sale dal 7,1 al 19,9) e scienze naturali che passano dal 9,9 al 12,3 per cento. Cala invece l'interesse per ingegneria (da 8,5 a 6,7 per cento), economia (dal 9,4 al 7,2 per cento) e medicina (dal 12,7 all’11,4 per cento). «Ma c’è ancora un po’ di tempo per decidere», puntualizza la matricola Barbara, che viene da Varese. Carla e Sara, che invece arrivano da Genova, hanno già deciso che si iscriveranno a medicina: «Il problema è dove frequentare - spiegano -. A noi piacerebbe Milano, ma è un po’ lontano, e la vita dei fuori sede è costosa». Oltre agli incontri generali sulle facoltà, i ragazzi hanno frequentato dei workshop e incontrato i tutor, studenti agli ultimi anni che davano informazioni e consigli. _______________________________________________ Le Scienze 15 apr. ’05 LE DONNE EVITANO LA CARRIERA SCIENTIFICA Anche i genitori contribuiscono a scoraggiare le figlie Secondo una psicologa dell'Università del Michigan, le ragazze preferiscono evitare di lavorare nel campo della matematica, della scienza e dell'ingegneria perché percepiscono queste attività come un'occupazione solitaria anziché sociale. "Il nostro lavoro - spiega Jacquelynne Eccles - è quello di formare ragazze sicure di sé e della propria capacità di successo in campo scientifico e matematico. Ma per aumentare il numero di donne che lavorano nella scienza, dobbiamo fare in modo che le ragazze siano più interessate a questi campi, ovvero far sapere loro che la scienza è un ambito sociale che richiede lavoro di gruppo. Durante la conferenza biennale della Society for Research in Child Development, Eccles ha anche spiegato come i genitori e gli insegnanti possono influenzare le scelte di studio e di lavoro dei giovani. La psicologa si è basata sui dati di studi e interviste precedenti, che rivelano come le aspirazioni lavorative di molte ragazze hanno ben poco a che fare con le proprie capacità (indicate dai voti scolastici e dalle opinioni dei parenti e dei genitori). È invece la percezione della futura carriera a influenzare la scelta. Eccles e colleghi hanno scoperto anche che i genitori inviano molti tipi di messaggi alle proprie figlie: messaggi che, in qualche modo, fanno calare la sicurezza delle ragazze nelle loro capacità scientifiche e la loro inclinazione ad assecondare un interesse in questo campo. Anche se le ragazze ottengono voti migliori dei ragazzi in matematica, i genitori con figlie femmine sono convinti che esse abbiano più difficoltà dei maschi. "I genitori delle ragazze sostengono che le figlie si debbano sforzare di più per riuscire bene in matematica rispetto ai genitori dei ragazzi, anche quando gli insegnanti sono di parere opposto". _____________________________________________ Il Sole24Ore 16 Apr. 2005 SICUREZZA E PRIVACY LE PROVE DEL FUOCO Per cogliere tutti i vantaggi logistici dei chip applicati sui prodotti l'industria deve garantire un'efficace tutela dei consumatori La metafora che meglio descrive l'arrivo delle etichette digitali - dette anche chip Rfid, oppure tag - non è un terremoto, ma un lento movimento tellurico che senza fretta si appresta a cambiare la topologia dell'informatica. Che cosa sono gli Rfid. La chiave di questo fenomeno è la sigla Rfid, che significa Radio frequency ídentification, un protocollo dì origine militare inventato molti anni fa che permette a una minuscola etichetta di silicio dotata di antenna di trasmettere nell'etere, a breve distanza, informazioni sull'oggetto che la ospita: il nome del prodotto, lo stabilimento in cui è stato realizzato, la data di arrivo nel magazzino e così via. La ricezione delle informazioni avviene in genere con un lettore portatile simile a quelli usati per gli attuali codici a barre. Le informazioni così raccolte vengono quindi gestite da software specializzati che si interfacciano a loro volta con i grandi magazzini aziendali di informazioni, come le piattaforme Erp (Enterprise resource planning) e i programmi di data mining. Presto proprìo queste etichette potrebbero essere dovunque, dai prodotti in vendita nei negozi alle filiere di produzione dei comparti più diversi, dalle automobili ai corpi umani. Verranno usate per tracciare i prodotti alimentari, per ridurre le spese di magazzino, per migliorare le campagne di marketing e per incrementare la sicurezza di merci e persone. Chi li produce. Tutti i grandi protagonisti del mercato informatico ci stanno investendo cifre da capogiro. Ibm e Hp hanno aperto centri di ricerca specializzati anche in Italia Le software house fanno a gara per integrare questa tecnologia nei loro programmi gestionali per le imprese. Vodafone sta per lanciare in Giappone una gamma di cellulari in grado di ricevere informazioni dalle etichette digitali. I tempi della diffusione. Gli analisti spiegano che ci vorrà ancora un decennio prima che le etichette entrino davvero negli oggetti di uso quotidiano. Ma alcuni settori, come le aziende manifatturiere e la grande distribuzione organizzata, sono già partiti. Secondo Deloitte, il 70% dei distributori europei con un fatturato superiore a 6,5 miliardi di euro sta investendo in questa tecnologia e vuole arrivare a usarla entro 18 mesi. Inoltre, dopo anni di sviluppo, il protocollo Rfid è ormai stabile e standardizzato in tutto il mondo, mentre i prezzi delle etichette sono in caduta libera (attorno ai 50 centesimi) e già appaiono sul mercato soluzioni chiavi in mano per le aziende che vogliono utilizzarle. I rischi per la privacy. Ma l'opinione pubblica deve ancora capire i vantaggi (e i potenziali rischi) di questa tecnologia. Recentemente il Garante della Privacy ha emesso una direttiva che impone agli operatori alcune regole. Fra queste, l'obbligo di informare i consumatori sull'uso delle etichette e di richiedere il loro consenso, ma soprattutto il diritto per i cittadini di disattivarle nel caso lo ritengano opportuno. Direttive senz'altro corrette, che potrebbero però scontrarsi con l'inerzia di un processo di portata globale che potrebbe renderle assai difficili da applicare in concreto. E poi c'è il problema della sicurezza. Un gruppo di ricercatori americani ha dimostrato poche settimane fa che le difese elettroniche dei chip Rfid possono essere facilmente aggirate da un pirata informatico. Ma è improbabile che un singolo campanello d'allarme abbia la forza di fermare un movimento tellurico di queste proporzioni. _____________________________________________ Avvenire 14 Apr. 2005 LE DIGHE IDROELETTRICHE? RESPONSABILI DELL’EFFETTO SERRA PIÙ DI GASOLIO E CARBONE Secondo una ricerca contribuiscono all’aumento dei gas inquinanti che causano il riscaldamento del nostro pianeta Di Stefano Gulmanelli Considerata da molti l'alternativa più ovvia alle produzioni inquinanti di energia, oggi quella idroelettrica è la prima fonte di energia rinnovabile prodotta nel mondo. Un primato che si spiega non solo con l'affidabilità di una tecnologia ormai collaudata ma anche grazie alla reputazione di energia "pulita". Una reputazione che però oggi si rivela falsa e immeritata stando a un recente studio dal quale si evince che la produzione di energia mediante centrali idroelettriche contribuisce in modo significativo all'accumulo di "gas serra", quelli responsabili del riscaldamento del pianeta. Anzi, in qualche caso l'impatto delle dighe risulta proporzionalmente persino superiore a quello prodotto da centrali a idrocarburi. Al riguardo lo studio - che comparirà sulla rivista scientifica «Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change» e nella sostanza è fatto proprio dall'«Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc)», l'organismo dietro le politiche codificate nel protocollo di Kyoto - cita l'esempio della diga brasiliana di Balbina, il cui contributo all'effetto serra è stato 26 volte quello di una ipotetica centrale a carbone a parità di energia prodotta. Un esempio non isolato: un'altra diga brasiliana - quella di Curuá-Una, nel Parà - produce emissioni di anidride carbonica e metano quattro volte più di una centrale a gasolio. E si potrebbe proseguire. Su questa tecnologia nel secolo scorso l'umanità ha investito 2800 miliardi di Euro ma la quasi totalità dei bacini tende ad essere fagocitato da limo e detriti vari nel giro di trent'anni dalla loro costruzione. Mai però era finora arrivata all'energia idroelettrica l'accusa diretta - per di più da un organismo certamente non sospettabile di essere al servizio dei petrolieri, ovvero l'Ipcc - di essere corresponsabile dell'effetto serra. Causa di tanto potere inquinante è la vegetazione che, seguendo le periodiche fluttuazioni del livello dei bacini - dovute a stagionalità delle precipitazioni o alla diversa intensità di prelievo nell'arco dell'anno - cresce nei momenti di "bassa" per poi trovarsi sommersa nelle fasi di "alta". Il problema è tanto più grave quanto il clima dell'area in cui si trova la diga è tropicale o temperato e favorisce la crescita di piante e arbusti. In particolare l'inquinamento avviene in due stadi: nel primo si ha una prima degradazione delle piante sommerse dall'innalzamento periodico dell'acqua dell'invaso. L'anidride carbonica così prodotta ad un livello assai vicino alla superficie entra immediatamente nell'atmosfera. Ma il vero danno ambientale si ha in un secondo momento, quando i residui di questa vegetazione scivolano verso il fondo del «reservoir», dove inizia un processo di putrefazione in assenza di ossigeno che genera enormi quantità di metano disciolto. L'acqua arricchita di questo gas - che, giova ricordarlo, ha un potere di "effetto serra" 21 volte quello dell'anidride carbonica - lentamente ma inesorabilmente affluisce verso la diga per finire nelle turbine della centrale che la scaricano violentemente a valle. È proprio questa rapida decompressione che provoca il rilascio nell'atmosfera del metano disciolto. Ed è proprio questo meccanismo a fare la differenza fra il potere inquinante - inevitabile - di un bacino di formazione naturale e quello invece realizzato dall'uomo a scopi idroelettrici. Ma oltre ad essere una certezza ambientalista che cade, la conferma che gli invasi idroelettrici hanno effetti deleteri sulla temperatura del pianeta potrebbe presto avere notevoli risvolti politici. L'anno prossimo infatti l'Ipcc ha in programma la revisione dei cosiddetti "budget" di gas serra - in pratica quanto ogni singolo Paese si vede imputare come emittente di gas nocivi, il dato base su cui vengono modellate le politiche di riduzione. Qualora, come potrebbe volere l'Ipcc, venissero inserite nel calcolo anche le emissioni «da dighe artificiali», i Paesi che sfruttano di più questa fonte di energia verrebbero ad essere fortemente penalizzati. Fra questi figurano il Brasile, l'India, la Cina, il Canada, la Russia e gli Usa. Un elenco di pesi massimi che fa supporre che probabilmente l'idroelettrico manterrà, ancora per qualche tempo, la sua immeritata reputazione di energia pulita. ======================================================= ____________________________________________________ L’Unione Sarda 17 apr. ’05 COSA È CAMBIATO ALLA REGIONE LA SCOSSA INAVVERTIBILE di Massimo Crivelli Quanto tempo è necessario perchè si manifestino i segni di un cambiamento politico? La domanda potrebbe suonare astratta ma diventa di stretta attualità se calata nella realtà della nostra isola. Dieci mesi fa un trionfo elettorale ha consegnato al centrosinistra il governo della regione, alimentando legittime aspettative di svolta fra i molti sardi che avevano votato per quella coalizione. Oggi, all'approssimarsi del "tagliando" annuale, l'unico mutamento che appare evidente è nella gestione del potere: una sorta di dirigismo tecnocratico, ideato in prima persona da un Governatore al quale piace esautorare i partiti, e affidato a una classe manageriale importata dal nord, secondo un criterio di asserita (ma tutta da dimostrare) superiorità nelle competenze. I frutti di questa "rivoluzione" - se mai si vedranno - sono di là da venire. Intanto il cittadino medio, quello che poco si appassiona ai dibattiti sulla riforma degli enti e all'innovazione del digitale terrestre, guarda con preoccupazione crescente alle cifre sulla disoccupazione in Sardegna (centomila senza un lavoro) e alla precarietà del vivere quotidiano. E dunque si ritorna alla domanda di partenza: dieci mesi di governo sono pochi oppure già sufficienti per determinare una ripresa? L'unica risposta onesta e possibile è constatare che la scossa non c'è stata. E ricordare agli interessati che in politica le cambiali, prima o poi, vanno onorate. Berlusconi docet. __________________________________________ Il Giornale di Sardegna 13 Apr. 2005 ROSATI: LA SANITÀ NELL'ISOLA È SENZA PROGETTO Non basta tagliare spese e posti letto: bisogna riorganizzare i servizi» «Sardi o non sardi devono avere ruoli di potere ogni tanto andrebbe essere qualificati: ma il trasferito. problema grosso è che la Regione non ha dato le direttive per Asl e ospedali» «Nell'Isola è in parte in attuato il riordino del servizio sanitario: non aver completato il cambiamento è un errore storico» Soru forse lo metterebbe tra le "risorse" della sanità e del mondo accademico. L'opposizione tra gli "invasori" delle istituzioni sarde. Gli studenti, certamente, tra gli scogli da superare per giungere alla laurea. In questi giorni di polemiche sui "continentali" ai vertici delle Asl isolane, Giulio Rosati si trova nel guado tra il protagonista della vicenda e lo spettatore attento. Docente ordinario di neurologia, il preside della facoltà di medicina dell'Università di Sassari è nato a Parma: uno – straniero -, dunque, oppure un sardo d'elezione, visto che lavora nell'Isola dal 1985, Professor Rosati, dopo i modenesi Bruno Zanaroli e Giorgio Lenzotti a Sassari, un padovano alla guida della Asl di Cagliari. Nomine che hanno scatenato la polemica: qual è la sua posizione? Mi pare che finalmente si cambi, visto che la sanità sarda ha ritardi enormi rispetto alle altre regioni. Colpa dei manager dell’Asl? C’è un altro discorso a monte. Riguarda il fatto che la riforma nazionale del 1992 sul riordino del servizio sanitario, in Sardegna è stata applicata solo in parte. La riforma si ispirava al sistema inglese, con la distinzione tra le strutture ospedaliere di alto livello, da riorganizzare come aziende autonome, e le vecchie Usl. Ma la legge sarda del 1994 non fu completa tra gli ospedali scorporò soltanto il Brotzu di Cagliari. E oggi la situazione è che le Asl, soprattutto Cagliari e Sassari, sono troppo grandi, difficili da gestire perché devono amministrare la medicina e prevenzione sul territorio e contemporaneamente gli ospedali. In Emilia, per fare un esempio, abbiamo gli ospedali separati dalle Asl, che conservano la gestione solo dei piccoli ospedali come Sassuolo e Modena. E sono state create anche le aziende miste tra università e ospedali. Non attuare tutto questo fu un errore storico, che oggi comporta enormi difficoltà di gestione delle Asl. Torniamo al punto caldo della polemica: i manager dalla Penisola. Credo che in Sardegna ci siano senz' altro figure in grado di amministrare grosse aziende sanitarie. Penso per esempio al Brotzu: da sanitario dico che è stato ben gestito. Soru e la Dirindin Sbagliano? Dico che io sono di Parma e faccio il preside di una facoltà sarda, però capisco che parliamo di una istituzione diversa. Ma chiunque ha i requisiti può fare il direttore generale di una Asl in ogni parte d'Italia: non si può ragionare in termini di sciovinismo su scelte che implicano competenze documentabili Ma la giunta pare abbia una volontà di scegliere manager non sardi Forse perché uno che viene da fuori è meno vincolato da problematiche e legami interni si dice che chi ha certi ruoli di potere ogni tanto andrebbe trasferito. Sassari: il suo giudizio su Zanaroli? A Sassari segnali di innovazione ancora non ce ne sono. Ma per chi arriva da fuori occorrono tempi lunghi per mettere mano a una organizzazione estremamente complessa. Si tratta di saper amministrare, ma anche di tenere sotto controllo i conflitti che nascono tra i centri di potere, dai medici al sindacato. Un compito ancora più complicato nelle realtà come Sassari dove la sanità si presenta in entrambe le sue anime, ospedaliera e universitaria. Discorso chiaro: ma resta il fatto che lei non vede novità. A tutt'oggi siamo ancora in attesa di un incontro tra le diverse componenti per concludere una sorta di accordo su come progettare la sanità sassarese. Una progettazione che ancora non esiste. Colpa di Zanaroli o del predecessore Antonello Scano? Alla fine non è nemmeno colpa del direttore generale o del direttore sanitario di turno. A Sassari il problema grosso è che l'assessore regionale non ha ancora dato un indirizzo chiaro su che tipo di realtà si vuole costruire. C’e’ un protocollo di intesa con la Regione, firmato l’ 11 ottobre del 2004, che resta inapplicato: diceva che entro il 10 aprile 2005 si sarebbe definito l'assetto dell'azienda universitaria. Ma nessuno sa niente: non so io che sono il preside, non sa il rettore. La Asl che dice? Lo stesso direttore sanitario, il dottor Lenzotti, mi ha manifestato il suo disagio. E Zanaroli cosa pensa? Non sono riuscito a incontrarlo. Ma anche loro sono in difficoltà, non sanno in che direzione programmare: un problema enorme per tutti. Cosa bisogna programmare? Bisogna dare indirizzi chiari agli operatori. Va regolato il rapporto dialettico tra le due entità, il grande ospedale con la sua gestione razionale e oculata, e la sanità territoriale che sgravi l'ospedale il quale, a sua volta, deve essere aperto al territorio. Invece che è successo finora? Succede che i direttori generali hanno il mandato di tagliare la spesa e i posti letto, portandoli dagli attuali cinque e più per mille abitanti a tre virgola cinque per mille. Un taglio drastico che però implica prioritariamente la costruzione di posti letto per lungo degenza e riabilitazione: altrimenti i poveri diavoli dove vanno a farsi curare? Riflessione finale... In campagna elettorale Renato Soru venne a Sassari e io non ebbi remore a dire di fronte a tutti Io sono con te". Ma oggi i protocolli di intesa sono inattuati e l'assessore Dirindin che mi ha detto "ci sentiamo dopo Pasqua" ancora non l'ho sentita. Bisogna sedersi a un tavolo, con un progetto chiaro: allora si può discutere di tutto. Ma io oggi, come il preside di medicina di Cagliari, sono preoccupato. __________________________________________ Il Giornale di Sardenga 13 Apr. 2005 MANAGER E INVASIONI BARBARICHE Invasioni barbariche? Ricordate Comincioli mamma li turchi: espugnano e stuprano la Sardegna. Sono in tre ma sembrano un'orda che farà strame dell'isola dei mori. Ricominciano le invasioni: barbariche, come il titolo di un gran film. L'allarme è lanciato dal giornale cagliaritano di e per tutte le stagioni. Da anni di osservanza arcoriana ma caudatario di ogni potere. Secondo mutevoli convenienze editoriali rappresentate dai soliti noti: usi servir scrivendo col tovagliolo al braccio. La grancassa del centrodestra e di furori massonici colpiti al cuore: cioè al portafogli. La guerra delle Asl ha un doppio sfondo, politico ed esoterico, concentrato nell'attacco elettorale alla Giunta Soru. Regolare, scontato. Come il comprensibile disagio di parti del centrosinistra. La nomina di un altro manager «continentale» nella Asl di Cagliari crea anche problemi condivisibili: può apparire come un'opzione esterna in danno delle nostre professionalità. Devono restare eccezioni motivate, non regola inaccettabile. Ma nessuno può scandalizzarsi. La sanità sarda è un grumo di interessi politico-elettorali trasversali, in un contesto di complicità talmente diffuso e intrecciato da bloccare ogni tentativo di riforma. Nei casi più eclatanti, è salutare il ricorso a manager esterni, se qualificati come pare. Appunto perché estranei all'ambiente. Quindi fuori dai vecchi e sporchi giochi, non bonificabili dall'interno. Questa è la nuda, convincente motivazione di una scelta che altrimenti avemmo combattuto: senza aspettare i fondamentalisti di un tardo sardismo d'accatto. Chi - specie da destra - si strappa le vesti, grida alla Sardegna umiliata, è in palese falsità. Si parla di due Asl. Ma Forza Italia, An, Udc, Riformatori e sodali vari, patrioti immaginari, hanno accettato che dal 1994 il dominus delle loro scelte anche elettorali e del governo regionale fosse Romano Comincioli. Il missus, a lungo inseguito dalla giustizia, di Berlusconi. Il padrone. Con tanti lacché pronti al bacio della sua pantofola. Con gli scrivani oggi indignati speciali sorridenti col sasso in bocca. Questa è stata l'enorme umiliazione inflitta ai sardi per 11 anni. Con cupidigia di servilismo di chi oggi finge scandalo da sepolcro imbiancato. Colonizzazione per due Asl? Loro hanno svenduto la dignità della Sardegna: un'autocolonizzazione inescusabile. Ricordiamoci di Comincioli: e andate al diavolo! ____________________________________________________ L’Unione Sarda 13 apr. ’05 E DALL'EPURAZIONE SI SALVA (FORSE) SOLO MELONI Il direttore del Brotzu starà al suo posto sino a fine mandato. «Ha lavorato bene» «Se volete me ne vado». Franco Meloni, numero uno dell'industria Brotzu, aveva offerto le sue dimissioni a luglio del 2004, al primo incontro con l'assessore alla sanità e il presidente. L'ha ribadito anche dieci giorni fa. «Stia al suo posto, grazie», è stata la risposta. Bilanci a posto, obiettivi di inizio mandato rispettati, non è tra i manager cui la giunta possa addebitare una cattiva amministrazione. E infatti non lo accusano di nulla. Tanto che, forse unico tra i nove manager del pianeta sanità in Sardegna, rimarrà al suo posto sino a fine mandato. Notizia ufficiosa, ma di fonte sicura. «Lei ha lavorato bene, non abbiamo nessun motivo per mandarla via, continui a lavorare sino a fine mandato», gli avrebbe detto il presidente in persona all'ultimo incontro. E fine mandato è il 20 novembre. «Chi ha lavorato bene non ha motivo di preoccuparsi», aveva promesso Soru in quella famosa riunione convocata a giunta appena nominata «per fare reciproca conoscenza». C'era già aria di epurazione, tutti lo sapevano. Sposato, 57 anni, due figli, specializzazione in Igiene e tecniche di laboratorio, scuola di hospital management a Chicago, 70 pubblicazioni e 40 comunicazioni congressuali, Meloni è stato nominato direttore generale dell'Azienda ospedaliera Brotzu nel 2000 dalla giunta Floris, in quota Riformatori sardi. In precedenza era stato direttore sanitario del Brotzu (quando era ancora della Usl 21) e direttore generale del Policlinico universitario. A capo di un'azienda di quasi 2000 dipendenti, si vanta soprattutto di una cosa: «Ho costruito una grande armonia». Dal primo aprile, dopo 35 anni e sei mesi di servizio, è in pensione da direttore sanitario della Asl. Dicevano che sarebbe stato lui il sostituto dell'amico Efisio Aste, dicevano che stesse studiando i conti, che stesse lavorando sottotraccia. Dicevano che proprio Soru fosse il suo primo sostenitore. Invece è arrivato un altro. Meloni non commenta, non vuole. Come Aste, ha inviato il suo curriculum all'assessorato alla sanità, partecipa al bando per la selezione (selezione?) dei numeri uno delle Asl. Sa che di sicuro non resterà al Brotzu, non sa avrà una Asl minore. E se l'avesse forse non l'accetterebbe. F. Ma. =========================================== L'Unione Sarda 17 apr. '05 ASL7 IL CONSULENTE? UN MODENESE COME IL NUOVO MANAGER Sassari. Il collegio dei revisori dei conti: dovete rispettare la legge Alla Asl il nuovo manager è della stessa città Una consulenza da quattromila euro scuote la Asl di Sassari, affidata dall'assessore Dirindin al modenese Bruno Zanaroli. A stupire non è tanto l'importo (che può essere elevato o modesto a seconda dei giorni di impegno) ma il fatto che l'incaricato sia in continuità cittadin-territoriale col manager. L'ingegner Pierfrancesco Ghedini proviene dalla Asl di Modena e dovrà occuparsi di revisionare il sistema informativo dell'azienda. Il collegio dei revisori dei conti ha mosso precise contestazioni. Non solo per Ghedini ma anche per la convenzione da 240mila euro con una coop. DA MODENA ANCHE I CONSULENTI I revisori ammoniscono il manager della Dirindin di GIORGIO PISANO Il direttore generale della Asl di Sassari, Bruno Zanaroli, modenese, ha chiesto una "consulenza occasionale" per verificare lo stato di salute del sistema informatico dell'azienda. La scelta è caduta sull'ingegner Pierfrancesco Ghedini, modenese pure lui, che è responsabile del Servizio sistemi informativi della Asl (naturalmente) di Modena. Il quale è stato "opportunamente contattato e autorizzato" a svolgere la missione in terra di Sardegna. Il compenso è di quattromila euro più le spese di trasporto (quantificate in 300 euro). Alla Nuova Gazzetta di Modena non sanno chi sia Ghedini e, a spaccare il capello in quattro, nemmeno Zanaroli. A sentire il capocronista del giornale, - questi nomi non dicono niente, ne l'uno ne l'altro-. Non ce n è traccia nella memoria del giornale. La parcella di quattromila euro può essere considerata pesante, normale o perfino promozionale. Dipende (e non si sa perché in delibera non c'è scritto) da quanti giorni l'ingegner Ghedini dovrà lavorare. Cinque al massimo, assicurano i bene informati. Se è così, vorrebbe dire che marcia a una velocità di ottocento euro al giorno. La tariffa media per l'esame e la soluzione di quello che gli addetti ai lavori chiamano un problema-spot (ossia un guaio risolvibile in 24-48 ore) è 600 euro. Da pagare, s'intende, a specialisti di altissima e riconosciuta professionalità. Ghedini, visto il tariffario, potrebbe essere un fuoriclasse che va oltre. Quasi un solista. Ma non è questo il nodo. Il manager l'ha chiamato perché aveva la necessità di verificare l'attuale situazione dei sistemi informativi al fine di adottare i necessari provvedimenti di adeguamento degli stessi. Uscendo dal burocratese, questa frase significa che Zanaroli era alla ricerca di un tecnico per fare una sorta di tagliando del sistema informatico. Anzi, per usare le parole adoperate in delibera, una revisione del sistema informativo e della relativa rete informatica aziendale. Detto così, può fare anche un certo effetto. In realtà si tratta di un mandato vasto e straordinariamente vago. Per capirci, in cinque giorni nessuno (nemmeno un genio in trasferta) potrebbe approfondire le dimensioni e i termini della questione da affrontare. Potrebbe giusto prenderne visione. Un assaggio, insomma. Non ha importanza, in ogni caso, che i giorni di passione di Ghedini siano cinque o cinquanta. Nel senso che: se sono cinque c'è da gridare allo scandalo, se sono di più (molti di più) niente da dire. Il dilemma è un altro: perché Ghedini? Fino a qualche mese fa la Asl di Sassari aveva un altro consulente, non modenese, anzi di Cagliari, che insegna all'Università (per dire che ha i titoli). Ma se è solo per questo in Sardegna si sarebbe potuto chiamare anche uno degli otto superconsulenti regionali - gente locale, intendiamoci - che ha fatto decollare il progetto "Marte", vanto della nostra amministrazione regionale. Cercando ancora, sempre nella stessa regione di vento e di macigno, come diceva il poeta, abitano almeno altri dieci specialisti del settore assolutamente in grado di fare una tac informatica alla Asl di Sassari. Con relativo vantaggio extra: essendo locali, riparazione dei guasti a parte, potrebbero garantire perfino la manutenzione, il buon andamento delle macchine nei secoli dei secoli. E' possibile che Zanaroli abbia chiamato un suo concittadino applicando sbrigativamente il teorema che l'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, ha annunciato a proposito dei direttori generali (sardi) della asl (sarde). In sintesi: non è che dubiti della loro competenza, ma che abbiano la schiena dritta. Teme, in pratica, che una volta insediati non riescano a resistere alle tentazioni della lobby sanitaria indigena, una specie di P2 in camice bianco che mette insieme clinicari e medici pubblici, politici e faccendieri d'assalto. I manager del posto, per dirla brutalmente, avrebbero nel dna la stessa propensione della monaca di Monza, portatori sani d'indegnità morale. Per questo non li si può mettere al timone. Omissis. Ammesso che questa teoria (vagamente lombrosiana) sia attendibile, non si capisce tuttavia perché applicarla anche ai tecnici, cioè ai consulenti che debbono occuparsi di far affilare i bisturi, regolare l'aria condizionata o mettere il naso nelle caldaie. Si arriva così al domandone: perché un modenese in continuità cittadin-sanitaria col direttore generale d'importazione? L'interrogativo non è di lana caprina, la difesa etnica non c'entra. Si potrebbe addirittura sospettare un caso di clientelismo amicale se non fosse arcinota la trasparenza civile e morale dei protagonisti. Distillato come un aceto balsamico, è però precipitato su questa vicenda l'imbarazzo dei Revisori dei conti, ai quali la delibera di Zanaroli, non è per niente piaciuta. Tanto è vero che commentandola (verbale 08 del giorno 08 di marzo 05) ricordano quali siano i requisiti richiesti: 1) rispondenza dell'incarico agli obiettivi. 2) inesistenza, all'interno della propria organizzazione amministrativa, della figura professionale idonea allo svolgimento dell'incarico, da accertare attraverso una reale ricognizione. 3) specifica indicazione dei contenuti e dei criteri di svolgimento dell'incarico. 4) indicazione della durata dell'incarico. 5) proporzione fra i compensi corrisposti all'incaricato e l'utilità conseguita dall'Amministrazione. E amen, fossimo a San Pietro. Invece il Collegio dei revisori dei conti si attarda rammentando che "l'affidamento di incarichi in difformità costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale". E invita per il futuro ad attenersi nella "rigorosa osservanza delle norme". Norme che al manager Zanaroli ogni tanto sfuggono. O almeno sfuggirebbero. Nel verbale surriportato succitato e in oggetto, si fa riferimento anche ad una convenzione stipulata con una coop incaricata di assistere i malati di Aids. Nobile il fine, discutibile il mezzo poiché "l'entità dell'onere finanziario pari a euro 241.113,60 supera i limiti consentiti per le spese in economia senza il ricorso alle normali procedure di gara". Tradotto per i più distratti: non si possono firmare in modo così spiccio convenzioni per oltre mezzo miliardo di lire. Lo impone la legge: italiana e uguale per tutti. Da Trento a Palermo, passando per Modena e transitando a Sassari. _____________________________________________ Il Sole24Ore 15 Apr. 2005 CARDIOCHIRURGIA INDICI DI MORTALITÀ SOTTO ACCUSA MILANO Scoppia la polemica sulla valutazione "comparata" delle prestazioni sanitarie, ovvero sul tentativo di confrontare le performance dei vari ospedali nazionali rispetto alla cura di certe malattie. Sotto accusa sono ì risultati del «Progetta by-pass aorto coronarico» voluto del ministero della salute e condotto dall'Istituto superiore di Sanità (Iss) in collaborazione con la Società italiana di chirurgia cardiaca. Una ricerca che si proponeva di confrontare a livello nazionale la mortalità dei pazienti a trenta giorni dall'intervento, »aggiustata" sulla base di tredici parametri di rischio individuale pre-operatorio, come l'età, il diabete, l'insufficienza renale, I risultati sono stati presentati alla stampa nel febbraio scorso e hanno visto la pubblicazione dei primi otto ospedali dove 1a mortalità era minare (si veda Il Sole 24 Ore dell'8 febbraio Z005). "Vincitori" soprattutto piccoli ospedali del Nord Italia (maggiori informazioni su www.iss.it). Ieri, la Società italiana di chirurgia cardiaca, ha pubblicato su alcuni quotidiani una, comunicazione pubblicitaria a firma del presidente, Aran Federico Passati, cardiochirurgo del dipartimento di Medicina cardiovascolare del Policlinico «Gemelli» di Roma, che contestava questi dati. In particolare criticava il fatta che ieri 'raccolti non fossero orno nei: diceva che alcuni centri avevano fornito i dati relativi a tutto, il periodo dì monitoraggio (gennaio 2002- settembre 2Q04), mentre, altri salo a pochi mesi di attività. x