DDL DOCENTI, ATENEI IN ALLARME - UNIVERSITA' E POLITICA - CAGLIARI: PROFESSORI E STUDENTI UNITI: BOCCIATA LA MORATTI- SCONTRO SUL DDL CARRIERE- L'UNIVERSITÀ CHE HA PAURA DI DARSI UN VOTO- GLI ATENEI CHIUDERANNO SE PASSA LA RIFORMA- IL MINISTRO MORATTI, LA RICERCA E L'EUROPA- DENUNCIA DELLE UNIVERSITÀ: DIFENDEREMO LE ECCELLENZE - UNIVERSITÀ CONTRO UNIVERSITÀ- TUTTA. LA FORMAZIONE IN UN NETWORK- CONDIZIONATORI ROTTI, VA ARROSTO LA RICERCA ITALIANA- STELLA: «UNA RICERCA D'AVANGUARDIA SOLO COSÌ L'UNIVERSITÀ VINCE LA SFIDA»- SULL'UNIVERSITÀ TROPPI ERRORI- GESSA: STAGE ALL’ESTERO PER I NOSTRI RICERCATORI- LA PARTICELLA CHE CAMBIERÀ LA FISICA- MIT ITALIANO AL RALLENTATORE GRILLI: NO, STA GIÀ LAVORANDO- ======================================================= UN PARCO DEL COMUNE LUNGO LA 554- SASSARI: AZIENDA MISTA, PROVE DI ISTITUZIONE - POLARIS: CULLA PER LE BIOMEDICINE- LA SFIDA DEL PARCO SCIENTIFICO PUNTA SUI FARMACI PERSONALIZZATI - AIDS: LA VIROLOGA ENSOLI PRESENTA LA SUA RICERCA - LITE CONTINUA NELL'ITALIA DELLA SCIENZA- NUOVE LINEE GUIDA PER LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI- STREPTOCOCCO UN VACCINO ITALIANO- ATTENTI ALL'«ALLERGIA» DA TONNO - CACCIA AL GENE DELL'EMOGLOBINA PER TROVARE LA CURA DELLA TALASSEMIA- CAGLIARI: UNA NUOVA ARMA CONTRO L'EPATITE C- L'ORGOGLIO DEL RETTORE MISTRETTA - BREVETTATO NELL’ISOLA FARMACO CONTRO L’EPATITE C - LA GRANDE SCUOLA ISOLANA COMINCIA CON LODDO - CON POCHI SOLDI E MOLTE IDEE: LA VIA CAGLIARITANA AI BREVETTI - I SARDI COLPITI SONO 48 MILA E NEL MONDO SONO 170 MILIONI - ======================================================= ______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Lug.05 DDI DOCENTI, ATENEI IN ALLARME UNIVERSITÀ Votata in 62 sedi la mozione critica dei rettori, ma alcuni docenti prenndono le distanze La replica del ministro: can la riforma una chance ai giovani e lOmila posti di ricercatore in tre anni ROMA m Sale dal mondo accademico la protesta contro il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti. Anche se - come già hanno dimostrato gli appelli a favore della riforma nelle scorse settimane - il fronte negli atenei non è monolitico. Anche ieri, un paio di sigle sindacali ha manifestato sostegno alla proposta ora all'esame del Senato. Certo, il coro del «no» resta particolarmente affollato. Ieri i senati accademici, i consigli d'amministrazione e di facoltà di 62 atenei hanno aderito alla mozione della Conferenza dei rettori presentata i123 giugno. Alla protesta il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, ha risposto sottolineando la disponibilità al dialogo: l'obiettivo è fare - ha insistito il ministro - una riforma che abbia come cardini l'equità e il merito. La mobilitazione nelle università è stata capillare. A Milano i rettori di Statale, Politecnico e Bicocca hanno chiesto, durante un incontro pubblico, «l'abbandono o la radicale revisione del disegno di legge», definito un «pasticcio». Davanti ai rappresentanti del coordinamento di protesta delle università milanesi, il rettore della Statale Enrico Decleva ha spiegato che, «se si vuole favorire la ricerca, bisogna dare una prospettiva ai giovani» più promettenti. Tuttavia, «è difficile che un contratto a tempo determinato possa costituire un incentivo». I contratti triennali sono rinnovabili solo una volta: «Dopo sei anni - ha continuato Decleva - i giovani si troveranno con nulla in mano ed è difficile che vincano il concorso di associato». Troveranno infatti l'imbuto di 15mila ricercatori ora in ruolo che si candideranno ai concorsi. Anche la nuova figura del professore aggregato sarebbe un'«assurdità»: «Può concorrere al titolo - ha detto Decleva - anche il personale tecnico- amministrativo dell'ateneo. 11 rischio è trovarsi professori che non hanno fatto mai ricerca». Ma c'è anche chi nel mondo universitario definisce «perfettibile ma buono» il disegno di legge Moratti. È Antonino Liberatore, segretario nazionale dell'Unione sindacale dei professori universitari di ruolo: «La riforma introduce la valutazione del docente che fa ricerca da parte di un organismo nazionale e meccanismi di scelta delle commissioni che renderanno i concorsi più trasparenti». Per Liberatore «è giusto che i concorsi siano non locali ma nazionali. E le procedure riservate non fanno che sanare il pregresso di ricercatori e associati con molti anni di insegnamento alle spalle». Il disegno di legge Moratti - secondo Liberatore - è una «legge dinamica, che obbliga a investire il30% delle risorse che si liberano dai pensionamenti a favore di chi risulta idoneo al posto di professore associato. E si consente di richiamare professori che hanno conseguito il titolo all'estero e quelli di chiara fama». Inoltre, con i contratti triennali con il tetto al rinnovo si può incentivare la selezione dei migliori, visto che - ha concluso Liberatore - «il posto di professore universitario non può essere garantito a tutti». Sulla base di questi ragionamenti Uspur e Cipur (Coordinamento intersedi professori universitari di ruolo) hanno chiesto a Governo e Parlamento «di adottare le misure necessarie per giungere rapidamente all'approvazione definitiva del provvedimento». Il ministro all'Istruzione ha difeso con convinzione la riforma: «Nel disegno di legge non ci sono sanatorie ope legis. Si creano invece - ha spiegato in un comunicato - le condizioni per una massiccia immissione nelle università di giovani ricercatori che potranno rimanere all'interno degli atenei, su autonome decisioni delle stesse università fino all'acquisizione della maturità necessaria per l'accesso alla docenza. I ricercatori a contratto si affiancano agli attuali assegnisti». Per questa operazione «le università potranno utilizzare una quota dei 430 milioni di euro già stanziati dalla Finanziaria 2005, oltre ai fondi messi a disposizione dal ministero e dalla Ue». i finanziamenti daranno vita a «l0mila posti nell'arco di tre anni, più garantiti e meglio retribuiti». Ai contestatori, infine, Letizia Moratti ha fatto sapere che «verranno valutate le ulteriori eventuali osservazioni e proposte della comunità accademica». In risposta è intervenuto Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori: «Leggo che il ministro valuterà le osservazioni della comunità accademica. Porterò io stesso al ministro le proposte della Crui oggi (ieri, ndr) fatte proprie da tutto il sistema universitario». ANGELA MANGANARO ____________________________________________ Il Corriere della Sera 29 Giu. 05 UNIVERSITA' E POLITICA Le polemiche sulla riforma Animati dibattiti hanno accompagnato e continuano ad accompagnare l' iter della proposta Moratti per il riordino dello stato giuridico dei docenti. Discussioni e polemiche su più fronti che hanno fatto perdere di vista alcuni punti fondamentali: il pieno accordo, a tutti i livelli, sulla necessità di riformare i meccanismi di reclutamento di docenti e ricercatori e di adeguare, rendendolo finalmente competitivo, il sistema universitario italiano agli standard dei Paesi europei più avanzati. Necessità così impellenti dovrebbero creare in accademici e politici, uomini di scienza e amministratori, un forte senso di collaborazione, mentre in realtà hanno determinato anche l' acutizzarsi di mali fin troppo caratteristici: corporativismo e opportunismo politico. Non è più chiaro se quello che si vuole difendere è l' interesse dell' università, dei nostri giovani e della competitività del nostro sistema o piuttosto gli interessi di classi di docenti. E così i principi che dovrebbero ispirare un progetto di riordino del ruolo e del reclutamento dei docenti universitari, quei principi di equità e opportunità per i giovani, di flessibilità e incentivazione dei migliori, nel progetto ora in corso di approvazione anche per effetto di successive modificazioni appaiono indeboliti. Discutere di un provvedimento che sicuramente inciderà sulla vita dell' università penso che sia un dovere morale. Credo tuttavia che sia opportuno che i politici giochino il loro ruolo in modo responsabile. Non sostituiamoci a loro, stimoliamoli ma non pensiamo di poter essere al tempo stesso autonomi e garanti della nostra autonomia, controllori e controllati. Stimoliamo ministro e politici ad avere sempre in evidenza nelle proprie agende le priorità della formazione e della ricerca. Sollecitiamoli a individuare meccanismi che rendano possibile diffondere la cultura di mercato anche nei nostri atenei. Spingiamoli a riflettere sulla opportunità, anzi necessità, di eliminare il valore legale del titolo di studio e di riformare l' accesso alle professioni. Ma cerchiamo anche di non individuare solo negli « esterni » i colpevoli del malfunzionamento del nostro sistema. Assumiamoci la responsabilità dei nostri errori e dei nostri cattivi comportamenti. L' impellenza della riforma dell' ordinamento dello stato giuridico dei docenti, che almeno in parte porrebbe rimedio alle storture e inefficienze prodotte da quella del 1998 ma anche dalla sua cattiva applicazione, dovrebbe responsabilizzare tutti a riaffermare i valori che possono assicurare all' università italiana una posizione di rilievo sul piano internazionale. Torniamo nelle aule, nei laboratori e impegniamoci perché qui venga riconosciuto, con i risultati, il ruolo di docenti e ricercatori. Milano ( e le sue università), con la sua tensione all' eccellenza, con la sua spinta all' innovazione, funga da modello, sperimenti e si impegni affinché ciascuno svolga il proprio ruolo assumendosi le proprie responsabilità. * Rettore della Bocconi Provasoli Angelo CHIUDI _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 lug. ’05 CAGLIARI: PROFESSORI E STUDENTI UNITI: BOCCIATA LA MORATTI Università. Assemblea di Senato accademico e Consiglio d'amministrazione dell'ateneo Un no deciso alla riforma Moratti, che rischia di distruggere l'Università pubblica a vantaggio di quella privata. Lo hanno detto ieri, nell'aula magna della Cittadella universitaria, durante l'assemblea straordinaria del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione dell'ateneo cagliaritano, professori, studenti, personale tecnico-amministrativo, dottorandi, borsisti, contrattisti, pronti a dare battaglia al decreto legge sullo stato giuridico dei docenti. Il prezzo da pagare potrebbe essere alto: minare il nuovo anno accademico. Accanto al corpo docente, guidato soprattutto dai ricercatori, anche il fronte degli studenti, malgrado qualche spaccatura. Un'assemblea che si è svolta in contemporanea in tutti gli atenei d'Italia. Il dibattito«Abbiamo dato il nostro parere come organismo dell'Università, lunedì, approvando un documento». Il rettore Pasquale Mistretta ha aperto e condotto l'assemblea, ricordando la posizione del Senato accademico: «Stiamo difendendo il sistema della produttività scientifica, intellettuale, sociale ed economica, senza chiedere più soldi per gli stipendi di chi lavora nell'Università, ma finanziamenti per la ricerca scientifica». Il Senato accademico aveva detto il suo no a un disegno di legge che «non risponde alle esigenze di una seria, efficace e articolata riforma del sistema universitario», sottolineando la gravità dell'assenza «di qualunque riferimento alle risorse finanziarie indispensabili per garantire i compiti istituzionali degli atenei». Diversi i punti da affrontare: il reclutamento dei giovani nel sistema universitario, l'inquadramento dei ricercatori strutturati, l'introduzione della figura del professore aggregato. Punti ricordati ieri nei numerosi interventi, davanti a un'assemblea di 250 persone. «Noi chiediamo una riforma dell'Università, ma non questa ? attacca Paola Devoto, ricercatrice in Medicina ?. Si vuole introdurre il precariato nel reclutamento dei giovani. Non consiglierei mai a mia figlia di entrare nel mondo lavorativo di questa Università». «Mancano i soldi per la ricerca ? rilancia Guido Mula, ricercatore di Fisica ?. Nell'ultimo anno le risorse per l'Università sono diminuite del 2,6 per cento». «Come posso fare ricerca con un contributo di 712 euro, da dividere con un collega?», chiede Alessandro Scano, altro ricercatore. «Dovremmo rinunciare agli incarichi didattici che non rientrano nel nostro contratto», dice Luigi Atzori, ricercatore di Ingegneria. Studenti Da una parte chi ha paura di ripercussioni per il proprio futuro universitario: «La protesta è condivisibile, ma chi viene danneggiato dall'agitazione siamo noi studenti», spiega Giovanni Todde, rappresentante. Intervento senza applausi, seguito da quello di Fabiola Nucifora, altra rappresentante degli studenti: «La riforma è contro tutta l'Università. Dobbiamo essere capaci di guardare oltre: se passa questo decreto legge sarà difficile un futuro all'interno del mondo universitario. Si lede il diritto allo studio. Una prima conseguenza l'abbiamo già: nel manifesto degli studi dell'ateneo di Cagliari, molti corsi sono diventati a numero chiuso. Come rappresentanti degli studenti abbiamo votato contro, ma questa potrebbe essere la prassi». L'agitazione continuerà: il disegno di legge deve essere discusso in Senato. Matteo Vercelli ______________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Giu. 05 SCONTRO SUL DDL CARRIERE Senato, alle audizioni il «no» di rettori e docenti Partenza in salita al Senato per il Ddl di riordino delle carriere dei docenti universitari. Dopo la travagliata approvazione del testo da parte della Camera lo scorso 15 giugno, ieri, nel corso delle audizioni alla commissione Istruzione di Palazzo Madama, i rettori della Crui, l'opposizione e le principali associazioni dei docenti e dei ricercatori hanno ribadito la loro «assoluta contrarietà» al testo. E giovedì prossimo i senati accademici, i consigli di amministrazione e i consigli di facoltà di tutti gli atenei italiani si riuniranno nello stesso momento per chiedere, sulla base di un documento congiunto, il ritiro del provvedimento di riordino dello status giuridico proposto dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti. «Il Governo dovrebbe fermarsi, risparmiando all'università l'effetto devastante che questa riforma provocherà» hanno commentato in una nota congiunta i senatori Ds Maria Chiara Acciarini, Luciano Modica e Fulvio Tessitore, assieme a Giampaolo D'Andrea e Albertina Soliani della Margherita, mentre Piero Tosi, presidente della Crui, ha ribadito la sua richiesta di «abbandono» del Ddl o di «una sua totale revisione, anche sulla base delle soluzioni da noi proposte». Tosi denuncia «con allarme» la «ingestibile situazione che potrebbe verificarsi negli atenei per l'impossibilità di garantire l'apertura di molti corsi di studio per il prossimo anno accademico in caso di un'approvazione del Ddl nella sua forma attuale». Un'altra denuncia arriva dalla Rete nazionale dei ricercatori precari, secondo i quali «questa legge condannerà a venti anni di precarietà gli oltre 55mila ricercatori.» che «attualmente svolgono da anni attività di ricerca, didattica e tutoraggio indispensabili per il funzionamento di facoltà, dipartimenti, enti e istituti di ricerca». Secondo l'associazione, con la messa a esaurimento dei ricercatori «il provvedimento elimina la prima figura stabile e a tempo indeterminato, inizialmente prevista proprio per permettere l'accesso alle giovani leve della ricerca e che si è trasformata in una sostanziale terza fascia di docenza, al cui accesso si arriva in media oltre i 33-35 anni. Eliminando questa figura - concludono i precari - si condannano i ricercatori a ulteriori anni di incertezza». ALESSIA TRIPODI ______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Lug.05 L'UNIVERSITÀ CHE HA PAURA DI DARSI UN VOTO Sale la protesta contro il Ddl sullo stato giuridico dei docenti universitari. Il ministro Letizia Moratti: lOmila posti di ricercatore in 3 anni. DI ANDREA CASALEGNO Mai si era vista una simile compattezza: per la prima volta tutti i rettori d'Italia sono scesi in campo contro le -nuove regole per diventare professore e ricercatore universitario. Ma in questo «unanimismo del no» (ecco la risposta all'appello dei professori che invocavano: «Non diciamo sempre di no!») qualcosa non quadra. Su un punto bisogna essere chiari: il disegno di legge recentemente approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato è davvero indifendibile, almeno così come è scritto. E' indifendibile perché da un lato tradisce gli intenti originari «meritocratici» del ministro dell'Istruzione e dell'università, Letizia Moratti, dall'altro è intrinsecamente contraddittorio a causa di alcuni emendamenti introdotti dall'opposizione, poco migliorativi e incompatibili con altre parti del testo. Ma ammettiamo pure che, come chiedono i rettori, il provvedimento venga ritirato dal Governo: i problemi reali restano aperti e mancano - o sono contraddittorie - le soluzioni per risolverli. I problemi sono fondamentalmente due: metodo di nomina dei professori universitari (lista di idoneità nazionale o concorsi locali?) e ruolo dei ricercatori (a tempo determinato o no?), i quali oggi, più che giovani impegnati nella ricerca, sono dei para-docenti (età media: 45 anni) sui quali ricade la maggior parte del carico didattico degli atenei. Su questi due problemi tutte le soluzioni sono immaginabili, tranne una: l'unanimità ottenuta dal «no». Il ministro Moratti ha chiesto un'apertura di dialogo alla luce di due principi guida: «equità e merito». Benissimo. Ma tradurre questi due principi in una soluzione condivisa è come trovare la quadratura del cerchio. La Conferenza dei rettori ha messo a segno una mossa di grande effetto, ma che cosa propone? Che il disegno di legge venga ritirato e sostituito da nuove norme per nominare i professori. Quali? La proposta non è affatto chiara, ma sembra propendere per un ritorno ai concorsi nazionali. Per quanto riguarda i ricercatori, la Conferenza è contro la loro "precarizzazione", che allontanerebbe i migliori dirottandoli all'estero, e fa quindi velatamente capire che una sorta di stabilizzazione - a quali condizioni? - non sarebbe sgradita. Inutile aggiungere che su questo punto rettori e ricercatori vanno d'accordo, e che anche l'opposizione farebbe volentieri un passo indietro sulla «meritocrazia». Poiché da un lato è escluso che il Governo ritiri il provvedimento, dall'altro una riforma così impegnativa non si attua senza consenso, siamo, ancora una volta, bloccati. Come superare il blocco nell'interesse del Paese, posto che tutti concordano sul fatto che la ricerca universitaria è lo snodo decisivo per rilanciare lo sviluppo? AL di là della proposta dei rettori di istituire un'agenzia indipendente che valuti a tutti i livelli la qualità delle prestazioni universitarie, che va accolta senza riserve, sui due punti vitali - concorsi a cattedra e ruolo dei ricercatori - è necessario il coraggio di dire "no" alle tentazioni corporative e alle stabilizzazioni più o meno mascherate, ritornando alle due soluzioni del disegno di legge originario: idoneità nazionale per i professori e ruolo a tempo con verifiche periodiche per i ricercatori. È quello che chiede la parte più avanzata - l'unica davvero sensibile al merito - dell'università italiana. ______________________________________________________ L’Unità 29 Giu. 05 «GLI ATENEI CHIUDERANNO SE PASSA LA RIFORMA» I rettori lanciano l'allarme università di Nedo Canetti /Roma «UNA LEGGE di questo tipo porterà alla distruzione dell'Università per molti anni». «Se passa questo provvedimento, da ottobre saremo costretti a chiudere molti corsi di laurea. Non sarà una scelta ma una necessità». Denunce pesantissime contro il ddl Moratti sul1e nuove disposizioni per i professori e ricercatori universitari e sulla delega al governo per il riordino e il reclutamento dei professori universitari. Le ha ieri espresse il Presidente della Conferenza nazionale dei rettori, Piero Tosi, nel corsa di un'audizione alla commissione Pubblica istruzione del Senato, che sta esaminando il provvedimento, recentemente approvato alla Camera. Chiusura dei corsi di laurea «per necessità», perché «in conseguenza dei mancati incarichi - spiega Tosi - i ricercatori hanno già annunciato che non assumeranno più l'incarico di docenza». Non solo i rettori, ma tutte le molte associazioni, ieri ascoltate, i sindacati, i coordinamenti e i comitati nazionali del settore, hanno espresso un parere nettamente negativo sul ddl. «È emerso in modo impressionante e inequivoco - hanno commentato i senatori Acciarini, Tessitore e Modica ds; Soliani D'Andrea e dl il corale giudizio negativo sulla proposta di riforma. In particolare siamo rimasti colpiti dal tono molto grave del Presidente della Crui, che ha messo in guardia i legislatori dall'adozione di norme destinate a produrre danni irreversibili al sistema universitario italiano». Secondo i senatori dell' Unione non esistono più, a questo punto, le condizioni minime perché il procedimento prosegua nel suo iter parlamentare. Chiedono, perciò, al governo e alla maggioranza un atto responsabilità: staccare la spina, fermarsi, risparmiando all’ università l'effetto devastante che, per opinione generale, la riforma provocherà. Nessuno degli ascoltati in Senato, sicuramente non i rettori, nega la necessità di una riforma della docenza. Già alla Camera c'è stato un confronto su questo aspetto. Nella stessa maggioranza serpeggiano dubbi, tanto che il governo, a Montecitorio, è stato battuto più volte sugli emendamenti dell'opposizione. «occorre uscire dal tunnel», insiste Tosi. E avanza due proposte, che Sotto accusa il ddl Moratti su! riordino dei docenti: «Da ottobre stop a molti corsi di laurea» produrrebbero, a suo giudizio, una «svolta epocale». Riformare i concorsi universitari e introdurre la valutazione centrale nazionale degli atenei, attraverso un organismo indipendente, per aumentare la produttività e la meritocrazia. La delegazione dei rettori ha consegnato ai senatori un documento secondo cui, con questa riforma, vengono introdotte soluzioni normative che «adottano logiche vistosamente clientelari, penalizzando gravemente le legittime aspettative dei ricercatori in servizio». Per questi motivi, domani tutti i senati accademici di tutte le università assumeranno delibere contenenti la richiesta del ritiro del ddl. Oggi a Montecitorio i Ds illustreranno, in una conferenza stampa, presente Piero Fassino, una serie di proposte, anticipate dal responsabile del settore, Andrea Ranieri. Riguardano la valutazione dei docenti; le risorse; l'autonomia delle università; l'ingresso dei giovani ricercatori. _______________________________________________________ Corriere della Sera 1 lug. ’05 DENUNCIA DELLE UNIVERSITÀ: DIFENDEREMO LE ECCELLENZE I rettori: riforma sbagliata In crisi il modello lombardo MILANO - I rettori delle tre università statali di Milano insieme per dire «no» al disegno di legge Moratti sulla riforma della docenza. Il ddl è in dirittura d’arrivo al Senato. «Se la ricerca e i giovani sono la principale risorsa delle università milanesi, con questa riforma è a rischio», questa la posizione di Enrico Decleva, rettore della Statale, Giulio Ballio del Politecnico e Marcello Fontanesi della Bicocca. Ieri insieme in via Festa del Perdono hanno chiesto l’abbandono o la radicale modifica del disegno, in linea dunque con il documento firmato dalla conferenza dei rettori. Molto contestato il progetto di trasformare i ricercatori in figure con contratto triennale, rinnovabile una sola volta. Secondo Decleva «dopo sei anni i giovani si ritroveranno con nulla in mano». Per Fontanesi «sono stati traditi i principi di rilancio della ricerca». Secondo Ballio «la riforma potrebbe portare ad un aumento dei costi per gli atenei». I ricercatori: «Potremmo rinunciare a tenere i corsi». I rettori: la riforma affossa il modello Milano Decleva, Ballio e Fontanesi: «Meno risorse per le università, studenti e docenti penalizzati: difenderemo l’eccellenza della ricerca» La ricerca nelle università milanesi è a rischio estinzione: è un grido d’allarme quello lanciato ieri dai rettori delle tre grandi università statali di Milano (Statale, Politecnico, Bicocca). Un’iniziativa inedita, una sorta di protesta «istituzionale», contro il disegno di legge di riforma dello stato giuridico dei docenti voluto da Letizia Moratti, in dirittura d’arrivo a Palazzo Madama dopo le modifiche apportate da Montecitorio. Enrico Decleva, Giulio Ballio e Marcello Fontanesi insieme per mandare un messaggio molto chiaro «a chi le leggi le scrive e le approva». «Se la ricerca e i giovani sono la principale risorsa delle università milanesi, questa riforma li mette entrambi a rischio». Il punto maggiormente critico del provvedimento, secondo il rettore della Statale Enrico Decleva, è l’abolizione del ruolo di ricercatore che si trasformerebbe in una figura con un contratto a termine di tre anni, rinnovabile una sola volta. E dopo? Dopo c’è la strettoia del concorso per il ruolo di professore associato. «I giovani si troverebbero dopo sei anni con nulla in mano», dice Decleva. Passare sei anni a studiare e poi avere il nulla di fronte «non è un incentivo per attirare giovani capaci nella ricerca o evitare la fuga di cervelli all’estero». E gli oltre 2000 ricercatori milanesi sono accanto ai rettori e annunciano battaglia. Come quelli della facoltà di scienze matematiche della Bicocca che hanno già annunciato la loro intenzione di ritirare la disponibilità a ricoprire incarichi di insegnamento nel caso in cui il disegno di legge passi senza modifiche sostanziali. «In soli due giorni dieci colleghi non hanno risposto ai bandi per l’insegnamento e 24 si riservano di rinunciare - dice Stefania Brocca -. Se si pensa che ogni ricercatore in media tiene tre corsi a testa, è facile immaginare quali sarebbero le conseguenze». Rinunciare ai bandi per l’insegnamento? «I ricercatori ne avrebbero tutto il diritto» commenta il rettore della Bicocca. «Oggi il 15-20 per cento dei corsi è tenuto da ricercatori non di ruolo - osserva Giulio Ballio, rettore del Politecnico -. Bisognerà ora verificare la loro disponibilità a confermare l’incarico». E proprio le ricadute economiche per le università sono un altro punto dolente. Il perché lo spiega sempre Ballio: «Lo Stato così ritira la mano dal cofinanziamento che prima dava nei primi anni di lavoro dei giovani ricercatori attraverso gli assegni di ricerca». Queste figure infatti avevano un costo sufficientemente basso per le università, visto che lo Stato non richiedeva gli oneri fiscali su queste posizioni. Ma nel disegno di legge ci sono molti altri punti controversi: l’introduzione per esempio del professore aggregato: «Al ruolo avrebbe accesso, su domanda, anche il personale tecnico-amministrativo laureato - spiega Decleva - con il rischio di trovarsi professori senza nessuna carriera di ricerca alle spalle». Ma c’è anche la mancata modifica delle regole concorsuali e la riforma del sistema di valutazione delle università. Ieri in mattinata, durante la mobilitazione delle università italiane contro il disegno di legge e mentre si teneva l’incontro dei tre rettori milanesi, il ministro Moratti ha fatto sapere di essere pronta a valutare le osservazioni e le proposte della comunità accademica, ma l’amarezza non svanisce: «Non c’è un no a priori alla Moratti», dice Fontanesi. Ma secondo il rettore della Bicocca è innegabile un «tradimento» dei principi di rilancio della ricerca e meritocrazia che avevano mosso la riforma. Sulle proteste che potrebbero scoppiare a settembre con delle gravi conseguenze sull’attività didattica, i tre sono chiari. «Noi saremo accanto ai nostri ricercatori. Certo non chiedeteci di scendere in piazza». Diana Fichera ____________________________________________ Il Corriere della Sera 30 Giu. 05 IL MINISTRO MORATTI, LA RICERCA E L' EUROPA LA LETTERA Le considerazioni di Francesco Giavazzi sul Corriere del 25 giugno a proposito della posizione - a suo dire - contraria del governo italiano sull' istituzione dell' European Research Council meritano qualche precisazione. Secondo Giavazzi infatti il presunto diniego verso l' Erc, un' istituzione che avrebbe il compito di finanziare la ricerca di base sul modello della National Science Foundation americana, scaturirebbe «dall' opposizione della lobby dei ricercatori italiani e polacchi terrorizzati dalla prospettiva che i fondi vengano assegnati sulla base del merito». Le cose non stanno così.In primo luogo perché - lo afferma tra gli altri David King, consigliere scientifico di Tony Blair su Nature - il nostro Paese si colloca al terzo posto nel mondo per numero di pubblicazioni e di relative citazioni per ricercatore. Quindi non è certo la capacità di competere a livello internazionale dei nostri ricercatori a essere in gioco.L' auspicio della creazione di un nuovo sistema comunitario di sostegno alla ricerca è peraltro assai diffuso in Europa e nel nostro Paese. Per finanziare i progetti, ad oggi l' Ue si basa prevalentemente sull' assegnazione di contracts di ricerca a gruppi di ricercatori appartenenti almeno a tre paesi europei, ma esige la predefinizione degli obiettivi (deliverables) e la partecipazione di un alto numero di ricercatori di vari paesi, spesso fino a 25. Ciò è fortemente limitante per lo sviluppo di ricerca altamente innovativa, «a rischio», e aumenta la complessità delle procedure burocratiche. L' istituzione dell' Erc potrebbe permettere invece, se accompagnata da un' opportuna revisione della normativa vigente, di passare dal regime dei contracts a quello dei grants, sul modello americano, permettendo il finanziamento di programmi di ricerca presentati da un solo gruppo di ricerca, senza obiettivi predefiniti e con una semplificazione burocratica e libertà nei temi proposti. Il governo italiano ha sempre favorito, anche in sede europea, questa modalità di finanziamento, ma ha posto precise questioni preliminari per consentirne la sua efficace attuazione. Innanzitutto uno stretto coordinamento tra assegnazioni comunitarie e finanziamenti nazionali, per evitare duplicazioni negli interventi. I fondi europei sono infatti pari al 5% di quelli disponibili a livello dei singoli paesi, e ciò fa sì che attualmente i migliori ricercatori dei vari Paesi siano in genere già finanziati, e per importi assai maggiori, a livello nazionale. Occorre poi eliminare il meccanismo per il quale alcuni paesi europei deducono dai finanziamenti assegnati ai propri ricercatori a livello nazionale la quota di quelli ottenuti a livello europeo, che comporta quindi, anche nel caso dell' Erc, un semplice travaso di fondi dalle casse dell' Ue a quelle dei vari paesi, senza alcun beneficio per la ricerca. Infine, è opportuno scongiurare la moltiplicazione delle strutture burocratiche e di valutazione esistenti a Bruxelles, che si prospetta con la proposta di assunzione, presso l' Erc, di circa 700 unità di personale, oltre a quelle già disponibili presso la divisione ricerca della Ue. Ciò contrasta con quella semplificazione burocratica e gestionale tanto invocata a sostegno del nuovo ente, riducendo il volume di risorse da assegnare agli oltre 900 mila potenziali ricercatori europei beneficiari.Questi e altri punti, quali ad esempio la necessità di una valutazione eminentemente strategica, e non tecnica, per la ripartizione dei fondi dell' Erc ad almeno 15 gruppi di discipline non paragonabili tra loro, pongono pesanti interrogativi, allo stato attuale della conoscenza, sulla funzionalità di questo nuovo organismo, così com' è ora. Interrogativi che il governo italiano ha posto alla Commissione europea e al nuovo commissario per la ricerca, Potocnic, e che ora estendo anche al professor Giavazzi. Letizia Moratti ministro Istruzione, Università e Ricerca In un commento ad un articolo del ministro Letizia Moratti, pubblicato sul Corriere della Sera il 22 novembre 2004, avevo già dimostrato come le tabelle del professor King, se lette correttamente, offrano un' immagine meno edificante dei risultati scientifici dei nostri ricercatori. Evidentemente il ministro lo ha scordato. Molte delle argomentazioni sono condivisibili, in particolare l' opportunità di chiudere la Direzione generale per la ricerca della Commissione nel momento in cui nascesse il nuovo Erc (European Research Council), cosa che evidentemente trova forti opposizioni nella burocrazia di Bruxelles. Ma se davvero il ministro ne fosse convinta sarebbe stata in prima linea nella battaglia per l' Erc, anziché accodarsi alla Polonia esprimendo un parere negativo che ha lasciato allibito il mondo della ricerca in Europa. Ma come! Abbiamo creato l' Iit (Istituto italiano di tecnologia) per copiare il Mit e diciamo no a una Nsf (National Science Foundation) europea? L' affermazione che è necessario coordinare fondi comunitari e nazionali mi preoccupa.Non è che anziché un mezzo per garantire più efficienza questo è il grimaldello che chiedono le conventicole nazionali per non perdere il potere di influire sull' assegnazione dei fondi europei? A pensar male...Francesco Giavazzi Moratti Letizia, Giavazzi Francesco ______________________________________________________ Il Sole24Ore 27 Giu. 05 UNIVERSITÀ CONTRO UNIVERSITÀ SCELTE I diversi atenei in gara per conquistare le iscrizioni dei 500mila ragazzi impegnati nella Maturità Ingegneria porta prima al lavoro, Chimica in coda La sede più ambita dagli studenti è il Campus Biomedico di Roma Le private precedono le pubbliche MILANO a Una vera e propria competizione è in corso tra i 75 atenei italiani per accaparrarsi le. immatricolazioni del prossimo anno accademico. Al centro i 5OOmila studenti impegnati in questi giorni negli esami di maturità. Il confronto si gioca su tanti fattori, che il Sole-24 Ore del lunedì ha cercato di riassumere in cinque grandi parametri. Ne è uscita una classifica che vede gli atenei privati e specializzati confrontarsi con i "giganti" in grado di offrire anche centinaia di corsi di laurea. A primeggiare è il Campus Biomedico di Roma. Ma c'è un altro fattore importante, quello di una scelta che apra velocemente le porte del lavoro. In questo caso - dietro la piccola Scuola superiore di lingue moderne - ecco confermarsi Ingegneria. A chiudere Giurisprudenza e Chimica. Questa "competizione universitaria", accesa dall'autonomia riconosciuta agli atenei dalle riforme intervenute negli ultimi anni e del moltiplicarsi, conseguente, dei poli universitari, passa attualmente per due fronti diversi. Che agiscono, però, in parallelo. Da un lato, infatti, un'importanza crescente è quella riconosciuta alle operazioni di marketing. Spot radiofonici e televisivi, soprattutto sulle emittenti locali, pagine di giornale e manifesti, ma anche open day e convegni sono attività sempre più praticate dagli atenei, che nel 2004 hanno speso in attività promozionali circa 40 milioni di euro. Sulla spinta, anche, dei sempre più stretti rapporti con le imprese e con il territorio che determinano in parte le scelte di attivazione dei corsi e, successivamente, fanno da "volano" per l'ingresso dei neodottori nel mercato del lavoro. Dall'altro lato, le strade per allungare gli elenchi degli iscritti passano dai senati accademici che, attuando la riforma del «3+2», hanno moltiplicato i corsi di laurea, anche oltre misura: nonostante i pressanti inviti ministeriali alla moderazione, infatti, anche quest'anno si contano circa 2.500 proposte. Tra competizione tra atenei e proliferare delle lauree la scelta di chi si affaccia al primo anno di università è diventata sempre più ardua. Ecco, allora, che Il Sole-24 Ore del lunedì - in occasione del tradizionale appuntamento con le Guide Università - ha elaborato una serie di indicatori su dati del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario per mettere a confronto le università italiane, con un occhio di riguardo alle esigenze delle potenziali matricole. E l'università ideale da questo punto di vista è quella che attira nelle proprie aule i giovani migliori, anche da lontano, riesce a condurli lungo la carriera accademica senza perderli per strada o lasciarli «parcheggiati» per lunghi periodi senza crediti, li porta in aula magna a discutere la tesi entro la durata legale dei corsi. Alle considerazioni sugli atenei, l'aspirante matricola deve aggiungere (e non per secondo) uno sguardo attento sulle possibilità di lavoro offerte da un dato titolo di studio: di qui le elaborazioni - su dati ALmaLaurea - sull'efficacia della laurea per il lavoro con le percentuali di occupati di una data facoltà a un anno dal titolo. Pur tenendo conto, ovviamente, che il mercato del lavoro cambia rapidamente e che all'uscita dalle aule universitarie sarà assai diverso da oggi. FRANCA DEPONTI ~ GIANNI TROVATI , 9 ______________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Giu. 05 TUTTA. LA FORMAZIONE IN UN NETWORK Tra i Paesi della Ue l'Italia ha il più basso numero di laureati in materie scientifiche Convegno della Fondazione Biagi su scuola e lavoro dopo la riforma DAL NOSTRO INVIATO MODENA a Nel 2001 il professor Marco Biagi lanciò la proposta di un patto per l’occupabilità, con l'obiettivo di creare un raccordo strutturato tra scuola, università e mondo del lavoro. Prendendo spunto da quella proposta la Fondazione intitolata al professore bolognese, ucciso il 19 marzo del 2002 a Bologna dalle Brigate Rosse, promuove - insieme ad Adapt e Università di Modena - quattro giorni di dibattito con l'obiettivo di spalancare le porte al dialogo tra mondi ancora troppo lontani e autoreferenziali. A fianco del convegno, in programma nella città emiliana fino a domani, ha aperto i battenti Orientameeting, il salone dell'orientamento alle opportunità di occupazione, ricco di punti di confronto tra studenti e imprese. Titolo dell'appuntamento modenese è «Scuola, Università, Lavoro dopo la riforma Biagi», un rapporto su cui occorre anche fare chiarezza. A causa di semplificazioni eccessive e fuorvianti «si sono imputate alla riforma del mercato del lavoro colpe che non le appartengono e che vanno piuttosto ricercate nella difficile transizione dai percorsi educativi e formativi al mondo del lavoro», spiega Michele Tiraboschi, vice presidente della Fondazione Marco Biagi e continuatore dell'opera del giuslavorista. Ci si deve piuttosto rendere conto che l'Italia è caratterizzata dall'anomalia di un «tardivo ingresso nel mercato del lavoro» da parte di universitari che, spesso, hanno seguito percorsi formativi troppo lontani dalle esigenze del mondo produttivo. Si tratta di un'anomalia preesistente alla riforma Biagi e che anzi i nuovi strumenti possono aiutare a superare. Nel corso del convegno Claudio Gentili, direttore del nucleo Education di Confindustria, presenta dati che illustrano come l'Italia sia, con l'Olanda, il Paese della Ue «con il più basso numero di laureati in materie scientifiche e tecnologiche». Da qui la proposta di costituire il Polo formativo tecnologico, che metta in rete scuole, università, imprese, enti locali, associazioni industriali, enti di ricerca, con lo scopo, tra l'altro, di «favorire la programmazione della formazione, in coerenza con le esigenze del sistema produttivo locale». «Più la collaborazione è forte, più ne guadagnano i giovani e le aziende», spiega Gentili. Il dialogo tra università e mondo del lavoro va perseguito con decisione e determinazione, anche se la frattura esistente «è difficile da colmare», commenta Guidalberto Guidi, presidente -di Ducati Energia. «Per i giovani nel mondo del lavoro ci sono grandi opportunità, ma per coglierle la formazione universitaria deve essere più aperta a esperienze nelle imprese», aggiunge Stefano Parisi, amministratore delegato Fastweb. Da Anna Maria Artoni, presidente di Confindustria Emilia Romagna, viene infine la proposta di introdurre, a livello nazionale e locale, degli incentivi che spingano le imprese al dialogo con le università e viceversa. In questo modo si potrebbero ridurre i tempi, ancora troppo lunghi, di transizione dal mondo della scuola a quello del lavoro. EMILIO BONICELLI ______________________________________________________ Libero 29 Giu. 05 CONDIZIONATORI ROTTI, VA ARROSTO LA RICERCA ITALIANA Il Cnr di Pisa in tilt per il caldo. Il direttore: abbiamo chiesto le veneziane dal nostro inviato Matteo Legnani PISA Graziose ricercatrici in canottina e camicette sbracciate si aggirano per i laboratori e i corridoi. I camici bianchi, che 'dovrebbero essere indossati per regolamento, sono tutti appesi agli attaccapanni. Nell'edificio B del Cnr di Pisa fa troppo caldo per indossarli: «Con queste temperature - sbuffa un ricercatore -sarebbe come mettersi addosso una coperta». Il termometro di laboratorio, quello impiegato per misurare la temperatura delle vaschette in cui si fanno incubare le reazioni, segna 28 gradi. Quello dell'aria, a seconda delle stanze, va da 29 a 32 gradi. Temperature da spiaggia, sdraio e ombrellone. Non certo da istituto di ricerca prestigioso hi-tech qual è (o dovrebbe essere) il Consiglio nazionale delle ricerche. L'estate, nell'edificio B (che ospita l'Istituto di Fisiologia Clinica), è scoppiata una decina di giorni fa, quando l'ondata di caldo che ha prima investito il nord Italia si è abbattuta sulla Toscana e su Pisa. Colpa dei gruppi frigo, banalmente detti condizionatori: nell'edificio B ce ne sono in funzione 2 e mezzo su sei. Troppo pochi per fronteggiare il caldo di: questi giorni. E i soldi per riparare o sostituire, quelli fuori uso, sembrano non saltare fuori. Alcuni giorni fa, i circa cento tra ricercatori e studenti che lavorano nell'edificio si sono rivolti all'amministrazione, segnalando il problema. Non solo per il disagio che lavorare a 30 gradi causa a chiunque. Ma anche, e soprattutto, nel timore che le sofisticate apparecchiature potessero essere danneggiate da temperature alle quali mai dovrebbero essere esposte. La risposta non si è fatta attendere. Ma non era quella che tutti speravano: in una circolare inviata il 25 giugno ai lavoratori, l'ingegner Paola Negrini del Servizio sicurezze del Cnr di Pisa informava che «sono stati eseguiti i possibili interventi di riparazione sui gruppi frigo (i,condizionatori, ndr) dell'edificio, B, risultando i rimanenti irrimediabilmente guasti. È pertanto impossibile garantire adeguate condizioni climatiche in particolare nelle giornate più calde quali quelle di ieri in cui, a fronte di 33 gradi esterni, nei locali si ottengono delle temperature intorno ai 26,5-27,5°C, con punte di 28-29°C». Ieri, nell'edificio B, noi abbiamo trascorso un intero pomeriggio di sofferenza. Entrare in uno dei principali centri italiani di ricerca non è stato un problema: la sbarra al cancello d'ingresso, che dovrebbe consentire l’accesso solo a chi ha il pass, era sollevata, perché fuori uso. Non essendoci guardiani in vista, siamo entrati con l'auto, abbiamo posteggiato e ci siamo fatti strada verso i laboratori; Fuori, nel parcheggio, 33°C! Dentro, un paio di meno. Un forno. Soprattutto al secondo piano, quello situato appena sotto il tetto. Il patatrac si è verificato nello scorso fine settimana, quando nei laboratori non c'era nessuno che potesse dare l'allarme. In poche ore sono finite fuori uso apparecchiature da decine di migliaia di euro l'una: freezer per la conservazione dei campioni biologici a temperature di -80°C, frigoriferi per reagenti e macchinari altamente sofisticati il cui funzionamento dipende da laser e circuiti elettronici che non possono andare a temperature superiori ai 25°. Tra sabato e domenica, uno studente universitario ha perso le colture cellulari che manteneva da un mese in un incubatore, andato fuori uso perché il circuito di controllo ha smesso di funzionare per le, alte temperature esterne: à 38 gradi le cellule (ché normalmente crescono a 25 gradi) sono morte: «Ci stavo lavorando per la preparazione della tesi-dice lo studente sconsolato e sudato - e ora sono preoccupato di eventuali ritardi per la laurea». Per non dire della spesa che il mantenimento delle cellule per un mese ha comportato: soldi (dei contribuenti) e tempo (dello studente) buttati via: In assenza di rimedi, l'emergenza è destinata ad aggravarsi: le alte temperature falsificano, infatti, gli esiti degli esperimenti, chic prevedono temperature- ambiente basse. Oltrettutto, per avere un minimo di respiro, il personale fa quel che in un laboratorio non si dovrebbe mai fare per evitare contaminazioni esterne dei reagenti chimici: apre le finestre, come faremmo noi a casa guardando la tivù in una calda serata estiva, facendo entrare, inevitabilmente, polvere, smog, insetti e pollini. A rischio è anche la produttività: «Se qui non intervengono - dice un professore -dovremo comunicare alla direzione che le ore macchina si ridurranno drasticamente, perchè nelle ore più calde non le possiamo utilizzare». Loro, i ricercatori, fanno quello che possono: nel laboratorio che ospita un potentissimo microscopio al laser da 100mila curo hanno installato portandoselo da casa, un "Pinguino" ché garantisce allo strumento temperature adeguate. E la direzione, che fa? Il professor Luigi Donato, presidente del Cnr di Pisa e direttore dell'Istituto di Fisiologia clinica, non prova nemmeno a nascondere il problema: «La situazione è di grande difficoltà. In queste condizioni, con 35 gradi di temperatura . esterna, è praticamente impossibile garantire temperature adeguate nell'edificio B. Stiamo cercando di intervenire sui gruppi frigoriferi, e nel frattempo abbiamo provveduto a installare delle schermature esterne». Ché sarebbero, udite udite, le care vecchie veneziane: quelle verdi di plastica che vengono su e giù con una cordicella. Cosi si difendono dalla calura in uno dei centri di ricerca più prestigiosi del paese. Nel dicembre 2Ó02, in una relazione al Parlamento, il ministro dell'Istruzione e della Ricerca Letizia Moratti disse che il Cnr era inefficiente in rapporto ai costi per i conti pubblici. L'allora presidente:a Roma del Consiglio nazionale delle ricerche, Lucio Bianco, si dimise. Ma qualcuno, nel centrosinistra e negli ambienti dorati della ricerca, ebbe anche il coraggio di indignarsi. Lo vorremmo vedere in questi giorni a bollire davanti a un microscopio dell'edificio B del Cnr di Pisa. __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 29-05-2005 STELLA: «UNA RICERCA D'AVANGUARDIA SOLO COSÌ L'UNIVERSITÀ VINCE LA SFIDA» Il neorettore di Pavia: dialogo con le istituzioni per avere voce in capitolo su bandi, convegni e fondi Il rapporto con le aziende é molto più difficile che in altri Paesi, dove attorno agli atenei esiste un indotto formidabile DAL NOSTI10 INVIATO PAVIA - Della macchina-università la ricerca è il motore che muove tutti gli ingranaggi. Porta benzina (leggi finanziamenti), muove energie (giovani di talento), consente di non perdere terreno rispetto ai concorrenti (atenei) stranieri. Il nuovo rettore di Pavia, Angiolino Stella, 67 anni, fisico con esperienze di studi e insegnamento all'estero, chiamato a gestire la pesante eredità del suo predecessore Schmid (Magnifico per ben 17 anni) riparte dalla ricerca. Con un occhio all'America e alle sue realtà d'avanguardia, e un altro alla tradizione d'eccellenza che si è sviluppata lungo il Ticino. «Il model lo Pavia può vincere la sfida». Quale sarà la prima decisione che prenderà da rettore? «Valuteremo se serve uno sportello con nostri rappresentanti a Bruxelles e in Regione. Persone che ci avvertano dei bandi di concorso in uscita e che aiutino a snellire le difficoltà burocratiche. Di sicuro vanno potenziati i rapporti con le istituzioni». Come si fa a potenziare la ricerca? «Nel cuore del mio programma per diventare rettore c'era proprio la research university. È il valore fondamentale, il motore di tutte le attività e il punto di partenza obbligato per un'università, come quella di Pavia, che ha ambizioni internazionali. Significa essere inseriti nel network degli atenei più avanzati, organizzare convegni, chiamare relatori di livello, e appunto, essere al corrente per primi dell'uscita dei bandi e delle domande da presentare per ottenere i finanziamenti a Bruxelles». La ricerca può risolvere il problema della scarsità dei fondi? «Certo. Gli stessi fondi ordinari che arrivano dal Ministero per il 30% sono condizionati dalla qualità della ricerca. Poi si può aumentare il numero dei singoli progetti finanziati. Pavia è già sopra la ,media italiana, ma può fare ancora meglio. Con più risorse possiamo proporre una didattica più avanzata, ampliare l'offerta formativa, offrire un ambiente di studio adeguato, ed essere forti nel dialogo con le realtà locali che alle università domandando sempre più servizi. Sono tutte caratteristiche che abbiamo, ma migliorando saremo in grado di attrarre più giovani di talento dall'Italia e dall'estero. Questo è uno dei nostri obiettivi». Caccia ai talenti, dunque. Ma anche un freno al la fuga dei cervelli? «Il problema non è tanto che i nostri giovani vadano all'estero. È che i flussi devono essere bi-direzionali; i cervelli stranieri devono venire in Italia. Finché il flusso è in una direzione sola c'è qualcosa che non va». La riforma Moratti ha introdotto il ricercatore a tempo determinato. Che cosa ne pensa? «Che sarebbe una misura giusta, ma in un altro contesto, come quello degli Stati Uniti. In America un ricercatore che ha in mano un phd (l'equivalente del nostro dottorato) e a cui non viene rinnovato il contratto con l'Università, trova altri sbocchi, o in un altro ateneo o in un'azienda. In Italia, se uno si presenta sul mercato del lavoro con in mano un dottorato spesso non viene preso: è considerato troppo avanti nella carriera accademica. Così, a 35 anni, i nostri ricercatori senza contratto spesso non hanno altra scelta che andare all'estero. Questa riforma potrà accelerare la fuga dei cervelli». Ha parlato del rapporto con il mondo del lavo ro. Qualche tempo fa, il rettore del Politecnico Ballio lamentava come le imprese siano abituate a prendere dalle università, senza dare in cambio nulla. È d'accordo? «Il rapporto con le aziende è molto più difficile da noi che in altri Paesi. Pensiamo a realtà come quelle del Mit, di Stanford, di Harvard: attorno agli Atenei c'è un indotto formidabile, formato da imprese dalle competenze tecnologiche avanzatissime. Nascono start up che sono espressione delle Università, si alimentano delle loro ricerche. In Italia non è così: tutto è più rigido, anche perché le industrie storicamente sono cresciute lontano dagli atenei. Ma in questa direzione qualche passo avanti è stato fatto». Da fisico sarà preoccupato del disamore dei giovani per le materie scientifiche. Un problema che tocca anche Pavia? «In una certa misura sì. A ottobre organizzeremo la mostra interattiva "Impara giocando": gli universitari spiegheranno gli esperimenti agli studenti delle superiori. Le scienze sono affascinanti, ma vanno comunicate nel modo giusto. In Italia sono pochissimi i giovani che le vogliono studiare. Un po' le radici umanistiche sono più forti, un po' c'è un problema di preparazione. Parlo della mia materia, spesso gli insegnanti delle superiori non sono laureati in fisica e non fanno attività sperimentale, che è la più affascinante. Comunque, quello del disamore per le scienze è un problema che hanno anche negli Stati Uniti: loro l'hanno risolto con gli stranieri. I ragazzi indiani, ma anche africani, hanno una curiosità e un interesse per le scienze da noi perduto». Che cos'è il modello Pavia? «Qua non c'è solo la tradizione di un'istruzione di qualità: c'è un ambiente unico, fatto di servizi e di un clima particolare, che non ha eguali in Ita "' 1 nostri studiosi all'estero? Belle, a patto che i flussi siano bidirezionali, altrimenti significa che qualcosa non funziona ______________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Giu. 05 SULL'UNIVERSITÀ TROPPI ERRORI DI GUIDO TROMBETTI* Oggi riunione dei rettori per chiedere al Parlamento di cambiare il Ddl varato A mia memoria non era mai accaduto. Gli organi di governo di tutti gli atenei italiani si riuniscono nello stesso giorno. Per approvare lo stesso documento, predisposto dalla Conferenza dei rettori. Per esprimere il «più netto dissenso» dal disegno di legge sull'università varato dalla Camera. Definendo addirittura «devastanti gli effetti che ne deriverebbero sulla qualità del sistema universitario». Cosa sta accadendo? 177 rettori sono tutti agitatori di professione? O sono degli agitati per predisposizione patologica? Siamo seri. Questo Ddl non può piacere a chiunque abbia a cuore l'università. Neanche al ministro, ne sono sicuro, che è persona di qualità. E che ha avuto il merito di aver affrontato una questione complessa con ben altre intenzioni. Il primo problema è quello del reclutamento dei giovani. Per essi non vi è nessuna prospettiva di inserimento stabile. Si abolisce il ruolo dei ricercatori, oggi primo gradino nella carriera universitaria. Si introduce un meccanismo di accesso al mondo della ricerca attraverso contratti di durata triennale rinnovabili ad aeternum. L'acquisizione di una posizione stabile è rinviata al giorno in cui si diventa professore associato, cioè sine die. Infatti già in campo, in attesa di occasioni di carriera, vi sono circa 25mila ricercatori. E 40-SOmila assegnisti, titolari di borse di varia natura. I cosiddetti precari. Spesso molto bravi. La conseguenza sarà la fuga dei giovani. Verso istituzioni di ricerca straniere. O verso il libero mercato. Senza l'attrazione della stabilità e con contratti di modesta entità (ah! il bilancio) perché un giovane dovrebbe restare nell'università? Non è la precarietà del lavoro ad accrescere qualità e quantità della produzione scientifica. Occorrono invece serie verifiche periodiche di rendimento. Non a caso nel documento Crui si chiede l'introduzione di un efficace sistema nazionale di valutazione. Il Ddl affronta anche l'annosa questione degli attuali ricercatori. Ad essi viene assegnato una sorta di "cavalierato". Saranno, infatti, "insigniti", a domanda, del titolo di "professore aggregato". In conseguenza di ciò, a parità di reddito, dovranno tenere domani per obbligo i corsi che tengono oggi per scelta. E molti di loro, che per tali corsi ricevono oggi una retribuzione aggiuntiva, arretreranno economicamente. Siamo all'inverosimile! Un altro j'accuse è relativo alle «logiche vistosamente clientelari di cui è pervaso il testo di legge». Logiche, norme e normette che strizzano l'occhio a tizio e caio e le cui conseguenze dispiegheranno i loro effetti di decadimento culturale e di saccheggio finanziario per decenni. Raccontato così, però, non si coglie fino in fondo l'atmosfera che avvolge il Ddl. Norme talvolta contraddittorie. Talvolta scritte con superficialità disarmante. Un esempio: da moltissime parti si chiede una profonda revisione dei meccanismi concorsuali. II modello attuale, anche per precise responsabilità dell'accademia, ha generato distorsioni. Ebbene proprio su questo punto il Ddl è contraddittorio. In un comma sembra prevedere una procedura (idoneità nazionale) in un altro la procedura opposta (idoneità locale). E non è l'unico paradosso. Che fare? Quello che si fa in democrazia. Chiedere al Parlamento di evitare un errore che avrebbe gravi conseguenze sulla vita degli atenei. E quindi sul futuro dei nostri giovani. * Rettore dell'Ateneo Federico Il di Napoli _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 Giu. ’05 GESSA: STAGE ALL’ESTERO PER I NOSTRI RICERCATORI Il neuroscienziato Gian Luigi Gessa: «Sardegna fanalino di coda nella produzione di brevetti» «Per favorire le scoperte bisogna intervenire su tutto il percorso formativo» LO STUDIOSO Ecco la mia legge sulla ricerca ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. «L’Italia è una delle nazioni europee che produce meno brevetti e la Sardegna è al di sotto della media nazionale», spiega Gian Luigi Gessa, neuroscienziato che ha fondato una scuola di neurofarmacologia nota in tutto il mondo e conosciuta come la «banda dei sardi» per la compattezza che la contraddistingue. Ma Gessa è oggi anche consigliere regionale per Progetto Sardegna e presidente della commissione Cultura e, come tale, si pone il problema dei motivi di questa situazione. Perchè «a monte del brevetto - spiega - deve esserci la scoperta. E per ottenere questa ci vuole una massa critica di ricercatori. Ma come crearla? Intervenendo su tutto il percorso formativo: incidendo sulla dispersione scolastica (da noi molto alta) e incrementando il numero dei diplomati e dei laureati». Il tutto avrà tempi non brevi. Per il qui ed ora Gian Luigi Gessa ha messo a punto una proposta di legge regionale sulla ricerca scientifica. «Il filo conduttore - spiega - è la consapevolezza che occorre una massa critica di ricercatori altamente qualificati. Oggi abbiamo importanti punte d’eccellenza, ma non tutte riescono a esprimersi». Da qui l’obiettivo della legge: «Agevolare la formazione dei giovani ricercatori, permettendo loro di crescere in centri altamente qualificati, non necessariamente sardi». Per Gessa il soggiorno di studio all’estero è quasi indispensabile. «Non dobbiamo avere paura che questi giovani, che potrebbero diventare anche molto bravi, decidano di restare fuori. Certo, per noi, sarebbe una perdita, ma è sempre un modo per avere “lo zio d’America”: qualcuno che ti aiuta, un punto di riferimento per altri giovani che verranno. L’ultimo ragazzo che ho mandato all’estero, in Califormia, è Marco Bortolato, laureato in Medicina a 23 anni. Conosce perfettamente cinque lingue, incluso il cinese. Il direttore dell’istituto californiano mi ha detto: “Questo è un genio”... Certo, spero che torni da noi. La proposta di legge punta a permettere a tanti altri giovani di uscire dall’anonimato con esperienze in centri d’eccellenza. Molti, alla fine, sceglieranno la Sardegna. Alcuni no, ma andrà bene lo stesso». Che fare per stimolarli a rientrare? «Creando le condizioni che aiutino questi giovani a esprimersi. Ed è questo un altro obiettivo della proposta di legge: permettere loro di presentare dei progetti di ricerca supportandoli nei finanziamenti. Viaggiare all’estero, inoltre, permetterà di intrattenere rapporti coi centri di ricerca che contano e che potrebbero anche aiutarli nella ricerca dei mezzi economici». In Sardegna, però, molti studiosi non sanno quello che viene fatto nella porta accanto... «Esatto - continua Gessa - è questo accade perché manca un’ anagrafe della ricerca, che la mia legge invece prevede. La facoltà di Medicina di Cagliari lo sta già facendo, ma bisogna sapere quello che si fa in tutti i centri di ricerca. Altrimenti non si ha consapevolezza delle forze in campo. Prima non esisteva questa preoccupazione. Ora il Cnr e il ministero della Ricerca hanno finalmente scoperto che è importante sapere i numeri di chi produce scienza e non dare i numeri... Il tutto andrà fatto utilizzando dei parametri di valutazione internazionalmente riconosciuti: pubblicazioni su riviste qualificate e numero di citazioni del proprio lavoro nel mondo». Sino a oggi i ricercatori si sono rivolti ai vari assessorati o enti regionali “a battere cassa” in maniera, spesso, confusa. «Sì - continua Gessa - e questo non dovrà più capitare. La legge prevede di unificare i finanziamenti: per evitare che siano erogati a pioggia è previsto un unico organo da cui saranno dati. In questo modo si eviteranno duplicati e si avrà anche una visione comparativa». Alla fine, una volta formato il ricercatore, «la proposta ipotizza un aiuto per questi giovani studiosi nel trovare una collocazione: istituti di ricerca statali (università e Cnr) e non. È importante anche l’esperienza nelle aziende, come avviene in altri Paesi». La legge, infine, «punta soprattutto a favorire la cosìddetta ricerca fondamentale o di base, stimolando chi fa scoperte importanti a valorizzarle e brevettarle». ______________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Giu. 05 LA PARTICELLA CHE CAMBIERÀ LA FISICA caccia al bosone di Higgs, che riporterebbe t'accordo tra teoria e osservazioni empiriche rendendo possibili nuovi modelli dell'universo 1 premio Nobel per la fisica Leon Lederman la definì «particella di Dio», come se I la scoperta del bosone di Higgs potesse rappresentare la soluzione di tutti i problemi. II che non è, come ha più volte spiegato il professor Luciano Maiani, che per le pagine di «@lfa Il Sole-24 Ore» dedicate all'Anno della risica (realizzate in partnership con l’Infn) ha scritto l'articolo qui pubblicato. Ciò non toglie che per dare la caccia alla particella prevista da Higgs quarant'anni fa, sia in atto una gara tra Titani: scoprirne l'esistenza - possibilmente prima dei laboratori concorrenti -, e andare oltre la frontiera del Modello Standard, è il principale motivo per cui l'Europa sta costruendo al Cern il più potente acceleratore di tutti i tempi, il Large hadron collider (Lhc). Eppure, i primissimi segnali di questa particella furono (forse) catturati al Cern dagli ultimi "fuochi d'artificio" del vecchio acceleratore Lep, durante la direzione di Maiani: che invece, poco dopo, dovette prendere una decisione difficile quanto necessaria, spegnendo quella macchina straordinaria per far rotta sulla nuova, da cui oggi tutto il mondo si aspetta la grande scoperta. In gioco non è solo un Nobel, ma molto di più: la scoperta di questo intinitesimo tassello aprirebbe vaste e mai praticate regioni della fisica, che celano la risposta a grandi perché (e probabilmente altri ne aprono). Perché le particelle hanno massa, perché esiste un Universo fatto di materia, o forse tanti Universi diversi. Per questo sono oggi al lavoro su Lhc centinaia di centri di tutto il mondo, dagli Usa al Giappone, passando per Israele, Turchia, India: 8mila ricercatori che, per scambiarsi quantità di dati da capogiro, stanno costruendo un nuovo, poderoso modello di rete, la Grid. di Luciano Maiani * la formula più, famosa della storia: E=mc2. E quella scritta esattamente cento anni fa da Albert Einstein per illustrare la relazione tra massa ed energia_ Quando due atomi formano una molecola liberando energia, la massa della molecola è. più piccola della somma delle masse degli atomi di partenza. Viceversa, se una molecola si dissocia, come avviene nell'esplosione del tritolo, la massa dei frammenti è inferiore alla massa di partenza: in accordo con la formula di Einstein, l'energia liberata è proporzionale alla diminuzione di massa. Le energie in gioco nella vita di ogni giorno sono talmente piccole che le differenze di massa passano inosservate. Nelle reazioni nucleari però, le forze sono molto più violente e le energie liberate enormi, L'energia liberata nel Sole dai processi di fusione nucleare sta nella differenza tra la massa di quattro protoni e la massa di un nucleo di elio. Analogamente, la sorgente dell'energia nucleare è la differenza tra la massa dell'uranio e quelle dei frammenti prodotti dalla sua fissione. La massa di un sistema complesso, lungi dall'essere immutabile come volevano le leggi della chimica, dipende dalla sua struttura interna. Masse elementari. Ma che succede a livello delle "particelle elementari", i costituenti fondamentali della materia? La visione più semplice è che la massa di una particella priva di struttura interna, come l'elettrone o i quark, costituisca "un dato di base", una costante immutabile. Questa visione è sostituita oggi da una visione più dinamica, in cui le masse delle particelle non sono costanti immutabili ma dipendono dall'ambiente in cui vivono. Il problema che ha dato origine al cambiamento deriva a sua volta dagli studi iniziati da Enrico Fermi negli anni Trenta sulle forze "deboli", che governano le leggi della radioattività dei nuclei. Le idee teoriche elaborate negli anni Sessanta sembravano portare a una spiegazione soddisfacente della struttura di queste forze, ma si scontravano con un ostacolo: esse prevedevano che tutte le particelle fondamentali (elettroni, quark e le particelle W e Z, scoperte negli anni Ottanta dall'equipe di Carlo Rubbia), dovessero avere un valore nullo della massa, in stridente contrasto con l'esperienza. Il paradosso è stato risolto, nel 1964, dal fisico inglese Peter Higgs e dai fisici belgi Robert Brout e Francois Englert. L'idea è che lo spazio "vuoto" (quello che resta in una bombola se togliamo tutto il gas e la schermiamo da ogni influenza dei corpi circostanti), sia in realtà sede di un "campo" universale che influenza il moto delle particelle che lo attraversano. La situazione ricorda quella del campo magnetico terrestre: qui, il vuoto è sede di un campo capace di orientare un ago magnetico verso una direzione fissa. Invece di distinguere il Nord dal Sud, il campo di Higgs distingue tra loro i diversi tipi di particella ed è capace di attribuire masse diverse all'elettrone, ai quark e alle particelle W e Z. Il campo di Higgs, inoltre, ha una sua dinamica. Quando due particelle si scontrano, una parte dell'energia si può comunicare al campo di Higgs, mettendolo in oscillazione. Le oscillazioni sono, in realtà delle particelle di un nuovo tipo: i «bosoni di Higgs». Se raggiungeremo l'energia sufficiente per produrre le particelle di Higgs (E=mc2, di nuovo!) potremo mettere alla prova la teoria studiando i modi in cui queste particelle si disintegrano in particelle più leggere. Caccia all'Higgs. La ricerca della particella di Higgs è stata condotta senza successo con tutte le macchine acceleratrici esistenti ed è il principale obiettivo del Grande collisore adronico (Large hadron collider, Lhc) in costruzione al Cern dì Ginevra. Lhe farà collidere tra loro fasci di protoni alle energie più alte oggi raggiungibili e dovrebbe entrare in funzione nel 2007. Fisica e industria italiane (Ansaldo superconduttori, Europa metalli, Zanon, St Microelectronics oltre all'Istituto nazionale di fisica nucleare) sono in prima linea nella costruzione della grande macchina e dei sofisticati rivelatori di particelle che dovranno andare a caccia della sfuggente particella. Le tecnologie messe a punto per Lhc promettono importanti ricadute. La ricerca del bosone di Higgs sta già formando intere generazioni di nuovi tecnici informatici e sarà il banco di prova di una nuova infrastruttura (Lhc Data Grid) capace di trasmettere l'enorme mole di dati prodotta dalla macchina ai gruppi di collaborazione scientifica sparsi per il mondo. Sofisticati mezzi di analisi dei dati permetteranno così di "scovare" il segnale della produzione della particella di Higgs tra le centinaia di miliardi di segnali che provengono dalle collisioni di due protoni ad altissima energia. Una nuova visione del mondo. II bosone di Higgs è necessario per riportare l'accordo tra teoria e osservazioni sperimentali. Ma se la particella sarà trovata e sarà provata l’esistenza del campo di Higgs, la nostra visione del mondo subirà un cambiamento radicale, permettendoci di affrontare problemi oggi apparentemente insolubili. Le caratteristiche del nostro mondo sono influenzate dai valori delle costanti fisiche fondamentali, ad esempio l'intensità delle forze deboli regola la produzione di energia del Sole: se il valore fosse diverso, la vita non avrebbe potuto svilupparsi sulla Terra. Confrontati con questa e altre simili coincidenze, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che esse siano l'indizio di un "principio antropico": che le costanti fisiche, cioè, debbano essere tali da permettere lo sviluppo di una vita cosciente in qualche parte dell'Universo. Ma il meccanismo di Higgs apre nuove prospettive. Valori diversi del campo di Higgs corrispondono a valori diversi delle costanti fisiche e, in ultima analisi, rendono possibile immaginare l'esistenza di universi fisicamente diversi tra loro. È stato ipotizzato che questi diversi universi coesistano in una sorta di super-cosmo in continua evoluzione. A seconda dei valori delle costanti fisiche, alcuni di questi universi dovrebbero espandere e durare a lungo, come il nostro, mentre altri collasserebbero rapidamente. Naturalmente, la vita si svilupperebbe solo negli universi nei quali i valori delle costanti sono tali da permetterne lo sviluppo. L'Universo non dovrebbe essere più costruito su misura per noi, piuttosto sarebbe la vita a svilupparsi solo negli universi "ospitali". * Ordinario di Fisica Teorica all'Università La Sapienza, già Presidente dell’Infn e Direttore generale del Cern LA SPERANZA PER SCOPRIRLA è in costruzione a Ginevra Lhc, il più potente acceleratore mai creato Atlas {nella foto il calorimetro elettromagnetico durante L'assemblaggio) è uno dei due esperimenti previsti dal progetto 0hc del Cero per dare la caccia al bosone di Higgs (l'altro esperimento è Cms). La costruzione di apparati complessi e sofisticati di Chc è realizzata da industrie italiane h!-tech come Ansatdo Superconduttori e Zanon _______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Giu. ’05 MIT ITALIANO AL RALLENTATORE GRILLI: NO, STA GIÀ LAVORANDO IL CASO IIT / Confronto con "lavoce.info" "Attivate 35 borse di dottorato nel 2005 Dopo il primo triennio, organico di 150 persone" Botta e risposta tra il sito lavoce.info e Vittorio Grilli, commissario unico dell'Iit, il "Mit" italiano, sullo stato di avanzamento e lo sviluppo dell'istituto che dovrebbe fermare la fuga dei cervelli dall'Italia. Grilli, insieme al direttore scientifico Roberto Cingolani, ha risposto ieri alle domande poste nel sito dai due economisti Daniele Checchi e Tullio Jappelli nei giorni scorsi. Interrogativi che sembravano far trapelare uno stato dei lavori non soddisfacente. I due economisti spiegavano che l'Iit, nato nel novembre del 2003, "dovrebbe privilegiare aree di ricerca di frontiera, come le bio- tecnologie, le scienze neurali, l'automazione e la robotica". Lo stesso Grilli, precisano, "prometteva che l'Istituto avrebbe cercato fondi aggiuntivi e che non sarebbe stato legato esclusivamente a finanziamenti pubblici". Ma nel bilancio dell'Istituto nei due anni trascorsi, si evidenzia che persino "il sito internet è molto avaro di notizie e il forum di discussione è desolatamente vuoto". Insomma, l'accusa nemmeno troppo velata era anche di scarsa trasparenza. Grilli e Cingolani hanno difeso il Mit nostrano con numeri alla mano. "Già nel corso del 2005 sono state attivate 35 borse di dottorato per un importo di circa 1,2 milioni di euro". Mentre altri fondi, concludono, "saranno utilizzati nella seconda metà del 2005". Inoltre, per la selezione delle università sono stati "usati criteri di eccellenza nei settori di pertinenza dei programmi E' peraltro evidente in qualsiasi consesso scientifico internazionale che istituzioni quali il Politecnico di Milano, l'Università Vita-Salute San Raffaele, l'Università di Milano-Scuola Europea di Medicina Molecolare, la Scuola Normale Superiore di Pisa, la Scuola Superiore S.Anna e l'Università di Genova rappresentino istituti di riferimento per il Paese". Infine, sull'organico a regime dell'Iit, Grilli e Cingolani indicano in 150 unità un obiettivo ragionevole alla fine del primo triennio di età dell'istituto. ======================================================= _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 lug. ’05 UN PARCO DEL COMUNE LUNGO LA 554 Unirà il centro abitato con la Cittadella universitaria Tra il paese e la Cittadella universitaria sorgerà un parco pedonale. Finiti i tempi degli aiuti de minimis rivolti esclusivamente alle imprese, da due anni la Regione impone ai Comuni di finanziare con la legge 37 sul lavoro la realizzazione di opere pubbliche per lo sviluppo della città e per l'occupazione. Quest'anno, grazie anche ai fondi degli anni precedenti, l'amministrazione progetta in grande: è pronta a trasformare la città, e a garantire posti di lavoro, per una spesa totale di 3 milioni e mezzo di euro. Una cifra da capogiro che si divide in quattro interventi. il parcoSi parte con un progetto che sembra realizzare i sogni non solo del Comune, ma anche di centinaia di cittadini che da sempre vivono la statale 554 come un confine di asfalto. Un'opera che si chiama "parco lineare", ma che si traduce in un percorso pedonale e ciclabile arricchito di spazi verdi, negozi e bar. Due chilometri che, dalla stazione di via San Gottardo, fiancheggiano via Argentina e tagliano per la Cittadella universitaria. Una trincea targata Ferrovie della Sardegna, che si trasformerà in una via preferenziale per il tempo libero, nella quale saranno messi al bando i motori. Biciclette, pattini, skate, ma anche zona jogging o semplicemente pedonale. Sui lati piante, zone verdi e fiori, ma anche chioschi bar, ristoranti e attività commerciali. AttrazioniLe idee per nuove attività non si sono fatte aspettare. Si parla di vecchi vagoni ferroviari da trasformare in carrozze-ristorante (ovviamente, non itineranti), ma anche di punti per il noleggio delle biciclette. La passeggiata verso l'Università ha due scopi: uno ricreativo, l'altro è unire la zona chiamata comunemente «al di là della 554» con quella del centro storico. Studenti, ma anche pazienti del Policlinico, così come gli abitanti della zona di Su Tremini, potranno attraversare la lunga lingua di cemento senza dover fare i conti con il traffico della statale, che passerà sopra il parco. Il tracciato delle Ferrovie, con un lungo sottopassaggio, assicura un collegamento diretto tra i due lembi di terra di Monserrato. ex criesSe la città potrà accedere tranquillamente e in sicurezza all'Università, lo stesso farà l'Ateneo, che sbarcherà in centro. Il secondo progetto finanziabile con la legge 37 punta anche a un altro traguardo: l'ex Cries. La grande struttura mai completata, che sorge nella zona tra Cortis e Paluna al confine con Selargius, riprenderà finalmente vita. La proposta è di qualche anno fa, quando il Comune e l'Università avevano richiesto un finanziamento per trasformare l'ex scuola in un centro integrato di servizi. L'edificio, come da accordo di programma, dovrebbe accogliere la Clinica odontoiatrica e trasformarsi in sede staccata della facoltà di Medicina, ospitando anche un centro socio-culturale, una scuola materna e altri servizi. Ci sono fondi per 1,3 milioni di euro, che si sommerebbero ai 300 mila finanziati dalla Regione. «Due progetti che si basano sul principio di fondo della legge per la creazione di nuova occupazione e sono perfettamente in linea con le scelte del Comune: unire le due Monserrato oggi divise dalla statale 554 e portare l'Università in centro», spiega Marco Ghinolfi, assessore al Bilancio. anziani e malati di menteNon è tutto. Sfumata la proposta dell'amministrazione, che offriva agli operatori di consorziarsi per rilanciare il mercato civico, rimangono in piedi altri due progetti: 450 mila euro per finanziare la casa alloggio per anziani e altri 450 mila euro per il centro diurno per sofferenti mentali, che dovrà sorgere nel centro storico. Serena Sequi _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 lug. ’05 SASSARI: AZIENDA MISTA, PROVE DI ISTITUZIONE di Gabriella Grimaldi Le posizioni si avvicinano, resta il nodo di cardiologia Una riunione fiume in rettorato con l’assessore Nerina Dirindin Sette milioni per Veterinaria SASSARI. Non sono scogli da poco quelli che restano da superare - si parla del futuro di cardiologia, oncologia e dermatologia -, ma la trattativa sulla ripartizione delle strutture nell’azienda sanitaria mista sembra aver fatto un deciso passo avanti. Dalla riunione fiume che si è svolta ieri all’università è venuta fuori anche un’altra importante notizia: 7 milioni di euro da destinare alla facoltà di Veterinaria per la realizzazione dell’azienda universitaria e del centro di biodiversità animale. Un incontro decisivo quello che si è svolto ieri e che ha visto riuniti tutti gli attori di un processo che porterà a una vera e propria rivoluzione nel mondo della sanità sassarese. Da Cagliari è arrivato l’assessore regionale Nerina Dirindin che è stata accolta in rettorato dal padrone di casa Alessandro Maida, dal preside della facoltà di Medicina Giulio Rosati e dal quello del corso di laurea Giuseppe Delitala, dallo staff dirigente della Asl n.1 e dal sindaco Gianfranco Ganau. Gli argomenti sul tappeto erano tanti, ma sostanzialmente si trattava di avvicinare le posizioni sulla distribuzione dei servizi e delle strutture nell’azienda mista ospedale-università che tante polemiche ha provocato nei mesi scorsi. In una bozza di accordo firmata (con riserva) da Regione e Università l’eliminazione dei reparti doppi nelle strutture ospedaliere e universitarie costituiva, secondo i rappresentanti della facoltà di Medicina (ed ecco perchè la firma con riserva) una forte penalizzazione dell’attività di formazione e di ricerca. Tanto da mettere a rischio gli stessi requisiti minimi richiesti in Europa per il riconoscimento dei titoli di studio. «Siamo qui - ha detto l’assessore Dirindin all’inizio della riunione - proprio per trovare un accordo soddisfacente sulle osservazioni presentate dall’università di Sassari». «Diciamo che la situazione è radicalmente cambiata da quando è stato presentato il piano sanitario regionale - ha detto il preside Giulio Rosati, apparso molto più “sereno” di qualche tempo fa -. Avevamo manifestato le nostre preoccupazioni per il mantenimento dei requisiti minimi europei. A Sassari abbiamo 12 corsi triennali più i corsi di Medicina e Odontoiatria e quest’anno andremo ad ammettere cento studenti in più di Cagliari. Per questo chiedevamo rassicurazioni». Un accordo è stato trovato per tutti quei reparti «in bilico» fra la gestione universitaria e ospedaliera. Per tutti tranne che per cardiologia, oncologia e dermatologia. Una partita non da poco per la quale la Dirindin ha chiesto tempo: «È necessario acquisire dati e verificare le ricadute economiche dei futuri assetti - ha detto -. Di sicuro non possiamo permetterci doppioni, e questo è un punto fermo da cui non ci muoveremo. Non ci sono i malati dell’università e quelli dell’ospedale, ma un’utenza che ha diritto a un servizio di prim’ordine». Insomma, nella costituzione dell’azienda mista qualche boccone amaro bisognerà ingoiarlo, sia da una parte che dall’altra. Del destino dei reparti contesi si riparlerà in una riunione fissata per la settimana prossima. «Siamo qui - ha dichiarato il sindaco Ganau - a trasmettere il disagio e la preoccupazione della popolazione per una situazione che deve essere sbloccata il più presto possibile». Piena soddisfazione invece per le notizie sulla facoltà di Veterinaria: «Si aprono nuove prospettive - ha detto Maida -, oltre che per il finanziamento regionale, anche grazie all’autorizzazione del Comune alla costruzione dell’ospedale veterinario a Monserrato. In questo modo la facoltà avrà i requisiti minimi garantiti». _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 lug. ’05 LA SFIDA DEL PARCO SCIENTIFICO PUNTA SUI FARMACI PERSONALIZZATI RICERCA I TRAGUARDI ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. Un ‘incubatore’ per aziende che lavoreranno nel settore biomedico, un polo d’eccellenza delle tecnologie bioinformatiche e un distretto di biomedicina in cui operano quattordici aziende: questi i ‘gioielli’ che il parco scientifico e tecnologico Solaris ha presentato ieri sera nella sede di Pula. «L’arte sei tu, la ricerca siamo noi», recita spesso il neuroscienziato Gian Luigi Gessa, come per dire: la scienza è, oggi, un processo collettivo che ha bisogno di cervelli, strutture e progetti. Questa, in sintesi, è l’idea guida che ha fatto nascere nel 2003 Solaris, il parco scientifico con una sede a Pula- Is Molas, una a Tramariglio, a Nuoro e Oristano. La giornata di ieri ha rappresentato un nuovo tassello: è stato presentato il ‘bioincubatore’ Biofarm, struttura destinata a nuove imprese e a ricercatori che intendano sviluppare, a partire dai propri risultati di ricerca, nuove attività imprenditoriali nel settore delle tecnologie per la salute. «L’assessorato regionale all’Industria, in collaborazione con Polaris - ha spiegato Francesco Marcheschi, direttore del Consorzio 21, l’ente che gestisce il parco - si è qualificato al primo posto nazionale aggiudicandosi un finanziamento di 770mila euro per l’acquisto di macchinari e attrezzature per il funzionamento del bioincubatore». Attualmente, al suo interno, vi sono già tre piccole aziende, le altre sette saranno selezionate sulla base dei progetti proposti. Il bioincubatore, è stato spiegato ieri, nasce all’interno del distretto della biomedicina per il quale sono stati stanziati 42 milioni di euro e che opera nelle biotecnologie e nella bioinformatica. Il settore locale di quest’ultima è stato riconosciuto dal governo centrale come ‘polo d’eccellenza delle tecnologie bioinformatiche applicate alla medicina personalizzata’. E ha avuto un finanziamento ulteriore di 13,6 milioni di euro. L’obiettivo di Solaris, è stato ribadito ieri anche da Giuliano Murgia, presidente del Consorzio 21, è quello di stimolare l’aspetto detto di ‘ricerca e sviluppo’ delle aziende, da un lato; e di agevolare piccole iniziative o progetti con know how innovativi, a diventare impresa, dall’altro. Il tutto puntando sul capitale-conoscenza e cercando di incrementarlo con le università di Cagliari e Sassari. Durante il simposio Filippo Spano, capo di gabinetto dell’assessorato regionale alla Programmazione, ha precisato l’importanza dell’incentivazione della produzione immateriale (la conoscenza) soprattutto in vista del 2006, anno in cui non vi saranno più gli attuali supporti europei. Massimo Dadea, assessore regionale agli Affari generali, ha sottolineato che «per noi, in Sardegna, investire nella conoscenza e nell’innovazione è decisivo anche perchè partiamo da una situazione storica di svantaggio. Abbiamo, infatti, la più bassa pecentuale di laureati in rapporto alla popolazione attiva: il 6,5 per cento contro il 7,5 nazionale e il 7,3 del Mezzogiorno». Per Dadea questi dati devono «far riflettere: quando nel 2006 non avremo più gli aiuti europei e ci misureremo con la competitività, la nostra capacità di creare conoscenza sarà determinante». L’isola è in ritardo ma qualche passo avanti lo sta facendo: «Abbiamo avuto - ha continuato Dadea - un riconoscimento rilevante visto che ‘Il Sole 24 ore’ ci ha posto al primo posto per l’impegno nella spesa per l’innovazione». Da chiarire, però, che «i finanziamenti specifici sono stati ottenuti grazie a tempestività e qualità dei progetti». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 lug. ’05 POLARIS: CULLA PER LE BIOMEDICINE Il giro d'affari (potenziale) è inestimabile. I nuovi farmaci e i brevetti legati alla biomedicina sono una risorsa a sei zeri, ma le imprese che da oggi lavoreranno nel nuovo centro di ricerca "Biofarm" stanno con i piedi per terra e si preparano a giocare con scrupolo le loro carte. La struttura (500 metri quadrati), inaugurata ieri, è a Pula, nel Parco scientifico e tecnologico gestito dal Consorzio 21, ente che cura lo sviluppo delle aziende per conto della Regione: uno staff di esperti assisterà i ricercatori nella stesura dei progetti, nella brevettazione delle scoperte e nell'eventuale commercializzazione dei prodotti. Le tre imprese, di cui una sarda, potranno usufruire di 25 mila euro previsti dal piano di start-up, ma soprattutto di attrezzature, spazi e competenze. Potranno entrare a far parte del programma anche altre imprese (cinque o sei) costituite nel 2005 che presentano domanda entro il 29 luglio: se accolte, avranno diritto a un incentivo di 100 mila euro, da utilizzare in tre anni. Accanto a questo c'è un programma per la valorizzazione delle risorse umane: 70 mila euro per corsi di formazione per ricercatori meritevoli. Le capacità non mancano e neppure le idee. È il caso della Bioflag, una delle tre società entrate nel programma di assistenza guidata dal neurologo Alessandro Buflone, ricercatore dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano: assieme a tre soci studia un farmaco che inibisca la molecola responsabile del carcinoma al seno. «La struttura offre molte opportunità, come i laboratori attrezzati, lo stabulario, ma anche le competenze in management, indispensabili per far decollare un'impresa». Anche i sardi hanno portato le loro idee: Alberto Concu, docente di Fisiologia umana a Cagliari, dirige un gruppo di ricerca che ha brevettato uno strumento in grado di misurare la gettata cardiaca (quantità di sangue pompata dal cuore) utilizzando sensori simili a quelli dell'elettrocardiogramma evitando l'applicazione di un catetere nel cuore. «Questo nuovo sistema può essere utilizzato nello sport, ma anche nella cura delle malattie», spiega Concu. «L'obiettivo è creare un prodotto da immettere nel mercato». Il ricercatore Carlo Ghisalberti, dell'Università di Milano, guida la neonata società Prisma che studia le malattie legate all'esposizione al sole, dagli eritemi ai melanomi. Ha brevettato una serie di formule che favoriscono la distruzione delle cellule cancerogene, altre che vengono applicate in numerosi prodotti cosmetici per il loro effetto abbronzante e protettivo. «Ci insedieremo nell'Edificio 5 e lavoreremo in collaborazione con l'Università di Cagliari». Nicola Perrotti (Unioneonline) _______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Giu. ’05 AIDS: LA VIROLOGA ENSOLI PRESENTA LA SUA RICERCA Vaccino per l'Aids, lite sullo studio italiano Aiuti: pochi test sui pazienti, violate le regole ROMA - "Presentazione della prima fase di sperimentazione del vaccino per l'Aids". È bastata questa riga per seminare sconcerto e polemiche fra i ricercatori che partecipano allo studio clinico sul vaccino messo a punto da Barbara Ensoli, Istituto superiore di Sanità. La frase incriminata compare sul biglietto di invito al gala in Campidoglio organizzato domani dal Comune di Roma e dalla Presidenza del consiglio in onore della virologa. Iniziativa poco gradita dalla Comunità scientifica italiana. L'EX MAESTRO - L'immunologo Fernando Aiuti, ex maestro della Ensoli, contesta il modo di procedere: "Questi dati avrebbe dovuto presentarli prima di tutto a noi, farne oggetto di una comunicazione ai congressi e poi divulgarli al pubblico. È gravissimo che così non sia avvenuto. Noi abbiamo il diritto di aprire per primi i codici della sperimentazione e di valutare se i risultati sono validi sia dal punto di vista della sicurezza che dell'efficacia". Aiuti contesta inoltre il fatto che lo studio sia stato chiuso in anticipo, senza spiegazioni esaurienti: "Dovevano essere arruolati 88 pazienti, il protocollo invece è stato tagliato senza preavviso a 55 volontari, anche se noi non eravamo d'accordo. I malati continuano a sottoporsi ai controlli ignari dello stop. Neppure i comitati etici degli ospedali coinvolti sono stati informati". I DATI - La Ensoli però chiarisce: "Non rivelerò dati durante il gala, lo farò la settimana prossima in via ufficiale assieme al ministro della Salute Storace dopo aver riunito i colleghi. Non infrango certo le regole. Spero che si trovino i soldi per passare alla seconda fase della ricerca. Il vaccino comunque funziona", liquida la faccenda la virologa che cerca fondi per portare avanti il progetto. Il gala, tutto incentrato sui problemi dell'Africa, ha anche questo fine: è lì che si vorrebbe verificare sul campo, dove l'infezione è estremamente diffusa, se la cura è valida. L'ESPERIMENTO - La prima fase della sperimentazione è cominciata alla fine del 2003 in tre centri italiani: Policlinico Umberto I, San Raffaele di Milano e Spallanzani di Roma. Il vaccino sotto esame è il cosiddetto anti-tat, dal nome della proteina che si vorrebbe inibire, uno dei fattori determinanti nella replicazione dell'Hiv, il virus dell'Aids. Potrebbe essere utilizzato nella prevenzione della malattia e nella terapia. Infatti i test hanno riguardato ambedue gli aspetti, coinvolgendo rispettivamente sieropositivi e volontari sani. I FONDI - La strada per Barbara Ensoli è sempre stata in salita. Prima la difficoltà nel trovare finanziamenti, poi si sono aggiunti i pettegolezzi pronunciati a mezza bocca ai congressi da qualche collega e la velata ostilità dell'ambiente medico italiano mai prodigo di incoraggiamenti nei confronti della virologa, tornata a Roma dagli Stati Uniti proprio per lavorare sulla proteina- tat. "Un modo inconsueto di procedere", schiva le polemiche Adriano Lazzarin, infettivologo, uno degli sperimentatori del San Raffaele che però nota: "Nella nostra comunità scientifica le regole sono ben diverse". Aiuti sbatte la porta: "Non parteciperò alla riunione della prossima settimana, parto, dovevano avvertirmi prima. Non ne so ancora niente. Che figura col resto del mondo. Annunceranno dati relativi ai test su poco più di 25 pazienti visto che l'altra metà ha preso il placebo. Ritengo inoltre molto grave che il ministro della Salute non sia stato invitato in Campidoglio". Margherita De Bac I due scienziati BARBARA ENSOLI Ricercatrice e direttrice del reparto Aids al dipartimento di malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell'Istituto superiore di Sanità, ha sperimentato un vaccino contro l'Aids risultato efficace sulle scimmie FERNANDO AIUTI Ex maestro della Ensoli, è ordinario di medicina interna, allergologia e immunologia clinica e direttore della scuola di specializzazione in allergologia e immunologia a "La Sapienza" di Roma. Ha fondato e presiede l'associazione nazionale per la lotta all'Aids _______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Lug.05 LITE CONTINUA NELL'ITALIA DELLA SCIENZA De Maio: le scoperte sono ormai come saponette, vengono promosse con il marketing - Garattini: serve prudenza Sul galà di stasera organizzato al Campidoglio in onore della virologa Barbara Ensoli peserà l'ombra delle violente polemiche esplose nella comunità scientifica dopo un articolo sul «Corriere della Sera». Polemiche che si fanno sempre più frequenti, per motivi diversi, e sempre più astiose in un mondo già penalizzato da oggettive difficoltà, a partire da quelle economiche. Polemiche che, nel caso di oggi, rischiano di mettere in secondo piano l'aspetto realmente interessante della questione, e cioè l'effettiva possibilità che il vaccino anti-Aids sperimentato dalla ricercatrice sulle scimmie si riveli efficace anche sull'uomo. Tutto nasce dall'idea, contestata duramente dall'immunologo Fernando Aiuti, di presentare la prima fase di sperimentazione del vaccino nel corso della serata voluta dal Comune di Roma e dalla Presidenza del Consiglio. «Accade solo in Italia: si dà l'annuncio sui risultati della sperimentazione di un farmaco quando questa è ancora aperta - attacca Aiuti, a capo di uno dei tre centri che cura la sperimentazione. A oggi non è stata ancora trasmessa tutta la documentazione alla Parexel International, la società internazionale che sorveglia e garantisce la sperimentazione del vaccino, perché ci sono diversi pazienti che addirittura devono essere sottoposti ai controlli previsti dal protocollo». Il che, prosegue Aiuti, significa che siamo in presenza di «una grave violazione del codice di comportamento». Di qui la richiesta al ministro della Salute, Francesco Storace, di nominare un commissione d'inchiesta. «E se dovessero essere accertate irregolarità - incalza Aiuti - il presidente dell'Istituto superiore della Sanità (Iss), Enrico Garaci, dovrebbe dimettersi». Dal canto suo, l’Iss smentisce e annuncia che i risultati saranno resi noti prima agli sperimentato in un incontro che si terrà il 1luglio e solo in seguito agli organi di stampa. Non solo: «Tutte le procedure della sperimentazione clinica sono state seguite nel dettaglio, secondo quanto indicato dal le regole di buona pratica clinic sotto la supervisione della Parexetel International». 11 gala, spiega no all'Iss, serve solo a illustrare 1 tappe percorse sino a ora nella sperimentazione del vaccino e fare una riflessione sulle problematiche dell'Aids in Africa. I malati coinvolti nella sperimentazione, intanto, hanno fatto sentire la loro voce, chiedendo che il confronto avvenga nelle sedi scientifiche e non sui media, nel «rispetto degli accordi di confidenziali che, come noi, anche i centri clini hanno sottoscritto all'inizio del prima fase di sperimentazione». La vicenda offre il destro a u serie di riflessioni sull'opportuni di certi comportamenti e iniziativa all'interno della comunità scientifica. «Le ricerche sono come le saponette: hanno bisogno del marketing che le venda»: sono le parole forti e chiare, di Adriano De Ma io, ex commissario per la riforma del Cnr. Che spiega: «A volte c'è il mecenate pronto a finanziare un progetto. Ma perché un ente pubblico decida di destinarvi dei soldi, è importante che dietro ci siano un interesse generale e un consenso popolare significativi. E allora à volte si tende ad affrettare o a enfatizzare i risultati di una ricerca per attrarre investimenti. Posto che il rispetto dei protocolli scientifici ed etici della comunicazione è prioritario, credo che non ci sia nulla di male nel rendere nota la a valutazione positiva di una ricerca: se chi la conduce è onestamente convinto di aver imboccato la strada giusta, e dirlo può essere outile a raccogliere del denaro, perché tacere?» Di segno opposto l'opinione di Sergio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. «Sicuramente c'è un tasso di litigiosità elevato nel mondo scientifico italiano - dice - e a si finisce per usare spesso toni esageratamente accesi. Ma c'è anche un eccesso di esposizione al pubblico: la ricerca deve essere comunicata alla gente quando ci sono tutti gli elementi che ne attestano l'efficacia. Gli studi di fase l, come quello della Ensoli, mirano a capire se un prodotto è ben tollerato oppure no, e questo non dà alcuna e indicazione di efficacia. È bene - che, soprattutto nel campo della o medicina, si stabilisca maggiore collaborazione tra i ricercatori. Bisogna essere cauti per non creare la illusioni nei malati. E anche perché dualismi e discussioni non favoriscono la causa». Ne sa qualcosa Carlo Rubbia, e il premio Nobel presidente dell'Enea, coinvolto in una ormai lunga e tormentata guerra con il Cda dell'istituto. Ente per il quale, peraltro, si profila un nuovo commissariamento. Ieri, infatti, il ministro per le Attività produttive, Claudio Scajola, ha ribadito che «non possiamo permetterci di tenere ferma un'azienda di eccellenza come l'Enea. Lo scontro va sanato». Rubbia, interpellato dal «So1e-24 Ore», ha preferito mantenere il silenzio degli ultimi giorni, «viste le continue inesattezze riportate sulla stampa e le scorrettezze di cui è stato vittima», riferisce una persona del suo entourage. Dopo l'ultimo scontro tra lo scienziato e il Consiglio di amministrazione sulla scelta del direttore generale, diversi ricercatori dell'ente hanno scritto al presidente del Consiglio e a esponenti del Governo per esprimere il loro appoggio al premio Nobel. Altrettanti però auspicano il suo allontanamento per porre termine alla paralisi progettuale dell'ente. Rubbia, intanto, starebbe valutando di lasciare l'Italia: un suo ex collaboratore del Cern di Ginevra (dove dal 1989 al 1993 è stato direttore generale), conferma che «un ente spagnolo farebbe carte false per averlo nella Penisola iberica». Sarebbe l'ennesima fuga di un cervello sopraffino dall'Italia. Come dice d'altro canto un collega del premio Nobel, lo studioso Bruno Coppi, professore ordinario di Fisica al Mit di Boston: «II lavoro del ricercatore è umile, fatto di errori, i risultati arrivano dopo fatiche enormi. Nella cultura italiana questo non ha più valore: quel che conta è apparire, magari facendo una battuta in tv». ELIANA DI CARO _______________________________________________________ Le Scienze 1 lug. ’05 NUOVE LINEE GUIDA PER LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI I medici europei manifestano disagio per le nuove norme sulla prevenzione In un articolo pubblicato sulla rivista “British Medical Journal”, due medici lanciano un allarme: secondo le norme che fissano soglie più basse per i livelli “normali” di pressione sanguigna e di colesterolo, il 90 per cento delle persone sopra i 50 anni sarebbe da considerare malato. Le ultime linee guida europee per la prevenzione delle malattie cardiovascolari suggeriscono che un valore di pressione sanguigna superiore a 140/90 mm Hg, senza correzioni legate all’età, e di colesterolo nel siero di 5 mmol/l siano le giuste soglie per essere considerati malati. Quando i ricercatori Steinar Westin e Iona Heath hanno applicato queste norme alla popolazione adulta della Norvegia, hanno scoperto che metà degli abitanti dovrebbe essere considerata a rischio già all’età di 24 anni, con il valore che sale al 90 per cento all’età di 49 anni. Si tratta di cifre troppo elevate per non causare disagio, sostengono gli autori, secondo i quali la situazione potrebbe anche essere peggiore in altri paesi, come la Gran Bretagna. Quando le linee guida, elaborate dall’European Society of Cardiology, entreranno in vigore, una fetta molto grande della popolazione potrà diventare il target di interventi medici, senza tener conto che in molti casi i potenziali benefici dei trattamenti potrebbero essere inferiori agli effetti collaterali. Inoltre, il costo enorme delle cure per una parte così grande della popolazione potrebbe destabilizzare il sistema sanitario pubblico anche nelle nazioni più ricche. Westin e Heath auspicano dunque che l’implementazione delle nuove linee guida venga preceduta da un’attenta considerazione di questi aspetti. ______________________________________________________ IL MATTINO 01-07-2005 STREPTOCOCCO UN VACCINO ITALIANO LE UNIVERSITÀ DI MESSINA E VITERBO INSIEME ALL'INDUSTRIA EMANUELE PERUGINI UN VACCINO contro un'infezione molto comune e spesso dagli esiti fatali, è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori italiani. In due articoli pubblicati su «Nature» ricercatori delle Università di Messina e di Viterbo, insieme ai biologi della casa farmaceutica Chiron di Siena, hanno annunciato di essere riusciti a trovare, non solo un vaccino che sembra essere efficace contro lo Streptococcus B, ma anche di aver fatto delle importanti scoperte sulla natura di questo batterio che in futura potranno essere usate anche per migliorare la terapie di questa infezione_ La ricerca è stata condotta grazie alla collaborazione tra gli istituti e le aziende italiane e la prestigiosa Harvard Medical School. Anche se al grande pubblico il nome del batterio può non dir nulla, per le mamme e le persone anziane, quello dello Streptococco è un vero e proprio spauracchio. Il batterio infatti è molto pericoloso soprattutto per queste categorie di persone. Le mamme lo temono perché è una delle principali cause di infezione per i neonati, per gli anziani è una delle infezioni più pericolose che possono insorgere in tarda età. Ma si tratta di un batterio subdolo che si insinua nell'organismo e aspetta il momento più adatto per colpire: durante il parto o magari se si è resi più deboli da un'altra malattia, come per esempio il Parkinson. Secondo alcune stime elaborate negli Stati Uniti circa il 40% delle donne in età fertile ha il batterio annidato nel canale del parto. Normalmente, proprio per evitare rischi di infezione, le partorienti vengono sottoposte a test per verificare l'eventuale presenza del batterio e, nel caso i risultati siano positivi, vengono sottoposte a terapia a base di antibiotici in modo da annullare al massimo il rischio di contagio madre-figlio. Nonostante queste precauzioni, negli Stati Uniti (in Italia non ci sono stime accurate) ogni anno circa 2500 neonati vengono infettati dal batterio. Di questi, almeno il 25% riporta gravi danni tra cui sordità, cecità, e altri gravi disturbi neurologici_ Per cento di loro invece si arriva al decesso. «Anche negli anziani - ha spiegato Guido Grandi, responsabile del Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare di Chiron Vaccines - l'infezione è molto pericolosa perché ha un tasso di mortalità del 25%». Attualmente sono in corso di sperimentazione diversi vaccini contro lo Streptococcus, ma molti sono mirati a ceppi molto particolari del batterio. I ricercatori italiani sarebbero invece riusciti a mettere a punto un vaccino universale contro il batterio, capace cioè di contrastare con efficacia tutti i ceppi in cui lo Streptococcus è diffuso nel mondo. ____________________________________________ Il Corriere della Sera 30 Giu. 05 ATTENTI ALL'«ALLERGIA» DA TONNO Nel 2005 già 11 casi di pesce contaminato da istamina in Europa Nel primo trimestre del 2005 il Sistema di allerta rapido europeo per alimenti e mangimi (RASFF) ha ricevuto dall’Italia 11 segnalazioni di tonno contaminato da istamina. In diversi casi le persone sono state ricoverate. «Il problema - precisa Isidoro Bacchiocchi, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche riguarda soprattutto tonno, sgombri, alici e salmoni conservati sott’olio o congelati. L’istamina si forma perché il pesce resta troppo tempo fuori dal frigorifero prima della lavorazione. Una volta presente, l’istamina resiste ai trattamenti termici. L’assunzione di istamina determina una reazione simile a quella allergica (eccessiva produzione di muco nasale, difficoltà respiratorie, mal di testa, anche febbre...)». Il consumatore difficilmente si accorge che nel pesce qualche cosa non va, perché aspetto e sapore non mutano. Tra le precauzioni si consiglia di non consumare il pesce conservato oltre la data scadenza, di non congelare il pesce scongelato, e di tenere il pesce dopo l’apertura in frigorifero a temperatura non superiore ai 4 gradi centigradi. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Giu. ’05 CACCIA AL GENE DELL'EMOGLOBINA PER TROVARE LA CURA DELLA TALASSEMIA Salute Studiosi a convegno al Businco Migliorare la qualità della vita dei talassemici, sostenere la ricerca scientifica e ribadire ancora una volta l'importanza di individuare valide alternative alla terapia trasfusionale. Sono stati questi, i temi principali del meeting sulla talassemia che si è tenuto giovedì mattina nella sala conferenze dell'ospedale oncologico Businco. L'incontro, promosso dall'Associazione regionale per la lotta contro la talassemia, è stato condotto dallo scienziato Stefano Rivella, medico piemontese che dal 1997 dirige il laboratorio di ricerca della Cornel University di New York, centro che da anni esegue sperimentazioni finalizzate ad individuare nuove terapie per la cura della talassemia. Di fronte a una platea attenta, composta da medici del Businco e tanti giovani sardi affetti da anemia mediterranea, il professor Rivella ha illustrato le finalità degli studi condotti dal suo laboratorio. "Il centro analisi della Cornel University si occupa quasi esclusivamente di terapia genica - spiega Rivella - ossia del trattamento finalizzato alla sostituzione del gene difettoso chiamato beta-globina. Attualmente l'obiettivo principale è quello di trovare valide alternative alla trasfusione. Per riuscirci, stiamo studiando le molecole attivatrici della emoglobina fetale, sperando di ottenere la produzione di un tasso maggiore di emoglobina". "Un tasso che eviterebbe al paziente - afferma Giorgio Vargiu, presidente dell'Associazione sarda contro la talassemia - di ricorrere alla trasfusione. L'unico nostro cruccio è che le sperimentazioni americane sono state fatte finora solo sui topi mentre sarebbe opportuno utilizzare animali più simili all'uomo, come le scimmie. Cosa che al momento non è possibile fare". Un altro aspetto della ricerca condotta dall'équipe di Rivella riguarda poi l'assorbimento del ferro. "È noto - spiega Vargiu - che i talassemici hanno problemi di accumulo di ferro. E proprio per questo si lavora per comprendere meglio i meccanismi del metabolismo del ferro nel paziente. Una terapia farmacologica esiste già, si tratta della ferrochelante, ma non basta". Al termine del convegno, Stefano Rivella ha ricevuto un assegno da 15 mila euro. La somma, destinata a sostenere la ricerca, è il ricavato della vendita del calendario "Un cuore rossoblù in campo contro la talassemia", iniziativa promossa lo scorso Natale dal Comitato zonale dei giovani talassemici di San Gavino Monreale, presieduto da Giancarlo Deligia, in collaborazione con il Cagliari Calcio e il coordinamento dei Cagliari club. Paolo Loche _______________________________________________________ L’Unione Sarda 26 Giu. ’05 CAGLIARI: UNA NUOVA ARMA CONTRO L'EPATITE C Molecola capace di sconfiggere il virus scoperta dai ricercatori cagliaritani Terapia più efficace per i malati: in Sardegna sono 50.000 Una speranza in più per i circa 50 mila pazienti sardi affetti dall'epatite C, e per gli oltre 170 milioni sparsi nel mondo. Una speranza dal nome complicato come tutti i farmaci che si rispettino, Valopicitabina NM283, e che a gennaio 2006 entrerà nella fase sperimentale clinica, coinvolgendo anche diversi pazienti sardi. L'importante novità per il mondo della medicina, e per i milioni di persone che hanno contratto, nelle varie forme, il virus, è stata illustrata ieri dal binomio che ha coltivato negli anni la scoperta: l'Università di Cagliari e la società biofarmaceutica Idenix, con sede a Cambridge nel Massachusetts, e con due sedi anche a Montpellier in Francia, e a Cagliari, nel polo di Macchiareddu, dove si svolge attività di screening. Un perfetto esempio di fusione tra ricerca scientifica, in questo caso portata avanti dall'équipe del professor Paolo La Colla, del dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell'ateneo cagliaritano, e mondo dell'imprenditoria, pronto a investire capitali. Con ricadute occupazionali anche per il territorio di Cagliari. Il farmaco «Abbiamo tre molecole in fasi avanzate per la terapia dell'epatite B e C ? ha commentato il presidente e amministratore delegato di Idenix, Jean Pierre Sommadossi ?. Una di queste, l'NM283, nata in collaborazione con l'Università di Cagliari, inizierà la sperimentazione clinica nel 2006. Il farmaco sarà somministrato su circa mille pazienti che non hanno avuto benefici dalla terapia standard». Si calcola che ci siano nel mondo circa 170 milioni di persone infettate, e che quasi cento milioni corrano il rischio di veder progredire la malattia in cirrosi o tumore del fegato. Le aree scelte per la sperimentazione sono gli Stati Uniti e l'Europa, e probabilmente il Giappone: «Tra queste ci sarà anche la Sardegna, vista la presenza di un'importante base operativa», ha confermato il presidente della società biofarmaceutica. L'obiettivo è di quelli che fa ben sperare: «Ci auguriamo che oltre il 30 per cento dei pazienti che assumeranno il farmaco per un anno potranno eliminare il virus», ha detto Sommadossi. In Italia il tre per cento della popolazione è affetto da epatite C, media che si riflette anche in Sardegna: la patologia danneggia lentamente il fegato, fino ad arrivare ai casi più gravi di cirrosi o tumore epatico. Proprio la fase iniziale è quella che meglio si addice alla terapia, non esistendo ancora un vaccino (come nel caso dell'epatite B). Attualmente una delle terapie più utilizzate è l'iniezione della proteina interferone, combinata con la ribavirina. I pazienti hanno notevoli effetti collaterali (depressione, febbre e tremori) e circa il 50 per cento elimina dal proprio corpo il genotipo 1 del virus C, quello più difficile da trattare. La sperimentazione sarà avviata su pazienti affetti proprio dal genotipo 1, e durerà 48 settimane: un gruppo sarà sottoposto a somministrazione del farmaco NM283 e un altro seguirà la terapia standard. La Velopicitabina agisce nel corpo del paziente, bloccando la proteina polimerasi, che il virus utilizza per replicarsi. «Se dovessero arrivare notizie positive dal nostro farmaco, ci aspettiamo che le autorità sanitarie americane ne consentano una rapida approvazione», ha auspicato Sommadossi. Sul progetto lavora da cinque anni il laboratorio cooperativo Idenix ? Università di Cagliari, diretto da Paolo La Colla: «Una collaborazione che ha dato i suoi frutti ? ha spiegato il professore dell'ateneo cagliaritano ?. La ricerca è importante se seguita dall'applicazione. Altrimenti se resta pura conoscenza non serve a molto». La Colla ha seguito le orme di quello che è stato il suo maestro, Bernardo Loddo, tra i pionieri nella virologia: «I suoi insegnamenti non sono stati vani ? ha sottolineato il preside di Medicina, Gavino Faa ?. Spesso l'Università di Cagliari ha visto importanti scoperte, come la prima endoscopia fatta negli anni ?60, non brevettate, e fatte proprie da altri poli scientifici dell'estero. Questa volta gli effetti positivi si registreranno anche nel nostro territorio». Ricadute per la Sardegna «Non tutti i laureati e i dottorandi possono entrare nel mondo dell'Università come ricercatori - ha sottolineato il rettore Pasquale Mistretta -. Questo è un esempio di come si possano avere sbocchi occupazionali dall'incontro tra ateneo e imprese». Lo stesso Sommadossi ha anticipato il potenziamento della struttura cagliaritana che passerà, nel 2006, dagli attuali 15 ricercatori, a 20, «con un'ulteriore crescita nei prossimi anni». Uniti ai 15 ricercatori stipendiati dall'Università, alla fine si ottiene un'attività di ricerca che dà lavoro a 30 studiosi. L'investimento per il farmaco, per la sola fase di sperimentazione clinica, da parte della Idenix, è stato di 500 milioni di dollari. Anche il ritorno economico, una volta che il farmaco diventerà commercializzabile, sarà elevato. E l'Università avrà la sua parte: «Non è ancora stata ufficializzata la percentuale di Cagliari, per la partecipazione nella commercializzazione», ha precisato il presidente di Idenix. «Meglio l'un per cento di molto, piuttosto che il dieci per cento di poco», ha detto La Colla. E inoltre resterà la grande soddisfazione di poter vedere un farmaco, nato dalla ricerca svolta nell'ateneo cagliaritano, diventare una speranza per i milioni di pazienti affetti da epatite C nel mondo. Matteo Vercelli L'ORGOGLIO DEL RETTORE MISTRETTA PER LA TERZA SCOPERTA IN POCHI MESI «Un'altra prova di eccellenza dell'Ateneo» Professor Mistretta: due mesi fa il reagente che permette di estrarre l'oro dai computer vecchi, poi il superconduttore per esperimenti in assenza di gravità, ora addirittura il farmaco contro l'epatite C. L'Università di Cagliari ha deciso di stupire il mondo? «Effettivamente in questo periodo stiamo raccogliendo grossi risultati. Sono i frutti di un lavoro d'équipe che non nasce per caso: c'è dietro l'eccellente apporto delle scuole universitarie. Ed è la dimostrazione che nella ricerca non siamo secondi a nessuno: altrimenti gli americani non verrebbero a proporci, come nel caso di quest'ultima ricerca, di collaborare». In questo caso, significa co-finanziare? «Certo, perché la ricerca ha dimostrato di funzionare anche a livello aziendale. L'altro giorno, a un meeting del Cnr, il nostro Luca Pani è stato chiamato a relazionare sulla Farmanes come esempio di società farmacologica ad alta produttività. E l'industria si sta accorgendo che la sintesi fra pubblico e privato è la soluzione ideale». Perché? «Perché i ricercatori, in molti casi, sono persone già strutturate nell'università. Oppure sono dei giovani che lavorano con grandissimo entusiasmo». Precari. «Ma perché? Se sanno farsi valere, trovano delle possibilità. Magari in pic- cole aziende, in situazioni di spin off». Come si traduce spin off? «È un termine tecnico che designa un innesco operativo di aiuto e slancio per le imprese». Ma la ricerca è uno dei settori più in crisi, in quest'Italia in crisi. O no? «Intanto i ricercatori sardi stanno superando il Tirreno, inteso come barriera psicologica. Sono molto apprezzati all'estero, anche negli Usa: penso alla professoressa Farci, per esempio. Certo il problema c'è. Ma noi, a Cagliari, tra dottorati e assegni e borse di studio siamo in grado di tenere un giovane per sette anni, in qualche caso anche per dieci». E poi? «Poi è vero, la selezione per entrare è durissima. Per un posto si presentano in dieci». E i nove che restano fuori? «Devono cercare altrove. E se hanno capacità, intelligenza, pazienza e disponibilità allo spostamento, trovano». Cervelli in fuga? «Se ne alleviamo molti, di cervelli, non è fuga. Possiamo permetterci di offrire formazione di qualità ad altri: per esempio ai paesi del Nordafrica. Se ministero e Regione fanno la loro parte, si può fare molto». Marco Noce _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Giu. ’05 BREVETTATO NELL’ISOLA FARMACO CONTRO L’EPATITE C CAGLIARI. Ha efficacia nel sessanta per cento dei casi di epatite C e la sperimentazione ha avuto un lusinghiero successo, A gennaio partirà la sperimentazione clinica. Il farmaco antivirale è stato messo a punto da una équipe dell’università di Cagliari diretta dal professor Paolo La Colla, ma la ricerca è stata finanziata da una azienda farmaceutica, la Idenix che è proprietaria del brevetto insieme all’ateneo cagliaritano. Al progetto collaborano anche alcuni scienziati delle università di Cambridge (Massachussetts) e Montpellier. I primi risultati della sperimentazione sono stati presentati ieri. Una molecola scoperta dall’équipe del professor Paolo La Colla E’ sardo il farmaco contro l’epatite C Il composto, testato con successo, sarà venduto in farmacia fra tre anni Il brevetto appartiene all’università di Cagliari e alla Idenix Pharmaceuticals Inc. Sembra un nome in codice, NM283, di quelli usati dagli agenti per criptare i segreti. Invece si tratta della sigla di un nuovo farmaco anti-epatite C. Ma è anche un segreto perchè la formula dell’NM283 è protetta da un brevetto di cui sono proprietari l’università di Cagliari e la società Idenix Pharmaceuticals Inc. I primi risultati della sperimentazione sono stati presentati ieri. Per l’esattezza non si tratta ancora del composto che sarà venduto in farmacia ma di una molecola (la valopicitabina) scoperta a Cagliari dall’équipe di Paolo La Colla, direttore del dipartimento di scienze e tecnologie biomediche dell’ateneo, in collaborazione con la Idenix, che sta finanziando le ricerche. Questa molecola si è dimostrata particolarmente attiva verso l’epatite C, dando risultati più che positivi nelle due prime fasi di sperimentazione clinica. Un farmaco infatti, come è stato spiegato da la Colla e da Jean Pierre Sommadossi (presidente e amministratore delegato della Idenix) durante la presentazione dei risultati, nasce sia dalla sintesi di una molecola in grado di aggredire l’agente della malattia (un virus, in questo caso), che da un complesso sistema di sperimentazione clinica. Solo poi si arriva alla registrazione della molecola (o insieme di molecole) che diventerà il farmaco vero e proprio. Da gennaio del prossimo anno inizierà l’ultima fase, la terza, di indagine clinica. Il costo complessivo di questo ‘messa a punto’ antecedente alla commercializzazione è di «cinquecento milioni di dollari», ha informato Sommadossi, che ha chiarito che la scoperta è stata resa pubblica solo adesso in quanto i risultati ottenuti sono confortanti. L’altro ieri inoltre è stata inaugurata nella zona industriale di Macchiareddu, a ridosso di Cagliari, il Laboratorio cooperativo Idenix Pharmaceuticals-Università di Cagliari dove lavoreranno i quindici ricercatori pagati dalla Idenix e gli altrettanti stipendiati dall’ateneo, tutti sotto la direzione di La Colla. Al progetto collaborano anche altre due équipe che operano a Cambridge (nel Massachusetts, Usa) ed a Montpellier (in Francia). Il farmaco antivirale, somministrabile per via orale, è già stato sperimentato in 350 pazienti americani infettati dal genotipo 1 (un ceppo del virus dell’epatite C particolarmente difficile da curare e molto diffuso negli Usa, in Europa Occidentale e in Giappone). Attualmente questa malattia, che vede interessate in tutto il mondo 180 milioni di persone, è curata con la terapia costituita di interferone peghilato e di ribavirina. Una terapia, questa, che provoca effetti collaterali, come depressione, febbre e tremori, che non si verificano con l’uso della valopicitabina, come dimostrato nei sei mesi della seconda fase di controllo del farmaco. Se la terza fase di sperimentazione darà, come sembra, i risultati sperati, vi sarà la registrazione ufficiale e fra tre anni partirà la commercializzazione del farmaco anche in Europa ed in Italia. «Siamo convinti - ha precisato Sommadossi - che l’NM283 abbia buone probabilità di eliminare il virus in oltre il sessanta per cento dei pazienti mai trattati, ma l’obiettivo è quello di azzerare l’agente dell’epatite C in oltre il novanta per cento dei pazienti totali». La Colla ha anche sottolineato l’importanza che la proprietà delle scoperte vada protetta (col brevetto): modo per innescare il processo di ricerca e produzione. «In questo modo - ha aggiunto - è possibile avere i fondi per la ricerca sia finalizzata che di base». Il direttore dell’équipe ha anche ricordato gli studi di virologia di Bernardo Loddo, suo maestro, e ribadito che la «la scienza la fanno le scuole di ricerca coi vari collegamenti nazionali e internazionali (tra cui anche con l’equipe di chimica faramaceutica di Sassari, guidato da Giuseppe Paglietti - ndr). Per questo vorremmo un ministero dell’Istruzione e della ricerca più sensibile». Questioni sottolineate anche da Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina di Cagliari, che ha ricordato il microbiologo sardo Giuseppe Brotzu (che ha isolato le cefalosporine, il secondo antibiotico dopo la penicellina) e che nei primi anni Sessanta, si è fatta a Cagliari la prima endoscopia a livello mondiale. «Tutte scoperte che, se brevettate, avrebbero portato all’università molte importanti risorse». Il rettore dell’ateneo del capoluogo, Pasquale Mistretta, ha evidenziato come con questo progetto e con altri precedenti (sui nuovi materiali), l’università si «apra sempre più al territorio, locale, nazionale e internazionale, pemettendo sviluppi produttivi e occupazionali. Abbiamo, infatti, grossi problemi per l’inserimento lavorativo dei neo laureati e dei ricercatori, ma non tutti possono essere inseriti nel pubblico. Anche per questo è importante operare nei settori di ricerca non solo nel sistema Europa ma anche oltre per indirizzarci verso quei Paesi che puntano sull’alta qualificazione professionale». Mistretta ha poi ricordato come, da questo brevetto arriverà anche una percentuale legata ai guadagni della commercializzazione. Un modo per finanziare ulteriormetne l’attività di ricerca. LA GRANDE SCUOLA ISOLANA COMINCIA CON LODDO CAGLIARI. Ieri mattina il nome più gettonato è stato quello di Bernardo Loddo. Lo ha citato Paolo La Colla, il direttore del dipartimento di scienze e tecnologie biomediche, come suo maestro; e il preside della facoltà di Medicina, Gavino Faa, come capostipite di tanti studiosi. E hanno ragione entrambi: senza Loddo la giornata di ieri mattina, con la presentazione di un nuovo e importante farmaco sull’epatite C, non ci sarebbe stata. Quando il maestro è morto, nel novembre del 1979, La Colla era l’allievo più grande: a 34 anni (e assieme a un gruppo di studiosi ancora più giovani) si è trovato di colpo senza un punto di riferimento e di protezione. Loddo è stato non solo il capostipite di quell’equipe di virologi ma un antesignano nelle ricerche sui virus. Questi microrganismi sono rimasti per tantissimo tempo quasi sconosciuti. La difficoltà derivava dal fatto che si trattava di parassiti obbligati, ovvero di entità che per vivere hanno bisogno di entrare dentro una cellula e di utilizzare i suoi strumenti per potersi riprodurre. Caratteristica che ha reso per anni anche estremamente difficile riuscire a contrastarli. I batteri, a esempio, hanno un loro metabolismo autonomo ed è quindi tutto più facile, ma come combattere chi vive in simbiosi col suo ospite? Il primo a dimostrare che era possibile un’azione inibente’selettiva’ è stato proprio Bernardo Lotto nel 1961. Allievo del microbiologo Giuseppe Brotzu e del farmacologo William Ferrari, il virologo individuò pr primo una sostanza, la guanidina, in grado di inibire il virus senza danneggiare le altre cellule. Fece questi primi esperimenti sul virus della polio. Successivamente elaborò anche un’ipotesi di vaccino anti polio che utilizzava un concetto da lui scoperto e sviluppato: il fatto che anche i virus diventano dipendenti. Ma non ebbe i finanziamenti necessari per gli esperimenti. Loddo si era formato a Cagliari, poi in Francia e dopo negli Usa. Il suo primo maestro era stato Giuseppe Brotzu che nel 1948 isolò le cefalosporine, diventate il secondo antibiotico dopo la penicellina. Fleming, per quest’ultima, ebbe il primio Nobel, ma in Sardegna - a quei tempi - non si sapeva valorizzare il proprio ingegno. La Colla e la sua equipe, grazie alla scuola di Loddo, hanno imparato la lezione: ricerca di base seria e rapporti con chi ti può aiutare ad andare avanti. (r.p.) CON POCHI SOLDI E MOLTE IDEE: LA VIA CAGLIARITANA AI BREVETTI CAGLIARI. Senza più un maestro in grado di guidarli, i giovani allievi del virologo Bernardo Loddo (morto 26 anni fa) hanno puntato su ricerche che permettessero loro di creare dei brevetti importanti, da cui essere finanziati. Ora l’equipe guidata da Paolo La Colla ne ha prodotti diversi, di cui 5 estesi in tutto il mondo. Ieri hanno presentato quello più importante: per combattere l’epatite C. In Sardegna, però, i brevetti sono ancora pochi, anche se qualcosa si muove. L’altro ieri il team del dipartimento di Ingegneria chimica dell’università di Cagliari, guidato da Giacomo Cao, ha informato che lo studio per un superconduttore a base di boruro di magnesia ha ottenuto il brevetto internazionale. Passi avanti, ma insufficienti. Nonostante il parco scientifico e tecnologico, la Sardegna è ancora lontana dai numeri internazionali. Complessivamente in Italia vengono prodotti poco più di 750 brevetti all’anno, dai quali seguono poi applicazioni alla produzione. La Spagna, per citare un paese abbastanza simile, ne deposita duemila all’anno. La Francia, invece, vola a dodicimila, la Germania a quindicimila e la Gran Bretagna a ventimila. Poi vi sono i missili come il Giappone, gli Usa e il Canada. Nel paese del Sol Levante si viaggia attorno ai 125mila brevetti all’anno. Che cos’è che non va? Il discorso è complesso: in sintesi si può dire, assieme a Enrico Bellone (direttore di Scienze) che in Italia «la scienza è negata» sia per eredità culturali che per scelte economiche. In ricerca e sviluppo si investe l’1 per cento del prodotto interno lordo, in Francia il 2,04, in Germania il 2,29. In Sardegna, poi, il discorso non cambia e quando si parla di scienza se ne discute solo come applicazione pratica senza capire che senza ricerca di base non cresce nemmeno quella applicata. (r.p.) I SARDI COLPITI SONO 48 MILA E NEL MONDO SONO 170 MILIONI CAGLIARI. In Sardegna 48.000 persone (il 3 per cento) sono affette da epartite C: l’isola si situa sulle percentuali nazionali. Gli affetti da epatite B, invece, sono l’1,5 per cento. «Ma il grave - spiega Patrizia Farci, direttore del Centro di studio delle malattie del fegato di Cagliari, è la quantità di pazienti infettati che poi cronicizza la malattia: il 5-10 per cento per la B e circa l’80 per cento per la C». Inoltre il virus responsabile dell’epatite C è particolarmente difficile da combattere in quanto muta di continuo. Per questo motivo, infatti e contrariamente a quello della B, non è stato ancora trovato un vaccino. Inoltre solo nel 1977 si capì che esisteva anche questo virus, inzialmente chiamato come non A-non B, poi riprodotto solo nel 1989 attraverso tecniche di biologia molecolare, prima di vederlo col microscopio elettronico: fu clonato. Ma questa è un’altra storia. La pericolosità dell’agente dell’epatite C deriva dal fatto che dell’80 per cento di infettati che cronicizzano la malattia, il 30-40 per cento evolve verso la cirrosi epatica e forme tumorali del fegato, un 30 per cento resta stabile e altrettando produce forme lievi. «Il che significa - precisa Farci, la cui equipe parteciperà alla terza fase di sperimentazione del farmaco scoperto da Paolo La Colla - che si tratta di numeri molto grandi. Non solo: anche quando viene praticato un trapianto, il virus reinfetta l’organo nuovo. Per questo è importante poter disporre di un farmaco in grado di intervenire». Nel mondo vi sono oggi centosettanta milioni di persone contagiate, di cui quattro milioni negli Usa e quattro e mezzo in Europa. In più: sempre in questi due continenti, ben quattrocentomila malati di epatite C non rispondono agli attuali farmaci, mentre sono sensibili a quello brevettato a Cagliari. (r.p.)