ASL SASSARI:TAGLIATI 400 P0STI LETTO E SOPPRESSE CATTEDRE UNIVERSITARIE - UNIVERSITÀ: ANCORA ERRORI - USA: SENZA IMMIGRATI ADDIO HITECH - IN ITALIA I CERVELLI STRANIERI SONO ANCORA UNA ECCEZIONE - RAGAZZI, STATE ATTENTI AI MASTER - ANCHE LA RICERCA FA ROTTA SULLA SANITÀ - UNIVERSITÀ, VIA ALLA RIVOLUZIONE AMMINISTRATIVA - CAGLIARI: DECOLLA IL NUOVO CORSO DELL’ATENEO - I CORSI DI SPECIALIZZAZIONE NON PARTONO - STUDENTI PART TIME ALLA SAPIENZA - "UN'AUTORITHY REGIONALE VIGILI SULL'UNIVERSITÀ" - L'INDIA CORREGGE I COMPITI DEGLI STUDENTI BRITANNICI - ARZANA: NON SOLO PECORE, IL FUTURO È LA GENZIANA - ALLA PRIVACY NESSUNO CONOSCE L'INFORMATICA - ======================================================= DIRINDIN: MANAGER NON SARDI? DIFENDO LA SCELTA - SALUTE: PROGETTI DI RILEVANZA NAZIONALE - SPECILIZZANDI: L'EUROPA? È SOLTANTO UN MIRAGGIO - SPECILIZZANDI:MEDICI FANTASMA - DUE TERZI DEI MEDICI ORMAI LAVORANO CON LA RETE - LE STAMINALI DIVIDONO GLI SCIENZIATI - UNA GIACCA MISURA IL BATTITO CARDIACO - MASTICARE MOLTO FA BENE ALLA MEMORIA - COLESTEROLO: UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA - TASSO DI COLESTEROLO - DALLE PECORE ORGANI VALIDI PER I TRAPIANTI - COSÌ CAMBIANO LE OPERAZIONI AL CERVELLO - FEGATO, TROPPE EPATITI RESTANO "NASCOSTE - GENGIVE INFIAMMATE? PIÙ RISCHIO D'INFARTO - IL CERVELLO COME MOTORE DI RICERCA - ======================================================= __________________________________________________ Sassari Sera 28 apr. ’05 ASL SASSARI:TAGLIATI 400 P0STI LETTO E SOPPRESSE CATTEDRE UNIVERSITARIE Il preside della Facoltà di Medicina Giulio Rosati è corso a Cagliari per chiedere le dimissioni del manager Zanaroli e del suo assistente. I dirigenti chiamati dall’assessore Dirindin in Sardegna, Nel loro piano di ristrutturazione hanno tagliato 400 posti-letto e previsto la soppressione di alcune cattedre universitarie. Il drastico provvedimento è stato visto anche dai sindacati di categoria come una sfida alla vigilia delle elezioni amministrative da parte del governatore della Sardegna. Il mondo regionale della Sanità è in allarme. __________________________________________________ L’Indipendente 25 apr. ’05 UNIVERSITÀ: ANCORA ERRORI L’inadeguatezza della riforma di Giovanni Vittorio Pallottino Le scelte sbagliate del passato sono ora aggravate dal progetto di legge delega Moratti E’ STATO CERTAMENTE UN ERRORE, qualche anno fa, avviare una riforma degli studi universitari (3+2) che fra l'altro richiedeva un più forte impegno da parte della docenza, senza aver preliminarmente risolto le questioni relative allo stato giuridico. Né del resto questa riforma era stata preceduta da un ragionevole dibattito, sicchè da molti fu vissuta come un'imposizione dall'alto. E la sua attuazione avvenne in assenza di controlli, che non fossero "freddi" e minimali, in vista della prevedibile proliferazione di corsi di studio insensati e fantasiosi e del conseguente spreco di risorse. Mentre oggi neanche si intravede un serio esame complessivo degli esiti della riforma, che naturalmente a macchia di leopardo alternano eccellenze a disastri. Un nuovo errore è costituito ora dal progetto di legge delega firmata dal ministro Moratti, che infatti ha incontrato una corale opposizione, oltretutto largamente bipartisan, da parte del mondo universitario, nonostante l'intento positivo di mettere mano, finalmente, alla riforma dello stato giuridico. Diciamo errore perchè dal complesso del progetto traspare una pesante carenza di cultura politica del ministro proponente nella sua incapacità di mettere assieme uomini e idee che in qualche modo manifestassero una conoscenza vissuta delle vicende dell'università, della varietà delle sue articolazioni e della esigenza di comporre organicamente e soddisfacentemente istanze diverse, anche in contrasto fra loro, nell'interesse complessivo dell'istituzione universitaria e quindi del Paese. Le scelte normative articolate nel progetto Moratti, da cui deriva la molteplicità delle reazioni di rigetto, esprimono infatti evidenti debolezze di cultura specifica oltre che di senso politico. Come mai nessuno ha spiegato al ministro che abolire la distinzione fra tempo pieno e tempo parziale, oltre a creare problemi finanziari agli atenei, significava premiare chi dedica all'università solo una frazione del suo tempo, suscitando naturali reazioni di opposizione da parte di tutti coloro che vi si dedicano appieno? Come mai nessuno ha spiegato al ministro Moratti che mettere in esaurimento il ruolo dei ricercatori costituiva un vulnus nei confronti di una categoria che proprio in questo momento, con l'avvio della riforma degli studi, stava contribuendo alla didattica in modo decisivo? E che ciò si si sarebbe poi, più che ovviamente, tradotto in agitazioni e scioperi? Come mai nessuno ha spiegato al ministro Moratti che allontanare nel tempo l'inserimento dei giovani nei ruoli permanenti, con la cosi detta precarizzazione, non era certamente la cura migliore per indirizzare nuove forze verso la ricerca e l'innovazione? E che questa scelta avrebbe ulteriormente orientato i giovani ricercatori a trovare sbocchi lavorativi adeguati all'estero. Vanificando così la spesa investita dal Paese nella loro formazione e al tempo stesso indebolendo ancora di più il settore della ricerca scientifica, nel quale tutte le indagini internazionali pongono l'Italia agli ultimi posti del mondo industrializzato per numero di uomini e per investimenti. Dobbiamo però riconoscere che l'opposizione al progetto Moratti sarebbe stata meno corale se l'intero mondo dell'università e della ricerca non avesse riscontrato nell'azione del governo tanta disattenzione nei suoi confronti: riduzione degli investimenti, anziché aumento come da programma e in coerenza con le indicazioni comunitarie, blocco delle assunzioni e conseguenti difficoltà per i giovani, scelte discutibili di persone effettuate nell'applicazione dello spoil system, fino all'ultima goccia riguardante l'istituzione di una università ad personam "a Villa San Giovanni di Calabria, passando sopra a tutte le indicazioni negative degli organi di controllo. Mentre ora ci si chiede se a fronte della recente consultazione elettorale il governo intenda davvero proseguire su una strada che ha certamente contribuito a perdite di consenso. __________________________________________________ Il Sole24Ore 29 apr. ’05 USA: SENZA IMMIGRATI ADDIO HITECH Bill Gates: aprire le frontiere, mancano ingegneri In America soltanto il 4% delle lauree è in materie scientifiche Terrorismo e spionaggio industriale frenano l'ok a nuovi permessi LOS ANGELES Le politiche anti-immigrazione rischiano di mettere in crisi l’hi- tech americano. È stato Bill Gates a suonare ancora il campanello d'allarme, questa volta di fronte al Parlamento e all'amministrazione Usa, in un ennesimo appello per eliminare il tetto sui visti concessi agli ingegneri, ai programmatori, ai tecnici di cui la Silicon Valley ha disperato bisogno. I numeri da soli parlano chiaro: l'America non produce abbastanza laureati in materie scientifiche e non può "importare" abbastanza ingegneri dall'India o dalla Cina. Cosa le rimane da fare, dunque? Spostare le attività di ricerca in India e in Cina, proprio come è già accaduto per la produzione di tessili e di gadget di elettronica. «La funzione dei tetti sui visti H1-B per professionisti è impedire a individui intelligenti e preparati di venire nel nostro Paese - ha detto Bill Gates -. E questo sinceramente non ha senso». La minaccia di dover ricorrere all'outsourcing anche per mansioni professionali prestigiose che pagano oltretutto stipendi elevati dovrebbe essere sufficiente a convincere il Parlamento Usa a prendere seriamente in considerazione l'appello di Gates e dei suoi colleghi dell'hi-tech. Ma la sua testimonianza è stata accolta con scetticismo e cautela in alcuni ambienti parlamentari preoccupati dal rischio terrorismo e dal pericolo di spionaggio aziendale a scopi strategici. Il sottosegretario al Commercio Phil Bond ha cercato di mettere Gates sulla difensiva sostenendo che la carenza di lavoratori qualificati in materie scientifiche non esiste. Anzi, il tasso di disoccupazione del 5,7% nel campo dell'informatica è stato l'anno scorso più alto della media nazionale del 5,5%. Ma il fondatore della Microsoft si è limitato a ripetere quello che i suoi colleghi e concorrenti, dalla Intel alla Oracle, dalla Cisco Systems alla Juniper Networks, sostengono incessantemente da anni, sin da prima dell' 11 settembre. Quello che un gruppo di tre premi Nobel per l'Economia riuniti la scorsa settimana a Los Angeles per una conferenza del Milken Institute ha sottolineato con allarme. E cioè che in America non si trovano abbastanza ingegneri, programmatori e tecnici qualificati. L' aumento dei controlli sull'immigrazione dopo gli attentati del 2001 ha inoltre reso ancora più difficile ottenere visti di lavoro e di studio, specie da Paesi non europei, ma la recessione postbolla Internet aveva inizialmente attutito il colpo. Ora che l'economia della Silicon Valley è tornata a tirare, il problema si è ingigantito. Bill Gates ha chiesto al Parlamento di abolire tout court il tetto sui visti H1- B, oggi fissato a 65.000 permessi di lavoro all'anno. II problema, oltretutto, non si limita ai visti di lavoro ma anche a quelli di studio, scesi del 35% per gli studenti asiatici dal 2001 al 2004. In realtà il vizio di fondo di questa carenza cronica di ingegneri e scienziati negli Stati Uniti deve essere cercato nel sistema educativo americano, dove le lauree in materie scientifiche sono il 4% del totale. In India e in Cina la proporzione è del 40 per cento. «Le università private americane sono le migliori al mondo perchè operano in un sistema concorrenziale - ci ha detto il premio Nobel per l'economia Gary Becker- . E di questo ha bisogno anche il sistema dell'istruzione obbligatoria». Ma la riforma dell'istruzione è un progetto di lungo periodo; nel frattempo l'America deve muoversi per non perdere la leadership nella scienza e nella tecnologia. Per ripetere quanto sempre Bill Gates aveva detto non più di qualche settimana fa: «II ruolo dell'università americana come "calamita di QI" per studenti stranieri è in pericolo a causa delle leggi anti-immigrazione». DANIELA ROVEDA __________________________________________________ Il Sole24Ore 29 apr. ’05 IN ITALIA I CERVELLI STRANIERI SONO ANCORA UNA ECCEZIONE Nei laboratori del Gran Sasso la colonia più numerosa MILANO m Ancora troppo pochi i cervelli stranieri in Italia. Pochi gli studenti, i ricercatori, i dottorandi, gli stagisti che decidono di lavorare o studiare per un certo periodo o stabilmente nel nostro Paese. Scenario che evidenzia tuttavia eccezioni interessanti, in controtendenza, che testimoniano un made in Italy ancora attrattivo per ricercatori, professori, studenti. Tra i centri che confermano smalto internazionale ci sono i Laboratori nazionali del Gran Sasso in Abruzzo, un centro di sperimentazione all'avanguardia, sotterraneo, che studia particelle atomiche, neutrini e materia galattica e che vede lavorare gomito a gomito a 1.400 metri di profondità ricercatori di tutto il mondo. «Abbiamo come utilizzatori circa 800 ricercatori - spiega Eugenio Coccia direttore del Centro aquilano - di cui la metà stranieri soprattutto tedeschi, statunitensi, russi, francesi, cinesi che per diversi anni lavorano e collaborano su progetti internazionali di altissimo livello. Al momento sono attivi 10 esperimenti». Lontanissimo il problema della fuga dei cervelli: «da noi - aggiunge Coccia - c'è il problema opposto, perché il centro è unico al mondo per tipologia di luogo, infrastrutture e esperimenti che può ospitare, c'è molta richiesta». Con un livello di selezione altissimo sottolinea Coccia: le richieste vengono attentamente vagliate, gli esperimenti subiscono un esame serio perchè «devono essere di primo livello altrimenti diciamo di no». Un flusso internazionale che fa bene anche ai conti del Centro nazionale: «Parliamo di grandi esperimenti il cui valore oscilla tra i 50 e i 100 milioni di euro». Tra le università a forte vocazione internazionale c'è la Bocconi di Milano che ha attivato due programmi per attrarre docenti esteri, con un ufficio ad hoc per risolvere i problemi burocratici. «Abbiamo i docenti che trascorrono da un mese a tre anni nell'ateneo - spiega Fulvio Ortu direttore della Scuola Phd della Bocconi - con vari contratti e poi c'è un programma che prevede docenze più lunghe (6-7 anni) fino all'inserimento nei ranghi universitari. Al momento sono almeno 10 gli stranieri che insegnano in pianta stabile». Una tendenza che nasce anche in seguito all'attivazione di corsi di laurea e master, classi di lauree specialistiche totalmente in inglese e aperti a studenti internazionali. «Questa sfida è una grande opportunità - sottolinea Ortu - per espandere il pool di talenti e pescare il meglio, i programmi stanno avendo molto successo». Burocrazia eccessiva, poca attenzione dal Governo e scarsa collaborazione fra colleghi in molti casi frenano l'approdo in Italia degli stranieri. Ma ci sono eccezioni interessanti. Rosalind Gumby è una biologa brasiliana di 32 anni. Nel 2000 ha concluso il suo PhD a Manchester, in Gran Bretagna. Mentre gran parte dei suoi colleghi hanno scelto gli Stati Uniti per lavorare, lei ha preferito l'Italia. «Su Internet ho trovato un progetto adatto e me all'Istituto Nazionale Tumori di Milano - spiega - così ho fatto una scelta di vita: mi sono trasferita e credo che resterò qui ancora per molti anni. Ci sono pochi soldi pubblici e la caccia ai finanziamenti privati crea spesso problemi di competizione. C'è poca collaborazione fra i ricercatori. Qui però ho trovato anche una struttura che mi ha dato fiducia e responsabilità: in Gran Bretagna non sarebbe successo così presto». Fra le aziende straniere che scelgono di fare ricerca in Italia c'è la coreana Lg, che tre anni fa ha deciso di spostare da Dublino a Milano il proprio centro di design dei telefonini, investendo due milioni e mezzo di euro. Noli Chang-Ho è il direttore del centro e coordina un team di 15 progettisti che provengono da vari paesi europei, come l'Irlanda, la Gran Bretagna, la Svezia. Ha 43 anni, 20 dei quali passati sui tavoli da disegno. «Abbiamo scelto Milano perché offre grandi opportunità a chi fa design» spiega ChangHo. «Qui ci sono centinaia di bravi professionisti e poi ci sono le infrastrutture: studi eccellenti a cui appoggiarsi, un ambiente molto creativo e la possibilità, unica in Europa, di trovare professionisti capaci di progettare oggetti in molti stili diversi». LAURA DI PILLO PAOLO CONTI Gli addetti in Italia Occupati nell'hi-tech, dati 2003 in migliaia 608 Addetti settore Ict dl cui 115 Non dipendenti 493 Dipendenti 404 Dipendenti con funzioni Ict nei settori Utenti Fonte: Federcomin, Masin, Assinform ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 apr. ’05 RAGAZZI, STATE ATTENTI AI MASTER Consiglio di mamma per l'Università: «Ragazzi, state attenti ai master» «Ragazzi, attenti, non fatevi imbrogliare dai master». Pietrina Rubanu lo dice convinta, da prof con trentadue anni di insegnamento, e pure da mamma se la cosa può servire a dare più forza al messaggio. «Non vado tanto lontano. Vi racconto il caso di mio figlio Davide, laureato a 25 anni in ingegneria, con un master in... sentite il parolone: business intelligence, e che ora fa solo supplenze di matematica. Non fatevi imbrogliare, ragazzi, da questi corsi inutili. Beh, mio figlio, qualche tempo dopo la laurea ha ricevuto una telefonata con cui gli proponevano proprio questo master in business intelligence, finanziamenti regionali. La Regione cioè sborsava cinquanta milioni di lire per ogni iscritto: quindici milioni di lire andavano al ragazzo, trentacinque alla società che gestiva il tutto. Visto il risultato che senso ha avuto tutto questo? Ecco, io mi chiedo se non sarebbe stato più intelligente aiutare con quei soldi i ragazzi che volevano andare all'Università, o fare borse di studio... È il sistema che non va, un sistema che non ascolta i giovani e i loro bisogni». I quarantacinque studenti che stanno nell'aula magna-laboratorio del Liceo Scientifico di Sorgono ascoltano con le braccia conserte la professoressa. L'argomento gli interessa, ed è proprio su questi punti - istruzione, università, lavoro - che il livello di attenzione ballerino proprio dei giovanissimi diventa buonissimo, grado massimo. Alla domanda: chi di voi andrà all'Università?, tutti alzano la mano, ed è evidente che l'orientamento non è solo quello da liceali. Giampiero Cocco, 19 anni, di Samugheo, per esempio pone il problema della dispersione scolastica. Cosa pensate di fare per cercare di arginare questo problema? ha chiesto alla candidata di Rifondazione Comunista alla presidenza della Provincia. Una provincia, quella di Nuoro, dove i dati in materia fanno rabbrividire, dove l'abbandono è un fenomeno che risucchia anche i bambini delle Medie. «Intanto l'esigenza sarebbe quella di aiutare quei ragazzi che non hanno concluso il percorso di studio di base. Ce ne sono moltissimi, sapete?», avverte Pietrina Rubanu. Obiettivi: riportare fra i banchi i giovani che non hanno la terza media e aumentare l'offerta formativa della scuola per dare a questi giovani, la possibilità concreta di frequentare un corso. «Ci proponiamo, per questo, di decentrare i corsi cosiddetti per adulti, le ex scuole serali, e di avviare diversi corsi di educazione permanente nelle scuole». L'Università, poi. «In provincia diventa un presidio importantissimo. Noi ci battiamo perché Nuoro diventi polo universitario autonomo, senza alcuna dipendenza da Cagliari e Sassari, con i suoi finanziamenti da gestire e un centro di ricerca che permetta di crescere a quei giovani che vogliono restare». Questi, ad esempio, sono ragazzi che resterebbero pure, in paese, dopo la laurea. Ma a fare che cosa? «Il rilancio del turismo. Avete dei programmi?», chiedono. Il programma esposto da Pietrina Rubanu è un sistema integrato tra artigianato, agricoltura, pastorizia e turismo. «Le attività produttive del luogo non possono certo sparire a causa del turismo e, anzi, da questo devono essere valorizzate. Ai giovani - spiega - spetta una parte importante in questo processo. Non a caso il nostro programma prevede anche corsi di formazione specifici». Dalla valorizzazione delle attività artigianali alla battaglia per difendere il commercio equo e solidale il passo è breve. Pietrina Rubanu, da sempre impegnata nelle battaglie per la difesa dei diritti civili nei Paesi del Terzo Mondo, è anche una grande sostenitrice dei prodotti che lei chiama «puliti» e acerrima nemica di quelli «sporchi». Gira sempre con un elenco di merci da boicottare piegato nella borsa. «Sporche - spiega ai ragazzi - sono i prodotti di quelle aziende che sfruttano gli operai e perseguitano il sindacato. Ecco, non acquistando certe cose aiutiamo questi operai: i profitti delle aziende diminuiscono e i padroni sono costretti a riconoscere i diritti dei lavoratori». (p. s.) __________________________________________________ Il Sole24Ore 25 apr. ’05 ANCHE LA RICERCA FA ROTTA SULLA SANITÀ Altri fondi / Favorite le partnership Gli obiettivi Cosa prevede per la sanità il VII programma Biotecnologie e tecnologie per la salute umana: potenziare la ricerca biomedicale; puntare su tecnologie poco o non invasive; sviluppare validi marcatori biologici Ricerca per la salute umana: comprendere meglio i sistemi genetici alla base di importanti processi biologici; ricerca sulle malattie del cervello, lo sviluppo umano e l'invecchiamento; ricerca transnazionale sulle malattie infettive e su quelle più diffuse (cancro, patologie cardiovascolari, e così via) • Migliorare la disponibilità di cure per i cittadini europei: trasformare i risultati della ricerca clinica in pratica; qualità, efficienza e solidarietà dei sistemi sanitari; potenziare la prevenzione e l'uso delle medicine; uso appropriato delle nuove terapie e tecnologie. Nel prossimo futuro la ricerca che porta il marchio Ue non trascurerà la salute. Dei quasi 70 miliardi che il VII Programma quadro destina alla ricerca scientifica europea, ben 7 sono a disposizione dei progetti di carattere sanitario. Recentemente presentato dalla Commissione, e in attesa del via libera da parte del Consiglio dei ministri Ue e dell'Europarlamento, il Programma si articola in quattro settori chiave: Cooperazione, Idee, Risorse umane e Strutture. Rispetto al VI Programma quadro, che è ancora in corso, si registra un aumento nei fondi e un prolungamento della durata: dal 2007 al 2013 (il VI copre invece il periodo 2003-2006). Le risorse saranno suddivise tra i quattro settori e la parte del leone toccherà alla cooperazione destinataria di più della metà della torta. La scelta non è casuale. La Ue sembra puntare molto sulle attività in partnership e il tema è riproposto in tutti i settori. Se nel campo delle Idee, infatti, si cercherà di creare team europei attivi in varie aree di ricerca e improntati alla creatività e all'eccellenza, in quello delle Strutture tra gli obiettivi c'è la creazione di cluster regionali. Ovvero "regioni della conoscenza" dove istituzioni, università e imprese cooperino per aumentare le capacità di fare ricerca. Nel settore Cooperazione rientra anche la Sanità, che punterà su biotecnologie, ricerca con ricadute per la salute umana, miglioramento nell'offerta di cure per i cittadini europei. Il che vorrà dire sviluppare nuove terapie, sistemi sanitari efficienti e mezzi di prevenzione e diagnosi. Non mancheranno gli investimenti diretti a contrastare le grandi emergenze sanitarie e l'attenzione alla Sanità avrà anche risvolti tecnologici. Tra le priorità 2007-2013 dell'Ict delineate dal VII Programma ci sono il miglioramento dei sistemi di prevenzione, la velocità di diagnosi e la disponibilità di informazioni sanitarie. Per raggiungere questi obiettivi il Programma ritiene necessario disporre delle migliori capacità. Il che significa trattenere in Europa i cervelli più brillanti e amarne altri dall'estero, migliorando la carriera del ricercatore, investendo nella formazione e promuovendo la mobilità degli scienziati all'interno delle strutture europee. Ultima novità, un Consiglio europeo della ricerca formato da rappresentanti eccellenti delle diverse discipline scientifiche, scelti dalla Commissione. A questa struttura il compito di scegliere i tipi di ricerca da finanziare e di garantire la qualità dei progetti. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 28 apr. ’05 CAGLIARI: DECOLLA IL NUOVO CORSO DELL’ATENEO Università. Lunedì l’assegnazione delle nuove 15 aree di gestione L'ateneo cagliaritano si riorganizza ed entro lunedì saranno assegnate le quindici aree dell'amministrazione universitaria. Scalpitano i quindici dirigenti che hanno vinto il concorso, tra i timori di essere spostati di area ci competenza e la speranza di essere assegnati a un ufficio piuttosto che a un altro. Ieri, nella seduta del consiglio di amministrazione, si è chiuso l'iter burocratico del riordino delle attività amministrative. Ora si aspetta solo l'ufficializzazione da parte del rettore delle nomine. Il nuovo assetto, approvato dal Cda dell'ateneo, prevede un prospetto con quattro grandi coordinamenti: Relazioni esterne, Attività amministrative, Didattica, Personale. Quindici le aree che compongono i coordinamenti. Tra gli uffici più importanti ci sono soprattutto quelli che interessano gli studenti, e il funzionamento della macchina universitaria. Con il nuovo progetto si introduce la Direzione per le relazioni e le attività internazionali: oltre ai progetti europei (Erasmus, Leonardo, Tempus e Alfa) sarà cura dell'ufficio sostenere la ricerca internazionale, e chiudere protocolli d'intesa e convenzioni con le Università internazionali. L'area per le Relazioni con il territorio e lo sviluppo avrà il compito di dialogare con gli interlocutori regionali, in particolare con imprese private, centri di ricerca e il Parco scientifico e tecnologico Polaris, oltre alla ricerca di fondi nelle misure del Por Sardegna. Resta, ma da solo, l'Ufficio per l'orientamento e l'occupazione (informazione sui corsi di studio, stage, e aiutare nell'inserimento lavorativo i laureati), mentre avrà autonomia quello per la comunicazione e la multimedialità (relazioni con il pubblico, sportello telematico, sito Internet dell'ateneo). Tasse, segreterie studenti, spese di finanziamento, contatto con le dieci facoltà: queste le funzioni importanti che controllerà la direzione per il coordinamento delle attività amministrative decentrate. Sempre per gli studenti, quelli laureati, sarà di aiuto l'Ufficio per la didattica e le attività post lauream, mentre tutto quello che riguarda la ricerca sarà di pertinenza dell'area della ricerca scientifica e dei progetti finalizzati. Anche le biblioteche e le aule informatiche saranno gestite da una direzione indipendente. Completano la rivoluzione amministrativa universitaria la Direzione finanziaria, per le opere pubbliche e gestione del patrimonio, per i contratti e le forniture di beni e servizi, per il reclutamento e la gestione del personale, per lo sviluppo delle risorse umane, per gli affari generali, legali e i servizi elettorali, per le reti e i servizi informatici. Ora manca solo l'abbinamento delle aree con i dirigenti. Matteo Vercelli ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 apr. ’05 UNIVERSITÀ, VIA ALLA RIVOLUZIONE AMMINISTRATIVA Oggi il Cda. Svolta con nuovi corsi e offerta formativa: ecco come l'ateneo si riorganizza L'Università si prepara alla rivoluzione amministrativa. Una novità che riguarderà anche gli studenti, e che ha visto il primo atto ufficiale nell'ultima riunione del consiglio di amministrazione, con l'approvazione del piano di riorganizzazione, che prevede la suddivisione del settore amministrativo in quindici aree. Nella seduta odierna il Cda dell'ateneo scenderà nei particolari, limando alcuni aspetti e iniziando la discussione sull'assegnazione delle aree ai quindici nuovi dirigenti, vincitori di concorso. Un passaggio delicato: dieci sono funzionari storici dell'Università, altri cinque sono nuovi e due di questi non sono sardi. Ma nel calendario dell'ateneo di Cagliari c'è un altro momento fondamentale: l'approvazione del piano di offerta formativa entro il 30 aprile, da parte del Senato accademico. Senato che si riunirà domani e che ufficializzerà i corsi triennali e biennali delle dieci facoltà. un ufficio per le tasseDa tredici aree a quindici, la differenza non sembra enorme. Ma la riorganizzazione del settore amministrativo è un passo importante per la vita e il funzionamento dell'Università e dei suoi studenti. Soprattutto per quanto riguarda l'area di orientamento e didattica, che da una sarà divisa in quattro parti. Saranno creati nuovi uffici, ciascuno gestito da un dirigente con competenze specifiche. L'orientamento continuerà a svolgere i soliti compiti, lasciando le altre funzioni all'area didattica (verifica crediti dei singoli corsi di studio), alla segreteria studenti (che si occuperà di coordinamento e gestione del pagamento delle tasse) e alla nuova area delle relazioni internazionali (non solo borse di studio, come quelle Erasmus, ma un vero ufficio di gestione dei rapporti con i tanti atenei internazionali con cui l'Università ha agganciato contatti). Il Cda ha già approvato la nuova suddivisione, e oggi, oltre ad apportare alcune modifiche di servizi, potrebbe iniziare il delicato passaggio di assegnare le singole aeree ai quindici dirigenti in trepidante attesa. Esiste infatti la possibilità che qualcuno venga trasferito, e alcuni uffici sono più appetibili rispetto ad altri. La figura del dirigente d'area è di notevole importanza: nella macchina amministrativa, dopo il rettore c'è il dirigente amministrativo (fino a ottobre sarà in carica Fabrizio Cherchi) sono proprio i titolari delle 15 aree a svolgere un ruolo fondamentale nel funzionamento della complessa macchina universitaria. Nuovo anno accademico Se la seduta di oggi del consiglio di amministrazione è importante, lo stesso vale per il senato accademico che si riunirà domani. Sul tavolo il piano dell'offerta formativa da proporre per l'anno accademico 2005- 2006 agli studenti che si iscriveranno all'Università di Cagliari, e per quelli che si preparano al passaggio dalla laurea triennale a quella specialistica. L'ateo cagliaritano deve approvare il piano entro il 30 aprile, e quindi domani, per inviarlo al Ministero. Matteo Vercelli ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 apr. ’05 ARZANA: NON SOLO PECORE, IL FUTURO È LA GENZIANA ARZANA. Multinazionale Usa disposta a pagare l'intera coltivazione a peso d'oro I pastori venderanno le radici per la produzione di amari Il futuro dei pastori di Arzana è amaro. Ma la Lingua blu stavolta non c'entra, c'entrano invece i liquori digestivi che verranno ottenuti dall'estratto delle genziane seminate sul versante di tramontana del Gennargentu. E a coltivare le piantine saranno proprio loro, i pastori, che parcheggeranno le pecore per mettere a dimora un'essenza che in Sardegna sta per scomparire, mentre nel resto d'Italia e in molte parti d'Europa è praticamente estinta. L'affare è grosso, perché interessata a rilevare tutta la produzione della pianta c'è già una multinazionale statunitense con succursale in Inghilterra, che pagherà le genziane a peso d'oro. Più o meno a quanto viene venduto oggi lo zafferano, almeno duemila euro al chilo. il progetto L'iniziativa è di tre Università, Cagliari, Roma e Novara che si sono unite dando vita al consorzio Co.s.me.se (consorzio studio metaboliti secondari) con l'obiettivo di portare avanti degli studi fitochimici con le essenze dell'Ogliastra: sotto osservazione già da tempo ci sono la santolina, il timo e l'euforbia, tutte piante che crescono in zone fresche e che non hanno gran necessità di acqua per svilupparsi. La coltivazione della genziana non è comunque una novità per Arzana. Da cinque anni, circa cinquecento piantine vegetano in alcune stazioni sperimentali in località Cixi Crobeni e si è visto che da queste parti, rispetto a quanto avviene in altre località italiane, crescono rigogliose. Un vantaggio dovuto alla particolare composizione della terra del Gennargentu e dal clima fresco durante tutto l'arco dell'anno. Il consorzio dei tre atenei ha pensato quindi che ci fossero tutte le condizioni per ripristinare gli antichi siti dove un tempo la genziana abbondava e da dove è stata estirpata nei decenni scorsi dagli incendi e per lasciare il posto ai pascoli. Le tre Università hanno anche brevettato un sistema che consente una germinazione più veloce e di andare in produzione in tempi più rapidi. il business per i pastori Chi ora pascola il proprio gregge tra non molto ne parcheggerà una parte e inizierà a coltivare la genziana. L'Università di Cagliari ha già preso degli accordi con alcuni arzanesi, che riserveranno una parte dei loro possedimenti: «Si sono rivelati entusiasti all'idea di incrementare il loro reddito con questo sistema - spiega Mauro Ballero, docente di Botanica della facoltà di Farmacia - che tra l'altro non depaupera ulteriormente il terreno, visto il minor impatto del bestiame». Quando la coltivazione andrà a produzione, potrà essere avviata la vendita. L'acquirente c'è già, è una multinazionale che produce le etichette degli amari venduti in tutto il mondo e che oggi si rifornisce in Ungheria, Paese però che non soddisfa i criteri di qualità richiesti dal mercato. La genziana del Gennargentu risponde invece agli standard per dare vita a ottimi amari. Questo vuol dire che nel giro di un paio d'anni la Sardegna sarebbe capace di coprire l'ottanta per cento circa della produzione di genziana, diventando di fatto la regione italiana più importante nel settore. un'industria pulitaTra i vantaggi della coltivazione della pianta il fatto che non produca alcun tipo di inquinamento e che ridarebbe vita a un'essenza popolarissima fino a qualche decennio fa, quando veniva utilizzata per combattere la malaria e per abbassare la febbre. Una sorta di tachipirina naturale. A Talana la genziana era talmente diffusa che ancora oggi esiste un monte che prende il suo nome. Negli anni Sessanta del secolo scorso l'essenza fu quasi interamente estirpata dal territorio di Villagrande per la produzione di uno storico amaro di una notissima distilleria milanese. la ricerca va avantiIntanto, lo studio delle proprietà officinali delle piante ogliastrine procede spedito. Da poco, con il sostegno della Pro loco Siccaderba e con i fondi della Comunità montana (circa 84mila euro), è stato istituito uno specifico dottorato in Farmacologia, sotto il coordinamento di Ballero: due giovani, uno di Baunei l'altro di Arzana tenteranno di scoprire gli altri segreti che nascondono l'elicriso, il tasso e la digitale, la santolina e il timo, che hanno già rivelato le loro qualità anche come antitumorali. Daniele Casale ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 apr. ’05 SIT IN DI PROTESTA I CORSI DI SPECIALIZZAZIONE NON PARTONO CAGLIARI. E’ quasi una’guerra tra poveri’ quella che si sta combattendo tra le aule dell’Università e quelle delle scuole di ogni ordine e grado della provincia. Gli studenti di Scienze della formazione che hanno scelto di seguire il corso per diventare insegnanti di sostegno temono di vedere il loro futuro compromesso da un recente decreto del ministero dell’Istruzione e Università (il numero 21 del 9 febbraio 2005), con il quale si dà il via al recepimento su tutto il territorio nazionale della legge 143 del 4/6/04. L’Università e la Direzione scolastica regionale, in base a questa normativa, devono garantire corsi di specializzazione di un anno per far ottenere l’abilitazione al sostegno per i docenti ordinari precari che stanno già insegnando. Gli stessi 260 circa che ieri hanno inscenato un sit-in di protesta all’interno della sede cagliaritana della Direzione scolastica regionale chiedendo un’accelerazione delle pratiche per far partire i corsi, anche se il termine ultimo fissato, del 31 marzo 2005, è già scaduto. “L’incontro di oggi - ha detto Nino Martino, segretario provinciale Cgil-Flc - segue quello avuto due settimane fa, quando è stato sollevato il problema. Mentre a Sassari, Oristano e Nuoro i corsi sono già partiti, a Cagliari si sono manifestate difficoltà organizzative. Ora stiamo attendendo da una parte che il direttore scolastico regionale, Armando Pietrella, pubblichi gli elenchi degli aventi diritto e dall’altra che si riunisca il Senato accademico convocato dal rettore, Pasquale Mistretta, dopo le pressanti richieste da parte del ministero della Pubblica istruzione, della Regione, del Csa e dello stesso Pietrella”. Nell’immediato, intanto, è pronta un’interrogazione in consiglio regionale, che dovrebbe essere presentata oggi da Ciriaco Davoli (Prc) e ci si prepara ad un nuovo sit-in, stavolta sotto il rettorato in via Università. Il corso, della durata complessiva di 700 ore, di cui 300 di lezione, 100 di tirocinio e 300 di laboratorio, prevede - a quanto dicono gli insegnanti - un costo tra i 1.200 e i 1.500 euro, per singolo insegnante. La soluzione però potrebbe essere dietro l’angolo con la pubblicazione degli elenchi. ___________________________________________________________________ Il Messaggero 27 apr. ’05 STUDENTI PART TIME ALLA SAPIENZA Non solo: per conseguire la laurea c'è tempo fino a un massimo di nove anni, nel frattempo lo studente può lavorare e pagare meno tasse. Sono queste alcune delle promesse del rettore Renato Guarini che vanno in porto. La decisione è stata presa ieri dal Consiglio di amministrazione dell'Ateneo e saranno attive dal prossimo anno accademico. "Nella sostanza uno studente che prevede di non riuscire ad arrivare al titolo entro gli anni indicati dal piano di studi, può decidere di ricorrere al part time - commenta Piero Luciano, il prorettore delegato allo studio e ai problemi organizzativi degli studenti - indicando però in quanto tempo arriverà alla laurea. E' questo una sorta di patto tra studente e Ateneo, un accordo personalizzato per ognuno. Nel frattempo scattano anche tutti quei benefici sulle tasse che prevediamo fin dal primo anno: 10 per cento di sconto per il biennio iniziale, il 20 per cento il terzo anno e dal quarto anno in poi c'è una riduzione del 40 per cento sconto. Ma deve essere chiaro a tutti, se il patto non verrà rispettato si tornerà a pagare per ogni anno il 100 per cento delle tasse. Abbiamo introdotto questo passaggio anche per responsabilizzare gli studenti: il part time non deve diventare un limbo infinito ma solo un'occasione in più da saper sfruttare". Per le lauree specialistiche a ciclo unico per il primo, secondo e terzo anno si pagherà sempre con uno sconto del 10 per cento, il quarto, quinto e sesto anno con una riduzione del 10 e negli anni successivi del 40. Le tasse regionali restano invece invariate e quindi si pagheranno per intero. Ogni anno lo studente part time potrà dichiarare da un minimo di 20 a un massimo di 40 crediti formativi che significa che il tempo massimo per conseguire il titolo arriva a nove anni. Secondo il prorettore Lucisano, il provvedimento potrà interessare dal 20 al 30 per cento degli studenti attualmente iscritti. "Saranno particolarmente interessate quegli studenti che aspirano a una laurea a valenza umanistica, economica o giuridica. Sono tutte quelle lauree che corrono parallele ai quei settori dove già lavorano gli studenti. Dai nostri sondaggi sembra che proprio che il part time è particolarmente gradito a Economia. Penso anche che a Scienze dell'educazione il 65 per cento degli studenti ha più di 25 anni e anche in questo caso il part time potrebbe essere molto appetibile. Credo che sarà più difficile per gli studenti di medicina o di materie tecniche procedere sulla strada del part time anche se questa opportunità è offerta a tutti". "L'università - aggiunge Lucisano - ha faticato molto ad adeguarsi a questa parte della riforma, richiesto dagli studenti ma difficile da organizzare. Il rettore Guarini è riuscito a proporre un regolamento semplice ed efficace. Eppoi, solo con il part time riusciremo anche a studiare e a comprendere il fenomeno della dispersione universitaria perché ci permetterà di tenere sotto controllo gli studenti ed è più facile monitorare chi ha deciso di arrivare alla laurea piano piano rispetto a chi è in ritardo. Dare certezze sui tempi più lunghi ritengo che sia anche un aiuto pscicologico per quelle persone che lavorano, hanno impegni di vario titolo oppure non sono più giovani". Marco Giovanetti ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 apr. ’05 "UN'AUTORITHY REGIONALE VIGILI SULL'UNIVERSITÀ" Proposta del presidente del Consorzio Bachisio Porru dopo la polemica con l'ateneo cagliaritano Solo una regia regionale dell'istruzione di livello universitario potrà garantire l'adeguata diffusione del sapere nel territorio, evitando le spinte egoistiche che in questi giorni sono al centro della vertenza fra il Consorzio universitario nuorese e l'Ateneo cagliaritano. La proposta viene dal presidente del Consorzio barbaricino Bachisio Porru, che la ha girata direttamente al quello della Regione Renato Soru. "Coerentemente a quanto previsto dagli obiettivi programmatici enunciati dalla Giunta Regionale ? afferma Porru ? il presidente Soru dovrebbe farsi garante dell'avvio di un concreto progetto di Università diffusa e di conseguenza dovrebbe convocare attorno a un solo tavolo istituzioni locali e istituzioni accademiche al fine di consentire uno sviluppo culturale, scientifico e di ricerca che veda nella diffusione delle conoscenze il volano di uno sviluppo equilibrato". Fatta la premessa Porru prosegue nella sua proposta alla Regione: "In quel tavolo il Consorzio Universitario, qualora non si attivassero i corsi di laurea specialistica in Servizio Sociale e in Scienza dell'amministrazione, si farà promotore di una proposta di Facoltà Universitaria Regionale di cui possa farsi garante, nei finanziamenti, nelle articolazioni e nei risultati la stessa amministrazione regionale che dovrà progressivamente verificare l'attuazione degli impegni della Università nei confronti della comunità sarda". In sostanza Porru avanza la proposta di una sorta di Authority che abbia competenza sull'intero territorio regionale e che riesca a coordinare i vari interventi secondo un preciso piano fatto su misura delle esigenze elaborate dai vari territori. Non è un segreto infatti che l'Università diffusa vive essenzialmente di finanziamenti regionali, che sono indispensabili, però, anche ai due Atenei "ufficiali" (quelli di Cagliari e di Sassari) per tenere alto il livello dell'istruzione di livello superiore nel territorio regionale. Utilizzando la leva finanziaria, quindi, la Regione potrebbe riuscire a convincere i Senati accademici a collaborare pienamente alla riuscita del piano di diffusione delle facoltà universitarie nel territorio regionale. La vicenda è venuta a galla quando l'Università di Cagliari (nello specifico la facoltà di Scienze politiche) ha deciso di tenere nella sede "madre" la laurea specialistica in scienza dell'amministrazione pubblica, già promessa ufficialmente a Nuoro dove esistono ben 92 laureati nella materia (che in Barbagia ha registrato un successo bel al di là di ogni previsione). Il paradosso è che a Cagliari, invece, gli iscritti sono appena sette. Per dirla con una famosa metafora, è come se la montagna andasse da Maometto e non viceversa. Perciò Bachisio Porru ha fatto appello a tutte le forze politice ed intellettuali del Nuorese perché facciano sentire la loro voce nelle sedi dovute, evitando che un'istituzione vitale per le zone interne venga abbandonata in un momento cruciale. (a. a.) __________________________________________________________________ Corriere della Sera 26 apr. ’05 L'INDIA CORREGGE I COMPITI DEGLI STUDENTI BRITANNICI Mezzo milione di test all'estero per risparmiare. Critici i presidi Valutazioni via email per i questionari di storia, francese, tedesco e italiano LONDRA - La delocalizzazione, parola bruttissima per dire una cosa semplicissima, ha raggiunto un nuovo traguardo: i compiti d'esame degli studenti inglesi verranno corretti in India, dove l'operazione costa meno. Ovvio che s'alzino proteste, perché è inaccettabile che il destino dei nostri figli sia deciso "a cinquemila miglia di distanza", come nota il Daily Telegraph . E si può aggiungere che esportare la correzione dei lavori è offensivo anche per gl'insegnanti. Ma la realtà, benché sorprendente, è meno sconcertante: se pure il controllo degli esami è diventato una routine, non c'è motivo per non esportarlo, come l'assemblaggio di prodotti industriali. Forse è la scuola che, a questo punto, s'è fatta troppo meccanica. La notizia, nuda a cruda, è questa: l'Aqa (Assessment and Qualifications Alliance), uno dei tre principali organismi che in Inghilterra e Galles esaminano i test degli studenti che sostengono il Gcse, l'esame che a 16 anni conclude la scuola dell'obbligo, ha deciso di mandare in India mezzo milione di elaborati per stabilire il voto finale. I test riguardano quattro materie: storia, francese, tedesco e italiano. Ce n'è abbastanza da rizzare le orecchie: forse gli esaminatori indiani conoscono così bene l'italiano da poter giudicare il tema di uno studente? La risposta è questa: potranno fare il loro lavoro anche senza sapere una parola della nostra lingua. Spiegazione. Nel Regno Unito gli elaborati degli esami finali, sia nei licei che nelle università, non sono corretti dai docenti che hanno insegnato ai ragazzi, ma da commissioni indipendenti, che stabiliscono le graduatorie. I risultati dell'esame vengono poi inviati agli studenti entro l'estate, in modo che ciascuno possa decidere il futuro: proseguire dopo il Gcse con i due anni che portano alla maturità (chiamata A Level) oppure iniziare a lavorare. Ma perché l'esame sia uguale per tutti (e il giudizio sia equanime) bisogna che il test sia standardizzato: in genere si tratta di questionari, sia con risposte multiple o con una sola risposta, che lo studente annota nello spazio apposito. Saranno proprio questi test quelli che verranno selezionati in India, da operatori elettronici che poi invieranno l'esito, via e-mail, a Londra. Con questo accorgimento, dicono, l'Aqa spenderà un quinto di quanto avrebbe speso trattando i dati nel Regno Unito. C'è da gridare allo scandalo? No, gli unici che possono lamentarsi sono coloro che perderanno il lavoro a vantaggio di sconosciuti impiegati indiani. Ma il mondo ormai funziona così: anche lo Stato italiano una volta mandò a elaborare i dati del catasto in Albania (è la nostra India alle porte di casa, evidentemente) e pure la Pennsylvania ha scoperto che far leggere le radiografie da ottimi medici indiani costa meno che esaminarle a Los Angeles. A Londra, poi, ogni azienda di medie dimensioni ha capito da tempo che i "call center" e i servizi informazioni funzionano meglio a Bangalore che a Reading: uno chiama la British Gas perché trova che la bolletta è troppo salata e si sente rispondere con una deferenza ("Good morning, sir", anche di notte) ormai introvabile in Europa. Naturalmente la delocalizzazione telefonica comporta qualche problema. Agli inizi, i clienti delle banche protestavano perché gli addetti indiani non capivano l'inglese (ed era colpa della loro pronuncia, magari, più che dell'udito degli indiani). Adesso pure a Bangalore si sono fatti più esperti e, anzi, simulano l'accento scozzese che, nel suddito britannico, suscita fiducia più dell'"Estuary English", la parlata popolare dell'East End. Ma naturalmente succedono errori: si cita il caso del paziente che ricevette un referto in cui gli si comunicava che soffriva di "Euston Tube malfunction", una disfunzione alla metropolitana della stazione di Euston. I test d'esame da smarcare in India, così, non sono un problema. Certo, bisognerà che i risultati non subiscano ritardi e tornino in tempo per permettere le scelte degli studenti. Qualcuno spera in un fallimento: la Secondary Heads Association, che riunisce i presidi delle scuole secondarie, dice che l'opzione indiana è "un modo disperato di mantenere un sistema che affonda". Forse preferiscono che affondi nella Manica, piuttosto che nell'Oceano Indiano. Alessio Altichieri __________________________________________________ Italia Oggi 29 apr. ’05 ALLA PRIVACY NESSUNO CONOSCE L'INFORMATICA I DOCENTI UNIVERSITARI DENUNCIANO IL COLLEGIO DEL GARANTE Il nuovo collegio del Garante della privacy è illegittimo: la denuncia dell'associazione dei docenti informatici è contenuta in una lettera inviata al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Secondo i professori di informatica guidati da Enrico Nardelli (Tor Vergata), la composizione dell'Authority presieduta da pochi giorni da Franco Pizzetti contrasta con la legge istitutiva dell'Autorità: i membri dell'organismo, detta la norma, devono essere «scelti tra persone che siano esperte nelle materie del diritto o dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni». Ma nell'attuale collegio sono presenti solo esperti di diritto. Il presidente Pizzetti è professore di di ritto costituzionale, Giuseppe Chiaravalloti è magistrato. Giuseppe Fortunato è avvocato e Mauro Paissan è giornalista ed ex deputato dei Verdi. M.A. Franco Pizzetti ======================================================= ___________________________________________________________________ Sardinews apr. ’05 DIRINDIN: MANAGER NON SARDI? DIFENDO LA SCELTA Di Nerina Dirindin “Bisogna spezzare il legame tra sanità e politica”. È una frase che si sente dire spesso ma che non immaginavo potesse risuonare con tanta cristallina chiarezza anche in Consiglio regionale, espressa con uguale forza da maggioranza e opposizione. Il 3 dicembre l’assemblea ha affermato che per migliorare la qualità dell’assistenza è necessario che la politica “clientelare” eviti di condizionare le scelte all’interno degli ospedali. “Così come è stato fatto per anni”, hanno aggiunto molti. Tutti dunque vogliono il rinnovamento: a chi governa il compito di interpretare questa esigenza. Ma ogni vero cambiamento fa paura. Perché presuppone la volontà di operare tutti per un esclusivo e superiore interesse comune. Ma forse perché, dappertutto e dunque anche in Sardegna, in un settore come quello sanitario ogni cambiamento tende a contrastare proprio quelle scelte poco virtuose che hanno garantito a pochi gruppi di pressione un rilevante e duraturo potere, economico e politico. Ma cambiare si deve. Spezzare l’asse politica-sanità non serve solo a moralizzare la politica: serve soprattutto a migliorare le condizioni di assistenza offerte ai sardi. A Torino e a Milano ci sono macchine per la cura dei tumori che funzionano quasi esclusivamente per i sardi, perché nella nostra isola non esiste ancora una rete oncologica capace di offrire un adeguato livello di assistenza. Nonostante lo sforzo economico per i servizi sociali non sia inferiore a quello di regioni ricche del nord, in Sardegna sono pochi o inesistenti i servizi offerti a chi ha un disagio mentale, soffre di patologie neurodegenerative, o ha solamente bisogno, in un particolare momento della sua vita, di essere sostenuto dalla comunità. Benché l’assistenza socio-sanitaria non sia inferiore a quella offerta nella media delle regioni italiane, in Sardegna tutto è rimasto immobile troppo a lungo. Se il piano sociale è del 1998 (e speriamo possa essere presto sostituito da quello approvato dalla Giunta Soru), il rapporto tra sanità pubblica e privata è bloccato da otto anni, in attesa di nuovi criteri di accreditamento delle strutture chiamate ad integrare (e non a sostituire) l’offerta del Servizio Sanitario Nazionale. Mentre la spesa farmaceutica non è stata tenuta sotto controllo (superando il tetto imposto dallo Stato), per lunghi anni gli amministratori regionali hanno snobbato la Conferenza Stato- Regioni, il luogo della concertazione dove si decidono le sorti della sanità. L’assoluta assenza di programmazione è culminata con la latitanza, ormai ventennale, del Piano Sanitario: un record nazionale. Ed è solo merito dell’abnegazione di tanti operatori socio sanitari se la barca della sanità sarda, costretta ad una lunghissima navigazione senza bussola e senza stelle, non è affondata. Chi oggi è costretto a spostarsi nel continente per una terapia vuole che la sanità sarda cambi senza che il rinnovamento sia subordinato ai tatticismi della politica che con le attese della gente comune non hanno niente a che fare. E questo mentre il ministro ha inserito la Sardegna nella ristretta lista di “regioni canaglia”, quelle cioè maggiormente responsabili del debito della sanità. Se non si inverte la rotta, il governo potrebbe decidere di costringere l’isola in un percorso di duro risanamento. Il cambiamento non può essere rimandato. I criteri per una nuova stagione sono tre. È necessaria una nuova programmazione, attraverso l’adozione in tempi rapidi del nuovo Piano Sanitario. Serve un insieme di regole condivise, una sorta di “patto” tra politica e cittadini per rilanciare la sanità sarda. Infine occorre una dirigenza delle Asl nuova e professionalmente preparata, capace di adottare nuovi modelli organizzativi. Per superare conflitti e tensioni locali, la Giunta ha scelto di adottare soluzioni nette, affidando a validi professionisti la guida delle Asl di Sassari e Cagliari. Su tali professionisti si è innescata la polemica perché non sardi. Difendiamo con convinzione tale scelta, anche in ragione di quanto l’intero Consiglio regionale ci ha chiesto di fare. D’altro canto “succedeva anche al tempo dei Giudicati”, mi ha spiegato un professore di Storia: “quando, a causa del livello di tensione e di conflitto, una comunità non riusciva a governarsi da sola, per un periodo limitato decideva di affidare le sue sorti a personalità provenienti da altri villaggi”. Un modo saggio per riprendere ad ascoltarsi e a lavorare. Per il bene di tutti. ___________________________________________________________________ Sardinews apr. ’05 SALUTE: PROGETTI DI RILEVANZA NAZIONALE Cure primarie, tumori e medici di base di Re.Sa. Un finanziamento dal Ministero di 25 milioni di euro da spendere in due anni Il ministero della Salute ha finanziato con 25 milioni di euro quattro progetti di durata biennale presentati dalla Regione Sardegna e ritenuti di carattere prioritario e di rilievo nazionale. I progetti riguardano le cure ai malati oncologici, la prevenzione dei tumori femminili, i medici di base e l’organizzazione ospedaliera. “Si tratta di un risultato di rilievo”, spiega l’assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin, “perché la nostra Regione potrà contare su risorse aggiuntive che finora non erano state ancora attivate e che daranno nuovo slancio alla sanità nell’isola”. Per la prima volta la Sardegna è stata inserita fra le Regioni che, per la qualità dei progetti presentati, avranno per prime accesso al finanziamento, al pari di realtà all’avanguardia nell’organizzazione e nell’assistenza sanitaria come quelle di Toscana, Lombardia, Veneto e Liguria. Con sette milioni di euro verrà finanziato un progetto riguardante le cure primarie, con lo sviluppo di forme di aggregazione dei medici di medicina generale. Altri sette milioni serviranno ad attivare un modello di collegamento a rete dei servizi di assistenza dei malati oncologici, con l’obiettivo di innalzare la qualità delle cure. Cinque milioni e 700 mila euro saranno invece utilizzati per potenziare le attività di screening per la prevenzione dei tumori femminili, mentre con cinque milioni e 171 mila euro verrà sviluppato il modello di organizzazione dipartimentale nelle strutture ospedaliere. Il progetto relativo alle cure primarie si propone di garantire nel territorio la continuità assistenziale 24 ore su 24, sette giorni su sette, promuovendo l’associazionismo tra medici di medicina generale (i cosiddetti “medici di famiglia”), i pediatri di libera scelta e gli specialisti. Nelle zone a minore densità di popolazione ogni Nucleo di Cure Primarie si impegnerà per garantire la continuità delle cure ai pazienti, con una azione coordinata con i presidi ospedalieri. Nelle aree urbane i Nuclei potranno invece ridurre i ricoveri inappropriati e offrire ai pazienti un percorso assistenziale personalizzato e integrato. In Sardegna la rete di assistenza ai pazienti oncologici ha bisogno di essere radicalmente riorganizzata, per poter permettere a tutti un uguale accesso alle cure. Il progetto presentato dalla Regione si propone puntare ad innalzare i livelli essenziali di assistenza grazie ad una più moderna organizzazione dei servizi sanitari che dovranno operare in rete e garantire la continuità terapeutico-assistenziale, l’approccio multidisciplinare e la garanzia di accesso tempestivo alle cure. Le Asl dovranno dunque presentare i loro progetti di riorganizzazione delle attività di assistenza oncologica. L’obbiettivo sarà raggiunto anche grazie all’attivazione di un sistema di telemedicina oncologica che consentirà agli ospedali sardi di operare in stretto contatto con i centri di eccellenza nazionali e internazionali, e una maggiore opera di formazione del personale sanitario che opera nel campo oncologico. Fino ad oggi le attività di prevenzione dei tumori femminili sono state svolte in Sardegna in modo disomogeneo. Non a caso, nell’isola il tasso di mortalità per tumore alla mammella supera il dato nazionale, mentre per i tumori della cervice uterina la tendenza al decremento della mortalità è stata decisamente inferiore a quella registrata nel resto del paese. Con il terzo progetto approvato dal Ministero la Regione mira dunque ad uniformare le attività di diagnosi precoce con un programma di screening che coinvolgerà a regime le 196 mila donne sarde tra i 50 e i 69 anni per la diagnosi precoce del tumore alla mammella (con una mammografia ogni due anni), e le 473 mila tra i 25 e i 64 per la diagnosi del tumore del collo dell’utero (con un pap test ogni tre anni). L’obbiettivo verrà raggiunto con la costituzione di un Comitato Tecnico Regionale per gli Screening, l’istituzione del Registro Regionale dei Tumori dell’apparato riproduttivo femminile e l’attivazione di un sistema informativo in grado di garantire la gestione di tutte le informazioni e la valutazione dell’efficienza degli interventi. La qualità dell’assistenza sanitaria è direttamente collegata alla qualità dell’organizzazione ospedaliera. Per questo da anni l’obiettivo è quello di attivare il modello dipartimentale, che consente a più reparti di collaborare fra loro in unità operative omogenee, pur mantenendo la propria autonomia. Nonostante numerose leggi indichino il Dipartimento come modello organizzativo obbligatorio, solo il 66 per cento degli ospedali italiani ha attivato questo modello. In Sardegna la situazione è ancora più critica: non esiste infatti un modello di riferimento approvato dalla Regione che possa essere attuato in maniera coerente in tutte le Asl, e le resistenze culturali al lavoro d’équipe sembrano ancora molto forti. Il progetto approvato dal Ministero prevede dunque un’indagine sulle cause che hanno impedito nell’isola la realizzazione dei Dipartimenti o il loro effettivo funzionamento. Dopo la fase ricognitiva, verrà attuato un processo formativo che coinvolgerà in tutte le Asl ben 4200 operatori sanitari che daranno impegnati in corsi di carattere tecnico-pratico, finalizzati a costituire un modello organizzativo dipartimentale. ___________________________________________________________________ La Repubblica 28 apr. ’05 SPECILIZZANDI: L'EUROPA? È SOLTANTO UN MIRAGGIO Dalla Germania alla Spagna: stipendi alti, contratti rispettati, selezione, pratica clinica Mentre in Italia si litiga da cinque anni sui finanziamenti mai erogati dai vari governi Negli altri paesi la situazione degli specializzandi non è drammatica come in Italia. Hanna è specializzanda in ortopedia nell'ospedale tedesco di Mainz dove è entrata senza concorso, ma grazie ad un rapporto fiduciario e alla valutazione del curriculum. È al sesto anno di corso e guadagna circa 4.000 euro al mese. Dice: "Il mio è un contratto ospedaliero e non universitario: questo mi garantisce tutti i diritti dei lavoratori, ferie, malattia e maternità. All'inizio percepivo uno stipendio di 3.500 euro lordi, gradualmente aumentato col passare degli anni e con l'esperienza. Ecco, questa è la documentazione che attesta tutti gli interventi eseguti da me: tra piccoli e grandi sono 700". Ma al passo con la Germania e in linea con le direttive europee c'è anche la Spagna dove il "contrato de trabajo" sottoscritto dallo specializzando che si chiama Mir (medico interno residente) e dall'ospedale è annuale, con rinnovo periodico e successivo alla valutazione. L'accesso alla specializzazione è regolamentato da un esame nazionale che mette a disposizione ogni anno circa 5.000 posti: i primi in graduatoria hanno possibilità di scelta, gli ultimi si devono accontentare delle disponibilità residue. Le tasse? Non si pagano perché la formazione del medico non dipende dall'università, ma dall'ospedale a cui dovrà garantire la presenza per circa 33 ore a settimana. Ma anche l'Italia è un paese europeo: perché utilizza gli specailizzandi solo come manovalanza? Rosy Bindi, ex ministro della Sanità, sottolinea che "il decreto del '99 emanato proprio per recepire le direttive europee, è rimasto lettera morta perché non è stato finanziato. La responsabilità ricade per il primo anno sul governo di centrosinistra Amato-Veronesi e, successivamente sul governo Berlusconi-Sirchia-Moratti". Secondo il ministro della Salute, Girolamo Sirchia "la soluzione della vertenza si è arenata per la resistenza degli specializzandi che chiedono un contratto simile a quello dei dipendenti pubblici. Possibile, invece, sottoscriverne uno di tipo professionale che non implica l'automatica assunzione al termine della specializzazione, e che prevede contributi versati direttamente all'Inps". ___________________________________________________________________ La Repubblica 28 apr. ’05 SPECILIZZANDI:MEDICI FANTASMA Sul piede di guerra i 25mila specializzandi d'Italia, tra riforme mancate, concorsi, sfruttamento, formazione di Giuseppe Del Bello Sul piede di guerra. Quelli che riescono ad entrare perché sono figli o figliocci; quelli che, nell'assurdo parcheggio postlaurea, aspettano il loro turno sperando in un provvisorio ma efficiente padrino. E infine quelli che ce l'hanno fatta, ma già dal primo giorno toccano con mano l'iniquità del sistema. Tra aspiranti specialisti e allievi frustrati, il mondo delle scuole di specializzazioni, più volte trasformato da riforme solo parzialmente rispettate, sta per scoppiare. Perché le modalità d'accesso si rivelano spesso garantiste solo sulla carta, perché i medici che alla fine dei cinque, sei anni di pratica e teoria dovrebbero conseguire il tanto sospirato diploma, sono il più delle volte adibiti a segretari o portaborse. E se alcuni di loro sopportano con filosofico distacco "tanto, prima o poi, di qui si esce ed è meglio non far casino", ce ne sono tanti altri che di fare i fattorini per il prof che li spedisce a pagare la tassa di circolazione o a ritirare la biancheria in lavanderia, non ne voglio sapere. Stufi di non fare i medici o di farlo solo per colmare lacune di personale (come quando da soli coprono illegali turni di guardia) e di funzioni, ed esasperati dal mancato rispetto di garanzie previdenziali, economiche e assicurative. Come ferie, gravidanza e malattie. - LA RIFORMA Ma andiamo con ordine, in passato la selezione era a totale appannaggio locale: superata la prova scritta (diversa per ogni scuola), al candidato veniva attribuito un punteggio calcolato sull'esito dell'esame e sulla valutazione dei titoli (dal voto di laurea alle pubblicazioni scientifiche e fino ai periodi di internato) che lo incasellava in una graduatoria. A seconda dei posti disponibili e della posizione occupata, si entrava o si restava esclusi. Un sistema che per anni si è prestato a ogni tipo di intrallazzo e di ingiustizia. Con tanti saluti a chi nella meritocrazia ci credeva davvero. Da due anni le cose sono cambiate. In meglio ma non risolte, come sottolinea il siciliano Walter Mazzucco del Sims (Segretariato italiano medici specializzandi): "Prima la selezione era davvero poco trasparente e ne erano avvantaggiati soprattutto gli interni dei vari istituti universitari e i raccomandati forti. Con il tema proposto dalle singole scuole non era difficile agevolare chi non ce l'avrebbe mai fatta a essere idoneo. Ora anche la data delle prove è la stessa in tutti gli atenei con tre giornate (area medica, area chirurgica e area dei servizi): quest'anno il 19, 20 e 21 aprile. Da due anni è stato introdotta anche la prova a quiz, meno suscettibile agli imbrogli". Tutto questo mentre la giungla concorsuale permetteva alle varie università di regolarsi ognuna a modo proprio. Ed è così che l'anno scorso a Napoli, la Federico II si è affidata ai quiz e il II Ateneo ha optato per il tema scritto. L'ultima riforma ha stabilito che il concorso di ammissione deve essere unico a livello nazionale. Il sistema di reclutamento attuale prevede, infatti, che il ministero dell'Università di concerto con quello Salute, bandiscano un determinato numero di borse, a cui se ne possono aggiungere altre finanziate dalle singole Regioni a seconda del fabbisogno locale: quest'anno sono state 1000 in meno rispetto al 2004. - I FINANZIAMENTI Perché? Mancano i soldi. Al momento il decreto legislativo più recente, il 368 del '99, che sancisce la trasformazione delle borse di studio in contratti di formazione-lavoro, non è stato ancora applicato. E non si tratta di un particolare di poco conto, visto che gli specializzandi pagano le tasse universitarie come i dottorandi ma non hanno i diritti riconosciuti come invece i contrattisti che risultano lavoratori a tutti gli effetti, pur se in formazione. In sostanza, anche in questo caso mancherebbero i fondi aggiuntivi per l'applicazione economica del decreto. La battaglia che oggi vede pronti alle barricate i circa 25mila specializzandi italiani (in media tra i 25 e i 35 anni) si gioca proprio sul filo dei diritti maldestramente calpestati nonostante quest'esercito di camici bianchi rappresenti buona parte del tessuto assistenziale del nostro Paese. Ognuno di loro si ritrova con uno stipendio (non aggiornato da 13 anni e con pagamento posticipato ad ogni bimestre) di 966 euro lordi (poco più di 800 netti) a cui vanno detratte le spese di assicurazione. Di tredicesima neanche a parlarne e privi di copertura previdenziale, godono di trenta giorni di ferie che di fatto vengono registrate come "assenze giustificate", mentre possono ammalarsi per non più di 30 giorni e, se si sfora il mese, la borsa è sospesa ma non si becca un euro fino al rientro. - IL LAVORO NERO Eppure in ospedale, e col veto di esercitare all'esterno, svolgono le stesse attività dei colleghi strutturati. E in più c'è il bluff dell'insegnamento: il barone deve certificare (e in genere lo fa sottoscrivendo il falso) che l'allievo ha partecipato in prima persona ad un prestabilito numero di interventi chirurgici. C'è poco da dubitarne, sarebbe un obbligo istituito dal decreto (sempre il 368): "eseguiti personalmente per essere ammessi a sostenere la prova finale annuale". In sintesi, allo specializzando è negato quanto dovuto ma gli si impongono compiti che dovrebbe svolgere lo specialista. Altro che le 5.500 ore di insegnamento teorico e pratico sotto la supervisione del tutor. In dispregio alle norme, questo fantasma della sanità pubblica se la vede spesso da solo: in ambulatorio, in pronto soccorso e, in molti casi, durante le guardie notturne. Un ruolo, il suo, talmente indefinito da suscitare non poche perplessità anche tra i pazienti. Osserva Stefano Magnoni, responsabile della Newsletter del forum on line degli oltre cinquemila iscritti al portale www.specializzandi.org e specialista chirurgo da due anni in forza ad Alba (Cuneo):"Ho accumulato tanta rabbia durante gli anni che, pur potendo farne a meno, continuo a combattere perché le cose cambino e ci si adegui agli altri paesi europei. Lo ritengo un dovere civico. Stiamo preparando un ricorso affinché la magistratura riconosca l'illegittimità del blocco del decreto 368 e, di conseguenza, permetta finalmente l'applicazione del contratto di lavoro". Intanto, mentre la Commissione Affari sociali della Camera sta per licenziare un provvedimento che inquadrerebbe gli specializzandi con un contratto di lavoro autonomo (quindi non garantista), Federpecializzandi, minaccia azioni di lotta più dure. __________________________________________________ Repubblica 25 apr. ’05 DUE TERZI DEI MEDICI ORMAI LAVORANO CON LA RETE I medici si scoprono tecnologici, o meglio pieni di aspettative su quello ~ che il mondo hi-tech può fornire loro in termini di miglioramento delle performance professionali. L'ulteriore conferma viene da una ricerca realizzata dal Forum biomedico e dal Censis dopo aver interrogato un campione di mille camici bianchì italiani. La fiducia nei confronti del progresso della ricerca in campo biomedico e nelle biotecnologie è netta: il 68% del Campione è convinto che la sconfitta delle malattie genetiche e di quelle di grave entità sia l'esito più probabile dello sviluppo della ricerca in questo settore innovativo. Il 61% poi si dice favorevole al potenziamento della ricerca biotecnologia in tutti i campi compreso quello tanto discusso degli ogm. E' sempre più disinvolto i! rapporto dei medici con le innovazioni, quasi che i dottori abbiano sostituito la classica valigetta con il computer. Non saremo ai livelli del serial televisivo E.R. in cui i protagonisti hanno sempre un pc nelle vicinanze, ma quasi tutti i nostri professori prediligono gli strumenti informatici soprattutto per razionalizzare la gestione del lavoro: il 71,5% usa il computer per compilare c consultare le cartelle cliniche e il 61,9 per registrare le prescrizioni. Non ci sono nell'approccio informatico distinzioni di sesso ed età. C'è solo uno zoccolo duro costituito dai più anziani che appare ancora restio:in questo caso, infatti, solo il 43,2% usa il pc per le cartelle cliniche e il 36,1% per le ricette. Più detta metà dei medici intervistati poi si serve del computer e di Internet per ottenere un supporto di conoscenze nel difficile momento della diagnosi. La rete, dunque, come miglioramento dei propri orizzonti formativi. In particolare sono gli specialisti (59,1%) più degli altri (55,6) ad entrare in rete per saperne dì più. C'è poi un terzo campione (30,8%) che dichiara di servirsi delle tecnologie informatiche per realizzare studi farmaco-epidemiologivi o per partecipare a studi di questo tipo. Per l'aggiornamento professionale, il 21,1% clicca sul mouse in cerca di notizie. Continuano ad avere la meglio le tradizionali pubblicazioni scientifiche (53,8%). E i nuovi farmaci? Utilizzano la rete per conoscere tutte le novità farmacologiche circa i due terzi degli intervistati. 11 33% spesso e il 33,5 qualche volta. Ancora: il 12,9% attrìbuìsce importanza agli orizzonti aperti grazie alla telemedicina e il 4,3% sottolinea l’impatto positivo portato dall'informatica nella complessa macchina costituita dai dati amministrativi sanitari. Sembra positivo anche l'impatto che l'evoluzione tecnologica, nell'opinione dei medici, ha avuto nel sistema della sanità pubblica: il 63,4% ha riscontrato una maggiore disponibilità per ì cittadini di apparecchiature diagnostiche sofisticate, il 44% un miglioramento delle tecniche chirurgiche non invasive e il 19,41% mette in luce una più ampia disponibilità di farmaci innovativi. __________________________________________________ Il Sole24Ore 29 apr. ’05 LE STAMINALI DIVIDONO GLI SCIENZIATI GENETICA & SOCIETÀ Per il si ai referendum cresce il fronte dei ricercatori che firmano un documento comune Renato Dulbecco: «Bocciate la legge», ma Angelo Vescovi frena: «Sugli embrioni nessuna scorciatoia é lecita» MILANO a Mentre la Gran Bretagna - come due mesi fa la Spagna - dà il via libera alla creazione, attraverso la fecondazione in vitro, di "bambini su misura" per ricavare cellule staminali in grado di curare i fratellini affetti da gravi malattie, in Italia si allunga e si arricchisce la fila degli scienziati che aderiscono al fronte del "sì" sui quattro quesiti referendari contro la legge 40 sulla procreazione. Alla nascita del documento del comitato Ricerca e Salute ' sottoscritto da un centinaio di scienziati a favore del sì, tra cui Umberto Veronesi, Edoardo Boncinelli, Carlo Alberto Redi e Giulio Cossu, hanno aderito altri tre insigni scienziati: il premio Nobel per la Medicina Renato Dulbecco (come già aveva dichiarato al Sole-24 Ore del 15 marzo), il biologo Vittorio Sgaramella, ordinario di Biologia molecolare dell'Università della Calabria e il genetista Alberto Piazza, ordinario di Genetìca umana all'Università di Torino. «Lo schieramento - fanno sapere i tre scienziati - va contro una legge assurda, sbagliata e antiscientifica». E invitano quindi a votare il 12-13 giugno prossimi quattro sì. «La Comunità scientifica non può accettare l'imposizione del divieto - dice Sgaramella - alla diagnosi pre-impianto sugli embrioni: è un assurdo, una violenza inaudita contro la donna costretta a dover poi abortire entro il terzo mese di gravidanza». «Mettiamoci davanti - chiarisce il premio Nobel Dulbecco - a un piccolo numero di cellule che viene chiamato embrione: potergli prelevare una cellula per sapere se è affetto da malattie gravi mi pare un grande progresso medico, molto utile per l'uomo: proibirlo è un insulto alla medicina. E se la legge ci impedisce di fare il nostro lavoro, ossia scoprire le malattie ereditarie per battere le patologie che affliggono l'umanità, non capisco perché si continui a fare ricerca scientifica». «Sappiamo bene che - continua Dulbecco - se è vero che le staminali presenti in ogni organo possono essere utilizzate per riparare quell'organo, e che le staminali del midollo osseo possono funzionare in diverse parti del corpo, sappiamo anche che le embrionali possono rigenerare qualunque cosa. Dunque, sappiamo che non c'è paragone tra quanto si può fare con le adulte e quello che si farà con le embrionali». Rincara la dose Carlo Alberto Redi, citochimico del Dna all'Università di Pavia e tra i primi ad aderire al Comitato Ricerca e Salute: «Quello che noi chiediamo è di mantenere tutte le strade aperte. Oggi la terapia con le staminali viene fatta solo con le cellule somatiche, per la riparazione della cute ustionata o per lesioni alla cornea; ma abbiamo anche dei dati che ci indicano le enormi potenzialità delle staminali embrionali. Cito un esempio per tutti. Tiziano Barberi, ricercatore italiano che lavora al Memorial Sloan Kettering cancer center di New York, ha ottenuto da una sola cellula embrionale umana un milione di neuroni dopaminergici, le strutture del cervella che vanno perse nei malati di Parkinson. Anche con le staminali somatiche si possono "costruire" i neuroni, ma non certo su larga scala». E aggiunge: «Qual è il rispetto dei 30mila embrioni attualmente congelati, se il loro destino è quello di essere gettati via? Tanto più che la sperimentazione sarebbe sulle cellule e non sull'embrione, destinato in ogni caso a morire, Siamo quindi in una condizione equiparabile alla donazione di organi». La costituzione del documento dei "cento scienziati" è stata infatti avvertita come una necessità di inquadrare il problema sotto il profilo scientifico «e dare al cittadino gli strumenti per sviluppare un proprio giudizio», conclude Redi. È di diverso parere, invece, Angelo Vescovi, condirettore dell'Istituto San Raffaele di Milano, secondo il quale tra le future terapie basate sulle cellule staminali, quelle destinate ad avere successo saranno almeno in sei casi su dieci quelle che sfruttano le cellule staminali adulte. Per Vescovi, inoltre, «è un errore di fondo voler contrapporre cellule staminali adulte ed embrionali». La sfida consiste piuttosto nel «trovare il modo per produrre cellule staminati embrionali da utilizzare per la terapia senza interferire sull'embrione. Le scorciatoie non sono accettabili per motivi etici. Ed è anche un'enorme bugia parlare di staminali embrionali come di una panacea per tutti mali. FRANCESCA CERATI __________________________________________________ Il Sole24Ore 25 apr. ’05 UNA GIACCA MISURA IL BATTITO CARDIACO Non solo elettronica e informatica tra le applicazioni terrestri della missione Eneide. Sulla Stazione spaziale è stata infatti testata anche una giacca per il controllo del battito cardiaco. L'indumento, grazie a particolari sensori, monitorizza diversi parametri del sistema circolatorio inviandoli, in modalità senza fili, a un computer in grado di analizzarli. L'esperimento, messo a punto da un'équipe dell'Università di Tor Vergata di Roma potrebbe avere ricadute sulla Terra con la realizzazione di nuovi elettrocardiogrammi. Un altro esperimento con applicazioni civili è stato Aes (Agrospace experiment suite) in cui Vittori ha fotografato durante il suo soggiorno sulla Stazione spaziale le fasi di germinazione di semi di fagiolo. Contemporaneamente sulla Terra alcune scolaresche hanno fatto lo stesso. Le immagini sono state così confrontate per cercare di capire le differenze tra le due situazioni. __________________________________________________ Corriere della Sera 24 apr. ’05 MASTICARE MOLTO FA BENE ALLA MEMORIA Sembrerà curioso, ma ultimamente la chewing gum è stata oggetto di diversi lavori scientifici. La rivista scientifica "Appetite" ha dedicato ampio spazio a studi sull'influenza della gomma da masticare sui processi cognitivi e, in particolare, sulla memoria. Un'idea nata da quando, in uno studio condotto all'Università inglese di Northumbria, tre gruppi di persone, di cui una masticava la cicca, l'altro mimava la masticazione e il terzo stava tranquillamente seduto, sono stati sottoposti a test cognitivi: il primo gruppo ha ottenuto punteggi significativamente più elevati nei test di memoria, sia a breve sia a lungo termine. Nei masticatori anche la frequenza cardiaca è risultata significativamente aumentata. Secondo una delle ipotesi, la masticazione attiverebbe circuiti neuronali collegati alla memoria o potrebbe aumentare il flusso ematico nel cervello, portando più ossigeno e nutrienti. Ma occorrerà pure chiarire se gli effetti possono dipendere anche dal tipo di gomma: per esempio quelle più consistenti potrebbero essere più efficaci. _______________________________________________ LA GAZZETTA DEL METZOGIORNO 25-04-2005 COLESTEROLO: UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PRAGA - Contrordine. Tutta la barra a sinistra per quanto riguarda il colesterolo cattivo (LDL) nel sangue. Il «più basso è meglio», oggi, non è più ritenuta regola assoluta. I valori di LDL vanno distinti a seconda dei soggetti. Quelli che si trovano a sinistra della tabella di rischio devono essere curati. Non ha senso portare le LDL a valori bassissimi in tutti. Sarebbe inutilmente costoso e farebbe correre rischi impropri. TABELLA - Sulla base delle condizioni fisiche (sovrappeso, obesità, diabete, ipertensione, ecc), della familiarità e dello stile di vita (fumo, alcol, sedentarietà, ecc) è possibile prevedere il rischio che un soggetto corre di subire un evento cardiovascolare acuto nei successivi 10 anni. Questo rischio può essere ridotto od evitato agendo sui fattori evitabili e somministrando i farmaci idonei a ridurre - quando superiori ad un determinato limite accettabile - i livelli di colesterolo cattivo (statine: la piu' studiata ed usata nel mondo e' l’atorvastatrina). Secondo le direttive del sistema sanitario italiano (nota 13), hanno diritto a questa somministrazione gratuita le persone la cui tabella di rischio supera il20%. Ma, in tal modo, resta fuori un gran numero di persone, specie donne, per le quali il rischio sussiste elevato. Sarebbe opportuno - ha detto il prof. Andrea Poli, farmacologo, direttore centro studi alimentazione, al congresso europeo sull'aterosclerosi - portare al 15% questo limite di trattabilità. In Inghilterra si tutela il rischio oltre il 30% ma si tratta di limite determinato da disponibilità economiche, con aggravio del rischio. A Praga sono stati comunicati i dati di un poderoso lavoro internazionale (TNT) eseguito su oltre 10.000 pazienti per 5 anni. Si deduce che la popolazione va distinta in gruppi e che non è più il paziente che gira intorno ad un valore fisso di colesterolo ma è questo che si adatta al soggetto (la legge di chi sta a sinistra e chi a destra della tabella del rischio). Chi è nella categoria del rischio elevato, deve portare il valore delle LDL al di sotto di 70 mg. per dl. di sangue, pena infarto, ictus, altri eventi vascolari, morte entro i prossimi 10 anni. Chi ha rischio minimo, può permettersi un valore di LDL fino a 100. Le statine rappresentano il trattamento ideale per abbattere i valori di LDL e, per conseguenza, ridurre gli eventi spiacevoli. Spetta al medico graduare l'aggressività del trattamento farmacologico sulla base degli studi che hanno dimostrato la peculiarità significativa di 80 milligrammi al giorno di atorvastatina. Si tratta di un trattamento - è stato ribadito dai relatori - da iniziare subito e proseguire in permanenza (senza pericolosi intervalli o sospensioni che, purtroppo, riguardano, nella pratica di tutti i paesi, circa la metà dei soggetti in trattamento). ___________________________________________________________________ La Stampa 27 apr. ’05 TASSO DI COLESTEROLO Il tabù si indebolisce PER PREVENIRE LE MALATTIE CARDIOCIRCOLATORIE LA DIETA MEDITERRANEA E’ MEGLIO DI TANTE RESTRIZIONI L’ATTENZIONE tutta puntata sul colesterolo delle raccomandazioni dietetiche mirate a proteggere il sistema cardiovascolare sta perdendo consensi. Finora le linee guida approvate dall'American Heart Association, la più alta autorità mondiale in campo cardiologico, sono state incentrate essenzialmente sulla riduzione del livello del colesterolo nel sangue, secondo un programma di ristrutturazione dietetica sviluppato in due livelli di intervento. Il primo livello, rivolto alla popolazione generale, prevede che l'assunzione di grassi alimentari non superi il 30 per cento delle calorie totali giornaliere, con il 10 per cento di grassi saturi e con un’assunzione di colesterolo non superiore ai 300 milligrammi al giorno. Un secondo livello, rivolto a chi ha già una patologia cardiovascolare, prevede che l'assunzione di grassi saturi non superi il 7 per cento delle calorie giornaliere e quella del colesterolo non superi i 200 milligrammi al giorno, nel tentativo di raggiungere un livello di colesterolo-LDL soddisfacente, cioè sotto i 130 mg/dl. E' evidente la difficoltà di calcolare e di seguire una simile rigida impostazione dietetica, che infatti non ha mai goduto di grande adesione. A questa impostazione nutrizionale che pone il colesterolo al centro delle attenzioni, se ne va contrapponendo un'altra più facile da comprendere e da attuare, non necessitando di calcoli astrusi che, per di più, ha dato prova di ottenere migliori risultati nella prevenzione secondaria, cioè nel rallentare la progressione di una patologia cardio- vascolare già in atto. Una simile sorprendente evidenza emerge dal Lyon Diet Heart Study, un'indagine francese coordinata da De Longerin, che è stata programmata allo scopo di valutare se una dieta di tipo mediterraneo sia in grado o meno di ridurre il ripetersi di un malanno cardiaco. L’indagine ha coinvolto più di 600 uomini e donne che avevano già subito un infarto del miocardio: la metà di questi ha continuato a seguire una dieta "colesterolo- centrica" di tipo continentale, quella di solito raccomandata ai cardiopatici negli ospedali secondo le già citate linee-guida, mentre all'altra metà si è suggerito un regime alimentare di tipo mediterraneo, senza rigidi calcoli: mangiare più pane e altri tipi di cereali, più legumi e vegetali verdi, meno carne di bue, di agnello e di maiale e più carne di pollo e pesce, frutta tutti i giorni, una modica quantità di vino rosso, sostituire il burro e la panna con una margarina ricca di acido linoleico e con l'olio di oliva o di canola. Lo studio che era stato programmato della durata di cinque anni, è stato interrotto dopo 27 mesi per motivi etici, essendo presto apparsa evidente la notevole differenza di eventi nei due gruppi in esame. Nel gruppo "mediterraneo" si sono verificati 14 nuovi infarti contro 44 del gruppo di controllo "continentale", con una riduzione di degli eventi legati alla progressione della patologia cardiovascolare (angina instabile, ictus, scompenso cardiaco, embolia polmonare e periferica) tra il 50 e il 70 per cento. Risultati stupefacenti che non possono non essere attribuiti proprio alle modificazioni dietetiche, visto che i profili di rischio e le terapie sono rimasti del tutto simili nei due gruppi. Gli autori del Lyon Diet Heart Study ritengono che uno dei fattori favorevoli sia da ricercare nell'equilibrio fra gli acidi grassi omega-6 e omega-3, due categorie di acidi grassi poli-insaturi definiti "essenziali", cioè che devono essere necessariamente assunti con l'alimentazione, avendo l'uomo perso nel corso dell'evoluzione la capacità di sintetizzarli. La necessità di queste sostanze è piuttosto modesta, circa 5 grammi al giorno, per cui è tanto importante che venga colmata una carenza, molto rara, quanto che venga rispettato un equilibrio fra queste sostanze. Equilibrio non rispettato nel regime dietetico continentale, che contiene troppi omega-6 rispetto agli omega- 3. Si calcola che la dieta di "tipo mediterraneo" contiene in media il 30 per cento di grassi (8 per cento saturi, 13 per cento mono-insaturi, 5 per cento poli- insaturi) e 203 milligrammi di colesterolo: una quantità di lipidi non dissimile da quella raccomandata dal secondo livello dal NCEP (National Colesterol Educatio Program), approvato dalla American Heart Associazion. Ma, ancora una volta, è qualità dei lipidi introdotti che conta, qualità che è diversa. Gli omega-3, presenti in abbondanza nella dieta mediterranea, entrano nella composizione delle membrane cellulari e nella sintesi degli ormoni eicosanoidi che svolgono un effetto protettivo sul sistema cardio-circolatorio attraverso multeplici meccanismi (effetto antiaritmico, effetto antinfiammatorio, inibizione della sintesi di citochine e di fitogeni, stimolo della produzione di ossido nitrico, effetto antitrombotico). Un ruolo protettivo sul sistema cardiocircolatorio è anche svolto dalle sostanze antiossidanti e dalle fibre alimentari di cui la dieta mediterranea è ricca. Si può, quindi, dire che pur mantenendo il colesterolo la considerazione di elemento negativo nei confronti del sistema cardio-vascolare, una sorta di "rivoluzione copernicana al contrario" tenta di toglierlo dal centro del sistema dietetico volto alla protezione cardiovascolare, per sostituirlo con una costellazione di fattori positivi, non ancora tutti identificati, fattori dei quali la dieta mediterranea è certamente ricca. Antonio Tripodina __________________________________________________ Libero 27 apr. ’05 DALLE PECORE ORGANI VALIDI PER I TRAPIANTI Iniettare negli ovini cellule umane evita il rigetto Udi LUIGI SPARTI RENO - In futuro sarà possibile far crescere organi su misura per coloro che li devono ricevere, grazie alle chimere. Sono queste le interessanti (e inquiétanti) prospettive aperte da un nuovo studio americano, condotto da un team dell'Università del Nevada (a Reno) e diretto da Esmail Zanjani. Con il termine "chimera" (che in origine era una creatura mitologica derivata dalla fusione di animali differenti) si indicano tutti quegli organismi Ogni che contengono in sé geni, cellule o parti anatomiche appartenenti a specie diverse: Negli ultimi anni la scienza ha prodotto molte di queste "creature , sia per motivi sperimentali sia per ragioni di tipo medico. Più in particolare molti studiosi mirano a "umanizzare" il più possibile determinati animali già anatomicamente simili a noi (come i maiali) allo scopo di disporre di vere e proprie banche d'organi da trapiantare che sopperiscano alla cronica carenza di questi ultimi. Nella fattispecie Zanjani ha creato una pecora geneticamente modificata (m apparenza del tutto indistinguibile da un altro esemplare non manipolato) che possiede milioni di cellule umane sparse in tutti i suoi organi. Per produrre questo animale lo studioso Usa ha prelevato delle staminali adulte provenienti dal midollo osseo e le ha coltivate in vitro; fatto ciò Zan,ani e il suo team le hanno iniettate diretta niente in alcuni embrioni di pecora in fase di gestazione. Una volta nati questi animali hanno mostrato di possedere numerose cellule umane geneticamente del tutto identiche a quelle del donatore originario. L'obiettivo finale dello scienziato è questo: iniettando negli embrioni in questione delle staminali provenienti a un paziente in attesa di trapianto si potranno ottenere organi parzialmente compatibili con quest’ultimo. Secondo Zanjani tale tecnica sarà molto utile soprattutto per ottenere un fegato su misura: una volta trapiantato nel soggetto ricevente l’organismo di quest ultimo produrrebbe probabilmente una forte reazione immunitaria, distruggendo così le cellule di pecora ma risparmiando quelle umane; grazie poi alle capacità di autorigenerazione del fegato le cellule rimaste potrebbero rapidamente riprodursi, rimpiazzando così le parti eliminate (e fornendo a1 paziente un fegato completamente umano e dei tutto compatibile). Il progetto di Zanjani non è certo scevro da problemi tecnici ed etici, soprattutto per quanto riguarda il possibile eccesso di umanizzazione delle chimere. Stando però alle analisi dello studioso Usa il numero di cellule umane presenti nel cervello delle pecore Ogni è piuttosto basso e il comportamento di questi animali è del tutto indistinguibile da quello dei loro simili non modificati. __________________________________________________ Il Sole24Ore 28 apr. ’05 COSÌ CAMBIANO LE OPERAZIONI AL CERVELLO E’ Roma la prima sala operatoria completamente integrata e dedicata alla neurochirurgia per le malformazioni e i tumori del cervello. Battezzata Brainsuite, è operativa all'Ospedale Sant'Andrea, e integra uno scanner per la risonanza magnetica "Magnetom sonata" con un alto campo di intensità (1,5 Tesla) della Siemens con gli strumenti di neuronavigazione messi a punto dalla BrainLab. «La Brainsuite cambia profondamente il modo di operare il cervello - spiega Luigi Ferrante, primario della divisione di Neurochirurgia del centro romano che ha suggerito alle due aziende tedesche l'idea di integrare sistemi diversi - perché permette di verificare già prima della fine dell'intervento, il suo ,successo. Nel caso della rimozione di un tumore al cervello, per esempio, il chirurgo potrà sottoporre il paziente a una risonanza magnetica già in sala operatoria e, se necessario, intervenire immediatamente. I vantaggi non sono importanti solo in termini di tempo, che comunque dovrebbero accelerare (s liste di attesa già di (20 persone, ma anche per la qualità della cura perché i sistemi di neuronavigazione, costituiti dal microscopio e dal computer che integrano le immagini prodotte dalla risonanza magnetica riducono di più del 70% l'apertura che il chirurgo deve eseguire nel cranio per operare. In pratica, ci basta un piccolo foro sopra a un sopracciglio invece di una craniectomia tradizionale spiega Ferrante. Il Cervello è un urgano molto delicato e i benefici di questa tecnica sono già evidenti il trauma chirurgico é quasi assente e nei pazienti operati fino a oggi la degenza postoperatoria é stata dimezzata». Un risparmio anche economico, visto che il costo complessivo della degenza di uno di questi pazienti su aggira intorno ai 1.500 euro al giorno. La tecnologîa che fa funzionare la Brainsuîte é tedesca, ma l'Italia può vantare il primato nello sviluppo delle tecnologie chirurgiche. -Qui a Roma abbiamo.la prima scuola di specia1iziazione in medicina che formerà o chirurghi all’utilizzo di questi nuovi strumenti - osserva Ferrante - e abbiamo in Corso una collaborazione con l'ospedale universitario di Stateri Island, a New York, che ha installato anch'esso una Brainsuite». Dell'anatomia e del funzionamento del cervello si sa già molto, ma questa nuova tecnologia apre anche nuove strade per la ricerca. Il prossimo passo - spiega Ferrante - è lo studio funzionale del cervello e della cellula nervosa durante l'intervento per individuare nuovi bersagli per sconfiggére i tumori». Guido Romeo ___________________________________________________________________ La Repubblica 28 apr. ’05 FEGATO, TROPPE EPATITI RESTANO "NASCOSTE" A Parigi congresso Easl. Importante individuare i malati che non sanno d'esserlo. Cure efficaci dal nostro inviato Elvira Naselli Parigi Il fegato protagonista del quarantesimo congresso dell'EASL (European Association for the Study of the Liver, l'associazione europea per lo studio del fegato), che ha riunito a Parigi oltre 4000 medici e ricercatori in Epatologia di 140 centri nel mondo. Cinque giorni di incontri, dal 13 al 17 aprile, "per fare il punto sulla ricerca", spiega Massimo Levrero, segretario Easl, "sulle malattie genetiche, sui marcatori molecolari che saranno in grado di individuare i diversi tipi di tumore al fegato consentendo terapie specifiche, sull'uso delle radiofrequenze per tumori entro i 3 centimetri, su vecchie e nuove patologie, dall'epatite C e B, che hanno raggiunto dimensioni da epidemia, ai pericoli provocati dalla steatosi epatica non alcolica (eccesso di grassi nel fegato che produce un'infiammazione), dovuta a cattive abitudini di vita, sedentarietà, obesità". Ma le protagonisti al congresso sono state le epatiti virali. "Si calcola che nel mondo siano 350 milioni gli infetti dal virus dell'epatite B", spiega il professor Jean Michel Pawlotsky (Laboratoire de Virologie Hopital Mondor, Parigi), "e 180 milioni da quello dell'epatite C". In Italia la situazione che più preoccupa è quella del "sommerso", degli infettati che non sanno d'esserlo. "Calcoliamo che da noi i malati siano tra il milione e mezzo e il milione e ottocentomila", ragiona Alfredo Alberti, associato di Terapia medica all'università di Padova, "i diagnosticati sono il 15-20 per cento e quelli in terapia circa 25 mila. Poi ci sono almeno trecentomila persone che hanno l'HCV (epat. C) con transaminasi normali e circa 60 mila co-infetti HIV-HCV, che muoiono molto spesso per le complicanze epatiche e non per l'Aids". Come individuare i malati? "Uno screening di massa non sarebbe utile", precisa Antonio Ascione, direttore dell'Unità di Epatologia all'ospedale Cardarelli di Napoli, "io consiglio il test a chi ha subito più di tre interventi chirurgici, anche dentistici, e ha più di 50 anni, alle donne tra 40 e 60 anni, soprattutto se hanno partorito con il cesareo, a chi ha fatto piercing e tatuaggi, endoscopie. Ovviamente anche a chi ha fatto trasfusioni e uso di droghe per via endovenosa. E ai familiari degli infetti. E' indispensabile la collaborazione dei medici di famiglia". Scovare i malati, quindi, per cominciare subito la cura. E, secondo gli studi presentati, la terapia a base di interferone pegilato alfa 2 associato alla ribavirina ha percentuali di guarigione medie del 63 per cento, 52 nel caso di genotipo 1, il più difficile e frequente in Italia, addirittura dell'84 per cento nei genotipi facili (2 e 3). Ma il problema è che i farmaci non arrivano ai pazienti. ___________________________________________________________________ La Repubblica 28 apr. ’05 GENGIVE INFIAMMATE? PIÙ RISCHIO D'INFARTO Paradontopatia: non lasciano più dubbi i risultati di una ricerca della Columbia University di Giuseppe Del Bello Potrebbe iniziare da denti e gengive la prevenzione dell'infarto. Un semplice esame microbiologico per scoprire eventuali stati infiammatori e soprattutto la parodontopatia, avvertirebbe il paziente se è o meno a rischio di malattie cardiovascolari. A documentare scientificamente la correlazione tra la presenza di quattro batteri nelle tasche gengivali e lo stato di salute delle pareti arteriose, è un recente studio pubblicato sulla rivista Circulation edito dalla prestigiosa American Heart Association. Si chiamano Actinobacillus actinomycetemcomitans, Porphyromonas gingivalis, Tannerella forsythia e Treponema denticola, i predittori dell'infarto e responsabili dell'ispessimento delle carotidi i batteri individuati dai ricercatori di vari centri americani. Non è la prima volta che si discute del nesso tra aterosclerosi e malattie gengivali: solo che mentre finora ci si è basati su alcuni sintomi come la caduta dei denti, oggi la conferma arriva da uno studio che ha analizzato le cause microbiologiche. I ricercatori guidati da Moise Desvarieux, epidemiologo del Columbia University medical center di New York, hanno infatti misurato la concentrazione di batteri all'interno della bocca di 657 soggetti di età maggiore o uguale a 55 anni che non avevano fino a quel momento accusato disturbi cardiaci e ai quali sono stati fatti vari prelievi subgengivali per testarne la flora batterica. Il risultato ha trasformato il dubbio in certezza: il restringimento delle carotidi causato dalla presenza di placche aterosclerotiche è maggiore nei pazienti affetti da parodontopatia. L'interpretazione che dà Desvarieux sul collegamento tra i due fenomeni, è che i batteri responsabili della parodontite possano migrare nel torrente circolatorio e, a loro volta, diventare responsabili di altre infiammazioni. Anche delle arterie. Uno stato infiammatorio cronico a cui si attribuirebbe l'aumento di spessore della loro parete intima-media e, quindi, il conseguente restringimento del lume. ___________________________________________________________________ Le Scienze 28 apr. ’05 IL CERVELLO COME MOTORE DI RICERCA Un esperimento con le scimmie fornisce informazioni sull'attività cerebrale In uno studio pubblicato sul numero del 22 aprile 2005 della rivista "Science", i ricercatori del National Institute of Mental Health (NIMH) forniscono alcuni indizi su come il cervello dei primati esegue una complessa ricerca visiva, per esempio quella di volto noto in mezzo a una folla di persone. Se si sta cercando un amico alto con capelli corti e scuri, i cervello può automaticamente "evidenziare" (con un incremento di attività neurale) tutte le persone alte, per poi, all'interno di questo gruppo, esaminarle una a una alla ricerca di quelle con capelli corti e scuri. Questo tipo di ricerca sfrutta due meccanismi classici di elaborazione: in parallelo (in questo caso, la ricerca di tutte le persone alte) e seriale (un elemento alla volta, cercando una persona con i capelli corti). Nel loro studio, Narcisse Bichot e colleghi dimostrano che durante una singola ricerca sia l'elaborazione in parallelo che quella in serie hanno luogo nell'area V4 della corteccia visiva. Per indagare sui dettagli del processo, i ricercatori hanno registrato le risposte neuronali provenienti dall'area V4 del cervello di macachi che stavano cercando una forma colorata all'interno di altre sullo schermo di un computer. Una miglior comprensione dei meccanismi biologici di ricerca potrebbe aiutare a migliorare i dispositivi di ricerca artificiali, per esempio quelli per lo screening dei bagagli agli aeroporti o delle mammografie.