Questa rassegna in http://pacs.unica.it/rassegna Indicizzata in http://pacs.unica.it/htdig/search.html Mailing list: medicina@pacs.unica.it TROPPI GLI ATENEI SEMPRE SCARSA LA NOSTRA RICERCA - PIÙ SCIENZIATI MENO BUROCRATI - INEFFICIENTE LA SPESA PER LA RICERCA - E-LEARNING SFIDA L’UNIVERSITÀ - COMPETITIVITÀ: SI VINCE SOLO CON L'INNOVAZIONE E LE RETI - CAGLAIRI: CORSA ALLA POLTRONA DI PRESIDE - CAGLIARI: - LE NOSTRE LAUREE SERVONO A BEN POCO - UNIVERSITA’: GREMBIULINI IN GUANTI BIANCHI I MASSONI: ECCO CHI SIAMO - NELL’ISTRUZIONE RETRIBUZIONI INFERIORI ALLA MEDIA PER BEN 2.800 - IL COMMISSARIO DINO COSI SE NE VA POLICLINICO - PIERLUIGI CELLI NUOVO DIRETTORE DELLA LUISS - SANITA’: MEGLIO UN POLITICO CHE UN NUOVO COLLEGA - ======================================================= STAMINALI: IL SI DELL’Accademia dei Lincei - EMBRIONI, LITE SUL PARERE DEI LINCEI - CAGLIARI: LA BANCA DELLE STAMINALI - MARCHI: AL CIVILE LAVORI IRREGOLARI - PRIMO GIORNO DI GUMIRATO IN SELLA ALLA ASL 8 - LEGGERE NELLA MENTE ALTRUI? NON È PIÙ FANTASCIENZA - LA MEMORIA, IL NOSTRO MAGAZZINO DEL SAPERE - TRICHINOSI: LA LARVA CHE VIENE DALLA CORSICA - TRICHINOSI: AL BANDO LE SALSICCE FATTE IN CASA - CANCRO AL COLON, SCOPERTA LA CAUSA - IN ITALIA SEMPRE MENO CASI DI TUMORE AL SENO - L'AUTISMO INFANTILE IN PREOCCUPANTE CRESCITA - PIÙ ATTENZIONE AL LATTE DI CAPRA - DOPPIA MICROCAMERA NELLA CAPSULA ENDOSCOPICA - TERMOMETRI, IN FUTURO SENZA MERCURIO - COME LA PSORIASI CONDIZIONA L'ESISTENZA - NUOVO ESAME EVITERÀ LA BIOPSIA AL SENO - BATTERI CHE PROTEGGONO DALL'HIV - SORPRESA DAGLI USA, UN PO' DI PANCIA ALLUNGA LA VITA - ======================================================= ___________________________________________________________ Il Riformista 24 apr. ’05 TROPPI GLI ATENEI SEMPRE SCARSA LA NOSTRA RICERCA I fatti dimostrano che le valutazioni piuttosto critiche sullo stato attuale dell'università italiana hanno un fondamento. Un recente sondaggio effettuato su 1300 accademici di tutto il pianeta, poneva le nostre università agli ultimi posti delle graduatorie internazionali. Una seconda rilevazione sull'età del corpo insegnante in Italia, forniva una fotografia impietosa sull'incapacità del sistema scolastico di rinnovarsi e di attirare alla camera scolastica i giovani talenti che escono dalle università Dalla forza del sistema scolastico e dell'università, si possono misurare le ambizioni di un paese e la sua capacità di proiettarsi nel futuro. Uno dei problemi italiani risiede nell'attuale struttura dei redditi (che produce anche status) che tende a premiare troppo le professioni di relazione, a scapito delle professioni della ricerca e dell'insegnamento. Mi chiedo ad esempio perché mai un ricercatore di fisica nucleare debba guadagnare meno di un merchant barzker. Dobbiamo cambiare approccio essendo consapevoli che la ricchezza del futuro passa dalla ricerca e dallo sviluppo. La nostra spesa in ricerca è cresciuta, grazie anche all'impegno del ministro Moratti nell'imporre l'università tra le priorità governative, fino a raggiungere una quota molto vicina a quella Usa (in percentuale rispetto al Pii). Ma il Pil italiano è pari a un decimo di quello americano. E l'effetto della spesa in R&S è stocastica, non statistica, cioè risponde alla leggi della probabilità, più che agli indicatori economici II Giappone ad esempio spende quasi il doppio degli americani per reggere la concorrenza. Se dovessimo essere davvero competitivi, la nostra spesa dovrebbe essere moltiplicata per quattro, Sul ritardo italiano negli investimenti in R&D si stratificano una serie di fattori,tra cui come ha sottolineato il ministro, la spesa dei "privati" in R&S e il sistema di trasferimento della conoscenza dalle università alle imprese. Esistono in Italia ben $7 università diffuse sui territorio, nessuna delle quali però è in grado di competere con i grandi centri del sapere mondiale. Un numero abnorme che non risponde a una strategia nazionale ma piuttosto a una "diffusione assessori(e" delle università secondo criteri di provinciale esuberanza, piuttosto che di efficienza. Per rendere il nostro sistema formativo più coerente con il modello d'innovazione dell'economia post moderna,riducendo così il gap tra ricerca e sistema produttivo, serve dunque lavorare su alcune direttrici strategiche: 1) Internazionalizzare i nostri centri d'eccellenza riconosciuti, grazie a joint venture con analoghe strutture straniere. 2) Dare vita a programmi di ricerca ad ampio respiro grazie all'utilizzo su larga scala della leva finanziaria, sulla quale gli intermediari finanziari sono perfettamente in grado di assistere le università, consentendo comunque un'amministrazione prudente delle risorse. 3) Aumentare il trasferimento della ricerca alle imprese. Le grandi università dovrebbero dedicarvi un buon numero di ricercatori, ad esempio creando dei hub dedicati, visto che le imprese stesse hanno interesse a questo "travaso di innovazione": come dimostra l’iniziativa di Banca Intesa con il Politecnico di Milano, per l’impresa un giudizio favorevole sulla sua capacità di innovare significa l'applicazione di condizioni competitive sul credito da parte delle banche. 4) Specializzare i campus universitari per filoni di attività che siano in grado di supportare la competitività del sistema paese, lavorando ad esempio sullo sviluppo delle tecnologie elettroniche e meccaniche, o sul filone delle fonti alternative di energia come il solare e il geotermico. Poche grandi università di eccellenza, poli della rete su cui far circolare la produzione e lo sfruttamento della R&S, darebbero un impulso al sistema economico di questo paese ed eviterebbero una dispersione di risorse che non possiamo più permetterci. Recuperando la lezione sulle Università che ci proviene dal Medioevo, quando il sapere aveva una funzione comparabile all'attuale "economia della conoscenza", ossia strumento principale per la competitività di un paese, o ___________________________________________________________ Economy 28 apr. ’05 PIÙ SCIENZIATI MENO BUROCRATI Il sostegno alla ricerca scientifica è prioritario per i manager, che bocciano invece i dazi contro la Cina. AZIENDE SONDAGGIO ESCLUSIVO DI SIMERA PER ECONOMY di MIKOL BELLUZZI Incentivi alla ricerca. Leggi semplici e tanta qualificazione professionale. Lo chiedono al governo 100 manager di società italiane di tutte le dimensioni e aree geografiche. Che per competere non vogliono dazi, ma l'apertura di nuovi mercati. Più laboratori. Semplificazione legislativa e maggiore qualificazione professionale. Queste le tre aree su cui i manager italiani chiedono l'intervento del governo, secondo il sondaggio realizzato da Simera (la società dì ricerche di Simulation Intelligence) in esclusiva per Economy su un campione di 100 imprenditori interpellati tra il 12 e il 15 aprile. I dirigenti d'azìenda sono stati chiamati a esprimersi sulle misure prioritarie che un esecutivo dovrebbe adottare a favore delle imprese, scegliendole tra 15 possibilità (vedere tabella qui sotto) ed esprimendo per ognuna un voto tra 1 e 10. II campione è rappresentato al 55% da aziende dell'area produttiva e al 45% da società di servizi, mentre le piccole-medie sono il 43% (contro il 57% delle grandi). A livello di area geografica dal Nord proviene il 47% degli interpellati contro il 53% del Centro-Sud. Aziende dì tutte le dimensioni, sparse sul territorio nazionale, ma con idee coincidenti: in questo momento di grande incertezza istituzionale e di rallentamento economico, infatti, il voto medio dei manager che chiedono un maggior sostegno alla ricerca, grazie anche a finanziamenti agevolati, raggiunge 8,6, dato che tocca 8,7 nel Centro-Sud e nelle aziende di grandi dimensioni. Anche in quelle minori gli investimenti in lt&S hanno ricevuto un 8,5. a testimonianza di quanto questo settore sia un pilastro fondamentale per la crescita e la ricerca _______________________________________ La Stampa 20 apr. ’05 INEFFICIENTE LA SPESA PER LA RICERCA RICERCA CENTRO EINAUDI-FONDAZIONE CRT. «UNIVERSITA’ SUL MERCATO, PIU’ SOSTEGNO AL VENTURE CAPITAL» Tanti i fondi erogati, pochi gli effetti sull’economia In Piemonte non si spende poco per ricerca e innovazione, ma forse si spende male perchè i risultati sul sistema economico regionale non si vedono. Il seminario organizzato dal Centro Einaudi e dalla Fondazione Crt - nell’ambito del progetto Alfieri che si pone l’obiettivo di sostenere il Piemonte nella fase di trasformazione economica e sociale - non raffigura una realtà confortante. In Piemonte si spendono quasi 2 milioni di euro all’anno per ricerca e sviluppo, l’1,5% del Pil contro una media nazionale dell’1,1, dell’1,9 dell’Unione europea, del 2 degli Usa, del 3 del Giappone. L’80% di questa spesa è privata. Ma - come ha analizzato per l’Einaudi il docente del Politecnico Giuseppe Russo - le esportazioni crescono un terzo della crescita mondiale, il tasso di esportazioni sul Pil scende dello 0,5% all’anno e negli ultimi 5 anni il Pil è cresciuto solo dello 0,9% annualmente. Risultati non brillanti. Russo tenta una spiegazione: «E’ possibile che sia scorretto il modo di valutare l’impegno finanziario. Ad esempio la metà degli stipendi dei docenti universitari vengono imputati al capitolo ricerca, probabilmente è troppo. Ma credo che le ragioni dello scarso successo nella crescita di produttività del sistema Piemonte siano più strutturali». E analizza: «E’ probabile che il sistema di finanziamento pubblico sia inefficiente e che cioè non si mettano i soldi dove serve. Le leggi di incentivo per le aziende non sembrano efficienti e pure costano 120 milioni l’anno. Naturalmente questi soldi non devono essere tolti, ma spesi in altro modo». E nella ricerca il centro Einaudi qualche idea la propone. Dice Russo: «Le Università potrebbero mettersi sul mercato e le imprese che le utilizzano dovrebbero avere finaziamenti pubblici». Un’altra ipotesi è quella di sostenere con venture capital le imprese innovative che fanno fatica a crescere a a cui le banche non sempre sono disposte a dare credito. Russo ritiene anche che si debba correggere lo spreco rappresentato dal fatto che molti ricercatori debbano andare all’estero o non trovino impiego adeguato. Naturalmente in altri Paesi o aree geografiche la ricerca funziona e produce effetti migliori su tutto il sistema economico. Russo cita, ad esempio, quello del Nord Europa: «Lì le cose vanno bene perché si mette al centro degli obiettivi di politica economica l’impresa e si affida all’Università il compito di renderla competitiva. In quei Paesi due imprese su tre hanno una collaborazione con l’Università, da noi una ogni qualche decina». Per la Fondazione Crt Cristiano Antonelli ha ricordato che «l’Italia può entrare nell’economia della conoscenza solo se la politica economica è in grado di attivare e valorizzare processi di coordinamento dinamico tra imprese e tecnostrutture pubbliche avanzate. I mercati in generale e il sistema italiano in particolare non sono in grado di produrre spontaneamente tutti i processi di coordinamento necessari per cogliere le opportunità di sviluppo». Il confronto andrà avanti fino a luglio quando sarà pronto il rapporto finale, in autunno un mega convegno. ____________________________________________________________ Il Mattino 23 apr. ’05 INTERNET SFIDA L’UNIVERSITÀ La didattica si trova di fronte a una rivoluzione che non è soltanto tecnologica L'e-learning,l'insegnamento attraverso la Rete, ha reso democratico il rapporto tra il docente e gli studenti GIUSEPPE TORTORA E-Learning? Per molti rappresenta oggi la nuova frontiera della formazione. Se ne parla in tutto il inondo in riferimento non solo all'istruzione scolastica e universitaria, ma anche alla formazione aziendale. E in Italia se ne parla non solo tra docenti e studiosi dei processi educativi, ma anche in ambito governativo. Si tratta di un nuovo modo di apprendere e insegnare, perché il processo formativo ha luogo con il supporto della tecnologia informatica. In particolare con il supporto della tecnologia Internet. Purtroppo dietro questa etichetta si nascondono anche alcune operazioni trasformistiche. Roba vecchia riciclata. Non si fa e-learning, per esempio, semplicemente mettendo in Internet delle lezioni in formato digitale, in modo che i destinatari le possano o scaricare sul proprio computer, oppure «vederle» in rete can un semplice programma di navigazione- Portare i materiali di studio a casa dello studente che, per lontananza fisica, o per altra ragione, non può frequentare le lezioni universitarie, è cosa che già sì faceva. Anche senza Internet e anche quando non c'erano neppure i personal computer. In molti ricorderanno la vecchia didattica per corrispondenza. E molti potranno ancora oggi seguire i corsi proposti in accurate videolezioni trasmesse su canali televisivi a cura del Consorzio interuniversitario «Nettuno». Insomma non si possono spacciare per e-learning iniziative didattiche di questo tipo. Specialmente se esse, fuori da ogni ottica pedagogica, mirano solo a risolvere problemi di piccolo cabotaggio a cui non sì riesce a far fronte in modo adeguato. Come quello del sovraffollamento delle aule universitarie. Restare a casa a studiare, davanti a un computer, i contenuti di lezioni pubblicate in Internet, non è per lo studente la stessa cosa che seguire le lezioni in aula, magari interloquendo attivamente con i docenti. L'e-learning è altra cosa. Attraverso le opportunità proprie della tecnologia informatica, esso, più che offrire una didattica dimezzata, di second' ordine, può addirittura potenziare l'attività formativa, elevando lo standard già assicurato con il modo tradizionale d'insegnare. Ad esempio, si può organizzare un corso on-line in cui gli argomenti siano suddivisi e trattati in moduli tematici, i moduli a loro volta siano disposti in ordine progressivo, sulla base dell'ordine di priorità e/o di complessità; i contenuti siano composti non solo di materiale testuale, ma anche di immagini, voci, suoni, filmati; e in cui, infine, ogni modulo si concluda con prove dì controllo totalmente telematiche. Il tutto sulla base di quanto la psicologia, la sociologia e la pedagogia hanno scientificamente stabilito e indicato circa l'apprendimento e l'insegnamento. A rigore, inoltre, l’e-learning non è una modalità alternativa ed esclusiva rispetto alla didattica tradizionale. Esso offre piuttosto ulteriori opportunità. Soprattutto assicurando l'interattività in remoto tra i protagonisti del processo formativo; detto in termini diversi, assicurando l'azione reciproca a distanza, in forma simultanea o differita, tra discenti e docenti. In Internet insomma si possono formare vere e proprie comunità di apprendimento. Comunità «reali», anche se «virtuali». Cioè comunità effettive, anche se i membri non sono tutti allo stesso momento nello stesso luogo fisico. In queste comunità, ad esempio, docenti e discenti, liberi dal rapporto gerarchico, possono collaborare insieme alla costruzione della conoscenza. Tutti insegnano e tutti imparano. E il docente non dovrà «erogare» il suo sapere. Egli piuttosto dovrà cooperare con gli studenti svolgendo soprattutto un compito di orientamento e di guida. L'e-learning insomma è cosa seria. Scientificamente fondata e testata. Tutto va preparato a dovere sul piano metodologico e con rigore su quello organizzativo. Chi si appresti a fare formazione a distanza via Internet deve procedere anzitutto a un'accurata progettazione. È il solo modo per ottenere un effettivo accrescimento qualitativo dell'attività di apprendimento-insegnamento: sia perla formazione delle conoscenze che per l'acquisizione delle competenze. E la progettazione dev'essere ancora più accurata se s'intende realizzare un corso e- learning per l'istruzione formale, nell'ambito delle istituzioni pubbliche e private. Molto giustamente Maria Ranieri, autrice di un volume recentemente pubblicato - E-learning. Modelli e strategie didattiche (Erickson) -, sostiene che «una riflessione sul l'aspetto didattico dell'e-learning può essere considerata una strada per un ripensamento della didattica tout court: le trasformazioni tecnologiche possono rendere meglio comprensibili, e in qualche caso più produttive, le metodologie e tecnologie più tradizionali». La Ranieri riserva ampio spazio all'illustrazione c alla discussione critica di modelli, architetture e strategie formative, La sua idea è che il progettista, riflettendo su queste cose, possa compiere scelte consapevoli e idonee al raggiungimento, nell'attività didattica da lui ideata, degli scopi prefissi sfruttando appieno le specificità della rete Internei. A suo giudizio nulla, di quanto è stato da tempo sperimentato nella didattica faccia-a-faccia, va perso con l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Anzi, si possono addirittura accrescere gli effetti formativi di strategie e tecniche già sperimentate nella didattica in presenza: quali lo studio di caso, la simulazione, il problem solving. In ogni caso l'e-learning è un settore in continua evoluzione; e chi s'interessa di formazione è indotto a una costante riflessione e a una profonda revisione dei propri modelli. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 apr. ’05 COMPETITIVITÀ: SI VINCE SOLO CON L'INNOVAZIONE E LE RETI Esperti a confronto all'Università di Urbino sulle ricette per rilanciare i distretti davanti alla crescita della concorrenza estera Per l'economista Rullani «gli italiani erano i cinesi d'Europa, ma ora devono puntare sull'internazionalizzazione invisibile» ROMA «Noi italiani eravamo i cinesi d'Europa, ma adesso dobbiamo diventare i tedeschi del nuovo millennio». L'economista veneziano Enzo Rullani non è nuovo alle provocazioni culturali, ma quella che ha lanciato nei giorni scorsi al convegno sull' «Internazionalizzazione delle imprese e dei distretti industriali», promosso dalla Facoltà di Economia dell'Università di Urbino. merita di non passare inosservata. «Per noi - ha spiegato l'accademico di Ca' Foscari - la stagione del basso costo del lavoro è finita per sempre. Se vogliamo vincere la sfida competitiva di oggi e soprattutto di domani dobbiamo fare i conti con l'internazionalizzazione invisibile, che non è fatta solo di export e di investimenti diretti all'estero ma principalmente di conoscenza, e dunque di reti di imprese e di investimenti in comunicazione, in logistica, in sistemi di garanzia verso il cliente. Non è allocando meglio fattori immobili - aggiunge Rullani - ma propagando conoscenze da un luogo all'altro del mondo che la nuova internazionalizzazione crea valore. Ecco perché servono la fantasia italica ma anche l'amore dei tedeschi per la tecnologia ed ecco perché servono nuovi pionieri in grado di ampliare i bacini di propagazione della conoscenza e comprendere che la creazione di significati e di servizi associati alle cose sarà sempre più importante della fabbricazione stessa delle cose. Le più dinamiche delle nostre medie imprese cominciano a incamminarsi su questa strada». Si tratta di un'analisi controcorrente, che Rullani ha presentato come risultato di un'ampia ricerca empirica condotta recentemente sulle medie aziende dei distretti di diverse aree e settori d'Italia. E Urbino è stata la prima occasione per illustrarla. Del resto «la nostra vocazione - hanno spiegato il Rettore della gloriosa università marchigiana, Giovanni Bogliolo e il preside di Economia Giancarlo Ferrero - è sempre stata quella della internazionalizzazione e ci è parso importante promuovere in questo momento una riflessione a tutto campo sull'evoluzione delle imprese e dei distretti del Paese nell'era della globalizzazione». Missione certamente compiuta, con l'obiettivo non di suggerire un'unica e impossibile ricetta magica, ma di raccogliere c mettere a confronto studi, ricerche, ipotesi dì lavoro, anche molto differenti tra loro ma tutte di grande spessore culturale. No alle suggestioni neoprotezionistiche. «Noi economisti di certezze ne abbiamo poche - ha subito messo in chiaro Gianfranco Viesti dell'Università di Bari - ma i dati dell'ultimo quinquennio ci dicono chiaramente che si è rotto il modello competitivo italiano. Non è il caso di intonare il de profundis del made in Italy ma è sicuramente Fora di cambiare. senza però coltivare suggestioni neo- protezionistiche». Ma tutto questo - si è chiesto Gaetano Maria Golinelli dell'Universìtà "La Sapienza" di Roma - significa che è in crisi la formula dei distretti o che la loro attuale difficoltà è l'effetto dì una crisi più ampia? «Non dimentichiamo - gli ha risposto Giovanni Solinas dell'Università di Modena - che siamo di fronte a un evento epocale, come l'ingresso sulla scena economica internazionale di Cina e India, che rappresentano un terzo del mondo e che pongono nuovi problemi a tutti, e quindi ovviamente anche ai distretti, ma non solo a loro. Più che sognare nuove specializzazioni nell'hi-tech il problema di oggi è quello di aiutare i distretti a fare meglio quello che sanno già fare». A1 di là della diversità delle analisi e delle teorie, su un punto gli economisti delle varie scuole sembrano oggi concordare: non si può fare di tutte le erbe un fascio ed è ora di distinguere tra impresa e impresa, tra settore e settore, tra distretto e distretto «Oggi - ha sostenuto Roberto Grandinettì dell'Università di Padova - la flotta dei distretti ha almeno due navi: una va ancora e l'altra sta affondando. Ma colpisce il fatto che i distretti che si difendono meglio sono quelli che hanno nel loro interno una molteplicità dì formule e di modelli competitivi e soprattutto quelli che hanno saputo generare aziende leader nel mondo, come il distretto dell'occhialeria di Montebelluna, dove ormai ci sono quattro im prese medio-grandi, il cui dinamismo può certo mettere in forse gli equilibri del distretto stesso». I distretti cambiano. Diffusa è la convinzione che il distretto non possa essere una realtà immutabile e che tanto più sia un modello vitale quanto più sappia rinnovarsi nel tempo. Interessanti in proposito i risultati di una ricerca condotta nelle Marche da Ilario Favaretto dell'Università di Urbino, secondo cui crescono di più i distretti che superano il modello delle origini e si sviluppano in una logica intersettoriale. Da non sottovalutare anche le conclusioni di un'altra ricerca, condotta da Giuliano Conti dell'Università Politecnica delle Marche, secondo cui la delocalizzazione o l’esternalizzazione dentro o fuori del distretto cambiano nel tempo i profili di redditività delle imprese. Così come non vanno trascurati i mutamenti in atto nei rapporti tra le piccole imprese e le grandi reti distributive e commerciali internazionali (Cosetta Pepe dell'Università di Roma Tor Vergata), nel modo di esportare e di produrre all'estero delle nostre aziende (Pasquale Lapadre dell'Università dell'Aquila), nelle strategie d'impresa tra economie distrettuali e filiere estese (Fabio Musso dell'Università di Urbino) e nel gioco di squadra nella promozione del made ìn Italy all'estero (Gaetano Esposito di Assocamerestero). È naturale che la sfida dell'innovazione e le diverse forme della delocalizzazìone facciano la parte del leone ogniqualvolta si ragioni sulle nuove strategie competitive dei distretti e delle imprese. Ed è ovvio che le risposte siano tra loro anche molto differenti, ma, in una fase in cui la ricerca e il confronto sulle nuove vie allo sviluppo sono ancora in corso, il pluralismo e la varietà sono più una ricchezza che un punto di debolezza. FRANCO LOCATELLI _______________________________________ L’Unione Sarda 19 apr. ’05 CORSA ALLA POLTRONA DI PRESIDE Si vota in cinque facoltà, il nodo di Architettura Sono cinque le facoltà che tra due mesi andranno al voto per eleggere il loro preside. Ma la poltrona di Medicina, Lettere, Lingue, Ingegneria e Scienze Politiche non dovrebbe cambiare: per i presidi uscenti sembra scontata la riconferma. Ufficialmente la comunicazione delle elezioni non è ancora arrivata, ma a giugno nelle cinque facoltà con la presidenza in scadenza, si andrà al voto. Sotto esame i numeri uno uscenti, che hanno guidato negli ultimi tre anni Medicina (Gavino Faa), Scienze Politiche (Raffaele Paci), Lettere e Filosofia (Giulio Paulis), Lingue e Letteratura Straniera (Ines Loi Corvetto), e Francesco Ginesu, preside di Ingegneria, che, unico in questa tornata, potrebbe andare incontro al suo terzo mandato consecutivo. Proprio nel 2003, nei lavori del senato accademico allargato, che aveva rivisto lo Statuto sulle cariche consecutive del rettore, era cambiato anche il limite dei mandati per i presidi, portato da due a tre. La strada da qui a giugno è ancora lunga, e chissà che, appena sarà nota la data delle elezioni, le carte in tavola non possano cambiare. Facoltà. La nuova facoltà di Architettura è certamente il nodo principale che dovrà sciogliere il futuro preside di Ingegneria. Un passaggio ancora in itinere, ma che porterà un radicale cambiamento in Ingegneria, per gli studenti e per il corpo docente. Quello che è certo, così come per le altre due nasciture facoltà (anche se la strada è ancora lunga e tortuosa) Biologia e Psicologia, è che l'esigenza di dare vita a tre nuove strutture, accanto alle dieci esistenti, arriva dai numeri. Architettura avrà infatti 50 docenti, con un calcolo stimato di matricole che si aggira sulle tre-quattrocento. Circa la metà di Ingegneria, ma con una strada che sembra obbligatoria, visto il dibattito che vede Cagliari sempre al centro di polemiche urbanistiche e architettoniche. Dove, per storia e tradizione, la situazione potrebbe essere più ingarbugliata è tra le mura di Medicina. Un incarico, quello da preside, che, a detta di alcuni docenti storici, sta diventando sempre più fastidioso, e che forse per questo motivo non vede all'orizzonte candidature in contrasto a quella del preside uscente Gavino Faa. Tra gli scogli superati nell'ultimo periodo, quello della scuola di specializzazione in Medicina Legale, con la nomina del nuovo direttore, Francesco De Stefano. Tre anni fa l'elezione fu quasi un plebiscito: 229 voti su 250. Nell'ateneo cagliaritano non ci dovrebbero essere scossoni per gli altri presidi uscenti: Raffaele Paci in Scienze Politiche, Giulio Paulis in Lettere e Ines Loi Corvetto viaggiano verso la loro seconda consecutiva rielezione. Il Regolamento. Le elezioni sono indette dal decano dei professori ordinari della facoltà, che convoca il consiglio e che presiederà anche la seduta. Prima vengono formalizzate le candidature, poi si arriva al giorno del voto. Operazione aperta al consiglio di facoltà con l'intero corpo docente, e i rappresentanti degli studenti e del personale. Il preside è eletto, alla prima votazione, se raggiunge la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, per passare poi all'elezione a maggioranza assoluta dei votanti nelle successive. Successivamente viene nominato con decreto del rettore, e dura in carica tre anni accademici, per un massimo di tre mandati consecutivi. Matteo Vercelli _______________________________________ La Nuova Sardegna 18 apr. ’05 UNIVERSITÀ, ‘LE NOSTRE LAUREE SERVONO A BEN POCO’ Gianluigi Piras, neo presidente del Consiglio degli studenti universitari, spara a zero sulle incongruenze dell’ateneo “Bisogna investire sulla qualità, un aumento delle tasse è privo di senso” Lasciano a desiderare anche i servizi. “Stanno peggio le umanistiche” CAGLIARI. L’istituzione di nuove facoltà come quella di psicologia? Un modo per tenere in piedi altre cattedre. La mensa universitaria di via Premuda? Troppo lontana dalle esigenze degli studenti. Cinque giorni dopo la sua elezione a presidente del Consiglio degli studenti (il massimo organo di rappresentanza degli universitari), Gianlugi Piras, 27 anni, studente di giurisprudenza ed espressione della Sinistra universitaria (Ds) spara già ad alzo zero sulle incongruenze dell’ateneo. Dalla qualità dell’offerta formativa al paventato aumento delle tasse universitarie, quei mille punti su cui, secondo Piras, occorre sedersi e discutere, perché mai più i giovani fuggano dalla Sardegna alla ricerca di qualcosa di meglio. Quasi un libro dei sogni verrebbe da dire, e invece no: lucida analisi del pianeta universitario, che in Sardegna ancora arranca. «Il primo problema, comune a tutti gli atenei d’Italia, è la diminuzione delle risorse economiche - dice il giovane - la conseguenza più probabile è che questo porti a un aumento delle tasse: il rettore lo da quasi per inevitabile, argomentando che siamo l’ateneo italiano dove si paga di meno». Detto così non farebbe una piega. Eppure, dice il presidente del Consiglio degli studenti, ci sono almeno due cose che il rettore omette: «La prima è la qualità dei servizi dell’ateneo, che non da le stesse prospettive delle altre università, la seconda è il contesto sociale di partenza: la Sardegna non è l’Emilia Romagna o la Lombardia». Due parole per spiegare meglio: «Rispetto ad altre università - dice Piras - da noi si punta sulla generalizzazione degli insegnamenti. Perché istituire nuove facoltà, come psicologia, quando ancora per molte lauree di primo livello non c’è la corrispondente laurea specialistica?». La parola d’ordine diventa allora: investire con intelligenza. «Le risorse vanno utilizzate per creare competenze - non si stanca di dire Piras - faccio un esempio: a Urbino le tasse sono più alte, ma è anche vero che la preparazione è tale che una volta laureati i neo dottori sono ricercatissimi dal mondo del lavoro». Non solo: l’ateneo, dice il presidente, ha poche risorse e per sopravvivere ha bisogno di laureare quanti più studenti possibile. Ancora una volta a scapito della qualità: «Certo - dice - le eccellenze esistono, ma per il resto siamo in una situazione dove lo scotto da pagare è alto: la laurea qui diventa un titolo poco spendibile. Ecco perché secondo me un aumento delle tasse sarebbe privo di senso». Dai titoli poco spendibili, perché non abbastanza specialistici ai servizi non sempre al massimo: «Le facoltà umanistiche stanno peggio di tutte - annuncia Piras - mancano aule, mancano insegnanti, molti ragazzi laureandi in psicologia hanno dovuto sostenere nuovi esami perché col passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, sono stati persi crediti preziosi che invece dovevano essere assicurati». Un’altra nota dolente: la mensa universitaria. «Quella di via Premuda, sia per gli orari sia per la lontananza fisica, non va bene a soddisfare le esigenze degli studenti - dice PIras - piuttosto abbiamo un nuovo progetto: una nuova mensa nel polo giuridico che funga anche da sala studio e che magari la notte possa fungere da locale notturno». Una proposta presentata anche al presidente dell’Ersu (Ente regionale per il diritto allo studio universitario) e che proprio in questi giorni è in fase di valutazione. E a proposito di servizi, ecco invece un esempio di disservizio che gli studenti non vorrebbero mai vedere: «Gira voce - dice Piras - che parte dei parcheggi per gli universitari inaugurati in viale Buoncammino qualche mese fa, sarà fatta diventare a pagamento. E così che aiutano gli studenti squattrinati? sia chiaro: se questo fosse vero già da ora promettiamo battaglia». Sabrina Zedda _______________________________________ L’Unione Sarda 22 apr. ’05 GREMBIULINI IN GUANTI BIANCHI I MASSONI: ECCO CHI SIAMO Parla Andrea Allieri, presidente degli ottocento iscritti al Grand'Oriente in Sardegna «Wojtyla? Era un uomo di certezze, noi coltiviamo il dubbio» di GIORGIO PISANO In Sardegna sono ottocento. Selezionatissimi. Oltre la metà sta a Cagliari e una volta la settimana si ritrova a conversare in uno dei tempietti allestiti nel vecchio palazzo Sanjust, piazza Indipendenza. Prima di varcare la soglia del tempio, dove sta scritto audi vidi tace (ascolta, vedi e sta' zitto) devono indossare un grembiulino (simbolo del lavoro) e guanti bianchi (mani pulite). Per il rito di iniziazione transitano in una camera di riflessione grande quanto una cabina balneare: dentro, la luce è fioca; sulla parete vigila un teschio e un'istruzione per l'uso: se tieni alle distinzioni umane, vattene. A volerci ridere sopra, è una versione lugubre del confessionale del Grande Fratello. I massoni erano e restano un caso a parte. Quelli più accreditati fanno capo a un'istituzione che si chiama Grand'Oriente d'Italia. Giurano di credere in un Essere Supremo, che non è necessariamente il Dio dei cristiani. Lo definiscono, con enfasi edilizia, Grande Architetto dell'Universo. Idealisti di un ente inutile o truppa in carriera? Una risposta netta è impossibile, oltreché ingiusta. Uno dei dirigenti ha comunque detto che la categoria si divide in due tronconi: gli iscritti alla massoneria e i massoni. Per stupire, fumogeni ad effetto garantito, ricorrono spesso a grandi nomi dell'album di famiglia, nomi pescati nella soffitta della Storia: Mozart, Goethe, Garibaldi, Mazzini, Freud, Roosevelt, Confalonieri (Federico, patriota ottocentesco). I massoni sono divisi in logge: ne funzionano sedici a Cagliari, altre dodici sparse per l'Isola. Per un tempo infinito Grand'Oriente d'Italia è stato sinonimo di Armandino Corona, repubblicano, ex presidente del Consiglio regionale, intelligenza sottile e mai sbracata, all'epoca approdato addirittura sul trono nazionale, capo riconosciuto dei quindicimila fratelli italiani. Da anni si è messo in sonno, che è un modo elegante per andar via: dicono sia in dissenso col nuovo corso, che la generazione emergente non lo appassioni. Oggi il leader dei grembiulini sardi è un ingegnere cagliaritano di 53 anni. Si chiama Andrea Allieri, un figlio (che non è massone) e nessuna familiarità con l'istituzione. Presidente del Collegio circoscrizionale dei maestri venerabili della Sardegna, Allieri è un uomo schivo, felice di navigare nell'anonimato. Accetta di essere intervistato nel segno dell'apertura all'esterno, verso quello che viene detto mondo profano. Con lo stesso spirito di servizio, o di martirio, subisce gli scatti del fotografo per spazzare il campo dal peccato originale del Grand'Oriente: riservatezza che sconfinava nella clandestinità. Libero professionista, si occupa di ambiente: tra le altre, c'è anche la sua firma nel gigantesco piano di bonifica della laguna di Santa Gilla. E' in massoneria da undici anni. Com'è successo? «All'università studiavo con un amico massone. Parlava di alta idealità». E lei rispose anch'io. «Prima di accettare, ho riflettuto a lungo. Tre anni di solitudine e di confronto con me stesso». Bilancio: ne valeva la pena? «Sicuramente. E' migliorato il mio rapporto col prossimo. La massoneria è una straordinaria palestra di vita». Benefici? «Arricchimento interiore». Parcelle? «Mai». Poco solidali, i fratelli. «Le mie aspettative erano altre. Non mi sono iscritto per far crescere la mia clientela». Un ritorno della P2 è possibile? «Credo proprio di no. Abbiamo un buon servizio ispettivo. La P2 operava in un clima degradato». E aveva grande seguito in Sardegna. «Siamo inevitabilmente portatori sani di deviazionismi, come qualunque altro settore della società. Adesso però il livello di controllo è molto alto». Chi è il massone sardo? «Tentiamo un identikit: circa quarant'anni, un figlio, posizione sociale decorosa, cultura medio-alta». Professione? «Beh, le più varie. Avvocati, medici, professori universitari, studenti». Proletari, quelli di Marx, manco uno? «No». E, secondo lei, perché non ci sono? «Chi approda alla massoneria è in genere un uomo che si è liberato da preoccupazioni di altra natura». Il Rotary club è una vostra anticamera? «No, ma è un'associazione vicina. Come i Lions». Dareste ai giornali l'elenco degli iscritti? «No. Ma chi ha titolo può consultarli liberamente. Sono depositati presso la sede del Grand'Oriente». Logge coperte. «Non ne esistono più. Non solo: i massoni debbono essere iscritti nelle logge delle città dove abitano». Operazione trasparenza? «Precisamente. Dopo lo scandalo P2, abbiamo passato anni infernali, zavorrati di pregiudizi e diffidenza. Ora invece c'è anche la possibilità di conclamare l'appartenenza alla massoneria, prima non era possibile». Fratelli imboscati. «Riservati, non imboscati. Durante il fascismo mettevamo all'occhiello un fiore particolare per riconoscerci a distanza». Quale fiore? «Il non ti scordar di me». C'è crisi delle vocazioni? «Direi il contrario. Da diverso tempo soffia un vento nuovo. I tempi d'attesa per entrare variano da tre a cinque mesi. Il 2-3 per cento delle domande di adesione viene respinta». Espulsioni? «Quando occorre. Due negli ultimi otto mesi». Si trattava di fratelli poco idealisti e molto materiali? «Diciamo che si sono comportati scorrettamente». Dove cercate le nuove reclute? «Non facciamo proselitismo. Chi è interessato si fa avanti. Abbiamo molti giovani». Massoni juniores? «Il fenomeno si spiega facilmente con la confusione attuale, il caos delle idealità, la nebbia dei valori. I giovani, i nostri giovani, vogliono approfondire certe tematiche. Per questo vengono da noi». Lei personalmente, quanti iscritti ha procurato? «Forse dieci». Mai chiesta intercessione per un appalto? «Mai. Noi ci muoviamo, con discrezione, verso altro genere di bisogni: povertà, salute». Fatebenefratelli. «Non siamo dame di carità. La solidarietà e la fratellanza sono cardini della nostra istituzione». Avete pianto la morte di Papa Wojtyla? «Quando è successo, stavamo ascoltando il concerto di Noah. Ci siamo uniti in raccoglimento. Il Gran Maestro ha detto che Wojtyla era un uomo di certezze, il massone è un uomo di dubbio». Ma poi, in fondo in fondo che ve ne importa del Papa? «Abbiamo fratelli cattolici. Cattolici e praticanti». Preti? «No». Comunisti pentiti? «Abbiamo avuto comunisti che hanno scelto la massoneria». Ratzinger vi preoccupa? «Non ci tocca. Noi non possiamo parlare di politica e di religione. A preoccuparci, in ogni caso, è chi porta verità assolute di carattere dogmatico». Cioè il Papa. Anche il Papa. Ma i nostri rapporti con la Chiesa sono ottimi». Sì, ma il vostro Architetto non è il loro Dio. «Il nostro Architetto richiama uomini di diverse credenze. Si tratta di capire in quale accezione si vuole intendere la parola Dio». Faccia uno spot: perché entrare in massoneria? «Per riscoprire la centralità dell'uomo, per trovare il senso profondo della vita. Per educarsi al dialogo e al confronto». Soru. Inteso come presidente della giunta regionale. «È questione che non ci riguarda in quanto politica. Chi vuole, lo vota. Oppure no. Non fa differenza. Fuori dalla loggia poi, ciascuno di noi sceglie come e dove impegnarsi». Chi vi detesta? «Tutti quelli che hanno verità da vendere. Noi rifiutiamo le certezze assolute, l'ho detto». Siete una lobby d'affari. «Sbagliatissimo». Siete per caso una lobby di ideali? «Precisamente. Alti ideali». Non siete una catena di sant'Antonio per carriere veloci? «Neanche lontanamente. Chi punta a promozioni o ad affari ha maggiori opportunità altrove». In loggia, no? Coi fratelli medio-ricchi medio- colti, no? «Non sono dentro la testa di ogni singolo fratello. Ma qui esistono divieti precisi. Se hai secondi fini, va a finire che ti escludi da solo, ti metti ai margini». Bancari, medici, militari: perché hanno il dna massone? «Se è per questo, anche avvocati, ingegneri, parlamentari. Comunque sia, non siamo una corsia preferenziale». Quanti sono i massoni in sonno? «Una ventina». Mai avuto il sospetto d'essere fuori dalla Storia? «Mi sono posto il problema quando Montanelli accusò la massoneria di essere anacronistica. In quel periodo, tra l'altro, io non ero ancora iscritto». Però. «Però ho capito che Montanelli sbagliava. Massoneria è vigore della idealità, pienezza della forza. L'uomo ha necessità di perfezionare se stesso e impegnarsi per il progresso dell'umanità». Lontano da appalti & affari. «Anni luce». Insomma, siete missionari? «No. Uomini visibili...» Neanche tanto. «Visibili per lealtà, correttezza, dignità». Che ne dicono le vostre mogli? «In qualche caso pensano che quello trascorso in loggia sia tempo sottratto alla famiglia». Scusi, ma perché le donne no? «Le donne non possono entrare in massoneria perché lo impone uno dei due grandi imperativi della nostra società iniziatica: il Grand'Oriente è solare, le donne hanno un ruolo lunare». E quando lo dite, nessuna che vi ride in faccia? «Capita, capita». _____ _______________________________________ Il Messaggero 17 apr. ’05 NELL’ISTRUZIONE RETRIBUZIONI INFERIORI ALLA MEDIA PER BEN 2.800 Ai dipendenti della Farnesina la busta paga più pesante: oltre 50.000 euro all’anno contro 33.400 della scuola Statali, i più poveri sono gli educatori di STEFANO CAPITANI ROMA Sono i lavoratori della scuola il fanalino di coda nella classifica delle retribuzioni degli statali. A fronte di un salario medio per i dipendenti delle amministrazioni centrali pari a 36.186 euro, la retribuzione degli amministrati (sarebbe forse inappropriato definirli dipendenti) dal ministero dell'Istruzione - oltre un milione, tra insegnanti, personale scolastico non docente, ricercatori, personale delle università - è mediamente pari a 33.406 euro. Molto giù, ma con circa 2.000 euro annui in più, anche i dipendenti del dicastero dei Trasporti, nonchè quelli dei Beni culturali. È questa la fotografia degli stipendi pubblici scattata dal Budget definito per il 2005 dal ministero dell'Economia, il documento, cioè, che fissa le spese per le amministrazioni centrali e che recepisce le indicazioni dell' ultima Finanziaria, e in cui il mondo della formazione appare penalizzato nel raffronto delle retribuzioni con gli altri colleghi della galassia pubblica: per loro stipendi di base un po’ sotto la media (32.121 euro rispetto a 32.894) ma soprattutto nessun “aiuto” da quelle competenze accessorie, dal lavoro straordinario a quello festivo ai buoni pasto, che consentono a dipendenti di altri rami della pubblica amministrazione di rimpolpare la busta paga. È il caso, per esempio, dei dipendenti della Difesa che pur avendo le competenze fisse più basse di tutta l'amministrazione centrale (29.358 euro), riescono però, proprio grazie alle competenze accessorie (9.859 euro), a recuperare posizioni e a collocarsi ottavi nella classifica dei quattordici ministeri. La classifica vede al primo posto, come tradizione, il mondo della diplomazia. Al ministero degli Affari esteri - secondo il Budget - non solo le competenze fisse risultano le più alte tra tutti gli statali (46.436 euro, oltre 13.500 euro più della media) ma sono di tutto rispetto sono anche le competenze accessorie (4.330 euro). Si tratta comunque di una media sulla quale influisce - spiega il documento del Tesoro - proprio la peculiarità del lavoro svolto: così lo stesso documento mette in risalto che il valore dei salari medi della Farnesina si spiega con «la notevole incidenza, sull'amministrazione, delle retribuzioni del personale della carriera diplomatica». Alla Farnesina si osserva che le cifre riferite al personale del ministero degli Esteri sono calcolate comprendendo anche l'indennità di servizio all'estero, che pure non ha natura retributiva e pensionabile. Tale indennità - spiega la Farnesina - è infatti volta a sopperire agli oneri specifici del servizio all'estero, sia in termini di costo della vita, sia in relazione alle eventuali situazioni di rischio e disagio. Per tali motivi l' indennità varia, anche sensibilmente, da paese a paese. Gli oneri in questione - evidenzia la Farnesina - includono spese particolarmente significative, a carico dell'interessato, quali, ad esempio, il costo di un alloggio adeguato al ruolo di rappresentanza con tutte le spese di utenza, le rette scolastiche per i figli e le polizze di assicurazione sanitaria privata, solo per citare le più rilevanti. Al top della classifica, insieme ai dipendenti della Farnesina, figurano quelli del ministero della Giustizia. Al terzo posto il ministero dell'Ambiente che conta però il più esiguo numero di dipendenti (1.042 su un totale di 1.899.389). I più numerosi, 1,1 milioni sul totale di 1,8 milioni degli statali, sono proprio gli insegnanti e in generale gli addetti al mondo dell'istruzione pubblica: nonostante i loro stipendi risultino i più bassi, lo stock messo a disposizione del ministero dell'Istruzione per le retribuzioni è pari a 36,9 miliardi, più di metà dei 68,7 impegnati nel complesso per pagare gli statali. _______________________________________ Il Messaggero 22 apr. ’05 IL COMMISSARIO DINO COSI SE NE VA POLICLINICO «Difficile governarlo, senza autonomia e serenità» «Non avrei avuto la serenità e l’autonomia necessaria per lavorare. Ecco perché ho deciso di dimettermi». Dino Cosi, ormai ex commissario straordinario del policlinico Umberto primo, spiega in questo modo la decisione di lasciare l’azienda ospedaliera. «Ho constato che non c'erano più le condizioni per poter continuare a svolgere il mio ruolo di commissario straordinario e quindi ritengo che non ci siano alternative e che sia meglio lasciare spazio a qualcun altro». La decisione di Cosi, sembra che fosse stata maturata già da qualche giorno. L'occasione che ha fatto scattare le dimissioni va ricondotta a una lettera del Rettore dell'Università che chiedeva a Cosi di non prendere alcuna decisione di natura straordinaria fino all'insediamento della nuova giunta regionale. «Era già chiaro che non avrei fatto nessun atto di natura straordinaria in questo momento ma fa parte della natura stessa del mio mandato prendere decisioni importanti ogni giorno per assicurare il funzionamento del Policlinico - ha aggiunto Cosi -. Non posso per esempio esimermi dal rinnovo di alcuni contratti che sono inderogabili se non si vuole interrompere il servizio assistenziale. E per adempiere al mio mandato devo poter lavorare con autonomia e indipendenza senza dover sottoporre ogni singola decisione al Rettore». Nella sua lettera di dimissioni, inviata sia al rettore Renato Guarini che all'ex presidente della regione Storace, Dino Cosi ha indicato il 30 aprile come data di scadenza del suo mandato. Le dimissioni di Cosi sono commentate in questo modo dalla Cisl: «La decisione non dovrebbe essere interpretata solo in chiave politica o come pretesto per non assumersi le proprie responsabilità - afferma Stefano Lazzarini, segretario della Cisl università -. Il rettore Guarini ha agito correttamente inviando al commissario Dino Cosi e al direttore del Sant'Andrea Francesco Rocca una lettera rispettosa del loro ruolo ma cautelativa in attesa di capire quali saranno le linee nuove linee strategiche regionali. L'operato dei manager va valutato in termini di risultati ottenuti e in questo senso le inadempienze del commissario Cosi sono evidenti. Avrà fatto tutti gli sforzi possibili ma grossi risultati non se ne sono visti». _______________________________________ Il Messaggero 21 apr. ’05 PIERLUIGI CELLI NUOVO DIRETTORE DELLA LUISS Pierluigi Celli è il nuovo direttore generale della Luiss, l'Università privata che fa capo a Confindustria. Lo ha deliberato ieri il Consiglio di amministrazione dell’Ateneo presieduto da Luca Cordero di Montezemolo. La figura del direttore generale è del tutto nuova e sostituirà, assorbendola, quella del direttore amministrativo, non appena sarà modificato lo statuto dell'Ateneo. Non era all’ordine del giorno, invece, la nomina del nuovo rettore chiamato a prendere il posto del professor Adriano Di Maio. L’eventuale successione verrà presa in considerazione nei prossimi giorni. «Con la figura di Celli commenta l'amministratore delegato nonché vice presidente esecutivo dell'Università, Attilio Oliva - la Luiss si arricchisce di un manager di grande spessore culturale e professionale. Al direttore generale spetterà di garantire l'efficienza e la qualità dei servizi, l'attenzione al rapporto costi-benefici di ogni iniziativa e lo sviluppo delle risorse umane dell'Universita». Pierluigi Celli è nato a Verrucchio (Rimini) nel 1942; sposato, due figli, si è laureato in Sociologia all'Università di Trento. Ha maturato le sue esperienze professionali come responsabile del personale e dell'organizzazione di grandi gruppi quali Eni, Rai, Omnitel, Olivetti, Enel e Unicredit Banca. Nel 1988 è diventato Direttore generale della Rai. Celli ha anche insegnato Organizzazione aziendale all'Università di Cagliari, alla Luiss e alla Cattolica di Milano, città dove ha ricoperto ultimamente la carica di responsabile della Corporate Identity di Unicredito. L’università degli studi sociali Guido Carli continua intanto a studiare (e a rimandare) il suo progetto di Campus. Sembra infatti tramontata l’ipotesi di un trasferimento alla Magliana, in un’area di 16 ettari, che affaccia sulla Roma- Fiumicino, ceduta dal Comune in cambio di Villa Blanc. La questione sarà di nuovo affrontata nei prossimi giorni in un incontro fra università e amministrazione capitolina. _________________________________________________ Corriere della Sera 24 apr. ’05 SANITA’: MEGLIO UN POLITICO CHE UN NUOVO COLLEGA medici soddisfatti: «Meglio un politico che un nostro collega» LE REAZIONI ROMA - Storace ministro, le reazioni sono contrastanti. Sindacati, associazioni, primari e ricercatori si dividono nel giudicare l' arrivo dell' ex governatore di An sulla poltrona che è stata dell' esperto di immunologia Girolamo Sirchia: giudizio negativo da Cgil e Anaao Assomed. Commenti favorevoli, invece, da medici di famiglia e ricercatori che vedono « un passo avanti » e da chi ha scelto la terapia « Di Bella » per curare il cancro. Attende invece di conoscere il programma del neo ministro il Tribunale per i diritti del malato. « Il passaggio da Sirchia a Storace non ci entusiasma affatto - spiega Achille Passoni , responsabile nazionale della Cgil Sanità - perché se con il primo abbiamo avuto quattro anni di vuoto pneumatico, il secondo è stato sconfitto alle elezioni regionali anche perché i cittadini non hanno gradito il suo modello di sanità, troppo sbilanciato sulle cliniche private » . Concorda Serafino Zucchelli , segretario nazionale dell' Anaao Assomed: « Siamo preoccupati: Storace sarà più sensibile ai problemi sociali rispetto ai liberisti di Forza Italia, ma per anni ha privilegiato le strutture private rispetto alle Asl » . Luigi Frati , prorettore e preside di Medicina dell' università « La Sapienza » di Roma, preferisce « sempre un politico a un tecnico » . L' esponente di An « conosce bene i problemi della sanità - aggiunge Frati - ma il settore è troppo condizionato dalla disponibilità di fondi » . Per Mario Falconi , responsabile della Federazione dei medici di famiglia ( Fimmg) « l' ex ministro non è mai stato un vero tecnico, cioè un esperto di politiche e sistemi sanitari. Meglio quindi un vero politico » . Sirchia « è un ottimo medico - precisa Falconi - ma è un' equazione imperfetta pensare che un ottimo medico sia di certo un ottimo ministro » . Diplomatico Claudio Bordignon , direttore scientifico del San Raffaele di Milano: « Preferisco sempre i tecnici, soprattutto per programmi di 5 anni, ma è giustificabile un politico per governi di breve durata » . E il primario di chirurgia plastica del Policlinico Umberto I di Roma, Nicolò Scuderi , taglia corto: « Tecnici o politici, l' importante è che siano bravi perché la sanità è un campo minato » . Patrizia Mizzon dell' Associazione che sostiene la terapia « Di Bella » spera « in qualcosa di importante da Storace, Veronesi e Sirchia non hanno fatto molto » . Più cauta Teresa Petrangolini del Tribunale del malato: « Vedremo come si comporterà su problemi concreti, come le liste d' attesa: poi lo giudicheremo » . Di Frischia Francesco ======================================================= ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 apr. ’05 STAMINALI: IL SI DELL’Accademia dei Lincei Staminali un si che rilancia il tema della dignità umana Compromesso raggiunto su due fronti: la libertà di ricerca e l'utilizzo degli embrioni esistenti MILANO Il principio del "male minore", e, in generale. L’etica della responsabilità, ha ispirato la stesura del documento sulla ricerca con le cellule staminali, approvato venerdì dall'Accademia dei Lincei con 58 voti favorevoli, 8 contrari e 14 astenuti. Le difficoltà incontrate in occasioni precedenti, durante le quali si è cercato di trattare l'intera materia relativa alla ricerca sulle staminali (la discussione dura da circa sei mesi) ha spinto infatti gli -studiosi a concentrarsi su un tema specifico, sul quale è stato infine possibile l'accordo: l'uso per la ricerca degli embrioni cosiddetti "sovrannumerati", cioè quelli che nelle pratiche relative alla fecondazione assistita non vengono impiantati ma crioconservati e, a lungo andare, distrutti. «L'Accademia dei Lincei - dice il documento - si augura che sia evitata la perdita o l'eliminazione, invece dell'utilizzazione, degli embrioni so prannumerari congelati attualmente esistenti, e che il Parlamento approvi rapidamente leggi che consentano - in condizioni severe, controllate e protette da abusi - la donazione dei suddetti embrioni soprannumerari. Verranno in tal modo accresciute le conoscenze scientifiche e, di conseguenza, alleviate le gravi sofferenze prodotte dalle malattie degenerative». Le difficoltà dell'accordo, infine raggiunto, sono derivate soprattutto dall'affermazione, da un lato, del principio della libertà della ricerca e, dall'altro, di altri valori, relativi a diverse concezioni della dignità umana, che secondo alcuni Lincei dovrebbero prevalere su di esso. «Si è trattato di un compromesso tra varie tendenze - ha commentato il matematico Guido Zappa - ed è difficile dire se sia stato un buon compromesso. Mia è stata la proposta di specificare che gli embrioni da utilizzare sono quelli "attualmente esistenti", e il documento è stato votato direttamente recependo questa aggiunta». La quale però appare ancora troppo ambigua a Giuseppe Zerbi, ordinario di Scienze e tecnologia dei materiali al Politecnico di Milano, che ritiene che si presti a una «interpretazione confusa» perché «non specifica che non devono essere creati nuovi embrioni da donare ai laboratori». Difende invece la formulazione finale il biologo Giovanni Felice Azzone, il quale ammette che «una leggera ambiguità sussista», ma chiarisce che «sicuramente il testo non autorizza a creare nuovi embrioni ad hoc per la ricerca, in linea con quanto già prescrive la Convenzione di Oviedo. Per quanto riguarda i sovrannumerari è chiaro invece che se ne chiede la donazione solo qualora questi vengano prodotti nelle pratiche per la fecondazione assistita, e in nessun altro caso. Tutto ciò comunque dovrà essere regolato da una legge che non stava a noi formulare». Quanto al conflitto tra libertà della ricerca e altri valori della convivenza civile, Azzone osserva che «è sicuramente condivisibile l'idea che talvolta questi ultimi possano limitare il prima. Ciò che va evitato però è che sia lo Stato a farsi portatore di quei valori. Poiché su di essi non vi è consenso unanime, dovranno essere le singole coscienze dei ricercatori a valutare in che modo queste limitazioni vanno esercitate. Altrimenti finiremmo per abbracciare direttamente una qualche concezione dello Stato etico. Quando si pone una questione di valori bisogna sempre chiedersi: sì, ma quali valori? Ciò che è prevalso qui non è una certa idea del bene, ma il principio della minimizzazione delle sofferenze. L'uso delle staminali per la ricerca nella medicina degenerativa credo che sia il modo migliore per esprimere il rispetto della dignità umana». Osservazioni che certamente non dicono la parola fine a un dibattito che í Lincei vorrebbero tenere separato dalla questione del referendum sulla fecondazione assistita del 12 giugno. Ma se è vero che un membro, subito dopo la lettura del documento, ha urlato «nazisti!», è anche vero che, per reazione a questo tono eccessivo, è poi stato più facile ottenere la maggioranza che ha approvato il documento. ARMANDO MASSARENTI Compromesso raggiunto su due fronti: la libertà di ricerca e l'utilizzo degli embrioni esistenti _________________________________________________ Corriere della Sera 24 apr. ’05 EMBRIONI, LITE SUL PARERE DEI LINCEI Il filosofo Berti: sì alla ricerca, ma andava aggiunto il divieto di produrne altri MILANO - Era inevitabile. Il « sì » dei Lincei alla ricerca sulle cellule staminali embrionali ( 58 voti favorevoli, otto contrari e quattordici astenuti) ha suscitato perplessità e reazioni polemiche. Dentro e fuori l' Accademia. Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, è il più duro. Dice: « Il testo sembra avere lo scopo di influire sull' opinione pubblica e non di promuovere la scienza » . E parla di « strategia unitaria dei referendari » . Anche Riccardo Pedrizzi ( An), presidente della Consulta etico religiosa, prende le distanze: « Il documento non è condivisibile. La proposta di usare gli embrioni già prodotti e crioconservati, con l' argomentazione che altrimenti sarebbero destinati a morte certa, parte da un presupposto sbagliato. Non è vero: quegli embrioni si potrebbero adottare » . Il tema divide gli accademici. Più di quanto non dica l' esito della votazione, difficile e tesa, come quando tra i presenti è volato un « nazisti! » . « Non c' ero, mi trovavo a Catania per un convegno. Ma certamente non avrei votato un documento senza una indicazione precisa scritta e inequivocabile sul divieto di produrre in futuro embrioni destinati alla ricerca. L' epiteto nazista? Non approvo questi eccessi, accuse di questo tipo non rientrano nelle mie abitudini » , spiega Enrico Berti, professore di Storia della filosofia all' Università di Padova. E Paolo Prodi, docente di Storia moderna all' ateneo bolognese, ammette: « Non ho potuto partecipare alla votazione. Ma il discorso sull' uso o meno degli embrioni diventa tecnico e molto limitato. Il tema centrale, di interesse per tutti, è quello della vita stessa » . Giusep pe Zerbi, ordinario di Scienza e tecnologia dei materiali al Politecnico di Milano, è uno degli otto « no » . « Io ero presente - dice - e ho votato contro il documento sulle cellule staminali ricavate dagli embrioni congelati. Ho detto no a un testo blindato e ambiguo che non tutela l' essere vivente » . Ciascun no ha motivazioni articolate e precise. Enrico Berti parla dal punto di vista filosofico. Spiega: « Acconsento in linea di principio, per fini scientifici e terapeutici, all' uso degli embrioni già esistenti e dei quali si sa con certezza che non potranno mai essere messi nelle condizioni di potersi sviluppare. Sarebbe senza senso opporsi » . Però: « L' impiego di embrioni umani per scopi diversi dallo sviluppo e dal bene degli embrioni stessi contraddice un principio fondamentale dell' etica kantiana: " Agisci in modo da trattare l' umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro uomo, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo". E l' embrione è in potenza una persona » . Il sì degli accademici di fatto arriva a poche settimane dall' appuntamento referendario del 12 e 13 giugno, quando gli italiani saranno chiamati a rispondere ai quattro quesiti sulla legge che regola la procreazione assistita. E, letto dai referendari, l' intervento dei Lincei appare di sostegno. Così Marco Cappato, segretario dell' associazione Luca Coscioni, assicura: « Il voto dell' altroieri è un pronunciamento di buon senso. Una conferma della distanza tra la gran parte della comunità scientifica e il legislatore che ha partorito la legge 40. Gli accademici hanno sottolineato con semplicità la contraddizione di una legge che, sacralizzando l' embrione, preferisce che i trentamila embrioni soprannumerari esistenti oggi in Italia marciscano nei congelatori, piuttosto che essere utilizzati per cercare la cura contro malattie » . Per la biologa Raffaella Nicolai la presa di posizione dell' Accademia rispecchia in pieno « l' evidenza scientifica e anche medica: l' embrione non è persona umana » . Su questo, però, tra gli accademici non c' è unanimità. MARCO CAPPATO E' un pronunciamento di buon senso. Gli accademici hanno sottolineato la contraddizione della legge CARLO CASINI Il testo dei Lincei sembra avere lo scopo di influire sull' opinione pubblica e non di promuovere la scienza Serra Elvira _______________________________________ La Nuova Sardegna 22 apr. ’05 CAGLIARI: LA BANCA DELLE STAMINALI Sanità. Un centro per la raccolta delle cellule del cordone ombelicale Grande efficacia nella cura di molte malattie CAGLIARI. Un centro sardo di raccolta e conservazione delle cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale. Il progetto è ambizioso ma l’associazione Osidea, che ci lavora da circa un anno, prevede di poterlo realizzare entro i primi mesi del 2006. L’investimento iniziale per l’acquisto dei macchinari per la conservazione delle cellule sarà di circa quattrocentomila euro. L’associazione Osidea, che conta circa 300 iscritti in tutta la regione, ha già attivato diverse iniziative per la raccolta dei fondi. “L’iniziativa, che abbiamo chiamato “Un progetto per la vita”, è sostenuta da più di 200 soggetti, tra aziende private ed enti locali”, ha spiegato ieri durante una conferenza stampa ieri, la presidente Paola Pinna. “Abbiamo attivato, inoltre, diverse iniziative per la raccolta dei fondi necessari tra cui la pubblicazione di un libro, che si intitolerà GuidaWeb Sardegna, che, oltre a informazioni di varia utilità, fornirà anche informazioni su come fare per donare il sangue del cordone ombelicale nei vari reparti di ostetricia della Sardegna”. Nel centro, che per la parte scientifica sarà gestito dal professor Licino Contu, saranno raccolte le cosidette cellule staminali ematopoietiche che, essendo prelevate dal midollo osseo di individui adulti o dal cordone ombelicale dopo che è stato reciso, non hanno, al contrario delle staminali prelevate da embrioni, controindicazioni etiche. “In Italia esistono già diversi centri in cui sono conservate le cellule staminali prelevate dal midollo osseo o dal cordone ombelicale”, ha detto il professor Contu, “ sono circa 23mila le unità di staminali conservate nel nostro paese. I centri di raccolta maggiori si trovano presso l’Ospedale Maggiore a Milano e l’ospedale di Sciacca in Sicilia”. Prevedere, oggi, le potenzialità dell’uso delle staminali nella cura delle più disparate patologie non è possibile. Certamente i risultati ottenuti fino ad ora sono strabilianti, “le ricerche ed i risultati raggiunti”, ha continuato Licino Contu, “dimostrano la grande efficacia e versatilità di utilizzo delle cellule staminali. È stato dimostrato, per esempio, che, nei trapianti effettuati con l’uso di staminali, diminuisce il rischio di rigetto. Da alcuni anni, inoltre, è praticata con successo in vari campi la cosidetta terapia cellulare rigenerativa, che consiste nella rigenerazione delle cellule morte stimolata dall’iniezione di staminali. Un esempio recente è la cura dei soggetti colpiti da infarto: l’iniezione di cellule staminali intorno alla porzione del cuore colpita da infarto, quindi non più funzionante, permette la ripresa, almeno in parte, della funzionalità cardiaca”. “La Sardegna, dove è altissimo il tasso di persone colpite da malattie neurologiche degenerative (come la sclerosi multipla) e patologie del sangue, non può rinunciare a questa opportunità”, ha concluso il professor Contu, “l’auspicio è quello di riuscire, quanto prima, a realizzare il centro di raccolta e conservazione delle staminali prelevate dal cordone ombelicale. Successivamente sarà necessario avviare un percorso con le istituzioni per decidere se utilizzare questa risorsa solo a fini di ricerca o se, come io mi auguro, sarà possibile, anche in Sardegna, utilizzarla a fini terapeutici”. Luca Clemente _______________________________________ L’Unione Sarda 20 apr. ’05 MARCHI: AL CIVILE LAVORI IRREGOLARI "Signor sindaco, le sarei grato se volesse confermarmi se è normale il fatto che l'Azienda Usl numero 8 possa essere, tramite i suoi progettisti, il soggetto proponente un progetto edilizio e contemporaneamente il soggetto che assume l'iniziativa e la responsabilità tecnica di una variante al piano urbanistico per rendere attuabile il progetto stesso". Firmato Giampaolo Marchi, cioè l'ex assessore all'Urbanistica. Che a due mesi di distanza dal blitz in consiglio comunale, quando si accomodò in tribuna e distribuì volantini con denunce di presunte irregolarità nella ristrutturazione del San Giovanni di Dio, torna sull'argomento con un dossier di 12 pagine in cui ribadisce formalmente e dettagliatamente le stesse denunce. E ne aggiunge altre, più gravi. Marchi 2, la vendetta. Il plico, protocollato il 12 aprile, è indirizzato al sindaco, al presidente del consiglio, ai capigruppo di tutti i partiti politici, al segretario generale, al coordinatore d'area dei servizi urbanistici e al dirigente dell'edilizia privata. Un documento al veleno, una resa dei conti. L'ex assessore, docente alla facoltà di ingegneria, rileva presunte irregolarità nella delibera, come la sistemazione di un Bancomat nel prospetto dell'ospedale disegnato da Gaetano Cima, vincolato come patrimonio storico-artistico. Poi accusa il sindaco di non averlo difeso in due circostanze importanti. La prima è un presunto ricatto da parte dell'ex direttore generale della Asl 8. "Un giorno, davanti al sindaco, si discuteva di quel progetto. Io ero contrario, lui mi esortò ad andare avanti, così avrei scongiurato blitz dei vigili sanitari negli uffici comunali. Tutto questo", scrive Marchi, "è avvenuto nella sede comunale di via Sauro alla presenza dei dirigenti dell'assessorato all'urbanistica e dell'edilizia privata, senza che il sindaco mi difendesse, tanto che lasciai la seduta". Un episodio simile, lo scontro con il rettore Pasquale Mistretta per l'opposizione di Marchi alla sopraelevazione di alcuni edifici della facoltà di ingegneria, determinò qualche tempo dopo le sue dimissioni. Marchi ora fa capire che tutto aveva un senso, che c'era l'obiettivo di eliminarlo. La prova sarebbe nel fatto che uno dei co-progettisti dell'intervento all'ospedale civile da lui contrastato è Gianni Campus. Il suo successore all'assessorato. "Il suo non fu affatto un ruolo marginale perché trattandosi di un intervento di ridefinizione delle caratteristiche architettoniche dell'edificio, la competenza professionale dell'architetto è per legge esclusiva". Campus, per inciso, non commenta. Commenta il sindaco. "Non entro nel merito delle osservazioni tecniche e, per il resto, dico che io e Marchi avevamo già parlato di queste cose. Ma evidentemente c'è, da parte sua, un desiderio di rivalsa nei confronti del suo successore. Inoltre lamenta scarsa protezione da parte mia in occasione di un episodio in cui si alzò molto la voce e quando si alza la voce succedono due cose: chi la alza fatica a collegare lingua e cervello e dice cose sbagliate e chi ascolta non sente bene ciò che si dice. Detto questo", conclude il sindaco, "il fatto che Marchi ne parli ancora non mi fa piacere". (f. ma.) _______________________________________ L’Unione Sarda 19 apr. ’05 PRIMO GIORNO DI GUMIRATO IN SELLA ALLA ASL 8 Insediato il nuovo direttore generale che da ieri guida l'Azienda sanitaria da 6500 dipendenti Il nuovo direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato si è insediato ieri pomeriggio nell'ufficio al sesto piano della palazzina tra via Peretti e via Piero Della Francesca. Giunto nell'Isola di primo mattino, il neo manager si è intrattenuto prima con l'apparato amministrativo dell'assessorato, in via Roma, prima di incontrare nel primo pomeriggio Nerina Dirindin. Alle 16 e 30 ha riunito i dirigenti della Asl più grande che abbia diretto (7 ospedali, 6500 dipendenti, bilancio da 660 milioni, 53 di passivo) per un primo approccio di conoscenza di persone e atti e per fare il punto della situazione. Incontri che proseguiranno oggi e che precederanno un tour negli ospedali della galassia: il San Giovanni di Dio, il Santissima Trinità, il Businco, il Binaghi, il Microcitemico, il Marino e il San Marcellino di Muravera. Non si conosce la durata del contratto che ha firmato, se - cioè - è triennale (il minimo) o quinquennale (il massimo). Nei prossimi giorni sarà presentato alla stampa e traccerà le linee fondamentali del suo mandato. Nato a Camposampiero (Padova) quarant'anni fa, dopo la laurea in Scienze Politiche ha terminato il percorso di specializzazione post universitario alla London School of Economics, nel 1992 ha lavorato per 6 mesi presso il New York Downtown Hospital, come consulente dell'Executive Board sulla definizione del progetto di fusione tra il Mount Sinai Health System ed il New York Univeristy Hospital. Direttore amministrativo tra il 2000 e il 2002 all'Azienda sanitaria locale di Viterbo e, successivamente, alla Asl di Piacenza (2002 ? 2004), prima di approdare a Chioggia, dove ha lavorato sino a pochi giorni fa. Nei due anni di lavoro a Piacenza, si legge nel sito della Asl, «Gumirato ha modificato procedure amministrative, definito il Piano strategico 2002-2004 e, al suo interno, del Piano di rientro, che ha riportato l'Azienda in condizioni di stabilità e ha consentito il recupero di risorse per attuare obiettivi di sviluppo, e del piano di investimenti, per un valore di circa 90 milioni di euro, con l'attivazione di nuovi cantieri che, al momento, hanno già visto la realizzazione di molti interventi. Come direttore amministrativo», si legge ancora, «ha avuto un ruolo determinante nella definizione del piano di organizzazione aziendale ed ha realizzato la riorganizzazione dell'area amministrativa e tecnico professionale anche portando a conclusione numerosi accordi sindacali per la dirigenza e il comparto». ___________________________________________________________ Libero 24 apr. ’05 LEGGERE NELLA MENTE ALTRUI? NON È PIÙ FANTASCIENZA Esperimento riuscito: con la risonanza magnetica e un software è possibile decifrare le immagini che vediamo LONDRA - Questa volta non è fantascienza. È stato messo a punto un metodo per leggere nella mente degli altri. Per ora, è possibile ricostruire cosa vedono, catturando anche le immagini di cui non si ha memoria. In futuro, potrebbe essere adattato per "decifrare" anche altre sensazioni, come quelle prodotte dal cibo o da un odore. È il risultato ottenuto da due studi, indipendenti pubblicati sulla rivista "Nature NeuroSience". Le :ricerche, una giapponese, statunitense, l'altra inglese, hanno utilizzato il computer per analizzare i: tracciati dell'attività elettrica della corteccia visiva ottenuti con la risonanza magnetica funzionale (fMRI). I ricercatori hanno scoperto che i dati della fMRI, "decodificati" grazie all'aiuto di speciali programmi informatici, permettono di coni rendere non sola ciò che il soggetto vede consapevolmente, ma anche quello che ha guardato senza rendersene conto. Nel primo studio Xuchiyasu Kamitani, dell'ATR Computational Neuroscience Laborataries (Kyoto), e Frank Tong, della Princeton University, hanno fatto vedere a quattro volontari immagini di linee orientate in otto diverse direzioni. Contemporaneamente, veniva registrata l'attività cerebrale della corteccia visiva e un computer analizzava i dati in modo da stabilire, per ogni immagine, quale fosse il tipo di tracciato prodotto dalla fMRI. Successivamente, i ricercatori hanno dimostrato che era possibile capire quale fosse l'immagine osservata, semplicemente analizzando al computer i dati della fMRI. Nel secondo studio John-Dylan Haynes e Geraint Rees, dell'University College di Londra, hanno utilizzato la stessa tecnica per decifrare l'orientamento delle immagini osservate da sei volontari. Inoltre, hanno mostrato due immagini in sequenza, separate da un intervallo così ristretto che i volontari zronsiaccorgevano della prima ed erano convinti di averne vista solo una, cioè la seconda. L'analisi dei tracciati della fMRI permetteva di "indovinare" non solo la seconda immagine osservata dai volontari, ma anche la prima. _______________________________________ L’Unione Sarda 22 apr. ’05 LA MEMORIA, IL NOSTRO MAGAZZINO DEL SAPERE Vi sarà certamente capitato di non ricordare il nome d'una faccia conosciuta, o anche di chiedervi se quella faccia l'avevate già vista o se era soltanto un falso ricordo. Così, vi sarà anche accaduto di dimenticare il numero di telefono o la data di compleanno d'un caro amico, di comprare al supermercato le mele che avevate deciso di acquistare prima di uscire di casa con la lista della spesa in mente, il cassetto o l'angolino di casa dove avevate depositato quelle sciagurate chiavi della macchina che sempre si nascondono quando avete fretta, il titolo del libro che volevate regalare a qualcuno e che al momento dell'acquisto vi scivola sulla punta della lingua, senza tuttavia recuperarlo. La memoria è durante tutta la vita la vostra compagna più assidua, nel bene e nel male. Essa può essere amica e agevolarvi nello studio, nello svolgimento di mille impegni quotidiani, nel successo. Ma può esservi anche nemica, e come il lupo di Capuccetto Rosso approntarvi cento trappole per impedirvi di riuscire nella carriera, di superare la giornata senza contrattempi, o persino di sopravvivere. Prontezza di riflessi, agilità di moto e di parola, sveltezza nell'apprendimento, abilità nella comprensione e nella formulazione dei pensieri nonché nell'interazione sono tutte qualità che derivano in ultima analisi da una memoria sana e allenata. Per contro, lentezza di reazioni, difficoltà nell'imparare e nell'esprimersi, inibizione nel comunicare sono tutti degli handicaps legati a una memoria debole o in sfaldamento. I filosofi greci, latini, medievali e moderni, i linguisti, gli psicologi e i medici si chiedono da secolo come sia fatta questa facoltà cognitiva superiore dell'uomo, che a qualche filosofo greco sembrava come una gabbia con tanti uccellini che potevano scappare per non più ritornare. I neuroscienziati hanno ormai dimostrato, con la sperimentazione con gli animali (dai soli topi, alle api o ai gabbiani) e con i test clinici e psicologici nell'uomo, che la memoria rappresenta invero una complessa batteria di risorse con funzioni differenziate e dislocazioni diversificate nel cervello. Così, è stato appurato che dopo aver visto una faccia nuova e aver sentito un numero di telefono o letto più parole da ritenere, c'è un primo processo di elaborazione mentale (gli inglesi lo chiamano encoding ?codifica') che innesca una cosiddetta memoria di lavoro, la quale dura pochissimo tempo, ma ha un'enorme incidenza sulle attività quotidiane di appercezione e di riconoscimento di dati nuovi o di semplici azioni che richiedono una sensibile agilità mentale, quale può essere l'attraversamento d'un incrocio senza rischiare un incidente, che invece capita a chi dimentica di aver visto una macchina provenire dalla sua sinistra dopo che si è voltato a destra e non ne ha vista nessuna. Studi recenti su bambini con disturbi specifici del linguaggio e su adolescenti che abbandonano la scuola riconducono a una scarsa memoria di breve termine o di lavoro verbale le loro insufficienti prestazioni nella comprensione dei testi scolastici, e dunque nell'avanzamento degli studi. I nuovi dati che percepiamo e codifichiamo, li immagazziniamo in una memoria di lungo termine, un serbatoio che serve a mantenere attive le nostre conoscenze sul mondo e sulle cose che ci circondano e che abbiamo conosciute o apprese in passato. La memoria di lungo termine garantisce il consolidamento (ingl. storage) delle informazioni, ed è perciò vitale nell'apprendimento e nella vita scolastica. Da questa memoria di lungo termine si ripescano (in un processo che in inglese si chiama retrieval) i dati necessari per organizzare tutti i compiti che quotidianamente ci impegnano con la mente, dallo studio al lavoro. Ora, una delle cose più curiose che la psicologia ha scoperto negli anni Cinquanta è che questa memoria è indipendente dalla prima, sia su un piano funzionale che neuroanatomico. Ci sono persone che in seguito a traumi, ictus o etilismo cronico (sindrome di Korsakoff) non ricordano fatti lontani, o hanno difficoltà a riconoscere o leggere delle parole ben note. E ci sono altre persone che per un diverso tipo di lesioni cerebrali o di difetti genetici ricordano bene le cose lontane, ma non riescono a ritenere le nuove informazioni, né ad apprendere nulla. Studi sulle amnesie provocate da lesioni vascolari in diverse aree del cervello (afasie), a patologie neurodegenerative (morbi di Alzheimer, Parkinson, Huntington) o a malattie genetiche (sindromi di Down, Williams, X-fragile) hanno fatto capire agli scienziati che la memoria di breve termine è prevalentemente dislocata nella parte anteriore dell'emisfero sinistro, mentre quella di lungo termine appare concentrata nelle aree temporale e posteriore. Con strumenti molto moderni di radiologia, quali la TAC o la Risonanza Magnetica (funzionale), i neuropsicologi sono riusciti anche a individuare le due memorie durante diversi compiti, quali ripetere una lista di parole o un numero di telefono, o anche ricordare episodi del passato e identificare il significato di parole e frasi. Molti sono gli aspetti individuati e molti sono ancora quelli che rimangono opachi, ma lo studio della memoria rappresenta sempre di più per la ricerca psicologica e medica un compito importantissimo nella diagnosi e nella prevenzione, come due soli esempi possono confermare. Nella malattia di Alzheimer i sintomi più precoci dei pazienti sono soltanto di carattere cognitivo, sicché una tempestiva valutazione della perdita della memoria può rivelarsi molto rilevante per una sicura diagnosi. Nei bambini con disturbi specifici di apprendimento recenti studi hanno riscontrato una non solida memoria di lungo termine, con una memoria operativa oscillante, non sempre deficitaria. Questa scoperta ha dato vita a un acceso dibattito in campo internazionale sulla peculiarità d'un disturbo che, spesse volte, si conclude con l'abbandono scolastico, una piaga particolarmente insidiosa in Sardegna. Se si potesse dimostrare con totale sicurezza che chi abbandona la scuola l'ha fatto per altri motivi, anche per un senso di frustrazione nell'apprendimento, di acquisita consapevolezza dei suoi limiti di memorizzazione, si potrebbe intervenire tempestivamente sin dalle prime classi con affinate strategie di allenamento e di potenziamento della memoria. La memoria continua ad essere un enigma dentro la scatola di Pandora in cui essa si ritrova racchiusa: la mente umana. Edoardo Blasco Ferrer ___________________________________________________________ il Giornale 23-04-2005 TUTTI I VANTAGGI DELL'ECOENDOSCOPIA L’ ecoendoscopia é l'esame ecografico del tratto gastrointestinale condotto per mezzo di una piccola sanda ecografica incorporata nel puntale di un endoscopio; definito ecoendoscopio. Introdotta all'înizio degli anni Ottanta, è utilizzata per individuare elo caratterizzare , lesioni del tratto gastrointestinale súperiore, linfonodi circostanti, pancreas, albero biliare, così come disordini del tratto gastrointestinale inferiore (principalmente retto). Parliamo di questa metodica.con il dottor Alessandro Zambelli, direttore della gastroenterologia dell'Ospedale -di Crema e presidente della Federazione italiana delle malattie dell'apparato digerente e con la dottoressa Elisabetta Buscarini. «L'ecoendoscopia, che ha avuto una diffusione recente ed ancora limitata in Italia, ha un impatto molta importante nella gestione dei pazienti, poiché è in grado di effettuare una nuova diagnosi o dì cambiare le successive decisioni terapeutiche in una consistente percentuale di pazienti. L'elevato potere di risoluzione di questa metodica consente di scoprire lesioni, anche di dimensioni millimetriche, negli organi studiati. Nella patologia biliare e pancreatica in particolare, l'ecoendoscopia si è dimostrata superiore ad altre metodiche di ultima generazione, come la Tac multistrato o la calangiografia in risonanza, quando si tratta di diagnosticare lesioni di piccole dimensioni: dal piccolo tumore pancreatica, al calcolo situato nella via biliare. Anche i nostri studi hanno dimostrato che nel paziente con sospetta calcolosi del1a via biliare l'esecuzione di un'ecoendoscapia permette di verificare con elevata accuratezza la presenza o l'assenza di calcoli, evitando il ricorso ad esami invasivi. L'ecoendoscopia svolge un ruolo cruciale per la stadiaziane dei tumori del tratto gastrointestinale, del pancreas e della via biliare e per la diagnosi differenziale dei tumori sattomucosi. La metodica è in grado di visualizzare gli strati che compongono la parete gastrointestinale, dalla mucosa alla tonaca sierosa, permettendo una chiara analisi della profondità di penetrazione delle lesioni nella parete stessa. L'esame ecoendascopico può essere anche eseguito utilizzando minisonde ad elevata frequenza, introdotte attraverso il canale operativo di un normale endoscopia. Con queste è possibile studiare piccali tumori della parete del tubo digerente, e definire se sono ad uno stadio così precoce (e cioè se la loro penetrazione é ancora limitata alla mucosa) da poter essere asportati endoscopicamente; il vantaggio è quindi rappresentato dalla possibilità di curare il tumore in stadio precoce senza necessità di ricorrere all'intervento chirurgico, ___________________________________________________________ Libero 19 apr. ’05 CANCRO AL COLON, SCOPERTA LA CAUSA Scienziati italiani hanno individuato l'enzima che disattiva il gene bloccatumori di ALESSANDRO GNOCCHI PADOVA - È un enzima il responsabile del cancro al colon. Si chiama Ecto ed è stato individuato da un gruppo di ricercatori (diretti dal professor Stefano Piccolo) del dipartimento di Biotecnologie dell'Università di Padova. La scoperta arriva dopo alcuni anni di ricerca finanziata con 440 mila curo da Telethon e Airc. L'annuncio è stato dato ieri a Padova, nel corso di una conferenza stampa, dallo stesso professor Piccolo: «Finora - ha detto il professore - si sapeva che questa patologia si manifestava quando la cellula perdeva l’oncosoppressore, chiamato Smad 4, ma non sapevamo come e perché questo avvenisse». Smad4 é il gene oncosoppressore delle cellule intestinali, cioè il gene che contrasta l'insorgenza di tumori controllando la corretta proliferazione delle cellule. L'enzima "Ecto" lo disattiva e quindi rende possibile la comparsa del cancro al colon. Stefano Piccolo è partito da studi su cellule dell'embrione di un rospo molto utilizzato in biologia. Il team ha quindi individuato l'enzima Ecto e ha scoperto che attacca e neutralizza appunto l’oncosoppressoxe Smad 4. Le cellule delf3ittestino, di conseguenza, proliferano senza controllo. Si aprono quindi nuovi scenari per la ricerca e soprattutto per la terapia, anche se la strada per una applicazione pratica della scoperta é ancora lunga. Il prossimo passo sarà capire perché l’Ecto, presente nelle cellule staminali del colon per permettere il rinnovo dell’epitelio nel tessuto che riveste l'intestino), improvvisamente superi la quantità fisiologica prevista. L'incremento anormale causa l’inibizione del - freno del cancro-, Smad 4, «mettendolo a tacere», ha precisato Piccolo. A questo punto le cellule dell'intestino proliferano in maniera errata. Il secondo Casso sarà scoprire come bloccare l’attività di Ecto. Obiettivo che si può raggiungere studiando le cavie da laboratorio, topi geneticamente modificati che possano sviluppare il cancro umano. Quando i due problemi saranno risolti si potrà realizzare un farmaco altamente «specifico ed intelligente» in grado di fermare il meccanismo demolitivo. Secondo Piccolo ci vorranno almeno dieci anni con investimento di almeno dieci milioni di curo. Il professor Giorgio Palù, preside della facoltà di Medicina e Chirurgia, ha auspicato che gli studi si possano svolgere nei laboratori in via di realizzazione nell'ex area dell'Istituto zooprofilattico. I risultati della ricerca sono stati pubblicati da "Cell", una delle più prestigiose riviste scientifiche di biologia. ___________________________________________________________ LA NUOVA SARDEGNA 19 apr. ’05 TRICHINOSI: LA LARVA CHE VIENE DALLA CORSICA Orgosolo, allarme trichinosi: dieci ricovera Dolori muscolari lancinanti e febbre altissima dopo aver mangiato salsicce di Nino Bandinu ORGOSOLO. Come o peggio della lingua blu. Allarme epidemia a Orgosolo dove una famiglia è stata colpita da un morbo sconosciuto in Sardegna: si chiama «Trichinosi», viene dalla carne di maiale, e può colpire gli uomini. A volte anche mortalmente. L'allarme rosso è scattato ieri mattina nel paese del Supramonte. Un'intera famiglia è stata assalita da febbri altissime e da lancinanti dolori muscolari. Erano in tutto una decina: padre, madre, alcuni figli adulti, e quattro bambini ancora in tenerissima età. Tutti avevano consumato, come altre volte, le salsicce fatte in casa, e subito dopo si sono sentiti male: hanno accusato dolori lancinanti ai muscoli, con nausea e febbre altissima. Immediata la visita medica sul posto con conseguente ricovero d'urgenza all'ospedale «San Francesco» di Nuoro. La prima notizia è trapelata dal vicinato, piuttosto allarmato per l'inconsueto via vai che stava interessando la famiglia colpita. Poi questa è stata confermata dai medici dell'ospedale nuorese. «E' trichinosi, non c'è dubbio», ha detto Piero Mesina, responsabile dell'Unità operativa Malattie infettive. Dopo le visite sanitarie, le analisi e le prime cure, quasi tutti i pazienti, però, sono stati subito dimessi. Evidentemente si trattava di casi leggeri. Nessun rischio, dunque. Più complicato invece il caso dell'unico ricoverato, rimasto ancora sotto osservazione nel reparto di Malattie infettive. Il caso clinico, piuttosto atipico, alle prime ha impressionato moltissimo anche i medici che si sono rivolti all'Istituto nazionale della Sanità dal quale hanno avuto conferma della diagnosi. Era Trichinosi, anche per Roma: un morbo mai manifestatosi prima in Sardegna. Foriero, nei casi più acuti, anche di morte. Allo stesso Istituto nazionale i medici dell'ospedale di Nuoro hanno pure spedito dei «campioni biologici» per una conferma di laboratorio. Il responso arriverà tra breve, ma al San Francesco danno ormai per scontato il risultato. La notizia della prima infezione epidemica si è diffusa come un lampo in tutta Orgosolo, dove si è cominciato a discutere sulle possibili e gravi ripercussioni, non soltanto sulla salute umana, ma anche sulla economia familiare e di sopravvivenza della Barbagia. Se non addirittura nell'intera Sardegna. Come per la lingua blu, infatti, ora anche per la Trichinosi potrebbero scattare drastiche restrizioni e rigidi vincoli, che potrebbero portare al collasso il settore dell'allevamento suino. Talvolta la malattia può essere mortale anche per l'uomo _______________________________________ L’Unione Sarda 19 apr. ’05 TRICHINOSI: AL BANDO LE SALSICCE FATTE IN CASA Orgosolo. Appello dei veterinari della Asl per la consegna volontaria dei prodotti Rischio trichinosi, controlli a tappeto su tutte le carni suine Stop alle salsicce fatte in casa. Passeranno ai raggi ics, assieme alle carni di maiale, fresche o congelate. Tutta colpa della trichinosi, malattia da cui storicamente la Sardegna è rimasta immune fino a pochi giorni fa quando dolori muscolari e febbre alta hanno mandato all'ospedale un'intera famiglia di Orgosolo. Padre, madre, tre bambini di età compresa tra i sei e i dodici anni, la nonna e una cugina di Lanusei hanno mangiato una salsiccia buona, ma infetta. Era stata confezionata con la carne di un maiale allevato allo stato brado nel Supramonte. Ieri l'istituto zooprofilattico di Cagliari ha confermato i primi sospetti: in quella salsiccia c'è la presenza di trichine o trichinelle, larve pericolose, visibili solo al microscopio, che possono causare febbre, diarrea, coliche addominali, ingrossamento dei linfonodi, dolori muscolari e condurre fino alla morte. La famiglia di Orogosolo ha trascorso alcuni giorni nel reparto di malattie infettive di Nuoro; la parente, che ha ricevuto in dono le salsicce, è stata ricoverata a Cagliari. Ora, per evidenti motivi di sanità pubblica, è pronto un avviso pubblico del sindaco: in accordo con i vertici della Asl, chiede la collaborazione degli orgolesi, ovvero la consegna volontaria d'ogni tipo di carne, fresca, trattata o congelata. Unica eccezione i prodotti dei suini macellati regolarmente nei mattatoi, sotto il controllo dei veterinari. In questo caso non c'è nessun rischio anche perché l'esame sulle trichine è di routine. «Dobbiamo difendere la saluta umana, serve la collaborazione di tutta la popolazione di Orgosolo e degli altri paesi della provincia; bisogna fare i prelievi e verificare l'eventuale presenza delle trichine», sottolineano il direttore del dipartimento di prevenzione della Asl Michele Pira, il responsabile del servizio igiene degli alimenti di origine animale Franco Secchi e il direttore dell'Istituto zooprofilattico Tonino Firinu. Raccomandano di non disfarsi della carne, neppure di quella congelata, o della salsiccia abbandonandole in campagna perché si potrebbe alimentare il ciclo del contagio. Tutti i prodotti saranno raccolti in alcuni siti per essere, comunque, distrutti. Al di là dell'esito delle analisi, infatti, si tratta di carni illegali che hanno seguito i canali della macellazione clandestina. Gli esperti nuoresi temono che il caso di Orgosolo non sia isolato. Si interrogano sull'origine del contagio. L'ipotesi privilegiata porta in Corsica. Un anno fa, infatti, un caso analogo si è verificato lì. Ed è plausibile ritenere che tra l'isola e Orgosolo ci siano stati scambi che abbiano reso possibile l'arrivo del parassita. Difficile per ora definire meglio la vicenda. Gli allevamenti di Orgosolo seguiti dai veterinari sono davvero pochi. La gran parte, per via della peste suina africana, sfugge al controllo ufficiale. Ma, vista com'è andata alla famiglia vittima della trichinosi, l'indagine conoscitiva è necessaria. Nell'arco di un mese gli esperti contano di poter provvedere agli accertamenti su 200-300 allevamenti. Purché arrivi l'attesa collaborazione. Il fenomeno non è ristretto ai suini: si allargherebbe a tutti i carnivori che abitano i boschi, dai cinghiali alle volpi, dai topi ai cani. Soprattutto, però, bisogna fare i conti con i maiali allevati per le necessità familiari e macellati lontano dagli occhi del veterinario. Quella tradizione rischia di rivelarsi una pericolosa trappola. Marilena Orunesu ___________________________________________________________ Libero 24 apr. ’05 IN ITALIA SEMPRE MENO CASI DI TUMORE AL SENO CHI DICE DONNA di PATRIZIA MARIN Con questi chiari di luna, tra Governo ed opposizione, è meglio pensare alla salute, almeno da qui arriva qualche notizia positiva. Da Genova, lunedì, la notizia che di cancro al seno si muore sempre meno. Oggi, in Italia, 8 malate su 10 riescono a vincere il tumore, 9 di queste evitano le mutilazioni di un tempo. Dati incoraggianti, che non ci devono far abbassare la guardia. Il cancro al seno resta la prima causa di morte fra le donne dai 35 ai 44 anni. Uno spettro tragico, ché quando colpisce terrorizza e disorienta. È necessario prevenire, intervenire precocemente, ma quando capita, oltre a curarsi bisogna aiutare le donne malate di cancro al seno a sdrammatizzare, se si può anche a ridere. Con questo obiettivo Marisa Marchetti, disegnatrice della rivista femminile "Glamour", ha voluto affrontare e rivivere con umorismo la tragedia di cui lei stessa è stata vittima, attraverso un fumetto-diario di sei pagine, intitolato "cancer vixen", ovvero superfemmina col cancro. La Marchetti - dalla prima mammografia alle sedute di chemioterapia e radioterapia - fa la cronaca della lotta di 11 mesi contro il cancro al seno, mettendo in scena il rapporto controverso con la madre e con Dio («ehi tu, lassù, come hai potuto farmi fare la sposa malata e calva?»). Nella striscia Vixen sposa il suo compagno di lunga data e si diletta con le pratiche della cabala, ma non manca di ironizzare con le altre malate, tutte con la testa rasa coperta di fazzoletti colorati, che partecipano con lei a una serata per la raccolta di fondi per le vittime di cancro al seno. Tornando al problema, a Genova, è stato detto che integrando prevenzione, chirurgia soft, radioterapia e farmaci intelligenti, quasi tutte le donne vittime di cancro al seno possono risolvere il problema in soli due giorni d'ospedale. Unico neo, grave, sono i nuovi medicinali ormonoterapici, indispensabili alla guarigione della maggior parte delle pazienti, che hanno prezzi fino a 15 volte superiori al vecchio tamoxifene: A lanciare l'allarme sono gli esperti dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), riuniti ai Magazzini del cotone per la X Conferenza nazionale della società scientifica. Sempre dal capoluogo ligure l'associazione da il via alle attività della Fondazione Aiom per la ricerca indipendente, guidata dai past president della società scientifica. L'obiettivo è raccogliere fondi per studi promossi da centri oncologici o liberi gruppi di specialisti. Pur nella tragedia, vi sono tuttavia dati confortanti, evidenziati dai professori Umberto Veronesi, pioniere della chirurgia conservativa e direttore scientifico dell'istituto europeo dì oncologia (Ieo) di Milano. Se dal 2000 al 2002 i nuovi casi di cancro al seno in Italia sono aumentati da 32.037 a 36.634 l'anno, le morti sono scese da 11.902 a 11.345, ancora al quarto dato dopo Germania, Regno Unito e Francia. Amiche, non abbassiamo la guardia. Prima di tutto la prevenzione. Se del caso, intervento tempestivo, e magari qualche sorriso in più. Sdrammatizzare aiuta a guardare con fiducia alla vita. ___________________________________________________________ Libero 22 apr. ’05 L'AUTISMO INFANTILE IN PREOCCUPANTE CRESCITA Il fenomeno è trascurato dagli adulti ma nella sola Roma ne soffrono più di 8mila bambini JACOPA STINCHELLI Secondo diverse onlus che si occupano di sensibilizzare non solo le istituzioni, ma anche il mondo medico e la comunità intera nei confronti dell'autismo infantile, l'incidenza di questa patologia sarebbe fortemente in crescita, tanto da esigere un intervento tempestivo e mirato. In una capitale come Roma ad esempio, i casi di autismo potrebbero aggirarsi intorno agli 8400 (secondo la stima di Autismo e Futuro), mentre secondo l’ Autism and Communications Disorder Center dell'Università del Michigan, su 200 bambini uno sarebbe autistico. Nei confronti dell'autismo non si può nicchiare, oltre a essere un problema medico irrisolto, è un problema che riguarda il mondo adulto: le strutture scolastiche, ospedaliere e familiari. Gli autistici crescono e in assenza di terapie, medici e istituti che siano in grado di prendersene cura, aiutandoli a crescere e ad avere un futuro (come auspica Antonio Altomari, presidente di Autismo e Futuro), gravano, spesso tragicamente, all'interno dei nuclei familiari, senza prospettive di miglioramento. L'Italia è molto indietro rispetto a paesi come l'Inghilterra, la Spagna e la Germania. Mancano centri terapeutici in grado di accogliere gruppi numerosi di pazienti, suddividerli secondo la gravità e combinare diverse terapie, tra cui l’ippoterapia e la delfinoterapia, ad esempio. Individuare in tempo la sofferenza autistica, prima dei 3 anni, può voler dire molto, insieme al fatto di essere seguiti da pedagoghi pazienti ed esperti. In Italia, invece, aumentano a dismisura i convegni di neurologia, neuropsichiatria e psicoterapia dedicati all'autismo. L'interesse per l'aspetto teorico della clinica dell'infanzia è mosso da una questione necessaria: cosa testimonia la sofferenza autistica dell'umano? È una questione di conoscenza medica del corpo e della psiche. I due aspetti, pur così diversi, non si escludono a vicenda. Chi annovera l'autismo tra i "disturbi del neuro sviluppo", insieme alla ADHD (l’ipercinesi),, al ritardo nella capacità di parlare e ad altri "ritardi nell'apprendimento e nella motilità, preferisce prendere in considerazione una causa organica. Ma il reperimento di una causa organica precisa non è ancora avvenuto, come anche quello di un farmaco che elimini il mistero dell'autismo. Se la sofferenza invoca un intervento risolutivo, la nostra impotenza ha ancora molto da imparare dagli autistici. _______________________________________ La Stampa 20 apr. ’05 PIÙ ATTENZIONE AL LATTE DI CAPRA DAL PUNTO DI VISTA NUTRIZIONALE HA MOLTE PROPRIETA’ INTERESSANTI RECENTI studi rivelano le interessanti caratteristiche nutrizionali del latte di capra, un prodotto sinora definito «di nicchia», quasi esclusivamente gustato come formaggio (in Francia sono famosi i formaggi «chevrotin», mentre in Italia, stranamente, i latticini caprini sono confezionati con latte bovino). Nel latte di capra la percentuale di caseina alfa 1 è molto bassa, più o meno come al latte umano, dove la caseina alfa 1 (ad elevato potere allergizzante) è assente e comporta la formazione di un coagulo più soffice e più rapidamente attaccato dai succhi gastrici. Uno studio sugli aminoacidi liberi ha evidenziato un’elevata percentuale di taurina: questo aminoacido svolge un ruolo importante sull’accrescimento e sullo sviluppo cerebrale dei bambini. Anche la frazione lipidica è più digeribile, sia per le ridotte dimensioni dei globuli di grasso, sia perché è più ricca di acidi grassi a catena corta e media (acido caproico, caprilico e caprico) che permettono un maggior coefficiente di assorbimento intestinale rispetto al latte vaccino. Secondo alcuni studi presentati a Udine al convegno della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, gli acidi grassi a catena corta inibirebbero l’accumulo di colesterolo nei tessuti favorendone la mobilizzazione dai depositi. La frazione lipidica del latte di capra è caratterizzata inoltre da un elevato contenuto in CLA (acido linoleico coniugato), molecola cui sono riconosciute proprietà anticancro ed attività protettive per patologie connesse con il diabete e l’apparato cardiovascolare. Per quanto riguarda le vitamine, bisogna tener presente un buon contenuto del gruppo B e un minor quantitativo di acido folico e B12, per cui un consumo esclusivo e protratto di latte di capra richiede un’integrazione. Per gli elementi minerali va sottolineato un ricco contenuto di calcio, fosforo, potassio, magnesio, per cui nei bambini alimentati con latte caprino è emersa una miglior compattezza del tessuto osseo. Tra i latti destinati all’alimentazione dell’infanzia sono approvati dalla normativa vigente il latte vaccino idrolisato e le formulazioni di soia o di riso adattate. Nessun riferimento viene fatto al latte di capra, che rivela invece interessanti possibilità di impiego soprattutto come alternativa nelle intolleranze alle proteine del latte vaccino (sotto controllo medico, per evitare il rischio di reazioni crociate). Il latte di capra avrà senz’altro un futuro perché, migliorando le conoscenze, sarà possibile un recupero di aree montane e zone rurali semiabbandonate, uno sviluppo di piccole e medie aziende casearie, la valorizzazione di latticini e formaggi squisiti. Ovviamente sarà necessario puntare sulla qualità, aggiornare le normative, classificare le razze, chiarire il quadro microbiologico, migliorare le tecniche di allevamento con possibilità di accedere ad aiuti comunitari. Va ricordato che nella preistoria il primo latte munto fu quello di capra, prima ancora di quello di pecora, e probabilmente l’arte casearia fu applicata inizialmente al caprino. Il successo del latte bovino si deve a motivi economici (maggior facilità di ottenere grandi quantitativi) e al legislatore, che non ha mai prestato attenzione al problema: ancora oggi vige un Regio Decreto del 1929 che prevede l’esclusione dal pascolo delle capre dalle zone boschive, e un contenuto di grasso non inferiore al 3,25%, mentre il latte di capra della razza Saanen ha un contenuto medio di grasso del 3%. Renzo Pellati _______________________________________ Repubblica 20 apr. ’05 DOPPIA MICROCAMERA NELLA CAPSULA ENDOSCOPICA In sperimentazione la nuova "pillola" da 200 scatti al secondo: ma il passaggio è sempre troppo veloce L'alta tecnologia diagnostica si perfeziona. Lunga due centimetri e spessa uno, doppia microcamera alle estremità, la capsula endoscopica attualmente in fase sperimentale, assicura 200 fotogrammi al secondo. Niente a che vedere con la precedente che, dotata di una sola microcamera, di scatti ne poteva fare solo due al secondo. Messa a punto per sostituire il classico endoscopio a tubo flessibile la capsula, che si deglutisce come una compressa, è in grado di fotografare la mucosa registrandone irregolarità ed eventuali lesioni, senza il trauma della sonda introdotta dalla bocca. "La doppia videocamera", spiega Bruno De Luca, primario di Gastroenterologia ed Endoscopia all'ospedale Pellegrini di Napoli che ha già sperimentato la tecnologia (presente anche nel reparto diretto al Policlinico Gemelli da Luigi Costamagna), "consente di fotografare quel che "vede" prima del suo passaggio e subito dopo avere attraversato un determinato segmento anatomico". Eppure, nonostante gli indubbi vantaggi, non mancano critiche. "Con la capsula non è possibile esplorare bene stomaco ed esofago perché passa troppo velocemente per garantire un adeguato studio delle loro pareti", osserva De Luca, "mentre è utilissima per visualizzare tutto il tenue, cioè quella parte di intestino 7 metri, che va dal duodeno fino al colon". D'altronde, gli ultimi modelli di endoscopia sono assai flessibili e dal diametro inferiore a un centimetro. "Come anche è sbagliato affidarsi ad un endoscopio pediatrico", continua De Luca, "perché un calibro ridotto può creare problemi proprio per la troppa flessibilità e le difficoltà ad effettuare prelievi di tessuto sospetto (biopsia)". (giuseppe del bello) _______________________________________ Repubblica 21 apr. ’05 TROPPO CORTISONE FA MALE ALLE OSSA Nelle terapie a lungo termine aumenta il rischio di osteoporosi: cure preventive e supplementi di vitamina D di Johann Rossi Mason Quattro milioni di donne e un milione di uomini, tanti sono gli italiani con più di 50 anni di età che soffrono di osteoporosi. E per una parte di questi pazienti, oltre ai fattori di rischio classici (dieta povera di calcio, scarso esercizio fisico, mancata protezione degli ormoni femminili) l'osteoporosi può insorgere, in età anche giovane come "prezzo da pagare" per una terapia a lungo termine a base di cortisone. Una terpia tipica per malattie importanti come quelle reumatiche, il lupus sistemico, morbo di Crohn, trapianti d'organo e alcune malattie di competenza dermatologica. Già, perché questi preziosi farmaci interferiscono con il metabolismo dell'osso, di cui abbiamo chiesto una sintesi ad Andrea Giustina, Primario del Reparto di Endocrinologia degli Spedali Civili di Brescia e Vicepresidente GISCO, il Gruppo Italiano di Studio sull'Osteoporosi da Glucocorticoidi: "L'osso è un tessuto metabolicamente molto attivo. Artefici di questo delicato meccanismo sono due tipi di cellule: gli osteoblasti, responsabili della formazione di nuovo osso, e gli osteoclasti, deputati alla sua distruzione. Il cortisone agisce su questi due tipi di cellule e, più in generale sul metabolismo del calcio, azioni complesse che hanno come esito finale quello di indebolire l'osso. Inoltre questi farmaci, sia pure necessari, tendono a ridurre l'assorbimento intestinale del calcio e ad interferire con la secrezione di alcuni ormoni fondamentali per l'osso come il paratormone, gli ormoni gonadici (estrogeni e progesterone) e ormone della crescita: tutti implicati nella sintesi di nuovo osso". Studi epidemiologici come quello utilizzato dal General Practice Database inglese dimostrano come la somministrazione cronica per via orale di cortisone è assai frequente e interessa l'1% della popolazione adulta; inoltre è ancor più diffusa nella popolazione anziana, già di per se a rischio di osteoporosi e determina un aumento del rischio di frattura quasi immediato, già verificabile dopo 3-6 mesi dall'inizio della terapia. Il professor Giustina sottolinea che "è interessante notare come l'aumento del rischio è stato riportato anche per dosaggi di cortisone che una volta venivano considerati quasi innocui". I pazienti in terapia cortisonica cronica presentano un aumento delle fratture a carico dell'osso sopratutto a livelo vertebrale. Così com'è rapido l'aumento del rischio di frattura con l'inizio della terapia con cortisone, altrettanto rapida è la sua riduzione (6-12 mesi) alla sospensione. Come difendersi? Supplementi di calcio e vitamina D e farmaci, i "bifosfonati", da usare prima ancora dell'inizio della terapia con cortisone. Va segnalatpo che la donna in pre-menopausa sembrerebbe in qualche modo protetta dalla presenza degli estrogeni che si oppongono all'azione distruttiva del cortisone. _______________________________________ Repubblica 21 apr. ’05 TERMOMETRI, IN FUTURO SENZA MERCURIO Dal 2011, in Europa, sarà vietato l'uso di questo metallo: un problema per medici e dentisti di Giancarla Rondinelli Tra breve la febbre non si misurerà più con il vecchio termometro a mercurio. Per la Commissione Europea, anche se preciso, il vecchio misura-febbre deve essere eliminato nel quadro della campagna per lottare contro l'inquinamento da mercurio, che prevede lo stop a tutte le esportazioni europee entro il 2011 e, entro il 2020, l'azzeramento dell'uso di mercurio in tutte le attività umane. Il mercurio, attualmente, è presente nella nostra vita sotto varie forme; in medicina è utilizzato soprattutto in odontoiatria, ma lo troviamo anche nelle lampade o nei barometri. Secondo Stavros Dimas, commissario dell'Unione Europea all'ambiente, "in dosi elevate il metallo ed i suoi componenti possono rivelarsi mortali, ed anche in dosi relativamente limitate, possono danneggiare seriamente il sistema nervoso". Tra i pericoli riscontrati c'è quello della facile trasformazione del mercurio puro in metilmercurio, una sostanza che dispersa nell'ambiente segue la catena alimentare e si concentra pesantemente soprattutto in pesci alla fine della catena alimentare, come il tonno e in alcuni crostacei. "Il mercurio" spiega Giuseppe Bacis, medico tossicologo del Centro Antiveleni di Bergamo, "è un metallo pesante estratto da diversi minerali e utilizzato in numerosi ambiti industriali, nella strumentazione di misura e apparecchi scientifici e a scopo odontoiatrico. I rischi tossicologici del mercurio sono noti da molti decenni, correlati, nella maggior parte dei casi, a problematiche di inquinamento ambientale che può portare all'assunzione di alimenti contaminati, in particolare il pesce (si ricorda il caso eclatante della baia di Minamata in Giappone nel periodo 1953-1970)". Gli effetti tossici del mercurio, nella forma chimica di composti inorganici e organici, sono determinati dalla sua capacità di interferire con numerose attività enzimatiche e metaboliche delle cellule dell'organismo. In particolare i suoi effetti lesivi determinano gravi disturbi del sistema nervoso: irritabilità, depressione, insonnia, alterazioni delle performance psicointelettive, disturbi dell'equilibrio, riduzione capacità visive e uditive, e in casi gravi coma fino alla morte. Anche il rene può essere danneggiato con comparsa di insufficienza renale. Altrettanto importanti i rischi per l'esposizione fetale durante la gravidanza. "Il mercurio metallico (quello presente nel comune termometro)", prosegue Bacis, "è scarsamente assorbito per ingestione (e quindi considerato non tossico), mentre risulta pericoloso in caso di inalazione o iniezione sottocunea. Da sottolineare che comunque, a tutt'oggi, non esiste nessuna dimostrazione di effetti tossici determinati dall'amalgama (argento e mercurio) utilizzato per le cure odontoiatriche". Entro il 2011, dunque, avranno termine tutte le esportazioni dell'Ue (primo fornitore mondiale con circa 1.000 delle 3.600 tonnellate complessivamente utilizzate ogni anno al mondo) cominciando dai termometri e i barometri che saranno banditi entro la fine di quell'anno. "Se si trova un accordo a livello internazionale", ha chiarito Dimas, "si potrà azzerare l'uso di mercurio in attività umane entro il 2020". I dati forniti da Bruxelles indicano che la maggior parte del mercurio esistente sul mercato europeo (circa 120 tonnellate) viene utilizzata nel processo di produzione di cloro-alcali (destinati a produrre cloro e soda caustica), mentre circa 70 tonnellate sono destinate ad amalgama per uso odontoiatrico e 26 tonnellate alla creazione di strumenti di controllo della temperatura. _______________________________________ Repubblica 21 apr. ’05 COME LA PSORIASI CONDIZIONA L'ESISTENZA Le leggerissime squame color argenteo rappresentano un peso incredibile sulla qualità di vita delle persone che soffrono di psoriasi: il 75% dei pazienti sente la necessità di nascondere le lesioni e afferma di subire una riduzione dell'autostima e della fiducia in se stessi; il 54% si dichiara depresso; il 35% ha compromesso le relazioni di tipo sessuale e il 30% ha difficoltà ad addormentarsi. Inoltre il 20% ha subito gravi episodi di rifiuto sociale, come la perdita del posto di lavoro, il 10% sviluppa un desiderio di morte e il 5% pensa al suicidio. A rendere noti i dati sono stati gli esperti che hanno partecipato al convegno "Nuove frontiere per il controllo della psoriasi", che si è svolto recentemente a Roma con il patrocinio dell'Adoi, l'Associazione dermatologi ospedalieri italiani e della Società italiana di dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle malattie sessualmente trasmesse. "A differenza di quanto viene percepito, la psoriasi non è un semplice disturbo della pelle o un problema estetico ma una malattia che può condizionare pesantemente la qualità di vita delle persone che ne soffrono", afferma Fabio Arcangeli, presidente Adoi, "l'impatto di questa patologia è spesso sottovalutato, sebbene può comportare sul paziente un peso psichico più grande di quanto ne abbiano altre patologie, anche più gravi". La psoriasi - che colpisce due milioni e mezzo di italiani e il 2-3% della popolazione mondiale - è causata da un'anomala attivazione dei linfociti T, che inducono lo sviluppo di processi infiammatori e delle relative manifestazioni cutanee (pelle arrossata, squame) ed extracutanee. Le terapie biologiche sono le nuove frontiere di cura, tra queste c'è un immuno- modulatore (efalizumab), che agisce a livello dei linfociti T, studiato per la psoriasi a Placche. (antonio caperna) _______________________________________ Repubblica 21 apr. ’05 NUOVO ESAME EVITERÀ LA BIOPSIA AL SENO Tumori alla mammella, a Milano allo studio l'affidabilità della elastosenografia Un tumore alla mammella, anche se piccolo, può creare dei danni enormi. I controlli periodici rappresentano un buon livello di prevenzione, ma purtroppo alcuni casi sfuggono alla diagnosi precoce. Per non sbagliare, gli specialisti sottopongono le pazienti ad una visita accurata (palpazione) e a diversi esami: ecografia, mammografia, biopsia. L'Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano esegue circa 150 biopsie al mese; nella maggioranza dei casi si tratta di noduli benigni e l'esame invasivo viene eseguito solo per chiudere il percorso diagnostico. Da alcuni mesi, il gruppo Esaote (azienda leader nella produzione di apparecchiature medicali) ha messo a disposizione dell'Istituto un nuovo strumento che promette di fornire un valido aiuto nella diagnosi precoce. "La nuova apparecchiatura", spiega Gianfranco Scaperrotta, medico del INT, "consente di eseguire un'indagine non invasiva, detta elastosenografia. L'idea di base è quella di combinare contemporaneamente la palpazione e l'ecografia. Utilizzando la sonda ecografica, infatti, si sottopone il tessuto ad una certa pressione. L'immagine elastosenografica che si ottiene visualizza, mediante scala cromatica, le proprietà elastiche del tessuto in esame. Noi sappiamo che in presenza di un tumore il tessuto perde la sua elasticità e con questa metodica è possibile quantificare il fenomeno". La tecnica diagnostica deve ancora dimostrare la sua validità, per questo l'Istituto Nazionale Tumori ha iniziato uno studio sperimentale sulle pazienti che vengono sottoposte a biopsia. "Nell'ultimo mese, 150 donne, prima di subire l'esame invasivo, sono state sottoposte a elastosonografia, un esame assolutamente indolore, della durata di pochi minuti", continua il medico dell'Ist, "I risultati dei due metodi diagnostici sono sovrapponibili: il quaranta per cento delle pazienti presentava una lesione tumorale alla mammella. La sperimentazione durerà ancora diversi mesi e prima dell'estate intendiamo analizzare almeno 400 casi. Il nostro scopo è quello di arrivare a riconoscere nell'elastosonografia non un metodo diagnostico sostitutivo alla biopsia, ma piuttosto un filtro per distinguere le situazioni che dobbiamo aggredire da quelle nelle quali possiamo risparmiare alle pazienti un esame invasivo e, a volte, drammatico dal punto di vista psicologico", conclude Scaperrotta. (silvia baglioni) _______________________________________ Le Scienze 21 apr. ’05 BATTERI CHE PROTEGGONO DALL'HIV I lactobacilli possono legarsi al mannosio che ricopre il virus Un gruppo di scienziati ha identificato alcuni batteri che già vivono all'interno degli esseri umani e che potrebbero proteggerli dall'infezione del virus HIV. La scoperta è stata presentata nel corso di una conferenza dell'American Society for Microbiology sui microbi benefici. "Ritengo che ogni forma di vita abbia un proprio nemico naturale, - afferma il biologo Lin Tao dell'Università dell’Illinois di Chicago - e il virus HIV non è certo l'eccezione. Se riuscissimo a scoprire qual è il suo nemico, potremmo controllare il diffondersi del virus in modo naturale ed economico, proprio come usiamo i gatti per tenere sotto controllo i topi". I batteri studiati sono una varietà di lactobacillus, che normalmente colonizzano le cavità orali e vaginali degli esseri umani. Non provocano malattie, e prendono di mira l'HIV perché il virus è ricoperto da mannosio, uno zucchero che usano come fonte di cibo. "Ogni batterio ha le proprie preferenze in fatto di zuccheri - spiega Tao - ma per bloccare l'HIV dovevamo trovare quei batteri che, cosa insolita, preferiscono il mannosio". Allo scopo di identificare questi batteri, Tao e colleghi hanno isolato lactobacilli orali e vaginali da soggetti sani e hanno esaminato la loro capacità di legarsi al lievito, un altro microrganismo rivestito di mannosio. Hanno così identificato un piccolo gruppo di lactobacilli che si lega al mannosio e, fra questi, due varietà che bloccano specificatamente l'HIV e arrestano la sua infezione. Fino a oggi, a causa del suo alto tasso di mutazioni, i ripetuti tentativi di sviluppare un vaccino contro l'HIV sono falliti. Secondo Tao, l'inoculazione dei batteri nelle principali superfici mucosali dove avviene la trasmissione del virus potrebbe invece rivelarsi un metodo sicuro ed efficace per prevenire la diffusione dell'HIV. _______________________________________ Le Scienze 22 apr. ’05 UN FUNGO TOSSICO OMOSESSUALE C. neoformans ha sviluppato un nuovo tipo di ciclo sessuale Secondo i ricercatori dell'Howard Hughes Medical Institute, un fungo infettivo sembrerebbe sfidare i principi più basilari della riproduzione sessuale, secondo i quali il successo dell'accoppiamento richiede individui di sesso opposto. In uno studio pubblicato sul numero del 21 aprile 2005 della rivista "Nature", gli scienziati riferiscono che, nel fungo Cryptococcus neoformans, membri dello stesso "sesso" possono accoppiarsi e generare una prole. L'infezione di questo fungo può essere letale per l'uomo, e la scoperta potrebbe contribuire a comprendere meglio la biologia fungale alla base del processo infettivo. Inoltre potrebbe aiutare a chiarire i principi dell'evoluzione del sesso. "Il sesso - spiega Joseph Heitman, principale autore della ricerca - rappresenta di solito un beneficio in quanto consente di generare una prole con differenti combinazioni di geni e in grado di adattarsi più rapidamente a nuovi ambienti. La nostra scoperta suggerisce per la prima volta che C. neoformans ha sviluppato un nuovo tipo di ciclo sessuale, consentendo la riproduzione sessuale fra membri dello stesso sesso. Questa capacità potrebbe conferirgli un vantaggio, in quanto i pazienti infetti di solito ospitano un solo tipo sessuale di fungo, riducendo la possibilità di una normale riproduzione sessuale". _________________________________________________ Corriere della Sera 21 apr. ’05 SORPRESA DAGLI USA, UN PO' DI PANCIA ALLUNGA LA VITA Studio del governo: essere sovrappeso aiuta, rischi invece per obesi e troppo magri «Abbiamo scoperto il paradosso dell' obesità» «Il pericolo numero 1 nel mondo è il tabacco, non il peso» La ricerca costringe a cancellare le stime sulla pericolosità del grasso: in 86 mila casi le persone con qualche chilo di troppo evitano la morte DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - Gli uomini e le donne sovrappeso, purché non obesi, sono a minore rischio di morte rispetto a chi mantiene la linea. E' la conclusione, a dir poco sorprendente, di uno studio del governo federale Usa, pubblicato sull' ultimo numero del prestigioso Journal of the American Medical Association (Jama). Oltre a mettere letteralmente a soqquadro il lucroso universo dei dietologi americani, la ricerca rischia di buttare all' aria decenni di consolidati dogmi sul grasso e i suoi rischi. LO STUDIO - «Non si tratta delle teorie strampalate di una combriccola di pazzi - osserva il New York Times - ma dell' analisi statistica, seria e rigorosa, effettuata da alcuni degli scienziati più rispettati e conosciuti d' America». I professori David Williamson e Katherine Flegal, del Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (Cdc) e Barry Graubard e Mitchell Gail, del National Cancer Institute. Prendendo in esame i decessi avvenuti nell' anno 2000 su un campione di circa 55 mila individui, uomini e donne, dai 25 anni in su, i ricercatori hanno scoperto che l' aumento del rischio di morte riguarda soltanto i cosiddetti «obesi estremi»: cioè solo l' 8% dell' intera popolazione americana. E, se non bastasse, anche le persone sane ma «troppo magre» si sono rivelate più «portate» alla morte prematura di chi ha peso «normale» o è «obeso». IL METODO - Il nuovo studio, considerato da molti scienziati indipendenti il più rigoroso e scientificamente affidabile condotto finora sugli effetti del peso, ha controllato fattori come il fumo, l' età, la razza e il consumo di alcol in un' analisi sofisticata derivata da un noto modello utilizzato per pronosticare la suscettibilità ai tumori. «Abbiamo usato le categorie di peso adottate a livello federale per definire se qualcuno è obeso o sottopeso - spiega la professoressa Flegal -. Queste categorie sono create secondo un "body mass index" (Bmi) che mette in rapporto il peso corporeo con l' altezza, senza prendere in considerazione il sesso della persona». Chi è alto 1 metro e 76 centimetri e pesa meno di 55 chili è considerato «sottopeso», se raggiunge una media di 55-74 chili è «normale», e se ingrassa fino a pesare tra i 75 e gli 89 chili viene catalogato come «sovrappeso». Quando lo stesso individuo arriva a 90-103 chili è «obeso», per diventare «gravemente obeso» quando l' ago della bilancia oltrepassa i 104 chili. SALVAVITA - Se «obesità» ed «estrema obesità» provocano circa 112 mila morti all' anno (su un totale di 2 milioni di decessi registrati negli Usa ogni 12 mesi), l' essere sovrappeso ne previene circa 86 mila. Il che riduce il numero di morti nelle tre categorie a soli 26 mila, contro i 34 mila morti «in eccesso» causati dalla magrezza estrema. Questi numeri ribaltano i risultati di uno studio analogo pubblicato dallo stesso Cdc di Atlanta 13 mesi fa, secondo cui l' obesità provoca 400 mila decessi all' anno e sta per sorpassare il fumo come causa principale di morte prematura. Nella nuova ricerca, il peso eccessivo balza al settimo posto nella graduatoria dei killer, dopo tabacco, alcool, infezioni e inquinamento. «Il nostro studio ribadisce, senza dubbi, che il pericolo numero uno in America e nel mondo resta il tabacco, non il grasso» spiega la Flegal, che ha già preso contatti con i governi danese e inglese per condurre studi identici in Europa. PRO E CONTRO - Le reazioni nel mondo scientifico non hanno tardato ad arrivare. La professoressa JoAnn Manson, capo del reparto di medicina preventiva al Brigham and Women' s Hospital di Boston ha citato uno studio del suo ospedale, affiliato all' Università di Harvard, sugli accresciuti rischi di morte per le donne sovrappeso. «Non possiamo abbassare la guardia davanti all' epidemia di obesità - tuona la Manson - sarebbe grave e irresponsabile». Altri hanno denunciato il fatto che il Cdc non si prende la briga di spiegare come mai le persone sovrappeso vivono più a lungo. In realtà, gli autori della ricerca hanno una teoria precisa in merito. «L' abbiamo ribattezzata "il paradosso dell' obesità" - spiega il professor Williamson -. La maggior parte della gente muore dopo i 70 anni, e a quell' età un po' di grasso in più aiuta ad avere una massa muscolare, ed ossea più sana». Gli scienziati federali citano anche un' altra ricerca pubblicata sullo stesso numero del Jama da Edward Gregg e David Williamson, entrambi del Cdc, secondo cui la pressione e il colesterolo alto sono meno diffusi oggi rispetto a 30 o 40 anni fa grazie all' introduzione di nuovi farmaci «miracolosi». «La conclusione che si può trarre da tutto ciò è semplice - chiude il professor Barry Glassner, sociologo dell' Università della California del Sud -. Ciò che fino ad oggi era considerato sovrappeso, in realtà è il peso forma». Alessandra Farkas GLI OBESI CESARE LANZA giornalista e autore tv . BMI: 40«Non vivo i miei 130 chili come un problema, anche perché mi sento benissimo. Ma anziani obesi in giro ne vedo proprio pochi» GIANCARLO MAGALLI presentatore televisivo BMI: 33 «Ho solo un po' di pressione alta, ma mi sento bene Non capisco perché criminalizzare i miei 90 chili» PAOLO CENTO deputato dei Verdi BMI: da 32 a 28 «Sono un recente ex obeso. Ho perso 15 chili nell' ultimo anno. Ma la dieta non deve mai diventare triste: ieri sera ho mangiato un cannolo alla siciliana» EMANUELA AURIZI velona di «Striscia» BMI: 46 «Mi sono messa a dieta e sto cercando di dimagrire perché so che 134 chili sono tanti Ma sia chiaro: noi grassi siamo felici anche così» I SOVRAPPESO CARLO GARGIULO medico di «Elisir» «Sono alto 1 metro e 76, peso 80 kg. Prima le maniglie dell' amore mi preoccupavano. Ora ho scoperto che sono maniglie della salute» MASSIMO BOLDI attore «Ora peso 82 chili. Sono dimagrito troppo, vorrei recuperare gli otto chili che ho perso nell' ultimo anno. Prima mi sentivo meglio» ANDREA BIAVARDI direttore «For men magazine» «Finalmente non si fa più confusione tra estetica e salutismo: chi ha qualche chilo in più ha più difese contro le malattie e sta meglio degli altri» CESARE RIMINI avvocato «Peso 89 chili e penso che quelli un po' grassi siano più solari di quelli troppo magri. Ma spesso il peso è un problema, anche nel matrimonio» Farkas Alessandra