SENATO UNANIME SUL RUOLO DELL'UNIVERSITÀ - MONTI: L' UNIVERSITÀ DI OGGI È TROPPO CORPORATIVA - UNIVERSITÀ PIÙ APERTE E COMPETITIVE - IL FUTURO DELL'ITALIA È NELLA RICERCA - UN PATTO PER LA CONOSCENZA - NON BASTA CHIEDERE, LE AZIENDE INVESTANO NELL' UNIVERSITÀ - L' UNIVERSITA' E LA RICERCA:RAPPORTI DIFFICILI CON LE AZIENDE - NANOTECNOLOGIE: DAL MIUR TRE BANDI DI 26 MILIONI - UNIVERSITÀ, SI ALLUNGA L'ELENCO DEI DOCUMENTI CON OBBLIGO DI BOLLO - POCO INGLESE E INFORMATICA, LE SUPERIORI BOCCIATE DALL'UNIVERSITÀ - ITALIA-SVIZZERA, INSUBRINET METTE IN RETE GLI ATENEI - ACCORDO REGIONE-ATENEI UNA COMMISSIONE PER L'UNIVERSITÀ DIFFUSA - MAZZINI E LE RADICI DEL SARDISMO - IL CERN SPERIMENTA INTERNET 2 - RADIOTELESCOPIO: SAN BASILIO SPERA NEL CIELO - ACCORDO REGIONE-ATENEI UNA COMMISSIONE PER L'UNIVERSITÀ DIFFUSA - ISTAT, PIÙ DIFFICILE PER I GIOVANI IL POSTO FISSO DOPO LA LAUREA - DOTTORI IN DUE ANNI? IL TAR DI DICE SÌ - MISTRETTA: STO A SINISTRA PRONTO PER IL QUINTO MANDATO - INGEGNERIA, GINESU PRESIDE - LABORATORI, NUOVE AULE E METRI CUBI - POSTI RIDOTTI PER DIVENTARE ODONTOIATRI. - L'UNIVERSITÀ DI SASSARI ASSUME 26 DOCENTI E RICERCATORI - UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: 1 PROFESSORE ORDINARIO A UROLOGIA - ======================================================= L'ORGOGLIO DI MEDICINA: «RICERCA ALL'AVANGUARDIA - ASSE MEDICINA-IMPRESE: ALT ALLA FUGA DI CERVELLI- GIOVANI MEDICI, LE DONNE DOPPIANO GLI UOMINI - LA GIUNTA SORU APPROVA LA BOZZA PIANO SANITARIO REGIONALE - LA GIUNTA DÀ L'OK AL PIANO. CAPELLI (UDC) - ASL 6. IL MANAGER: UN ATTACCO AD OROLOGERIA - OSPEDALI DECENTRATI, INNOVATIVI E "SICURI" - SANITÀ. POCHI PRIVILEGI PER I PAZIENTI CHE SCELGONO L'ASSISTENZA PRIVATISTICA - LE ALLERGIE COLPISCONO UN SARDO SU CINQUE: LE NOVITÀ NELLE TERAPIE - - ARRIVA LO STRESS DA ESAME - STAMINALI IN DIFESA DEL FEGATO - LA PROSSIMA SFIDA È LA METABOLOMICA - L'EMOGLOBINA FALCIFORME PROTEGGE DALLA MALARIA - IL BISFENOLO A FAVORISCE I TUMORI DEL SENO - ======================================================= ______________________________________________ Avvenire 2 giu. ’05 SENATO UNANIME SUL RUOLO DELL'UNIVERSITÀ Roma Un'Università con un insostituibile ruolo pubblico, piena autonomia e un sistema di valutazione in grado di garantire Pa qualità. Sono queste le conclusioni della lunga risoluzione, stilata dal relatore Fulvio Tessitore (Ds), che l'aula del Senato approvato ieri all'unanimità al termine di una sorta di indagine sul sistema universitario italiano svolta dalla commissione istruzione di Palazzo Madama. In dieci pagine il testo della risoluzione fa il punto su un lavoro durato un anno «sulla questione dell' Università italiana alle soglie dei Terzo millennio», a partire dal suo ruolo nel «costruire uno spazio europeo della conoscenza». ________________________________________________________ Corriere della Sera 2 giu. ’05 MONTI: L' UNIVERSITÀ DI OGGI È TROPPO CORPORATIVA La riforma passa per l' abolizione del valore legale del titolo di studio. Cominciamo da qui per superare la crisi strutturale del Paese » L' INTERVISTA MILANO - Un sistema che, senza mezzi termini, definisce « corporativo » . Una struttura che rischia di « procedere per inerzia conservatrice » . Un' esigenza non più rinviabile: « Cambiare » . Ma non a parole. Perché se non si comincia da lì, dalla scuola e dall' Università, l' Italia « si gioca l' unica carta che ha per superare una crisi strutturale e di prospettiva molto grave » . Quella carta, dice Mario Monti, è « l' investimento nel capitale umano » , è il « dare maggiore spazio ai giovani » di cui parla Carlo Azeglio Ciampi. E però il meccanismo non può funzionare, non al meglio, se anche nella « corporazione dei prof » non si introduce più concorrenza. E sbaglierebbe chi, a questo punto, liquidasse come una semplice provocazione la conseguente proposta dell' ex Commissario Ue ( alla concorrenza, appunto): « Senza pensare di abolire oggi il valore legale del titolo di studio, sarebbe interessante esaminare l' ipotesi e fare magari qualche simulazione » . La sfida però è più alta: « Il sistema universitario deve diventare protagonista del rilancio del Paese » , determinante per battere la crisi. L' Università Bocconi, della quale Monti è presiden te, a questo ruolo si sta attrezzando con un piano strategico ( approvato dal consiglio in maggio e che, in luglio, verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico finanziario). Criterio ispiratore: « Le nuove condizioni del Paese richiedono chiarezza di visione » . Sembra inutile chiederle, professor Monti, se c' è sintonia anche con quanto detto da Luca Cordero di Montezemolo all' assemblea di Confindustria: « La concorrenza è un mezzo per migliorare il Paese attraverso un processo meritocratico che deve cominciare dalla scuola » . Ma condivide anche la critica implicita, « il sistema oggi non è all' altezza » ? « Il rapporto tra cultura e sviluppo economico esige ovunque un ripensamento. Ma ancor più lo richiede in Paesi come l' Italia o la Francia in cui, accanto a una grandissima tradizione culturale, un ruolo da sempre centrale nell' orientare l' istruzione, la ricerca e più in generale l' economia, lo hanno lo Stato e le corporazioni. Con il risultato che, a differenza dei Paesi anglosassoni, nel determinare le politiche economiche è stato di solito preponderante il peso delle forze produttive organizzate, imprenditoriali e sindacali, ma quasi del tutto assente quello dei cittadini consumatori. Con conseguenze negative sulla competitività: le pressioni prevalenti non sono quelle del mercato » . Idem per le università? « È una constatazione: è molto intenso sia il tasso di " presenza statale", sia la " voce" delle organizzazioni dei produttori. Ossia i professori. Mentre non è abbastanza grande l' attenzione ai " consumatori": studenti e futuri datori di lavoro » . È per questo che parla di rischio di « procedere per inerzia conservatrice » ? « Promuovere il cambiamento è fondamentale, e qui l' impegno del ministro Moratti è forte. Però rimane molto da fare » . Per esempio? « Una riflessione sul valore legale delle lauree sarebbe uti le. Come sulle regole di governance delle università. Ma è fondamentale anche riempire di contenuti affermazioni vere e tuttavia ancora vuote, come " società della conoscenza" e " investimento sul capitale umano". Il potere della conoscenza come forza trainante dello sviluppo economico è un dato di fatto. Il cammino verso la " società della conoscenza" ha una particolare im portanza per un' università come la Bocconi e per il posto che in questo cammino occupano le discipline dell' economia, del management, del diritto. Discipline che mostrano una rinnovata vitalità come criteri di interpretazione dei fatti sociali e come base degli strumenti operativi per governarli » . E il capitale umano? « Investire vuol dire prima di tutto dare regole chiare e trasparenti, e penso per esempio alla riforma degli ordini professionali o all' accesso alla carriera accademica. Regole che siano funzionali alla selezione dei migliori e quindi anche alla mobilità sociale, valide non solo sul mercato italiano ma su quello europeo e mondiale. Mi lasci usare un termine da ex Commissario alla concorrenza. Oggi il " mercato rilevante" è l' Europa, non più l' Italia. E se la Bocconi ha sempre avuto un ruolo di cerniera con l' Europa, da oggi questo ruolo è ancora più importante. I " no" alla Costituzione Ue devono servire a una doverosa riflessione sulle carenze dell' Europa, ma non da alibi ai meravigliosi conservatorismi di alcuni Paesi » . Italia in prima fila? « Forse in posizione di spicco » . Si dice: serve un salto di qualità nella classe dirigente. La Bocconi è da sempre un punto di riferimento: ma non ha, a sua volta, mancato la missione? « Credo proprio di no. Una delle mie maggiori soddisfazioni, nei dieci anni Ue, è stato incontrare imprenditori ed esponenti di governi di tutto il mondo che dicevano: " Il suo ateneo ha prodotto alcuni dei nostri migliori dirigenti". È chiaro però che l' università italiana, per essere una delle forze trainanti del Paese, deve essere in grado di anticiparne i bisogni in termini di formazione di una nuova figura di cittadino e operatore europeo. Il piano strategico per lo sviluppo decennale della Bocconi, al quale ha lavorato con impegno e generosità l' intero corpo docente sotto la guida del rettore Angelo Provasoli e con l' impulso del vicepresidente Luigi Guatri, risponde a quest' esigenza » . « Occorre chiarezza di visione sul futuro » , scrive il vostro consiglio. Ma come si traduce in pratica, e in programmi, la « lettura » dei prossimi anni? « La riforma nazionale del sistema ha lasciato spazi di dubbio, dunque occorre intanto restituire certezze a studenti e mercato del lavoro. Il che accadrà con la ristrutturazione dei corsi esistenti e la messa a punto di nuovi prodotti formativi, con programmi che assicurino flessibilità, multidisciplinarità e internazionalizzazione, con una maggiore selezione ma anche una rinnovata attenzione al modello didattico. L' ambizione non è solo di istruire, ma anche di formare cittadini capaci di innestare nella società civile quelle " nuove energie" di cui ha parlato il Presidente Ciampi. E in questo impegno la Bocconi considera essenziale custodire gelosamente la propria totale indipendenza dal potere politico ed economico. Se l' Italia non è rispettata come dovrebbe e non è competitiva come potrebbe, lo si deve anche a commistioni improprie tra politica, economia e istituzioni » . RILANCIO La scelta della Bocconi Nel maggio scorso l' Università Bocconi, di cui l' ex commissario Ue Mario Monti è presidente, ha approvato un piano per il rilancio dell' ateneo milanese, che in luglio verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico finanziario IL PIANO Più docenti e corsi Il piano prevede la riduzione degli studenti dagli attuali 14.500 a 12 mila ( 8 mila sui trienni e 4 mila sui bienni); un aumento del 35% dei docenti ( con il 15% in più di stranieri); un incremento del 40% dei corsi in inglese e un' organizzazione didattica con l' 80% delle ore coperte da docenti interni e il 20% da esterni Ci vogliono regole chiare e trasparenti nella riforma degli ordini professionali e nell' accesso alla carriera accademica Sono d' accordo con il presidente della Repubblica: dobbiamo investire nel capitale umano dei giovani, il rilancio passa da lì Polato Raffaella ______________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’05 UNIVERSITÀ PIÙ APERTE E COMPETITIVE DI GIANPAOLO ROSSINI Università più aperte. 1 più lo sottoscriverebbero, dentro e fuori l'accademia. Ma è uno slogan che si presta a interpretazioni multiple. Proviamo allora a declinarlo limitandoci a due fronti. Quello interno dell'amministrazione. E quello dei rapporti con il resto del mondo. Le università sono in parte autogestite da una rete di organi decisionali e legislativi, cui si accede per lo più con il voto. Le elezioni sono certo ingrediente base della democrazia. Se però vi si ricorre in misura eccessiva ne patiscono sia la partecipazione (turnout) sia l'efficienza dei meccanismi di governo. In più le consultazioni elettorali costano, non solo in politica, e possono essere affette da conflitti di interesse, accentuati quando l'elettorato passivo è costituito da interni (insiders). Oggi un docente vota per almeno dieci organismi, con diverse cadenze. Rettore (ogni 4 anni), Consiglio amministrazione (3), rappresentante nel Senato accademico (4), preside di Facoltà (3), presidente del (dei) Consiglio(i) di laurea (3), direttore dipartimento (3), Cun - Consiglio Universitario Nazionale - (4), commissioni Fondi ricerca (1), commissioni concorsi (4-6 mesi). Se non basta, in questi organismi si svolgono ulteriori elezioni soprattutto per costituire commissioni. Non sarebbe male ridurre la serie di competizioni elettorali perché distolgono energie da ricerca e didattica e irrigidiscono la gestione. Basterebbero alcuni appuntamenti chiave come l'elezione del Rettore e si potrebbe introdurre in altri casi l'estrazione a sorte da liste di docenti e dipendenti disponibili al governo della loro istituzione. I vantaggi? Opportunità per tutti di assumere responsabilità di governo. Un ricambio continuo con rappresentanti meno rigidi in quanto privi di mandato politico dell'elettorato. Minori risorse dedicate alle competizioni elettorali. Se poi in taluni casi si vuole mantenere un meccanismo selettivo, si può abbinare voto ed estrazione. Ad esempio, si eleggono rappresentanti in misura 7 volte superiore a quella necessaria e tra gli eletti si estrae chi dovrà ricoprire la carica. Oppure, con una sequenza inversa, prima si estrae e poi si elegge. Veniamo al secondo punto. Apertura verso l'esterno. II basso numero di studenti stranieri nelle nostre università è sempre meno sostenibile. Perché la competitività di un Paese avanzato si misura sempre più su quella dei suoi servizi, istruzione in primis. In più una presenza di studenti stranieri costringe a modernizzare e a "deburocratizzare". Su questo fronte si può e si deve fare molto. Ad esempio con corsi di laurea (specialistica, il +2) in inglese e con incentivi adeguati, per cui un corso con una quota di studenti stranieri superiore al 10% ha diritto a vedere i propri docenti premiati con un extra. Eppoi promuovendo, attraverso la rete delle rappresentanze diplomatiche, il nostro sistema educativo, che necessita di miglioramenti, ma che presenta molte situazioni di eccellenza, spesso apprezzate più dall'estero che da chi opera nel Bel Paese. Più di grandi riforme possono servire tanti piccoli passi. La competitività a volte si annida semplicemente in aree un po' trascurate delle nostre università. ______________________________________________ Il Sole24Ore 2 giu. ’05 IL FUTURO DELL'ITALIA È NELLA RICERCA II Paese non può far leva né su un basso costo del lavoro né su un'alta intensità di innovazione: per contare netta competizione globale bisogna investire Con questo articolo prosegue la collaborazione tra @lfa-Il sole 24 Ore e l'edizione italiana della rivista scientifica «Lancet». Pubblichiamo qui l'editoriale che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista. di Pier Mannuccio Mannucci* Il problema della ricerca scientifica in Italia, è innanzitutto il fatto che i ricercatori italiani sono pochissimi. Secondo Formai famoso articolo pubblicato su «Nature» dall'Inglese David King, in Italia vi sono meno di tre ricercatori per mille lavoratori attivi, mentre in Giappone ve ne sono nove, otto in Usa e sei nella media dell'Unione europea. Ed è sicuro che questi numeri già risibili sono anche più alti del reale, perché vi è incluso parte del personale dell'università, anche quello che la ricerca non la fa. Si potrebbe dire che il numero non conta, che magari i ricercatori italiani sono pochi, pochissimi ma bravi, bravissimi. Ciò corrisponde in parte a verità perché se si misura il valore dei ricercatori di un Paese dal numero delle citazioni che i loro lavori scientifici ricevono da altri lavori scientifici, le citazioni delle pubblicazioni dei ricercatori italiani, se normalizzate per il numero dei ricercatori stessi, si collocano al settimo posto di una graduatoria internazionale, in una posizione migliore anche di quella del Paese che viene in genere considerato lo standard d'oro della ricerca (gli Usa) o di altri Paesi di grande tradizione. In alcuni campi, come l'astrofisica, l'Italia è addirittura al quinto posto (secondo Thomson-Isi). Massa critica. Tutto bene, quindi? Tutto malissimo. La ricerca del terzo millennio non è e non può essere la ricerca di Copernico, Galileo o dell'Abate Mendel, che da soli o soli con il loro genio svelavano nuovi mondi. Oggi la ricerca è dimensione, è massa critica e la massa critica dipende anche dal numero di ricercatori. Le grandi scoperte non vengono dalla bottega dell'alchimista, ma dai grandi istituti, in cui i ricercatori condividono grandi apparecchiature e, soprattutto, quei contatti giornalieri e quello scambio di informazioni da cui nasce il progresso della scienza. In Italia, solo l'Istituto Mario Negri assomiglia come dimensioni e qualità di produzione scientifica a grandi strutture straniere con l’Institut Pasteur, il Max Planck, il Karolinska, lo Sloan-Kettering o le grandi università americane come Harvard, Palo Alto, Columbia e Georgetown. Il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è una corazzata per dimensioni (dà lavoro a 8.082 persone, di cui solo 4.085 sono ricercatori con un età media superiore ai 50 anni, e ben 1.120 sono amministrativi), ma ne conosciamo tutti i problemi di reale produttività scientifica (nonostante il breve e felice periodo della gestione Di Maio). Basta dire che dei 51 scienziati italiani elencati fra i più citati da Thomson Isi (http://'tsihighlycited.com), solo due vengono dal Cnr. Nel campo della ricerca biomedica, che è quello che conosco di più, vi sono a Milano nuove iniziative promettenti come qualità e dimensione come l’Ifom o il Dibit, e il nuovo Istituto nazionale di genetica molecolare della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena. Queste isole di potenziale eccellenza non hanno però ancora raggiunto, a mio avviso, la massa critica necessaria per pesare veramente sulla scena internazionale. Un ricercatore non può che vedere positivamente l'operazione di creare l'Istituto italiano di tecnologia (Iit), che rappresenta comunque una novità positiva. Ma cosa sta succedendo all'Iit? Sta andando avanti o è in stallo dopo l'uscita di Tremonti dal Governo? L'università. Quali sono i motivi per 1a desolante e purtroppo gravemente nociva parcellazione della ricerca scientifica in Italia? Non vi è dubbio che pesi negativamente il sistema universitario del Paese, dal momento che è pur sempre l'Università la sede dove si creano inizialmente le vocazioni alla ricerca. Della ricerca universitaria, buona o cattiva che sia (dei 51 scienziati italiani "highly cited", 33 vengono pur sempre dall'università) manca totalmente un coordinamento nazionale, sulla base del concetto vieto e demagogico della tutela della libertà e indipendenza del ricercatore. Si sta cercando di modificare il finanziamento ordinario delle università utilizzando la produzione scientifica come uno dei parametri (30%) utilizzati per l'assegnazione dei fondi, attraverso la creazione di u Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr), che comprende anche alcuni ricercatori stranieri e alcuni noti ricercatori italiani che lavorano all'estero. Chissà che finalmente questo comitato non possa esprimere giudizi seri e non parrocchiali sulla ricerca nell'università italiana. Gli altri istituti. Oltre all'università al Cnr, dovrebbe fare ricerca l'Enea, attualmente dilaniata dai contrasti fra il presidente Carlo Rubbia e gli altri componenti del consiglio di amministrazione. È commissionata e sostanzialmente inattiva l'Agenzia spaziale italiana. Promuove ricerca il ministero della Salute, attraverso i fondi elargiti agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, cui peraltro possono accedere anche le Regioni e altri ricercatori tutti che questi numerosi (anche se poveri) rivoli vanno coordinati, per razionalizzarli e impedirne la dispersione. Le soluzioni. Quale soluzione? Fare come il Presidente Chirac. Che all'inizio del 2005 ha stipulato un nuovo contratto di fiducia tra la Francia e i suoi ricercatori. Che ha creato l’Agence nationale pour la recherche, finanziata solidamente e con il compito di coordinare le ricerche della Francia: quelle delle imprese come pure quelle dell'Università e dei laboratori, di ricerca, sia pubblici sia privati. Entro il 2010 la Francia arriverà a destinare alla ricerca il 3% del Pil, a livello degli obiettivi della Conferenza di Lisbona. L'Agence pour la recherche ha non solo il compito di attirare più studenti verso le facoltà scientifiche (di cui l'Italia avrebbe bisogno come il pane) ma anche e soprattutto di sviluppare un sistema di regole e incentivi per selezionare capacità e talenti. Perché tutto questo non avviene in Italia. In generale, la qualità della ricerca che fanno in Italia i pochi ricercatori italiani è abbastanza buona, a livello dei singoli c'è competenza e propositività. Ma manca un sistema-ricerca, non c'è domanda di ricerca, perché non ne è stata stabilita la priorità. La ricerca scientifica deve essere una priorità assoluta del Paese. Ricerca vuol dire indipendenza, l'Italia che non fa ricerca non può che esser dipendente da pressioni internazionali di ogni tipo. L'Italia è al momento un Paese confuso e abulico, schiacciato sul presente, sfiduciato e senza un progetto per il futuro. L'Italia non rientra purtroppo né fra i Paesi ad alta intensità di tecnologia innovativa né fra quelli ad alta intensità di lavoro a buon mercato. Solo la ricerca è quindi la risorsa su cui si può contare per ritornare a contare nella competizione globale. Un Paese che non finanzia adeguatamente la ricerca è destinato al declino, ed è ciò che sta accadendo ora in Italia, Questo è il grido di dolore che viene dal mondo della ricerca scientifica. Chi risponde a questo grido di dolore? Da qualche tempo, sotto la nuova leadership di Luca di Montezemolo, sembra rispondere la Confindustria: che organizza ogni anno un convegno sulla ricerca, che e emana insieme alla Conferenza dei rettori delle università italiane un documento congiunto sulla ricerca, e che chiede insistentemente al governo incentivi fiscali per le imprese che fanno ricerca. Non bisogna però dimenticare che se la percentuale del Pil dedicata alla ricerca in Italia è una delle più basse dell'Europa (1,07%), ciò è dovuto anche per la quota irrisoria del finanziamento della ricerca che proviene dai privati (e quindi soprattutto dalle imprese produttive). La recente riforma fiscale collegata alla legge Finanziaria 2005 esonera le imprese dal pagamento dell'Irap, finalizzando i risparmi alla capacità di innovazione e sviluppo tecnologico. Speriamo in bene: anche se è grave che siano stati esclusi da tale esonero gli enti di ricerca pubblici e privati e l'università. Il Gruppo 2003. Ma la vera novità, che sta cercando di dare qualche scossone alla morta gora del mondo della ricerca in Italia, viene dal Gruppo 2003. Trattasi di un gruppo di scienziati provenienti da varie discipline (vi sono fisici, clinici, matematici, ingegneri, astrofisici, farmacologi, biologi, medici e altri), che appaiono nell'elenco degli scienziati più citati nel mondo elaborato su dati obbiettivi da Thomson-institute for scientific information di Filadelfia. Quindi, un gruppo non autoreferenziale, che ha avuto a livello internazionale un'investitura di qualità. Nel 2003 questi scienziati si sono riuniti e hanno fondato il Gruppo chiamato appunto 2003 e hanno prodotto un manifesto (www.laricercainitalia-gruppo2003.org), al quale hanno successivamente aderito centinaia di altri scienziati. Non voglio dilungarmi sul contenuto del manifesto, che vi invito a leggere, e a cui vi invito ad aderire elettronicamente. In esso sono ribaditi i criteri di esclusiva meritocrazia che si devono seguire per il reclutamento e la valutazione delle ricerche e dei ricercatori; è richiesta l'abolizione dei concorsi universitari, e di pari passo l'abolizione del valore legale del titolo di studio; sono proposti l'opzione dell'8 per mille dell'Irpef dedicato alla ricerca, la defiscalizzazione delle donazioni e contributi per la e Soluzioni Fra le proposte la possibilità di devolvere I'8 per mille del('Irpef alla R&S o Il CONFRONTO Paese 1993-1997 1997-/_ Totale nel Totaleoe mondo Usa 1.248.733 37,46 1.265.808 Eu a15 1.180.730 35,42 1.347.985 Regno Unito 309.683 9,29 342.535 Germania 268.393 8,05 318,286 Giappone 289.751 8,69 336.858 Franda 203.814 6,11 232,058 Canada 168.331 5,05 166.216 Italia 122.398 3,67 147.023 Pubblicazioni ______________________________________________ Il Sole24Ore 2 giu. ’05 UN PATTO PER LA CONOSCENZA DI PIER LUIGI SACCO La drammatica congiuntura economica, emersa negli ultimi giorni, fa purtroppo giustizia di tutte quelle voci che liquidavano sprezzantemente le allarmate analisi prodotte negli scorsi mesi da molte diverse fonti circa il tracollo della capacità competitiva del nostro sistema Paese. Di fronte a questa emergenza occorre naturalmente ragionare su interventi immediati di rilancio, ma anche, e a maggior ragione, ricominciare a dare spazio alle strategie di lungo termine. Uno degli elementi che più hanno contribuito all'attuale stallo va ricércato nell'incapacità di abbandonare un modello di specializzazione produttiva obsoleto e per noi insostenibile, incarnato dalla piccola-media impresa distrettuale a basso tasso di innovazione e di capitale umano. Ma a questa diagnosi ormai pressoché unanime occorre dare seguito con qualcosa di più dei generici richiami a dare spazio all'innovazione, alla creatività, alla produzione di nuove idee. Occorre cioè capire quali sono stati i fattori che hanno finora precluso al nostro Paese la capacità di ricavarsi un ruolo di rilievo nel nuovo scenario dell'economia della conoscenza. È impossibile costruire una società orientata alla conoscenza senza un vero e proprio patto sociale che coinvolga e responsabilizzi tutti, senza esclusione. Per produrre innovazione e creatività occorre un ambiente sociale immersivo in cui tutto aiuta e stimola a pensare, a investire su sé stessi, a dare il meglio di sé. La sfida post-industriale è prima di tutto una sfida di sviluppo umano, e parla il linguaggio dei tassi elevati di compimento dei percorsi di formazione superiore, della lotta all'analfabetismo di ritorno, della diffusione delle lingue straniere, dell'alfabetizzazione informatica, dei livelli elevati dei consumi culturali di ogni tipo. A questo patto sociale tutti possono e devono contribuire. Qualche esempio? Le nostre scuole e le nostre università, che devono mettersi ed essere messe in condizione di reinventare percorsi di scoperta che motivino a pensare, e non trasformarsi in grottesche repliche degli istituti di recupero degli anni scolastici la cui unica finalità. è fare ottenere ai propri studenti-cienti un pezzo di carta dal valore puramente formale e che sancisce la totale strumentalità della formazione: ovvero la negazione più estrema dei principi che presiedono alla produzione di conoscenza. Ma anche le nostre città e i nostri territori, che devono capire una volta per tutte che il dare ai propri cittadini opportunità di crescita intellettuale e di comprensione attraverso politiche culturali intelligenti e coraggiose vale più di una sagra ed è oggi persino più importante del riparare le buche nelle strade. Il nostro Paese è pieno di giovani che, malgrado debbano confrontarsi quotidianamente con un contesto cinico e mortificante, perseguono con coraggio e ostinazione un progetto professionale che dia loro modo di mettere a frutto la loro intelligenza, la loro creatività, le loro competenze, anche a patto di rinunce a occupazioni più remunerative e a rischio di un eterno precariato che impedisce qualunque progetto che vada oltre la sopravvivenza quotidiana. Paesi a industrializzazione matura come il Giappone, ma anche Paesi un tempo poco dinamici che hanno saputo vedere lontano come l'Irlanda o la Finlandia, hanno percepito e colto queste opportunità con grande anticipo, dando vita a vere e proprie strategie di riorientamento culturale delle loro società e delle loro economie. Sapere fare altrettanto significa oggi per noi capire che non solo il nostro Paese deve ricominciare a pensare, ma che tutti possono e debbono dare il proprio contributo di partecipazione, coinvolgimento e sostegno. ________________________________________________________ Corriere della Sera 1 giu. ’05 NON BASTA CHIEDERE, LE AZIENDE INVESTANO NELL' UNIVERSITÀ» Ballio: si mettano a disposizione risorse, anche umane, per fare ricerca. Ornaghi: bisogna cooperare con il mercato UNIVERSITA' E MERCATO. L' ACCUSA L' accusa arriva con forza e all' improvviso, spezzando la scaletta del convegno. « Le università vengono usate come grandi supermercati della ricerca. Le aziende comprano e poi tornano solo quando hanno bisogno, con pochi investimenti a medio termine » . Silenzio in sala. È Giulio Ballio, rettore del Politecnico, a lanciare la provocazione durante l' incontro « Quando l' innovazione fa sviluppo » in programma ieri nell' ateneo di piazza Leonardo da Vinci. Nessun mezzo termine, nessun eufemismo per analizzare la situazione: « In Italia di innovazione se ne fa poca perché atenei e imprese non seguono progetti impegnativi insieme. Ma se le aziende vogliono veramente cambiare, devono lavorare con le università, mettendo a disposizione risorse, anche umane, che facciano ricerca » . Più collaborazione, progetti a lunga scadenza, investimenti. Sono richieste che non arrivano solo dal rettore del Politecnico, ma anche dai responsabili degli altri atenei milanesi. « Certo, quella di Ballio è una battuta forte - analizza Marcello Fontanesi, rettore dell' Università degli Studi Milano Bicocca - ma mette in luce una parte di verità: tutti i centri universitari vorrebbero avere rapporti continuativi con le aziende. Le colpe? Di tutti e nessuno. Perché da una parte l' università non ha dimostrato la volontà di fare massa critica - ogni testa è un gruppo - , dall' altra le aziende hanno trovato in questa rinuncia un alibi. Bisogna trovare, invece, un modo per collaborare. Altrimenti non si regge la competitività internazionale » . Di responsabilità parla anche Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica: « L' errore che Ballio denuncia viene da lontano: abbiamo tutti applicato il principio per cui le università devono seguire le aspettative del mercato. Ma gli atenei devono cooperare col mercato per capire come questo cambia » . Ornaghi elenca alcune eccezioni - « come il master Eni con la Cattolica » - e sottolinea la pre senza di interlocutori diversi dalle aziende: « Ci sono anche le fondazioni e la Camera di Commercio » . Secondo Enrico Decleva, rettore della Statale, « in questo periodo le imprese hanno poche risorse, fanno richieste modeste e non ci sono grandi progetti » . Ma Salvatore Vicari, prorettore ai " rapporti con l' ambiente economico" della Bocconi, precisa: « Il mondo produttivo considera le università per quello che possono fornire: laureati, ricerca, formazione. Giustamente. Ma è poco sensibile alla centralità degli atenei per lo sviluppo del Paese. E invece le università possono davvero aprire canali importanti per la crescita economica » . Vicari è ottimista: « Crediamo che sia possibile creare un rapporto più stretto con le aziende. Esiste un piano strategico della Bocconi contro la fu ga dei cervelli » . E sottolinea: « Il Paese deve puntare sulle università come risorsa. Altrimenti rischia di non raggiungere le frontiere più avanzate del sapere » . È pessimista, invece, il sociologo Gianpaolo Fabris, responsabile del corso di Scienze della comunicazione all' Università Vita Salute San Raffaele, in partenza dal prossimo anno accademico. « Il rapporto tra università e industria è ancora tutto da creare. Per ora è solo un " mordi e fuggi" » . Uno spiraglio: « Mi è sembrato di riscontrare da parte dei docenti e di Confindustria l' auspicio di una long lasting relationship » . E una considerazione: « Nel mondo accademico manca un mentalità laica: si ha sempre il timore che le aziende, per dirla all' inglese, vogliano mettere il burro sul pane. Non c' è la scelta di un partner con cui portare avanti progetti di ricerca a fronte di una scarsa consuetudine a confrontarsi con management delle imprese » . Fabris coclude: « L' industria, da parte sua, ha sempre considerato gli atenei come luogo di mere elaborazioni accademiche. Serve, invece, un progetto di sviluppo. In cui l' università sia davvero il motore dell' innovazione » . ATENEI A MILANO STATALE Un terzo degli iscritti negli atenei milanesi, 64 mila studenti, frequenta l' università degli Studi. Il rettore è Enrico Decleva CATTOLICA Diretta da Lorenzo Ornaghi, l' Università Cattolica del Sacro Cuore accoglie 26 mila studenti. Di questi, 500 sono stranieri IULM Gli studenti iscritti alla Libera Università di lingue e comunicazione sono 7 mila e 300. Il rettore dell' ateneo è Giovanni Puglisi SAN RAFFAELE Il rettore dell' Università Vita Salute è don Luigi Verzé. Gli studenti sono 1.100. Galli della Loggia è il nuovo preside di Filosofia CONSERVATORIO Con i suoi 1.500 studenti, il Conservatorio è il maggiore istituto di formazione musicale in Italia. Presidente è Francesco Micheli BOCCONI Gli studenti iscritti all' Università Bocconi sono 11.500: una sola facoltà, Economia, con 9 indirizzi. Il rettore è Angelo Provasoli POLITECNICO Sono 41 mila gli studenti iscritti a ingegneria, architettura e design del Politecnico. I docenti sono 1.152. Le sedi sono 7 BICOCCA Le iscrizioni all' Università di Milano Bicocca crescono del 9% l' anno. Oggi accoglie 27 mila studenti. Il rettore è Marcello Fontanesi ACCADEMIA Fernando De Filippi è il direttore dell' Accademia di Belle arti di Brera. Divisa in quattro corsi istituzionali, ospita oltre 3 mila iscritti TEOLOGIA L' arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, è il Gran Cancelliere della Facoltà Teologica dell' Italia Settentrionale Sacchi Annachiara ________________________________________________________ Corriere della Sera 3 giu. ’05 L' UNIVERSITA' E LA RICERCA:RAPPORTI DIFFICILI CON LE AZIENDE Se in Italia si fa poca ricerca è perché atenei e industria non lavorano insieme. Le aziende dovrebbero mettere a disposizione uomini e fondi » . È quello che pensano i rettori delle nostre università e lo hanno detto senza mezzi termini. Garbata, ma perentoria la risposta di Confindustria ( Gianfelice Rocca): « C' è qualcosa che non funziona nelle nostre università » , e di cose ne elenca tante, dal non saper competere, al non esserci criteri di merito. Chi ha ragione? L' argomento dei rettori è impeccabile, per rilanciare l' economia serve innovazione e per innovare bisogna mettersi insieme, fare « sistema » ( oggi si dice così). A Stanford e a Boston è così e a Kyoto e a Londra. È così in Germania dove si sta studiando un progetto che sappia premiare le università migliori. E a Milano? A Milano è diverso. Da noi i ricercatori sono pochi ( 2,7 su mille che lavorano, contro i 6,2 della Francia e i 5,6 della media europea). Da noi i ricercatori, quelli che sono al primo gradino, hanno in media 50 anni ( ma tutti sanno che le idee migliori, in ricerca, vengono a 30). Da noi c' è poca attenzione ai giovani ( che faticano, più che in qualunque altro Paese, a trovare un posto e se ci arrivano sono pagati poco). Da noi i docenti stranieri sono un' eccezione. La nostra università dedica invece energie e fondi a proteggere i suoi docenti che dopo un po' di anni guadagnano bene, anche se non pubblicano. Ad aumentare sedi e corsi, anche se non servono ( però sono cattedre). A dirla tutta, l' industria fa pochissimo per legarsi a questa Università, su questo i rettori hanno ragione. Ma vogliamo dargli torto? Dove l' università è forte l' industria ci mette i suoi laboratori di ricerca ( è il caso di Novartis, dal 2002 ha trasferito tutti i suoi laboratori di ricerca a Cambridge, vicino a Boston, anche se costa di più). Lo fanno per essere vicino agli scienziati migliori che certe volte sono italiani, quasi sempre bravi. ( A loro andare in America conviene, il sistema là premia i migliori). Per chi pubblica poco, è meglio stare in Italia, si guadagna lo stesso e la cattedra prima o poi arriva. Detto questo, l' industria privata in ricerca investe poco ( anche su questo i rettori hanno ragione), e quel poco non basta certo a fare sinergie con l' Accademia. Ma per essere credibili i rettori dovrebbero rifondarla questa nostra povera università e cambiare del tutto le regole. Come? Loro lo sanno benissimo: serve competere per docenti e programmi, serve eliminare i concorsi, togliere valore legale alla laurea, dare di più ai più bravi, far lavorare insieme i gruppi eccellenti e chiudere le sedi dove non c' è buona ricerca. Illudiamoci, per un attimo, che possa succedere. Allora sì che l' industria darà « uomini e soldi » alle università e se non lo farà quella italiana, lo faranno quelle di altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina. Ma non succederà ( quello che si è sentito in questi giorni a Milano non va mi pare nella direzione giusta). Remuzzi Giuseppe ______________________________________________ ItaliaOggi 2 giu. ’05 NANOTECNOLOGIE: DAL MIUR TRE BANDI DI 26 MILIONI DI OLGA BUSNELLO Sono in arrivo 26 milioni di euro per le nanotecnologie. II prossimo mese di luglio, infatti, è prevista la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del primo dei tre bandi del Miur per la ricerca scientifica e industriale nel campo delle nanotecnologie, promosso dal distretto Veneto per le nanotecnologie. L'iniziativa, coordinata dalla società Veneto Nanotech, che vede coinvolte università, parchi scientifici ma anche e principalmente operatori economici del comparto artigiano e industriale, conta su un finanziamento di 11 milioni di euro. Per i successivi bandi Miur è stato destinato un finanziamento globale di 15 milioni di euro suddivisi in 8 milioni per il secondo e 7 milioni per il terzo. I campi di applicazione del primo bando Miur sono, fra gli altri, i materiali per l'industria micromeccanica e biomedica, le nanostrutture per sensori chimici e biochimici, i nanofluidi per il trasporto del calore nei settori della refrigerazione e del condizionamento, la realizzazione di film nanostrutturati su matrice metallica, lo sviluppo di particolari meccanici con leghe di metallo amorfo o sinterizzazione di nanopolveri. I soggetti che possono partecipare al bando, che scadrà il prossimo settembre, sono le piccole o medie imprese, singole o associate. Anche le grandi aziende possono presentare dei progetti, basta che almeno il 15°Io delle attività sia affidato a una o più imprese di piccole o medie dimensioni. In base a quanto stabilito dall'accordo di programmazione negoziata con il Miur le attività progettuali previste dal bando devono essere interamente sviluppate nel territorio della regione Veneto, con la sola eccezione di un 10% della spesa totale, qualora non sia possibile per l'impresa proponente reperire nel territorio regionale le competenze necessarie alla riuscita dello stesso. Questa «quota extra-regionale» del 10% postula il diretto coinvolgimento di altri distretti. In questa prospettiva sono già iniziate alcune collaborazioni fra il distretto Veneto, quello della regione Piemonte (Ict wireless e wire-line technologies) e della Campania (materiali polimerici e compositi ). Ogni progetto non può superare i 5 milioni di euro e sarà finanziato fino a un massimo del 90% della spesa prevista, suddiviso in un 25% a fondo perduto e il 65% in conto interessi. Ai fini della scelta dei progetti sono stati individuati dei parametri che costituiscono titolo di valutazione preferenziale. Per esempio la valutazione d'impatto ambientale e sulla salute umana o il ricorso all'impiego di conoscenze multidisciplinari. La durata di ciascun progetto di ricerca è di tre anni, allo scadere dei quali, se i risultati saranno soddisfacenti, sarà possibile accedere a nuovi finanziamenti ministeriali ______________________________________________ Il Sole24Ore 2 giu. ’05 UNIVERSITÀ, SI ALLUNGA L'ELENCO DEI DOCUMENTI CON OBBLIGO DI BOLLO ROMA a Università e bollo: finalmente uri po' di chiarezza. L'agenzia delle Entrate ha diffuso ieri, con la circolare n. 29, l’elenco degli atti e dei documenti indirizzati o rilasciati dalle Università e soggetti all'imposta di bollo. II valore in questione è quello più diffuso, che da ieri è salito da 11 a 14,62 euro. La prima novità è rappresentata dalle domande di ammissione e iscrizione ai corsi di perfezionamento e ai master, sempre più presi d'assalto dai giovani laureati. Se sino a ieri sulla necessità o meno di corredare la domanda con la marca da bollo vigeva una certa confusione, che lasciava spazio ai comportamenti discrezionali dei vari istituti, ora l'Agenzia è intervenuta per dire che l'imposta va pagata, nella misura di 14,62 euro per foglio. Di nuovo c'è anche che sarà necessario presentare in bollo le domande di ricognizione della qualità di studente. Le Entrate le fanno infatti rientrare in quelle istanze, petizioni, ricorsi diretti agli uffici degli enti pubblici «tendenti ad ottenere (...) il rilascio di certificati, estratti, copie e simili», per cui l'imposta era dovuta già secondo l'articolo 3 della tariffa, parte I, annessa al Dpr 642 del 1972. Restano fuori dall'obbligo del pagamento del bollo le domande di partecipazione alle prove obbligatorie, anche non selettive, per l'iscrizione ai corsi di laurea, e le domande di restituzione del diploma di studi medi superiori in seguito alla decadenza dalla qualità di studente. Per le copie di atti, documenti e certificati, l'imposta di bollo sarà dovuta solo per le copie conformi. Invece, in caso di rilascio di copie senza dichiarazione di conformità, la tassa non andrà pagata. Dall'Agenzia arriva anche una precisazione sull'istanza di accesso ai documenti amministrativi, che non è soggetta al bollo non solo quando finalizzata all'esame degli atti, ma anche quando l'interessato chieda copia semplice dei documenti. VALENTINA MAGLIONE In carta libera solo i test di ammissione L'elenco dei documenti universitari per i quali è richiesta l'imposta di bollo e quelli per i quali non è richiesta IN BOLLO Domanda di laurea © Diploma di laurea © Diploma di abilitazione alla professione di dottore commercialista, di ragioniere e perito commerciale Duplicato dei diplomi di cui ai punti 2 e 3 © Certificato di iscrizione a corsi universitari Certificato di carriera scolastica - Certificato di laurea Certificato di riscatto Certificati sostitutivi dei diplomi di abilitazione alla professione di dottore commercialista, di ragioniere e perito commerciale - Domanda di immatricolazione e di iscrizione - domanda di ricognizione della qualità di studente - Domanda di congedo per altre università © Domanda di rinuncia agli studi Domanda di duplicato del libretto universitario © Domanda di ammissione ed iscrizione a corsi di perfezionamento (articolo 6, legge n. 341/1990) Domanda di ammissione ai corsi master (Dm n. 509/1999) IN CARTA LIBERA Domanda di partecipazione alle prove obbligatorie selettive e non selettive, per l'iscrizione a vari corsi di laurea - Domanda di restituzione del diploma di studi medi superiori a seguito di decadenza dalla qualità di studente. ________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Mag.05 POCO INGLESE E INFORMATICA, LE SUPERIORI BOCCIATE DALL'UNIVERSITÀ L'accusa: fretta eccessiva nell'affrontare certi temi e scarsa attenzione all'utilizzo dei concetti. Troppe materie ma approfondimento minimo. "La cultura da scritta è diventata audiovisiva" I docenti degli atenei: alle matricole manca capacità di ragionamento. "E non possiamo perdere tempo a insegnare l'uso di Excel e Power point" Formare la classe dirigente del futuro, garantire sbocchi lavorativi sicuri, trasformare i giovani in seri professionisti. Studenti e famiglie chiedono questo all'università: una serie di certezze che devono valere l'investimento (in tempo e denaro) fatto con tanti sacrifici. Un compito che sta diventando sempre più difficile, si lamentano i docenti universitari, per colpa della scarsa preparazione dei ragazzi. "Non hanno metodo, mancano di qualsiasi capacità di astrazione". Cosa chiedono, allora, gli atenei alla scuola? "Capacità di ragionamento, inglese, informatica". Sono queste le lacune delle matricole secondo Andrea Beltratti, prorettore della Bocconi. "In particolare - dice - inglese e informatica sono i grandi buchi neri della scuola. Noi non possiamo perdere tempo a insegnare l'uso di Excel e Power point. Sono cose che vanno imparate fin dalle elementari. Quanto alla capacità di ragionamento, noi professori universitari riscontriamo, alle superiori, una fretta eccessiva nell'affrontare certi temi e una scarsa attenzione all'utilizzo di certi concetti". Troppe materie, poco approfondimento. È l'accusa che i docenti universitari rivolgono ai colleghi delle superiori. "Le tecniche di insegnamento - commenta Marcello Fontanesi, rettore dell'università degli Studi Milano Bicocca - vanno più verso l'informazione senza costrutto: troppi contenuti che non formano lo scheletro necessario per affrontare certi studi". E i numeri parlano chiaro: "Se togliamo un 15 per cento che non ha problemi - continua Fontanesi - la fascia media ha difficoltà a esprimersi e a comprendere i testi. Ci sono poi quelli che non sanno organizzarsi e altri che sbagliano nello scegliere il percorso universitario". Colpa di una cultura che una volta era scritta e che negli ultimi sei anni è diventata "audiovisiva". L'analisi è di Giovanni Gobber, docente di Linguistica generale alla Cattolica e direttore della Siss (Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario): "A loro piace fare schemi, ma poi non li sanno sviluppare. Non riescono a elaborare un pensiero astratto, a categorizzare. Invece di tante materie servirebbero poche cose: soprattutto logica e matematica. Per organizzare il sapere e leggere la realtà". Di cultura visiva parla anche Marcello Pignanelli, preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Università degli Studi: "C'è un modo di ragionare legato ai nuovi mezzi di comunicazione che ha compromesso la capacità di riflettere. Ma l'analisi del fenomeno è difficile: può essere che alcune scuole abbiano funzionato peggio, che i genitori siano più lassisti. Il risultato è che per noi diventa molto difficile supplire a quello che non si è fatto prima. Potrebbe essere utile stabilire un maggior contatto con il mondo delle superiori e del lavoro". Secondo Giulio Ballio, rettore del Politecnico: "La scuola deve insegnare a studiare, a valutare, a collegare materie e argomenti". Fatto sta che "il sistema scolastico si è impoverito e oggi l'università fa supplenza dei contenuti della scuola", commenta Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm. "Il problema - continua - è che fin dai primi anni di formazione ci vuole una filosofia sistemica che purtroppo non c'è. Il sistema scolastico è in crisi paurosa". Ma. "Ma la colpa è anche del mondo accademico, visto che gli insegnanti di oggi sono i laureati di ieri. Allora l'università si rivaluti. E poi chieda alla scuola di fare la sua parte". Annachiara Sacchi ______________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’05 ITALIA-SVIZZERA, INSUBRINET METTE IN RETE GLI ATENEI COMO È entrato nella fase finale «InsubriNet», un progetto transfrontaliero, sostenuto dal programma europeo Interreg, che intende favorire la cooperazione fra le università, i centri di ricerca e le imprese del territorio della Regione insubrica attraverso la creazione di una rete ad alta velocità in fibra ottica e l'installazione d'infrastrutture di videoconferenza e insegnamento a distanza nelle varie sedi universitarie. AI progetto partecipano il Polo regionale di Como del Politecnico di Milano, l'Università degli Studi dell'Insubria di Varese e Como - coordinate dall'Associazione Univercomo -, l'Università della Svizzera italiana e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. L'installazione delle fibre ottiche è stata terminata in primavera e la realizzazione delle infrastrutture di videoconferenza è in fase di completamento. La presentazione dell'iniziativa, che prevede alcune dimostrazioni pratiche del funzionamento della nuova rete telematica transfrontaliera, avrà luogo martedi 7 giugno alle ore 11, in contemporanea Lugano, Como e Varese, alla presenza dei responsabili dei vari atenei coinvolti. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag.05 ACCORDO REGIONE-ATENEI UNA COMMISSIONE PER L'UNIVERSITÀ DIFFUSA È stata costituita dalla Giunta regionale la commissione per il monitoraggio delle sedi universitarie decentrate. In tempi stretti dovrà effettuare l'analisi e la valutazione del funzionamento, dei costi e dei risultati raggiunti, con il supporto dei nuclei di valutazione delle Università e della Regione. La commissione è presieduta dall'assessore regionale della Pubblica Istruzione, Elisabetta Pilia, e ne fanno parte i rettori delle Università di Cagliari (Pasquale Mistretta) e Sassari (Alessandro Maida) o persone da loro delegate. Oltre a loro, anche tre rappresentanti di ciascuno dei Senati accademici di Cagliari e Sassari, designati rispettivamente da ciascuno dei Senati; i rappresentanti degli organismi locali di ciascuna delle sedi universitarie decentrate; due rappresentanti degli studenti delle Università di Cagliari e Sassari, designati dagli studenti eletti nei rispettivi Senati accademici. La Commissione è stata istituita, come previsto dal Dpef 2005-2007, con l'obiettivo di migliorare l'offerta formativa universitaria su tutto il territorio regionale, attraverso un tavolo di confronto continuativo tra Regione, atenei di Cagliari e Sassari e Università diffusa. In questo modo, si punta a promuovere una programmazione comune che accresca la qualità della formazione universitaria nell'Isola. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Mag.05 MAZZINI E LE RADICI DEL SARDISMO Il rapporto tra il pensiero del padre del Risorgimento e i movimenti autonomistici dell'isola In comune ideali e interpretazione dei processi storici Allo stesso Lussu viene attribuita l'appartenenza politica giovanile alla sezione repubblicana di Cagliari Pubblichiamo uno stralcio della relazione ("Mazziniani e sardisti") letta da Aldo Borghesi, segretario della sezione sassarese dell'Istituto sardo per lo studio dell'Autonomia e della Resistenza, al convegno su Giuseppe Mazzini che si è tenuto venerdì e sabato a Cagliari per iniziativa dell'Università e dell'Istituto di storia del Risorgimento. Oggi può sembrare paradossale, ma la conoscenza diretta delle fonti porta a constatare che combattentismo e Partito Sardo d'Azione affondano profondamente e prioritariamente le proprie radici nell'eredità mazziniana: i movimenti sardista e repubblicano hanno in comune presupposti ideali e interpretazioni dei processi storici: i dirigenti dei Quattro Mori sono spesso politicamente cresciuti nella sinistra democratica, allo stesso Emilio Lussu qualche fonte attribuisce un'appartenenza politica giovanile alla sezione repubblicana di Cagliari. Sulla base di simili presupposti, i repubblicani salutano l'impetuoso sviluppo del movimento dei reduci come la grande occasione per creare finalmente nell'isola un Partito Repubblicano con una base di massa, attraverso l'adesione dei combattenti che portano scritto nel loro programma la "forma repubblicana dello Stato con Federazione amministrativa". In realtà i rapporti tra i due schieramenti conosceranno non pochi momenti di tensione. È vero che la principale rivendicazione sardista, l'autonomia, ricalca un tema tipicamente repubblicano, anche perché inserita dentro l'appartenenza della Sardegna alla compagine statale italiana; il rifiuto del separatismo è coerente con l'impostazione di tutta la sinistra di allora, che fonda la sua battaglia per la riscossa della Sardegna non sulla costruzione di una entità statuale distinta, bensì su un'integrazione quanto più ampia e profonda nello Stato-nazione italiano. Ma alla confluenza ostano non pochi fattori: anzitutto la dirigenza dei combattenti-Psd'Az, un gruppo giovane e convinto della propria legittimazione politica venuta dalla guerra, che non intende cedere il controllo del movimento, è fortemente critico nei confronti di tutti i "vecchi" partiti, non vuole vincolarsi a una dimensione nazionale scarsamente controllabile. La sua mente politica più lucida, Camillo Bellieni, cerca di dar vita a un partito dei combattenti, che del movimento repubblicano condividerebbe i presupposti ideali, ma sarebbe espressione del combattentismo e da esso controllato. Il patto di alleanza del 1921 fra i partiti sardo e molisano d'azione - che si dichiarano "avversari del repubblicanismo insurrezionale perché stantio bolscevismo borghese" e "persuasi di continuare l'opera dell'antico Partito d'Azione che si prefisse come principale obiettivo l'unità della patria [...] riprendono il nome fatidico e intitolano Partito Italiano d'Azione il movimento risultante dalla collaborazione di tutte le energie regionaliste delle diverse parti d' Italia" - non migliora i rapporti di concorrenza fra Pri e PsdAz. Ma la crescente pressione fascista li porterà ad accantonare le rivalità; dopo altre polemiche con la fusione sardo-fascista, all'opposizione stringeranno forti legami reciproci. Un'eredità mazziniana sussiste anche tra uomini e forze del radicalismo, che per lo più si sono allontanati dal repubblicanesimo ufficiale durante l'età giolittiana, accettando le istituzioni e l'inserimento legalitario nella lotta politica. Il richiamo a Mazzini da parte della "democrazia", non a caso uno degli obiettivi polemici di combattenti e repubblicani del PRI, viene oggi in genere liquidato come espediente elettorale per recuperare consenso popolare, agitando idee ormai accantonate nella prassi; e tale probabilmente è, se non rappresenta anche un modo per rinverdire le idee della giovinezza, almeno nelle forme meno compromettenti. Il cinquantenario mazziniano, nel marzo 1922, è anche su questo versante l'occasione per pubblicare scritti sul Maestro e partecipare a quelle cerimonie ufficiali che repubblicani e sardisti sdegnano, per non doversi confondere con gli odiati monarchici. Questo ambiente approda infine al fascismo e al collateralismo: nel 1923 all'Unione Mazziniana Nazionale aderiscono, a Sassari e provincia, personaggi legati al gruppo democratico-radicale, come Filippo Garavetti e il vecchio deputato ozierese Pais Serra. C'è anche una cooperativa, quella di Pozzomaggiore, costituita all'inizio del secolo dal socialista Giovanni Antioco Mura e passata ora al campo fascista, pare in seguito ad una spedizione punitiva organizzata dagli squadristi di Sassari. La cerimonia mazziniana del 10 marzo 1925 si tiene a Cagliari presso la redazione de "Il Solco", presenti uomini dei due partiti. Oratori due giovani repubblicani, Silvio Mastio e Cesare Pintus: l'uno scomodo corrispondente de "La Voce Repubblicana", l'altro capo delle Avanguardie Repubblicane, che ostentavano la camicia rossa e si definivano nel loro inno "gioventù ribelle / di fede mazziniana". Con la caduta del fascismo il mazzinianesimo rimarrà in Sardegna patrimonio di una minoranza tenace ma ristretta; è tuttavia significativo che il Lussu del secondo dopoguerra, nello storico discorso alla Costituente per il federalismo, pur constatando che "storicamente ha sempre ragione chi trionfa e non chi perde" e che, pertanto, nel processo di costruzione dello Stato italiano non era stato Mazzini ad aver avuto ragione, bensì Cavour, senta il bisogno di chiudere affermando: "Non pertanto siamo fra quelli che vorrebbero che avesse trionfato Mazzini; anzi Cattaneo". Aldo Borghesi ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Mag.05 RADIOTELESCOPIO: SAN BASILIO SPERA NEL CIELO Pronto tra due anni il più grande radiotelescopio d'Europa Parla Pino Cogodi appena rieletto alla guida del paese La grande parabola si eleverà per 64 metri Controllerà sonde spaziali e terremoti SAN BASILIO. La grande speranza è il radio-telescopio: la struttura scientifica più grande d'Europa, la terza nel mondo. Sorgerà nella zona di "Pranu Sànguni", la sua parabola si eleverà a un'altezza di 64 metri: capace di"leggere" le informazioni che vengono dalle onde radio, sarà pronta fra due anni e costerà quaranta milioni di euro (i denari vengono dallo Stato, la Regione interviene con un finanziamento di cinque milioni). Tra due mesi la ditta tedesca che ha vinto l'appalto inizierà a costruire l'antenna. Il radiotelescopio di San Basilio controllerà le sonde spaziali. Collegato con tutti gli altri radiotelescopi del pianeta, fornirà anche informazioni sui terremoti. Ma non emetterà radiazioni di alcun tipo: inquinamento, zero. La scelta non è stata casuale, ovviamente. "Il Cnr cercava un sito adatto, lontano dalle città e a basso indice di radiazioni". Avanza dunque l'economia del domani, per il sindaco di San Basilio Pino Cogodi, tornato alla guida del suo Comune d'origine dopo cinque anni. Cogodi è stato rieletto con una maggioranza di quelle schiaccianti, il 51,3 per cento (i voti delle due liste concorrenti, sommati, non raggiungono i 502 consensi ottenuti dal suo schieramento). Non si era mai verificato, a San Basilio. "La fiducia - dice il sindaco - la leggo anche come una richiesta di impegno maggiore: il paese ha bisogno di essere amministrato. E bene. Il risultato ci riempie di piacere e di orgoglio: vuol dire che ci si affida a un gruppo di persone dalle quali si attendono risultati tangibili, in un paese che ne ha bisogno come e forse più di altri". E allora partiamo dalla cronaca. -Sarà facile o no? "Si tratta di amministrare la comunità nella sua interezza: opere pubbliche, riordino urbanistico, creazione di posti di lavoro. Questo è il dato più evidente: quando non c'è lavoro, la gente scappa". -Siamo in un paese in calo o la popolazione residente è stabile? "San Basilio è rimasto stabile dal 1975, quando divenni sindaco per la prima volta, fino al 2000. Eravamo in 1512 e ci siamo stabilizzati sui 1500 per 25 anni. Gli altri paesi del Gerrei erano in calo, tranne Silius quando la miniera teneva bene. Ma negli ultimi cinque anni San Basilio registra 150 abitanti in meno". -In più, i dati sull'occupazione sono allarmanti. "Sì. In Sardegna il Gerrei, San Basilio compreso, ha il tasso di disoccupazione più alto: arriviamo al trentasei per cento. Naturalmente si tratta di un dato opinabile. Chi dice di più, chi di meno. Ma indicativamente la cifra è questa". -Prospettive? "Intanto la risorsa territorio. Saperla utilizzare significa collegarsi con i paesi vicini e pensare a percorsi di carattere culturale, naturalistico e archeologico. Quello emerso, a Pranu Mutedu di Goni, è il monumento più importante al mondo nel campo dei menhir e delle domus de janas. Inoltre abbiamo nuraghi, pozzi sacri, terme romane: una risorsa straordinaria. Ma averla e tenerla lì, inutilizzata come un cumulo di pietre, non serve. Bisogna metterla in produzione, in un circuito virtuoso che porti anche benefici economici". -Cosa può dare il radiotelescopio? "Molto o poco, dipende da come viene vissuto e da cosa gli si costruisce attorno. Non dà nulla, o dà pochissimo, se resta solo una struttura scientifica, per cui verranno gli scienziati, faranno le loro scoperte, ma ai cittadini di San Basilio non porterà niente. Ma può dare molto se il paese organizza una serie di attività indotte". -Quali? "Penso ad una modernizzazione dell'economia agro-pastorale. Il pastore avrà un valore aggiunto dal suo prodotto, con i benefici del radio telescopio. L'impianto porterà gente che verrà a studiare, anche dall'estero, oltre ai visitatori comuni. Tutti questi, però, non devono vedere la struttura e poi riprendere il pullman per ripartire subito". -Come pensa di trattenerli a San Basilio? "Offrendo servizi: ristorazione, impianti, svaghi, artigianato, prodotti agro- alimentari, visita agli stazzi, ai siti archeologici, itinerari a cavallo, tennis. Il luogo è bellissimo, ma questo non basta. Chi viene deve trovare prodotti della tessitura, formaggio, carne della zona con marchio di qualità garantita. E prodotti artigianali: cestini, coltelli, intaglio del legno". -Produzioni che già esistono? "In parte sì. Ci sono artigiani-artisti che lavorano in loco ma sono soli e non trovano sbocco. Occorre riunirli e organizzarli. L'economia non è una monocultura: si tratta di prendere iniziative diverse collegate tra loro. Uno è bravo a fare i tappeti ma non a venderli? Benissimo, tu fai i tappeti e un altro te li vende. Se uno fa un coltello e poi non lo vende, il coltello gli rimane nel cassetto. Se ne fai cento e non li vendi, smetti di lavorare". -A ciascuno il suo mestiere, a cadaunu s'arte sua, come nei proverbi? "Esattamente. Bisogna attrezzarsi anche con scuole di formazione. Il futuro è vicino: il radiotelescopio tra due anni entra in funzione. Dobbiamo accelerare in modo che tutto sia pronto in tempo utile: realizzare strutture per offrire ospitalità. Conto molto sui pastori, qui hanno resistito. San Basilio da solo ha più bestiame degli altri paesi del Gerrei messi insieme". -La bontà del prodotto gioca un ruolo fondamentale. "L'altitudine del territorio e le essenze erbose che altrove non crescono sono una bella risorsa, ma inutilizzata: non esiste un marchio di tutela. Il latte viene mischiato e tutto è pecorino: quello prodotto in stalla o in pianura e quello dei monti. Il che non è giusto né corretto". -Un incremento dell'artigianato è possibile o già in atto? "In una certa misura è già in atto. Qualcuno che sa di falegnameria ha fatto dei corsi di aggioramento e sta reimpiantando la sua azienda in paese. Chi era bravo a fare cestini li si sta rifacendo. I tappeti tradizionali si continuano a produrre. In più c'è l'iniziativa privata, di vera qualità". -Un fenomeno di rilievo è la riscoperta dell'allevamento del cavallo. "L'associazione ippica, costituita recentemente da un gruppo di ragazzi, la dice tutta sul ritorno all'amore per questo animale che rischiava di scomparire dal territorio. C'erano solo alcuni cavalli tenuti in campagna allo stato brado, neanche domati". -Tutte le passioni possono essere passeggere. Non crede? "Quelle individuali, forse. Ma questa è una passione collettiva". -Mantenere un cavallo costa molto. "Come lo tengono qui no. Si tratta di pastori che li governano personalmente. Poi c'è da considerare un altro dato: oltre alla parte sportiva, entra in gioco il rapporto con un animale nobile. Non è come la passione per la moto. Essere appassionati verso un animale vivo è tutta un'altra cosa: anche il rapporto tra gli esseri umani diventa più saldo, se c'è di mezzo il cavallo. Per via del cavallo, diverse persone che prima non si salutavano neppure hanno fatto pace e sono diventati amici". -Come pensate di sostenere questa passione collettiva? "La passione associata richiede strutture. Le prime necessità riguardano la pista per allenamenti e il maneggio. Chi non può permettersi un cavallo ma ha questa passione deve essere messo in grado di coltivarla. Io stesso sono un appassionato di cavalli ma non posso permettermi di averne uno: se ci fosse un maneggio ci andrei volentieri. Ancora: questa del cavallo è una risorsa che può creare qualche posto di lavoro. Vedo bene un ippodromo zonale: le associazioni ippiche del territorio lo riconoscerebbero come patrimonio comune. Pensiamo di realizzarlo nel circuito del radiotelescopio". La lingua batte dove il dente duole. Da che mondo è mondo. ________________________________________________________ Repubblica 30 Mag.05 IL CERN SPERIMENTA INTERNET 2 Un flusso continuo di dati provenienti dal Cern di Ginevra e diretti verso sette diversi centri in Europa e negli Stati Uniti, a una media di 600 megabyte per secondo, per dieci giorni consecutivi: è il nuovo record della rete Grid del progetto di Ginevra. Il test (il secondo dei quattro programmati) effettuato nei giorni scorsi ha ottenuto successo segnando cosi un importante passo avanti per la realizzazione del progetto Lhc computing Grid. La prova, che consisteva nella trasmissione di un enorme quantitativo di dati a raggiera da un server centrale verso migliaia di terminali nel mondo, ha superato le aspettative, sostenendo circa un terzo della portata di megabyte prevista con l'entrata in funzione di Lhc, Large Hadron Collider, l'acceleratore di elettroni del Cern. Sono stati infatti raggiunti picchi di oltre 800 megabyte al secondo. Un passaggio chiave dunque nella gestione dell'enorme flusso di dati che si prevede saranno generati da Lhc e che comincera a funzionare nel 2007. Si tratta di una particolare strumentazione che si usa nell'ambito di ricerche fisiche particellari a cui si devono i nuovi traguardi degli ultimi anni soprattutto nel campo della ricerca di base delle nuove tecnologie e le sue svariate applicazioni. Al suo interno collideranno raggi protoni a una velocità di 14 TeV (1 TeV, l'energia di movimento prodotta dal volo di una zanzara). Gli scienziati potranno quindi per la prima volta studiarne le reazioni, in uno scambio continuo di dati. Internet, o meglio Internet2 o la nuova autostrada informatica superveloce, è ormai elemento ormai imprescindibile dalla ricerca scientifica. Con la rete Grid infatti sarà possibile incamerare enormi flussi di dati disponibili in tempo reale da migliaia di terminali collegati. Sono oltre sei mila, infatti, i ricercatori nel mondo negli oltre 200 centri di ricerca impegnati negli esperimenti con l'acceleratore di ioni del Cern, il piu grosso strumento di questo tipo nel mondo. Large Hadron Collider, nel 2007, produrrà qualcosa come 15 milioni di gigabyte o 10 petabyte di dati annualmente. Tradotto in termini semplici vuol dire più di mille volte la quantità di libri prodotti annualmente nel mondo e quasi il 10% di tutte le informazioni e dati che l'uomo produce ogni anno, incluso immagini digitali. L'unico modo per rendere accessibile questa quantità di dati (ancora maggiore se si considera che verranno archiviati i dati prodotti dagli esperimenti del Cern degli ultimi dieci anni) alla comunità scientifica sembra quindi la tecnologia "Grid". Una tecnologia che potrebbe poi espandersi fuori dalla Comunità scientifica e raggiungere un più vasto numero di utenti. Prime fra tutti le università, la cui mole di dati in ricezione e trasmissione attraverso i sistemi informativi diventa sempre più alta. E poi, i centri di produzione industriale a cui non dispiace certamente di poter utilizzare una rete potente e ad altissima velocità per le comunicazioni tra sedi distaccate in tutto il mondo. Il sistema Grid, infine, potrebbe avere anche risvolti commerciali più "normali" per la trasmissione ad alta velocità di segnali video e audio, per il broadcast e per la telefonia mobile. Per questo, si vanno anche studiando soluzioni che consentono forme di comunicazione "wireless". Infine, l'Internet 2 potrebbe arrivare a sostituire l'ormai relativamente lenta rete mondiale di comunicazione attraverso il Web. Susanna Jacona Salafia ________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag.05 ACCORDO REGIONE-ATENEI UNA COMMISSIONE PER L'UNIVERSITÀ DIFFUSA È stata costituita dalla Giunta regionale la commissione per il monitoraggio delle sedi universitarie decentrate. In tempi stretti dovrà effettuare l'analisi e la valutazione del funzionamento, dei costi e dei risultati raggiunti, con il supporto dei nuclei di valutazione delle Università e della Regione. La commissione è presieduta dall'assessore regionale della Pubblica Istruzione, Elisabetta Pilia, e ne fanno parte i rettori delle Università di Cagliari (Pasquale Mistretta) e Sassari (Alessandro Maida) o persone da loro delegate. Oltre a loro, anche tre rappresentanti di ciascuno dei Senati accademici di Cagliari e Sassari, designati rispettivamente da ciascuno dei Senati; i rappresentanti degli organismi locali di ciascuna delle sedi universitarie decentrate; due rappresentanti degli studenti delle Università di Cagliari e Sassari, designati dagli studenti eletti nei rispettivi Senati accademici. La Commissione è stata istituita, come previsto dal Dpef 2005-2007, con l'obiettivo di migliorare l'offerta formativa universitaria su tutto il territorio regionale, attraverso un tavolo di confronto continuativo tra Regione, atenei di Cagliari e Sassari e Università diffusa. In questo modo, si punta a promuovere una programmazione comune che accresca la qualità della formazione universitaria nell'Isola. ________________________________________________________ Repubblica 1 giu. ’05 ISTAT, PIÙ DIFFICILE PER I GIOVANI IL POSTO FISSO DOPO LA LAUREA Secondo l'indagine effettuata sul 2004, sono più diffusi i lavori occasionali, soprattutto tra le donne e al Centro-Sud Tra i meglio occupati gli ingegneri, seguiti da chimici e statistici Conta anche l'Università: Bocconi e Politecnici le favorite ROMA - Tre anni dopo la laurea ha già un lavoro il 74 per cento dei giovani. Lo attesta l''Indagine Istat sull'inserimento professionale dei laureati', effettuata sul 2004. Mentre il 12,6 per cento è ancora alla ricerca di un'occupazione, e il rimanente 13,4 per cento dichiara di non essere alla ricerca di un lavoro perché ancora impegnato in attività formativa, retribuita quasi nella metà dei casi (6 per cento). Aumenta la partecipazione dei laureati. L'ultimo triennio, rileva l'Istat, cioè quello che va dal 2001 al 2004, "sembra caratterizzarsi soprattutto per un aumento della partecipazione dei giovani laureati al mercato del lavoro: la quota di persone non attive (che non lavorano e dichiarano di non cercare lavoro) diminuisce infatti dal 16,1 per cento del 2001 al 13,4 per cento del 2004". Calano gli "occupati continuativi". Però cala la "quota di occupati in lavori continuativi iniziati dopo il conseguimento della laurea": infatti passa dal 63,2 per cento del 2001 al 56,4 del 2004. Mentre aumentano nel triennio i laureati che già durante gli studi svolgevano un'attività lavorativa: passano infatti dal 10,2 per cento del totale degli occupati al 16 per cento. Penalizzate le donne. Ancora una volta ad essere penalizzate risultano le donne: se il 62,2 per cento degli uomini laureati negli ultimi tre anni nel 2004 risultava occupato in lavori continuativi, la stessa percentuale al femminile raggiunge appena il 51,8 per cento. Penalizzato il Sud. Differenze ancora più consistenti a livello territoriale: "E' il 64,6 per cento dei laureati residenti al Nord - si legge nel rapporto - ad aver trovato un lavoro stabile dopo la laurea contro appena il 42,3 per cento riscontrato tra i giovani dottori residenti nel mezzogiorno ed il 56,4 per cento nel Centro Italia". E la più ampia facilità di accesso per i giovani del Centro- Sud alla formazione retribuita compensa solo marginalmente le difficoltà a trovare un lavoro. Infatti, rileva ancora l'Istat, "a cercare lavoro è ben il 25,4 per cento dei laureati residenti nel Mezzogiorno contro appena il 5,9 per cento dei residenti nelle regioni del Nord". Gli ingegneri i più occupati. Ma a fare la differenza sono anche le lauree. I laureati che trovano più facilmente lavoro sono quelli del gruppo ingegneria: l'81,7 per cento è occupato in modo continuativo in un lavoro iniziato dopo il conseguimento del titolo. Seguono i dottori nei settori chimico-farmaceutico (72,7 per cento) ed economico-statistico (68,2 per cento). I laureati che incontrano maggiori difficoltà a 'sistemarsi' sono, invece, quelli del gruppo giuridico (svolge un lavoro continuativo soltanto il 41,7 per cento dei laureati ed è alla ricerca di un lavoro ben il 20,8 per cento) e letterario (rispettivamente 46,2 per cento e 19,2 per cento). Conta anche l'università. Sono soprattutto gli atenei con sede nel Nord Italia a fare registare le più elevate percentuali di persone che trovano un lavoro continuativo nel triennio successivo alla laurea: tra questi la Bocconi, i Politecnici di Torino e Milano e l'università di Bergamo. Anche al Sud ci sono atenei che offrono buoni sbocchi professionali, ma in genere, si tratta di università come il Politecnico di Bari che offrono attività formative incentrate soprattutto sulle discipline dell'area ingegneria ed economia che offrono più ampie possibilità di impiego. Retribuzione e soddisfazione. A poco più di tre anni dalla laurea, i 'dottori' occupati guadagnano in media 1.260 euro. Ad avere gli stipendi più alti sono i laureati del gruppo medico (1.850) seguiti da quelli del gruppo ingegneria (1.410). I colleghi del gruppo insegnamento con 1.050 euro al mese si piazzano all'ultimo posto nella graduatoria delle retribuzioni. Gli uomini guadagnano di più. Le differenze tra i due sessi appaiono decisamente rilevanti con i maschi che in media guadagnano oltre 200 euro al mese più delle donne. Buste paga leggere possono talvolta essere associate allo svolgimento di professioni non adeguate al titolo di studio conseguito: tra i laureati ben il 32 per cento svolge un lavoro per il quale la laurea non è richiesta. Quanto alla soddisfazione per il lavoro svolto, ci si lamenta soprattutto del trattamento economico (38 per cento), della possibilità di carriera (35 per cento) e della stabilità del posto di lavoro (28,4 per cento). ________________________________________________________ Il messaggero 31 Mag ’05 STUDENTE DA RECORD DOTTORI IN DUE ANNI? IL TAR DI LECCE DICE SÌ DI ANDREA SCOTTO ROMA - Laurearsi in due anni è possibile. Basta aver superato tutti gli esami previsti. E’ questo il principio affermato da una recentissima ordinanza del Tribunale amministrativo di Lecce (25 maggio 2005 n. 491 Pres. Ravalli). La vicenda dal sapore eccezionale ha riguardato un ragazzo che aveva letteralmente divorato gli esami universitari del proprio corso di laurea breve. Dopo diciassette esami e ventitre prove superati brillantemente e a passo di carica, lo studente ha chiesto di poter sostenere l’esame finale per diventare “dottore” in lettere e filosofia. La domanda dell’aspirante filosofo che intendeva realizzare “il sogno di tanti” nell’ultima sessione del secondo anno accademico ha tuttavia messo in crisi l’ Università di Lecce. Dopo alcuni tentennamenti, gli uffici competenti hanno fatto sapere che non era possibile sostenere tale esame. Il giovane si è però rivolto ai giudici amministrativi della sua Regione, dinanzi ai quali ha contestato che il suo percorso universitario potesse essere criticato per “eccesso di velocità”. L’intraprendente laureando l’ha spuntata. I giudici amministrativi hanno detto che lo scoglio della vecchia norma del 1938, la quale richiedeva la prova di avere frequentato il corso di studi per il numero di anni prescritto, non è più un problema. L’organo giudicante ha rilevato in primo luogo che la riforma dell’ordinamento degli studi universitari ha introdotto il concetto innovativo di durata normale dei corsi, che in sostanza va a sostituire quello di durata legale. Per la laurea triennale ciò corrisponde all’aver acquisito 180 crediti formativi. In secondo luogo, i giudici pugliesi hanno sottolineato che gli esami sostenuti erano compresi nel piano di studi e che l’Università non glieli aveva annullati. Quindi, non vi era motivo per tarpare le ali alle giuste aspirazioni del protagonista di questo episodio, il quale fra l’altro aveva accumulato ben 188 crediti in soli due anni, più di quanto richiesto per i tre anni di studio “normali”. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Giu.05 MISTRETTA: STO A SINISTRA PRONTO PER IL QUINTO MANDATO Per la candidatura il senato accademico dovrà modifcare lo statuto Il rettore si ricandida: «Sto a sinistra, con gli studenti» Il rettore Mistretta ci ha messo poco a scegliere il suo successore: il tempo di guardarsi allo specchio. Pasquale IV si prepara a diventare Pasquale V, la candidatura alle elezioni del 2006 è già pronta. Manca un dettaglio, e non è da poco: «Vediamo se il senato accademico modificherà lo statuto». Lo vedremo presto, e non sarebbe la prima volta che lo vediamo: già nel 2003 studenti e professori avevano deciso che si poteva derogare alla clausola dello sbarramento, quella regoletta che vieta di fare il rettore per più di sei anni, cioè due mandati. Mistretta (che regna dal '91), quella clausola la conosce bene. Personalmente, si potrebbe dire: «Lo sa per chi l'hanno scritta quella norma? Per me», confida mentre l'auto dell'Università si infila nel traffico cagliaritano per un tour tra i possedimenti dell'ateneo. Un giro lungo: da viale Fra' Ignazio a Monserrato, non sembra la mancanza di spazi la prima emergenza accademica. Perché l'hanno scritta per lei? «Perché alla prima elezione hanno detto: questo è socialista e progettista, mettiamogli un limite che magari si mette fare politica o peggio ancora si mette a fare bottega. Poi hanno avuto modo di conoscermi: il Psi l'ho dimenticato appena eletto. Quanto agli incarichi, da rettore non ne ho voluto uno». Ma lei che conosce l'ambiente, che dice? Si può fare questa modifica? «Penso di sì, se c'è consenso su come ho lavorato. D'altra parte la mia scrivania non ha cassetti». Cioè? «Il mio non è un consenso di scambio, nel mio computer non ci sono file con scritto a questo ho fatto una cortesia, a quest'altro pure. In questo sono un atipico, quando c'è da fare non bado a premiare i fedeli o a punire chi non mi sostiene. Lo sanno bene Ingegneria». È la facoltà dove il rettore è nato e cresciuto, ma soprattutto da sempre il suo zoccolo duro elettorale, eppure qualcosina da recriminare l'avrebbe. Un progetto di sopraelevazione per nuovi spazi e nuove aule è fermo dal '99, con tanto di finanziamento. Sull'argomento Mistretta aveva duellato verbalmente con l'assessore all'Urbanistica Giampaolo Marchi, anche lui docente e ingegnere. Risultato, uno zero a zero sterile: Marchi si dimise, il progetto è ancora fermo. Tanto che per ora la sopraelevazione è accantonata; in compenso si va al raddoppio dello stabile che oggi ospita il dipartimento di Ingegneria elettronica. Sempre meno del mega-cantiere di Monserrato: nella cittadella (che elettoralmente non ha mai sommerso Mistretta di consensi) la nuova sede di Medicina è in costruzione, mentre l'ala che ospiterà Fisica e la biblioteca del campus è quasi ultimata. E per forza poi dicono che l'ateneo è un'immobiliare espansionista: «Macché espansionismo, il fatto è che da un lato ci sono gli studenti che giustamente chiedono servizi, e dall'altro le esigenze di innovazione a cui bisogna stare dietro». Gli studenti sono meno di un tempo, almeno i fuoricorso. «Sì, i fuoricorso calano ed è importante che sia così. Ma calano in genere: siamo passati da 41 mila iscritti a 37 mila, ma in realtà il numero ottimale sarebbe trentamila, massimo 32 mila». A proposito di studenti: lei ha dato una sede alle liste che hanno rappresentanti eletti, ma ha anche fatto approvare un aumento delle tasse con la polizia schierata davanti al consiglio d'amministrazione per arginare le proteste degli iscritti. «E su, ancora con questa storia. Parliamo dell'aumento di tasse che restano tra le più basse in Italia». Gli iscritti l'hanno perdonata? «Guardi, se sono rimasto giovane, almeno come modo di pensare, è proprio perché ho un ottimo rapporto con gli studenti. Qualcuno mi vede come l'espressione di una certa borghesia, addirittura secondo alcuni sarei un uomo di centrodestra, ma in realtà non è così. Per intenderci, non sarò io a borbottare per un ombelico scoperto o perché uno non saluta. Anche davanti alle contestazioni so capire quando chi mi attacca lo fa perché per ruolo non può che farlo. Ho visto cinque generazioni di studenti e ho avuto un rapporto costruttivo con tutti. Prendiamo il corpo elettorale: ai tempi del primo mandato i votanti erano settecento: ora sono 1500, ho portato a votare i ricercatori, il personale tecnico amministrativo... Non mi interessa fare i conti con pochi grandi elettori». Quanto all'essere di centrodestra? «Sono un uomo di sinistra». E i poliziotti in tenuta antisommossa? «Di nuovo? Ma cosa crede, che se ci fosse stato Ingrao al posto mio non avrebbe fatto approvare l'aumento?». E sarà sempre peggio, con i tagli della Moratti. «Ma i soldi ci sono, stanno sbloccando nuovi fondi per le Università. E poi ho sempre pensato che i soldi non sono un problema vero: se un progetto è valido, se c'è un'idea forte le risorse si trovano». Il potere è una droga o un divertimento? «È una droga quando è fine a se stesso, e in quel caso lo sbarramento del numero di mandati limitato è sacrosanto. Se il potere è legittimato dal consenso comunque può esserci un certo compiacimento da parte di chi lo esercita, godi del prestigio della carica, può venirti voglia di fare il Grande di Spagna». La confermeranno rettore? «Mah, se ho le motivazioni posso lavorare al meglio, posso pensare in prospettiva, posso impegnare non solo la figura istituzionale del rettore ma anche quella personale di Pasquale Mistretta sulle cose in cui credo. Se sono in gamba, lo capiscono». Celestino Tabasso ________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Giu.05 INGEGNERIA, GINESU PRESIDE Francesco Ginesu si conferma per la terza volta preside della facoltà di Ingegneria dell'università di Cagliari. Il mandato riguarda il triennio 2005- 2008. L'ordinario di Costruzione di macchine è stato eletto in prima votazione con 152 preferenze. Il corpo elettorale era costituito da 247 fra docenti di prima e seconda fascia, ricercatori, rappresentanti degli studenti e un rappresentante del personale tecnico-amministrativo. Alle urne si sono presentati in 185: 48 professori di prima fascia, 68 di seconda fascia, 54 ricercatori, 14 studenti e il rappresentante del personale tecnico- amministrativo. Dallo spoglio sono risultate 19 schede bianche e 14 nulle. «Sono particolarmente soddisfatto - ha dichiarato il preside - per la forte partecipazione dell'elettorato in tutte le sue componenti. Anche perché bisogna tener conto di assenze preannunziate, dovute a impegni accademici precedentemente assunti. Una partecipazione tanto più significativa in questo momento particolare della vita della Facoltà. E ringrazio gli elettori per l'ampio consenso personale ricevuto, determinante per completare i punti qualificanti del mio programma». A proposito di programma, i temi principali all'esame della presidenza di Ingegneria sono quattro. Al primo posto c'è la realizzazione della facoltà di Architettura, che interessa una parte molto ampia del corpo docente e ha importanti implicazioni per lo sviluppo del territorio isolano. Il secondo punto riguarda il completamento del programma edilizio che vede Ingengeria interessata da numerosi progetti in via di approvazione e in corso d'opera. Al terzo posto sta la realizzazione di una maggiore autonomia e decentramento delle Facoltà quanto a budget e finalità, mediante trasferimento di funzioni dall'amministrazione centrale dell'Ateneo alla periferia. Ultimo punto programmatico, il riesame del nuovo ordinamento e la conseguente organizzazione della didattica, anche alla luce della nuova normativa. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Giu.05 LABORATORI, NUOVE AULE E METRI CUBI Non di soli metri cubi si nutrono i progetti di cambiamento dell'Università di Cagliari, anche se la direttrice fondamentale della politica d'ateneo resta la conquista di nuovi spazi per ospitare aule e laboratori. Nella ristrutturazione della facoltà di Economia in viale Frà Ignazio gioca un ruolo, ad esempio, il nuovo sistema per alloggiare i volumi catalogati: i compattatori voluti da preside Roberto Malavasi, degli armadi metallici che contengono fino a 12 mila testi preservandoli da umidità e degrado con una tecnologia «adottata solo da alcune delle migliori Università inglesi». Dal punto di vista tecnologico, oltre alle dotazioni informatiche delle biblioteche, si possono citare i laboratori allestiti per i parassitologi e i genetisti nei nuovi padiglioni della cittadella di Monserrato e i laboratori di e-learning ospitati nella ex clinica Aresu. Una volta acquisito e ristrutturato il vecchio ospedale, le due grandi scommesse urbanistiche dell'ateneo si giocano in viale Frà Ignazio e a Monserrato. Nella cittadella, in virtù di un "macropermesso" dello Stato, l'università ha sostanzialmente mano libera nell'edificazione all'interno del perimetro. Nel giro di un anno potrebbe essere pronta la costruzione che ospiterà la facoltà di Medicina, con priorità per Medina del Lavoro che sarà la prima inquilina. Nel frattempo l'edificio parallelo - che sarà diviso dalla facoltà da una enorme aiuola - è in fase di ultimazione e ospiterà non solo aule e laboratori ma anche quegli spazi per gli archivi di cui l'ateneo è storicamente affamato. Per quanto riguarda il polo giuridico-economico che sorge accanto all'anfiteatro, invece, l'Università ha acquisito la palazzina accanto alla casa di riposo Vittorio Emanuele II. Se riuscisse a incamerare anche il vecchio ospizio, una delle possibilità sarebbe la pedonalizzazione del viale in modo da realizzare una sorta di campus urbano per un polo universitario che oggi registra circa 12 mila iscritti. ______________________________________________ ItaliaOggi 1 GIu.05 POSTI RIDOTTI PER DIVENTARE ODONTOIATRI. Rispetto ai 931 posti dell'anno accademico 2004/2005 si passa a 893 per l'anno accademico :?005/2006 (con la diminuzione di 38 unità). Lo prevede un decreto del ministero dell'università del 18 maggio 2005. La richiesta di ridurre gli accessi era stata formulata dall’Andi, Associazione nazionale dei dentisti italiani, nell'incontro con il collegio dei docenti e la conferenza permanente dei presidenti del corso di laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria, avvenuto il 26 febbraio, i quali avevano richiesto e ottenuto dal Miur che il criterio per l'attribuzione di immatricolabili fosse fissato in base alle risorse strutturali in conformità con la legge istitutiva del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag.05 L'UNIVERSITÀ DI SASSARI ASSUME 26 DOCENTI E RICERCATORI L'Università di Sassari ha indetto le procedure di valutazione comparativa che interessano complessivamente 26 posti per professori di ruolo di prima e seconda fascia e ricercatori. PRIMA FASCIAProcedure di valutazione comparativa per 4 posti di professore universitario di ruolo di prima fascia così suddivisi: 1 posto nella facoltà di Farmacia, area 03 Scienze chimiche; 1 posto nella facoltà di Lingue e letterature straniere, area 11 Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche; 2 posti nella facoltà di Medicina e chirurgia, area 06 Scienze mediche. Scadenza 12 giugno 2005. Il termine per presentare domanda è invece fissato all'8 agosto 2005 per i 2 posti di professore universitario di prima fascia alla facoltà di Giurisprudenza, area 12 Scienze giuridiche. SECONDA FASCIAProcedure di valutazione comparativa per 5 professori universitari di ruolo di seconda fascia di cui: 3 destinati alla facoltà di Agraria, area 07 Scienze agrarie e veterinarie; 1 posto alla facoltà di Farmacia, area 03 Scienze chimiche ed 1 posto alla facoltà di Medicina e chirurgia, area 05 Scienze biologiche. Scadenza 12 giugno 2005. Inoltre, sono indette procedure di valutazione comparativa per ricoprire 2 posti alla facoltà di Giurisprudenza, area 12 Scienze giuridiche con scadenza l'8 agosto 2005. RICERCATORIProcedure di valutazione comparativa per complessivi 12 posti per ricercatore universitario così suddivisi: 1 posto alla facoltà di Architettura, area 06 Scienze mediche; 1 posto alla facoltà di Lettere e filosofia, area 14 Scienze politiche e sociali; 3 posti alla facoltà di Lingue e letterature straniere, area 10 Scienze dell'antichità, filologico ? letterarie e storico ? artistiche; 4 posti alla facoltà di Medicina e chirurgia, area 07 Scienze mediche; 1 posto alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, area 04 Scienze della terra e area 06 Scienze mediche e infine 1 posto alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali ( sede gemmata di Nuoro), area 05 Scienze biologiche. Scadenza 12 giugno 2005. Scade, invece, l'8 agosto 2005 il termine per presentare domanda per 1 posto di ricercatore alla facoltà di Giurisprudenza, area 12 Scienze giuridiche. INFORMAZIONILe domande devono essere indirizzate, entro i termini sopraindicati, al Magnifico Rettore dell'Università di Sassari, piazza Università 21, 07100 Sassari. Maggiori informazioni e i bandi sono disponibili sul sito internet dell'Università di Sassari www.ammin.uniss.it alla voce bandi di concorso. Renata Fadda ________________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag.05 UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: 1 PROFESSORE ORDINARIO A UROLOGIA Università di Cagliari Procedura di valutazione comparativa per la copertura di 1 posto di professore ordinario di ruolo, per il settore scientifico- disciplinare Med/24 - urologia, per la facoltà di medicina e chirurgia, dell'Università degli studi di Cagliari. ScadenzaLe domande di partecipazione dovranno essere presentate, improrogabilmente, entro giovedì 9 giugno 2005. InformazioniCopia integrale del bando sarà pubblicato all'Albo ufficiale del rettorato dell'Ateneo, in via Università 40 a Cagliari. Il testo è consultabile nel sito internet ufficiale dell'Università cagliaritana all'indirizzo: http://www.unica.it/concorsi/docII05.htm. L'avviso è stato reso noto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, quarta serie speciale, "Concorsi ed esami", n. 37 di martedì 10 maggio 2005. ======================================================= ________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 Mag.05 L'ORGOGLIO DI MEDICINA: «RICERCA ALL'AVANGUARDIA» Università. Un libro e progetti esposti in una mostra I fondi sono pochi, maledetti e perennemente in ritardo. I ragazzi, racconta il preside della facoltà di Medicina, Gavino Faa, si laureano, si specializzano, fanno il dottorato, diventano ricercatori, poi assegnisti e infine, a quarant'anni e passa, si ritrovano per strada con tutto il loro entusiasmo. Aggiungi poi che spostarsi dalla Sardegna per assistere a un congresso o incontrare un'équipe di colleghi significa viaggiare in aereo e dormire in albergo, quindi spese. Duecento posterEppure, contro tutto e contro tutti, la ricerca in campo medico, a Cagliari, raggiunge punte di eccellenza internazionale. E si dedica un giorno di festa, mettendo in mostra duecento poster nella cittadella universitaria di Monserrato. Uno per ogni progetto di ricerca portato avanti negli ultimi tre anni dai ricercatori cagliaritani nei campi più vari: dalla fisiologia alla biochimica, dalla psichiatria alla ginecologia. «Lo scopo è duplice», spiega Amedeo Columbano, presidente del corso di laurea in Medicina: «Da un lato volevamo fare in modo che i ricercatori potessero essere informati dei progetti in cui sono occupati i loro colleghi, perché spesso un ricercatore non sa cosa si studia nel dipartimento accanto. Dall'altro volevamo coinvolgere gli studenti». E gli studenti hanno risposto alla grande, affollando le due aule in cui sono esposti i pannelli informativi. La qualità delle pubblicazioniPoi c'è il libro. Si intitola "La ricerca in medicina" e raccoglie uno per uno i novanta progetti di ricerca che hanno avuto una pubblicazione sulle riviste di tipo scientifico. Per ognuno sono indicati i docenti responsabili, il team di ricercatori coinvolti, una descrizione del progetto, i finanziamenti ottenuti, le riviste in cui sono stati illustrati. «Una sorta di anagrafe delle ricerca cagliaritana», riassume Columbano. Molto interessante la parte finale, con una tabella in cui si elencano, settore per settore, il numero dei progetti e dei docenti coinvolti e una sorta di voto in pagella: si chiama fattore d'impatto, e misura non solo la quantità ma la qualità delle pubblicazioni, assegnando un parametro alle riviste in base alla loro autorevolezza. Perché pubblicare su Cell o su Nature è un'altra cosa, rispetto al saggio sulle riviste italiane «che spesso - rivela ancora il professor Columbano - non hanno nemmeno una commissione di controllo scientifica». Ne risulta che a pubblicare non necessariamente molto ma sicuramente bene sono stati i ricercatori di Biologia molecolare, Pediatria, Malattie infettive, Microbiologia e Medicina interna. L'impegno di Gessa«La risposta della Regione - promette il presidente della commissione Cultura in Consiglio regionale, Gianluigi Gessa - arriverà presto e cercherà di correggere un quadro che vede la Sardegna come regione che investe di meno, in Italia, per la ricerca rispetto al Pil». Soprattutto, è l'auspicio del farmacologo, per la ricerca di base. (m. n.) ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Mag.05 ASSE MEDICINA-IMPRESE: ALT ALLA FUGA DI CERVELLI La 2ª edizione della giornata dedicata alla ricerca «il volano di sviluppo per qualunque sistema» ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. L’anno scorso forse non si sapeva bene come usarlo il libretto sulla «Ricerca in Medicina», una compilazione accurata di tutto quel che si studia e si scopre nella facoltà cagliaritana. Ieri mattina il preside Gavino Faa ha presentato la seconda edizione con un’immagine: il volume pubblicato nel 2004 lui, il preside, l’ha notato in tante occasioni sulle scrivanie dei colleghi, aperto, con le tracce dell’uso frequente nei bordi un po’ consunti. Perché nel libretto ci sono i lavori, i nomi, i risultati, le riviste su cui sono stati pubblicati e, alla fine, la pagella della qualità che dimostra l’impegno di un buon numero di docenti, l’eccellenza di alcuni e, siccome è veritiero, anche il (raro) disimpegno di altri. L’anno scorso i poster, 210, fatti dagli studenti, dagli specializzandi e dai tecnici della facoltà furono uno tsunami: tanti e sorprendenti. E capaci di ottenere il risultato inseguito dal preside Faa: far scoprire a professori, studenti e specializzandi quel che accade nel laboratorio dietro la porta accanto e, magari, offrire uno spunto o un’informazione anche determinante per le ricerche proprie. E’ successo, in un anno soltanto, dopo un lungo isolamento dove si assisteva al paradosso del gruppetto di studiosi in contatto anche quotidiano con Bethesda o Pechino ma assolutamente sconosciuto al collega appena salutato. «La ricerca è il volano di qualunque sistema economico», riassumeva ieri nell’aula magna della cittadella universitaria in un’intervista televisiva il preside. I contatti germogliati in questo anno sono riusciti a far nascere una creatura cui Faa tiene parecchio: il Centro di medicina simulata. «E’ la facoltà di Medicina che si apre alla popolazione: ai volontari, alle forze dell’ordine, anche agli studenti, naturalmente. E’ il frutto di un protocollo d’intesa tra la facoltà e la questura e con l’approvazione del ministero dell’interno e quando ci siamo incontrati con il Crs4, gli esperti di quel centro di ricerca hanno visto la possibilità di sviluppare un nuovo filone di studio sui sistemi di simulazione medica da brevettare e mettere sul mercato. Perché si conferma che le vie della ricerca sono davvero infinite e la conoscenza dei lavori condotti nelle varie branche in questo anno ha prodotto sviluppi interessanti. Dai contatti nascono le applicazioni dei brevetti e altra ricerca ancora e, inoltre, diventa un modo per mettere la facoltà sul mercato». Grande e anche dolente tema visto che le facoltà adesso devono trovarsi parecchi dei finanziamenti necessari per mandare avanti l’attività didattica. Un’altra creatura che sta per nascere e che dovrebbe dare una robusta mano per contrastare la fuga dei cervelli dall’isola è il distretto di biomedicina. «Se si riesce a creare un raccordo tra le imprese e la facoltà di medicina - spiegava ieri Faa - dando alla facoltà un ruolo chiaro, potrebbero arrivare finanziamenti importanti. C’è un dibattito in corso per creare possibilità di integrazione tra noi, Crs4 e Consorzio 21 lungo l’asse Pula-Cagliari. Il modello che abbiamo è il distretto di Trieste, riconosciuto dal ministero della ricerca scientifica, dove è stata creata una rete tra impresa e ricerca di tale rinomanza che l’Onu in quel parco tecnologico ha allestito una palazzina di 6 piani con la propria rappresentanza. Io credo che il sistema Sardegna debba guardare alla ricerca scientifica come l’opportunità per creare ricchezza di tipo culturale, ma anche economico». La qualità, spiegava il preside, c’è e cresce. Nelle pagine finali del volume distribuito ieri c’è la valutazione dell’impegno con la proposizione del «fattore di impatto», un indice noto ai pubblicisti delle riviste scientifiche: la qualità di un ricercatore si misura con la quantità delle pubblicazioni e con la credibilità delle riviste che accolgono il lavoro. Combinando i vari numeri si ottengono percentuali che danno conto di impegno, qualità, costanza. «Ogni docente in media - conclude Faa - pubblica due lavori l’anno su una rivista internazionale. C’è vivacità scientifica e ricerca di alta qualità». Tutto questo in una regione che «è quella che investe meno, in Italia, per la ricerca». ________________________________________________________ Corriere della Sera 1 giu. ’05 GIOVANI MEDICI, LE DONNE DOPPIANO GLI UOMINI Oltre 9 mila iscritte all' Ordine tra i 25 e i 29 anni, i maschi sono 5.500. « Ma primari e dirigenti sono poche » Indagine sui dati della Federazione nazionale. Le neolaureate continuano a preferire pediatria e ginecologia Le donne medico sono il doppio degli uomini. Anzi, lo saranno. Se si guarda ai giovani laureati, le donne sono più di 9 mila contro 5.500 uomini. E anche nella fascia d' età successiva ( 30 34 anni) sono in maggioranza: 14 mila contro 10.500. Numeri impensabili un tempo: tra i medici ultrasessantenni le donne sono circa 6 mila mentre gli uomini sono 45 mila. Di questo passo, in un futuro non molto lontano, saranno solo le donne a curarci. E tuttavia, nonostante questi dati, il pianeta sanità non è affatto accogliente per le donne. AI VERTICI - Tanto per cominciare al vertice, che si tratti di primari o di dirigenti di Asl, le donne sono davvero poche. Secondo gli ultimi dati forniti dall' Agenzia regionale per i servizi sanitari, su 10 mila dirigenti di struttura complessa - quelli che una volta si chiamavano primari di strutture che comprendono più specialità - sono poco più di mille; quanto ai direttori di strutture semplici, guarda caso meno prestigiose, la situazione è appena migliore: le donne sono circa 4 mila contro 15 mila uomini. Peggio pure se si guarda alle direzioni generali: nel 2003 erano donne solo tre manager su 98 aziende ospedaliere e sette in 191 aziende sanitarie. VALANGA ROSA - Se for se è ancora presto per aspettarsi l' arrivo della valanga rosa delle giovani laureate ai posti di comando, dove difficilmente si arriva prima dei quarant' anni, non può non stupire che anche le giovani laureate continuino a preferire specializzazioni tradizionalmente femminili. I dati vengono dalla Fnom, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici e riguardano le specialità più tradizionali o, viceversa, le più « nuove » per il sesso femminile. Nuove in passato e nuove anche adesso, come dimostrano i dati. Predilette dalle donne dieci anni fa, come oggi, continuano a essere pediatria e ginecologia, mentre rimangono ostiche neurochirurgia, urologia e ortopedia. CARRIERE - Ma non per tutte è così, come non è detto che per fare carriera sia obbligatorio limitarsi ai settori più tradizionali. O sperare nel futuro quando in forza dei numeri sarà pressoché obbligatorio scegliere primari e docenti universitari tra le donne. « Sono stata la prima donna in Italia a diventare ordinario di cardiologia, all' Università di Modena per la precisione. E sono an che la prima donna a guidare, da gennaio, la società italiana di cardiologia » , ricorda Maria Grazia Modena. « Il fatto che aumentino le donne medico non interessa solo la distribuzione del potere e dei ruoli. C' è bisogno di noi donne in medicina e nella ricerca per studiare farmaci e terapie a misura di donna. Per restare al mio campo, noi donne siamo meno colpite dall' infarto almeno prima della menopausa, poi però se il " guaio" arriva le nostre probabilità di sopravvivenza sono la metà di quelle degli uomini » . Perché? « Perché la diagnosi di rischio viene fatta con criteri maschili, che mal funzionano su di noi e perché, in caso di intervento, abbiamo coronarie più piccole che rendono più difficile l' operazione. E le terapie che danno buoni risultati sugli uomini non è detto abbiano lo stesso successo sulle donne. Peccato che tutte le grandi ricerche vengano condotte soprattutto sugli uomini » . SFIDE - Aggiunge Clara Virgilio, primario di gastroenterologia all' ospedale Garibaldi di Catania: « Noi ce la possiamo fare anche in campi che sono dominio degli uomini. La gastroenterologia, la mia specializzazione, è giudicata troppo invasiva per interessare alle donne, ma adesso stiamo assistendo a una piccola invasione di dottoresse in questo campo » . « Io sono primario, un' altra donna, la professoressa Maria Chiaromonte, è diventata ordinario di questa materia e uno dei nostri ultimi congressi è stato presieduto dalla professoressa Maria Cristina Parodi » . Natali Daniela ________________________________________________________ Sassari Sera 2 Giu. 05 LA GIUNTA SORU APPROVA LA BOZZA PIANO SANITARIO REGIONALE LA GIUNTA SORU APPROVA LA BOZZA PRELIMINARE DEL PIANO SANITARIO. ORA AL CONSIGLIO IL COMPITO DI APPROVARE DOPO 20 ANNI.... IL NUOVO STRUMENTO DI PROGRAMMAZIONE....... la giunta soru approva la bozza preliminare del piano sanitario ora al consiglio il compito di approvare dopo 20 anni il nuovo strumento di programmazione la giunta soru ha approvato ieri la bozza preliminare del piano sanitario regionale predisposta dall’assessore regionale alla sanità nerina dirindin. il documento si concentra sulla cura di alcune malattie di cui i sardi soffrono particolarmente, indica gli obiettivi del sistema sanitario isolano e individua gli strumenti per il suo funzionamento, proponendosi di sostituire, dopo vent’anni, il precedente piano approvato nel lontano 1985. la bozza preliminare è stata condivisa nella impostazione e nei contenuti dalla conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria. ora sarà oggetto di un ampio confronto con i tutti i soggetti interessati al miglioramento della sanità ed entro un mese verrà approvato in via definitiva dalla giunta, per poi passare all’attenzione della commissione sanità e dell’assemblea del consiglio regionale che dovrà discuterlo e votarlo. compete infatti al consiglio l’adozione di ogni atto di programmazione sanitaria. il piano sanitario 2006-2008 (che, insieme al piano sociale approvato dalla giunta lo scorso 11 febbraio, costituisce il piano regionale dei servizi sociali e sanitari) si articola di tre parti. la prima si concentra sugli obiettivi di salute, la seconda propone obiettivi di sistema, la terza individua gli strumenti per il funzionamento del sistema. “il modello di pianificazione che abbiamo adottato è quello che definisce obiettivi generali e azioni prioritarie, rinviando a specifici documenti di attuazione i singoli aspetti di dettaglio”, spiega l’assessore regionale alla sanità nerina dirindin. “d’altra parte, l’assenza da vent’anni di un piano sanitario ci imponeva l’adozione di uno strumento snello a partire dal quale si potessero avviare azioni concrete di riordino e riammodernamento dell’intero sistema sanitario della sardegna”. “tuttavia, il piano compie delle scelte precise”, continua l’assessore, “con l’intenzione di innescare un processo virtuoso nella sanità sarda. la prima è quella di porsi degli obiettivi di salute e non solo di produzione di servizi. abbiamo privilegiato le malattie di cui i sardi soffrono maggiormente o nella cui cura esistono gravi carenze”. il piano indica le strategie e gli strumenti per contrastare in particolar modo il diabete, le malattie rare, le demenze, la scelrosi multipla, le malattie cardiologiche, quelle reumatiche, i tumori e il disagio psichico. “ma gli obiettivi del piano sono anche quelli di giungere ad un riordino del sistema attraverso il lavoro in rete delle strutture e degli operatori che saranno chiamati a umanizzare il servizio sanitario”, spiega dirindin. “i cittadini dovranno trovare nel territorio, e non solo negli ospedali, la risposta ai loro bisogni di salute, grazie ad una forte integrazione fra l’offerta dei servizi sanitari e sociali”. il piano propone una strategia per la riqualificazione dei servizi (attraverso l’adozione del modello dipartimentale) e il funzionamento in rete degli ospedali secondo il modello hub & spoke che prevede la creazione di strutture assistenziali con differenti gradi di complessità, garantisce maggiore specializzazione ed efficienza. il sistema funziona integrando l’attività di un numero limitato dei centri in cui viene concentrata la casistica più complessa (hub), e i centri periferici (spoke) che trattano la restante casistica. sotto questo aspetto, il piano offre una strategia per il riordino della rete ospedaliera che dovrà rispettare gli standard imposti dal governo e arrivare ad un riequilibrio tra i posti letto per acuti e quelli per la riabilitazione e la lungodegenza, questi ultimi gravemente carenti nonostante la diffusa presenza di patologie croniche e degenerative. la rete tiene conto anche della nascita delle due nuove aziende miste universitario-ospedaliere e si propone di compensare gli squilibri di offerta sanitaria nel territorio isolano, ora eccessivamente concentrata sui poli di cagliari e sassari. grande attenzione è data anche al sistema dell’emergenza urgenza (con una migliore dislocazione nel territorio del servizio di 118) e delle guardie mediche. il piano auspica una nuova politica della gestione del personale (sono quasi 22.500 i dipendenti del servizio sanitario regionale), fotografa la situazione economico-finanziaria e propone un percorso per contenere nel giro di tre anni il disavanzo (per il 2004 è stimato in 215 milioni di euro), soprattutto attraverso la riqualificazione della spesa farmaceutica e l’appropriatezza dei ricoveri. questo dovranno tendere nel triennio allo standard imposto dalla normativa nazionale di 180 per 1000 abitanti: oggi sono 226. questo avverrà attraverso il potenziamento delle attività extra ospedaliere, lo sviluppo dell’assistenza domiciliare, la riduzione dei ricoveri impropri. il piano punta sulla formazione degli operatori sanitari e sulla ricerca, fissa i principi l’accreditamento delle strutture assistenziali e propone l’istituzione di nuovi strumenti per l’innovazione e la conoscenza, come l’agenzia regionale per la sanità, l’osservatorio epidemiologico regionale, il comitato per la bioetica. si propone inoltre di ridisegnare il sistema informativo regionale. “abbiamo avuto numerosissimi contributi da parte di tanti operatori del settore, associazioni e semplici cittadini”, conclude l’assessore dirindin. “il piano nasce proprio da questa collaborazione e dall’ascolto alle singole realtà isolane che abbiamo avuto modo di incontrare. per questo motivo posso certamente affermare che il piano, che ora andrà arricchito con un nuovo momento di confronto, è il piano sanitario fatto dai sardi per le esigenze dei sardi”. piano sanitario regionale le premesse predisposto in quasi un anno di lavoro dall’assessore dirindin insieme agli uffici dell’assessorato e ai suoi consulenti, il piano sanitario 2006-2008 (che, insieme al piano sociale approvato dalla giunta lo scorso 11 febbraio, compone il piano regionale dei servizi sociali e sanitari) è stato condiviso nella impostazione e nei contenuti dalla conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria. ora sarà oggetto di un ampio confronto con i territori, i rappresentanti delle comunità locali, le organizzazioni sindacali e di categoria, gli enti locali, le università, la comunità scientifica, le associazioni e tutti i soggetti interessati. il documento passa ovviamente anche all’attenzione della commissione sanità e dell’assemblea del consiglio regionale che dovrà discuterlo e votarlo. compete infatti al consiglio l’adozione di ogni atto di programmazione sanitaria. nella bozza di piano sono confluite le proposte espresse da istituzioni, operatori, associazioni e utenti nell’ambito degli incontri organizzati in varie parti dell’isola; quelle frutto della consultazione di gruppi di lavoro, anche non formalizzati, composti da operatori del settore e rappresentanti di associazioni di volontariato; i documenti predisposti e i pareri espressi dalla conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria, insieme alle proposte inviate da organizzazioni, associazioni ed esperti. il piano si propone alcuni compiti complessi ma improrogabili. il primo di essi è il riordino del sistema: la lunga assenza di indicazioni strategiche e di obiettivi condivisi ha portato alla frammentazione degli interventi, a carenze e a sovrapposizioni nell’offerta dei servizi. un’altra necessità impellente è l’ammodernamento: il mancato recepimento della normativa nazionale più recente rende l’attuale ordinamento legislativo sardo (e di conseguenza l’assetto organizzativo) non in linea con le innovazioni introdotte nel resto del paese. il piano è precorso da alcune idee chiave. la prima è il lavoro di rete: in un sistema che voglia rispondere in modo adeguato ai bisogni di salute dei cittadini è indispensabile che gli operatori della sanità condividano obiettivi e costruiscano progetti comuni. l’altro richiamo ricorrente è quello della personalizzazione degli interventi: occorre che gli operatori divengano sempre più consapevoli che il sistema è al servizio della persona, la deve coinvolgere nei servizi di cura e cercare di rispondere alle sue specifiche necessità ed esigenze. centrale è l’idea del sostegno al territorio: obiettivo strategico del piano è permettere ai cittadini di trovare risposta ai propri bisogni di salute non solo nell’ospedale, ma soprattutto nel territorio di appartenenza. infine, il piano pone le basi per avviare un’intensa opera di qualificazione del personale: le buone professionalità, in alcuni casi le eccellenze, vanno consolidate e messe in condizione di esprimere il proprio potenziale, riducendo le disomogeneità di aggiornamento e preparazione che la mancata programmazione in questo settore ha inevitabilmente prodotto. il piano sanitario si compone di tre parti. la prima pone gli obiettivi di salute, la seconda gli obiettivi di sistema, la terza individua gli strumenti per il funzionamento del sistema. piano sanitario regionale prima parte: gli obiettivi di salute negli OBIETTIVI DI SALUTE si individuano le patologie che colpiscono con particolare rilevanza i sardi e si indicano gli strumenti con i quali consolidare le capacità di intervento. tra le malattie genetiche spiccano il diabete (che colpisce 80 mila sardi), le malattie rare e le talassemie (di cui soffrono 1500 persone), che verranno affrontate con l’istituzione una rete integrata capace di operare sul piano della prevenzione, garantire una continuità assistenziale e un approccio multidisciplinare. verranno istituite, nello specifico, la commisione regionale per la diabetologia e le malattie metaboliche, il comitato tecnico-scientifico per le malattie rare, e il registro regionale delle talassemie. uno specifico piano sangue consentirà di migliorare le condizioni di assistenza in tutti i periodi dell’anno. il piano prende poi in considerazione le patologie di particolare rilevanza sociale: la sclerosi multipla, le demenze e l’alzheimer, e le malattie reumatiche. i malati di sclerosi sono 2500, con 150 casi ogni centomila abitanti, a fronte di 20-60 casi del resto d’italia. la malattia verrà affrontata istituendo il registro regionale della sclerosi multipla, potenziando l’assistenza domiciliare e realizzando centri per la riabilitazione. le demenze e l’alzheimer (che colpiscono più del sette per cento della popolazione anziana) richiedono invece interventi anche a carattere sociale. oltre alla risposta sanitaria, il principale problema è infatti il sostegno alla famiglia che garantisce continuità di cure al malato. per questo il piano prevede interventi basati su progetti personalizzati e integrati di assistenza. per una diagnosi tempestiva della malattia saranno potenziate le 14 unità valutative alzheimer presenti nella regione e verranno maggiormente coinvolti i medici di base. ogni asl dovrà inoltre elaborare un suo specifico programma. benché la sardegna sia la regione dove è più alta l’incidenza delle malattie reumatiche, in questo campo l’assistenza è assolutamente carente. l’obiettivo è quello di creare una rete integrata per l’assistenza reumatologica, insieme ad una struttura ospedaliera reumatologica di alta specializzazione a livello regionale collegata a strutture di riferimento in ogni asl. il piano affronta anche il tema delle donazioni e dei trapianti d’organo. nel 2004 in sardegna sono stati effettuati 77 trapianti di rene (54 a cagliari e 22 a sassari), 15 trapianti di fegato a cagliari e 11 di cuore, sempre nel capoluogo. l’obiettivo è quello di aumentare il numero di donatori e ridurre le opposizioni alla donazione. il servizio sanitario regionale ha finora risposto in maniera insufficiente alla domanda di salute orale. il piano intende avviare un programma di “protesi sociale” destinata agli anziani e alle fasce più deboli della società. nell’isola le patologie con maggiore incidenza epidemiologica sono le malattie cardiovascolari (prima causa di morte nell’isola) e gli ictus cerebrali. nel 2002 gli infarti sono stati 1680, ma di questi solo il 65 per cento ha ricevuto un’adeguata terapia. il piano si propone di potenziare la prevenzione ma anche di aumentare i posti letto nei reparti di cardiologia e garantire così un maggiore trattamento delle emergenze. la rete per le emergenze cardiologiche concentrerà a cagliari e sassari i servizi di più elevata complessità e collegherà in rete a questi centri gli ospedali di oristano e nuoro. grazie al 118 punterà a realizzare un capillare sistema di intervento sul territorio in grado di ridurre al minimo i tempi di intervento e dunque assicurare un’adeguata terapia. si potenzierà anche la riabilitazione cardiologica. in sardegna l’assistenza alle persone colpite da ictus è insufficiente. gli obiettivi del piano sono la riorganizzazione e il potenziamento della rete assistenziale, ma anche la formazione specifica degli operatori. gli ospedali brotzu di cagliari, santissima annunziata di sassari e san francesco di nuoro saranno i centri di riferimento della rete regionale delle stroke unit. per supportare l’attività di riorganizzazione dell’assistenza verrà istituito anche il gruppo regionale per l’ictus cerebrale. le malattie respiratorie costituiscono in sardegna la terza causa di morte (909 decessi nel 2001). insieme all’attivazione di programmi di educazione sanitaria e di screening, il piano punta ad istituire, nei tre centri pneumologici di cagliari, sassari e nuoro, unità di terapia respiratoria intensiva intermedia. è prevista anche l’apertura di un registro regionale allo scopo di rilevare i pazienti. tra le priorità del piano c’è sicuramente la lotta alle malattie oncologiche, rispetto alle quali l’offerta assistenziale è inadeguata. i tumori sono infatti la seconda causa di morte in sardegna. si stima che nell’isola ogni anno ci siano 7800 nuovi casi di tumore e 700 emopatie maligne. dei 3900 sardi che ogni anno hanno bisogno della radioterapia, più di 2500 non ricevono alcun trattamento o si rivolgono a centri fuori dall’isola. di sicuro sono 1900 i sardi che ogni anno vanno in continente per farsi curare queste patologie. il piano concentra l’attenzione su tre obiettivi strategici. il primo è la costituzione di una rete regionale per l’assistenza oncologica, articolata sui poli di cagliari, sassari e nuoro. la rete punterà sulla prevenzione ma anche sul riequilibrio dei servizi offerti (potenziando la risposta assistenziale nel nord della sardegna) e alla loro umanizzazione. verrà attivata anche una rete della radioterapia con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero dei sardi che vanno a curarsi in continente. sarà compito di una commissione regionale per la radioterapia supportare l’analisi e la programmazione degli interventi. la prevenzione e la cura verrà favorita dall’istituzione del registro tumori della regione sardegna e dalla riorganizzazione dei centri di prevenzione oncologica, che dovranno attivare uno screening della popolazione. inoltre, nelle singole asl gruppi di lavoro sulle aree a rischio identificheranno i fattori ambientali che costituiscono un potenziale fattore di rischio. il piano prevede anche l’erogazione di cure palliative, di cui necessitano ogni anno tra i 2500 e i 3500 sardi. in sardegna lo stato della salute mentale appare problematico a causa di una offerta dei servizi particolarmente carente. il 20-25 per cento della popolazione adulta vive una condizione di disagio psichico, mentre è preoccupante il fenomeno del suicidio (10,3 per 100 mila abitanti l’anno, contro un tasso nazionale di 8) e del disagio giovanile. la regione si avvarrà della collaborazione del centro di trieste (leader per l’europa per lo sviluppo dei servizi di salute mentale) per predisporre un progetto strategico salute mentale per ridefinire i compiti e l’operatività dei servizi nel territorio (soprattutto i centri di salute mentale, i servizi psichiatrici di diagnosi e cura, e le strutture residenziali). l’obiettivo prioritario è la concreta istituzione dei dipartimenti di salute mentale. gli operatori dovranno essere adeguatamente formati, così come un rilevante ruolo avrà la cooperazione sociale e le associazioni dei familiari, in un forte sforzo di integrazione tra intervento sanitario e sociale. piano sanitario regionale seconda parte: gli obiettivi di sistema nella sua seconda parte il piano sanitario affronta gli OBIETTIVI DI SISTEMA, cioè i problemi strutturali che riguardano la rete dell’offerta e la strategia per la riqualificazione dei servizi. la prevenzione, oggi gravemente carente, ha un ruolo fondamentale. il piano prevede la concreta istituzione del dipartimento di prevenzione, integrato con le strutture delle asl che dovranno attivare i servizi di igiene e sanità pubblica, igiene degli alimenti e nutrizione, e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro, oltre che il servizio veterinario. il piano prevede una attenta valutazione del legame fra salute e ambiente , con particolare attenzione alle aree a forte pressione per la presenza di insediamenti industriali (attivi o dismessi) e militari. dal punto di vista organizzativo, il distretto è l’ambito dove meglio si può garantire l’integrazione socio-sanitaria (finalizzate al perseguimento degli obiettivi di salute definiti nel piano locale unitario dei servizi), e l’azione coordinata di medici di base, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali con i presidi ospedalieri. i distretti, che dovranno finalmente essere istituiti in tutte le asl isolane, dovranno garantire la continuità assistenziale tra territorio e ospedali e gli interventi a livello domiciliare e ambulatoriale, anche attraverso i nuclei di cure primarie, formati da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici di continuità assistenziale e infermieri professionali. in sardegna la rete dei servizi per la riabilitazione appare per molti aspetti insoddisfacente. essa è costituita in maggioranza da centri privati, con una distribuzione non equilibrata nel territorio e con seri problemi di appropriatezza ed efficacia. la rete pubblica è insufficiente. per questo il piano si propone di rafforzarla, insieme a quella privata che verrà riqualificata e sistematicamente valutata. per le unità operative specializzate presenti nei presidi è invece previsto il potenziamento. anche le strutture residenziali per le persone non autosufficienti andranno monitorate e riqualificate. la tutela della salute materno-infantile è fondamentale, soprattutto se si tiene conto che la situazione sarda si caratterizza per un tasso di natalità inferiore al dato medio nazionale: 8,3 nati per mille abitanti rispetto a una media del 9,4. l’obiettivo è quello di riorganizzare la rete dei servizi territoriali e ospedalieri e soprattutto quella degli 86 consultori oggi presenti nell’isola, adeguando a nuove esigenze i servizi offerti. l’obiettivo è quello di potenziare l’assistenza alle donne (prima e dopo la gravidanza), ai bambini e agli adolescenti. il piano prevede un percorso nascita. oggi i punti nascita sono 24 (di cui 4 in case di cura private), ma solo 4 presidi (santissima annunziata a sassari, san francesco a nuoro, san giovanni di dio e brotzu a cagliari) effettuano mille parti l’anno e dunque rispondono ai parametri fissati dallo stato per i volumi di attività. l’obiettivo di medio periodo è quello di riorganizzare i punti nascita, disegnando una rete che concili l’esigenza di garantire l’accessibilità in tempi rapidi con quella di assicurare la massima sicurezza alla madre e al bambino, e prevedendo la possibilità di deroga per alcuni territori con particolari condizioni geomorfologiche e di viabilità. l’obiettivo è anche quello di ridurre i parti cesarei: nel 2003 sono stati il 37 per cento del totale, di contro ad una percentuale “consigliata” dall’organizzazione mondiale della sanità del 10-15 per cento. il capitolo della continuità assistenziale riguarda la rete dei 192 punti di guardia medica che occupa circa 860 medici (0,5 per mille abitanti, contro la media nazionale di 0,2). coinvolgendo tutti i soggetti interessati, è necessario riorganizzarla, tenendo conto delle necessità di sicurezza e della opportunità di evitare un utilizzo improprio del pronto soccorso. le guardie mediche dovranno trovare ospitalità presso i presidi sanitari o socio-sanitari presenti nel territorio e garantire un’assistenza 24 ore su 24. anche per quanto riguarda le dipendenze il piano auspica una maggiore integrazione con gli strumenti individuati nel piano dei servizi sociali. tra gli obiettivi prioritari c’è la presa in carico personalizzata delle persone dipendenti da sostanze e l’attuazione di programmi di prevenzione. la rete ospedaliera ha finora sviluppato squilibri nell’accesso alle cure nelle diverse parti dell’isola e non ha permesso il pieno utilizzo delle risorse. il modello individuato è quello cosiddetto hub & spoke: in pratica, si prevede un’organizzazione che permetta il trasferimento del paziente ad un reparto specialistico di riferimento solo quando non sono a disposizione localmente le specialità richieste. coinvolgendo tutti i soggetti interessati, bisognerà creare una rete di stretta collaborazione tra gli ospedali, tenendo presente che rimane fondamentale il ruolo delle cure nelle strutture di primo livello che rimangono titolari della gestione del processo assistenziale. negli hub dovrà concentrarsi solo la casistica più complessa, mentre negli spoke assicureranno l’assistenza per tutti gli altri casi. la parziale trasformazione di alcuni piccoli ospedali in strutture a bassa intensità assistenziale consentirà il miglioramento della qualità dell’assistenza e dei livelli di occupazione. così come previsto dall’accordo stato-regioni, il tasso di ospedalizzazione dovrà essere di 180 ricoveri per 1000 abitanti, con una dotazione di 4,5 posti letto per mille abitanti. il tasso di utilizzo dei posti letto dovrà essere almeno del 75 per cento. le aziende manca la razionalizzazione ed emergenza urgenza il piano sanitario affronta anche il tema della ricerca e dell’innovazione. in sardegna maggiori problemi riguardano la carenza di organizzazione, la mancanza di massa critica di ricercatori in numerosi settori e la carenza di finanziamenti. la regione vuole assumere un ruolo importante di rilancio. saranno potenziati i centri di eccellenza e verrà supportata la creazione di una struttura in cui siano disponibili le grandi attrezzature necessarie per la ricerca moderna. verrà costituito un comitato tecnico-scientifico composto da esperti nazionali ed internazionali che valuterà i progetti e aggiornerà le linee di ricerca. la regione aumenterà il numero degli assegni di ricerca, creando borse di studio per soggiorni all’estero dei ricercatori sardi. PIANO SANITARIO REGIONALE terza parte: gli strumenti per il funzionamento del sistema la terza parte del piano sanitario riguarda l’individuazione degli STRUMENTI PER IL FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA. al primo punto c’è la valorizzazione delle risorse umane, perché la principale risorsa del servizio sanitario regionale sono le persone. la formazione avrà un ruolo strategico e non potrà più essere vista solo come un adempimento formale agli obblighi previsti dalla normativa di settore. l’obbiettivo è quello di sostenere il cambiamento culturale, organizzativo e gestionale attraverso una formazione permanente, diffusa e di facile accesso, guidata da un piano annuale della formazione che dovrà coinvolgere tutti i soggetti interessati ed evitare iniziative sporadiche o episodiche. in sardegna serve una nuova politica della gestione del personale. le ultime piante organiche delle asl sono state approvate nel 1997 e prevedevano 22.690 dipendenti. oggi sono in realtà 22.445. se da un punto di vista numerico la dotazione organica complessiva è in linea, nel dettaglio si riscontra un eccesso di personale medico e una insufficienza (non marcata) di quello sanitario non dirigenziale. nella dirigenza i medici sono 4044, i veterinari 405, i sanitari non medici 579, i tecnici-professionali-amministrativi 158, per un totale di 5186 lavoratori. nel comparti, il ruolo sanitario ha 10.538 dipendenti, quello tecnico 4636, quello amministrativo 2063, il ruolo professionale 22, per un totale di 17.259. il piano si pone come obiettivo la ridefinizione delle dotazioni organiche di ciascuna asl. dovrà essere perseguita l’uguaglianza delle opportunità del personale femminile, mentre solo in casi eccezionali il reclutamento dovrà avvenire utilizzando le forme di lavoro flessibile. la stabilità dei rapporti di lavoro è infatti necessaria per garantire la indispensabile continuità delle attività sanitarie. manca il governo della spesa tra gli obiettivi del piano c’è sicuramente quello di rinnovare il sistema delle regole. è necessario trovare un giusto equilibrio tra domanda ed offerta di servizi sanitari, programmando e regolamentando preliminarmente le fasi che caratterizzano l’ingresso nel servizio sanitario di soggetti pubblici e privati. per quanto riguarda il settore pubblico, gli standard dell’assistenza ospedaliera sono fissati per legge ma spetta alla regione definire l’articolazione dei presidi ospedalieri in relazione alle caratteristiche dei vari territori. per quanto riguarda invece le strutture residenziale i semi residenziali, l’obbiettivo del piano è di favorire la permanenza a domicilio delle persone anziane non autosufficienti in almeno il 40 per cento dei casi. per quanto riguarda il settore privato, la regione sardegna ha adottato in passato provvedimenti che si sono rivelati del tutto inadeguati. per questo verranno ridefiniti i criteri per l’autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie (verificando prima il fabbisogno della comunità), l’autorizzazione all’apertura e al funzionamento (con la costituzione di un nucleo tecnico per l’istruttoria delle pratiche), l’accreditamento istituzionale (da otto anni si opera in regime di accreditamento transitorio e nessuno ha mai proceduto alla valutazione dei programmi di adeguamento; verranno dunque definite nuove procedure e definiti ulteriori requisiti per poter essere accreditati) e gli accordi contrattuali (come strumento di garanzia, tenendo conto della qualità e dei costi dei servizi offerti). il piano sanitario individua anche gli strumenti per l’innovazione e la conoscenza. è previsto un piano qualità che dovrà valutare l’appropriatezza delle cure, la loro efficacia, la continuità assistenziale, la riduzione dei tempi di attesa e la personalizzazione degli interventi. nascerà l’agenzia regionale per la sanità, con il compito di supportare l’assessorato e le asl nella programmazione e nell’individuazione di nuove metodologie per il governo del sistema sanitario sardo. dovrà essere un laboratorio dove sperimentare strumenti che poi verranno messi a disposizione della sanità isolana. i mutamenti organizzativi e gestionali delineati dal piano comportano una profonda revisione e ristrutturazione del sistema informatico sanitario regionale. dovrà utilizzare progressivamente i nuovi strumenti informatici e telematici, configurandosi come l’infrastruttura portante dell’intera organizzazione sanitario. il sirs dovrà essere decentrato nel territorio per meglio monitorare lo stato di salute della popolazione, l’efficienza e l’efficacia dell’intero sistema socio-sanitario, e la variazione della spesa socio-sanitaria. infine il piano si propone di istituire una rete epidemiologica della sardegna, al fine di raccogliere, elaborare e diffondere conoscenze sui bisogni di salute della popolazione e sui fattori di rischio per la salute. la rete sarà composta dai centri epidemiologici aziendali e sarà coordinata dall’osservatorio epidemiologico regionale, istituito all’interno dell’agenzia regionale sanitaria. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Giu.05 LA GIUNTA DÀ L'OK AL PIANO. CAPELLI (UDC) LE REAZIONI «Sanità, basta con i ricoveri infiniti»: mancano scelte vere Una sola certezza, ma granitica: in ospedale si starà di meno. Ricoveri solo se necessari, e comunque più brevi, ricorso al day hospital e alla cosiddetta medicina del territorio: nel nuovo piano sanitario regionale, saranno dei princìpi cardine. Non i soli, ma emblematici della filosofia della «bozza preliminare» approvata mercoledì dalla Giunta, e illustrata ieri dal presidente Renato Soru e dall'assessore alla Sanità Nerina Dirindin. L'ultimo piano risale a una vita fa: 1985, quando Francesco Cossiga diventava presidente della Repubblica, il Verona di Bagnoli vinceva lo scudetto, e il muro di Berlino sembrava intoccabile. Ora la Giunta ambisce a ridisegnare la sanità sarda, pachiderma che si porta via quasi il 40 per cento del bilancio regionale e dà lavoro a 22mila persone. Ma l'opposizione già affila le armi: «Le vere scelte non ci sono, si tratta di semplici enunciazioni teoriche», è la prima critica, che arriva dall'ex assessore alla Sanità Roberto Capelli. I criteriIn effetti «non è un piano di dettaglio», dicono presidente e assessore. Traduzione: non cercate, in quelle 130 pagine, la sorte definitiva del piccolo ospedale di San Gavino, o quanti posti letto ci saranno a Is Mirrionis. «Abbiamo elaborato dei criteri generali - spiega l'assessore - ma significativi, che poi saranno seguiti da documenti attuativi, con tempi certi: 90 giorni, in altri casi 120». La speranza è che il piano diventi legge entro il 2005. La bozza è articolata in tre sezioni: obiettivi di salute, obiettivi di sistema, strumenti per il funzionamento del sistema. «Ma al centro di tutto ci sono gli obiettivi di salute», sottolinea Nerina Dirindin, e Soru smentisce che interessi solo il taglio della spesa: «Vogliamo dare servizi migliori». Il problema del deficit (oltre 200 milioni di euro annui) naturalmente resta. Lo Stato impone di rientrare, e di raggiungere alcuni livelli standard per la rete ospedaliera: 4,5 posti letto ogni mille abitanti (in Sardegna dovrebbero essere 7.370, al massimo 7.656 data la dispersione della popolazione), utilizzati almeno al 75 per cento. Si prende a prestito dall'inglese l'espressione hub and spoke per descrivere una rete in cui il paziente ricorre ai grandi centri ospedalieri (gli hub) solo quando non bastano i servizi sul territorio. «I piccoli ospedali comunque non chiuderanno», ribadisce Soru. Altro limite da rispettare: 180 ricoveri ogni mille abitanti. Ora sono 226, con relativi costi. Ecco perché sono da ridurre i soggiorni in ospedale, potenziando il day hospital e appunto le alternative di assistenza sul territorio. «Criterio fondamentale sarà l'appropriatezza degli interventi», promette l'assessore, che auspica risultati importanti nella lotta contro alcune malattie molto diffuse (diabete, sclerosi multipla), i tumori, l'Alzheimer, le malattie mentali. L'opposizioneMa il confronto in Consiglio regionale non si annuncia semplice: «Siamo pronti a confrontarci senza pregiudizi», spiega Roberto Capelli (Udc), «e a condividere le buone proposte. Purché ce ne siano di concrete». Capelli teme che la bozza sia troppo generica: «Per quel che si sa, non sembra contenere vere scelte, solo enunciazioni. Come per il piano paesistico: Soru si sta esercitando in lunghe premesse a romanzi che non partono mai. Più che una Giunta di azioni, è una Giunta di prefazioni». Giuseppe Meloni ________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 Mag.05 ASL 6. IL MANAGER: UN ATTACCO AD OROLOGERIA Il direttore generale replica alla Cgil e alle accuse di mancato rispetto del contratto «Come mai soltanto adesso arrivano le contestazioni?» Nessuna chiusura preconcetta e ostinata. Le relazioni con i sindacati sono corrette e trasparenti. La direzione rispetta in pieno l'applicazione del contratto del lavoro dei medici. Il direttore generale dell'Asl n. 6, Franco Trincas, respinge gli addebiti del sindacato e rimanda ogni responsabilità del contrasto fra la Cgil Funzione Pubblica e l'amministrazione dell'azienda sanitaria alla segretaria territoriale Loredana Zuddas. «È dall'inizio dell'estate scorsa, dopo le elezioni regionali, che la sindacalista ricorre con crescente enfasi e parossismo a creare il fatto o il problema, qualificarlo unilateralmente ed arbitrariamente come ha fatto annunciando l'erronea interpretazione da parte dell'amministrazione delle norme del contratto di lavoro, riguardanti essenzialmente la determinazione dei fondi di risultato e di posizione dei dirigenti medici», afferma Franco Trincas. PrecedentiLa precedente amministrazione, in due deliberazioni, la prima del 4 dicembre 1997 e la seconda del 13 luglio 1988, determinò i fondi da assegnare ai dirigenti medici. Deliberazioni dichiarate esenti da vizi dall'Assessorato regionale dell'igiene e sanità. «Come mai la Cgil non le contestò tempestivamente alla precedente direzione in carica fino al 2000? E invece ha aspettato quattro anni per contestarle? », si chiede il direttore generale. La richiesta della Cgil è stata presentata l'anno scorso. «L'abbiamo esaminata con il rispetto dovuto e con una precisa istruttoria che attesta la piena legittimità degli atti ed in particolare la loro conformità alle norme contrattuali, alle indicazioni dell'Agenzia Rappresentanze Negoziali Pubbliche Amministrazioni, sulla materia, nonché agli analoghi atti assunti dalle altre Asl della Sardegna», sottolinea Franco Trincas. ConciliazioneL'ultimo tentativo di conciliazione si è avuto il 10 maggio scorso, presso la direzione del Lavoro di Cagliari. «I rappresentanti dell'amministrazione hanno più volte espresso la volontà di giungere ad un accordo purché venissero fornite e prodotte motivazioni non generiche, ma esaustive e documentate», precisa il direttore generale. E aggiunge: «Abbiamo anche precisato che la procedura, punto cardine della controversia, era conforme alle indicazioni contenute nell'apposito volume emanato dalla Cgil nazionale per i propri rappresentanti ed iscritti, ma senza risultato. Probabilmente il volume in nostro possesso è diverso da quello della segretaria territoriale della Cgil Funzione Publica del Medio Campidano». Contratto La Cgil continua ad accusare la Asl di disattendere in gran parte l'applicazione del contratto, non riconoscendo le forme di incentivazione. L'azienda sanitaria, invece, risponde di aver rispettato in pieno il contratto. «L'ostinazione di portare avanti il contenzioso non è addebitabile all'azienda sanitaria», fa notare Franco Trincas. Giudice del lavoroLa controversia sarà pertanto decisa dal Giudice del lavoro. «È fuor di dubbio ? rimarca il direttore generale ? che prima della sentenza non è consentito a nessuno arrogarsi il diritto di emettere, con sommari giudizi di piazza, sentenza di colpevolezza. Gli atti oggetto della controversia, che furono approvati dalla precedente amministrazione, sono risultati legittimi e conformi, come già riconosciuto dal competente assessorato regionale, alle norme contrattuali allora vigenti, ai chiarimenti emanati dall'Agenzia Rappresentanze Negoziali Pubbliche Amministrative nonché a quelli contenuti nei testi di parte delle organizzazioni sindacali». Gian Paolo Pusceddu ________________________________________________________ Repubblica 1 giu. ’05 OSPEDALI DECENTRATI, INNOVATIVI E "SICURI" Rapporto Censis: l'88,5% degli italiani giudica positivamente i nosocomi. Anche quelli più piccoli di Giancarla Rondinelli Secondo il 38 rapporto del Censis (capitolo Welfare e Sanità), l'88,5 per cento degli italiani (con punte del 94 per cento nel Nord-Est) giudica positivamente l'ospedale. Giudizio positivo che non investe solo la qualità tecnica offerta ma anche quella tranquillità che offre la sua stessa presenza. Questo dato non riguarda solo gli ospedali presenti nelle grandi città ma anche le numerose strutture periferiche, realtà spesso superattrezzate , innovative ma considerate il più delle volte "di serie B". In Italia su circa 800 aziende ospedaliere il 70 per cento è costituito proprio da piccoli nosocomi, localizzati nelle province o nelle periferie, ospedali dove molte volte si realizzano interventi chirurgici innovativi e alla pari di una qualsiasi struttura ospedaliera metropolitana. La realtà, i pregi e le attuali difficoltà dell'ospedale periferico sono stati al centro di un dibattito che si è svolto recentemente a Vittorio Veneto (Treviso): tra i concetti principali emersi quello su "come il progresso moderno trova oggi la sua massima espressione proprio negli ospedali di periferia". "La sanità", spiega Ferdinando Agresta, dirigente medico dell'Ospedale Civile di Vittorio Veneto, "è oggi condizionata da un'importante sviluppo demografico ad alta densità, con un significativo aumento dell'età media della popolazione, e quindi di tutta una serie di patologie legate all'invecchiamento, con alta industrializzazione ed urbanizzazione di tipo "orizzontale" in presenza di una viabilità complessa. Date questa premesse, non è più corretto parlare, fosse solo per una questione di tipo geografico, di "centro" e di "periferia", così come non è più giusto voler definire un ospedale "centrale" o "periferico", ma solo struttura ospedaliera con le proprie peculiarità: quello che è certo però è che non si tratta di un ospedale di serie B, ma soltanto decentrato rispetto a quello centrale di riferimento, di cui è complemento con le sue caratteristiche". Il progresso scientifico trova, dunque, molte volte, espressione e realizzazione proprio negli ospedali più piccoli e periferici. Per il dottor Agresta ciò dipende "da una maggiore snellezza della burocrazia proprio in periferia, che permette con più facilità di essere al passo con i tempi, o forse, per una legge di sopravvivenza culturale che spinge noi medici ad essere al passo con le innovazioni, a farsene portabandiere, per non essere ancora di più penalizzati dalla localizzazione geografica. Ed è forse sempre una 'maggiore snellezza' che porta gli ospedali periferici a dare più spazio ai giovani e quindi alla formazione: quasi sempre si richiede a tutti i componenti dell'équipe di poter e saper fronteggiare le urgenze, di curare la formazione di tutti, specie dei più giovani, che spesso sono i primi chiamati "in campo" anche se coadiuvati da colleghi più esperti e anziani". ________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Giu.05 SANITÀ. POCHI PRIVILEGI PER I PAZIENTI CHE SCELGONO L'ASSISTENZA PRIVATISTICA Ospedale, il lusso della solitudine Camera singola, le tariffe degli alberghi Asl Una singola con bagno? Al Brotzu costa 75 euro al giorno, negli ospedali amministrati dalla Asl 8, 103 ma la prenotazione è possibile solo per chi, all'interno della struttura pubblica, sceglie l'assistenza privatistica (che si paga a parte). Tutto legale: si chiama trattamento alberghiero ed è previsto da un decreto legislativo del '92 poi recepito nel contratto nazionale di cinque anni fa. Quella norma stabilisce che non meno del 5 per cento e non più del 10 per cento dei posti letto delle aziende sanitarie siano dislocati in stanze a pagamento. Camere normaliNiente lussi: cibo, assistenza, farmaci sono gli stessi di chi si accomoda nelle stanze normali. Che peraltro, ormai, il bagno ce l'hanno tutte. Si paga giusto per la solitudine, per non dover aggiungere alla sofferenza della malattia lo strazio dei lamenti dei vicini di letto, il trillo dei loro telefonini, l'invadenza del loro televisore e dei loro parenti. Una scelta che, legge o non legge, suscita poche simpatie: «Chi paga per avere una stanza tutta per sé - osserva il direttore sanitario della Asl 8, Maria Rosaria Ruggiu - viene percepito dagli altri pazienti come un privilegiato». I posti ospedale per ospedaleSparse nei vari reparti, con netta prevalenza dell'Ostetricia e delle varie chirurgie («nelle medicine - spiega ancora la Ruggiu - l'affollamento è eccessivo»), le stanze singole a disposizione dei pazienti cagliaritani sono 50 al Brotzu, 24 al San Giovanni di Dio, 24 al Santissima Trinità, 15 all'Oncologico, sette al Marino, sei al Binaghi, tre al San Marcellino di Muravera. In totale, 129. Nella stanza singola la Asl 8 permette anche di aggiungere un letto per un parente: in questo caso si paga una tariffa aggiuntiva di circa 23 euro al giorno. Ma quanti cagliaritani sono disposti a mettere mano al portafogli per garantirsi il comfort di una degenza solitaria? «Tre o quattro pazienti al mese in Ostetricia, due all'anno in Medicina», calcola il direttore generale del Brotzu, Franco Meloni. «Pochissimi», gli fa eco Maria Rosaria Ruggiu, che però non ha dati specifici sotto mano sugli incassi "alberghieri" della Asl 8. Pubblico e privatoNelle sette cliniche private della città, il fenomeno delle stanze a pagamento non esiste: «Si lavora a convenzione con il sistema sanitario pubblico», assicura Piero Bua, presidente regionale dell'Aiop, l'associazione che raggruppa i titolari di case di cura private, «che per ogni prestazione, a prescindere dalla durata della degenza, riconosce una tariffa (il drg). Con questo sistema, di fatto, è praticamente scomparsa l'attività privatistica nelle cliniche private». Ma non, per paradosso, negli ospedali pubblici. Dove, sempre in base al famoso decreto legislativo del '92 poi recepito nel contratto nazionale, i medici possono svolgere in ospedale, al di fuori dell'orario di lavoro, attività professionale per i loro conti (tecnicamente: intramoenia). Pagare o attenderePagando, il paziente ha la possibilità di farsi visitare (negli stessi reparti), operare (nelle stesse sale), fare un'ecografia (con gli stessi macchinari) in tempi ragionevoli, saltando le ormai famigerate liste d'attesa. In cambio dell'uso di ambulatori, letti, attrezzature, lo specialista destina una quota del suo onorario all'ospedale. La Asl numero 8 incassa il 50 per cento: «Una forma di partecipazione alle spese», spiega la dottoressa Ruggiu. Al Brotzu, che è un'azienda sanitaria a sé stante, la disponibilità di stanze singole è sganciata dall'attività intramoenia. Non foss'altro perché quest'ultima, secondo una norma non scritta, è bandita: «La legge la prevede», spiega il direttore generale, Franco Meloni, «ma la nostra azienda la scoraggia e i nostri medici di fatto non la praticano. È un fenomeno antipatico, c'è poco da dire. Non è bello vedere che chi può permettersi di pagare salta la fila». Marco Noce 02/06/2005 ________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Giu.05 Salute. Convegno al Brotzu LE ALLERGIE COLPISCONO UN SARDO SU CINQUE: LE NOVITÀ NELLE TERAPIE Un sardo su cinque soffre di allergia. Una media in linea con quella italiana, e che ha registrato negli ultimi quindici anni un'impennata: dal 10 al 20 per cento. Senza dimenticare l'aspetto economico: solo gli antistaminici sono mutuabili, mentre gli spray nasali costano sui 15 euro, spesa che, per chi ha un reddito basso, incide sul bilancio familiare. L'interesse per patologie, terapie e medicinali legati all'allergia è confermata dai numeri della prima giornata sarda di allergologia, che si terrà oggi e domani nella sala congressi dell'Azienda ospedaliera Brotzu: 200 medici iscritti e relatori di fama internazionale. «È necessario aggiornarsi ? spiega il dottor Pierpaolo Piras, presidente dell'Aatos (Associazione degli allergologi territoriali e ospedalieri della Sardegna, nata tre anni e affermata nell'isola) e organizzatore del congresso ? Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita dei disturbi e delle malattie allergiche. Nello stesso periodo però si sono sviluppate le terapie e i medicinali. E oggi è più semplice curarsi rispetto a 15 anni fa, grazie all'efficacia degli interventi. Non bisogna però allentare la presa». I lavori saranno aperti oggi alle 15,30. Poi la prima sessione, dedicata ai pollini e pollinosi: saranno presentati i dati sui rilevamenti pollinici in Sardegna, fatti dal centro situato a Gonnosfanadiga, diretto dal dottor Giuseppe Ronchi. Seguiranno gli interventi di Renato Ariano (Allergeni emergenti nel territorio nazionale) e Franco Frati (La marcia allergica). Domani la seconda giornata, divisa in due parti. La mattina, dalle 9 alle 13, la sessione dedicata a Patologia e terapia antiallergica. «Tra gli argomenti presentati dai colleghi di Cagliari, Milano e Padova, oltre che dal sottoscritto, i metodi per curare la rinite allergica ? aggiunge Piras, che guida il servizio diagnosi e terapia della rinite allergica dell'ospedale Santissima Trinità dell'Asl 8 ("Un servizio al pubblico con semplice impegnativa", tiene a precisare il dottore) ? Tra le terapie mediche in grado di cambiare la storia clinica del malato allergico c'è l'immunoterapia, cioè un tipo di vaccino. Impedisce il peggioramento, fino ad arrivare all'asma bronchiale». I medicinali classici, come spray e antistaminici sono terapeutici per combattere le forme più lievi. Nei casi più gravi è necessario ricorrere all'immunoterapia. Chiuderà la due giorni, sempre domani, dalle 15 alle 19, la sessione infermieristica: «Gli infermieri professionali ? ricorda l'organizzatore del congresso, che dà agli iscritti i crediti obbligatori per legge ? sono una figura importante e indispensabile nel settore». Allergia, dunque, per un sardo su cinque, a rischio tutte le fasce d'età. Ma perché l'allergia trova oggi terreno fertile per sviluppare la sua azione? «Siamo ancora distanti da un risposta definitiva ? conclude Piras ? Tra le ipotesi il benessere, l'eredità genetica, i cambiamenti nell'ambiente». Matteo Vercelli __________________________________________ Avvenire 3 giu. ’05 ARRIVA LO STRESS DA ESAME Insonnia, crisi di panico e attacchi d'ansia: gli esami 1 fanno ammalare otto universitari su dieci, che in vista della sessione estiva si ritrovano a dover convivere con attacchi d'asma e di emicrania, stati euforici seguiti da periodi di depressione acuta e ogni tipo di malattie psicosomatiche. E tra chi ricorre all'omeopatia, chi non riesce più a mangiare, chi invece non dorme per giorni e giorni, sono sempre di più gli studenti che ricorrono a farmaci, integratori e alcolici per superare lo stress da esame. A fotografare la condizione degli universitari che si accingono ad affrontare la sessione estiva è l'indagine realizzata dalla rivista Campus, in edicola, su 1.024 studenti, maschi e femmine, tra i 19 e i 26 anni, secondo la quale sempre più spesso ci si ammala di stress da esame: basti pensare che gli studenti che affrontano con serenità l'esame di fine corso sono davvero una sparuta minoranza (7%). Otto studenti su dieci (81%), infatti, in vista della sessione estiva si trovano a vivere un vero e proprio calvario: abitudini stravolte, tensione crescente e ogni genere di malessere. ______________________________________________ MF 31 Mag.05 STAMINALI IN DIFESA DEL FEGATO A volte, la soluzione di un problema può essere più a portata di mano di quanto non si immagini: un gruppo di ricercatori Londinesi dell’HammerSmith hospital sta valutando, per ora su soli cinque pazienti, la possibilità di risolvere le malattie croniche del fegato iniettando al paziente, le cellule staminali estratte dal suo,stesso midollo. Queste, se opportunamente trattate, andrebbero a rigenerare i tessuti lesi dalla malattia. i disturbi-epatici cronici stanno provocando un numero corescente di decessi, complici l’aumentato consumo di alcol (anche tra i giovanissimi) e l'obesità, cui si ;aggiunge la preoccupante previsione di una crescita delle infezioni da virus dell'epatite nei prossimi vent’anni. Per i pazienti afflitti da disturbi cronici del fegato l'unica possibilità attuale è quella dei trapianto d'organo, la cui disponibilità è tutt'altro che illimitata. In questo quadro si colloca l'urgenza di nuove opportunità terapeutiche, tra cui una delle più allettanti sembra fornita dalle cellule staminali: i disturbi epatici cronici, infatti, portano a una perdita cellulare e alcune ricerche sperimentali hanno mostrato come le staminali del midollo osseo, se stimolate, possono dare origine agli epatociti. Un recente studio giapponese, pubblicato sul New Scientist ha valutato l'efficacia dell'iniezione delle, staminali del midollo in un gruppo di topi li cui fegato era stato danneggiato artificialmente iniettandovi sostanze chimiche che cantano la fibrosi (una condizione che può evolvere a Cirrosi epatica). Dopo quattro settimane, i ricercatori hanno estratto le cellule staminali dal midollo di topi donatori e le hanno sottoposte ad un trattamento per seguire meglio il percorso nel corpo delle cavie. Dopo poche settimane, le cellule iniettate erano migrate nel legato e a otto settimane la quantità di tessuto fibroso era diminuita in modo significativo. Le cellule staminali sembravano differenziarsi in,cellule epatiche e produrre una grande quantità di proteine in grado di dissolvere il tessuto fibrotico. Nessun miglioramento, invece, per i topi di controllo che non avevano ricevuto l'iniezione di staminali ma il cui fegato era stato danneggiato allo stesso modo. Lo studio preliminare inglese è tra i primi ad esplorare, la possibilità che questa tecnica sia trasferibile tale, quale anche, nell'uomo. il presupposto dello studio, infatti, non è quello, di valutare l'efficacia della procedura, ma solo di saggiarne la sicurezza, tant'è che è stata iniettata una frazione minima di cellule staminali a un numero di pazienti ristretto. Il sangue dei cinque partecipanti coinvolti è stato filtrato e separato nelle, suo componenti principali e le cellule staminali isolate dai globuli bianchi e iniettate nell'arteria del fegato sotto anestesia locale. I pazienti sono stati seguiti con regolarità per registrare qualunque segno di reazione al trattamento o di miglioramento. I risultati, seppure preliminari sono incoraggianti e gli studiosi aspettano di iniziare la seconda fase dello studio che coinvolgerà più persone cui verranno iniettate preparazioni contenenti un numero maggiore di staminali: quota fase servirà ad appurare anche l'efficacia del trattamento, Nel frattempo bisognerà guardare con occhio attento ai futuri sviluppi: come Per tutte o le nuove tecnologie, anche in questo caso non si può prevedere se e quando saranno fruibili nella pratica clinica ______________________________________________ Il Sole24Ore 2 giu. ’05 LA PROSSIMA SFIDA È LA METABOLOMICA Individuare, con rapidi superesami non invasivi, condotti su campioni biologici (urina o siero del sangue), una schiera di piccole molecole che con i loro segnali possono rivelare la presenza di tumori (o altre malattie) allo stadio iniziale - e perciò curabili - in qualunque distretto dell'organismo si siano formati. È questo l'obiettivo della metabolomica, la scienza che sta prendendo quota e mira fra l'altro a verificare la reale efficacia e gli effetti collaterali dei farmaci. Su di essa si concentrano un grande interesse e un forte impegno inter:nazionale, con rilevanti finanziamenti. I marcatori con i quali si conta di ottenere diagnosi precoci sono i metaboliti, 1e sostanze (5- 6mila, quelle già note) che, prodotte dalle proteine, insieme con queste prendono parte alle reazioni e ai processi biochimici vitali all'interno della cellula. L'organismo che sta per ammalarsi rivela variazioni dei metaboliti, che possono essere riscontrate con l’impiego della risonanza magnetica nucleare. Cordata di ricerca. In Europa la metabolomica è in marcia; si è costituita una robusta cordata di ricerca, basata sul criterio della collaborazione tra atenei, grandi laboratori e imprese, che arriva all'Università di Firenze, partendo dall'Imperial College di Londra passando per la Bruker di Karlsruhe e quella di Milano. Nel Polo biomedico e nel Polo scientifico di Firenze l'iniziativa fa perno sul Centro di risonanze magnetiche (Cerm) dell'Università, il maggiore laboratorio italiano del settore. Nella fase di start-up, l'intero progetto Metabolomica Londra- Karlsruhe-Firenze può contare su risorse finanziarie per circa tre milioni di euro, equamente divisi tra l'Imperial College (che si occuperà soprattutto di indicatori sui possibili effetti tossici dei farmaci), la Bruker (che fornirà know how, macchinari e data base) e i poli fiorentini. A questi sono affidati gli studi sulle diagnosi precoci e sull'efficacia e tossicità dei farmaci antitumorali. Firenze mette a disposizione del progetto Metabolomica gli impianti del Cerm e circa 50 tra consulenti, ricercatori e operatori. Per la parte di competenza italiana, il pro;;etto può contare sui finanziamenti del Cerm, di FiorGen (la fondazione di farmacogenomica che studia i farmaci ad personam) e di Protera (spin off dell'Università di Firenze per la ricerca di nuovi farmaci). Il Cern riunisce un centinaio di giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo, è finanziato dal Miur, dalla Commissione europea e da fondazioni bancarie, e ha un budget annuo consolidato di 2,5 milioni di euro. Il super-esame. In che cosa consiste il super-esame a base di metaboliti marcatori? «I campioni di fluido biologico (urina o siero) vengono immersi nel campo magnetico e, in base al comportamento dei nuclei degli atomi di idrogeno (i protoni), si ottiene lo spettro metabolomico, che è in pratica la fingerprint, l'impronta digitale, di ogni singola molecola - spiega Ivano Bertini, direttore del Cerm -. Combinando insieme risonanza magnetica e spettrometria di massa, si potrà accertare anche il peso molecolare di ciascun metabolita e il numero complessivo delle molecole». La svolta. Se l'obiettivo della metabolomica verrà raggiunto, si registrerà una svolta sul piano della prevenzione secondaria. Poiché i metaboliti rilasciati nei fluidi biologici sono molto indicativi, basterà un semplice prelievo di urina o di sangue, e un esame che dura in tutto mezz'ora, per scoprire la presenza di un tumore ai primi stadi. Si avrà perciò a disposizione uno strumento efficace per uno screening di massa «e almeno un terzo di quanti oggi muoiono di cancro potrebbero essere salvati» fa notare Alessandro Quattrone, che ha lasciato il posto di professore associato alla John Hopkins University di Washington per lavorare nel Polo scientifico dell'Università di Firenze. Le applicazioni. Questa emergente linea di ricerca ha un campo di applicazione molto vasto. Grazie alla nuova metodica, si potrà verificare come l'organismo umano metabolizza sia il cibo sia i farmaci. Le ricerche sono seguite con molta attenzione dall'industria alimentare, dalle case farmaceutiche e anche dai produttori di mangimi. I risultati cui si tende sono molto raffinati, spiega Bertini: «Sarà possibile stabilire come cibo e farmaci vengono metabolizzati in maniera diversa dai diversi soggetti, in base alle caratteristiche del loro Dna. Perché la nuova tecnica mira ad accertare anche l'esistenza di errori genetici che possono portare a questa o a quella malattia oppure favorire la tendenza a svilupparle». E la sofisticata conoscenza può essere fornita dalle mappe globali di variazioni dei metaboliti. «Di alcune centinaia di essi, genetisti e biochimici stanno imparando a registrare i segnali - fa sapere Quattrone -. Oggi, nelle normali analisi di laboratorio, si misurano già alcuni metaboliti, per esempio il glucosio o l'acido urico. Ma sono molto pochi; invece è indispensabile conoscere il panorama globale delle reazioni metaboliche, per capire come funziona l'organismo e quali sono le differenze fra individuo e individuo». Perciò, dopo geni e proteine, è l'ora dei metaboliti. L'informazione che forniranno è necessaria anche per valutare l'effetto reale prodotto da una terapia in corso, e per renderla più mirata. La metabolomica dà una mano alla farmacogenomica. Malattie neonatali. Un'altra applicazione consiste nell'individuare marcatori di malattie neonatali o di eventi come la sindrome della morte improvvisa dei neonati (fenomeno le cui cause sono tuttora sconosciute e che non è preceduto da alcun indizio). «Abbiamo avuto il compito di studiare l'urina dei bambini nel periodo perinatale. La metabolomica potrebbe permetterci di controllare malattie di cui finora non si è riusciti a fare alcun esame approfondito - dice Bertini, che è anche presidente del comitato scientifico di FiorGen -. «L'urina dei neonati può essere una fonte preziosa di informazioni, perché non è influenzata da un passato biologico del paziente». Luigi Dell'Aglio ________________________________________________________ Le Scienze 3 giu. ’05 L'EMOGLOBINA FALCIFORME PROTEGGE DALLA MALARIA La protezione è ereditaria e aumenta nei primi dieci anni di età In uno studio pubblicato sulla rivista "PLoS Medicine", alcuni ricercatori spiegano come un'anomalia delle cellule del sangue può fornire ai bambini una sostanziale protezione contro la malaria nei loro primi dieci anni di vita. L'anomalia in questione è una deformazione falcemica delle cellule, una caratteristica ereditaria che, nella sua forma peggiore, può provocare l'anemia falciforme o mediterranea. Thomas N. Williams e colleghi del Kenyan Medical Research Istitute hanno scoperto che questa protezione - che coinvolgerebbe il sistema immunitario - aumenta durante l'infanzia fino ai dieci anni, e poi declina. La malaria causa circa un milione di morti l'anno, in gran parte bambini nell'Africa sub-Sahariana. Da tempo è noto che nelle aree più colpite dalla malattia, il gene per l'emoglobina falcemica (HbS) è molto comune. La protezione contro la malaria si verifica nelle persone che possiedono un gene normale e uno falciforme (eterozigosi), e studi precedenti avevano suggerito che fosse dovuta a un processo immunitario. Per chiarire se la protezione fornita dall'HbS fosse innata o variasse con l'età, gli autori hanno studiato una forma specifica di malaria dipendente dall'età in un campione di abitanti (bambini e adulti) nel distretto di Kilifi, sulla costa del Kenya. La protezione contro la malattia cresce fino al 60 per cento all'età di dieci anni, per poi calare nei bambini più grandi. Gli autori hanno anche ipotizzato quali possano essere i meccanismi con cui HbS può influenzare l'immunità, per esempio un'acquisizione accelerata di anticorpi alle proteine alterate espresse sulla superficie dei globuli rossi infetti dalla malaria. T. N. Williams, T. W. Mwangi, D. J. Roberts, N. D. Alexander, D. J. Weatherall, et al., "An immune basis for malaria protection by the sickle cell trait". PLoS Medicine 2(5): e128 (31 maggio 2005). ________________________________________________________ Le Scienze 2 giu. ’05 IL BISFENOLO A FAVORISCE I TUMORI DEL SENO I ricercatori hanno studiato gli effetti di questa sostanza sulle femmine di topo L'esposizione a una sostanza chimica che si trova nella plastica potrebbe aumentare il rischio delle donne di sviluppare un tumore del seno. Lo suggerisce uno studio sui topi pubblicato sulla rivista "Endocrinology", nel quale la biologa cellulare Ana Soto della Tufts University e colleghi hanno scoperto che piccole dosi della sostanza (il bisfenolo A) aumentano lo sviluppo del tessuto del seno. Negli esseri umani, l'elevata densità del tessuto del seno è considerata un fattore di rischio per il cancro. Il bisfenolo A si trova in molti tipi di plastica, e in seguito a riscaldamento può penetrare nei cibi. La sostanza è contenuta anche in alcuni prodotti dentari e nei rivestimenti delle lattine. Le industrie cominciarono a usarlo negli anni cinquanta, ma recentemente gli scienziati hanno scoperto che la sostanza imita l'ormone estrogeno. Poiché l'estrogeno svolge un ruolo cruciale nello sviluppo del sistema riproduttivo e di altri organi del feto, i ricercatori si sono preoccupati che l'esposizione al bisfenolo A nell'utero potesse causare problemi. Un recente studio aveva rivelato che i topi maschi esposti in questo modo al composto artificiale presentavano livelli anormalmente elevati di crescita nelle ghiandole della prostata. Ora un altro gruppo di ricercatori ha studiato gli effetti di questa sostanza sui topi femmina. Gli scienziati hanno ipotizzato che il bisfenolo A potesse rendere i tessuti del seno più sensibili agli effetti dell'estrogeno. Gli esperimenti mostrano che i topi esposti al composto nell'utero sviluppano significativamente più tessuto in alcune parti delle ghiandole mammarie rispetto agli animali di controllo. © 1999 - 2005 Le Scienze