UNIVERSITÀ DA RIFONDARE - UNIVERSITÀ, DIETRO FRONT SULLA RIFORMA - DECLEVA ATTACCA LA RIFORMA: RICERCATORI PENALIZZATI - CONCORSI RIFORMATI UN INUTILE PASTICCIO - MOBILITAZIONE CONTRO IL DDL SUI DOCENTI - W LA RICERCA, MA NON IN ITALIA - LE «SLIDING CHAIRS» NON SONO IL PRECARIATO - UNIVERSITÀ, AFFARI DI FAMIGLIA; IN CATTEDRA PADRI E NIPOTI - CONCORSI PILOTATI, QUALCUNO MI SPIEGHI DOV'È LA NOVITÀ - LE CARRIERE, LE CATTEDRE E LA BATTAGLIA NEGLI ATENEI - GLI ABUSI CI SONO E I CONCORSI COSÌ NON FUNZIONANO - LA RETORICA DELLA RICERCA - FERRONI: LA MORATTI PEGGIO DI BERLINGUER - BRICKS, LA VIA EUROPEA ALLE BIBLIOTECHE DIGITALI - DIFESA DEI BREVETTI I RITARDI ITALIANI - LA CARICA DEGLI ATENEI ONLINE, ANNO ACCADEMICO IN RETE - CAGLIARI: SUPERCONDUTTORE, IL LAVORO VIAGGIA NEL FUTURO - CANEVACCI A SORU: LA SCIENZA PUNTA SULLA SARDEGNA - CAGLIARI: BIOLOGIA FACOLTÀ AUTONOMA - ======================================================= DIRINDIN: SULLE ASL NON DECIDANO I PARTITI - CAGLIARI: HAI UN INFARTO? TI SOCCORRE IL POLIZIOTTO - CARO BUSH, L'EMBRIONE NON È QUESTIONE DI FEDE - INFERTILITÀ, UNA BOMBA CHE DEVASTERÀ L'EUROPA - LA RISONANZA MAGNETICA SVELA I SEGRETI DELL'ORGASMO - LA TAC DIVENTA INTELLIGENTE E ANCHE PIÙ DELICATA - LA DIAGNOSTICA MOLECOLARE PERMETTE TERAPIE ONCOLOGICHE PRECOCI E MIRATE - SCOPERTE LE CELLULE CHE RIPARANO IL CUORE - ESTROGENI "SORVEGLIATI" PIÙ STUDI SULLE DONNE - IL BIMBO IN OSPEDALE? VA ANCHE PER LA TOSSE - LA BASE BIOLOGICA DEI RITMI CIRCADIANI - ======================================================= ___________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25 giu. ’05 UNIVERSITÀ DA RIFONDARE di GIUSEPPE REMUZZI Qualcuno avrà visto su Rai3 il programma di Riccardo Iacana «W la Ricerca». Un'inchiesta impietosa ma ben documentata (con qualche pecca). E' emerso chiaramente che per la nostra università non è più tempo di riforme. Se si vuole competere almeno con le altre d'Europa bisogna rifondarla: si, farne una diversa. Bastano poche regole, fra l'altro semplici, quelle stesse che hanno fatto grandi le grandi università di Stati Uniti e Inghilterra, ma anche dell'Olanda, della Svezia e adesso della Spagna. Invece da noi, ogni qualche anno, c'è qualche piccola riforma che o non cambia niente o fa peggio. L'ultima, quella sulla carriera dei docenti, non è proprio piaciuta al rettore della Statale di Milano che l'ha definita «scandalosa» e «clientelare». Da noi ci sono troppe cattedre, professori troppo su di età e che (anche quando non pubblicano) sono pagati, dopo 35 anni, di più della maggior parte dei loro colleghi degli Usa. Ma i vani non hanno futuro, e così i migliori vanno all'estero. E la nuova riforma? Fa ancora più professori («Concorsi riformati, un inutile pasticcio», scrive Roberto Perotti sul Sole 24 Ore) e niente per i giovani. Se passa, saranno professori («aggregati» i ricercatori, ma anche i tecnici «esperti», promossi tutti, bravi e non (il contratto - é per 3 anni, rinnovabili per sempre). Tutto il contrario di quanto hanno chiesto i commentatori più qualificati. E adesso si discute sui concorsi (locali o nazionali, e se i commissari debbano essere estratti a sorte). Ma perché non distribuire i fondi a chi la ricerca la fa davvero? Così i concorsi non servirebbero più perché nessuno avrebbe interesse a tenersi docenti locali (il 90% di chi vince un concorso viene dalla stessa università che lo bandisce) o mediocri. I professori negli altri Paesi vengono pagati in base ai risultati della ricerca, ma da noi sembra che i rettori non abbiano l'autorità per farlo: dipende dal ministro, dicono. Sarà. Ma possibile che in un momento così critico per la ricerca (e cioè per il futuro del Paese) dieci rettori di grande prestisano essere wcoltati dal goverun'ora. Provate a fargli vedere la videocassetta di Rai3, Forse potreste, invece di chiedergli più soldi, dire che siete tutti d'accordo a dare di più a chi fa più ricerca, e nel chiudere quelle sedi dove di ricerca se ne fa poca o niente. E chiedetegli subito un decreto legge per dare di più ai ___________________________________________________ Il Sole24Ore 22 giu. ’05 UNIVERSITÀ, DIETRO FRONT SULLA RIFORMA La maggioranza pronta a introdurre modifiche al disegno di legge approvato alla Camera - Parla Tosi (presidente della Crui) Forza Italia: provvedimento lacunoso e ipocrita» - Alleanza nazionale: «Soluzioni contrattuali di tipo privatistico» ROMA o Sulla meritocrazia tutti d'accordo: l'università deve premiare i migliori, chi riesce a produrre risultati scientifici e didattici incontestabili. La strada indicata da Robero Perotti ieri dalle colonne del Sole-24 Ore, raccoglie consensi trasversali, da un fronte all'altro degli schieramenti politici. Poi, però, cominciano distinguo e precisazioni, che aumentano non appena il tiro si sposta sul disegno di legge per il riordino delle carriere dei docenti universitari fumato dal ministro Moratti e approvato dalla Camera nei giorni scorsi. Così la prospettiva di una riforma si allontana sempre di più. Franco Asciutti (FI), presidente della commissione Istruzione al Senato, non ha dubbi: «È tempo di dire a chiare lettere che le università devono poter chiamare a lavorare chi meglio credono, potendo gestire in proprio contratti e retribuzioni dei professori. Sul Ddl si dovrà intervenire perché è lacunoso e ipocrita. Vorrei anche sottolineare che non tutto è così a tinte fosche: nelle nostre università ci sono anche livelli di riconosciuta eccellenza sul piano internazionale. Tanti atenei italiani lavorano in collaborazione con i più importanti centri universitari del mondo». «Condividiamo il severo giudizio di Confindustria sul Ddl - afferma Walter Tocci, responsabile università dei Ds - quando afferma che il testo "consolida le posizioni conservatrici e deprime le speranze meritocratiche". Se passa questa legge si chiuderanno le porte ai giovani talenti per i prossimi dieci anni. Per questo chiediamo il ritiro del Ddl e proporremo di utilizzare i pochi mesi di lavoro parlamentare per approvare alcuni provvedimenti davvero utili per l'università. Prima di tutto - conclude il parlamentare Ds - va realizzata la valutazione continua dei professori universitari, prevedendo anche una dinamica salariale non più legata solo all'anzianità, com'è adesso, ma in base alla produzione scientifica, all'attività didattica e ai compiti gestionali. Meno burocrazia, più libertà e più responsabilità. Chi farà bene verrà premiato, chi utilizzerà male l’autonomia ne subirà le conseguenze». Giuseppe Valditara, senatore e responsabile università di An, pur riconoscendo il valore del merito, ritiene che la parola chiave sia un'altra: «Bisogna fare spazio alla liberalizzazione. Mi indigno e mi ribolle il sangue quando sento parlare di "precari" con riferimento all'università italiana. Come se ci fosse il diritto al posto fisso per chiunque e comunque». Poi Valditara propone la sua ricetta: «Stipendi commisurati a quello che uno fa, con soluzioni contrattuali di tipo privatistico. Ci vuole molta flessibilità, oppure ci ritroveremo con l'università di tipo burocratico-socialista, dove il merito non conta e i professori non hanno alcuno stimolo a impegnarsi». Sul disegno di legge, l'esponente di An è drastico: «Così com'è non può essere approvato. Gli emendamenti dei Ds lo hanno snaturato: in una cornice di concorso nazionale si introduce il concorso locale. Per non parlare della distribuzione a pioggia del titolo di professore». Per Franca Bimbi, parlamentare e responsabile università della Margherita, va «sostenuto fortemente un discorso di merito ma anche di selezione. Per esempio, ricercatori e docenti universitari devono avere come formazione il dottorato di ricerca. Invece, l'attuale disegno di legge trasforma tecnici, o esperti generici, in professori universitari: una dequalificazione enorme dell'intero sistema. Da noi manca l’incentivazione all'assunzione di giovani, non a caso avevo proposto di finalizzare all'assunzione di giovani con il dottorato di ricerca, almeno il 40% dei bilanci delle singole università». LUIGI ILLIANO ________________________________________________ Corriere della Sera 23 giu. ’05 DECLEVA ATTACCA LA RIFORMA: RICERCATORI PENALIZZATI Il rettore della Statale: a rischio progetti e innovazione. Diana Bracco: gli atenei si adeguino ai tempi del mercato MILANO. L’occasione: la cerimonia di consegna dei diplomi ai dottori di ricerca in Statale. L’accusa del rettore: «Il progetto di riforma dello stato giuridico dei docenti è velleitario. Lo scandalo è aver introdotto la figura imprecisa di professore aggregato che non ha niente a che fare con la ricerca. È un provvedimento clientelare». Lo sprone del presidente degli imprenditori: «Il sistema universitario deve imparare a comprendere le esigenze delle imprese, a tener conto dei tempi che il mercato impone». Enrico Decleva e Diana Bracco. A confronto davanti a 349 giovani ricercatori che ieri festeggiavano il loro diploma. Il primo a prendere la parola è Decleva, rettore dell'Università degli Studi e vicepresidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui). Orgoglioso per i suoi studenti e furioso per il disegno di legge sui professori universitari: «Un pasticcio normativo frutto di un lavoro legislativo non accettabile. Si tratta di un articolato di cui oggi nessuno vuole più assumersi la paternità. E che pretende di fare interventi sostanziali senza finanziamenti». Decleva non si fa illusioni: «La nostra situazione è sana, ma non florida. Non ci sarà una lira in più per i giovani ricercatori». Lo «scandalo vero», per il rettore e per tutto il senato accademico, sarebbe il conferimento del «titolo di professore aggregato» che «servirà a richiamare personale che non ha nulla a che fare con la ricerca». Ancora. Un provvedimento «che introduce una struttura clientelare». La platea muta ad ascoltare. Nell’aula magna di via Festa del Perdono non vola una mosca. Poi un auspicio: «Che malgrado le difficoltà ci sia un futuro di soddisfazioni per i dottorandi». E uno scatto d’orgoglio: «Siamo considerati una banda di malfattori, ma produciamo bravi ricercatori che trovano lavoro all’estero. Allora un certo merito ce l’abbiamo ancora, anche se bisognerebbe che i capaci tornassero». Applausi e l’intervento di Diana Bracco, neopresidente di Assolombarda. Tra analisi e stimoli per il futuro. «Occorre realizzare condizioni favorevoli allo sviluppo del dottorato potenziando le occasioni di scambio con le imprese». Secondo la presidente degli imprenditori milanesi «i giovani ricercatori devono acquisire sul campo sia competenze manageriali, sia la voglia di tradurre in iniziative imprenditoriali la loro cultura scientifica». Quindi Milano. «È una realtà di eccellenza - continua Diana Bracco - ma l’impresa che si sviluppa a Milano tiene contro dell’alta formazione? Ed esiste davvero un osmosi tra mondo accademico e delle imprese? Purtroppo, non ancora quanto vorremmo. Certo, qui c’è un humus favorevole all’innovazione. Ma il sistema universitario deve fare propria la cultura del rischio». A. Sac. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 21 giu. ’05 CONCORSI RIFORMATI UN INUTILE PASTICCIO DI ROBERTO PEROTTI a legge di riforma dell'università, che incorporava seppur confusamente alcune idee interessanti, grazie all' azione congiunta delle molte lobbies del settore si è trasformata in un insieme complicatissimo di regole, casi, contratti, corsie preferenziali e concorsi riservati a categorie speciali. Fortunatamente, il dibattito è in gran parte un discettare sul sesso degli angeli. Non fa alcuna differenza se nell'università italiana i concorsi saranno nazionali o locali, se i ricercatori avranno o meno il diritto di fregiarsi del titolo di professore (aggregato) e se i professori saranno formalmente valutati o no. Le distorsioni del sistema sono tali per cui qualsiasi norma verrà facilmente aggirata. E molte delle durissime critiche provenienti dall'establishment universitario sono il frutto di una devastante ipocrisia. Finanziamento. Tutto l'establishment universitario si è opposto con veemenza a una riforma "a costo zero«. Ma all'università italiana non mancano i soldi, bensì un sistema di incentivi corretto. Anziché premiare la produttività scientifica, in Italia si premia, e molto generosamente, esclusivamente un solo fattore: l'anzianità di servizio. Il salario di un professore ordinario italiano con 35 anni di anzianità è più alto di quello dell' 80% dei professori ordinari delle migliori università statunitensi (si veda "Lo splendido isolamento dell'università italiana" in www.igier.unibocconi.it/perotti). Il rovescio della medaglia di tanto rispetto per l'esperienza è che non rimangono risorse per i ricercatori più giovani e produttivi, che sono quindi costretti a emigrare all'estero. Il risultato è prevedibile: in un campione di 40 concorsi per professore ordinario in economia da me analizzati (si veda "The Italian University System: Rules vs. Incentives" sempre sullo stesso sito) il 50% dei commissari (tutti professori ordinari) non aveva alcuna pubblicazione nelle riviste sottoposte al vaglio della comunità scientifica, le uniche che contano per le promozioni negli Stati Uniti. E in metà dei concorsi i commissari avevano un numero medio di tali pubblicazioni inferiore a quello dei candidati. Non mi risulta che la Crui, la Conferenza dei rettori così intraprendente nel difendere l'università italiana da tutto e da tutti, abbia mai protestato perché i salari di molti ordinari sono troppo alti per quello che producono. Concorsi. Il 90% dei vincitori di concorsi per ordinario provengono dall'università che ha indetto il concorso. Per tentare di ovviare a questa situazione incestuosa, la Camera non è ricorsa a mezze misure: il testo approvato mantiene i concorsi locali, ma proibisce ai professori locali di far parte delle commissioni giudicatrici; allo stesso tempo, in un diverso comma, sembra anche prevedere un ritorno ai concorsi nazionali. La buona notizia è che questo pasticcio non avrà conseguenze di rilievo. Il sistema si basa su uno scambio di favori tra università: oggi il mio commissario fa vincere il tuo portaborse, domani mi ricambierai il favore. In mancanza di incentivi corretti, questo scambio sopravviverà con i concorsi nazionali o con quelli locali, con o senza il commissario interno. In un recente concorso a Modena e Reggio tutti i cinque membri della commissione provenivano da altre università. Eppure la commissione ha promosso i due insider, ed è riuscita a bocciare una giovane storica economica tra le più promettenti a livello mondiale, Maristella Botticini, che ha successivamente ottenuto la cattedra a vita in una delle migliori università statunitensi, la Boston University. La candidata aveva due pubblicazioni fra le prime cinque riviste del mondo e quattro fra le prime 70. Il totale delle pubblicazioni nelle prime 70 riviste al mondo dei membri della commissione era zero ("II Bollettino dei Concorsi No. 3", www.igier.unibocconi. it/perotti). Reclutamento, promozioni. Il disegno di legge prevedeva per ricercatori, associati e ordinari periodi di prova in varie forme, misure fortemente avversate dalla Crui e da gran parte dell'establishment: la nozione che il posto all'università vada conquistato dimostrando di saper fare ricerca ad alto livello era ovviamente un ennesimo tentativo di "precarizzare" gli intellettuali italiani. Secondo il testo approvato, i ricercatori (o i loro equivalenti: il nome sembra destinato a scomparire) saranno quindi assunti con contratti triennali rinnovabili indefinitamente - un invito aperto alle università con problemi di bilancio a utilizzare indefinitamente questi contratti per rifornirsi di insegnanti a basso prezzo. Ma chi si è opposto strenuamente al principio che i ricercatori fossero promossi o bocciati dopo un massimo di 6 anni? Per l'establishment italiano nell'università si può solo entrare, ma non se ne può uscire.. Eppure, nei dieci anni che ho passato al dipartimento di economia della Columbia University di New York, su circa 25 assistant professor che sono stati assunti, solo tre hanno ottenuto la cattedra a vita. Gli altri sono stati costretti a lasciare quel dipartimento e molti hanno lasciato l’ accademia per lavorare nel settore privato. Alcuni di questi avevano decine di pubblicazioni in riviste internazionali. Fortunatamente, anche in questo caso i dettagli non faranno alcuna differenza. Già nel sistema attuale ricercatori e professori sono sottoposti a una conferma dopo tre anni. Da una mia piccola indagine non scientifica (non esistono statistiche ufficiali sull'argomento), nei pochissimi casi di bocciatura verificatisi è bastato attendere una nuova commissione l'anno successivo o fare ricorso al Tar per essere reintegrati. Il sistema previsto dal disegno di legge originario non avrebbe modificato questa situazione. Il motivo è molto semplice: che incentivo ho a negare un giudizio positivo sull'operato di un mio collega? Il mio salario dipende solo dalla mia anzianità, non da chi mi sta intorno: perché dovrei cercarmi guai? Perché il sistema funzioni è necessario che ogni università possa stabilire il salario dei propri professori, che i finanziamenti alle università dipendano dalla ricerca che esprimono e che gli studenti paghino una componente sostanziale del costo dell'università. In un mondo siffatto. se mi circondo di colleghi incapaci la mia università perde rette studentesche e finanziamenti alla ricerca e sarà cos:retta a tagliare anche il mio salario o addirittura a chiudere e a licenziarmi. E se decido di pagare molti professori incompetenti subirò le stesse conseguenze. Un tale sistema si basa su un semplicissimo principio: "Se sei bravo e hai pubblicato, ti promuovo e ti aumento lo stipendio indipendentemente da età e anzianità; altrimenti, ti licenzio". Ma pei l'establishment universitario aumentare le rette studentesche, distribuire quote sostanziali dei fondi in base alla qualità della ricerca, differenziare :. salari sulla base della produzione scientifica e permettere alle università di scomparire sono altrettanti anatemi. Come sempre, la via preferita è quella delle regole e della casistica. Niente di tutto ciò cambierà le cose. Solo gli incentivi e le punizioni insiti in un sistema impietosamente meritocratico e concorrenziale salveranno l'università italiana. ROBERTO PEROTTI ___________________________________________________ ItaliaOggi 24 giu. ’05 MOBILITAZIONE CONTRO IL DDL SUI DOCENTI Continua la battaglia di università e ricercatori contro il disegno di legge sullo status giuridico dei docenti. Gli organi collegiali di tutti gli atenei si riuniranno il 30 giugno per chiedere, sulla base di un documento congiunto, il ritiro del ddl. Per lo stesso giorno, e con lo stesso obiettivo, il coordinamento dei ricercatori ha invece indetto una giornata di mobilitazione. La protesta delle università, decisa ieri dall'assemblea generale della Crui, che ha ribadito il più netto dissenso al proseguimento del dibattito parlamentare sulla riforma dello stato giuridico, si articolerà con conferenze stampa indette con le istituzioni del territorio per confermare la necessità di un nuovo modo di affrontare i problemi dell'università. I rettori ricordano infatti che l'unico modo di affrontare la questione è partire da un sistema di valutazione indipendente e autorevole, e da una riforma dei concorsi che riaffermi criteri di selezione rigorosi e oggettivi. Le conseguenze dell'approvazione della legge così come è attualmente renderebbero impossibili, secondo i rettori, l'attivazione di molti corsi di studio per il prossimo anno accademico e la gestione stessa degli atenei. ________________________________________________ La Stampa 23 giu. ’05 W LA RICERCA, MA NON IN ITALIA Sconcertante reportage di Riccardo Iacona su Raitre Sciopero dei telespettatori e appello per Six Feet Under DUE milioni di spettatori, e chi era tra quei due milioni lo sa: se cominciavi a seguire «W la ricerca» di Riccardo Iacona, in onda l’altra sera su Raitre, difficilmente riuscivi a smettere. Stavi lì, a bocca aperta, un po’ stranito, a compiacerti del fatto che in Italia non siamo proprio tutti cretini, tant’è vero che le università americane fanno incetta di ricercatori del bel Paese; ma, nello stesso tempo, contemplavi incredulo e desolato il piccolo schermo. Possibile che capiti proprio questo? Che l’Italia spenda circa 500 mila euro per formare un laureato, e poi lo lasci scappare senza fare un plissé, tra laboratori chiusi, maltrattamenti politici, baronie e leggi del sangue nelle università, apparecchi del 1960 ancora funzionanti, quando l’obsolescenza delle macchine è di un paio di anni? Siccome sempre di televisione, e dunque di spettacolo, si tratta, ti chiedevi anche se l’inchiesta di Iacona (che lavorava con Santoro, per fortuna lavora ancora e della stessa serie ha già realizzato «W gli sposi» e «W il mercato») non fosse per caso un po’ preconcetta, un po’ mirata, un po’ volutamente «strappa-indignazione». Ma era tale il numero delle interviste, di qua e di là dell’oceano, tale la documentazione, che pure quel dubbio diventava relativo. Insomma, la ricerca in Italia la snobbano tutti, lo Stato e i grandi gruppi privati. Molti paragoni con l’America (di gran moda quest’anno anche a «Report»). Tecnicamente, da notare il contrasto tra la scelta delle musiche (marcette, per lo più) e la drammaticità dell’enunciato. Che però viene sempre reso, e questa è un’altra caratteristica dei lavori di Iacona, con opportuna levità. E il contrasto rende. Ancora a proposito di telefilm. Giorgio da Genova: «Sui siti dei network americani c’è una quantità d'informazioni pure sulle serie non in onda. Da noi niente, soprattutto alla Rai. E poi, l'assemblaggio degli episodi: come si fa a seguire ben 3 episodi uno dopo l'altro di "24", visti complessità e doppigiochi della serie? Sono tutti indizi del menefreghismo di quegli stessi programmatori che quando c'è da mettere Bonolis in palinsesto stendono tappeti rossi, sopprimono questo o quel telefilm. Mi sa che i veri pacchi sono quelli che tirano a noi telespettatori fans dei telefilm, neanche degni di un'informazione», con un appello finale per il ritorno di «Six Feet Under» su Italia 1. Per protesta, si potrebbe aderire allo sciopero nazionale dei telespettatori, organizzato per domani, per, venerdì e sabato dal gruppo «esterni»: spegnete il video, fate altro, arginate lo strapotere delle immagini. Per parte sua «Tivù & Tivù» si ferma qualche giorno, insomma chiude per ferie. A tutti i lettori, sempre grazie dell’attenzione e a presto. ___________________________________________________ Il Riformista 23 giu. ’05 LE «SLIDING CHAIRS» NON SONO IL PRECARIATO modesta proposta per salvare i nostri atenei Una seria riflessione sulla riforma della ricerca in Italia impone la radicale messa in discussione di alcuni luoghi comuni. Troppo spesso, infatti, lo scivolamento della politica nella retorica ha prodotto argomentazioni dotate di poco senso, che nulla hanno a che vedere con l'individuazione di soluzioni di governo finalizzate a garantire che il nostro paese abbia un ruolo nella comunità scientifica internazionale. No allo stupidario anti precariato. La logica delle sliding chairs, che impone a chiunque aspiri a fare il ricercatore di professione qualche anno di attività in ruoli non permanenti, è accettata in tutto il mondo avanzato. Nella maggioranza dei casi corrisponde non casualmente alla fase più produttiva e creativa. Identificarla con il "precariato", dando per sottinteso un sopruso antisindacale, è del tutto privo di senso. In realtà, è possibile difendere in maniera intelligente e non corporativa gli interessi dei ricercatori non permanenti, insieme e non contro gli interessi complessivi del sistema di ricerca nazionale. Ciò che importa è fornire eguali opportunità di accesso ai meritevoli e capaci, prevedere ingressi periodici e frequenti nei ruoli permanenti attraverso concorsi aperti e meritocratici, compensare i ricercatori non permanenti con livelli remunerativi adeguati all'incertezza del posto di lavoro che ne contraddistingue l'avvio della carriera professionale. No allo stupidario della fuga dei cervelli. I miei migliori studenti hanno conquistato un posto di ricerca in Olanda o in Francia. Io stesso, dopo la laurea in Italia, ho lavorato negli Usa e in Germania, facendo onore al mio paese e acquisendo un bagaglio di esperienze di tutto rispetto. Che i nostri laureati più bravi siano richiesti all'estero non è un problema, ma un successo della nostra formazione universitaria specialistica: II problema è semmai la totale mancanza di reciprocità: i laureati più bravi degli altri paesi occidentali non vengono in Italia. Anche i laureati migliori di paesi emergenti quali India e Cina, o in grave crisi come la Russia, preferiscono comunque Francia, Germania e Olanda. Il motivo è che in Italia il livello medio di remunerazione di un ricercatore non è affatto competitivo con quello degli altri paesi europei. Inoltre, i tempi di reclutamento sono imprevedibili e la sistemazione logistica nel paese di destinazione è lasciata interamente a carico della persona che si trasferisce. È su queste condizioni che occorrerà intervenire, affinché la mobilità internazionale dei giovani ricercatori non sia più a senso unico. Si a nuovi meccanismi di finanziamento dei progetti di ricerca. Il governo Prodi fece registrare al suo attivo un'esperienza di successo, che può fornire utili indicazioni per le future politiche. Si tratta del sistema dei Cofin, fondati sulla possibilità di cofinanziamento di progetti tra atenei e ministero, attraverso il ricorso a referee anonimi di livello internazionale. Da più parti, oggi, si parla della possibilità di proporre un modello nella sostanza simile a quello, ma su scala ben più ampia. Una sorta di sistema a doppio binario, nel quale i nuovi fondi siano assegnati sulla base di una valutazione rigorosa, da parte di un'apposita ,Agenzia della ricerca, indipendente a un tempo dal governo e dal mondo accademico. Un'agenzia i cui funzionari, prescelti fra le figure professionalmente e accademicamente più riconosciute dalla comunità scientifica, rivestano per un numero limitato di anni un ruolo esclusivo di valutazione e assegnazione di fondi. Una simile agenzia, a cavallo fra scienza e burocrazia, potrebbe godere dei necessari requisiti di indipendenza, una volta che i suoi componenti fossero vincolati a non godere dei fondi distribuiti per il periodo di tempo di loro permanenza in servizio. L'esperienza di altri paesi suggerisce che un simile vincolo, a prima vista velleitario, può essere imposto e rispettato. Se ne ricaverebbe un processo di selezione e razionalizzazione del sistema universitario e della ricerca scientifico-tecnologica basato su un meccanismo di valutazione realmente indipendente. Torniamo alla separazione delle competenze di università e pubblica istruzione. La maggior parte degli operatori del mondo dell'università e della ricerca scientifica considera l'accorpamento una scelta profondamente sbagliata e infelice. La proposta di costituire un'Agenzia nazionale della Ricerca è sicuramente da accogliere con favore. Tuttavia il ritorno alla separazione fra i dicasteri dell'Università e della Ricerca e quello della pubblica istruzione potrebbe già rappresentare un primo importante passo avanti sul fronte di un impegno di governo più sensibile ai temi strategici della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo. Università La Sapienza, Roma ___________________________________________________ La Repubblica 24 giu. ’05 UNIVERSITÀ, AFFARI DI FAMIGLIA; IN CATTEDRA PADRI E NIPOTI Parentele illustri nelle facoltà. Cosa accade nel mondo accademico romano Ecco i nomi eccellenti che hanno in mano il potere nelle Unoversità ANNA MARIA LIGUORI DI PADRE in figlio ma senza disdegnare le parentele trasversali. Docente il padre, associato il primogenito, ricercatore il secondo e qualche volta c'è spazio persino perla consorte. Si parla tanto di parentele illustri nelle Università italiane, ma negli atenei romani cosa accade? Abbiamo tentato una prima radiografia. Nella Capitale i posti in concorso sembrano essere elastici tanto da coprire sempre il numero esatto dei rampolli d'oro, legittimi discendenti dei "baroni", epiteto coniato negli anni `60 e mai andato in disuso. La Sapienza, che ha da poco compiuto 700 anni dalla fondazione, l'ateneo più grande d'Europa, è una fucina di concentrazioni familiari in ristretti ambiti pubblici di docenza. Tor Vergata, la seconda università, segue a ruota: chi tra i designati non"entra" alla Sapienza farà qualche chilometro per lavorare fuori città, viceversa da Tor Vergata arrivano nomi illustri che la Minema tratta con i dovuti riguardi. Defilata ma non immune Roma Tre che nel suo piccolo vanta nomi davvero prestigiosi. Il nostro viaggio comincia dai rettori, vecchi e nuovi. L'ex rettore della Sapienza Giuseppe D'Ascenzo, professore ordinario alla Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, ha un figlio, Fabrizio, che dal 3 gennaio 2005 è professore ordinario alla facoltà di Economia. Il nuovo rettore della Sapienza, Renato Guarini, illustre professore ordinario alla Facoltà di Scienze Statistiche, ha due figlie che lavorano a vario titolo nell'ateneo del padre ma non ricoprono però nessuna cattedra: Maria Rosaria Guarini, professore incaricato alla facoltà di Architettura B, a Valle Giulia, ha insegnato dal 2002 al 2004, come recita il sito della Sapienza che pubblica il suo curriculum e il suo insegnamento, Economia finanziaria degli investimenti; Paola, un'altra figlia, lavora al Dipartimento di progettazione architettonica, urbana, del paesaggio e degli interni presso la facoltà di Architettura Ludovico Quaroni. Ben più piazzati i figli del rettore di Tor Vergata: Alessandro Finazzi Agrò, ordinario a Medicina e chirurgia, ha visto entrare suo figlio Enrico nella stessa facoltà come ricercatore confermato, mentre l'altro figlio, Etto - re, è andato perla sua strada, ed è ordinario alla facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza. Le dinastie si formano cosi, quasi per contagio familiare. Tutto regolare, esami, prove, concorsi. Ma l'humus, l'ambiente, c'è da credere che in qualche modo aiuti. Vedi il caso, eclatante, del pro rettore vicario della Sapienza, Luigi Frati, professore ordinario nonché preside della facoltà di Medicina: lavora in compagnia di tutta la famiglia. É successo che figli, moglie e generi, a suo tempo hanno scelto di studiare negli stessi corsi di laurea in cui Frati senior ha tanto potere; la comune vocazione li portò poi a intraprendere la carriera accademica; ed è stata certo soltanto per la loro capacità, e non per altro, che siano riusciti a farlo con successo all'interno proprio di quella facoltà, e a volte perfino nelle stesse materie Perciò la figlia Paola Frati è professore associato, laureata in giurisprudenza ma assunta alla facoltà di Medicina e Chirurgia II; Luciana Rita Angeletti in Frati, sua moglie, non laureata in medicina, insegna storia della medicina, ed è quindi professore ordinario, alla Facoltà di Medicina e Chirurgia 1, e inoltre cura il museo della medicina. La signora Frati ha fatto una carriera strepitosa, visto che ora è ordinario di Medicina sperimentale e patologia. Un buon inizio anche per un altro rampollo, Giacomo Frati, ricercatore di Medicina al Campus Biomedico di Roma. E così a seguire. Troviamo decano della Sapienza che coordina il meccanismo dell'elezione del rettore, il professore ordinario Cesare Bianca, professor ordinario alla facoltà di Giurisprudenza, e troviamo sua figlia Mirzia Bianca, dal 3 gennaio 2005 professore straordinari alla Facoltà di Scienze Statisti che, il cui preside fino a novembre scorso era l'attuale rettore Renato Guarini. E se procediamo a casaccio, senza nessun in tento accusatorio, leggendo l’elenco dei docenti, saltando d una facoltà all'altra, confrontando il sito del Miur (Ministero dell'istruzione, dell'Università della Ricerca) con quello della Sapienza è facile accorgersi che i nomi ricorrenti sono la maggioranza. Come Silvio Messinetti, professore ordinario a Medicina e Chirurgia, e sua figlia, Raffaella Messinetti, professore straordinario a Scienze della Comunicazione. Qualcuno è ora in pensione,come Renato Scognamiglio, prima professore ordinario a Giurisprudenza: sua figlia Giuliana porta avanti il nome della famiglia come professore ordinario a Scienze politiche e suo figlio Claudio è ordinario di Giurisprudenza a Tor Vergata. Alcuni cognomi richiamano naturalmente l’attenzione: balzano all'occhio l'illustre Pellegrino Capaldo, ex presidente della Banca di Roma,ordinario alla facoltà di Economia, suo fratello Mario, ordinario a Lettere, mentre sua figlia Giuseppina è professore associato non confermato a Economia. B ancora: Filippo Maria Di Matteo, professore associato non confermato a Medicina e Chirurgia, è figlio di Giorgio Di Matteo, ordinario nella stessa facoltà, ora in pensione, famoso e pro rettore quando la Sapienza era governata da Giorgio Tecce. Facendo un salto ideale dalla Sapienza a Tor Vergata nel sito del Miur si trova Giorgio Federici, o professore ordinario di biochi- mica alla facoltà di Medicina e _ Chirurgia, e Massimo Federici, e figlio, professore associato di - Medicina interna. Il preside della a facoltà di Medicina a Tor Vergata Renato Lauro trova suo figlio Davide a Endocrinologia presso la stessa facoltà, è professore associato. Ma se ci si inoltra ancora nel a mare delle omonimie si rischia e di perdersi: solo per rimanere alle e docenze importanti troviamo tredici Marini e sette Ferri in tutte e tre le università. Di dinastie nella docenza, insomma, ce ne e sono tante. Impossibile e lencarle e per intero. Ma è un dato irrilevante, in fondo è tutto regolare. NESSUNA accusa, nessuna illazione, solo la legittima curiosità spinge a fare quattro chiacchiere con i docenti uniti dallo stesso cognome o da un qualsiasi grado di parentela che oggi popolano i tre atenei di Roma. A scatenarla é stata la denuncia fatta dal giuslavorista Gino Giugni, 10 giorni fa, secondo il quale i concorsi per diventare professore o ricercatore universitario sono «sovente predeterminati secondo logiche non meritocratiche, una gestione combinata nella selezione dei giovani studiosi», citando come prova il fatto che, di regola, ai concorsi partecipano tanti candidati quanti sono i posti in gara «perché si sono scoraggiati i migliori dal proporre o mantenere la propria candidatura». Un'accusa che ha fatto proseliti, visto che rimetterci non è solo il singolo, ma in primis l’università e quindi l’intero Paese. In tanti chiedono che l'appello di Giugni non cada nel dimenticatoio e che, anzi, sia un pungolo per la coscienza dei docenti e di supporto per i giovani studiosi che vogliono davvero entrare a fare parte del mondo universitario. Nulla più. Eppure i professori interpellati al telefono restano muti, interdetti, la risposta dei più é «niente da dichiarare». E alla domanda "come mai lei, professore, in questa facoltà ha due figli che..." l'ira é a stento contenuta, la risposta non arriva, il silenzio diventa allarmante. Il rettore della Sapienza Renato Guarini, benché interpellato come governatore di un ateneo, chiede «come mai ci si interessa a queste cose» visto che avere un «parente che lavora nell'università non é reato». Un dialogo sereno, quello con il rettore, le sue figlie non sono assunte dal Miur, se si esclude qualche Contratto VOId21te.AdOgIL11Y10do, pur non avendone bisogno, alla fine decide di non avere «assolutamente niente da dire in proposito». Ma c'è un'eccezione. Giuliana Scognamiglio, figlia di Renato, ordinario alla Sapienza. Con intelligenza e autorità spiega la posizione sua e dei fratelli, e lo fa con semplicità: «È tutta la vita che lavoriamo per l’università, ciascuno di noi ha superato tre esami per arrivare a guadagnare circa 2300 euro dopo anni e anni di lavoro. Credo che in tutte le categorie ci siano i figli che seguono le orme dei padri. Noi l’abbiano fatto con passione. Chilo dice che i figli dei docenti universitari che respirano aria di cultura fin da piccoli 11011 debbano O 11011 possano seguire con onestà la carriera dei padri?. Siamo "figli di.." e allora? Proprio stasera festeggiamo l'ultimo della famiglia Marino "entrato" in università. Se una persona é brava, fa il suo dovere ed é capace può fare tutto...». Un discorso comprensibile. Ma poi la docente s'interromi7e: non vuole «fare dichiarazioni sul giornale» e non vuole «assolutamente essere virgolettata». Un argomento scottante. Così sembra una scelta prevedibile quella di Luigi Frati, prorettore della Sapienza, che al telefono, alla domanda "come mai la sua intera famiglia lavora con lei?", dichiara di «non voler parlare di questo, né di altro». Inutile chiamare la moglie e i figli, non risponde nessuno ai numeri d'ufficio. E avanti cosi. Il rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agro, invece, risulta irreperibile. L'addetto alle relazioni esterne dell'università sottolinea che «é involo perla Sicilia» e che appena atterrato si sarebbe «fatto sentire». Attesa vana, nessuna telefonata di confronto sull'argomento. Anche le telefonate agli altri docenti o ai loro figli anch'essi professori sono andare a mal partito. I commenti non si sono sprecati. Insomma l'argomento é top secret, a prescindere. Renato Guarini ___________________________________________________ Il Riformista 23 giu. ’05 CONCORSI PILOTATI, QUALCUNO MI SPIEGHI DOV'È LA NOVITÀ CHI PROMUOVE UN INETTO SIA PENALIZZATO ECONOMICAMENTE a DI ALESSANDRO FINAZZI Ho partecipato alla riunione, organizzata nella sede della Fondazione Italiani europei dal senatore Luciano Modica, autorevole ex presi dente della Conferenza dei rettori, dedicata a raccogliere idee per la preparazione di un programma sull'università da includere nel carnet elettorale del centrosinistra. E' emerso con chiarezza, ancora una volta, che a fronte di indiscutibili ritardi e omissioni dei governi e dei parlamenti via via succedutisi dagli anni settanta ad oggi, non si vuole affrontare il nodo strutturale più significativo, ossia come trasformare l’università di élite degli anni sessanta nell'università di massa oggi indispensabile per la nostra società, con il risultato di un sistema universitario in cui poche isole felici sono circondate da un oceano di mediocrità e frustrazione. Con l'attuale finanziamento non è assolutamente pensabile di mantenere agli oltre settanta atenei sparsi in tutta Italia, a un livello competitivo almeno europeo. Di qui la necessità per ogni politico onesto di proporre drastiche scelte: incrementare in modo sostanziale la quota di finanziamento al sistema universitario o pilotare la stratificazione del sistema universitario verso atenei con diverse vocazioni e specializzazioni. Se si sceglie la prima ipotesi, certamente più democratica (o utopica, o demagogica a scelta del lettore) è necessario individuare, nel ristretto bilancio dello Stato, risorse per un piano pluriennale che riguardi non solo la spesa corrente, ma soprattutto l'edilizia, le biblioteche, i laboratori. Infatti molte università, tra cui quelle di più recente istituzione, ma anche quelle di più antiche tradizioni e naturalmente i mega atenei hanno spesso spazi didattici e di laboratorio quasi più virtuali delle famose (!) università telematiche. Se per disgrazia, o per calcolo politico, tutti gli studenti di alcuni corsi di lauree tra i più la page, decidessero di frequentare le lezioni si potrebbe assistere a scene apocalittiche. Si è disposti allora a tagliare altre voci di spesa operanti a favore di lobbies e corporazioni assai più agguerrite e organizzate di quelle universitarie, per decuplicare gli investimenti in favore degli atenei? La seconda opzione, che comunque implica anch'essa un impegno economico sostanzioso, è legata alla constatazione della impossibilità di omogeneizzare sul territorio nazionale le diverse realtà universitarie. E' indispensabile quindi esercitare, nel rispetto del valore irrinunciabile della autonomia, una ferma moral ( financial) suasion perché molte università rinuncino alla pretesa di fare tutto per poi invocare il "riequilibrio" delle risorse. A tal proposito non vi è chi non veda come l'eccesso di localismo stia uccidendo il sistema universitario: lo studente che si laurea sotto casa, diventa assegnista, ricercatore e poi professore della stessa università, anche nel migliore dei casi non eleva lo standard qualitativo di quell'ateneo. Perché non prevedere allora premi consistenti per gli atenei che assumono docenti di altre sedi, e stipendi più alti per tali docenti? Perché non premiare atenei periferici che scelgano di svolgere, e bene, solo le lauree di primo livello? Ma l'attenzione della stampa è concentrata abitualmente sugli aspetti più folkloristici (e assolutamente marginali) del problema: lo stato giuridico e gli "scandali" dei concorsi universitari. E francamente sorprendente che colleghi autorevoli ed esperti scoprano,come in questi giorni, che alcuni (molti) concorsi non premiano i migliori, come se l'università italiana fosse un sistema isolato da un paese in cui clientelismo e nepotismo regnano sovrani in ogni attività pubblica. Si accusa il sistema concorsuale, si reclama il ritorno al passato dei mega concorsi, si parla di sorteggio dei commissari: è evidente che in qualche caso l’età obnubila il ricordo di quando un commissario sorteggiato in un mega concorso poteva impunemente "sistemare" improbabili candidati. Non esiste meccanismo consorsuale che metta al riparo da abusi, si deve invece aumentare la responsabilità delle sedi. Chi promuove un inetto che, a giudizio degli studenti e della comunità scientifica nazionale e internazionale non è all'altezza del compito, sia penalizzato sul piano economico. E' perfino ipotizzabile la mera cooptazione di uno studioso senza concorso nazionale: ne consegue però che egli non acquisisce il diritto della docenza in un'altra sede se non dopo una nuova valutazione. Altro argomento, anche questo ricorrente, è lo stato giuridico dei docenti, attualmente in discussione in parlamento, che provoca grande agitazione e manifestazioni in molti atenei. Ancora una volta confesso la mia personale disaffezione a leggi che intendano indicare in dettaglio quali siano gli obblighi e le prerogative dei docenti. ad esempio indicare un numero di ore minimo di impegno come la legge in questione (300 per il tempo definito e 500 per il tempo pieno) rafforza l'opinione pubblica media secondo cui un docente universitario è un fannullone che può lavorare in un anno quanto un impiegato o un operaio in meno di un mese. In ogni caso nella legge oggi in discussione, l'articolo che rende superflua ogni possibile valutazione è il settimo: Disposizione finanziaria, che ancora una volta recita «dall'attivazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Questo è il consueto epitaffio di ogni recente proposta di riforma dell'Università. E' comunque etico e necessario evitare l’arroccamento su posizioni di diniego; per questo sono stato uno dei primi aderenti al Manifesto dei Dodici e non sono né "pentito" né "dissociato". Ritengo che i punti programmatici posti dal comitato promotore per la manifestazione nazionale di luglio e pubblicato sul Riformista di giovedì 16 giugno siano una ottima base di partenza con le parole d'ordine: a) delegiferare (autonomia); b) competere (abolire il titolo di studio e lavorare sulla qualità); c) valutare (esistono metodi collaudati in campo internazionale). Fatte salve alcune speciali attenzioni per il Sud, ma anch'esse su stretta base meritocratica, ciascuna Università sia artefice della propria fortuna. Università Roma Tor Vergata ________________________________________________ Corriere della Sera 19 giu. ’05 LE CARRIERE, LE CATTEDRE E LA BATTAGLIA NEGLI ATENEI Confessiamo che, quasi al termine di una lunga carriera scientifica ed accademica, avremmo preferito apparire sul Corriere della Sera per la nostra attività di studiosi che ci impegna a tutt’oggi; ma tant’è, ci troviamo vittime della vecchia tecnica del «sbatti il mostro in prima pagina». Prendiamo atto che ci sono dei pentiti certo autorevoli, ma, a prescindere da Gino Giugni da 35 anni presentato come padre dello Statuto, Umberto Romagnoli e Michele Tiraboschi si trovano accomunati dall’essere uno maestro e l’altro allievo di Marco Biagi: povero Marco, perché il primo non è mai stato suo maestro (lo era Luigi Montuschi); ed il secondo lo è stato certo ma, diciamo così, ci vive su un po’ di rendita. Bene, sono pentiti, perché è chiaro che tutti hanno lucrato dal sistema che condannano, visto che Giugni in questi ultimi anni si è visto collocare in prima fascia sette suoi allievi o allievi dei suoi allievi; visto, altresì, che Romagnoli è stato commissario interno in due concorsi di prima fascia (Verona e Bari) e visto, infine, che Tiraboschi dopo la morte del suo maestro, ha insistito e ottenuto che uno dei due scriventi, Carinci, fosse suo commissario interno nel concorso di Modena che lo ha portato alla cattedra. Ma tant’è, i pentiti sono tali perché hanno partecipato al compimento del reato. Solo che dovrebbero essere anche operosi, ma lo sono a modo loro, denunciano il complotto ma non i registi; i nomi di quelli li sussurrano sottovoce. Non scambiamo per grandi battaglie di principio le piccole miserie della convivenza. Andiamo ai fatti; e i fatti sono questi: 1) Non è un caso che alla vigilia di qualsiasi riforma universitaria si apra una battaglia demonizzatrice contro i concorsi, premessa di una ruolizzazione di massa. 2) La stessa disciplina dei concorsi in vigore è stata escogitata in chiave di garanzia della carriera di coloro che erano già dentro all’Università, per permettere ai ricercatori di divenire associati e agli associati di divenire ordinari: basti pensare alla nomina del commissario interno, a protezione del figlio prediletto della Facoltà; alla previsione di due e, poi, un’idoneità aggiuntive, quale merce di scambio; alla possibilità data alla Facoltà banditrice di non chiamare nessun vincitore. Tutta colpa della legge, nessuna della comunità scientifica? Certo che no, ma è una rappresentazione caricaturale quella di pensare che ci sia una sorta di grande vecchio, individuale o collettivo, capace di condizionare o, addirittura, ricattare tutta la corporazione: un gruppo ristretto di boss spregiudicati e una massa informe di vili. Non è così, almeno non lo è nella nostra materia, dove i professori straordinari ed ordinari si stanno avvicinando alle 100 unità, distribuiti in una molteplicità di sedi e facenti capo a molte scuole grandi e piccole: le commissioni di concorso hanno via via contato fra i loro membri quasi tutti i professori della materia; i vincitori riproducono il pluralismo vivacissimo che ci contraddistingue. E veramente ci fa sorridere il fatto che ci siano meritevoli in lista di attesa, perché essendo tanti i posti disponibili si è potuto far spazio per tutti quelli che non dico avessero raggiunto la maturità scientifica, ma facessero sperare di poterla conseguire. Abbiamo avuto occasione di leggere l’articolo di Ichino, largamente condivisibile, se non per quel finale relativo al grande vecchio che sarebbe legittimo se non eccedesse in telefonate: ma è perlomeno strano che, se per grande vecchio si intendono le chiacchierate in manica di camicia di tanto in tanto fra i prepensionati della materia, ci siano i nomi dei due sottoscritti, ma manchi quello di qualcun altro assai più illustre e autorevole, ad esempio Treu. Finiamo con questi scandalismi di facile maniera; giudichiamo le persone sulla base del loro passato; rimbocchiamoci le maniche, chiedendo al legislatore una riforma più coraggiosa in senso meritocratico: va bene la riduzione a un solo idoneo, ma occorre anche eliminare la figura equivoca del commissario interno o almeno renderne facile la sostituzione, quando egli boicotta lo svolgimento del concorso, nonché obbligare la Facoltà che ha bandito a chiamare colui che sia risultato vincitore. Università La Sapienza di Roma Università di Bologna Vicepresidente Islssl Mattia Persiani ___________________________________________________ Il Sole24Ore 22 giu. ’05 GLI ABUSI CI SONO E I CONCORSI COSÌ NON FUNZIONANO TORINO Sulla prima pagina del Sole-24 Ore di ieri Roberto Perotti, partendo dall'analisi del disegno di legge sui concorsi universitari approvato mercoledì scorso dalla Camera, ha tracciato un severo ritratto dell'università italiana; accusando tra l'altro la Conferenza dei rettori, «così intraprendente nel difendere l'università italiana da tutto e da tutti», di non aver mai «protestato perché i salari di molti ordinari sono troppo alti per quello che producono». Perotti denuncia una duplice assenza di incentivi al merito nei nostri atenei. In primo luogo, i candidati ai concorsi universitari non sono promossi per meriti scientifici, ma in quanto graditi alle consorterie locali; e lo dimostrerebbe il caso di concorsi in cui candidati con pubblicazioni su importanti riviste internazionali sono stati superati da candidati locali assai più oscuri. In secondo luogo, lo stipendio dei professori non progredisce in base al merito ma solo per anzianità; e poiché, come è noto, l'età media dei docenti italiani è tra le più alte del mondo, questo meccanismo di spesa grava pesantemente sui conti degli atenei senza promuovere alcun miglioramento della didattica e della ricerca. «Sono anni che la Conferenza dei rettori chiede di cambiare il meccanismo dei concorsi - risponde Piero Tosi, anatomopatologo, rettore dell'Università di Siena e presidente della Conferenza; - cioè da quando si è visto che l'attuale sistema favorisce i candidati locali a scapito dei migliori. È giusto denunciare gli abusi, anche se non è giusto generalizzarli. Ma nessun meccanismo concorsuale garantisce di per sé buoni risultati se non gli si affianca, come invochiamo da tre anni, un sistema di valutazione della ricerca e della didattica, applicato da un'autorità indipendente, che premi l'efficienza e punisca il suo contrario». «Per quanto riguarda le retribuzioni - osserva Tosi - i docenti universitari sono inseriti nel sistema degli impiegati dello Stato, sulle cui regole la Conferenza dei rettori non ha alcuna influenza. Tuttavia nulla impedirebbe di creare anche subito un buon sistema di valutazione: basterebbe imitare, con le opportune correzioni, quelli attualmente in uso in molti Paesi. Se i fondi assegnati agli atenei, ai dipartimenti e alle cattedre fossero distribuiti in base ai risultati obiettivamente accertati, nessuno avrebbe più interesse a boicottare i candidati migliori, perché verrebbe punito da un calo di prestigio, di risorse e anche di iscritti. Questa è la vera riforma: e per introdurla non occorre neppure una legge, basterebbe un decreto ministeriale sostenuto da un'adeguata volontà politica». Per i ricercatori il disegno di legge approvato mercoledì contiene una doppia beffa: da un lato elargisce a tutti il vuoto titolo di «professore aggregato», dall'altro prevede la loro assunzione attraverso contratti triennali rinnovabili a tempo indefinito. «A parte il fatto - spiega Tosi - che per legge i contratti a termine non possono andare oltre i sei anni, la norma sui ricercatori disattende una precisa direttiva della Commissione europea, che raccomanda di stabilizzarli dopo un periodo di prova non più lungo di quattro anni. La Commissione teme giustamente che il "precariato a vita" possa indurre i giovani migliori a emigrare dall'Europa. La promozione dei meritevoli non si ottiene nominando tutti "professori aggregati", ma valutando in modo permanente (come per i professori) i risultati delle ricerche e facendo dipendere da essi la progressione della carriera». «I rettori chiedono un'autorità indipendente per valutare il merito» ANDREA CASALEGNO ___________________________________________________ Il Giornale 26 giu. ’05 LA RETORICA DELLA RICERCA Stefano Zecchi C’è una polemica, al giorno sulle ricerche scientifiche in Italia. sul Fatto che le imprese private sono troppo assenti dal mondo della ricerca (...)si aggiunge il coro sul bisogno di competizione, come se la. nostra vita non sia stata da sempre segnata da una, ideale gara intellettuale per lo sviluppo delle conoscenze. Cosi, quando si parla di ricerca, di competitività e di sviluppo l'attenzione non può che essere rivolta alle università e ciò non da ora, ma fin da quando, nel Medio Evo, si pensò di organizzare e proteggere le intelligenze in quelle strutture che, appunto, si chiamano università degli studi. Dunque, di nuovo non c'è proprio un bel niente, se noi) la decadenza, della, cultura di eccellenza che si forma nelle università, con la progressiva, massificazione degli studi. Studio di massa che è la giustissima conseguenza, dello sviluppo democratico della, società, che tuttavia. deve prevedere continui correttivi al modellò di studio e di ricerca, affinché esso non perda di qualità. In Italia, è accaduto invece che il processo di massificazione dell'istruzione universitaria è stato sorvegliato e garantito da un potente apparato burocratico-sindacale, mentre tutto ciò che riguarda la, difesa dell'eccellenza degli studi c della, ricerca è stato abbandonato a se stesso. e questo perché si tratta di una questione meritocratica, come la, definisce l'apparato burocratico - sindacale, che non solo non merita attenzione, ma, va, apertamente osteggiata, rappresentando una reale minaccia alla massificazione dell'istruzione. Si ricorderà come la parola, «meritocrazia» è da decenni ritenuta dalla, politica, di sinistra e sindacale un vero e proprio insulto alla democrazia Ma non è finita qui. I grandi alleati di questo blocco politico-sindacale, che ha osteggiato l'eccellenza, e la meritocrazia, sono diventati proprio coloro che avrebbero dovuto sostenere la qualità, scientifica della, ricerca,: cioè i professori universitari e le loro lobby, che hanno costruito proprie posizioni di potere all'interno degli atenei attraverso uno spregiudicato sistema di cooptazione dei nuovi docenti, che se ne infischia, della loro preparazione per premiare la, loro devozione e servilismo. E’ evidente che quando un ministro intelligente è entrato nel palazzo del ministero della, Pubblica istruzione, senza, passare per le stanze della politica né per quelle della scuola, e dell'università., si sia, trovato non pochi problemi che il suo semplice buonsenso gli sottoponeva. E’ evidente che quando il ministro Moratti ha cercato di disarticolare il sistema, che univa al potere sindacale le lobby accademiche, abbia trovato fuochi di sbarramento politici trasversali che hanno reso difficile, lento il suo cammino riformatore e, talvolta, necessariamente compromissorio. Ritorniamo ora, a considerare il mondo dell'impresa privata. Come si fa. a rimproverarlo del fatto che investe poco nella ricerca universitaria? Perché si pretende che esso butti i soldi dalla finestra? Gli investimenti vanno dove c'è competitività ed eccellenza. E infatti, se si analizzano i dati, si può facilmente osservare che il governo italiano contribuisce alla ricerca, come gli altri Paesi europei: la caduta del finanziamento è nei privati, perché 1a ricerca in cui essi dovrebbero investire non è competitiva. E allora, invece di tanti proclami e di tanti lamenti, sia. il mondo dell'impresa, sia, la, parte sana. del mondo universitario (che esiste, ed è degnamente rappresentata) non devono lasciare solo il ministro a fronteggiare il blocco conservatore sindacale e lobbistico degli atenei. Devono sostenerlo quando introduce nella legislazione universitaria principi meritocratici, elementi di concorrenza, tra le università, criteri di reclutamento dei docenti in base al merito e non in base alle parente1c, a,11e amicizie e al servilismo. Stefano Zecchi ________________________________________________ Corriere della Sera 23 giu. ’05 FERRONI: LA MORATTI PEGGIO DI BERLINGUER Se non gli piace la Moratti, non stenta a dire che tutto ... Se non gli piace la Moratti, non stenta a dire che tutto cominciò con il ministro Berlinguer. Lo scempio della scuola italiana, s'intende. Come critico, Giulio Ferroni sta dalla parte degli «eclettici diffidenti»; come intellettuale che guarda alla politica sta dalla parte dei diffidenti tout court . A 62 anni, dopo aver arato la letteratura italiana, dal Rinascimento a Pirandello fino alla contemporaneità, non ha certo scelto le mezze misure. E nel suo nuovo libro I confini della critica (Guida) rivendica insieme una coscienza storica e un temperamento militante. Per questo, la scuola gli sta particolarmente a cuore: «Berlinguer e poi la Moratti sono responsabili della generale tendenza all'evaporazione del sapere, che va di pari passo con l'evaporazione della critica. Il sapere e l'apprendimento comportano sforzo, passione, pazienza. Tutta roba che il pedagogismo imposto sempre più nella scuola tende a ridurre, proponendo metodi più allettanti. Già Adorno, parlando dei tabù dell'insegnamento, diceva che l'importante non è persuadere». Ferroni premette che la critica letteraria è necessariamente un lavoro solitario, ma non nega di aver sentito una esigenza di militanza nella fase successiva a Mani pulite, quando «sembrava che stesse crollando il vecchio sistema culturale». Ne nacquero le Lettere a Belfagor pubblicate nel '94 con lo pseudonimo di Gianmatteo del Brica, dove si polemizzava con i modelli della cultura italiana, a cominciare da quelli di sinistra: «Ho partecipato alla fondazione di Reset pensando che fosse un modo per intervenire criticamente, ma non sono mai stato un militante interno». Oggi, dopo appena un decennio, le priorità sono altre. Per esempio quella ecologica: «Lo sfacelo fisico e materiale del globo è legato a una logica economica che concepisce se stessa come modello infinito di sviluppo: una sinistra davvero moderna, non romantica né anarchico-rivoluzionaria, dovrebbe farsi sentire su questi temi, invece è trascinata come tutti dalle esigenze del presente e manca di coraggio. In Italia, ma non solo in Italia, non vedo un pensiero filosofico-politico, si fanno solo conflitti tra neoconservatori che sono in difesa distruttiva del modello occidentale e una risposta no global deformata in senso anarchicheggiante». Se si passa ai critici italiani, Ferroni vede due schieramenti, non propriamente politici, ma metaforicamente animali: gli elefanti e le farfalle. Quelli che si chiudono nel tecnicismo esasperato e nelle minuzie filologiche senza vedere altro. Quelli che svolazzano nell'indeterminatezza, «indulgono all'estetismo di superficie, labile e sfarfalleggiante, appunto». Siamo lontani dai tempi della critica politica. Per esempio, dalle polemiche agguerrite dei Quaderni piacentini : «Non potrebbero più esistere cose del genere, allora la polemica culturale aveva un rilievo sociale che oggi non ha. Quegli stessi intellettuali oggi farebbero un flop, perché non c'è più una coincidenza tra progetto politico e progetto culturale: la politica può trovare una coincidenza solo con la tv, la pubblicità, lo sport». Siamo anche lontani dalla critica semiotica ai mass media: «Quel tipo di semiotica ha ridotto a schemi la decodifica dei meccanismi della comunicazione: mi pare che la tentazione classificatoria sia andata a danno delle intenzioni critiche di partenza, fino a delineare una sorta di complicità. La famosa fenomenologia di Mike Buongiorno, scritta da Umberto Eco, finiva per sottoscrivere una moda, un rilievo sociale. Lo stesso è accaduto in Francia con Barthes, il quale non a caso a un certo punto ha superato la semiotica dei miti d’oggi». Dunque gli intellettuali di una volta oggi resterebbero a casa in pantofole? «Farebbero quel che fanno gli attuali, che guardano tutto dalla propria solitudine. Certo, non è detto che sia male: Gadda non era certo uno scrittore impegnato ma era molto sensibile al presente, parlando dell'ossessione degli oggetti che ci invadono; lo stesso Zanzotto da Pieve di Soligo continua a interrogare il modificarsi catastrofico dei del clima». E i critici? «I maestri della critica una volta almeno tenevano alto il livello della coscienza: Fortini, Sciascia... Pasolini vedeva il mondo con acume, anche se forse oggi non regge molto, però era capace di guardare in alto, affrontava le grandi questioni e sapeva farle ricadere sul pubblico. Oggi conta l'etichetta di schieramento e il rilievo mediatico. Vasco Rossi è diventato un maestro celebrato in università. Sono sorpreso che gli intellettuali lo apprezzino come un modello da proporre ai giovani. Ma l'università tratta gli studenti come clienti e qualunque modo di farsi pubblicità è buono. Poi succede che la laurea ad honorem venga rifiutata a un cantante ben più degno, come Battiato, per il voto contrario di uno studente. Deformazioni della democrazia assembleare...». Al militante che non è mai stato interno, non resta che guardare indietro? «C'è stato qualche personaggio politico, magari di idee diverse dalle mie, che è stato per me un esempio di rigore. Io forse ho ancora una forte nostalgia resistenziale, ma penso a gente come Umberto Terracini e Riccardo Lombardi, persone capaci di un grande impegno tra razionalità e rigore etico. E poi un azionista come Ferruccio Parri. Berlinguer l'ho sempre molto apprezzato anche senza condividerne in pieno le posizioni; perfino La Malfa, il padre naturalmente, con le sue asprezze...». Oggi Ferroni confida in Prodi più che in Veltroni: «Veltroni non è una mosca bianca, come tanti altri sente l'esigenza di rispondere alle esigenze mediatiche». L'intreccio tra politica e letteratura in Italia ha vissuto momenti migliori. O peggiori, a seconda dei punti di vista. «Negli anni 50, credo come riflesso della Resistenza, molti scrittori e critici sono stati anche militanti, poi con il '56 staccarsi dal Pci è stata un'operazione politica forte e sofferta. L'aspetto curioso è che non sempre il valore delle loro opere letterarie coincideva con la capacità di visione critica sul presente. Leggere oggi il Montale della Bufera per capire quel tempo è molto più utile che leggere, che so, Vittorini, il quale fu un grande animatore e organizzatore di cultura, ma i suoi risultati letterari ormai appaiono evanescenti». Dunque, Montale. E poi? «Basta pensare alla forza di Fenoglio, che pure era uno scrittore del tutto appartato rispetto a Vittorini e che ancora oggi stenta a entrare nelle letture dei nostri connazionali». Se è vero che la letteratura italiana del dopoguerra si connota come letteratura di sinistra, finisce che l'attenzione sul presente viene fuori meglio da scrittori considerati conservatori o residui del passato? «Beh, a volte succede, penso ancora a Gadda, ma anche a un poeta che veniva considerato un democristiano come Luzi e che ha molto lavorato nel cogliere le trasformazioni del mondo». Un'eccezione forse potrebbe essere Bilenchi: «Bilenchi si è accostato molto presto alla politica, ha fatto una militanza continua ma senza essere subalterno come scrittore: la sua attività letteraria non coincide con la militanza politica nel Pci. E' come se in lui ci fosse una doppia personalità». Altro caso curioso è quello di Fortini: «Secondo me, il migliore è quello degli ultimi anni, con la raccolta poetica Composita solvantur , dove viene mostrata la parte in ombra del suo voler sempre sviscerare il moralismo e la politicità. Non rinunciò mai, in definitiva, al suo leninismo ossessivo, pur criticamente, finché negli ultimi anni, quando finisce per negare la sua stessa politicità, emergono le cose migliori. I saggi degli anni 60, tipo Verifica dei poteri , rivelano parametri, elementi di fede e prospettive politico-escatologiche inquietanti. Fortini faceva esplodere dall'interno le proprie contraddizioni al di là delle sue stesse intenzioni. Era davvero un ospite ingrato». Romano Luperini non sarebbe d'accordo: «Secondo me, Fortini non è riuscito a intuire la deriva di tante illusioni del '900». A proposito di Luperini, si può condividere la sua idea di una nuova modernità che, dopo le Torri gemelle, ha definitivamente superato il postmoderno? «La visione ottimistica dello scorrimento telematico e della riduzione dei conflitti, tipica del postmoderno, non ha portato a un'apertura ma a un'ulteriore chiusura. Vedo un mondo che si gira in se stesso: mi pare che le strade della modernità non si siano riaperte ma si siano chiuse per sempre con i conflitti tra fondamentalismi. Al postmoderno come deriva dell'alleggerimento, simbolicamente rappresentato dall'informatica, si è sostituito un orizzonte distruttivo». Ma tornando alla visione politica della letteratura, Luperini ha per esempio rivalutato Verga come autore della modernità. Eppure, politicamente Verga si può definire un intellettuale reazionario: «Indubbiamente qui ha ragione. Verga è uno di quegli scrittori che pur partendo da posizioni molto conservatrici sono riusciti a cogliere le contraddizioni del proprio tempo e il mondo nuovo attraverso la scrittura. Invece spesso è stato liquidato come passatista. C'è una forza conoscitiva interna alla scrittura che spesso va al di là del pensiero politico degli scrittori: ho citato Gadda e Verga, ma la stessa cosa si potrebbe dire per Dante. Come si fa a parlare di un Dante reazionario, se nelle sue opere riesce a dare un'immagine critica sconvolgente della sua contemporaneità?». Il professore Giulio Ferroni è nato a Roma nel 1943. Allievo di Walter Binni, in un primo tempo si è dedicato allo studio del teatro del Rinascimento e del Settecento, per poi estendere la sua ricerca alla produzione letteraria contemporanea Critico, saggista e collaboratore di diverse testate, dal 1982 insegna Letteratura italiana all’Università di Roma La Sapienza Tra le sue opere, la «Storia della letteratura italiana» in 4 volumi, «Dopo la fine» e «La scuola sospesa» editi da Einaudi; «La scena intellettuale. Tipi italiani» (Rizzoli); «Passioni del Novecento» e «Machiavelli, o dell’incertezza» pubblicati da Donzelli. Con lo pseudonimo di Gianmatteo del Brica, ispirato a Machiavelli, ha pubblicato le «Lettere a Belfagor» (Donzelli) ________________________________________________ Repubblica 20 giu. ’05 BRICKS, LA VIA EUROPEA ALLE BIBLIOTECHE DIGITALI STEFANO CARLI Dire che è «la risposta europea a Google» è vero solo in parte. Perché Brcks, il progetto europeo di «digital libraries» è, nelle sue ambizioni, molto di più. Google Print mette a disposizione degli utenti della Rete un primo blocco di libri digitalizzati. Bricks vuole invece mettere in Rete le grandi istituzioni culturali del Vecchio Continente. «Sarà come poter entrare attraverso Internet nella Staatsbibliotek di Vienna, o nella Biblioteca degli Uffizi o nell’Archivio Segreto Vaticano spiega Benedetto Benedetti, docente della Scuola Normale Superiore di Pisa, che è uno dei ‘padri’ del progetto Si avrà accesso ai cataloghi, si potranno fare ricerche bibliografiche e anche avere accesso ai testi. Che non è il vero punto di forza di Bricks: Google dà accesso ad un testo. Bricks vuol dare accesso a risorse». Bricks è uno dei grandi progetti europei sulle applicazioni del digitale. E poiché si parla di libri, di cultura, di biblioteche e di musei, è anche ovvio che sia un progetto molto italiano, visto la parte che l’Italia detiene del patrimonio culturale mondiale. Ma stavolta la presenza italiana non è solo negli ‘oggetti’ della ricerca, ma anche nella parte tecnologica. Il coordinatore del consorzio, che l’Ue ha dotato di un finanziamento di 6 milioni di euro, è l’italiana Engineering, che organizza il lavoro di partner che vanno dal Cern di Ginevra al tedesco Fraunhofer Institut, università come Sheffield, Vienna Firenze e Atene, e che hanno coinvolto anche istituzioni ‘extracomunitarie’ come l’Heritage di San Pietroburgo e il Politecnico di Losanna. Bricks è uno dei progetti che nascono a partire da S3, la strategia messa a punto dall’Unione per arrivare a definire standard europei nei principali settori tecnologici e per concentrare su obiettivi comuni e strategici le risorse che i singoli Stati investono nella ricerca. Non a caso dietro all’architettura software di Bricks c’è un altro progetto europeo che si chiama Diligent e riguarda il Grid. Diligent è uno spin off di un altro progetto, Egee, European Grid for eScience, guidato dal Cern per sviluppare reti di computr che possano offrire potenze di calcolo infinitamente più grandi di quelle offerte dai server più potenti ma a costi molto più contenuti. Diligent, che ha anch’esso Enginerering come principale partner industriale, parte dai risultati di Egee per creare una infrastruttura Grid che connetta 7 mila computer dislocati in 77 università europee. Una enorme potenza di calcolo a disposizione di ogni ente di ricerca collegato ma anche la base di una comunità virtuale di ricerca di dimensioni continentali. Sarà dunque il Grid di Diligent a rendere possibili le ricerche che si potranno compiere sulla mega bilblioteca virtuale europea di Bricks. Bricks è una sigla che sta per Building Resources for Integrated Cultural Knowledge Services ma è anche una parola che vuol dire mattoni. «Non pensavamo agli edifici quando abbiamo scelto il nome ricorda ancora Benedetti piuttosto ai mattoncini del Lego: pezzi diversi con cui immaginare forme più complesse». Bricks è in sostanza un sistema di interconnessioni. Si fa una domanda, e a rispondere non è una entità terza, ma le istituzioni culturali depositarie di quel tipo di conoscenze. «E’ come avere a disposizione i capi bibliotecari delle principali biblioteche europee», sintetizza Benedetti. E questa è la principale differenza con Google Print. Google si limita a mettere in rete libri digitali (non testi web ma proprio i libri stampati, come dei Pdf) di cinque biblioteche. Quatto statunitensi: tre universitarie (Michigan, Harward, Stanford) più la New york Public Library. Una britannica, quella dell’università di Oxford. Inoltre il potente motore di ricerca di Google pesca dalla rete qualsiasi altra versione digitale del titolo che si sta cercando. Ma soprattutto in quest’ultimo caso la ricerca segue i soliti criteri statistici del motore di ricerca (i link più visitati) senza nessuna garanzia rispetto alla qualità di versioni e traduzioni: trova quello che c’è in Rete e nella Rete, come si sa, c’è di tutto. Bricks vuole invece essere uno strumento molto più sofisticato. In estrema sintesi è un middleware in grado di omogeneizzare («brickseggiare» dicono già gli addetti ai lavori) i sistemi informativi già in uso da parte di biblioteche, musei e istituzioni culturali e di ricerca collegate. Uno standard in grado di creare un sistema di accesso unificato ma anche di far parlare tra di loro i diversi database. «Oggi infatti ogni biblioteca usa non solo una sua tecnologia, ma anche un suo sistema di catalogazione spiega Francesco Saverio Nucci, responsabile dei progetti di ricerca europei di Engineering E poi, mentre Google permette la semplice ricerca su testi digitali, Bricks consente di gestire e sviluppare servizi specifici. Inoltre il sistema utilizza servizi e funzionalità innovative che permettono la ricerca semantica, sistemi di navigazione avanzate ed infine la gestione dei diritti e della sicurezza attraverso le modalità di Drm, Digital Right Managemnt. Anzi, quella di sviluppare un ambiente sicuro e legalmente affidabile è una priorità fondamentale». Siamo, come si vede, all’opposto della logica usata da Google e che ha scatenato polemiche a non finire perché rischia di tagliare fette importanti del business dell’editoria rendendo di fatto disponibili in modo gratuito libri attualmente in commercio. Anzi, Bricks prevede anche un sistema di accesso a pagamento ai livelli più complessi di servizi. Quando il sistema sarà finito, cioè circa tra tre anni, proporrà sia un livello iniziale aperto a tutti gli utenti gratuitamente, per permettere dei «tour di visita» (per esempio ai cataloghi di biblioteche e musei) sia un livello a pagamento: per esempio quando le domande riguarderanno particolari lavori sulle fonti testuali o magari l’accesso ad opere particolari: manoscritti, incunaboli, quadri. «Bricks deve essere in grado di adattarsi alle regole scelte dalle singole istituzioni proprietarie delle opere e dei database. Google, per dire, si limita a portare l’utente nel sito del museo. Bricks lo farà accedere a quel museo. E se il museo richiede un pagamento di ingresso, Bricks deve essere in grado di gestire anche la ‘biglietteria virtuale’ spiega Benedetti Bricks è insomma un progetto di mercato. Deve produrre utili e permettere alle istituzioni collegate di produrne a loro volta». Sono quindi le istituzioni a decidere cosa è libero e cosa a pagamento. L’Archivio Segreto Vaticano sta digitalizzando tutti i suoi indici e poi deciderà quali limiti porre all’accesso. Lo stesso farà l’Istituto Nazionale del Rinascimento di Firenze quando avrà finito di digitalizzare i suoi testi. Ma Bricks ha anche un’ulteriore funzionalità che riguarda altre tipologie di utenti. «Il sistema permetterà infatti di organizzare secondo il suo standard anche i documenti creati o messi in rete da altri utenti spiega Nucci Non bisogna pensare solo alle biblioteche e ai musei, ma anche a grandi banche dati di tipo scientifico, come per esempio la banca dati dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. E lo stesso vale per i documenti che singoli ricercatori vogliano mettere in rete. Bricks è insomma anche un sistema di condivisione di documenti con sui si possono creare biblioteche temporanee virtuali, per esempio in occasione di convegni». Ti pubblico online ma solo in parte Google Print Dal momento dell’uscita ufficiale, lo scorso venerdì 27 maggio, Goggle Print ha scatenato critiche e proteste. Ha iniziato l’American University Press Association: sono editori che non fanno certo i loro ricavi con best sellers dalle grandi tirature ma con edizioni accademiche e si sentono minacciati dalla possibilità che gli studenti possano trovare gratis sul web testi e dispense. Da questa parte dell’Atlantico la protesta è subito scattata in Francia, non tanto per questioni di diritto d’autore e di editore quanto per paura di un ennesimo rischio colonizzazione dell’Europa da parte del mondo anglosassone, visto che i testi che Google mette in rete sono tutti in inglese. Ma la prova del fuoco di tutta questa vicenda sarà nel vedere se Google rispetterà quanto promesso agli editori di cui chiede la collaborazione: ossia che i libri che verranno messi ‘online’ saranno solo versioni parziali e incomplete. In più Google stesso si occuperà, nel caso, della digitalizzazione dei testi e di curare il rinvio a siti di ecommerce. Infine, offre agli editori una quota della pubblicità online attivata sulle pagine web che contengono i loro titoli. ________________________________________________ La Stampa 20 giu. ’05 DIFESA DEI BREVETTI I RITARDI ITALIANI IL CONVEGNO DELLA FONDAZIONE AGNELLI MARIO Moretti Polegato è un industriale del Nord Est che produce scarpe. Invitato dall’Università di Torino per tenere una lezione sulle stretegie di mercato e sulla competitività ha detto: «Io non ho paura dei cinesi. Il segreto non è la guerra ai prodotti dei paesi emergenti. Quello che l’Europa e l’Italia debbono capire è che il mercato si difende con i brevetti, non cercando di arginare invasioni inarrestabili. Io brevetto le mie scarpe e non temo nessun cinese». Nella competizione si entra e si vince se ci sono fondamenta solide. Una di queste è la difesa dei brevetti. Era il tema centrale nel seminario «Diritti di proprietà intellettuale tra incentivi e strategie. Problemi di ricerca e casi di studio», organizzato dalla Fondazione Agnelli, a cui hanno partecipato docenti e ricercatori universitari. Nell’introdurre i lavori John Elkann, vicepresidente della Fondazione,ha chiarito subito il punto centrale: «Nell’Europa di oggi soltanto una capacità di cooperazione dinamica tra i vari soggetti interessati allo sviluppo può premettere di dispiegare un ammontare di risorse finanziarie, ma anche e soprattutto umane e organizzative, tale da sostenere i necessari livelli d’innovazione e di successo competitivo». Partita complessa, dove «la difesa del brevetto non è una questione solo giuridica, ma anche strategica», come ha detto l’economista Mario Calderini, docente al Politecnico di Torino. Avverte Calderini: «Non è il mancato rispetto della proprietà intellettuale da parte dei paesi emergenti che danneggia l’Europa, il vero problema è il differenziale di competitività tra i prodotti». Il successo di cinesi e indiani, che mette tanta ansia all’Occidente, non deriverebbe solo dal fatto che calpestano allegramente i diritti della proprietà intellettuale. Spiega Calderini: «Non solo hanno costi bassi di manodopera, ma investono moltissimo in ricerca e hanno ottimi prodotti. Bisogna concentrarsi su ciò che sta a monte della proprietà intellettuale. In Italia c’è ancora una cultura giuridico-amministrativa troppo marcata e una struttura industriale fatta di piccole e medie imprese con una loro intrinseca debolezza». E qui che l’Italia mostra tutti i suoi ritardi. Il costo di un brevetto è di 40 mila euro, ma la difesa del brevetto stesso quando arriva sul mercato può superare i 500 mila euro. Le piccole e medie imprese sono tagliate fuori. Dice Calderini: «Le aziende di queste dimensioni concentrano l’attenzione sui problemi tecnici, cioè se il brevetto è brevettabile e non se l’Italia ha grosse potenzialità di mercato». La finanziaria del governo Berlusconi 2001 ha lasciato intatto il «professor privilege», un meccanismo che riconosce all’inventore i diritti sulla proprietà. Ma questo, se da una parte offre un riconoscimento economico al singolo, dall’altra indebolisce il potere di difesa dei brevetti delle università. La questione è delicata, l’Italia e la Germania sono gli ultimi paesi allineati su questo fronte, il rischio è che l’innovazione, per mancanza di massa critica che difenda i brevetti, s’inaridisca. Ne è la prova l’industria delle biotecnologie, come ha spiegato Lorenzo Cassi, docente alla Bocconi: «E’ un settore che in Italia non è misurabile con dati di brevetto. Le imprese straniere finanziano molte attività di ricerca e sono titolari di una quota rilevante di brevetti realizzati da inventori residenti in Italia». In generale il ruolo dell’università, misurato dal numero di brevetti, è assai limitato. L’attvità di brevettazione, in questo settore così rilevante, risulta essere concentrata nelle sole province di Milano, Roma e Siena. In dodici anni, tra il 1990 e il 2002, la quota italiana di brevetti, nelle biotecnologie, è stata pari all’1,17 per cento. Gli Usa, ovviamente, fanno ancora la differenza. Ha rilevato nel sua ricerca Fabio Montobbio del CESPRI quanto negli Stati Uniti sia accresciuta la quota di brevetti in questi ultimi anni, e con essa l’aumento delle licenze e della creazione di nuove imprese. Distanze siderali, Calderini torna ai temi di casa: «Prima di occuparci di chi ci copia dobbiamo preoccuparci dei nostri problemi strutturali. Il protezionismo e l'uso allegro della fiscalità sono state per anni le leve più competitive dell'innovazione». Prima di tutto. ___________________________________________________ La Repubblica 20 giu. ’05 LA CARICA DEGLI ATENEI ONLINE, ANNO ACCADEMICO IN RETE Le università telematiche stanno finalmente decollando. Molte le sinergie tra pubblico e privato nei nuovi istituti di formazione che stanno mettendo in moto anche processi di riqualificazione urbanistica. E intanto le attività partite per prime ampliano i corsi STEFANO CARLI Roma La partenza è stata lenta, l'anno ~ scorso di atenei telematici in seno stretto, quelli cioè autorizzati dalla nuova normativa varata a inizio 2004 da Letizia Moratti e Lucio Stanca, ministri dell'Istruzione e dell'innovazione, c'era in sostanza la sola Guglielmo Marconi. Ma il panorama si sta gradatamente arricchendo. Già quest'anno, da settembre, partiranno i due atenei che hanno già concluso l'iter autorizzativo: la Telma promossa dal Formez a Roma, e la Leonardo Da Vinci, che fa capo alla fondazione Gabriele D'Annunzio, emanazione dell'Università di Pescara. E già sono arrivate al ministero altre tre domande di autorizzazione. Si tratta della Uil di Firenze, che attiverà una laurea breve in argomento pedagogico e un biennio di specializzazione in Comunicazione didattica. Da Benevento è arrivata la domanda dell' Efiro, che organizza un intero corso di laurea in Giurisprudenza: sia il triennio della laurea breve che il successivo biennio di specializzazione. Infine ancora a Roma c'è Unimeur.it. con due corsi di tematiche aziendali: un primo triennio in Gestione Aziendale e un successivo biennio in Management dello sport. Le cose, insomma, iniziano a muoversi velocemente. «Le università telematiche stanno decollando in linea con le aspettative - chiosa Guido Possa, viceministro all'Istruzione, che segue in particolare il nuovo settore - e siamo convinti che daranno un contributo importante allo sviluppo sia di un allargamento della formazione universitaria che alla realizzazione dell'obiettivo della formazione continua che permetterà a chi già lavora di attingere a possibilità di aggiornamento di livello universitario, visto che i docenti sono gli stessi degli atenei tradizionali, cosa che garantisce la qualità dei corsi». Tutti i nuovi atenei telematici utilizzano docenti universitari a contratto, ma la Leonardo Da Vinci di Chieti utilizza di fatto un'intera università. La UV è infatti emanazione di un'università statale, la Gabriele D'Annunzio - di Pescara. «E' un ateneo privato che dipende al 100% da un'università pubblica - spiega Franco Cuccurullo, rettore dell'università D'Annunzio e presidente della fondazione che controlla l'ateneo telematico - E dispone dell'intero corpo docente dell'ateneo di origine, 650 professori. Questo ci permette di sviluppare molte sinergie. Per esempio la UV compra servizi dalla D'Annunzio ed è quindi una fonte di entrate per l'ateneo pubblico». La Da Vinci ha avviato da pochi giorni le prescrizioni e ne ha già raccolte oltre un centinaio. «E ben poche vengono dall'Abruzzo - spiega Cuccurullo - arrivano da ogni parte d' Italia, e altra particolarità, sono soprattutto laureati che puntano a prendere una seconda laurea per esigenze professionali o per proprio arricchimento professionale». La Da Vinci parte perora con tre facoltà, una incentrata sul Management dei servizi sanitari, una sui Beni culturali e una terza corrispondente alla tradizionale Pedagogia. Psicologia e Sociologia dovrebbero aggiungersi presto, anche se non quest'anno. In più l'ateneo telematico, avendo minore bisogno di spazi, ha potuto riqualificare un vecchio palazzo nobiliare di Torrevecchia Teatina, vicino Chieti, dove ha stabilito la sua sede. Accanto alle novità va registrato anche il consolidamento delle esperienze già avviate. Dalla Marconi, con la sua offerta ormai articolata su ben sei facoltà (Giurisprudenza, Lettere, Economia, Scienze e Tecnologie Applicate, Scienze della Formazione e Scienze Sociali), al consorzio Nettuno che offre 27 corsi nelle sue diverse modalità, dal pc alla televisione, al Politecnico di Milano, che in collaborazione con Somedia sta arricchendo la versione online della sua facoltà telematica in Ingegneria informatica. Dal prossimo anno accademico, quindi da settembre, partiranno quattro nuovi corsi, sia nella versione tradizionale che in quella virtuale: Interazione uomo-macchina, Impianti informatici, Intelligenza artificiale, Progettazione e sviluppo di percorsi di e-learning. «Uno sviluppo reso possibile dal fatto che si è trovata una modalità soddisfacente di realizzare online le attività di laboratorio - spiega Cristina Fossati, direttrice dell'unità Lauree Online di Somedia - Abbiamo realizzato aule virtuali in cui è possibile depositare materiali, progetti e test. II docente effettua le prove in due laboratori del Politecnico appositamente attrezzati per questo e le riprese e si possono seguire in diretta sul pc o le si può scaricare in un secondo momento, assieme ai documenti collegati». ________________________________________________ L’Unione Sarda 22 giu. ’05 CAGLIARI: SUPERCONDUTTORE, IL LAVORO VIAGGIA NEL FUTURO Scienza. Diventa un'idea imprenditoriale una scoperta dell'Università: depositato il brevetto Il prodotto a base di diboruro di magnesio, sperimentato nello scorso ottobre a Cagliari come superconduttore elettrico in assenza di dissipazione di energia, diventa una idea imprenditoriale. Business Le carte da giocare ci sono: un brevetto internazionale, depositato ieri, sui superconduttori (una pastiglia di pochi centimetri che può essere prodotta, con costi inferiori di dodici volte a quelli di mercato, nell'ateneo cagliaritano grazie a un macchinario presente in altri tre stati europei), due progetti (appoggiati dall'Agenzia spaziale europea e in attesa di finanziamento da parte di quella italiana, per una cifra di oltre due milioni di euro) sugli studi di combustione per arrivare a saldature in assenza di gravità, e il simposio internazionale sulla sintesi di propagazione ad alta temperatura, iniziato ieri, al Setar hotel, un riconoscimento scientifico per l'ateneo cagliaritano e per il lavoro dell'equipe del professor Cao. Alta tecnologia Le numerose novità sono state illustrate ieri in una conferenza, guidata dal responsabile del gruppo che opera nel dipartimento di Ingegneria chimica e dei materiali. «Dopo il livello nazionale, siamo passati a quello internazionale, per il brevetto sul processo per la preparazione di un prodotto superconduttore a base di diboruro di magnesio ? ha ricordato Cao ? Questo ci permetterà di portare avanti i contatti avviati a livello nazionale. Abbiamo però riscontrato il forte interesse da parte dell'amministrazione regionale affinché la produzione delle pastiglie superconduttrici resti nell'isola». I costi Il vantaggio economico è presto detto: una pastiglia di circa 2,5 centimetri e di 4 millimetri di spessore costa, tariffa alla mano, 358 euro. Se aumenta la grandezza si arriva a 790 euro a pezzo. «Con il nostro processo, reso possibile dalla tecnologia Sps, il cui unico esemplare in Italia è di proprietà del consorzio Promea e presente in Europa in altri tre paesi, la spesa di produzione è di 3,75 euro a pezzo, che sale a 65 euro se aumenta la grandezza». Vantaggi economici Messo in vendita ai prezzi di mercato (o anche a una cifra concorrenziale) rappresenta certo un bel business per chi volesse investirci sopra. «Qualche azienda è molto interessata», ha aggiunto Cao. Di Sps, e quindi sulle possibilità di una nuova intrapresa industriale in Sardegna basata sullo sfruttamento della vasta gamma di prodotti ottenibili con questa tecnologia, si parlerà al congresso al Setar, che terminerà venerdì. Agenzia spaziale Altro argomento di discussione saranno gli studi delle reazioni di processi in assenza di gravità (quelli dello staff di Cao hanno attirato l'attenzione dell'Agenzia spaziale europea) e di voli parabolici in assenza di gravità. «La società Spaceland ? ha sottolineato il docente universitario ? ha mostrato interesse per l'idea di realizzare un centro turistico aerospaziale nella zona di Cagliari». Anche in questo caso è stata attirata l'attenzione della Regione. L'uomo della strada potrebbe così provare l'ebbrezza di un volo in assenza di gravità, per venti secondi. Matteo Vercelli ________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 giu. ’05 Lettera aperta al presidente Soru CANEVACCI A SORU: LA SCIENZA PUNTA SULLA SARDEGNA Lettera aperta ai «decisori dell’innovazione». Al presidente della Regione Sardegna Renato Soru. Siamo a Cagliari, invitati da SCIgroup, nell’ambito della presentazione (www.mondiattivi.org) dei Mondi Attivi: ambienti tridimensionali on line, dove è possibile sperimentare rapporti reali: conversare, confrontarsi e cooperare. Siamo qui per discutere di queste potenzialità nel Forum internazionale su «La comunicazione inter-operativa in ambiente virtuale per lo sviluppo della Società dell’Informazione, tra locale e globale», che ha creato un confronto con un bel gruppo di lavoro che opera in Sardegna con estese e consolidate relazioni nazionali e internazionali. Da questo incontro sono scaturite idee che vogliamo rilanciare e mettere a disposizione della sua attività di governo. Come lei ha intuito e più volte detto, siamo arrivati al momento di una ridefinizione della vita sociale. La sfida che i governi, i sistemi formativi, di ricerca e il mondo dell’impresa, devono assolutamente affrontare è quella di utilizzare la tendenza già in atto verso l’integrazione dei servizi di rete fissa, satellitare e mobile in un unico sistema per la convergenza con una serie di servizi innovativi, basati su un’interattività che sappia tradursi in virtuosa interazione sociale e comunicazionale. A questo fine non è affatto necessario rivoluzionare i processi in corso, ma è sufficiente adattarli alla nuova domanda spontanea di conoscenza, di creatività e di collaborazione dal basso dei cittadini, a partire dai più giovani. C’è anche l’esigenza di arricchire i linguaggi di comunicazione, di cui si vale l’insegnamento, riconsiderando l’egemonia del formato sequenziale, scritto o audiovisivo, per valersi di tutte le potenzialità della comunicazione digi- tale, che è connettiva e sperimenta linguaggi che si caratterizzano nel divenire polifonici, ibridi, multipli. Se ci rivolgiamo a lei è perché la Sardegna ha già dimostrato la sua capacità di innovare nella Società dell’Informazione, assumendo, nei fatti, il ruolo di regione-pilota per quanto riguarda il rinnovamento dei processi di insegnamento e apprendimento. Tanto più che oggi, con il prossimo avvio dell’Università telematica e con la sperimentazione della Televisione Digitale Terrestre dove lei stesso ha prefigurato un canale interamente dedicato alla formazione, integrato con il portale Conoscere.it, evoluzione del progetto M@rte, si stanno già delineando vie di grande potenzialità. In Sardegna, infatti, grazie a quanto è già disponibile, si può non solo concepire, ma cominciare a realizzare una società che non sia basata solo sul transito d’informazione e solo sul consumo: leggendo giornali, vedendo televisione, navigando reti, ma sia invece fondata sulla comunicazione una volta tanto intesa, non solo come un «comunicare a», secondo il modello imposto dai mass-media, ma come un «comunicare con», che corrisponde alle migliori potenzialità dello scambio inter-umano ora rilanciato nell’interattività. Sappiamo che lei non è abituato a rassegnarsi e siamo per questo sicuri che l’attira la prospettiva di trasformare l’informazione in conoscenza e partecipazione diretta al sistema di comunicazione nel suo complesso (come accade con i forum, i blog e i wiki) e di comprendere come si possano incentivare nuove forme di coinvolgimento attivo nei processi interattivi (peer to peer, file sharing, social tagging) rendendo sostanziale quel principio di cittadinanza consapevole che sta alla base del mutamento civile. Saremmo lieti di confrontarci con lei sui percorsi da seguire per cominciare a realizzare, in Sardegna e a partire da oggi, questa prospettiva. Massimo Canevacci, docente di Antropologia Culturale, Scienze della comunicazione, Università La Sapienza di Roma; Derrick De Kerckhove, direttore del McLuhan Program, Toronto (Canada); Carlo Infante, docente di Performing Media, Università di Lecce, Accademia di Macerata, Ied di Torino; Stefano Poeta, direttore del Cst di Assisi, Centro studi per il turismo, Università di Perugia; Ivano Tienforti, amministratore delegato di SCIgroup; Silvano Tagliagambe, docente di Epistemologia, Facoltà di Architettura di Alghero. ________________________________________________ L’Unione Sarda 22 giu. ’05 CAGLIARI: BIOLOGIA FACOLTÀ AUTONOMA «Abbiamo tutti i numeri per diventare facoltà, e se così non fosse si perderebbe una grande occasione». Si anima il dibattito sulla futura nascita, già nel prossimo anno accademico, della facoltà di Biologia, arrivata a oltre 600 iscrizioni all'anno, pari al 60 per cento delle iscrizioni di Scienze matematiche, fisiche e biologiche, pronta a far parte di un importante progetto (da 44 milioni di euro) per la biomedicina e la bioinformatica. E che raccoglie il riconoscimento nazionale, come conferma la recente nomina di Giovanni Biggio (direttore del dipartimento di Biologia sperimentale dell'ateneo di Cagliari) a presidente della Società italiana di farmacologia, che conta circa 1.400 soci. «I tempi sono maturi perché Biologia diventi facoltà autonoma ? spiega il docente ?. E vogliamo continuare la cooperazione con gli altri poli, soprattutto con informatica e fisica. Si sente parlare di un eventuale rischio di uscita dai progetti con il Crn4 per la biomedicina e la bioinformatica. Il nostro obiettivo è l'esatto contrario: potremo avere dei docenti di fisica e informatica, grazie alla collaborazione con gli altri corsi di studio. Se poi non ci sarà la disponibilità, grazie all'autonomia data dall'essere facoltà, potremo attivare dei nostri concorsi». La necessità di creare la figura professionale del bioinformatico è infatti sempre maggiore. L'ostacolo più grande sembrava essere quello economico: «Non sarà così ? continua Biggio ?. Le risorse resteranno invariate. Quello che serve è un aiuto da parte della Regione per la ricerca, che sta vivendo di risorse che procurano pochi settori disciplinari». Alcune aree di Biologia accolgono numerosi studenti, sia che ci siano le risorse, sia che non ci siano: «Continuando così il rischio è quello di tornare indietro. Oramai le risorse che arrivano dallo Stato, passando per la Regione, fanno ridere: il problema è che anche 500 euro, per alcuni docenti, servono per coprire spese e sopravvivere. Ma questo non è fare ricerca». Con l'Italia, e di conseguenza la Sardegna, all'ultimo posto nelle risorse economiche per la ricerca, il rischio di essere tagliati fuori dall'Europa è elevato. (m. v.) ======================================================= ________________________________________________ L’Unione Sarda 22 giu. ’05 DIRINDIN: SULLE ASL NON DECIDANO I PARTITI Vent'anni di attesa, meno di un anno per predisporre il Piano regionali dei servizi sociali e sanitari. L'assessore Nerina Dirindin lo ha presentato ieri al vasto mondo dei camici bianchi e del volontariato nel corso della prima "Conferenza regionale dei servizi alla persona", svoltasi nel palazzo del congressi della Fiera di Cagliari superaffollato. E ha raccolto molti applausi e qualche critica. Hanno protestato il capogruppo di Forza Italia Giorgio La Spisa e il consigliere Mariano Contu, lamentando «una scorrettezza istituzionale in quanto l'assessore ha invitato a intervenire tre esponenti della sinistra e precisamente le onorevoli Rosy Bindi, Maura Cossutta e Livia Turco». Si tratta di tre componenti della Commissione affari sociali della Camera. Come il coordinatore regionale di Forza Italia, Piergiorgio Massidda, che ieri ha espresso il proprio «plauso per ciò che sta facendo la Giunta regionale: finalmente la Sardegna ha un Piano sociale». Il massimo dirigente di FI nell'isola ha detto di non condividere invece «alcune cose del Piano sanitario». Anche il deputato di An Carmelo Porcu, (pure lui componente della Commissione affari sociali) ha giudicato la presentazione «un fatto positivo per la regione Sardegna e per il bene della comunità isolana». E ha aggiunto di essere rimasto colpito dal fatto che «l'assessore Dirindin ha posto la persona e la famiglia al centro della filosofia del piano». Apprezzamento, ma pure la previsione che «ci sarà battaglia tra maggioranza e opposizione quando le leggi approderanno in Consiglio». Scadenza non troppo lontana, perché il presidente della Commissione regionale sanità, Pierangelo Masia, ha detto che «saranno esaminate subito dopo le ferie» e spera che vengano approvate entro la fine dell'anno, «in modo che dal 2006 possano essere operativi i piani triennali». Si profila quindi un autunno caldo per la sanità sarda. Verso novembre dovrebbero essere nominati anche i nuovi manager delle Asl. Ne ha parlato ieri, durante la conferenza, il presidente della Regione Renato Soru: «Ci hanno accusato di aver designato direttori generali non sardi, ma non ci vergognamo di confrontarci con gli altri e di arricchirci. I prossimi li sceglieremo non secondo l'appartenenza, ma sperando solo che possano gestire bene gli ospedali. Non chiederemo niente, solo che rispettino gli obiettivi e ci diano una sanità migliore. Noi controlleremo che le regole non vengano truccate: i primari siano nei posti giusti e i migliori possano diventare primari. Ora speriamo che il piano venga bene accolto da tutti, perché per tutti i sardi è stato predisposto». In effetti, dalla lunga serie degli interventi (coordinati dal giornalista Giorgio Melis) è emersa una valutazione sostanzialmente positiva del progetto di sviluppo dell'assistenza socio-sanitaria in Sardegna. Scontata quella di Rosy Bindi e Livia Turco, meno quella dei sindacati. Elisabetta Perrier (Cgil) ha apprezzato che «siano unificati in un'unica programmazione i due capitoli della sanità e dell'assistenza sociale, segnale significativo di una nuova cultura dei servizi pubblici. Bisognerà però coordinare le politiche sociali con la politica urbanistica e della casa». I piani affidano infatti un ruolo di rilievo ai Comuni, come ha rilevato la presidente dell'Anci Linetta Serri, che in vista dell'attuazione del piano, ha auspicato «collaborazione tra le istituzioni e integrazione tra le risorse finanziarie e umane pubbliche, private, col coinvolgimento del volontariato». Ma il sì più significativo (con riserva) è arrivato da Marcello Angius, a nome della potente Intersindacale medica (che unisce tutte le sigle più importanti): «Condividiamo la bozza di piano e certe scelte, collaboreremo a eventuali limature». Ma Angius ha anche messo in guardia dal chiudere drasticamente i piccoli ospedali «com'è avvenuto in altre regioni, dove però c'è ben altra rete di servizi nel territorio». Perplessità anche sul rapporto tra sanità pubblica e università di Cagliari: «Non si capisce perché non si sia fatto ricorso agli stessi criteri previsti per Sassari». Il presidente regionale degli ordini dei medici, Pierpaolo Vargiu, attende la stesura definitiva, ma apprezza l'istituzione dell'Agenzia regionale della sanità «che aspettavamo da anni» e mette l'accento sulla necessità di incidere sui servizi che riguardano direttamente i pazienti. Dai medici ai loro principali collaboratori, Pierpaolo Pateri, coordinatore regionale dei Collegi degli infermieri, ammette che «col piano si respira aria nuova» e si augura «che si proceda a un riposizionamento ma anche al riconoscimento delle competenze specifiche e delle capacità degli infermieri». L. S. ________________________________________________ L’Unione Sarda 21 giu. ’05 CAGLIARI: HAI UN INFARTO? TI SOCCORRE IL POLIZIOTTO Università. Intesa fra Questura e Facoltà: agenti a lezione da oggi a medicina Poliziotti in grado di strappare alla morte un ferito grave, salvare un infartuato con il defibrillatore, fornire soccorso in quei momenti in cui si attende l'arrivo di un'ambulanza e una manciata di secondi può decidere fra la vita e la morte. Gli agenti che svolgono attività di strada (squadra volante, mobile, poliziotti di quartiere) non saranno più soltanto tutori dell'ordine e della sicurezza pubblica ma anche della salute dei cittadini. Prende il via oggi, nella facoltà di Medicina, il primo ciclo di lezioni universitarie sul primo soccorso riservate a operatori della polizia della provincia di Cagliari. Un'esperienza all'avanguardia a livello nazionale. Venticinque ore, massimo sei allievi per volta, nozioni teoriche di medicina d'emergenza, esercitazioni pratiche con manichini: «L'obiettivo - spiega il preside di Medicina, Gavino Faa - è duplice: da un lato formare poliziotti in grado di rianimare un paziente in pericolo di vita, dall'altra coinvolgere la polizia nella ricerca, sfruttando le informazioni che gli agenti possono raccogliere nella loro attività quotidiana sui vari aspetti delle emergenze». Il progetto di studio, articolato su tre livelli (defibrillazione, eventi traumatici, eventi pediatrici), prevede naturalmente degli aggiornamenti periodici e si inquadra nel protocollo d'intesa sottoscritto tre mesi fa fra Università e Questura. Una firma che sancisce un avvicinamento in atto ormai da tempo. A fare da cerniera, una singolare figura di poliziotto-docente: l'ispettore Antonio Satta, da un anno professore a contratto di primo soccorso a Medicina grazie a un'esperienza pluriennale costruita essenzialmente nel volontariato. Il corso, di cui è titolare il professor Antonio Marchi, è obbligatorio e propedeutico. Gli studenti cagliaritani lo affrontano al primo anno: «L'ho voluto istituire - spiega il preside Faa - per rispondere a una delle critiche più frequenti all'organizzazione degli studi nella facoltà di Medicina: quella di un'eccessiva teoricità. Così, invece, anche uno studente al primo anno è in grado, per esempio, di offrire soccorso a un bagnante alle prese con un principio di annegamento». Il corso ha ottenuto un alto gradimento fra gli studenti. Attraverso il professore a contratto Satta (che è anche responsabile del nucleo sanitario della protezione civile Alpini Sardegna), Questura e Facoltà sono entrate in contatto: di qui, dal desiderio di Gavino Faa di aprire la facoltà alle esigenze del mondo extrauniversitario e dalla sensibilità del questore Paolo Cossu, l'idea di avviare il progetto didattico per gli operatori di polizia. Un'imponente esercitazione, il primo giugno scorso alla cittadella universitaria di Monserrato, ha sancito la fine delle lezioni per l'anno accademico 2004-2005: coinvolti, alla presenza di questore e rettore, una volante e un elicottero della polizia e uomini e mezzi della croce rossa di Oristano. E sullo sfondo c'è un'idea ancora più ambiziosa, un progetto da un milione di euro: la realizzazione, a Monserrato, di un Centro universitario di Medicina simulata, dove potrà esercitarsi nelle pratiche di primo soccorso un numero decisamente più elevato di studenti e agenti di sicurezza. Il centro sarà affidato a uno specialista di Anestesia e Rianimazione, Gabriele Finco. Questa settimana dovrebbe essere definito un accordo con un importante ente di ricerca per l'avvio dei lavori. (m. n.) ___________________________________________________ Corriere della Sera 22 giu. ’05 CARO BUSH, L'EMBRIONE NON È QUESTIONE DI FEDE di MARIO CUOMO Esiste un modo per superare l'impasse religiosa creata dalla posizione del presidente Bush sulle cellule staminali embrionali. La maggior parte degli scienziati sostiene che se le cellule staminali adulte possono venir usate per curare alcune tra le peggiori lesioni e malattie, le cellule staminali embrionali promettono risultati ancor più ampi e sicuri. Per questa ragione, molti scienziati hanno accolto con piacere l'offerta fatta da Bush nel l'agosto 2001 di sostenere la ricerca sulle cellule staminali adulte con risorse governative ma, insieme a milioni di altri americani, sono rimasti dolorosamente delusi dal suo rifiuto di voler fare altrettanto nei confronti della ricerca sulle cellule staminali provenienti dalle molte migliaia di embrioni non impiegati nella fecondazione, destinati alla distruzione. Secondo parecchi ricercatori, il compromesso di limitare il finanziamento federale solo agli studi compiuti sulle circa 20 serie di cellule staminali embrionali che erano state già sviluppate (grazie a un finanziamento deciso da Clinton, ndr) è politicamente accorto ma insufficiente, anche perché molte di quelle serie di cellule hanno un potenziale limitato e incerto. Bush non nega che le cellule staminali embrionali abbiano potenziali di cura maggiori: afferma che la sua decisione è basata sulla convinzione che prelevare cellule dall'embrione lo distrugge e dia luogo alla morte di un essere umano, cosa che non trova giustificazione a prescindere dai potenziali vantaggi il presidente non sostiene di basare 12 sua conclusione su considerazioni bio mediche. Dice solamente che è espressione della sua fede religiosa. Nel marzo del 2004 il suo consigliere scientifico, il dottor John H. Marburger II (che fu a capo di una commissione di indagine sulla base nucleare di Shoreham nel 1983, quando io ero governatore), sostenne: «Non so dire quando un ovulo fertilizzato diventi sacro», e aggiunse che «questo non è un problema scientifico». Senza dubbio l'opinione del presidente che la vita umana inizi con il concepimento è condivisa da milioni di americani, tra cui molti cristiani ed evangelici. Ma rimane un punto di vista minoritario, che oltretutto il presidente applica senza coerenza. Mentre infatti crede che distruggere un embrione sia un assassinio, che la legge metta fine agli interessi commerciali che fanno distruggere embrioni per ottenere cellule staminali. Se questo comportamento equivale a un assassinio, come sostiene il presidente, non è molto appropriato per lui non far nulla per fermare il misfatto e limitarsi a non finanziarlo. Il presidente è riuscito a navigare abbastanza bene in queste secche politiche, tuttavia ha creato una confusione morale e intellettuale che non é riuscita a dissuadere il Congresso dal prendere posizioni più avanzate di lui sulla ricerca sulle cellule staminali. Per districarsi da una posizione insostenibile. il presidente dovrebbe cominciare col seguire il modello che si è dimostrato produttivo in altre aree in cui si sono dovuti affrontare scontri su questioni religiose e politiche, come per esempio per la legge sull'aborto. Il diritto dei credenti di vivere secondo la loro - fede religiosa sarà garantito: nessuno verrà costretto a usare la ricerca sulle cellule staminali o i. suoi prodotti, proprio come nessuno sarà costretto ad abortire. E la nazione rispetterà il diritto dei credenti di sostenere dei cambiamenti nella nostra legislazione civile che corrispondano alla loro visione morale. Ma il nostro sistema politico pluralistico adotta principi che nascono dal - consenso, non dalle imposizioni di un'ortodossia religiosa; e dal momento ~ in cui questi principi vengono adottati (l’approvazione dell'aborto o il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali da embrioni non utilizzati) essi diventeranno legge per tutti, anche se i dissenzienti finiranno per pagare con le loro; tasse cose che trovano blasfeme. Ogni giorno americani a cui la pena di morte, i contraccettivi, l'aborto e ~ la guerra fanno orrore, pagano tasse che m ;parte sono usate per scopi che considerano offensivi. Questo fa parte del prezzo che paghiamo per una democrazia unica e ben funzionante. Per ora né Bush né i credenti hanno convinto la maggioranza degli americani che l'impiego delle cellule staminali embrionali comporti inevitabilmente l'assassinio di un essere umano. La maggior parte dei cittadini, che ha ben presenti i milioni di vittime per l’Alzheimer, il Parkinson, il cancro e le lesioni alla spina dorsale, crede che la ricerca sulle cellule staminali embrionali possa offrire delle cure. Essi chiederanno che il Congresso consenta di mettere in atto questo potenziale. Se il presidente pone il veto su un disegno di legge che favorisce quelle ricerche, dovrà dimostrare che la vita umana esiste all'inizio del concepimento (un'affermazione che anche la Chiesa Cattolica Romana e altre religioni hanno messo in dubbio nel corso della storia) con ragioni che vadano al di là della semplice fede religiosa. Il modo migliore per valutare quest'affermazione potrebbe essere quello di istituire una commissione di scienziati, umanisti e leader politici rispettati che esaminino le dimostrazioni degli esperti di scienze biologiche sul momento in cui si sviluppa la coscienza, quando è possibile la vita fuori dall'utero e come viene trattato l'argomento da altre religioni. Porteranno poi le loro conclusioni ai legislatori. Una commissione del genere, la Task Force on Life and the Law, è in funzione a New York dal 1985 e aiuta a indirizzare le scelte politiche su problemi come l'eutanasia, la definizione di morte, la tecnologia riproduttiva, quando e se sospendere le cure e altre difficili questioni create dal rapido sviluppo della tecnologia medica. Le decisioni della commissione sulla definizione della morte, sull'accanimento terapeutico, sui trapianti di organi o tessuti sono state adottate dalla legislatura. Se questa commissione dovesse confermare che il dottor Marbuxger ha ragione e che la scienza non può dimostrare che la vita umana inizia can il concepimento, allora la posizione del presidente sarebbe basata solo sulla sua fede religiosa. In questo caso il presidente avrebbe torto a negare al resto dell'America che non condivide il suo credo i grandi benefici potenziali delle cellule staminali embrionali. ___________________________________________________ Libero 22 giu. ’05 INFERTILITÀ, UNA BOMBA CHE DEVASTERÀ L'EUROPA COPENAGNEN - L'Europa sta per essere colpita da una vera e propria "bomba a orologeria" riproduttiva. Stando infatti a una nuova ricerca britannica il tasso di infertilità medio delle coppie del Vecchio Continente (che è già elevatissimo perché coinvolge, con modalità diverse, una coppia su sette) è destinato entro il prossimo decennio a raddoppiare. Nel 2015, il problema riguarderà una coppia ogni tre. A lanciare 1 allarme sono stati Bill Ledger e i suoi colleghi dell'Università di Sheffield, nel corso della conferenza della Società europea per la Riproduzione Umana e la Fertilità (a Copenaghen). Le cause di questa crisi riproduttiva (e quindi demografica) sono molteplici, e vanno dalle patologie sessuali (ad esempio la clamidia, una malattia venerea piuttosto diffusa, che può anche provocare l’infertilità) allo stile di vita (fattori come l'obesità riducono le chance riproduttive), dal mondo del lavoro (che spesso penalizza le donne che vogliono un figlio) alla tendenza a ritardare il più possibile la prima gravidanza per motivi connessi alla carriera (con tutti i rischi legati a tale scelta: è noto che con il passare degli anni il tassa di fertilità femminile si riduce). Secondo Ledger tra i giovani le malattie sessualmente trasmissibili si stanno diffondendo a macchia d.'olio, tanto da trasformare li adolescenti di oggi in futuri clienti delle cliniche per la fecondazione assistita. Negli. ultimi anni i casi di clamidia, una malattia a trasmissione sessuale difficilmente diagnosticabile, sono raddoppiati in Inghilterra e Galles. Questo, sostiene Leder, significa che quando le ragazze, fra una decina d'anni, cercheranno di avere figli non ci riusciranno. Inoltre un'alta percentuale di ragazze inglesi (ma il dato è comparabile con quello del resto d'Europa) ha gravi problemi di peso. Quando le giovani saranno in età adatta alla riproduzione, l'obesità potrebbe avere inciso in. modo negativo sulla loro fertilità. Considerate nel loro insieme, li cause indicate dal team inglese rischiano di mettere a repentaglio i futuro dell'Europa proprio mentre negli Usa si assiste a un vero e proprio boom demografico. Per porre rimedio al declino e all'invecchiamento progressivo della popolazione, alcuni Stati europei hanno già iniziato a mettere in atto misure adeguate. Ad esempio, i Paesi scandinavi stanno incoraggiando - con apposite politiche pubbliche – le donne a partorire figli in gioventù (invece di attendere i trentacinque/ quarant'anni). La Francia ha invece introdotto alcune facilitazioni fiscali e una politica sociale che mira a favorire le donne intenzionate ad abbandonare momentaneamente il lavoro per avere un figlio. ___________________________________________________ Libero 22 giu. ’05 LA RISONANZA MAGNETICA SVELA I SEGRETI DELL'ORGASMO Se la donna simula, il cervello non si spegne. Scoperte le basi neurologiche del piacere di R01 ROBERTO MANZOCCO GRONINGEN - Per le donne il sesso è sotto molti aspetti un fenomeno inconscio, tanto che quando esse raggiungono l'orgasmo spengono" letteralmente buona parte del cervello e sospendono qualunque sensazione di tipo emotivo. Ad affermarlo è un nuovo studio olandese, realizzato da Gert Holstege e dal suo team dell'Università di Groningen. I ricercatori hanno reclutato 13 donne eterosessuali e i loro partner e le hanno sottoposte al -seguente esperimento. Alle volontarie 'e stato chiesto di inserire la propria testa in uno scanner per la tomografia e di dedicarsi in successione a quattro attività, e cioè riposare, fingere un orgasmo, farsi stimolare il clitoride dal partner e stimolarlo da sé fino a raggiungere l'orgasmo. I risultati di questo test hanno messo in luce con chiarezza le basi neurologiche del piacere sessuale femminile. Più in particolare, Holsteg e colleghi hanno scoperto che nelle donne l’attività amorosa provoca l'accensione di una zona specifica del cervello (e cioè la corteccia somato sensoriale primaria), ma causa lo spegnimento dell'amigdala e dell'ippocampo, due aree deputate alla vigilanza e alla consapevolezza. Il raggiungimento dell'orgasmo provoca la disattivazione di una porzione di cervello più ampia, che include anche i lobi pre-frontali. Le scoperte del team olandese confermano l’idea comunemente accettata - che le donne riescono a provare piacere sessuale e a raggiungere l'orgasmo solo quando non hanno preoccupazioni (che costringono quindi alcune delle loro aree cerebrali a rimanere accese). Proprio per questo Holstege consiglia ai maschi che vogliono migliorare la loro intesa sessuale di cercare di stimolar( nelle proprie compagne un senso di sicurezza e di protezione. Lo studioso avanza inoltre l'ipotesi che durante l'orgasmo il cervello femminile venga spento allo scopo di eliminare i pensieri e i sentimenti relativi al mondo esterno e favorire quindi la riproduzione. «Per avere un vero orgasmo la disattivazione di queste aree è la cosa più importante», ha osservato Holstege. Analisi effettuate in seguito su alcuni maschi hanno rivelato che nel "sesso forte" la disattivazione cerebrale connessa al sesso è molto meno intensa. Stando infine allo studio di Holstege le donne sarebbero in media molto brave a simulare in modo realistico l'orgasmo. Ma attenzione, lo scanner di Holstege potrebbe smascherarle... «Le donne possono simulare il piacere abbastanza bene ma in realtà nel loro cervello non sta accadendo nulla», ha affermato Gert Holstege durante una conferenza a Copenaghen. «Quando simulano la corteccia cerebrale, l'arca della coscienza, è attiva». ___________________________________________________ La Repubblica 20 giu. ’05 LA TAC DIVENTA INTELLIGENTE E ANCHE PIÙ DELICATA LAURA KISS Una Tac ad immagini precise come ancora non si erano viste, una velocità di analisi straordinaria, pazienti che non devono più essere sottoposti a fastidiose ed invasive ricerche come coranarografia o colonscopia. Tutta questo è possibile grazie ad un nuova apparecchio prodotto dalla Siemens e chiamato Sornatom Sensatian 64. Elemento caratterizzante di questo apparecchio è l'elevata velocità (0,33 secondi per rotazione) e la nuova tecnologia di rilevazione, che consente di visualizzare le immagini del corpo e del cuore con una precisione senza precedenti, spingendosi fina ad una risoluzione, di 0,4 millimetri. Sarnatom Sensation 64 consente infatti l’acquisizione di circa 200 strati di tessuto al seconda, permettendo ricostruzioni -tridimensionali dell'immagine Nello scenario diagnostico questa apparecchiatura è l'unica in grado di fornire, con tecnica non invasiva, informazioni sull'apparato cardiovascolare con precisione di dettagli finora mai conseguiti. Grazie alla sua precisione e al2'e levata risoluzione delle immagini prodotte, questa Tac è particolarmente indicata nello studio del cuore, organo in movimento e quindi difficile da fotografare. «Oltre all'affidabilità e all'accuratezza diagnostica, i vantaggi garantiti al paziente sono significativi», spiega Roberto Passariello, direttore del dipartimento di scienze radiologiche della Sapienza di Roma presso il Policlinico Umberto 1, «Per una scansione di tutta il corpo Somatam Sensation 64 impiega meno di 20 secondi, invece dei 253 delle macchine di generazione precedente, permettendo una notevole riduzione della dose di radiazioni alle quali viene esposto l’individuo. Lo Somaton è un sistema radiogeno progettato per una velocità di 0.33 secondi per rotazione, il che consente la visualizzazione dei più piccoli dettagli anatomici dei cuore senza artefatti da movimenta anche con battito cardiaco elevato. Significa in altre parole che, ad esempio, si può eseguire un "total body" vascolare (ossia l'indagine dell'intero sistema vascolare) in circa 12 secondi. Se si considera che il 40-50% delle coronarografie ad esempio hanno esita negativo, ossia il paziente risulta non avere nessun danno alle coronarie, si può capire che vantaggio ha questo tipo di indagine». La tecnologia utilizzata con questa apparecchiatura riduce anche in modo significativo la quantità di dati prodotta per ciascun esame. Le informazioni diagnostiche di 2000 strati acquisiti attraverso la scanner ad alta risoluzione possono essere catturate in una serie predefinita di immagini utilizzando una ricostruzione tridimensionale direttamente dai dati grezzi. Questo si traduce in una significativa riduzione del volume di dati processati, pur consentendo una diagnosi completa e con una migliore qualità delle immagini. Un altro elemento innovativo di questo apparecchio è rappresentato dal sistema Care (Combined Apphcations to Reduce Exposure), applicazione che Siemens ha sviluppato per ridurre l'esposizione alle radiazioni nel corsa degli esami. In altre parole la dose di raggi erogata viene adattata in funzione dello spessore del distretto corporeo attraversato, mediante l'attenuazione in tempo reale della corrente al tubo. Ciò semplifica notevolmente le procedure di scansione poiché adatta l'esposizione in modo totalmente automatico e indipendente dalla forma e dimensioni del paziente, ed è in grado di fornire una migliore qualità delle immagini a dosaggi drasticamente inferiori. L'esperienza clinica avrebbe dimostrato, secondo l'azienda produttrice, una riduzione della dose di irradiazione fino al66%, Il Giornale 26 giu. ’05 LA DIAGNOSTICA MOLECOLARE PERMETTE TERAPIE ONCOLOGICHE PRECOCI E MIRATE LE PRIME SPERIMENTAZIONI RIGUARDANO LE LEUCEMIE Gianni Clerici *La nuova diagnostica è molecolare: si fonda cioè sulla genomica e tende a mettere in luce le differenze genetiche tra le persone che prende in esame. Oggi si ricorre a test diagnostici più specialistici e, in un tempo successivo, a farmaci o a regimi farmacologici più efficaci e meglio tollerati. Da gennaio di quest'anno è stato autorizzato in tutto il mondo il ricorso al test «Amplichip CYP 450» che riconosce la velocità con cui due individui diversi metabolizzano i farmaci loro somministrati. Analizzando le variazioni di due geni del mitocondrio 450, infatti, questo test stabilisce come viene metabolizzato un determinato principio attivo di un farmaco: in modo rapido, in modo normale, in modo lento. Ciò aiuta i medici a prescrivere non solo il farmaco più adatto ma a fissarne il dosaggio. La conquista di cui parliamo appartiene a Roche Diagnostics, che sta sviluppando prodotti finalizzati a personalizzare le cure in varie aree patologiche. Alla fine di giugno partirà lo studio internazionale «Mile» (Microarray innovations in leukemia) che durerà 18 mesi e interesserà dieci laboratori europei (due italiani) e americani. Tutti utilizzeranno il test «Ampli Chip Leukemia» per determinare differenti sequenze geniche. I risultati saranno confrontati con quelli ottenuti con gli esami diagnostici abituali della leucemia e ciò permetterà di rendere più efficace la performance diagnostica dei chip. Studi internazionali condotti su diversi tipi di tumori maligni hanno stabilito che una mutazione del gene p53 (indicato come gene soppressore del tumore) o la eccessiva produzione di livelli proteici possono essere spiegati come indicatori biologici predittivi. Il testo Amplichip 53 diventa uno strumento importantissimo che aiuta gli oncologi medici a fare la diagnosi più giusta e a disporre la terapia più indicata. Questo test di Roche Diagnostics sarà messo a disposizione di alcuni laboratori di ricerca nel 2006: servirà a riconoscere le mutazioni genetiche della leucemia e di altre gravi neoplasie. Tra le prime il carcinoma polmonare, il cancro della vescica e il carcinoma mammario. ________________________________________________ La Stampa 22 giu. ’05 SCOPERTE LE CELLULE CHE RIPARANO IL CUORE UNA RICERCA NEGLI USA POTREBBERO ESSERE COLTIVATE ED USATE PER CURARE LE CONSEGUENZE DI UN INFARTO. MA CI VORRA’ TEMPO ALCUNI risultati ottenuti alla School of Medicine dell'Università di California, San Diego, gettano nuova luce sulla possibilità di riparare il cuore e suoi tessuti dopo un infarto. Le cellule cardiache pienamente sviluppate non sono più in grado di dividersi con la conseguenza che il cuore non può rinnovare i suoi tessuti. Ma la ricerca svolta da Kenneth Chien e colleghi a La Jolla promette un cambiamento di prospettiva. «Abbiamo individuato un gruppo di cellule cardiache che si sviluppano quando il cuore è ancora in formazione, e che potrebbero permettere al cuore di rigenerarsi - dice Chien -. I risultati ottenuti ci incoraggiano a pensare alla possibilità di trapiantare queste cellule nel cuore danneggiato da un infarto». L’infarto uccide molte cellule cardiache e lesiona in profondità i tessuti del cuore. Quando succede, queste cellule vengono sostituite da tessuto cicatriziale, composto di cellule chiamate fibroblasti. I fibroblasti non riescono però a garantire la stessa efficienza delle cellule originarie, perché non sono specializzati (si tratta di semplice tessuto connettivo). Così il cuore perde progressivamente in elasticità e non riesce più a funzionare come dovrebbe. I ricercatori californiani sono andati alla ricerca di "cellule cardiache progenitrici", rare cellule osservabili nelle prime fasi di sviluppo del cuore e dotate della possibilità di riprodursi. «E' proprio la loro esiguità numerica a spiegare perché esse non siano state rintracciate prima. Dopo la nascita, solo poche centinaia di queste cellule si conservano, e il numero continua a diminuire con l'aumentare dell'età» spiega Chien. In laboratorio i ricercatori hanno potuto osservare alcune centinaia di cellule progenitrici (provenienti da cavie) produrre milioni di cellule miocardiche, ossia le fibre che compongono il muscolo cardiaco. Questo meccanismo d'azione ricorda da vicino quello delle cellule staminali, cellule embrionali aspecifiche (cioè non ancora specializzate per alcuna funzione) che intraprendono un particolare sviluppo a seconda dell'ambiente biochimico in cui si trovano. Ma esistono molte differenze. Ad esempio, le staminali sembrano avere una capacità illimitata di riprodursi, mentre le cellule cardiache progenitrici (caratterizzate invece da un alto livello di specializzazione) possono andare incontro solo a un numero limitato di divisioni. Ma proprio il maggior grado di specializzazione avvantaggerebbe le progenitrici cardiache rispetto alle staminali, potendo esse generare fibre miocardiche altamente specializzate senza essere sottoposte a stimoli chimici e ormonali. I risultati sono indubbiamente promettenti ma occorrerà aspettare ancora un tempo difficilmente prevedibile prima che vengano replicati agli esseri umani e prima che la tecnologia del trapianto delle cellule progenitrici possa diventare prassi comune in cardiochirurgia. Rossana S. Pecorara ________________________________________________ La Repubblica 22 giu. ’05 ESTROGENI "SORVEGLIATI" PIÙ STUDI SULLE DONNE In alcune malattie reumatiche anche la gravidanza può divenire un sollievo di Maurizio Cutolo * La gravidanza può rappresentare un sollievo in alcune malattie reumatiche tuttavia permane la necessità di una grande esperienza clinica nella gestione della paziente in attesa. Questo è uno dei messaggi più forti emersi al Congresso europeo di reumatologia. Gli estrogeni, infatti, sono responsabili della maggiore prevalenza delle malattie reumatiche nel sesso femminile. La ricerca biomedica negli ultimi anni ha scoperto che i meccanismi con i quali gli estrogeni intervengono nella risposta immunitaria sono molto complessi e capricciosi. Recentemente sono state individuate anche alcune similitudini tra gli effetti esercitati dagli estrogeni nel cancro e nell'artrite reumatoide. Presto potrebbero iniziare studi per trattare le malattie reumatiche con farmaci antiestrogeni, così come avviene già per il tumore della mammella. Ovviamente, condizione opposta alla gravidanza è l'infertilità che è stata dimostrata spesso dovuta nella donna proprio all'attivazione del sistema immunitario che determina la produzione di anticorpi contro le cellule coinvolte nella fecondazione. Ma cosa dire dell'uso degli estrogeni in malate affette da lupus eritematoso sistemico? L'esperienza sull'uso della pillola anticoncezionale nelle malate lupiche giovani e sull'uso degli estrogeni per il trattamento dell'osteoporosi nelle malate lupiche in postmenopausa, è vasta. Ebbene, anche nelle malate in remissione o con malattia inattiva l'uso degli estrogeni non induce grandi problemi, tuttavia nelle malate in fase attiva causa considerevoli problemi sia alla coagulazione sia alla severità della malattia stessa. Evitare, quindi, gli estrogeni nel lupus, specie se attivo. Proprio i problemi coagulativi sono causa di aborti nelle donne affette da lupus e dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi. L'uso precoce di aspirina a basse dosi insieme a eparina a basso peso molecolare ha permesso di condurre felicemente a termine un grande numero di gravidanze in donne con malattie autoimmnuni. Ma altri farmaci possono considerarsi sicuri in queste malate nel momento in cui hanno una gravidanza? Per artrite reumatoide e lupus, senz'altro le molecole più sicure sono rappresentate dai glucocorticoidi. Se somministrati in basse dosi, questi farmaci sono efficaci nello svolgere la loro azione di controllo sulla malattia autoimmune senza determinare effetti negativi sulla madre e sul feto. Altri immunosoppressori vanno invece evitati o ridotti nel corso dei nove mesi. * Com. Scientifico Eular Vicepres. Soc. Italiana di Reumatologia ________________________________________________ La Repubblica 22 giu. ’05 IL BIMBO IN OSPEDALE? VA ANCHE PER LA TOSSE Sempre più spesso si ricorre ai Dea per problemi banali che potrebbero essere risolti dal pediatra di Tina Simoniello Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, 55 mila accessi l'anno: 42 per cento di codici bianchi. Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, 30 mila bambini visitati annualmente al Dea, percentuale di codici bianchi: 39,6 per cento. I codici bianchi sono i bambini con patologie comuni, curabili in casa, gestibili dai genitori con il supporto dei pediatri di base. Ma sono pure quei casi che nei Dea attendono anche 4-5 ore per una visita, visto che, come è stabilito dal triage (vedi box), la priorità nei Pronto soccorso spetta ovviamente non a chi arriva per primo ma a chi ha bisogno di un intervento immediato . "Il Dea pediatrico è il luogo nel quale il bambino trova una risposta rapida ad un problema urgente. Spesso finisce per essere un contenitore di piccoli disturbi facilmente risolvibili fuori dagli ospedali: qui da noi arrivano anche dermatiti da pannolino, mal d'orecchie, molte punture di insetti, tosse", racconta Francesco Mannelli, responsabile del pronto soccorso al Meyer, struttura dove per rispondere ai numerosi casi a bassa priorità e abbattere i tempi di attesa sono state recentemente istituiti l'Ambulatorio codici bianchi, gestito da personale del Dea, e l'Acap, gestito da pediatri di famiglia in collaborazione col Dea, che fornisce assistenza nei weekend. "L'affollamento da uso non proprio del pronto soccorso", riprende Mannelli, "crea ansia, spesso rabbia nelle famiglie che aspettano, inoltre ha un costo e potrebbe rendere meno agevole per i medici curare con tempestività i casi davvero urgenti. Allora, per utilizzare al meglio la pediatria d'urgenza, in attesa di una migliore organizzazione di quella di famiglia (secondo molti l'assistenza di base così come è oggi sarebbe la causa prima degli accessi impropri ai Ps), e per evitare, quando possibile, stressanti corse al pronto soccorso può essere utile leggere quanto segue. Dal francese trier, selezionare. È il processo di valutazione della gravità della patologia. Al bambino che accede al Dea, dopo una valutazione effettuata da un sanitario, viene assegnato un colore che stabilirà il suo turno di visita. Codice rosso: paziente in pericolo di vita. Tutto il personale del Dea viene attivato e il bambino trasferito in sala di rianimazione Codice giallo: paziente grave, con patologie o lesioni che possono alterare le tre principali funzioni: respiratoria, cardiaca, nervosa. Immediatamente viene sottoposto a monitoraggio dei parametri vitali Codice verde: paziente in discrete condizioni. Viene inviato in sala d'attesa Codice bianco: paziente che potrebbe essere trattato dal pediatra di base. Viene assistito dopo tutti i casi più urgenti. (t.s.) ________________________________________________ Le Scienze 24 giu. ’05 LA BASE BIOLOGICA DEI RITMI CIRCADIANI Due orologi interni distinti si sincronizzano con l'alba e il tramonto Uno studio di ricercatori dell'Università di Aberdeen e dell'Università di Nottingham suggerisce una base anatomica per l'adattamento dell'orologio circadiano dei mammiferi al cambiamento di durata del giorno. Da tempo i biologi si chiedono in che modo i cambiamenti stagionali della durata del giorno alterino il comportamento degli orologi circadiani. Un'ipotesi - per la quale sono state trovate numerose prove - è che gli orologi circadiani contengano oscillatori "mattutini" e "serali" accoppiati che vengono sincronizzati separatamente con l'alba e il tramonto. Nel nuovo studio, pubblicato sul numero del 21 giugno della rivista "Current Biology", David Hazlerigg e colleghi hanno considerato la possibilità che popolazioni distinte di neuroni all'interno del principale orologio circadiano dei mammiferi (il nucleo soprachiasmatico dell'ipotalamo, o SCN) possano costituire questi differenti oscillatori. Misurando i ritmi di espressione genica nel SCN di criceti esposti a lunghezze del giorno differenti, gli scienziati hanno potuto mostrare che le cellule nella regione caudale del SCN sincronizzano la propria espressione genica con l'alba e, quando la durata del giorno aumenta, esibiscono picchi di espressione anticipati rispetto al mezzogiorno. I ricercatori hanno osservato una risposta opposta, ma minore, nelle cellule di un altro gruppo di neuroni, il SCN rostrale. Pertanto, l'espressione genica sincrona nel SCN potrebbe essere una caratteristica dell'acclimatazione a una giornata più corta, mentre la desincronizzazione regionale aumenta con le giornate lunghe. Saranno necessari ulteriori studi per stabilire se questo fenomeno si traduce in cambiamenti distinti, indotti dalla lunghezza del giorno, dell'output ritmico di differenti regioni del SCN. Eventuali anormalità nell'adattamento del SCN al cambiamento di durata del giorno potrebbero essere alla base dello sviluppo del disturbo affettivo stagionale (SAD) negli esseri umani. David G. Hazlerigg, Francis J. P. Ebling, Jonathan D. Johnston, "Photoperiod differentially regulates gene expression rhythms in the rostral and caudal SCN". Current Biology, Vol. 15, R449-R450 (21 giugno 2005). DOI 10.1016/j.cub.2005.06.010