LA LAUREA MERITA UN TRE PIÙ... CAGLIARI: GLI STUDENTI CONTESTANO LE LAUREE A NUMERO CHIUSO SASSARI PIÙ CHE NELL'OMBRA SI TROVA IN MEZZO AD UN GUADO ROSATI: NO AI TAGLI, PIUTTOSTO CHIUDIAMO MEDICINA» LA MANNAIA CADRÀ ANCHE SULLE LAUREE BREVI CAGLIARI: ENTRO DUE MESI AL VIA LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA CAGLIARI: ARRIVANO I CORSI PER GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO CAGLIARI: DOCENTI UNIVERSITARI E IMPRENDITORI NEL CDA DOPO I DATI CHOC SALTA IL PRESIDENTE DELL'OSSERVATORIO AUTOMATISMI IN CATTEDRA PRESIDENTE, RIPARTIAMO DA RICERCA E UNIVERSITÀ" SE LA RICERCA TROVA L'AMERICA NELLA UE SCIENZE DELLE COMUNICAZIONI: UNA LAUREA CHE CREA ILLUSIONI SCIENZE MOTORIE: UNA LAUREA SENZA SBOCCHI IN SANITÀ STIPENDI SEMPRE PIÙ BASSI PER I NEOLAUREATI UNIVERSITÀ «BOCCIATA» IN PRIVACY UNIVERSITÀ «BOCCIATA» IN PRIVACY BIBLIOTECHE DI TUTTA EUROPA UNITEVI, SUL WEB LEGAMI FRA ETRUSCHI E SARDI ======================================================= DIRINDIN: NOI PENSIAMO AGLI UTENTI, NON AI PRIMARI CARA DIRINDIN, USI LA LOGICA PER CURARE LA MEDICINA SASSARESE AZIENDA MISTA: 800 POSTI IN MENO SASSARI: SANITA’ DI SERIE C CORSI INFERMIERI: REGIONE LI FA, LO DICE DIRINDIN OPPI:SANITÀ, SCELTE ALL'INSAPUTA DEI CONSIGLIERI IN OSPEDALE IL CARRELLO DIVENTA «INTELLIGENTE» L'ELETTRICITÀ SMASCHERA IL CANCRO AL SENO FREQUENTI TENTATIVI DI DIETA PORTANO ALL'OBESITÀ NO DEI MEDICI AL DI BELLA-BIS LUI HA PIÙ NEURONI MA LEI LI HA PIÙ CONNESSI STORACE: PREZZO LIBERO PER I FARMACI AGOPUNTURA: EFFICACE O NO? IL VIAGGIO DEI LINFOCITI ======================================================= _______________________________________________ Corriere della Sera 4 Mag. 05 «LA LAUREA MERITA UN TRE PIÙ...» L'INTERVISTA • Parla Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education Rafforzare gli stage, la flessibilità e soprattutto la ricerca scientifica di ISIDORO TROVATO Iniziano oggi le pagine della Guida speciale che «Corriere Lavoro» dedica all'orientamento universitario. Per avere un parere autorevole sui temi della ricerca e del passaggio tra il mondo universitario e quello occupazionale, ci siamo rivolti a Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education. Da una ricerca Nexus emerge che gli universitari chiedono ai propri corsi di laurea più stage e più conoscenze pratiche applicabili in ambito lavorativa. Segno di un distacco ancora profondo tra il mondo del lavoro e quella dell'università, come colmarlo? Un importantissima fattore per favorire lo sviluppo è costituito dall'interazione fra università e impresa grande, piccola, media. Lo stage è uno strumento ponte fra l'impresa e l'università che merita la massima attenzione, perché essenziale per l'avvicinamento fra due mondi che devono parlarsi sempre di più affinché dai nostri atenei escano laureati con conoscenze pratiche ed esperienze che Il mettano in condizioni di comprendere le esigenze dello sviluppo. I giovani vogliano un rapporto sempre più stretto con le imprese. Il numero degli stagisti nel nostro Paese è in costante crescita (da 200 mila a 450 mila all'anno negli ultimi cinque anni). La correlazione fra stage e sviluppo risulta evidente nelle aree più vitali del paese, dove le imprese fanno a gara per assicurarsi stagisti di livello, con la possibilità di inserirli poi a pieno titolo nella loro attività. E' arrivata la cosiddetta riforma Moratti che introdurrà nel sistema universitario la formula «Y» al posto del 3+2. Un cambio indispensabile o un'operazione che rischia di confondere le idee agli universitari? Il decreto 509 aveva un obiettivo molto giusto. Consentire anche agli studenti italiani di laurearsi in tre anni, come avviene in tutta Europa. Il 3+2 ha fallito però nel diversificare concretamente l'offerta formativa e va benissimo per Ingegneria. Giurisprudenza e Lettere, però, devono durare 4 anni, Medicina 6 anni, L'errore è stato l'applicazione meccanica di un principio giusto. La laurea triennale va definita meglio nei suoi contenuti. Essa viene ancora percepita come una versione concentrata della laurea quinquennale e stenta ad affermare una sua identità e credibilità. II modello a Y (1+2+2) consente una maggiore flessibilità e la possibilità per i giovani di scegliere, dopo il primo anno di base, se proseguire con un biennio professionalizzante, finalizzato al mercato del lavoro, oppure, con un biennio con una maggiore impronta culturale In Italia la ricerca scientifica continua ad arrancare e molti non credono al finanziamento pubblico come unico motore dell'innovazione. Perché le aziende italiane investono ancora poco nella ricerca? Le imprese italiane, nell'aggregato nazionale, fanno poca ricerca perché sono specializzate in settori in cui essa non rappresenta una priorità e perché sono mediamente più piccole rispetto a quelle di altri paesi. Il ruolo di driver che la ricerca privata può svolgere nei confronti di quella pubblica é da noi carente. Ciò non toglie che in Italia molte imprese operano nell'alta tecnologia ed investono in ricerca e sviluppo almeno quanto i propri concorrenti. Rimane comunque il problema che la maggior parte delle nostre imprese compete con paesi con un costo del lavoro motto più basso del nostro, su prodotti facilmente imitabili e con tecnologie ormai ampiamente standardizzate. Un' indagine del consorzio universitario Almalaurea ha accertato che il salario medio di un laureato a un anno dalla tesi non supera 1000 euro, ben al dì sotto delle medie europee. Non è un cattivo incentivo all’inserimento professionale di giovani laureati? Vi sono situazioni in cui ai laureati viene attribuito uno stipendio basso, ma anche casi in cui, sulle base delle competenze possedute e delta competitività del tipo di laurea, i laureati ottengono stipendi in linea con le medie europee. In generale comunque il passaggio dall'università al lavoro in Italia è più lento. L'investimento in istruzione richiede quindi un periodo di tempo più lungo prima che produca un ritorno importante. Vi è poi il problema del periodo di praticantato post-laurea che non viene retribuito o viene retribuito con forme dì rimborsa spese. Per esempio i laureati che scelgono professioni regolamentate (architetto, ingegnere, etc.) attraversano un periodo in cui non percepiscono alcuno stipendio per acquisire le competenze professionali che l'università non gli ha fornito. Inoltre molti laureati delle cosiddette lauree deboli sono privi delle competenze professionali che consentono di accedere a salari elevati. __________________________________________ La Nuova Sardegna 1 mag. ’05 ROSATI: NO AI TAGLI, PIUTTOSTO CHIUDIAMO MEDICINA» Rosati, preside della facoltà sassarese attacca la linea dell’assessore Dirindin Il piano: eliminare le strutture già esistenti nell’ospedale pubblico GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. L’assessore Dirindin minaccia di tagliare le cattedre, per tutta risposta il preside Rosati minaccia di chiudere la facoltà. Una bagarre avanti e indietro sulla 131 con tanto di richiesta di dimissioni del manager Asl mitigata, solo in parte, dall’intervento di Renato Soru. I «tagli» si sono ridotti ma a Medicina la tensione è altissima: «Se il senso della futura azienda mista sarà quello di mortificare la formazione è meglio che ce ne andiamo tutti a casa». Che le cose non stavano andando per il verso giusto si era capito già dalla scorsa settimana, quando Giulio Rosati era andato a Cagliari accompagnato dal collega Giuseppe Madeddu per una delle tante riunioni riguardanti la imminente costituzione dell’azienda mista università-ospedale. «In conclusione l’assessore Nerina Dirindin ci ha detto di metterci in contatto con i manager della Asl n.1 per definire gli aspetti relativi ai destini dei reparti, delle cliniche e di tutte le altre strutture sanitarie che andranno a formare l’azienda. E lì è arrivata la mazzata. Il direttore generale Zanaroli ci ha prospettato una situazione inconcepibile: in pratica in tutti i casi in cui si presenta una struttura “doppione” (all’ospedale e nelle cliniche) a farne le spese sarebbe il reparto universitario. Sulla base di questo principio il progetto prevedeva il taglio di Dermatologia, Pneumologia, Anestesia e Rianimazione, Urologia, Ortopedia, Cardiologia e Oncologia. Incredulo ho chiesto se stessero scherzando e invece era proprio così». In più i manager dell’azienda sanitaria hanno anche annunciato l’eliminazione di circa 250 posti letto attualmente gestiti dalla facoltà di Medicina: da 700 scenderebbero dunque a 450 (come prevede la legge). Il professor Rosati ha spiegato che il danno maggiore si verificherebbe però a carico delle scuole di specializzazione e dei requisiti minimi che la facoltà deve rispettare perchè i titoli di studio emessi abbiano una validità e siano compatibili con le nuove normative, concepite soprattutto a livello comunitario e poi trasformate in decreti dal nostro governo, vedi quello recentissimo del 27 gennaio di quest’anno. «Venendo meno le cattedre di insegnamento sarebbe anche inutile tenere in piedi la facoltà. A quel punto, quando ho capito che il prospetto era il frutto di un preciso diktat dell’assessore mi sono precipitato a Cagliari, stavolta con il rettore Alessandro Maida, per chiedere le dimissioni dei manager della Asl che non hanno a mio avviso compreso la reale portata di una simile prospettiva. Nerina Dirindin, nel corso di una riunione alla quale era presente anche il presidente della giunta regionale Renato Soru e il presidente del corso di laurea cittadino Giuseppe Delitala, ha sostenuto la validità del progetto: «Non potevamo accettare una soluzione di quel genere - riferisce Giulio Rosati -. Così, dopo una lunga discussione e un consulto fra la Dirindin e Renato Soru ci è stato annunciato che i “tagli” si sarebbero ridotti. Resterebbero in piedi Anestesia e Rianimazione e Ortopedia e in pratica sparirebbero le altre scuole. Io non credo che ci siano le condizioni perchè la nostra università possa stare al passo con gli altri atenei italiani. Ma chi glielo dice agli studenti che di questo passo i loro titoli saranno carta straccia?». E a proposito di Cardiologia Rosati richiama l’attenzione sul caso dell’Unità Coronarica, una struttura avveniristica dotata di macchinari sofisticati, realizzata cinque anni fa, che occupa un’intera ala delle vecchie cliniche di San Pietro e mai entrata in funzione. Il futuro di questo invidiabile impianto, soprattutto se il reparto e la scuola di Cardiologia venissero eliminati, sarebbe quantomai incerto. Di sicuro la preoccupazione in ambiente universitario è altissima. «Le strutture destinate al sostegno delle materie di insegnamento non possono sparire in questo modo. Tra l’altro - si sfoga ancora Rosati - l’assessore a mio parere sta invadendo il campo di competenze del futuro direttore generale dell’azienda mista, che si ritroverà a gestire già dal principio una serie di paletti. Un fatto contro legge». Una cosa è certa, la storia della costituzione dell’azienda mista a Sassari, ha suscitato fin dai suoi primi passi un vespaio di polemiche. Dapprima il dibattito si è incentrato sul numero di aziende che avrebbero gestito la sanità del territorio. Una volta chiarito dall’assessore che l’azienda sarebbe stata una, e cioè quella università-ospedale e che l’attuale Asl avrebbe gestito i servizi del territorio, è cominciata la diatriba fra operatori universitari e ospedalieri per i rispettivi ruoli nel futuro assetto della sanità. Insomma, una matassa decisamente difficile da sbrogliare. Ieri, intanto, si è tenuta una riunione dei clinici e lunedì ci sarà l’assemblea degli studenti di Medicina, che sul loro futuro vogliono vederci chiaro. __________________________________________ La Nuova Sardegna 5 mag. ’05 SASSARI PIÙ CHE NELL'OMBRA SI TROVA IN MEZZO AD UN GUADO LE RISPOSTE Centrosinistra: cambiare metodo 1) L'università di Sassari più che nell'ombra si trova in mezzo ad un guado che deve superare. Il passaggio della seconda metà degli anni 90, l'autonomia, la competizione ha portato responsabilità enormi sotto il profilo manageriale ma ha lasciato le piccole università a navigare in parte da sole in mare aperto. Spesso con progetti avviati in un regime di finanziamento nazionale conosciuto per poi trovarsi di colpo con risorse modificate e ridimensionate. Se poi penso al fatto che in questi anni il fondo nazionale per l'università non è cresciuto come doveva, se penso al blocco del turn over dei ricercatori, al progressivo invecchiamento della classe docente, all'indebolimento del sistema economico dal quale dovrebbero provenire le risorse private, in qualche caso la sopravvivenza di alcune università ha del miracoloso. In questo senso, non penso che l'Università di Sassari consideri orto botanico e padiglione delle cliniche una incompiuta, il progetto per cui sono state pensate e sinora realizzate è recente e certamente non superato. Le università, con il processo dell'autonomia, sono soggette ad una forte competizione tra sedi che si basa sulla qualità della didattica, sulla ricerca, sulle relazioni internazionali, sull'offerta formativa. Una competizione che richiede strutture moderne e innovative, laboratori, spazi per gli scambi di docenti e studenti. Se Sassari, se la Sardegna vogliono università capaci di affrontare questa sfida devono sostenere questo sforzo, investire sulle risorse umane, sulle risorse immateriali. Nello stesso tempo lo sviluppo dell'università, le sue scelte, gli obiettivi non possono essere assunti solo con logiche interne, come quando lo Stato era l'unico soggetto sostenitore. Il fatto che le comunità locali, comune, provincia o regione, debbano investire sulla propria università comporta uno stile diverso nelle scelte strategiche, nella definizione degli obiettivi, comporta un obbligo di condivisione che sia convinto e trasparente, una reciprocità e uno stile di governo altrettanto pubblico e visibile. In questa direzione l'amministrazione comunale condividerà e sosterrà il percorso di crescita dell'università con tutti gli strumenti disponibili. 2) Si può dire senza rischiare di essere smentiti che la Sassari della cultura più che perso smalto ha subito un crollo in questi anni di governo comunale del centrodestra. Abbiamo dovuto assistere ad un progressivo impoverimento delle proposte e non certo per colpa di chi lavora con professionalità nel campo del teatro, della musica e dello spettacolo. L'amministrazione è stata sollecitata in tutti i modi ma il risultato è stato davvero incredibile. Cartelloni allestiti all'insegna della confusione, eventi che venivano incomprensibilmente contrapposti nelle stesse giornate, periodi contraddistinti dal vuoto più totale di proposte, finanziamenti concessi a caso anche ad organizzatori improvvisati. Da questo punto di vista l'inversione di tendenza deve avvenire immediatamente cambiando radicalmente il metodo. Bisogna dare risposte alle esigenze dei giovani ma anche dei meno giovani che chiedono di poter assistere a spettacoli, concerti e rappresentazioni teatrali che siano in linea con le offerte presenti in altri territori. Per quanto riguarda le rassegne teatrali l'amministrazione comunale deve essere il punto di riferimento di un circuito stabile che programmi le rappresentazioni tenendo conto della forte richiesta che arriva dalla nostra città. 3) Sono convinto che l'Università di Sassari abbia un grandissimo patrimonio di docenti e ricercatori, nati nella nostra città, formati nella nostra città e che per la nostra città rappresentano sicuramente un vanto, una grande risorsa. Credo che la valorizzazione dei tanti sassaresi che lavorano per il nostro ateneo sia sicuramente un valore aggiunto. È altrettanto vero che il meccanismo concorsuale rinnovato negli anni più recenti non aiuta le piccole università ad evitare un certo rischio di provincialismo. Un rischio di fare concorsi autoreferenziali che non mettono in reale competizione gli studiosi locali con quelli provenienti da altre esperienze. La competizione richiede confronto e se il confronto si evita alla competizione si rinuncia in partenza. Sassari non è a questo punto ma sarebbe sbagliato non affrontare il possibile rischio. Come è sempre successo, con nomi importanti della medicina, del diritto, delle scienze, esperienze di alto livello provenienti dalla penisola hanno dato l'impronta sotto il profilo della ricerca e della formazione alla scuola sassarese. Ancora oggi ci sono esempi di questo genere che vanno valorizzati e diffusi perché possono anche dare un qualcosa in più all'Università di Sassari, farne a meno non è nell'interesse generale. Centrodestra: adeguarsi ai tempi 1 Tutto il sistema universitario meridionale sta affrontando momenti difficili, che il nostro ateneo vuole gestire con la massima determinazione, a giudicare da quanto esposto lucidamente dal magnifico rettore in occasione della recente inaugurazione dell'anno accademico. Il vero problema sta nella capacità dell'ateneo di poter superare positivamente il difficile processo dell'autonomia, che impone alle università italiane criteri di gestione e di qualità tali da metterle di fatto tutte in aperta competizione, per riuscire non solo a consolidare le proprie eccellenze ma anche e soprattutto per essere sempre costante polo di attrazione dei nuovi studenti, evitando in tal modo la progressiva fuga dei nostri talenti verso altri atenei, con il concreto rischio che non ritornino più in Sardegna. Per cogliere questi obiettivi la nostra università dovrà poter contare sul sostegno e sull'aperta collaborazione dei tutti, compresa l'amministrazione comunale, per quanto sarà possibile fare in termini di pressione politica e di capacità progettuale comune, da rivolgere nei confronti dei principali centri di finanziamento, anche europei ed internazionali. L'orto botanico, grazie alla sua rivoluzionaria e modernissima struttura, potrà creare ulteriore valore aggiunto non solo per l'Università ma per l'intero territorio del nord Sardegna, diventando un polo di eccellenza nel settore della ricerca. Mentre per il nuovo padiglione ospedaliero il problema è esclusivamente tecnico, dopo il fallimento dell'azienda che stava eseguendo i lavori: ora stanno per essere ripresi e dovrebbero essere conclusi nell'arco di 15-18 mesi, completando le strutture della futura Cittadella sanitaria, alla quale il Comune intende dedicare assoluta priorità. 2) Sia l'offerta che la domanda di cultura sono cambiate nel corso degli ultimi decenni e anche l'amministrazione comunale dovrà adeguarsi rapidamente, ponendo al centro dei suoi interessi il rilancio di un'attività fondamentale per ridare spessore alla nostra città. Con la creazione dell'Agenzia comunale per la cultura intendiamo dare un segnale concreto a quanti operano in questo settore, agendo d'intesa con l'omologa Agenzia provinciale, per fare fronte comune e sviluppare iniziative di alto livello che abbiano l'obiettivo di autosostenersi, senza dovere costantemente legare le proprie fortune alle disponibilità sempre più incerte che provengono dalla Regione. Nel nord ovest abbiamo numerose opportunità sulle quale poter contare, mettendole in rete e creando un cartellone di manifestazioni culturali di straordinaria attrazione, anche internazionale. Semmai le scarse risorse regionali andrebbero destinate integralmente alla valorizzazione delle iniziative promosse dai giovani artisti, con particolare attenzione per gli studenti dell'Accademia delle Belle Arti e del Conservatorio musicale, sostenendoli nella difficile fase di avvio della loro carriera. Senza preconcetti dovremmo valutare anche le opportunità provenienti dal mondo cinematografico e televisivo, che in molte località europee ha generato interessanti fasi di sviluppo economico, non solo per quanto riguarda gli aspetti collegati alla recitazione, ma soprattutto per la creazione delle professionalità tecniche e delle specializzazioni che, dietro le quinte, devono gestire una macchina organizzativa di estrema complessità. 3) E' un processo da tenere sotto attento controllo, perché le università si basano sulla qualità dell'insegnamento ma anche sulla qualità della ricerca, e la ricerca ha necessità di continui confronti, di osmosi tra esperienze diverse, di immissione continua di nuove scuole di pensiero, garantendo un giusto mix tra docenti radicati nel territorio e docenti provenienti dal continente e dall'estero. Vanno recuperate le condizioni di eccellenza che sino a pochi anni fa venivano riconosciute alle facoltà di Agraria e Veterinaria, anche per il ruolo fondamentale che devono svolgere per il settore agricolo e, contemporaneamente, va sostenuta l'azione che sta caratterizzando l'attuale amministrazione universitaria, volta a potenziare le dotazioni infrastrutturali generali, la qualità della didattica e la disponibilità di un adeguato corpo docente. Alcune recenti esperienze, ad esempio delle facoltà di Economia e di Architettura, fanno sperare che l'ateneo stia acquistando la piena consapevolezza che l'attuale fase di cambiamento generale va affrontata con coraggio e determinazione. Ma è anche indispensabile che l'Università sia veramente della nostra città, nel senso che le sue potenzialità e professionalità devono mettersi in gioco apertamente, per gestire con tutti noi l'avvio di un programma sociale ed economico di ampio sviluppo. __________________________________________ La Nuova Sardegna 1 mag. ’05 LA MANNAIA CADRÀ ANCHE SULLE LAUREE BREVI Il clima di austerità lascia intravvedere tempi grigi per l’accordo Università- Regione Un corso triennale ad alto livello ha un costo di 170mila euro ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Se domani mattina 200 giovani si laureassero infermieri, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e via elencando le professioni sanitarie, troverebbero un lavoro a tempo indeterminato il giorno dopo. Forse anche vicino a casa, tanta è la richiesta di operatori sanitari in tutta la Sardegna. Questo serbatoio di possibilità non si esaurirà prima di diversi anni perché si tratta di colmare vuoti ormai storici e anche di sostituire i dipendenti pubblici e privati che andranno in pensione in futuro. In queste settimane il tavolo di lavoro per costituire le aziende miste Regione-Università è arrivato al tema previsto dall’articolo 34 del protocollo d’intesa firmato l’ottobre scorso: l’impegno che la Regione ha assunto di stipulare «apposito atto» per promuovere le lauree sanitarie. L’assessore regionale alla programmazione ha annunciato la costituzione di un fondo nuovo per finanziare i corsi (triennali), ma il clima di austerità che si è imposto in tutti i settori del bilancio e della vita pubblica lascia temere che non ci sarà l’impegno di spesa necessario perché le due università sarde sfornino finalmente le figure professionali richieste non soltanto, tra l’altro, nell’isola. «C’è viva apprensione», dice il preside della facoltà di Medicina di Cagliari, Gavino Faa, perché dagli ospedali, dalle cliniche, dagli ambulatori della Sardegna sale la richiesta sempre più pressante per trovare giovani preparati da inserire nel circuito sanitario. «Il punto è che se il sistema sanitario regionale vuole che venga formato un alto numero di giovani con una preparazione di alto livello - dice il preside - bisogna investire. La disponibilità della Regione finora è stata enunciata a parole, ma bisogna vedere quanti finanziamenti, poi, decideranno di erogare». La facoltà cagliaritana ha elaborato una scheda sui costi della formazione. «Un corso di tre anni per infermieri professionisti di preparazione elevata costa 170 mila euro - spiega il professor Faa - è una formazione che ha i suoi costi perché si tratta di mettere a disposizione degli studenti tutto ciò che occorre perché nei tre anni trovino biblioteche aggiornate, laboratori ben funzionanti, possibilità di tirocinio e quindi di presa di contatto totale col mondo del lavoro, insomma tutto quello che farà di loro dei professionisti già completi al momento del conseguimento del diploma. Noi abbiamo tutta l’organizzazione necessaria per cominciare anche domani e per fornire la preparazione adeguata, il punto è che bisogna capire quanta disponibilità economica ci verrà consentita». In altre parole il rischio è che la Regione decida di finanziare molti corsi in meno di quelli che servono. Con l’austerità imposta a tutti i settori non ci sarebbe nulla di cui stupirsi, ma secondo Faa la domanda cui rispondere adesso diventa questa: in questo momento, avviare corsi per le professioni sanitarie, significa spendere soldi in posti di lavoro sicuri e duraturi, la Regione quanto è disposta a impegnarsi per 200 nuovi posti di lavoro sicuro all’anno? I conti sono presto fatti: per consegnare a un giovane una formazione di alto livello servono circa 3.500 euro l’anno. Ci si chiede se la Regione davvero si potrà tirare indietro in un investimento dagli esiti certi e positivo sotto qualunque aspetto lo si voglia considerare. Il discorso è soltanto cominciato: «Ne stiamo parlando - ripete il preside di Medicina - i colleghi di Sassari hanno avuto il primo incontro sul tema, noi lo avremo presto». La Sardegna, al solito, è l’ultima della lista: la formazione sanitaria è già stata regolamentata in tutte le regioni della Penisola. Com’è andata altrove? «Ogni regione - risponde il preside - ha fatto un atto particolare sull’argomento, perché ciascuna realtà deve regolarsi secondo le necessità locali». Così per esempio la Campania ha deciso di non inventare meccanismi di finanziamento troppo complessi: eroga 50 mila euro per ogni anno di corso che viene avviato nella facoltà. __________________________________________ L’Unione Sarda 7 mag. ’05 CAGLIARI: ENTRO DUE MESI AL VIA LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA L'annuncio del rettore Mistretta: «Resta qualche inghippo burocratico ma ormai è cosa fatta» Un mese, massimo due, e la nuova facoltà di Architettura sarà realtà. Il rettore Pasquale Mistretta lo ha ufficializzato intervenendo alla presentazione della manifestazione "Cagliari architettura": insomma l'anno accademico 2005-2006 vedrà l'esordio di una facoltà attesa da diverso tempo in città. Per questo sono già stati introdotti, nel piano d'offerta formativa, i corsi di Architettura delle costruzioni (quinquennale) ed Edilizia (triennale, che andrà a sostituire Ingegneria edile): cambi che serviranno a evitare spiacevoli sorprese quando la facoltà prenderà il via ufficialmente. «Spero che si possa concretizzare entro uno o due mesi al massimo ? ha anticipato Mistretta ? C'è molto interesse intorno all'architettura. Il nucleo di valutazione per l'istituzione della nuova facoltà concluderà il suo percorso a breve. Poi ci saranno i passaggi in consiglio di amministrazione e in senato accademico e soprattutto nel comitato regionale. Con il prossimo anno accademico si potrà parlare di facoltà di Architettura». Alcuni locali sono già a disposizione, altri saranno ricavati da Ingegneria: «I soldi ci sono, basta superare qualche inghippo burocratico», ha spiegato il rettore. Insomma tutto sembra andare nella direzione giusta. la mostraL'occasione per parlare di architettura e della nuova facoltà è stata offerta dalla presentazione della mostra di trenta disegni dell'architetto Carlo Aymonino, che rimarranno esposti nella sala delle mostre temporanee della Cittadella dei musei fino al 15 maggio. Ma l'appuntamento più importante è fissato per venerdì 13 maggio, con la conferenza che lo stesso Aymonino terrà, dalle 16,30, nell'aula magna del Dipartimento di Architettura, in via Corte d'Appello 87, alla presenza del critico Francesco Moschini. «Sarà l'occasione per discutere di architettura con uno vero mito del settore ? ha sottolineato Antonello Sanna, professore del Dipartimento e coordinatore della mostra ? Per noi è importante parlare di architettura, perché Cagliari e la Sardegna ne hanno bisogno». Sulla stessa linea anche Carlo Aymerich, docente in Ingegneria: «Sarà un momento di condivisione utile soprattutto per i giovani, che potranno dare il loro apporto nella gestione degli ambienti della città, che in alcuni casi sono stati danneggiati». Numero chiusoMistretta non si è limitato a parlare della nuova facoltà, ma ha toccato anche due argomenti caldi nell'attuale panorama dell'ateneo cagliaritano: il piano d'offerta formativa dell'Università e la rivoluzione amministrativa. «Il numero chiuso non va contro gli studenti ? ha detto il rettore, dopo le critiche mosse dagli universitari sui troppi corsi con posti limitati ? Dobbiamo puntare a un'offerta di qualità, con un numero di docenti congruo e un rapporto con gli studenti giusto». Sulla riorganizzazione della macchina universitaria il rettore ha sottolineato che «si sta concludendo l'assegnazione delle cariche nelle quindici aree dirigenziali» e che questo passaggio permetterà un funzionamento migliore di tutti gli ingranaggi, «con le persone giuste al posto giusto, che rispondano alle esigenze degli studenti e dell'intero ateneo per un parlare finalmente di burocrazia funzionale». Matteo Vercelli __________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Apr. ’05 CAGLIARI: ARRIVANO I CORSI PER GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO CAGLIARI. Il Senato accademico dell’Università di Cagliari ha approvato l’istituzione dei corsi di sostegno per i precari a Cagliari. Il provvedimento interessa circa trecentocinquanta docenti che chiedevano l’applicazione della legge 143 del 2004 e l’attivazione dei corsi di formazione per conseguire il titolo necessario per l’insegnamento. Nelle settimane scorse c’erano state parecchie proteste e i trecentocinquanta docenti precari si erano impegnati a tutti i livelli per ottenere ciò che la legge stabilisce. La Flc Cgil esprime, naturalmente, soddisfazione: “Ora rimangono da risolvere - ha spiegato il segretario della Flc-Cgil, Nino Martino - soltanto dei problemi tecnici e organizzativi per la loro concreta realizzazione”. La Flc-Cgil ha espresso soddidsfazione “per l’esito di una lotta che ha appoggiato e sostenuto con ogni mezzo, fin dal primo momento, addirittura organizzando i precari interessati”. Si attende ora, già in questi giorni, la pubblicazione degli elenchi degli iscritti al Corso in provincia di Cagliari. __________________________________________ L’Unione Sarda 4 mag. ’05 CAGLIARI: DOCENTI UNIVERSITARI E IMPRENDITORI NEL CDA Osservatorio industriale. Si profila un piano per il controllo diretto della Regione Sarà un consiglio di amministrazione di docenti universitari e imprenditori quello che sarà chiamato a mettere in atto la trasformazione dell'Osservatorio industriale, così come voluta dal presidente della Regione Renato Soru. Oltre alla sostituzione del presidente Paolo Pennisi, che aveva rimesso il suo mandato nelle mani del presidente della Regione la scorsa settimana, l'assemblea degli azionisti (la Sfirs, Confindustria e l'Api sarda) ha scelto anche i nomi dei componenti del consiglio di amministrazione che dovranno affiancare il presidente Walter Racugno, docente universitario di Statistica all'Università di Cagliari. I prescelti sono: Emanuela Marroccu, ricercatrice di Economia politica alla facoltà di Scienze politiche di Cagliari, oltre che collaboratrice del Crenos (Centro ricerche Nord-Sud, presieduto da Raffaele Paci); Marco Vannini, ordinario di Economia politica alla facoltà di Economia dell'Università di Sassari, e gli imprenditori Gianni Biggio, attuale presidente regionale di Confindustria, e Mario Stevelli, in rappresentanza dell'Api sarda. La scelta di Racugno andrebbe proprio nella direzione tracciata da Renato Soru, che vorrebbe trasformare l'Osservatorio industriale in un'agenzia governativa che si occupi soprattutto di indagini statistiche sulla Sardegna. Una sorta di Istat isolano (anche se il paragone potrebbe essere azzardato, dal momento che l'istituto nazionale di statistica negli ultimi anni è stato accusato spesso di essere fortemente condizionato dal governo nel fornire i risultati delle sue indagini), che dovrebbe garantire all'esecutivo regionale gli strumenti per analizzare la situazione dell'Isola. La trasformazione dell'Osservatorio in agenzia regionale, inoltre, prevede un rapporto più stretto tra Regione ed ente controllato: da qui il progetto di acquistare dalla Sfirs, la finanziaria regionale, il pacchetto di maggioranza (98%), ma anche le quote minoritarie possedute da Api sarda e Confindustria. Un piano che dovrebbe prendere corpo nei prossimi mesi, dopo la sostituzione dei vertici decisa proprio nei giorni scorsi. __________________________________________ L’Unione Sarda 3 mag. ’05 DOPO I DATI CHOC SALTA IL PRESIDENTE DELL'OSSERVATORIO Racugno al posto di Pennisi a pochi giorni dal rapporto 2005 sulla disoccupazione La Regione fa piazza pulita anche all'Osservatorio industriale. Dopo aver cambiato i vertici di Sfirs, Ersat, Arst, Esit, solo per citare alcuni degli enti commissariati o nei quali è stato sostituito l'organismo di controllo politico, anche l'Osservatorio industriale, l'agenzia preposta allo studio dei fenomeni economici dell'Isola, cambia Cda. Un avvicendamento apparentemente meno cruento rispetto ad altri, visto che il presidente Paolo Pennisi (nominato dalla giunta Masala in quota Riformatori, quindi con ancora circa due anni di mandato da portare avanti) aveva da tempo mostrato la disponibilità a rimettere il proprio mandato. La coincidenzaC'è da dire, però, che il cambio della guardia arriva pochi giorni dopo la pubblicazione dell'Osservatorio della congiuntura, nella quale vengono riportati i dati trimestrali sull'economia della Sardegna, non proprio confortanti nei primi mesi del 2005. Una pubblicazione che ha anche avuto strascichi polemici con uno scambio di commenti tra maggioranza e opposizione in consiglio regionale. «Certo la coincidenza è sospetta», ammette Paolo Pennisi, «ma la situazione può avere solo accelerato la decisione». Il presidente uscente, infatti, conferma di aver dato la propria disponibilità a mettersi da parte. «Circa quindici giorni fa avevo rinnovato la disponibilità a rimettere il mandato», racconta l'ex presidente Paolo Pennisi, «poi il 26 ho avuto un colloquio con il presidente della Regione Renato Soru, il quale ha preso atto del mio atteggiamento di apertura. Il giorno successivo ho convocato il personale, dato l'annuncio e inviato la lettera di dimissioni alla Regione. Il 28 è stata poi convocata l'assemblea degli azionisti che ha deciso le nuove nomine». Un nuovo IstatL'assemblea, composta dai rappresentanti di Sfirs (che detiene il 98% delle quote dell'Osservatorio industriale), Confindustria (1%) e Api sarda (1%), ha deciso di nominare presidente un docente dell'Università di Cagliari, Walter Racugno, a cui spetterà anche il compito di portare avanti la trasformazione dell'ente, imposta dalla giunta. Il piano prevede l'acquisto dalla Sfirs del pacchetto di maggioranza dell'Osservatorio industriale, che verrà controllato direttamente dalla Regione, con la trasformazione dell'ente in agenzia governativa. Cambierà anche il nome, proprio per dare forma alla nuova mission: diventare una sorta di Istat sardo per effettuare rilevazioni statistiche sull'economia e la società isolana. Da qui, la scelta proprio di un docente di statistica per la presidenza dell'ente. Ora, fatto il primo passo, l'amministrazione regionale si prepara dunque a portare a termine il resto dell'operazione, modificando radicalmente l'attività dell'Osservatorio industriale. Cooperazione Intanto un accordo tra la Regione sarda e l'amministrazione regionale del Marocco di Chaouia-Ouardigha, è stato siglato a Cagliari tra il presidente della Giunta, Renato Soru e il numero uno del Consiglio regionale di Chaouia-Ouardigha, Abderrahim Atmoun, che ha trascorso due giorni nell'Isola. La bozza dell'accordo prevede «di istituzionalizzare le relazioni e gli scambi e di creare un quadro favorevole alla realizzazione della comune volontà di cooperazione nello spirito di partenariato, con l'obiettivo di appoggiare lo sviluppo economico, sociale, culturale, scientifico, sportivo e ambientale tra le due regioni». L'area di Chaouia-Ouardgha è in posizione strategica al centro del Marocco, fra Rabat e Marrakech, si affaccia sul mare con due importanti porti. È divisa in tre grandi province e rappresenta un quinto della produzione mondiale di fosfati, e il 67% dell'industria del Marocco. Con importanti investitori stranieri (Benetton e Soparex) è la seconda regione industriale del Paese. Le due amministrazioni, è detto nell'accordo, si impegnano a favorire la realizzazione di progetti di cooperazione e di scambi con particolare riferimento allo sviluppo territoriale, economico, delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, alla cooperazione scientifica, al turismo e alla cultura, alla valorizzazione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile del territorio (centri urbani e zone rurali). Ieri, inoltre, si è tenuto un incontro tra i rappresentanti della delegazione marocchina e alcuni esponenti delle imprese sarde, interessate a partecipare al progetto di cooperazione economica con il Paese del Nord Africa. (g. d.) _______________________________________________ Il Sole 24 Ore 3 Mag. 05 AUTOMATISMI IN CATTEDRA Un compromesso la creazione del terzo ruolo di: docente: l'aggiunto La regola delle sanatorie guida ancora i programmi d'accesso e d' avanzamento di carriera nelle università DI PAOLA POTESTIO Il tentativo di un "riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari" non è ancora approdato all'adozione di nuove norme. Il travaglio di una regolamentazione che il Governo non è stato rapidamente in grado di migliorare e chiudere, l'opposizione corporativa nonché le ipocrisie e le astuzie politiche che lo hanno esasperato, rendono opportuno ripercorrere alcune tappe di questa italica vicenda. Il disegno iniziale era concepito attorno a quattro punti principali: il ritorno a una selezione nazionale della docenza; la soppressione del ruolo di ricercatore e l'introduzione di contratti quinquennali per ricerca e didattica integrativa (rinnovabili una sola volta); la soppressione della distinzione tra tempo pieno e tempo definito; l'ampia apertura all'esterno attraverso contratti a tempo determinato per l'insegnamento. Le specifiche modalità previste per la realizzazione di questi punti apparivano per molti aspetti assai discutibili e generalmente migliorabili. Ma, ben poche indicazioni costruttive sono emerse dal dibattito sul disegno. L'opposizione di natura corporativa e/o politica ha nettamente prevalso e la lettura del disegno nei termini di un «gravissimo attacco al sistema pubblico dell'università italiana» ha trovato molti, e variamente interessati, sostenitori. Naturalmente questa lettura era una semplicistica esagerazione: il ritorno a concorsi nazionali, con un numero di idoneità di poco superiore ai posti banditi, è certamente positivo; la temporaneità della fase di ingresso nell'università è la norma in Paesi con strutture universitarie migliori delle nostre; i collegamenti esterni, sia sotto l'aspetto della docenza che sotto quello delle collaborazioni con il tessuto istituzionale e produttivo esterno, sono un fatto certamente positivo e la loro efficienza dipende solo dalle specifiche disposizioni (alquanto deboli, per la verità, nel disegno) che li regolamentano. Questa versione è stata successivamente corretta, nel tentativo di recepire le proteste più vibrate, avanzate dai ricercatori, una categoria dalla composizione alquanto particolare se si considera che la sua la sua età media supera oggi i 50 anni. La nuova versione istituisce un terzo ruolo di docenza, il professore aggiunto, nel quale potranno confluire appunto i ricercatori. Si è trattato di un passo indietro pericoloso, la cui motivazione è stata solo quella di placare, senza successo peraltro, una categoria molto turbolenta. Di fatto, si è istituito un ruolo che consente a molte persone un avanzamento sostanzialmente automatico di carriera.. Tuttavia, se questa disposizione appare una sorta di intervento ope legis, il mantenimento di contratti iniziali per l'accesso sembra segnalare la ricerca di un qualche compromesso da parte del Governo tra l'esigenza di cambiare regole e costumi e la volontà di sedare la protesta di una battagliera corporazione e le tante strumentalizzazioni che l'hanno accompagnata. Una vera deriva verso l’ope legis si afferma nell'ultima versione del disegno, il cosiddetto nuovo testo base. È ina deriva che si articola in varie disposizioni. Nella regolamentazione dei nuovi concorsi nazionali si prevede intanto che la prima tornata di giudizi di idoneità per la fascia dei professori associati «è bandita senza limitazione numerica». Si stabilisce poi che i contratti della fase di ingresso nell'università, i contratti di ricerca e di didattica integrativa, hanno durata massima triennale e possono essere rinnovati una sola volta. Si istituisce però una nuova figura: l'aggregato per la ricerca, con accesso riservato, previa selezione bandita dai singoli atenei, esattamente ai contrattisti che abbiano terminato il periodo del contratto. Non solo: agli attuali ricercatori che abbiano svolto per almeno tre anni attività di docenza «è attribuito a domanda il titolo di professore aggregato, previa positiva valutazione da parte di una apposita commissione». Quanti paracadute vengono approntati per chi non ha fatto carriera nell'università, pur conservando un posto di ruolo, e quale debole filtro viene introdotto per l’accesso ai ruoli universitari! La logica dell'ope legis che ha guidato, almeno in una certa misura, la regola dei concorsi locali fino ad oggi in vigore, nonché tanti altri interventi del passato, continua a guidare i programmi di accesso e di avanzamento di carriera nell'università. Un dovere di verità impone di riconoscere che le responsabilità di questo stallo sono davvero tante. Forse è tempo di iniziare a parlare anche di questo. __________________________________________ Corriere della Sera 5 mag. ’05 PRESIDENTE, RIPARTIAMO DA RICERCA E UNIVERSITÀ" L'eccezionale patrimonio di beni culturali costituisce una potente attrattiva turistica. Le competenze consolidate nell'audiovisivo e le notevoli esperienze tecnologiche delle grandi aziende dell'aerospaziale e di importanti società di servizi nell'ICT garantiscono un serbatoio di capacità innovativa. La presenza vasta e diffusa di piccole e medie imprese forma un tessuto produttivo particolarmente fecondo e dinamico. Disponiamo, soprattutto, in misura superiore al resto del paese, della "risorsa di base" per la competitività nell'economia del terzo millennio, la conoscenza, assicurata dalla massima concentrazione italiana di ricerca e università e dalla produzione di circa il 13% del totale nazionale di laureati. Sta qui il grande compito delle politiche regionali: fare sistema mettendo in rete risorse, soggetti e talenti; far viaggiare nella rete la conoscenza. Si aprirebbe così un processo di diffusione e disseminazione di conoscenza e capacità innovativa nel tessuto produttivo e sociale, creando concrete possibilità anche alle piccole e medie imprese di competere sui mercati nazionali e internazionali sulla base della qualità; si darebbe vita ad un circolo virtuoso, imprevedibilmente creativo, tra ricerca, innovazione e produzione di nuovi saperi, capace di attrarre nuovi talenti; si infrangerebbero gli alti muri autoreferenziali delle cattedrali del sapere, le università, aprendole al territorio; con sinergie e processi di emulazione tra soggetti in grado di competere al meglio nei mercati globalizzati. Tutto ciò consentirebbe di affrontare la seconda questione, il rapporto tra Roma e la regione, trasformando in soluzione il problema. Solo uno sviluppo fondato su una politica di diffusione pervasiva delle competenze e dei processi innovativi consente, infatti, di rendere l'intero territorio eccezionalmente competitivo e di fare delle vocazioni di realtà economiche e sociali locali, fortemente differenziate, un moltiplicatore di competitività. In questa logica, Roma diventa un serbatoio di capacità innovativa, utile per l'intera regione. La terza questione ripropone il tema straordinariamente moderno di coniugare sviluppo e progresso, in modo da sperimentare una visione di competitività territoriale più compiuta: qualità nella produzione, accompagnata da tutte le condizioni che fanno qualità nella vita individuale e collettiva e che guardano a tutelare e generare risorse per un futuro sostenibile. Ancora una volta il punto di svolta potrà essere proprio il binomio conoscenza/innovazione : per consentire politiche di welfare e politiche ambientali che rispondano alle esigenze di una cittadinanza multietnica e sempre più consapevole. La politica regionale può giocare un ruolo importante favorendo e promuovendo programmi di ricerca e di trasferimento tecnologico mirati ad affrontare in modo innovativo problemi complessi di qualità sociale e di qualità dell'ambiente. Trasporti e mobilità, inquinamento, smaltimento dei rifiuti, risorse energetiche, ma anche sanità, servizi alla persona, integrazione, possono diventare occasioni di attività imprenditoriali competitive, di sviluppo e occupazione mentre generano nuovi e più avanzati comportamenti culturali e sociali e un più alto livello di civiltà. Si presenta così la prospettiva di un'alleanza niente affatto scontata tra cittadini, soggetti produttivi, istituzioni della cultura e amministrazioni pubbliche, tra governi locali e governo regionale. Un'alleanza indispensabile per costruire il senso di comunità, solidale e tollerante, condizione essenziale per rendere davvero il Lazio "la regione di tutti, nessuno escluso", che ha giustamente costituito lo slogan centrale della campagna elettorale per il Presidente Marrazzo. Gianni Orlandi Ordinario nell'Ict presso la facoltà di Ingegneria della "Sapienza" __________________________________________ L’Unione Sarda 5 mag. ’05 CAGLIARI: GLI STUDENTI CONTESTANO LE LAUREE A NUMERO CHIUSO Università. Via libera del Senato accademico al Piano Direzioni, parte il totonomine Il senato accademico dà il via libera al piano di offerta formativa per il prossimo anno, ma senza l'appoggio dei rappresentanti degli studenti. Sotto accusa l'introduzione incontrollata di numerosi corsi a numero chiuso, in quasi tutte le facoltà dell'ateneo. Intanto è a un passo dalla conclusione l'assegnazione delle quindici direzioni delle aree amministrative, e ovviamente circolano le prime indiscrezioni. PROTESTE Un'offerta formativa che non piace agli studenti. Per questo è arrivato il voto contrario, nell'ultima seduta del senato accademico, di Fabiola Nucifora e Silvia Corda, rappresentanti degli studenti. Le novità maggiori riguardano l'introduzione del numero chiuso in troppi corsi di laurea, sia triennale che specialistica. In Economia, il corso di gestione dei servizi turistici prevede un accesso di 45 studenti, mentre in Farmacia 150 posti per Scienze e tecnologie erboristiche e altri 150 per Tossicologia dell'ambiente. Numero chiuso anche per le specialistiche (Farmacia e Ctf). Giurisprudenza prosegue con l'accesso libero, mentre in Ingegneria, con un'offerta varia, pone dei limiti per Edile (150 posti), Biomedica (70) e Conservazione beni culturali (60), così come per la specialistica in Architettura (150). Lettere e Filosofia mette dei paletti per Beni culturali (200 posti) e Operatore culturale per il turismo (altri 200). Tutto chiuso in Lingue e letterature straniere, sia le triennali (Mediazione linguistica, Lingue e culture europee ed extra europee, Lingua e comunicazione) che le biennali di specializzazione (Linguaggi e giornalismo, Lingue e letterature moderne, Traduzione letteraria). Medicina chiude le porte: 30 posti per Infermieristica, 9 per Ostetricia, 10 per Fisioterapia, 5 per Ortottica, 15 per Igiene dentale, 20 per Tecnica di radiologia, 15 per Tecniche di laboratorio biomedico. Stessa sorte per le specialistiche, Medicina e chirurgia e Odontoiatria. Numero chiuso, ma con molti posti, per i corsi di Scienze della formazione, così come per Scienze. In Scienze Politiche solo gli studi Sociali sono limitati (150 posti), mentre le tre interfacoltà sono tutte a numero chiuso. DIREZIONI Relazioni e attività internazionali, e Opere pubbliche: sarebbero queste le aree che dovrebbero andare ai due vincitori di concorso che arrivano da fuori Sardegna. Per il resto tanti spostamenti nel quadro che il rettore ufficializzerà nei prossimi giorni. Secondo voci di corridoio, questo il nuovo quadro degli uffici amministrativi: relazioni con il territorio Franco Meloni (da risorse umane), orientamento Fabrizia Biggio (confermata), comunicazione e multimedialità (Cecilia Atzei, da biblioteche), attività amministrative decentrate Gaetano Melis (nuovo, in arrivo dalla prefettura), didattica e post lauream Pina Locci (nuova, dalla direzione scolastica regionale), ricerca scientifica e progetti finalizzati Angela Carrus (confermata), servizi bibliotecari e aule informatiche Silvana Congiu (da relazioni con il territorio), finanziaria Marilena Bernardi (confermata), gestione amministrativa del personale Enrico Tuveri (confermato), gestione e sviluppo delle risorse umane Donatella Tore (nuova, arriva dall'Università), affari generali e servizi elettorali Sebastiano Caria (da comunicazione), reti e servizi informatici Paolo Bullitta (confermato). Dalla precedente struttura sono rimasti fuori Guido Pappalardo, Maria Rosaria Mancosu e Antonio Pillai. Matteo Vercelli _______________________________________________ Il Sole 24 Ore 30 Apr. 05 SE LA RICERCA TROVA L'AMERICA NELLA UE IL CONTINGENTAMENTO DEI VISTI SFAVORISCE GLI STATI UNITI Carlo Rubbia. Assieme all'altro direttore generale italiano del Cern Luciano Maiani, lo scienziato italiano ha contribuito alla realizzazione del maxi- strumento di ricerca Lhc che strappa agli Usa il primato nella fisica delle particelle (LaPresse) L'allarme di Bill Gates sul calo di leadership degli Usa trova conferma nei caso del Certi di Ginevra: la costruzione del super-acceleratore di particelle attira scienziati da tutto il mondo - Supremazia europea per fisica e informatica MILANO Se gli Stati Uniti rischiano di perdere la leadership nell'hi-tech, come denunciato ieri da Bill Gates sul Sole-24 Ore, la colpa è anche dalla minore attrattività dell'ambiente della ricerca americana. Il contingentamento dei visti per gli stranieri che lavorano negli Usa (solo 65mila all'anno) gioca un ruolo forte nel rallentamento dell'hi-tech in alcuni settori. Ma un altro motivo di crisi è la frenata degli investimenti federali nella ricerca di base. Nella fisica delle particelle, ad esempio, il progetto americano analogo all'europeo Large hadron collider (Lhc) fu accantonato qualche anno fa. Così, ora i ricercatori che operano in questo ambito devono venire in Europa se vogliono essere al centro delle operazioni. Come pure le migliori menti dell'informatica, chiamate a realizzare un network in grado di analizzare cinquemila terabyte di dati all'anno. Una similitudine può rendere meglio l'idea: le informazioni contenute in un solo terabyte potrebbero occupare una pila di cd alta una ventina di chilometri. Proprio il Certi di Ginevra, cittadella della scienza nelle campagne tra la Svizzera e la Francia, fra prati in fiore e pascoli di mucche, è il centro scientifico che sta pian piano "rubando" agli Stati Uniti le migliori menti della ricerca nel settore della fisica delle particelle. Il motivo del controesodo di scienziati, per una volta dal lato Ovest dell'Atlantico verso Est, è nel sottosuolo del più grande centro di ricerca del mondo. A 150 metri di profondità, all'interno di un anello di 27 chilometri di diametro, è in costruzione i1 più potente strumento mai ideato dall'uomo per svelare i segreti della materia. I1 super-acceleratore di particelle che ricostruirà in laboratorio il Big Bang, sarà inaugurato nel 2007 (alla sua ideazione hanno contribuito anche due direttori generali italiani del Cern come Carlo Rubbia e Luciano Maiani). E c'è già una fila di scienziati non europei che chiedono di poter lavorare su uno strumento così avanzato. La conferma giunge dall’architetto" della maxi-rete informatica creata per analizzare i dati generati dall'Lhc. Quel Fabrizio Gagliardi (si veda l'articolo a destra) che molti già considerano l'erede di Sir Tim Berners-Lee, il ricercatore del Cern che ideò il World wide web nel 1990. Quindi, nella fisica e nell'informatica Europa batte Usa due a zero. Ma come si è generata questa situazione? «Dopo i tragici attentati dell' 11 settembre molti fondi sono stati progressivamente drenati dalle discipline di base e dirottati verso la Difesa - spiega il docente del Mit di Boston Bruno Coppi, uno dei maggiori esperti di fisica nucleare -. Abbiamo protestato tramite la Società americana di fisica, ma senza ricevere ascolto. Mi pare che gli Usa si stiano sbilanciando troppo su Difesa, biotech e genetica e stiano trascurando discipline tradizionali come l'ingegneria meccanica. Poi però non meravigliamoci che la prima auto ibrida, con doppio motore elettrico-benzina, sia stata creata in Giappone». Quanto poi alla scarsità di Visa per laureati stranieri, la situazione sta diventando molto pesante. «Uno dei miei collaboratori, giapponese, è stato rimandato indietro all'aeroporto di Detroit e il Mit ha protestato energicamente», racconta Coppi. Tutte le speranze, per la fisica delle particelle americana, sono ap puntate sull'International linear collider, che però avrebbe bisogno di un consistente budget ed è su un faticoso cammino di approvazione. E potrebbe addirittura non sorgere in America. Come pure, il reattore sperimentale di fusione termonucleare Inter, un progetto da 10 miliardi di euro, non sorgerà negli Usa ma in Francia o in Giappone (la decisione dovrebbe essere presa nei prossimi mesi, dopo anni di braccio di ferro). C'è incertezza anche sul fronte delle missioni spaziali. Proprio ieri la Nasa ha annunciato l'ennesimo rinvio, a luglio, della partenza dello Shuttle Discovery, che dovrebbe portare in orbita i materiali per completare la Stazione spaziale internazionale. Dopo l'esplosione del Columbia nel 2003, permangono dubbi sulla sicurezza di questa navetta, cui però sono legati molti programmi di ricerca. Non solo. «Sul fronte dei grandi telescopi, l'Europa è messa meglio degli Stati Uniti, con i suoi quattro grandi strumenti a Cerro Paranal, in Cile - spiega l'astronomo Leopoldo Benacchio dell'Osservatorio di Padova -. Invece, gli Usa stanno puntando su telescopi molto specializzati. Quello europeo Owl (Over- welmingly large telescope), se verrà realizzato, sarà di gran lunga lo strumento più evoluto del mondo per scrutare il cosmo». In questo scenario, non aiutano i freni allo scambio di ricercatori e lavoratori hi-tech. «Il problema della fuga dei cervelli di solito è posto male: non bisogna chiudere le frontiere, ma incoraggiare gli scienziati a muoversi - spiega Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri di Bergamo forte di 220 ricercatori -. Per fare ricerca ci vuole massa critica di cervelli. Altro che restrizioni sui visti: gli Stati Uniti dovrebbero fare ponti d'oro agli scienziati che portano know-how». LAURA LA POSTA _______________________________________________ Il Sole 24 Ore 3 Mag. 05 SCIENZE DELLE COMUNICAZIONI: UNA LAUREA CHE CREA ILLUSIONI Sapete qual è l'ateneo italiano con il maggiore numero di iscritti al corso di laurea in Scienze della Comunicazione? L'Università degli studi di Catania. Per l'anno accademico 2004-2005 sono 1.238, una volta e mezzo gli iscritti allo stesso corso a La Sapienza a Roma (779), più del doppio che all'Università degli studi di Milano (589). Al quinto posto assoluto della classifica nazionale, con un incremento percentuale del 54,9%, si colloca l'Università degli studi di Messina, che precede Firenze, Bergamo, Urbino, solo per fare qualche esempio. Anche Palermo, con 333 iscritti, fa la sua figura: compete alla pari con Bologna (340) e Torino (334), ma distacca nettamente Trieste (237) e Siena (192). Per completare il quadro va segnalato che, in Puglia, Lecce registra la seconda performance nazionale con una crescita del 26,6% e Bari tocca quota 352 iscritti con un incremento di circa il 9 per cento. Meglio di Bari, per intenderci, hanno fatto soltanto lo Iulm (+10,3%) di Milano e un'altra piccola università del Sud, Campobasso (+10,1%). Basta così. I numeri "parlano" da soli. La grande illusione "meridionalistica" di nascere in una città, viverci tutta la vita, avere un posto sicuro e guadagnare ogni anno qualcosa in più dell'anno prima vacilla, per fortuna, sotto i colpi di un mondo globalizzato. In compenso prendono corpo nuove, insidiose, illusioni che rischiano di preoccupare ancora di più. Il fenomeno è nazionale. Le matricole in fisica e matematica superano di poco le 4mila unità, gli aspiranti comunicatori toccano anche quest'anno quota 15mila, ma complessivamente a frequentare le università italiane per diventare dottori in comunicazione sono più di 15mila. Il punto è che molti, troppi, soprattutto al Sud, continuano a pensare che, se si laureano in qualcosa, spetti poi allo Stato, alle imprese, ai partiti trovargli un posto. Siccome non ci sono impieghi per così tanti comunicatori, bisogna che qualcuno si svegli e cominci a dire loro che rischiano di laurearsi in "disoccupazione a vita" o, se va bene, di trovare lavoro in un call center. _______________________________________________ Corriere della Sera 8 Mag. 05 SCIENZE MOTORIE: UNA LAUREA SENZA SBOCCHI IN SANITÀ Sulla laurea in scienze motorie, si rende noto che esiste da alcuni anni l'Associazione laureati in scienze motorie (Alsm), via Crivelli 20 - 20122 Milano, alla cui segreteria gli interessati possono rivolgersi per informazioni. La legge non prevede che il laureato in scienze motorie possa operare in campo sanitario. il presidente, Sergio Pivetta La lettera inviata da G.C. di Mendicina (Cosenza)e pubblicata da Corriere Salute il 9 marzo scorso, chiedeva come mai la laurea in Scienze Motorie, rilasciata dall'università di medicina e chirurgia di Catanzaro, non fosse presa in considerazione per un lavoro nella sanità calabrese. E' importante che sia sorta un'Associazione di laureati in Scienze Motorie, perché le cose non sembrano affatto chiare. Come dimostra un'altra lettera, del dottor Stefano De Masi di Gessate (Milano): «Ci sono facoltà di Medicina e Chirurgia, come quella presso cui il sottoscritto si è laureato, che nelle pubblicazioni delle offerte didattiche citano le strutture socio-sanitarie tra le possibilità d'impiego di questo corso di studi. Il Corso di Laurea in Scienze Motorie - laurea quadriennale del vecchio ordinamento, ante D.M. 509/99 - è stato istituito presso le facoltà di Medicina e Chirurgia di più di 10 atenei italiani e, fra quattro differenti indirizzi, offre anche quello in Educazione Motoria Preventiva e Adattata, i cui contenuti didattici sono gli stessi delle lauree sanitarie. __________________________________________ Corriere della Sera 1 mag. ’05 STIPENDI SEMPRE PIÙ BASSI PER I NEOLAUREATI Indagine sul lavoro: guadagni inferiori rispetto a due anni fa. Penalizzati anche gli impiegati: aumenti sotto l' inflazione Vita difficile per i giovani laureati milanesi. Trovare lavoro con un contratto a termine o flessibile non è un problema. Ma, per quanto riguarda lo stipendio, c' è poco da stare allegri. Chi è entrato sul mercato del lavoro nel 2004 si è dovuto accontentare di una retribuzione inferiore rispetto ai neolaureati che sono stati assunti nel 2002. E' questa la prima considerazione sollecitata dalla quinta indagine Od& M Corriere Lavoro sugli stipendi dei milanesi e dei lombardi. Attraverso il sito della società di consulenza di Bergamo ( www. odmconsulting. com) l' anno scorso 850 mila italiani hanno dichiarato, con garanzia di anonimato, il proprio stipendio lordo. Comprensivo di parte minima contrattuale e bonus individuali. Di questi 850 mila, 250 erano milanesi. « L' ampio numero di risposte " milanesi" ci ha permesso di trarre indicazioni rilevanti sull' andamento degli stipendi nel capoluogo lombardo » , dicono da Od& M. L' indagine non è condotta tramite l' individuazione di un campione statistico standard. Ma resta comunque una delle pochissime fonti di informazione sugli stipendi reali di italiani emilanesi. IMPIEGATI PENALIZZATI - Se si considerano i quattro principali livelli di inquadramento ( dirigenti, quadri, impiegati e operai) si scopre che gli impiegati continuano a essere i più penalizzati. Nel 2004 rispetto al 2003 il loro stipendio è aumentato dell' 1,3 per cento. Se si tiene conto che l' inflazione a Milano ha toccato l' 1,7 per cento, di fatto il potere d' acquisto dei colletti bianchi è diminuito, anche se di pochi decimali. Un ritocco al ribasso che si aggiunge a quello registrato dal 2000 in poi: secondoOd& Mil potere d' acquisto degli impiegati è diminuito addirittura del 10 per cento. Inoltre aMilano gli impiegati sono stati penalizzati più che nel resto del Paese: in Italia gli stipendi dei colletti bianchi sono aumentati dell' 1,9 per cento. Vanno meglio le cose per i dirigenti e operai: entrambi hanno visto le buste paga rimpinguarsi del 3,3 per cento. I quadri, poi, hanno recuperato potere d' acquisto. I loro stipendi sono cresciuti del 5 per cento. LAUREATI COL FIATO CORTO - Ad avere il portafoglio vuoto sono soprattutto i neolaureati. Se nel 2002 a Milano in media guadagnavano 23.381 euro lordi l' anno, nel 2004 sono scesi a 23.159 euro lordi l' anno. A pagare meno chi esce dalle università sono un po' tutti, le piccole aziende come le grandi. Una volta assunti, per i laureati è diventato difficile farsi dare un aumento. Chi è entrato nel mercato del lavoro nel ' 98, nel 2002 - dopo quattro anni - guadagnava 28.286 euro. Chi, invece, è entrato nel 2000, nel 2004 - dopo gli stessi quattro anni - doveva accontentarsi di 26.370 euro. « I giovani sono la fascia della popolazione che più di tutte sopporta i cambiamenti di struttura del mercato del lavoro - interpreta Mario Vavassori, presidente di Od& Me docente di Gestione Aziendale al Politecnico - . Da una parte c' è il moltiplicarsi delle opportunità. Dall' altra riscontri negativi come incertezza prolungata e precarietà che talvolta dura molti anni. Il rischio è che questo incida pesantemente sulla motivazione al lavoro dei nostri giovani » . LEADERSHIP SFUMATA - Resta il fatto che a Milano si guadagna più che nel resto del Paese. Gli stipendi sono in media più alti del 10 15 per cento. « Il Sud, però, è in fase di recupero - precisa Vavassori - . L' impressione è che negli ultimi cinque anni Milano stia vivendo una sorta di stallo. E la sua leadership sia diventata più sfumata » . Querze' Rita __________________________________________ Avvenire 3 mag. ’05 UNIVERSITÀ «BOCCIATA» IN PRIVACY INTERVENTO DEL GARANTE I ricercatori dell’ateneo hanno riferito dati troppo espliciti. E le famiglie non erano state informate Vietata una ricerca sul «maltrattamento infantile»: non tutelava le identità dei bambini Da Milano Lucia Bellaspiga Questionari a risposta multipla e vignette: questo il metodo facile, perfino divertente, con cui gli alunni di alcune classi elementari recentemente sono stati intervistati da ricercatori universitari. Il tema trattato è tra i più delicati: "Il maltrattamento infantile". Il fine della ricerca era ottimo, i dati sarebbero poi confluiti in una corposa tesi di laurea in via di pubblicazione. Tutto bene, dunque. Se non fosse che i genitori dei bambini non sapevano nulla dell'iniziativa, e l'identità dei piccoli era fin troppo riconoscibile, nonostante i questionari fossero anonimi. Così il Garante per la Privacy ha bloccato la ricerca universitaria, "condannando" l'ateneo a tenersi i dati nel cassetto, praticamente senza poterne fare uso: «La ricerca ha comportato il trattamento di diverse informazioni - ha fatto sapere infatti il Garante -: sesso, età, classe e scuola frequentata, mese e anno di nascita», il che ovviamente permette di risalire con facilità ai singoli bambini, visto il ristretto ambito di indagine. Non solo: «Diversi minori - nota ancora l'Autorità - hanno inserito la data di nascita completa di giorno, mese e anno, rendendo ancora più semplice la loro identificabilità». Infine «alcune delle informazioni richieste erano "dati sensibili", in quanto idonee a rivelare aspetti della sfera psico-fisica dei genitori». Da qui l'accusa di "procedura illegittima e violazione della privacy" mossa all'università. È pur vero che il dirigente scolastico aveva autorizzato l'operazione, però non solo non aveva chiesto il consenso alle famiglie, ma neppure aveva fatto sapere agli alunni che l'iniziativa era facoltativa e non obbligatoria. Chiaro quindi che tutti gli scolari abbiano "eseguito il compito" senza battere ciglio, rivelando le informazioni sui genitori. I quali, appunto, hanno denunciato il fatto. E hanno chiesto di poter accedere ai dati personali compilati dai propri figli. Richiesta respinta dall'ateneo. Che sia per motivi di privacy? ________________________________________________ La Stampa 3 mag. ’05 BIBLIOTECHE DI TUTTA EUROPA UNITEVI, SUL WEB PARTE DA PARIGI UN’INIZIATIVA PER METTERE I LIBRI ONLINE IN ALTERNATIVA AGLI AMERICANI DI GOOGLE Ci voleva l’innovativa Google, con il suo progetto di digitalizzare e mettere in rete milioni di libri, perché le più prestigiose biblioteche d'Europa si decidessero a intraprendere la stessa strada, spinte dalla necessità di resistere all'invasione della cultura angloamericana. E quale luogo più appropriato della Comedie Francaise di Parigi per l’incontro di ieri di ottocento fra politici, intellettuali, artisti e operatori della cultura del Vecchio Continente per dare vita a una biblioteca digitale europea. Infatti la difesa del patrimonio culturale contro l’invasione americana è un vecchio cavallo di battaglia francese. Non è quindi un caso che - se a firmare il manifesto sono le biblioteche centrali di Italia, Slovenia, Spagna, Grecia, Germania, Irlanda, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Belgio, Danimarca, Olanda, Svezia, Lituania, Estonia, Lussemburgo - a guidare l'iniziativa è la Bibliothèque nationale de France, la Bnf, da tempo in prima linea non solo per contrastare Google, ma per offrire al mondo un'alternativa europea al modello Usa. E’ stato il presidente di turno Ue Jean-Claude Juncker a rilanciare ieri l'iniziativa della biblioteca digitale europea, ma il progetto - coltivato in prima persona dal presidente Jacques Chirac - era stato lanciato già il mese scorso dalla Francia e fatto proprio la settimana scorsa anche da Germania, Spagna, Polonia, Ungheria e Italia. In una lettera all’Unione i sei promotori hanno spiegato che l’opera di digitalizzazione dell’enorme patrimonio culturale custodito nelle biblioteche europee è utile ma soprattutto necessaria, perchè la trasposizione dei documenti dalla carta ai byte è il solo modo per garantire che il sapere non vada perduto con il passare degli anni, assicurandolo così alle generazioni future. Un progetto necessario, ha spiegato ieri Juncker, soprattutto «perchè l'Europa non deve sottomettersi davanti alla virulenza dell'attacco degli altri». E qui è chiaro che nel mirino c'è Google, il motore di ricerca americano che lo scorso dicembre ha lanciato un gigantesco progetto di digitalizzazione di libri, elaborato in concerto con alcune tra le principali università americane e inglesi, per la messa online di 15 milioni di volumi. E’ stato il timore di un’invasione via Web della cultura anglofona a sollecitare le coscienze dei leader del Vecchio Continente. «Le nostre biblioteche, i nostri film, la nostra memoria televisiva e sonora devono non soltanto essere salvaguardate ma meglio sfruttate, a fini di cultura, di istruzione, di informazione, di ricerca» osserva Viviane Reding, commissario europeo per la Società dell'informazione e dei media, annunciando la prossima raccomandazione agli stati membri di stimolare la digitalizzazione del patrimonio facilitando «le partnership pubblico-privato» nel settore. Tra i progetti, guarda caso c’è anche quello di un nuovo motore di ricerca che sappia ricercare testi, immagini e suoni. Made in Europe. www.lastampa.it/blog/ annamasera.asp _______________________________________________ La Nuova Sardegna Ore 30 Apr. 05 LEGAMI FRA ETRUSCHI E SARDI Il caso sollevato da Frau a «Gaia» Mario Tozzi indaga sulle testi del giornalista ROMA. La nuova puntata di «Gaia - II pianeta che vive», in onda stasera alle 21 su Raitre, sarà dedicata ai misteriosi popoli dell'antichità: i Celti, i Sardi e gli Etruschi. In larga misura e in numerosi passaggi, la loro storia è avvolta nel mistero, in parte perché legata a segni ancora tutti da decifrare. E' la Sardegna la terra che vive nella storia come il mito di Atlantide? Secondo una teoria che ha acceso il dibattito fra gli studiosi, potrebbe essere così: gli Etruschi potrebbero discenderebbe dagli antichi Sardi, sfuggiti alla catastrofe che ha sommerso Atlantide. II conduttore della trasmissione, il geologo del Cnr Mario Tozzi, insieme con Sergio Frau, giornalista del quotidiano «La Repubblica» e sostenitore di questa tesi (ha recentemente riproposto le sue ipotesi anche nella mostra «Atlantikà» organizzata sotto l’egida dell'Unesco a Parigi), indaga sulla parentela genetica tra Sardi ed Etruschi. Verranno ascoltate le opinioni di specialisti ed esperti che interverranno sulla materia con nuovi apporti di idee. Ci sarà la possibilità di fare raffronti tra alcuni dei siti archeologici sardi e altri che si trovano in vece a Vitulonia e in aree differenti. Nuovi parallelismi ri guarderanno poi analoghe modalità delle sepolture tra l’isola e le regioni nelle quali gli Etruschi esercitarono il loro dominio. Secondo le ricostruzioni fatte dall'inviato di «Repubblica» nel suo bestseller «Le Colonne d'Ercole - Un'inchiesta», la fine della civiltà nuragica coinciderebbe con l'inizio di quella etrusca. «II nome `etruschi' viene proprio da Tyrsenoi, ma allora quella civiltà non costruiva torri - sostiene Frau - Ma sono emersi altri elementi a sostegno: sulle alture di Volterra, Arezzo, Orvieto troviamo all'improvviso arroccati nuovi fabbri che cominciano a produrre a tutto spiano, dando prova di grande capacità. Si ha netta la sensazione di trovarsi proprio di fronte a quei popoli costretti a lasciare la Sardegna e a rifugiarsi, per il terrore del mare, in luoghi più impervi e scomodi». Non è tutto. II ritrovamento nei sepolcri etruschi di navicelle sarde, di bronzetti e di certi tipici vasi prodotti in gran quantità nell'isola dai nuragici segnalerebbe precise appartenze. Non sarà comunque questo il solo tema della trasmissione. «Gaia», infatti, ritorna in Australia, al Kata Tjuta («molte teste»), una suggestiva formazione rocciosa che i viaggiatori del passato credevano orlasse un lago salato e che invece celava il deserto rosso. Inoltre, si parlerà di un ulteriore enigma che da secoli resiste a ogni tentativo di interpretazione definitiva: il mistero delle mastodontiche «teste» dell'isola di Pasqua (i Moai di Rapa Nui). Dal passato a oggi, vedremo così in azione moderni «esploratori» in barca a vela come Cino Ricci e Patrizio Roversi che Mario Tozzi ha raggiunto durante il viaggio a bordo di Adriatica. ======================================================= __________________________________________ La Nuova Sardegna 3 mag. ’05 DIRINDIN: NOI PENSIAMO AGLI UTENTI, NON AI PRIMARI Ospedale-Università, l’assessore Dirindin tiene ferme alcune posizioni E il preside di Medicina abbassa il tiro: «Credo nelle garanzie sull’azienda mista» SASSARI. Prove di accordo in Regione. Dopo il polverone sollevato dalle affermazioni di Giulio Rosati pubblicate sabato dalla “Nuova” sulla prossima costituzione dell’azienda ospedaliero-universitaria e il battibecco di ieri fra il preside della facoltà di Medicina e l’assessore Nerina Dirindin - che ha anche accusato la stampa sarda di fare inutile allarmismo e cattiva informazione - viene fuori una bozza che potrebbe sedare gli animi e portare finalmente alla definizione dei futuri assetti sanitari cittadini. Una riforma considerata urgente da tutti gli operatori del settore. Un documento, quello messo a punto martedì scorso nel corso di una riunione a cui ha partecipato, in veste di mediatore fra le parti, anche il presidente della Giunta Renato Soru, che rivede in parte il protocollo d’intesa siglato a Cagliari e che fa da apripista al decollo dell’azienda. «Ho accettato di firmare quel documento - precisa il preside Rosati - soltanto perchè contiene la garanzia che i passi avanti verso l’atto definitivo saranno verificati dal consiglio di facoltà». Il preside aveva in pratica accusato la Regione di aver definito una bozza di progetto nella quale la formazione, la ricerca e la didattica (attività di competenza dell’università) sarebbero state penalizzate in modo pesante. Il progetto, come dispone il decreto legislativo 517 del 1999, prevede la costituzione di una nuova azienda ospedaliero universitaria pur rimanendo in attività il presidio Usl del Santissima Annunziata. La creazione dei dipartimenti e delle strutture semplici comporta anche una serie di scelte mirate in particolar modo a rispettare le direttive nazionali sulla quantità dei posti letto rispetto al numero degli abitanti e l’abbattimento di costi (con l’innalzamento del livello dei servizi erogati) attraverso l’eliminazione di inutili doppioni fra le strutture ospedaliere e universitarie. Il problema quindi è di capire, nel caso di una eventuale “fusione”, quali reparti verrebbero “sacrificati” e quali sarebbero le conseguenze di un simile provvedimento. Secondo Rosati le fusioni non possono in alcun modo compromettere la necessità dell’università di svolgere la sua attività didattica e di formazione perchè altrimenti verrebbero meno quei requisiti minimi che consentono di stare al passo con le altre strutture nazionali. E l’ulteriore conseguenza sarebbe l’impossibilità di tenere in piedi tutta una serie di scuole di specializzazione e la facoltà di Medicina sassarese cadrebbe in una sorta di limbo di mediocrità che ne metterebbe in dubbio la stessa sopravvivenza. I principi che invece muovono l’assessore Dirindin partono da un presupposto ribadito anche ieri nel corso di un incontro con gli studenti, preoccupati per il loro futuro. L’assessore ha detto che, come richiede la legge, saranno valutate le esigenze di posti letto dell’università e quelle ospedaliere, nel rispetto di un numero totale che non potrà superare i 4,5 posti letto per ogni mille abitanti comprensivi della lungodegenza post-acuzie e della riabilitazione. «In ogni caso - ha sottolineato - al centro di tutte queste valutazioni ci saranno solo e sempre le esigenze dell’utenza e non quelle dei primari e dei docenti universitari». Una frecciata alla vera e propria guerra che si sta consumando in città fra la componente ospedaliera e quella universitaria rispetto ai futuri assetti dell’azienda. Perchè se due reparti omologhi verranno accorpati si dovrà anche stabilire chi dirigerà la nuova struttura: sarà un universitario o un ospedaliero? È chiaro come su questo versante sia in atto un vero e proprio gioco di potere e che molte posizioni acquisite negli anni, sia da una parte che dall’altra, sono difficili da abbandonare. Nel frattempo l’assessore avverte che se non verranno rispettati i requisiti stabiliti dalla legge e soprattuto i tempi e le scadenze, potrebbero essere annullati i finanziamenti stabiliti per la sanità sassarese. Apprezzo lo spirito costruttivo e l’apertura ai nostri problemi» Caro direttore, l’articolo “Sanità nella tempesta”, pubblicato su La Nuova del 1º maggio, rappresenta una cronaca puntuale degli eventi che hanno caratterizzato le trattative degli ultimi giorni circa la costituzione dell’Azienda ospedaliero-universitaria disposta dall’art. 2 del D.L. 517/99, in attuazione del protocollo d’intesa tra Regione e Università di Sassari stipulato in data 11 ottobre 2004. L’articolo, tuttavia, non descrive compiutamente (evidentemente per carenza d’informazioni dettagliate da parte mia) il clima costruttivo che ha caratterizzato l’incontro del 27 aprile tra il presidente Soru, l’assessore Diridin, il Rettore, il sottoscritto e il presidente del corso di laurea in medicina. Tale incontro, dopo lunga discussione, ha prodotto un documento che ha reinserito nella costituenda Azienda ospedaliero-universitaria molte delle funzioni assistenziali “essenziali” per la formazione, da sempre strutture della Facoltà, che in un precedente documento erano state soppresse. Nell’incontro, la componente universitaria ha sottolineato la necessità di reinserire nell’azienda anche le funzioni universitarie di cardiologia, dermatologia e oncologia, in quanto discipline caratterizzanti l’ordinamento didattico del corso di laurea in medicina e sedi di scuole di specializzazione post-laurea. Al riguardo, vale sottolineare che nell’art. 7 del protocollo d’intesa stipulato tra Regione e Università è scritto che l’azienda ospedaliero-universitaria di Sassari comprenderà tutte le strutture gestite direttamente dall’Università e tutte le strutture universitarie convenzionate con l’Azienda U.S.L. n. 1. Il presidente Soru e l’assessore Dirindin non hanno rigettato la richiesta, dichiarandosi disponibili a riesaminare il problema una volta acquisito il parere della Facoltà di Medicina. Questo impegno è stato assunto direttamente dal presidente Soru, che ha scritto di proprio pugno una nota al riguardo in calce al documento. A questo punto la componente universitaria, preso atto dello spirito di costruttiva apertura ai problemi della Facoltà medica dimostrato sia dal Presidente Soru sia dall’assessore Diridin, ha siglato l’accordo. Circa il problema della riduzione del numero dei posti letto per acuti (peraltro imposto dalle vigenti normative), mi preme precisare che l’Università non si è mai opposta a tale dimensionamento. Nel protocollo d’intesa Regione- Università sono previsti specifici parametri, la cui applicazione ridurrà di oltre 220 i posti letto per acuti disponibili presso le strutture universitarie, fermo restando che il numero dei posti letto a disposizione delle strutture universitarie sia funzionale allo svolgimento dell’attività didattico- scientifica e assistenziale delle predette strutture. Circa i posti letto, ho invece sollevato ripetutamente l’esigenza di convertire l’eccesso dei letti per acuti in posti letto per lungodegenza e riabilitazione. A proposito, è importante rimarcare che nel documento siglato nell’incontro con il presidente Soru e l’assessore Dirindin è prevista l’attivazione di un dipartimento di lungodegenza e riabilitazione sia nell’azienda ospedaliera-universitaria sia nel presidio “SS. Annunziata”. Tempo fa, insieme alla facoltà che mi onoro di rappresentare, intrapresi con il Preside e la facoltà “sorella” di Cagliari una serie di azioni rivolte ad avviare un processo di modernizzazione della sanità regionale, che riconoscesse valenza strategica alla qualità della formazione in campo sanitario. Tra tali azioni ci fu la sospensione dei concorsi per l’ammissione ai corsi di laurea nelle professioni sanitarie per l’a.a. 2002/03. Tale sospensione si rese necessaria poiché mancava il requisito minimo, imposto da norme nazionali, dell’esistenza dei protocolli d’intesa Regione-Università ai sensi dell’art. 6 del D.L. 502/92. Tali protocolli erano stati stipulati in tutte le Regioni del paese, ad eccezione della Sardegna. Non può pertanto essere attribuita alle Università isolane la responsabilità dell’interruzione dei corsi avvenuta nell’anno 2002/03. Quando si presentò sulla scena politica Renato Soru, sviluppai la convinzione che si trattasse della persona idonea a guidare il processo sopra richiamato. Non ho cambiato opinione. Grazie per la sua costante azione in difesa sia delle esigenze dei malati sia delle esigenze di formazione dei giovani che aspirano a diventare operatori sanitari preparati e responsabili. Giulio Rosati preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Sassari Camici bianchi, il vivace confronto con l’assessore regionale alla Sanità «Meno posti letto? Mai detto» I medici: «Alla fine l’unica cosa mista saremo noi» E gli specializzandi attendono risposte sul loro futuro LUIGI SORIGA __________________________________________ La Nuova Sardegna 5 mag. ’05 CARA DIRINDIN, USI LA LOGICA PER CURARE LA MEDICINA SASSARESE Quando si parla di Sanità, immancabilmente, si apre una gara fra chi la spara più grossa. Lo sport delle bufale, è il caso di dire. E sappiamo tutti, ormai per consumata esperienza, che sono solo due gli argomenti che il cittadino tiene sotto costante osservazione: la salute e le tasse. Sparare cavolate su questi argomenti vuol dire mettere in apprensione tutti, sino a creare climi da guerra fredda. Ebbene, proprio in questi giorni, inavvedutamente sotto elezioni, è scoppiata una bagarre che vede coinvolti, assessore regionale alla sanità, facoltà di medicina dei due atenei sardi, medici di ogni appartenenza, infermieri e portantini. Il tema è sempre il solito. Quello che si dibatte ormai da anni. L'istituenda azienda ospedaliera mista. Di cui nessuno sa nulla (compresi quelli che dovrebbero) ma di cui tutti parlano a sproposito. I boatos sono stati fortunatamente spenti da un provvidenziale intervento del presidente della regione Renato Soru che con acume politico ha tappato la bocca alla sua assessora e ha rinviato tagli e discussioni alle sedi appropriate. Evidentemente Soru si è reso conto che l'assessore Dirindin si era lanciata in una corsa spericolata che avrebbe mandato gambe all'aria il quadro politico e sottoposto la giunta a una incresciosa marcia indietro. La Dirindin aveva, fortunatamente solo con la bocca, valicato i suoi compiti istituzionali sparando soluzioni in palese contrasto con le leggi vigenti e invadendo competenze che appartengono ad altri soggetti. Cerchiamo, per quanto è possibile, di fare un po' di chiarezza sullo spinoso argomento. Senza voler con questo né insegnare il mestiere alla signora Dirindin che evidentemente è una grande studiosa dei problemi sanitari ma non è mai entrata in una corsia o comunque sembra avere idee molto vaghe sull'azienda ospedaliera. Che è in tutto e per tutto una società per azioni né più né meno come la Pirelli, la Telecom o la Fiat. La differenza sta che in queste il capitale è detenuto da soggetti privati, nell'azienda ospedaliera è detenuto da soggetti pubblici. Che sono sostanzialmente due: la Regione e l'Università. Ma possono essere anche più soggetti. L'Azienda risponde alle stesse leggi, alle stesse normative, agli stessi controlli cui sono soggette le società per azioni. L'Ente Regione dopo aver sottoscritto un protocollo d'intesa con l'altro soggetto coinvolto, in questo caso l'Università, istituisce l'Azienda. Con l'Università redige lo statuto e nomina il consiglio di amministrazione, il quale a sua volta procede a eleggere gli organi statutari, presidente e direttore generale e in alcuni casi anche il consigliere delegato. Università e Regione stabiliscono il numero dei posti letto o comunque i parametri (il famoso 4,5 per mille abitanti) e conferiscono all'Azienda un fondo di dotazione, immobili, macchinari e quant'altro necessario. Il compito della Regione, dell'assessore, dell'Università finisce qui. E, per legge, non può andare oltre. E si devono comportare da azionisti non da amministratori. Ancor meno, il compito di stabilire come sarà composta e gestita l'Azienda, lo può avere il direttore generale della Asl. Che può solo essere uno degli azionisti. Le interferenze di questi giorni sono quindi quantomeno inopportune. E' il direttore generale o l'amministratore delegato dell'Azienda ospedaliera che stabiliscono, sulla base delle dotazioni conferite all'Azienda e sul numero dei posti letto assegnati, la struttura operativa. Ovvero il numero dei dipartimenti, la loro disposizione e la loro allocazione. Perché non ci siano più edifici dell'ospedale civile ed edifici dell'Università. Ma solo edifici dell'Azienda ospedaliera. Ogni dipartimento sarà poi dotato di un numero, attualmente indefinito, di unità operative, ovvero gli attuali reparti di degenza. L'Azienda è, operativamente e gestionalmente, assolutamente autonoma. Non è soggetta a nessun potere politico e risponde solo dei suoi bilanci. Se sono in pareggio o in attivo, bene. Altrimenti chiude i battenti. O taglia. O ristruttura. Ma lo fa l'Azienda, non la signora Dirindin o il signor Zanaroli. Con tutto il rispetto che nutriamo per loro, non è loro compito. Da come si stanno muovendo i soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda, si traggono due sole conclusioni. O non sanno, e allora siamo di fronte a commediole già viste in Sardegna, con attori improvvisati e dilettanti allo sbaraglio, o buttano sassi nello stagno per vedere l'effetto che fanno. Strumentalmente si saggia il terreno. E questo non è serio. Nel lontano 1988 quando l'allora presidente della Regione Toscana decise di sperimentare un nuovo modello di organizzazione sanitaria chiamò il compianto professor Rino Ricci, preside della facoltà di Economia dell'Università di Pisa e gli conferì l'incarico di studiare il problema. Il prof. Ricci mise insieme diciotto persone a ognuna delle quali affidò lo studio di un segmento del problema. Dopo sei mesi consegnò al presidente della Regione un modello di Azienda Ospedaliera mista Università-Ospedale che oggi funziona in tutta l'Italia, da Nord a Sud, perchè è diventata legge dello Stato inapplicata dalla sola Regione Sardegna. Certo. Problemi da risolvere ce ne furono tanti. I più grossi: la suddivisione dei primariati, problema che a Sassari sta mettendo contro l'un l'altro armati ospedalieri e universitari; la titolarità degli immobili; il fondo di dotazione; il passaggio del personale dall'allora Usl per gli ospedalieri e dall'Università per i clinici convenzionati. Su questo punto furono vagliate due soluzioni. Il trasferimento o l'assunzione ex-novo da parte della nuova Azienda. Fu scelta la seconda ipotesi, più funzionale e pratica. La questione dei primariati fu risolta non con una guerra. Ma dalla logica. Posto come premessa che l'Azienda assume solo per provate capacità professionali, per le posizioni pregresse e già maturate, provvidero le unità operative. Le vecchie strutture avevano reparti di 60 o addirittura 100 posti letto, generalisti, sul modello del vecchio sistema di insegnamento universitario. Con tempi di degenza interminabili. Per rendere efficiente ed economicamente valido il sistema occorreva smantellare tre cardini: i tempi di degenza, i mega-reparti, gli insegnamenti onnicomprensivi. Al loro posto unità operative agili, 10-15 posti letto al massimo, che puntavano sulla specializzazione e quindi sull'eccellenza, tempi di degenza brevi, specializzazione e quindi parcellizzazione degli insegnamenti. I dodici reparti classici con altrettanti super-baroni e gli altri reparti ospedalieri con più doppioni, esattamente come oggi a Sassari, sono diventate 78 unità operative di alta specializzazione e in qualche caso di eccellenza europea. L'Azienda non pesa né sulle tasche dei cittadini né, oltre il dovuto, su quelle dello Stato. E' in utile da anni. In quasi tutte le unità operative esiste l'intra-moenia dove i medici possono tranquillamente svolgere la libera professione e ogni dipartimento ha il suo day-hospital per cui le degenze sono limitate al solo periodo di aggressione della malattia. La progressione del sistema è inversamente proporzionale. Aumentano le unità operative, diminuiscono posti letto e degenze. Il sistema oggi funziona in tutta l'Italia. Perché non dovrebbe funzionare in Sardegna? Perché nel resto dell'Italia non si notano cadaveri di primari sparsi lungo le strade e in Sardegna ce ne dovrebbero essere cataste? Importante è avere idee chiare, sapere di cosa si sta parlando, e partire col piede giusto. Ingredienti che al momento hanno scelto la latitanza. Quando l'assessore Dirindin parla di tagliare alcuni reparti e quindi di conseguenza anche gli insegnamenti e fa aleggiare l'ipotesi che a Sassari ci saranno due soggetti distinti, l'Azienda ospedaliera e il presidio del SS. Annunziata, crea scompiglio e fa confusione. Ma cosa vuol dire? Ce lo spieghi. I cittadini, visto che si tratta della loro salute, hanno diritto di sapere. Con chiarezza e nel rispetto delle leggi. Quando afferma che i giornalisti, con chiaro riferimento a quelli della Nuova, dicono bugie cerca solo di mondarsi da responsabilità che sono solo sue. Quando afferma che occorre tagliare, parte col piede sbagliato. Si taglia solo quando si ha ben chiaro in testa quel che si vuol fare. E attualmente questa chiarezza non c'è. Quando afferma che occorre sopprimere i doppioni dimostra di non sapere quel che dice. I tempi di degenza non si abbreviano tagliando i posti letto. Il taglio dei posti letto è e deve essere solo una conseguenza dell'efficienza. A meno che non si voglia fare di Sassari la succursale di altri ospedali. Sulla via dell'efficienza il primo provvedimento è quello di mettere mano alla diagnostica. E' indispensabile rendere efficiente e rapida sia la diagnostica strumentistica che quella di laboratorio. Dall'ingresso al pronto soccorso il paziente, nell'arco di due giorni, deve poter essere sottoposto a Tac, risonanza magnetica, radiografie varie, eco-doppler e tutte le analisi di laboratorio di cui ha bisogno. Se per essere sottoposto a una Tac il paziente deve attendere in un letto di reparto una settimana questo diventa un costo intollerabile per la comunità. O per un doppler. O per una diretta dell'addome. O per una Pet che non c'è. A Sassari, credo unica città al mondo, non esiste un servizio doppler neppure in reperibilità. Se l'assessore vuol fare anche il direttore generale della Asl, dell'Azienda ospedaliera o del fantomatico presidio del SS. Annunziata (tutte cose, beninteso, che non le competono), dia retta a un fesso, cominci dalle cose indispensabili. Al posto del pronto soccorso di antidiluviana memoria, metta in piedi un dipartimento di emergenza efficiente e metta mano alla diagnostica. Poi si vedrà. E soprattutto istituisca l'Azienda Ospedaliera. Una. E unica. Non due accrocchi. Per gli accrocchi in Sardegna siamo campioni del mondo. Che bisogno c'era di professionisti traslocati da Torino, da Modena o da Padova? Siamo seri! Nel protocollo d'intesa siglato il 27 scorso, sembra di capire che si segua la via dell'accrocchio. Un'azienda ospedaliera (dell'Università) e un'altra azienda che eufemisticamente hanno chiamato presidio ospedaliero con gestione diretta della Asl e quindi della politica. Non è un accrocchio. E' un pateracchio. Oppure la via più breve per dotare la politica di quell'enorme serbatoio di clientele di cui ha sempre avuto bisogno. Avremo quindi ancora e per sempre due mezzi ospedali separati che si troveranno a fare pressapoco le stesse cose. Niente è cambiato. Solo il colore. Che delusione! Da lei, signora Dirindin, mi aspettavo qualcosa di più. Invece la montagna ha partorito un topolino. Piccolo, rattrappito e un po' paralitico. Glielo dice uno che avendo deciso di trascorrere il resto della sua esistenza a Sassari, e avendo tagliato il traguardo dei sessanta, teme le traversate per potersi curare al meglio. Cerchi di spiegare ai cittadini prima che al sottoscritto, che senso ha una riforma che lascia tutto come prima (clientele comprese). La sanità sarda ha bisogno di una profonda trasformazione, rivoluzionaria, che la renda efficiente ed economica senza bisogno di tagliare a casaccio. Dove andrà a cercare i soldi se lascia in piedi due ospedali uno dei quali non avrà neppure un dipartimento di emergenza? Dove li farà i risparmi? Tagliando le teste? Riducendo i servizi? Per lasciare tutto come prima era più che sufficiente, mi creda, un assessore di Buddusò o di San Gavino. Livio Liuzzi __________________________________________ L’Unione Sarda 3 mag. ’05 AZIENDA MISTA: 800 POSTI IN MENO Ultima firma Accordo raggiunto per l'azienda mista: tagliati 800 posti letto Ottocento posti letto in meno e la promessa (o il sogno) di creare una struttura ospedaliera di eccellenza: con un protocollo d'intesa fra Regione, Asl n°1 e Ateneo sassarese nasce l'Azienda mista Asl-Università. Il documento che segna una svolta storica per la Sanità sassarese è stato firmato la scorsa settimana a Cagliari dal governatore Renato Soru, l'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, il rettore dell'Università di Sassari, Alessandro Maida, il preside della facoltà di Medicina, Giulio Rosati e il presidente del corso di laurea in Medicina e chirurgia, Giuseppe Delitala. L'obiettivo dell'accordo è quello di razionalizzare i servizi ospedalieri garantendo la massima qualità ai pazienti, ed evitando i reparti-doppione. La novità più tangibile sarà la drastica riduzione dei posti letti, che sarà adeguata ai parametri imposti dal Piano sanitario nazionale. Oggi la dotazione effettiva di posti letto (pubblici e privati) dell'Azienda sanitaria di Sassari è 1767. Con la nascita dell'Azienda mista, questa disponibilità subirà una energica cura dimagrante: i posti letto dovrebbero scendere a 950 circa, distribuiti in maniera equilibrata fra le Cliniche universitarie e l'ospedale Santissima Annunziata. Nel documento che fissa i paletti per il funzionamento della futura Azienda mista, sono elencate gli indirizzi di carattere generale che Asl e Università dovranno rispettare. Al punto 4 dell'accordo, si specifica: «le duplicazioni non adeguatamente motivate devono essere gradualmente superate». Una voce dolorosa per le due strutture già operanti, che comporterà la soppressione di alcuni reparti a vantaggio della funzionalità e del bilancio aziendale. Queste le previsioni della spartizione delle funzioni. All'Università spetteranno un Dipartimento internistico, un Dipartimento chirurgico e uno per la lungodegenza e riabilitazione, nonché il Dipartimento materno infantile. A sua volta nell'ospedale civile Santissima Annunziata funzioneranno un Dipartimento internistico, uno Chirurgico, uno per la lungodegenza e riabilitazione, e il Dipartimento dell'emergenza-urgenza. Restano da definire gli affidamenti degli incarichi di direzione, garantendo un adeguato equilibrio fra le due strutture. (v. g.) __________________________________________ La Nuova Sardegna 3 mag. ’05 SASSARI: SANITA’ DI SERIE C SASSARI. Doveva essere un tranquillo appuntamento elettorale. E così sarebbe stato se l’assessore Nerina Dirindin non avesse aperto il giornale e strabuzzato gli occhi di fronte a un titolo «Sanità in serie C». Fatto sta che nella sala Angioy della Provincia è scattato il fuori programma. Sala gremita di studenti di medicina, professori, preside Rosati in fibrillazione e politici e Ds che si sfregano le mani. Inaspettata sorpresa, una sala tutta gremita. Ma quell’auditorio stipato, 40 gradi, gente seduta per terra, molti in piedi, alcuni fuori ad ascoltare dagli altoparlanti. Tutti, perlopiù, aspettavano solo una notizia. Sì, è vero, c’era l’ex ministro delle politiche sociali Livia Turco che doveva parlare dei disastri fatti dal centrodestra. C’era il segretario regionale Ds Giulio Calvisi a puntare il dito contro Berlusconi, Pisanu e la devolution. Dietro il microfono c’era anche il candidato a sindaco Gianfranco Ganau. Ma chi sudava in silenzio dentro la sala, lo faceva per ben altri motivi. Erano per lo più gli specializzandi, molto preoccupati per il loro futuro e per il loro corso di laurea, strattonato in un estenuante braccio di ferro tra istituzioni, università, Asl, primari, luminari, e potentati vari. Così, quando Nerina Dirindin prende la parola, centinaia di orecchie si sintonizzano sulle frequenze del suo disappunto: «Inutile allarmismo, sterile polemica, provocazioni pretestuose. Non si è mai parlato di abolizione di posti letto nè di dimissioni di alcun direttore». Tutta colpa dei giornalisti, quindi, che si divertono a gonfiare le notizie e a mettere uno contro l’altro i politici e i medici. Il candidato alla Provincia non restiste, vede l’onda, ci monta sopra e cavalca una filippica contro la cattiva informazione. Lo stesso preside della facoltà di Medicina Giulio Rosati nel suo primo intervento sembra imbufalito. Poi però la vicenda rientra nei binari: «Niente di falso nell’articolo, l’autore ha enfatizzato di più la polemica scaturita due settimane fa e si è soffermato meno sulla bozza dell’accordo firmato mercoledì scorso». E poi giù a spalmare balsamo sulle ferite: «Grazie Soru, grazie Dirindin, abbiamo piena fiducia, sappiamo che siete la giunta giusta per noi». Intanto però l’inchiostro sulla bozza d’accordo Rosati l’aveva spalmato perché un’aggiunta a penna recitava: «Salvo modifiche del consiglio di Facoltà». Niente di definitivo, dunque. Anche perché non sono stati certo rose e fiori gli incontri a Cagliari: «La proposta di 15 giorni fa non potevamo accettarla - ribadisce Rosati - la cancellazione dei duplicati, ovvero dei reparti doppioni all’Università e all’Ospedale, per noi può costituire un problema: ci sono dei settori disciplinari essenziali per la formazione degli studenti. Cardiologia, ad esempio, è un settore basilare per noi. Questo dissi all’incontro. Mi fu risposto: se l’atteggiamento è questo, addio azienda mista, non se ne fa nulla. Io e i miei colleghi abbandonammo l’aula». Altra preoccupazione dei cattedratici era questa: il 45 per cento delle strutture avrebbe dovuto traslocare in presidi pubblici. Nel collegio dei primari è scattato l’allarme. «Ma con le liste d’attesa chilometriche, con i disagi che ci sono per i pazienti, siamo davvero sicuri che i doppioni siano inutili?», chiede il professor Madeddu. La dottoressa Andreina Tocco, invece, è più tagliente: «Ma l’azienda mista non doveva nascere in una struttura onnicomprensiva nel Santissima Annunziata? Ho paura che in questo disegno l’unica cosa mista siamo noi medici». Una valanga di domande per la Dirindin. Lei va dritta come un panzer: «Le cose stanno così: la tipologia di azienda mista ospedaliera- universitaria è l’unica scelta possibile. La logica che seguirà l’azienda sarà questa: tutela della salute dei cittadini, formazione didattica, possibilità per gli specializzandi di fare pratica sul campo. Queste funzioni si devono integrare. Lo spirito nostro è questo: sì alle esigenze deli utenti di questa azienda, no agli interessi di primari e docenti». E poi, naturalmente le direttive del governo. «La legge ci impone di razionalizzare i posti letto, di eliminari gli sprechi. O facciamo così o non prendiamo soldi. Se in una città ci sono due unità doppione, queste devono fondersi in un dipartimento. I dipartimenti funzionano meglio, si lavora di più e il personale fa più esperienza». Gli studenti sono quasi più tranquilli. Quasi. «Forse mi sono perso qualcosa - dice uno che nel suo futuro ha disegnato un camice bianco - ma la Dirindin ci ha detto o no che fine faranno i nostri corsi di specializzazione?»... __________________________________________ La Nuova Sardegna 3 mag. ’05 CORSI INFERMIERI: REGIONE LI FA, LO DICE DIRINDIN «C’è un mercato importante non solo nell’isola, ora vediamo quali e quanti» Il preside di Medicina: «Posti di lavoro sicuri» Formazione sanitaria: un’integrazione nel fondo per gli atenei ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Secondo l’assessore regionale alla sanità Dirindin sarebbe addirittura colpevole un sistema universitario che non tenesse i corsi per formare gli operatori indispensabili al buon funzionamento della medicina sarda. Ecco perché appena arrivata, l’estate scorsa, ha inserito nel protocollo Regione-Università l’impegno a riavviare subito i corsi sospesi. E, ora, è in procinto di promuovere la discussione con le facoltà per stabilire quali e quanti corsi aggiungere e come contribuire al finanziamento. Il problema, alla fine, è questo: i corsi servono, sono indispensabili, immettono nel mercato del lavoro figure continuamente richieste in Sardegna e fuori, ma il ministero dell’università, ormai, chiede agli atenei di essere autonomi sul piano finanziario. E questo spiega perché, ovunque, le università si sono affrettate a stringere accordi con le regioni, a loro volta interessate alla formazione perché ospedali e ambulatori pubblici continuano a segnalare la difficoltà di praticare una buona medicina a causa sia degli organici nell’isola ancora di vecchia concezione con figure quasi inutili, sia dei vuoti nelle figure tuttora necessarie. L’autunno scorso sono stati tolti dal limbo i pochi corsi che le università erano riuscite ad avviare, adesso si lavora per il futuro. Così l’assessore: «La Regione ha già fatto qualcosa che in precedenza non era stata fatta: ha sottoscritto il protocollo d’intesa con l’Università chiedendo che venissero fatti partire i corsi triennali per professioni molto importanti che costituiscono un’integrazione indispensabile al lavoro del medico. Si tratta di infermieri, logopedistici, tecnici di varia natura senza i quali non si può assolutamente ammodernare i servizi resi al cittadino. C’è un mercato importante per i giovani - continua l’assessore - che non è soltanto regionale. Finora sono state solo le università a farsi carico di questo». Ma i soldi messi a disposizione dal ministero di riferimento non bastano più da nessuna parte e la collaborazione con le regioni è diventato lo snodo per andare avanti e rispondere a quel che la collettività (e la legge) chiede ormai alla facoltà di Medicina: farsi carico della formazione dei medici e di tutti gli operatori della sanità. «Le regioni - conferma l’assessore - hanno interesse a collaborare su questo fronte e infatti mettono a disposizione strutture, strumenti, oppure risorse economiche. Nella legge finanziaria della Sardegna il fondo di sostegno all’università è stato integrato anche per i corsi della facoltà di Medicina. In questa fase stiamo discutendo di quali corsi fare e quanti». Insomma, sarà probabilmente di grande aiuto il lavoro condotto dalla facoltà di Medicina cagliaritana dove si è elaborato un documento in cui si presentano tutti i costi di ciascuno dei corsi che il mondo del lavoro sanitario sollecita. Anche dal suo osservatorio, il preside cagliaritano Gavino Faa commenta: «In questo momento investire nella formazione di un infermiere significa investire in un posto di lavoro a tempo indeterminato: un giovane si iscrive oggi a un corso e dopo tre anni viene assunto il giorno dopo il diploma». Un grande tema nei mesi scorsi sul fronte sindacale: in un incontro ufficiale il Nursind, sindacato largamente rappresentato in tutte le aziende dell’isola, a proposito delle costanti proteste da parte degli infermieri sui carichi di lavoro, aveva spiegato quale fosse la situazione generale nell’isola e particolare su Cagliari. Il personale risulta male utilizzato perché nei reparti ospedalieri e negli ambulatori spesso non ci sono tutte le figure professionali che servono. Il carico di lavoro eccessivo provoca una costante richiesta di trasferimenti da reparti faticosi a quelli meno stressanti col risultato di togliere forze dove servono di più. Tra i vari argomenti sostenuti dal segretario nazionale Graziano Lebiu, la formazione professionale veniva indicata come una strada da battere subito perché «anche volendo le aziende sanitarie non potrebbero assumere: infermieri, infatti, non se ne trovano in tutta la Sardegna». __________________________________________ L’Unione Sarda 4 mag. ’05 OPPI:SANITÀ, SCELTE ALL'INSAPUTA DEI CONSIGLIERI «Ho scritto al presidente del Consiglio regionale per invitarlo a convocare un'urgente riunione in cui il presidente della Regione e l'assessore della Sanità rendano conto ai consiglieri delle scelte in materia sanitaria». L'ha annunciato il capogruppo dell'Udc Giorgio Oppi, in una nota in cui ribadisce le critiche alla Giunta, in particolare per il protocollo d'intesa con le università, oltreché per il «prematuro cambiamento dei direttori generali». Il Consiglio regionale, conclude Oppi, «apprende dalla stampa le decisioni della Giunta e non può dettare, come la legge prevede, la propria linea in materia di politica sanitaria». _______________________________________________ Il Sole 24 Ore 4 Mag. 05 IN OSPEDALE IL CARRELLO DIVENTA «INTELLIGENTE» Errori in corsia / Contromisure Si cercano le contromisure per far fronte all'impiego improprio dei farmaci in ospedale, che sarebbe responsabile di circa il 10% degli errori in corsia. La percentuale emerge dall'analisi dei dati raccolti nel primo database italiano messo a punto dalla Clinical risk management society, presentati a Roma durante la Consensus conference sul risk management. Il database si basa sulle segnalazioni anonime degli operatori sanitari di dieci centri campione distribuiti sul territorio nazionale e raccolte da gli anni Novanta a oggi. Sono stati segnalati oltre 50mila eventi avversi (52.613) di cui 4.672 imputabili alla cattiva gestione dei farmaci. Sette su dieci di questi "errori" (il 68%) sono imputabili a inefficienza del servizio e a cause organizzative. Gli eventi avversi sono principalmente errori di dosaggio (27%), scambio di sostanze (22%), farmaci non disponibili (16%) e orari di somministrazione non rispettati. Le soluzioni per far fronte a questo problema sono diverse, come carrelli informatizzati, cartellini con codici a barre per i pazienti, cartella clinica informatizzata. Tra le sperimentazioni in corso va segnalata quella che prevede l'impiego di un braccialetto "intelligente" al polso del paziente. II braccialetto è collegato a un carrello contenente i farmaci, altrettanto "intelligente", e con un bollino, "intelligente" anche questo, sulla confezione della medicina. La sperimentazione è condotta all'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano. Il carrello che può gestire le informazioni è stato inventato dal professor Pierangelo Bonini, direttore di Laboraf diagnostica e ricerca San Raffaele, e dall'ingegner Alberto Sanna, responsabile dell'Unità di ricerca "E-Services for life and health" dello stesso Istituto Scientifico San Raffaele. Il carrello riconosce l'operatore attraverso la smart card in dotazione, il paziente attraverso il braccialetto informatizzato, il farmaco attraverso il bollino e cioè l'etichetta con codice bidimensionale e i parametri vitali del paziente attraverso uno strumento elettromedicale dedicato. FE.ME. Una smart card e un braccialetto riconoscono infermiere e paziente _______________________________________________ Libero 4 Mag. 05 L'ELETTRICITÀ SMASCHERA IL CANCRO AL SENO Il flusso di energia si propaga facilmente nei tessuti malati perché contengano più acqua dl GIANLUCA GROSSI AUGUSTA - Una nuova arma per diagnosticare con largo anticipo il tumore al seno. Si basa sul principio fisico secondo il quale l’elettricità sì muove più velocemente nelle cellule malate, che non in quelle sane, a causa di una maggiore presenza di acqua, e di "canali di comunicazione" più efficienti tra un tessuto e l'altro. Gli studiosi ritengono in particolare che servendosi dell'elettricità sia possibile risalire ad aree cancerogene assolutamente invisibili: la tradizionale mammografia o i raggi X, non sono in grado di individuarle. L'innovativa tecnica, attualmente in fase di sperimentazione in Usa su un campione di 4 mila e cinquento donne e approntata da una ditta americana di Charleston, è stata battezzata "Heda" (da Homologous Electrical Difference Analysis). Essa è il frutto del lavoro compiuto da un'equipe di scienziati del Medical College of Geoxgia (Augusta). La tecnica si basa sull'azione di un foglio a forma di fiore che, forato al centro per consentire di non schiacciare il capezzolo, porta su ogni petalo un elettrodo. Gli elettrodi nel loro insieme consentono la misurazione delle variazioni del flusso di energia elettrica intracellulare, e permettono quindi di risalire alle aree dove l’elettricità passa con maggiore facilità, spia appunto della presenza di una neoplasia. Jamcs H. Craft, a capo della ricerca, sostiene che l’Heda tornerà soprattutto utile per la prevenzione dei tumori al seno che di norma colpiscono le giovani donne. In queste ultime, infatti, il tessuto mammario è molto più denso rispetto a chi è più in là con gli anni, e quindi difficilmente "fotografabile" con le consuete apparecchiature. Controindicazioni? Non ce ne sono, assicurano gli esperti statunitensi, se non per il fatto che gli elettrodi possano causare una leggera e momentanea irritazione cutanea nel punto in cui svolgono la loro azione. Secondo Craft Heda è inoltre estremamente maneggevole e svolge le sue analisi (di cui è possibile immediatamente avere il responso), in una decina di minuti. Il cancro della mammella colpisce ogni anno, nel nostro Paese, 33 mila donne ed è la seconda causa di morte femminile. L'incidenza della malattia è in continuo aumento a fronte però di un regresso della mortalità negli ultimi 10 anni, sia pure lento ma continuo e progressìvo. Diagnosi precoce e terapie postoperatorie di qualità hanno comunque dimostrato che nell'80 per cento dei casi il cancro del seno si può sconfiggere. _______________________________________________ MF 5 Mag. 05 FREQUENTI TENTATIVI DI DIETA PORTANO ALL'OBESITÀ Società Le abitudini da evitare nell'adolescenza Quali sono i fattori che lasciano prevedere se una ragazza svilupperà in età adulta l'obesità? I ricercatori ne hanno identificato tre: la depressione, genitori obesi e frequenti, radicali tentativi di controllare il peso. Stranamente, come risulta da uno studio pubblicato su Me Jourrial of Consulting and Clinical Psychology, non vengono più considerati i tradizionali fattori di rischio come la mancanza di esercizio fisico, il consumo di cibi grassi e un ritmo di alimentazione molto disordinato. Dall'esame su 496 teenager seguite per cinque anni è risultato che le più inclini a diventare obese erano quelle che assumevano emetici e pesanti lassativi. _______________________________________________ Il Sole 24 Ore 5 Mag. 05 NO DEI MEDICI AL DI BELLA-BIS In Italia tre malati di tumore su quattro si affidano anche a metodi di cura non tradizionali MILANO o Sette anni dopo riappare il fantasma del "metodo Di Bella" per la cura dei tumori. A riagitarlo è il neo nùnistro della Salute, Francesco Storace, che vuol far rientrare tra i farmaci gratuiti a carico del Ssn (Servizio sanitario nazionale) il cocktail a base di somatostatina del fisiatra modenese scomparso nel 2003. A decidere se ci sono nuove evidenze scientifiche sul «MDB» sarà un gruppo di lavoro istituito al Consiglio -superiore di Sanità (Css) dal predecessore di Storace, Girolamo Sirchia. Un tentativo pensato probabilmente per spegnere definitivamente polemiche mai sopite. Ma ora Storace, che da governatore del Lazio ha concesso gratis la somatostatina, torna alla carica. Raccogliendo però una valanga di contestazioni e anche tanto silenzio da parte della maggioranza. La polemica sul "MDB", insomma, rimonta. E diventa accesissima tra Storace e Rosy Bindi, ministro all'epoca del "caso Di Bella" e della sua secca stroncatura scientifica. «Mi è già arrivata (dal figlio di Di Bella, ndr) la richiesta di inserire la somatostatina in fascia A: sono al ministero da pochi giorni, valuterò cosa si può fare». Con questa dichiarazione Storace ha riaperto sulla carta la "pratica di Bella". Aggiungendo ieri: «Sono sicuro che dialogando si preferirà cercare di capire, anziché lanciare anatemi. La politica ha il dovere di dare risposte alle domande sociali. La scienza, nella sua autonomia, le affronterà». Se potrà esserci "dialogo", lo dirà il rapporto del gruppo di lavoro del Css, coordinato dal professor Guido Pozza (San Raffaele di Milano). Anche se la comunità scientifica è più che mai scettica. E Rosy Bindi non concede alibi: «Per il ministro della Salute è una pessima partenza e una scelta irresponsabile. Storace accredita un'idea distorta della libertà di scelta, che concede solo a chi gli fa comodo, e mette in discussione i principi di efficacia e appropriatezza delle cure che garantiscono equità e sostenibilità del Ssn», Immediata la replica del ministro: «È ovvio che l'onorevole Bindi, che nessuno rimpiange al ministero, insorga. Insorge perché non sbattiamo la porta in faccia ai malati. Non sa che alcune Regioni già rimborsano i malati che scelgono la cura Di Bella». Dalla parte di Storace solo il collega di partito (An), Michele Bonatesta: «Un'iniziativa meritoria ed encomiabile» Ieri Storace ha raccolto solo stroncature. A partire dagli oncologi italiani: «Le sperimentazioni condotte alcuni anni fa sulla "terapia Di Bella" - ha affermato il presidente dell'Aiom, Roberto Labianca - diedero risultati incontrovertibilmente negativi. È auspicabile che ai malati siano garantite cure efficaci». E «vivissima preoccupazione» ha espresso il «Gruppo 2003» (i ricercatori italiani di tutte le discipline scientifiche): «Non esistono nuovi elementi scientifici per ritenere che siano superate o modificate le conclusioni della sperimentazione del 1998. Ci auguriamo che il ministro non insista nel sostenere una terapia che ha già generato discredito all'Italia nella comunità scientifica internazionale». Identica la bocciatura dei medici internisti, riuniti in congresso a Napoli. E lo stesso vice presidente del Css, i] farmacologo Silvio Garattini, non ha dubbi: «Non ci sono ragioni per una nuova valutazione della terapia Di Bella, e tanto meno per l'inserimento della somatostatina tra i farmaci a carico del Ssn. Allora, perché non rimborsare i viaggi a Lourdes?». Altolà anche dal presidente dell'Ordine dei medici, Giuseppe Del Barone: «Non è una terapia valida per la cura». Più cauto il Tribunale dei diritti del malato: «Se la sperimentazione è stata fatta con tutti i crismi, come sembra, allora siamo contro. Se dovessero sorgere dei dubbi, valuteremo il da farsi». Ma, al di là delle polemiche, quanti malati di tumore fanno ricorso a terapie alternative? Attualmente non c'è accordo. «Anche perché molti non lo confessano - sottolinea Franco Zunino, dell'Istituto dei tumori di Milano -: almeno secondo quanto emerso in un convegno sull'argomento tenutosi una settimana fa». Secondo rilievi Istat, relativi al 1990-2000, vi ricorre in Europa il 10% dei malati oncologici, di più in Italia. Un recente sondaggio della Manchester University, che ha preso in esame mille pazienti nella Ue, ha stimato che, se si considerano quei pazienti oncologici che si affidano soltanto alle terapie alternative e quelli che le affiancano ai trattamenti tradizionali, si raggiunge un terzo del totale. La quota va dal 15% della Grecia fino al 75% nel nostro Paese. Anche negli Usa è un fenomeno diffuso: da quattro anni al Memorial Sloan Kettering cancer center (Mskcc) è stato aperto il Dipartimento di medicina complementare e integrativa. Qui, specialisti oncologi hanno raccolto la letteratura esistente sulle terapie antitumorali non tradizionali, dai prodotti fitoterapici (che sembrano essere i più diffusi) a quelle che usano estratti di cartilagine di squalo, senza trascurare psicoterapia, ipnosi, omeopatia, agopuntura. Con mille consulti al mese, questi specialisti forniscono informazioni dettagliate su di esse, le prescrivono e le applicano. «Assistono anche chi rifiuta il trattamento tradizionale-precisa Virgilio Sacchini, chirurgo senologo del Mskcc -. E umanamente accettabile che si scelga un trattamento meno tossico, soprattutto se il tumore non dà scampo ed è molto importante che la scelta venga fatta con la consulenza di esperti oncologi, perché i rischi sono molto seri». Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro, condivide con Sacchini la convinzione che il rischio maggiore delle terapie non validate secondo i canoni è quello di perdere le possibilità di guarigione offerte dalla terapia tradizionale, quando questa le offre. A ciò si aggiungono i rischi derivanti dalla lacunosa conoscenza degli effetti delle sostanze usate. Recente la scoperta che la vitamina E può aumentare il rischio di una recidiva e che alcune erbe (il dictamnus-dasycarpus e il jin bu huan) possono provocare epatiti importanti e altre (le aconitine) aritmie cardiache letali. ROSANNA MAMELI ROBERTO TURNO __________________________________________ La Stampa 4 mag. ’05 LUI HA PIÙ NEURONI MA LEI LI HA PIÙ CONNESSI LE DIFFERENZE TRA IL CERVELLO MASCHILE E QUELLO FEMMINILE ECCO la frase che ha dato fuoco alle polveri. E’ di Lawrence Summers, il rettore di Harvard, l'Università più prestigiosa degli Stati Uniti; l'ha proununciata il 14 gennaio durante una conferenza sul tema "La posizione delle donne e delle minoranze nelle scienze": «Devo constatatare che di regola gli uomini ottengono risultati migliori agli esami; nessuno sa perché ma il motivo principale potrebbe essere di natura biologica». Scandalo immediato in un campus dove il Presidente era già stato accusato di non voler applicare la legge sulla "pari opportunità" che favorisce le minoranze, e dove il numero di nuovi professori è arrivato progressivamente nel 2004 a quota 4 per le femmine e 32 per i maschi. A sua difesa e rincarando la dose Summers ha suggerito che in Usa «i cattolici sono sostanzialmente sottorappresentati tra i dirigenti bancari, i bianchi nella Associazione Nazionale del Basketball, gli ebrei tra i contadini ed i proprietari di terreni e le donne tra i professori universitari». Secondo Summers «le giovani donne già intorno ai vent’anni deciderebbero di non intrapprendere una professione che credono richieda una attività lavorativa di 80 ore la settimana». Altre cause sarebbero una differenza attitudinale, che porterebbe a una differente abilità scientifica in genere e in quella matematica in particolare. Queste differenze «non avrebbero un'origine culturale in quanto grosso modo a 5 geni matematici e a 5 Nobel maschili corrisponde una sola donna». Il problema non sarebbe neppure la discriminazione ma il fatto che una differente abilità renderebbe le femmine meno adatte a quello che gli americani definiscono un "high-powered job" (cioè un lavoro ad alta pressione) come la attività scientifica. E' curioso che tale dichiarazione sia coincisa proprio con la nomina di una donna a nuovo presidente del MIT (Massachussetts Institute of Technology), uno dei maggiori centri di ricerca mondiale. Le differenze tra cervello maschile e cervello femminile sono ben documentate. Basta che il lettore vada su Internet e interroghi un motore di ricerca sul tema "cervello/differenze di sesso" e troverà quasi un centinaio di lavori scientifici solo negli ultimi due anni. Quali sono queste differenze? Anzitutto minore peso e volume nelle femmine, come rilevò già uno dei padri della neurologia moderna, il francese Paul Broca. Ma uno degli errori di Broca fu quello di credere che il volume del cervello di un individuo fosse direttamente proporzionale al suo livello intellettuale. Esistono invece differenze di struttura e funzione che sono state messe in evidenza utilizzando non solo dati anatomici post-mortem ma anche dati funzionali in vivo mediante la risonanza magnetica funzionale. Le diversità consistono nel numero e nella densità delle cellule nervose (neuroni) in certe regioni della corteccia cerebrale, con un 10% in più nei maschi, a parità di spessore. Ciò si traduce in un aumento numerico di neuroni nei maschi ma anche in un aumento di connessioni nelle femmine. Cosa è più importante? Il numero delle cellule o la quantità dei contatti tra queste? D'altra parte il cervello femminile possiede invece una più alta densità neuronale nella corteccia del lobo temporale posteriore, che è una zona importante per le associazioni uditive legate alla funzione del linguaggio. Queste differenze strutturali si possono tradurre in differenze funzionali. Un esempio può essere l'abilità di identificare oggetti nello spazio, differenti strategie nell'accedere a memorie autobiografiche e nel prendere decisioni che destino emozioni spiacevoli. Esistono perfino risposte diverse all'effetto della nicotina che spiegherebbero come uomini e donne fumino in un modo diverso e abbiano motivazioni diverse verso il fumo. Quando entriamo nel campo cognitivo e dell'intelligenza si affacciano diverse ipotesi la cui interpretazione può avere serie ripercussioni di ordine sociale e perfino economico. Secondo alcuni dati il numero di uomini che raggiunge i livelli più alti nei test cognitivi sarebbe maggiore di quello delle donne, con eccezioni nel campo della memoria associativa. Altri studi mettono in evidenza come le femmine dimostrino superiorità in certi tipi di memoria a lungo termine, abilità manuali più fini e velocità maggiore in alcune percezioni. I maschi sarebbero più abili invece in test che richiedono la trasformazione in memorie visuospaziali, nel ragionamento cosiddetto fluido e nella matematica pura (vedi l’affermazione di Summers). D'altro canto, disturbi cognitivi gravi come il ritardo mentale, disturbi dell'attenzione, dislessia, balbuzie e ritardo della parola sono più comuni nei maschi che nelle femmine. Questi dati comportano implicazioni anche pratiche per quanto riguarda applicazioni nel campo dell'appredimento e dell'insegnamento. Non ci sarebbe invece alcuna differenza legata al sesso nel declino delle funzioni cognitive associate all'età mentre la questione della maggiore incidenza della Malattia di Alzheimer nelle donne è ancora controversa. Tutto sommato, gli studi più recenti stanno producendo un profilo neuropsicolopgico diverso sempre più netto tra uomini donne. Ma poiché di fatto non siamo ancora giunti a una vera "pari opportunità” nella carriera scientifica, è difficile valutare come tali differenze possano interferire e incidere sulla produzione e sul successo della carriera scientifica. Forse si potrebbe parafrasare per la ricerca quanto si è detto per la politica nei paesi scandinavi circa l'ingresso delle donne (oltre metà dei parlamentari svedesi): "i due fattori più importanti che hanno dterminato l'affermarsi del ruolo della donna nella democrazia scandinava sono stati da una parte l'aumento notevole del numero degli asili nido e dall'altra l'aumento del numero di uomini che lavano i piatti e che cambiano i pannolini". Forse un giorno vedremo se ciò è vero anche per la ricerca scientifica. Ezio Giacobini __________________________________________ Repubblica 7 mag. ’05 STORACE: PREZZO LIBERO PER I FARMACI Il piano del ministro della Salute per abbattere la spesa "Le farmacie stabiliranno gli sconti in regime di concorrenza" "Tetto massimo per la fascia C" In vari paesi europei accade già. Si cerca "soluzione condivisa" di MARIO REGGIO Il ministro Storace ROMA - "Liberalizzare il prezzo dei farmaci di fascia C. Fissare un prezzo massimo e poi lasciare alle farmacie di stabilire quanto costa il farmaco, giocando sugli sconti che vengono praticati dalle aziende produttrici. E' ora di rivoluzionare il settore, lasciare che sia la concorrenza a regolare il mercato. Con un grande vantaggio per i cittadini che tirano fuori dalle loro tasche cinque miliardi di euro l'anno". E' il primo affondo del ministro della Salute, Francesco Storace, fresco di nomina. E l'ex governatore del Lazio ha scelto di annunciare il suo progetto alla platea della convention di Destra Sociale, che si teneva ieri al Residence Ripetta. Oggi il mercato farmaceutico è diviso in due settori ben distinti. I prodotti di fascia A, pagati per intero dal Servizio sanitario nazionale, hanno un prezzo negoziato e quindi fisso, uguale da Aosta alla Sicilia. Quelli di fascia C sono invece a carico del cittadino ed il prezzo di ogni prodotto è fisso, ma viene stabilito dalle aziende. E proprio sui prezzi di fascia C le aziende hanno caricato i profitti perduti, con il calo imposto sui farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale. Nel 2003, a fronte di una diminuzione del 7 per cento dei prezzi in fascia A, in soli tre mesi gli aumenti dei prodotti in fascia C sono cresciuti del 47 per cento. Qual è la novità allo studio del ministero della Salute? Con un provvedimento dovrebbe fissare un costo massimo per ogni prodotto. Saranno poi i farmacisti, ai quali le aziende o i grossisti praticano una percentuale variabile di sconto, a rinunciare ad una parte dei profitti a vantaggio del paziente. Come reagiranno i diciottomila titolari delle farmacie italiane? "Per il momento è un'ipotesi allo studio degli uffici del ministero - continua Francesco Storace - il passo successivo sarà quello di aprire un confronto con le aziende farmaceutiche, i farmacisti ed i medici per trovare una soluzione condivisa. Sono cosciente che una rivoluzione di questo tipo potrà produrre dei contraccolpi perché tocca abitudini consolidate. Ma potremmo pensare anche a delle misure compensative per le categorie coinvolte nell'operazione. D'altro canto, secondo le previsioni, nel 2005 la spesa farmaceutica dovrebbe scendere sotto il tetto del 13 per cento, lasciando così margini di manovra". Un meccanismo simile a quello ipotizzato dal ministro della Salute è già operante in molti Paesi europei, con la differenza che là i prodotti a prezzo libero si possono comprare anche al supermercato. Una svolta da sempre osteggiata in Italia dalla Federazione dei titolari di farmacia. Ma il confronto-scontro non si limiterà a Federfarma. Nei giorni scorsi, il presidente di Farmindustria, Federico Nazzari, fiutando l'aria, aveva affrontato un'ipotesi di intervento sui farmaci di fascia C. "Occorre trovare una soluzione condivisa. Il costo dei farmaci in fascia C è una questione che si ripropone periodicamente, spesso e volentieri si trasforma in polemiche - commentava Nazzari - Si tratta di un'area di modeste dimensioni dove i prezzi sono liberi e dove dobbiamo valutare se esistono modalità per regolare alcuni fenomeni che possono apparire eccessivi. Ma ci sono da rispettare le regole della libera concorrenza di mercato". La partita è aperta e il risultato finale incerto. Ma già il neo-ministro della Salute annuncia la sua prossima mossa: "Voglio capire quant'è il costo che viene praticato alle farmacie ospedaliere dalle aziende. Sa, sono una persona molto curiosa". __________________________________________ Le Scienze 6 mag. ’05 AGOPUNTURA: EFFICACE O NO? La terapia può avere un effetto misurabile sul cervello Alcune ricerche contraddittorie gettano dubbi sull'agopuntura, la tecnica di origine cinese molto diffusa per prevenire gli attacchi di emicrania nonostante la sua efficacia non sia ancora stata completamente stabilita. Secondo uno studio pubblicato sul numero del 4 maggio della rivista "Journal of the American Medical Association", i pazienti sottoposti ad agopuntura non ricevono benefici superiori di quelli sottoposti a una "finta" terapia. Klaus Linde dell'Università Tecnica di Monaco di Baviera e colleghi hanno valutato se l'agopuntura riducesse la frequenza dei mal di testa in modo più efficace di una terapia simile ma fasulla (aghi piazzati in punti non corretti) o di un placebo (assenza di terapia). Lo studio ha coinvolto 302 pazienti, in gran parte donne, con un'età media di 43 anni. "i nostri risultati - commentano gli autori - mostrano che l'agopuntura risulta associata con una riduzione dei mal di testa da emicrania paragonabile all'assenza di trattamento. Gli effetti, tuttavia, sono simili a quelli osservati con una terapia di agopuntura fasulla, e potrebbero dipendere da effetti fisiologici non specifici dovuti alle punture, da un potente effetto placebo, o da una combinazione di entrambi i fattori". Un altro studio di ricercatori inglesi, tuttavia, ha determinato che l'agopuntura ha un effetto misurabile, per quanto misterioso, sull'attività del cervello. George Lewith dell'Università di Southampton e colleghi hanno usato tecniche di brain imaging per dimostrare che un trattamento di agopuntura corretto attiva aree cerebrali diverse da quelle che si attivano quando vengono usati aghi nei punti sbagliati. "Abbiamo a che fare senza dubbio con un effetto diverso dal placebo", commenta Lewith, i cui risultati su 14 pazienti con dolori artritici alle dita sono stati presentati sulla rivista "NeuroImage". __________________________________________ Le Scienze 6 mag. ’05 IL VIAGGIO DEI LINFOCITI Le cellule T e le cellule B maturano in differenti organi del corpo Il sistema immunitario produce costantemente nuove cellule che proteggono l'organismo dall'invasione di microbi patogeni. I linfociti della risposta immunitaria adattativa (le cellule T e le cellule B) sono fondamentali per la capacità del sistema immunitario di combattere le malattie, ma devono interagire fra loro per organizzare l'efficace risposta degli anticorpi. Finora, però, non c'era stato modo di osservare i processi di migrazione diretta che guidano i linfociti nella zona dove possono interagire. In uno studio pubblicato sulla rivista "PLoS Biology", alcuni ricercatori dell'Università della California di San Francisco e dell'Università della California di Irvine hanno usato la sofisticata tecnologia della microscopia a due fotoni per ispezionare visivamente linfonodi estratti da topi e studiare l'incontro fra i linfociti. Dopo essere maturati in differenti organi del corpo, le cellule T e B viaggiano verso regioni distinte della milza e in linfonodi - le cellule B si ammassano in follicoli, le cellule T in zone T - in cerca di antigeni estranei. Quando incontrano gli antigeni, i linfociti B e T migrano ai margini delle rispettive zone e si confrontano. Takaharu Okada, Jason Cyster, Mark Miller e Mike Calahan hanno scoperto che questa interazione coinvolge una combinazione di comportamenti diretti e casuali. Le cellule B che hanno incontrato gli antigeni si muovono prima a caso lungo i margini del follicolo, e poi migrano direttamente verso il confine fra follicolo e zona T, spostandosi in linea retta. Per seguire la direzione verso la zona T, le cellule B hanno bisogno del ricettore della chemochina CCR7. Una volta raggiunta la zona T, le cellule B formano interazioni stabili solo con cellule T helper attivate che condividono l'antigene. Grazie a queste osservazioni, gli immunologi potranno ora studiare ulteriormente le dinamiche dei linfociti e le complesse interazioni alla base di un efficace attacco degli anticorpi. T. Okada, M.J. Miller, I. Parker, M.F. Krummel, M. Neighbors, et al., "Antigen- engaged B cells undergo chemotaxis toward the T zone and form motile conjugates with helper T cells". PLoS Biol 3(6): e150. DOI: 10.1371/journal.pbio.0030150 (2005).