LA RIFORMA AFFIDA L'UNIVERSITÀ AL CASO - E' GIALLO SUL DDL DELL'UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ, RIFORMA DELLA RIFORMA DELLA DOCENZA - PER L'«ADDIO» AI RICERCATORI IL TRAGUARDO SI SPOSTA AL 2013 - LA RI-ELEZIONE DI MISTRETTA - MISTRETTA: «PRONTO PER UN'ALTRA SFIDA» - LA PROMESSA: STAVOLTA DELEGHERÒ DAVVERO - VOGLIO FARE IL RETTORE PER UN ALTRO MANDATO - UN'ESTATE CALDA PER IL RETTORE RISTRETTA - UNA NUOVA STRADA PER IL MISTRETTA VI - IL COMITATO STUDENTESCO: LE REGOLE NON SI TOCCANO - PANI: LA MODIFICA DELLO STATUTO È UN’OSCENITÀ ISTITUZIONALE - BROTZU: BASTA CON MISTRETTA, È UN REGIME - ATENEO SPACCATO SULLE NUOVE FACOLTÀ - CARLO RUBBIA: L’ENEA STA PRECIPITANDO - ENEA, ARRIVA PAGANETTO MARTUSCIELLO VICEMINISTRO - SCIENTISMO: SCIENZA SOTT’ACCUSA: E’ IDEOLOGIA - HOLTON: LE IDEE SBAGLIATE SUGLI SCIENZIATI - SARDEGNA ULTIMA IN TECNOLOGIA (143 su 147) - LE CREATURE DI SUSINI - PIDOCCHI E PECE PER LE ANTICHE CERE - LA CONOSCENZA RICHIEDE INVESTIMENTI QUALI RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E REGIONE? - MA QUALE OSCURANTISMO, È LA SCIENZA CHE HA PAURA DI CERCARE LA VERITÀ - IL CRS4 CAMBIA PELLE, VIA I PRIVATI - Severgnini: COME SONO I SARDI VE LO DICO IO - I GIOVANI NON AMANO LA CHIMICA - BIOLOGIA, LA CRISI NON ABITA QUI - PARIGI VUOLE UN MIT FRANCESE PER RAFFORZARE LA COMPETITIVITÀ - ======================================================= I RETTORI LANCIANO L'ALLARME SULLA SANITÀ UNIVERSITARIA - APPELLO CRUI: SOLUZIONI DOC PER LA SANITÀ UNIVERSITARIA - LA RICERCA MEDICA NON DEVE PUNTARE SOLO SULLA GENETICA - MEDICINA, UNO STUDIO SU TRE SMENTITO DA ALTRE RICERCHE - AZIENDA MISTA, SIGLATO L'ACCORDO FRA REGIONE E UNIVERSITÀ TURRITANA - SANITÀ, VOGLIAMO ESSERE COINVOLTI - CAGLIARI: PRE-IMPIANTO NEGATO: LA PAROLA ALLA CONSULTA - SCOPERTE LE STAMINALI «CATTIVE» - SCOPERTE LE STAMINALI DEL TUMORE AL SENO «COSI LE ELIMINEREMO» - L'OLIO DI LORENZO FUNZIONA - DA UN ANTIBIOTICO SPERANZE PER L'ARTRITE - CAMMINARE SU STRADE ACCIOTTOLATE AIUTA A COMBATTERE L'IPERTENSIONE - BASTA UN ESAME DELLE UNGHIE PER DIAGNOSTICARE L'OSTEOPOROSI - LE MELE ROSSO FUOCO RICCHE DI ANTIOSSIDANTI - L'AUTOPALPAZIONE SERVE ANCHE A LUI - UN ONCOGENE DEL MELANOMA - LA SCOPERTA: DIETE DANNOSE. - ======================================================= ___________________________________________________ LA STAMPA 15 lug. ’05 LA RIFORMA AFFIDA L'UNIVERSITÀ AL CASO L'opinione F. VERCELLONE FORUM sui giornali, manifestazioni studentesche, polemiche prese di posizione della Conferenza dei Rettori e di numerosi organismi accademici fanno nuovamente emergere uno scontento profondo nell'Università. A dare uno sguardo al testo concernente lo stata giuridica dei docenti emendato e approvato alla Camera lo scarso 15 giugno, e attualmente in discussione in Senato dove la maggioranza sta stringendo i tempi per chiudere prima delle vacanze, non ci si stupisce di quanto sta accadendo. Viene innanzitutto abolita la categoria dei ricercatori che diverranno in massa professori aggregati insieme a un numero imprecisato di precari. Viene inoltre riformata la struttura dei concorsi nei quali í commissari verranno sorteggiati e non più eletti come avveniva sino a ara. Per ultima gli aumenti salariali andranno conferiti sola a quei docenti che si sottopongano con successa a verifiche regolari della loro produzione scientifica. Certo i problemi connessi al reclutamento non vanno trascurati. Talora, tuttavia í rimedi sono peggio dei male. Si vogliono riformare i concorsi perché producano meccanismi distorti e clientelari? Per fare questo, invece che al voto nel quale quantomeno è la comunità scientifica a esprimere i propri rappresentanti, (a legge in discussione preferisce affidare le case al sorteggio, e cioè ai caso. Se la sfiducia nei confronti del corpo docente è arrivata a questo punto, perché allora non abolire i concorsi? 5i responsabilizzino le diverse sedi universitarie rispetto a coloro che assumono prescelti magari in una lista di idonei apprestata da una Commissione nazionale e internazionale. Si vogliono poi sottoporre i docenti a periodici controlli della loro attività di ricerca? Ottimo. Ma non si dimentichi che, di recente, sono state anche notevolmente aumentate, su disposizione ministeriale, le ore dedicate alla didattica frontale; e lo stessa si dica per quanto concerne gli adempimenti burocratici. E' chiaro che se si vuote competere nella ricerca a livello internazionale - ciò che in Italia si fa nonostante tutto in malti casi degnamente - bisogna farlo ad armi pari con gli avversari. Per riuscirci non bisogna insomma gravare ulteriormente su di un personale docente che già non è dotato di una strumentazione scientifica e di collaboratori adeguati. Se è difficile intervenire su questi ultimi aspetti per l'endemica assenza di risorse finanziarie, quantomeno ci si limiti, per quanto riguarda lo stato giuridico, a dei correttivi limitati e razionali. E si evitino provvedimenti - come quello della paventata e oltremodo onerosa assunzione generalizzata dei precari - che getterebbero l'università nel caos. Senza contare poi che questo costituirebbe un oggettivo impedimento per anni a nuove assunzioni, al tanta auspicato accesso nell'università di giovani ricercatori preparati. federico.vercellone@uniud.it ___________________________________________________ Europa 15 lug. ’05 E' GIALLO SUL DDL DELL'UNIVERSITÀ «II ministero dell’istruzione fa circolare sulla riforma della stato giuridico della docenza universitaria un testo già emendato. Il ministro Moratti deve riferire in commissione». Lo chiedono a gran voce i senatori dell'Unione in commissione istruzione, Luciano Modica, Maria Chiara Acciarini, Fulvio Tessitore (Ds) e Albertina Soliani (Margherita) confermando il "gialló' degli emendamenti al ddl. «Da mercoledì sta circolando un testo - affermano i senatori del centrosinistra - consegnato dal ministero alla Conferenza dei rettori, come se il senato avesse già concluso i suoi lavori». Proprio sugli emendamenti sarebbe scoppiata la lite tra il presidente della commissione Franco Asciutti e il viceministro Giovanni Ricevuto. Un diverbio cui hanno assistito casualmente i senatori dell’Unione. «Durante la seduta sembravano separati in casa» hanno commentato. «Stiamo assistendo a uno spettacolo surreale - continuano i parlamentari -. La Moratti non ha avuto il coraggio di presentare propri emendamenti, cosi come la maggioranza che è stata quasi sempre assente in commissione. Intanto, però, il ministero fa circolare un testo coordinato, con emendamenti sottoscritti dal relatore Asciutti, nei quali tuttavia egli dice di non riconoscersi del tutto». Insomma, «il comportamento della maggioranza e del governo è molto grave - concludono i senatori - visto che questo decreto riguarda il futuro degli atenei italiani. Per questo continuiamo ad avanzare proposte che cadono nel vuoto. Per noi è chiaro che il ministro è in difficoltà con la sua maggioranza, oltre che con le università». ___________________________________________________ Europa 16 lug. ’05 UNIVERSITÀ, RIFORMA DELLA RIFORMA DELLA DOCENZA LA VICENDA del disegno di legge sullo stato giuridico dei professori universitari somiglia molto a quella della revisione degli ordinamenti didattici degli atenei. Nel 2001, anziché governare gli epocali cambiamenti appena avviati nell’organizzazione dei corsi di studio, il ministro lanciò una campagna mediatica, annunciò grandi riforme e ritorni al passato proponendo vari rimedi, in genere peggiori dei mali. Le università protestarono: l’intervento normativo era prematuro, l’esperimento appena avviato e i primi effetti di sistema positivi. Alla fine una montagna di lavoro partorì un topolino. Con il disegno di legge delega sui professori la storia si ripete. Il disegno originario aveva una sua logica, inadatta al contesto italiano ma coerente: ampliare la quota di docenza con contratti a tempo determinato restringendo quella dei professori di ruolo; mettere a esaurimento il ruolo di oltre 15000 ricercatori; spingere tutti i professori ad aumentare i propri redditi all’esterno dell'università; reintrodurre un controllo governativo su reclutamento e carriere affidati dal 1999 all’autonomia degli atenei. Invano le università, e non solo loro, hanno fatto presente che era meglio occuparsi delle riforme già avviate poiché alcune conseguenze distorte dei nuovi concorsi potevano essere corrette governando il sistema. Invece di ascoltare la voce delle università le si è accusate di conservatorismo, di voler dire solo dei no. Alla Camera, la maggioranza si è impegnata a guadagnare consensi corporativi: un titolo di professore aggregato e un posto negli organi di autogoverno per chiunque insegnasse all’università; scivoli e riserve di posti per traghettare nei ruoli di professore associato e ordinario gli attuali ricercatori e gli associati anziani; abolizione della distinzione fra impegno pieno dei professori e part-time, scarse prospettive per i giovani dottori di ricerca. Ora al senato gli emendamenti concordati dal relatore di maggioranza e dal ministro limiterebbero i danni. Tutto resta corriè, o quasi. Si torna ai concorsi nazionali per ordinari e associati; fino al 20131e università potranno bandire o contratti a termine (quadriennali rinnovabili una volta) o gli attuali posti di ricercatore. Sopravvivono gli assegni di ricerca e contratti per docenze varie ma il titolo temporaneo di professore aggregato va solo ai ricercatori e agli equiparati a cui siano affidati insegnamenti, eccetera. Una cura omeopatica (ma da rinoceronte) per i concorsi locali accusati di autoreferenzialità antimeritocratica e di aver privilegiato le promozioni al reclutamento dei giovani. La riforma era e resta a costo zero e costringe le università a spendere quasi tutto in docenza. Ma gli effetti non sono più devastanti. I:immagine riformatrice del ministro è salva e i danni contenuti. Ma anche questa volta quante energie dissipate e che occasione persa per governare le università verso standard europei! CRISMNO VIOLANI ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’05 PER L'«ADDIO» AI RICERCATORI IL TRAGUARDO SI SPOSTA AL 2013 Una nuova authority indipendente valuterà i risultati delle iniziative ROMA a Stop al titolo di professore aggregato per tutti, arriva l’authority per la valutazione di didattica e ricerca. La messa a esaurimento del ruolo di ricercatore viene rimandata di otto anni, mentre ritorna l'ipotesi del concorso nazionale. Sono le novità per le carriere dei docenti universitari previste dagli emendamenti di maggioranza al ddl sullo status giuridico proposto dal ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e presentati nei giorni scorsi alla commissione Istruzione del Senato. Il testo di riordino, dunque, cambia nuovamente faccia, dopo le contestazioni che avevano accompagnato la sua approvazione da parte della Camera il 15 giugno. Gli emendamenti presentati dal relatore del testo in commissione Istruzione, Franco Asciutti (Fi), riguardano gli aspetti più contestati del progetto di riordino delle carriere: Prima fra tutte la questione dei ricercatori: la messa a esaurimento di questa figura non sarà più immediata, come previsto dalla prima versione del ddl, ma scatterà a partire dal 2013. «In questo modo - dice Asciutti - favoriremo l'ingresso dei giovani, dando agli attuali borsisti e assegnisti di ricerca l'opportunità di diventare ricercatori». 1 nuovi laureati che vorranno svolgere attività di ricerca, invece, saranno assunti con un contratto a tempo determinato di durata triennale, rinnovabile per una durata massima complessiva di sei anni. A questi giovani sarà riconosciuto uno stipendio pari al 70% della busta paga di un professore associato confermato e, durante i sei anni di lavoro, avranno a disposizione fondi propri per svolgere attività di ricerca. La valutazione sarà svolta da un'authority indipendente dal Governo e dalle università (simile a quella proposta alla Camera dall'Ulivo e poi bocciata in Aula), che terrà conto del livello della didattica e della ricerca, ma anche del tasso di occupazione dei laureati di ogni ateneo e delle posizioni raggiunte nel mondo del lavoro dopo il conseguimento del titolo. E i fondi alle università saranno distribuiti sulla base dei risultati di questa valutazione. Il tanto contestato titolo di professore aggregato, inoltre, sarà attribuito solamente ai ricercatori che abbiano svolto tre anni di insegnamento e ai titolari di corsi e moduli didattici, i quali potranno fregiarsi del titolo per tutta la durata dell'incarico. Torna, poi, il concorso nazionale e cresce il numero massimo di coloro che potranno conseguire l'idoneità: la cifra sarà corrispondente al fabbisogno di personale indicato dalle università più una quota non superiore al 100 per cento. «Si sta delineando una positiva revisione del testo - ha commentato Giuseppe Valditara (Ari) - che dovrebbe garantire l'accoglimento di gran parte delle richieste avanzate da Alleanza nazionale». Soddisfatti a metà i rettori della Crui, che lamentano la «mancanza di risorse aggiuntive» e chiedono «un provvedimento di delega per la riforma delle procedure concorsuali». AL.TR. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’05 MISTRETTA: «PRONTO PER UN'ALTRA SFIDA» Università. L'annuncio: esclusa una proroga, giovedì proporrà al Senato accademico di cambiare ancora lo statuto Il rettore chiede via libera per il sesto mandato di fila Quindici anni sono tanti, non troppi. E così pure diciotto. La pensa così il rettore dell'Università di Cagliari, Pasquale Mistretta, che ieri pomeriggio ha riunito i giornalisti per annunciare: giovedì 21 chiederò al Senato accademico allargato di modificare lo statuto, voglio candidarmi per un nuovo mandato al vertice. E se a Mistretta non manca l'allenamento nel guidare l'ateneo, ai senatori non manca l'abitudine in fatto di modifiche statutarie. Ne sono state già varate due per consentire all'urbanista - già politico nelle file del Psi, consigliere d'amministrazione dell'Opera universitaria, candidato sindaco del centrosinistra contro Emilio Floris - di restare sulla poltrona più importante di via Università. Con un ritocco gli era stata azzerata la "anzianità di servizio" (ed ecco perché l'eventuale sesto mandato verrebbe computato come quarto), con un altro era stato portato da due a tre il numero dei mandati consecutivi possibili. Adesso Mistretta chiede che il tetto venga portato da tre a quattro, «oppure semplicemente eliminato: nessun limite». Lo chiede apertamente, e a mezzo stampa, «non per sfrontata arroganza, ma per onestà intellettuale verso l'Università, per evitare di trascinare una situazione di scarsa chiarezza». Per spazzare via il dilemma, vecchio già di qualche settimana, sulle sue intenzioni: chiederà una proroga di una anno - si domandavano i dieci presidi e i docenti - per andare in pensione da rettore nel 2007? Oppure chiederà che il mandato venga dilatato da tre a quattro anni? Per qualche minuto era addirittura circolata l'ipotesi che il rettore accettasse la scadenza naturale dell'ottobre 2006. Ieri pomeriggio Mistretta (senza neanche nominare l'ipotesi di lasciare il campo) ha analizzato le diverse strade, spiegando: «La proroga non esiste, è impraticabile dal punto di vista giuridico e dal punto di vista politico. Una norma transitoria (come quella che ha azzerato il computo dei mandati nel' 99 rispetto allo statuto del '96-ndr) sarebbe forse praticabile ma comunque comporterebbe una forzatura». Resta una nuova modifica al numero dei mandati consentiti, in modo che Mistretta possa nuovamente presentarsi ai circa 1600 elettori (tra docenti, studenti e amministrativi) per governare fino al 2009, visto che Pasquale V scade il primo ottobre dell'anno prossimo. Ora il problema dell'urbanista non è tanto la caccia al voto (si va alle urne in primavera) né la legittimità della modifica statutaria («Le norme dell'Università non sono blindate, lo stesso Statuto è un segno dell'autonomia dell'ateneo»). L'incognita è il via libera del Senato integrato da cinque rappresentanti di professori, studenti e amministrativi. Giovedì voteranno in quarantasei «e conti in tasca non ne ho». Di fatto, a Mistretta servono almeno 24 sì alla proposta di modifica. L'accoglienza tiepida che il Senato accademico ha riservato mercoledì alle tre nuove facoltà caldeggiate dal rettore, ma soprattutto l'ostinato no comment dei presidi davanti all'annuncio della ricandidatura, fanno pensare a una partita abbastanza aperta. Ma forse ha ragione lui, il super-docente che ha deciso di battere i record di Peretti (15 anni a Cagliari) e Milella (18 anni di rettorato a Sassari) quando parlando dell'ambiente universitario dice: «Consenso ne ho, altrimenti non staremmo qui a parlare». Celestino Tabasso 15/07/2005 «L'Università è autonoma, le sue regole non sono blindate: si può avere il coraggio di ritoccare l'articolo 12. Il consenso? Credo di averne» ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 lug. ’05 LA PROMESSA: STAVOLTA DELEGHERÒ DAVVERO Nessun aumento di tasse, attenzione ai rapporti internazionali e un plotone di numeri due, i prorettori, per gestire l'Università in modo più decentrato. Saranno anche lontane le elezioni di primavera, ma il programma elettorale Pasquale Mistretta ha preferito esporlo subito. E non per caso: l'eventuale via libera del Senato accademico allargato alla sua ricandidatura è la prima, vera spada di Damocle sul suo futuro da rettore. Se non ha il consenso di almeno 24 votanti, a Mistretta non servirà a nulla poter contare su un buon indice di gradimento nell'opinione pubblica universitaria. Quindi ecco il programma, e in particolare ecco l'impegno a delegare (verbo cruciale, per quasi quindici anni l'ingegnere è stato considerato il Grande Accentratore) aspetti importanti della politica universitaria come i rapporti con la Regione, l'orientamento, il territorio, la nascita dell'azienda sanitaria mista: «Per me terrei i rapporti con gli studenti», visto che dal confronto con i giovani il rettore ritiene di aver tratto linfa vitale. Tanto che all'obiezioni più ricorrente contro un suo sesto mandato, cioè che ai vertici dell'ateneo da troppo tempo manca il ricambio, risponde candidamente: «Ma io stesso non sono la stessa persona di quindici, dieci anni fa: mi sono reso conto di essere mutato continuamente, profondamente, proprio attraverso il confronto con le nuove generazioni. E come dice Cicerone, nella vecchiezza vi sono punte di gioventù». Ma anche punte d'orgoglio, nel rivendicare le eccellenze certificate della sua Università nella biomedica come in fisica e ingegneria elettronica, ma anche nel difendere un'istruzione forse non sempre di livello oxfordiano ma aperta a tutti, grazie alle tasse accessibili e alla diffusione nel territorio. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 lug. ’05 VOGLIO FARE IL RETTORE PER UN ALTRO MANDATO Mistretta annuncia: in senato accademico la proposta di modificare lo statuto CAGLIARI. Giovedì prossimo il rettore Pasquale Mistretta si presenterà al senato accademico e, ai 46 componenti, presenterà la proposta di modificare l’articolo 12 dello statuto perché si porti da 3 a 4 il numero massimo dei mandati. Gli serve per candidarsi ufficialmente al 6° mandato. Ieri ha convocato i giornalisti per illustrare, di fatto, il suo programma elettorale. In gioco (è così che la vede lui) c’è l’università aperta a tutti e dispensatrice di «cultura nel territorio» contro un ateneo efficientista attento soltanto agli eccellenti. Mistretta ieri ha dichiarato che ci tiene a fare il rettore anche perché sa di avere un certo consenso. Ma sa anche di non avere tutto l’ateneo dalla sua e che nel senato di giovedì parleranno i numeri. Via Mistretta i candidati pulluleranno: Raffaele Paci preside di Scienze Politiche, Giovanni Melis di Economia e Commercio, Gaetano Di Chiara il farmacologo, ma anche Francesco Sitzia preside di Giurisprudenza. La fronda sembra arrivare dai presidi: di malumore per ambizioni personali, legittime e naturali s’intende. Con Mistretta in campo la competizione potrebbe diventare più ristretta. Perché, si capisce dal programma: le tasse resteranno immutate, i protocolli per finanziare borse di studio si moltiplicheranno, l’università deve restare diffusa, l’università deve partecipare all’appalto regionale per l’«e-learning», ma l’asso nella manica è la creazione di altri prorettori. Il prossimo Mistretta, infatti, smetterà di essere «il recapito unico di tutte le attività» e vorrebbe seminare «le condizioni perché, anche dopo di me, l’università sia più articolata». I settori che dovrebbero essere guidati da altrettanti suoi vice: i rapporti col territorio, i rapporti con la città, i rapporti con gli studenti. Anche Medicina, adesso che «trasmigrerà verso l’azienda mista potrebbe avere il prorettore delegato a trattare con la Regione». «Penso di tenere per me i rapporti con gli studenti - diceva ieri Mistretta - tutti sapete che la mia stanza è sempre aperta, questo spero che il mio successore non lo cambi». Il rettore conosce storia e ragioni di tutte le critiche che si è attirato in queste settimane causa la sua volontà di succedere a se stesso per la sesta volta e compiere così 18 anni di rettorato: «Presentare la proposta di modifica dello statuto - dice - non è un atto di sfrontatezza o di arroganza, ma un modo per evitare che l’università finisca in campagne elettorali sfilacciate capaci di tenere banco per tanto tempo impedendo la discussione di argomenti sicuramente più necessari come la crescita dell’ateneo. Presentare la proposta, inoltre, è una scelta che richiederà il coraggio del senato di dire sì o no, ma che eviterà soluzioni che mi paiono inaccettibili quali quella di restare per altri due anni con una proroga, strumento che non ha senso sul piano giuridico e soprattutto su quello politico oppure la possibilità di forzare la norma transitoria applicandola dal 1999 e non dal 1996 cosicché ci sarebbe una norma transitoria retrodatata. So bene che le perplessità di alcuni sono però su un altro aspetto: cambiare lo statuto e aumentare il numero di mandati possibili significa non solo far fare a me un altro mandato ma anche creare rettorati di fatto molto lunghi». Una specie di monarchia: «Lo so che il problema della modifica è il futuro, non il presente. Però lo statuto si può sempre cambiare. Comunque, non porto la proposta di modifica perché ho i numeri già in tasca, ma preferisco avere un confronto, appunto, sui numeri, così, se va bene, la mia linea di politica universitaria resterà valida, se non va bene ho modo di lavorare prima della scadenza del mandato. Certo, per come la gente valuta quelli incollati alla sedia me ne dovrei andare, ma il rovescio della medaglia è che sono riuscito a non restare mai lo stesso, ho sempre cercato di adattarmi alle nuove esigenze. Ho la presunzione di credere di essere interprete delle tante generazioni di studenti che ora insegnano qui. A me dà gratificazioni, ad altri dà fastidio». Infine, la battuta: «Ho l’ambizione sfrenata di avere una targa in cui Mistretta verrà ricordato come il rettore del secolo, l’ultimo, e del millennio, il primo». Alessandra Sallemi ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 lug. ’05 UN'ESTATE CALDA PER IL RETTORE RISTRETTA Sarà un'estate calda per il mondo universitario cagliaritano. Terrà banco soprattutto la discussione sulla possibilità di concedere la proroga al rettore Pasquale Mistretta, o arrivare a una modifica dello statuto dell'Ateneo. Altrimenti il prossimo aprile si andrà al voto, con nuovi candidati. Attualmente nessuno è ancora uscito in maniera decisa allo scoperto, e lo slittamento di un anno della scadenza del mandato di Mistretta potrebbe essere una soluzione accettata da tutti. Anche dai futuri candidati rettore, che avrebbero tempo per preparare la squadra e il programma per il governo dell'Università cagliaritana. Nel calendario dell'Ateneo, oggi sarà un'altra giornata di lavori, con la riunione del Consiglio di amministrazione. Si parlerà di nuove facoltà, quello che è avvenuto ieri in Senato accademico. Si potrebbe avere un'ulteriore conferma della spaccatura esistente nell'Ateneo sulla nascita di Architettura, Biologia e Psicologia. La settimana prossima si svolgerà invece una prima seduta del Senato accademico allargato, per discutere di modifiche di statuto, ma che non riguardano gli articoli (il 12 e l'82) relativi alla carica di rettore. L'argomento è in calendario tra due settimane. E non è detto che prima di quella data lo stesso Pasquale Mistretta non abbia espresso ufficialmente le proprie intenzioni, considerato il silenzio di questi giorni. Non è un mistero infatti che qualche preside sia intenzionato a candidarsi. Saranno loro l'ago della bilancia nel dilemma "modifica statuto, proroga o niente di fatto". I meglio informati vedono sempre più vicina l'ipotesi dello "scivolamento". Sarebbe soddisfatto Mistretta, e, come dice un senatore, "oltre agli allenatori della futura Università, si conoscerebbe la squadra e la strategia di gioco". (m. v.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 lug. ’05 UNA NUOVA STRADA PER IL MISTRETTA VI «Azzerare lo statuto per dare un altro mandato al rettore» Per garantire all'urbanista il sesto triennio al vertice dell'Ateneo si può cambiare l'articolo 82 L'appuntamento è per domattina alle 8,45, con la riunione del Senato accademico. E già che la scadenza è importante, i presidi dell'Università hanno preferito riunirsi già ieri mattina. Un incontro informale, nel fresco garantito dai condizionatori della facoltà di Scienze, tra i docenti che guidano le dieci facoltà cagliaritane. La riunione è durata fino all'ora di pranzo inoltrata, e d'altronde c'era di che discutere. Intanto la creazione di tre nuove facoltà, cioè l'argomento all'ordine del giorno della seduta di domani. E poi l'elezione del rettore. Un argomento non urgentissimo, in teoria, visto che le elezioni si terranno tra poco meno di un anno. In realtà i tempi sono molto meno lunghi e il tema è molto d'attualità: Pasquale Mistretta ha detto chiaramente di volersi ricandidare, e visto che lo statuto dell'Università non gli consentirebbe un altro mandato presidi e professori devono decidere in queste settimane se aprirgli la strada, cambiando ancora una volta le regole. È chiaro che una modifica statutaria significherebbe che Mistretta ha ancora una volta la maggioranza, e quindi il dibattito sulle regole è tutt'altro che teorico o basato su questioni di principio. E soprattutto è tutt'altro che scontato l'esito finale, come sanno bene i presidi che ieri mattina hanno affrontato l'argomento con cautela. Per questo i fautori della rielezione stanno cercando la strada più agevole per garantire la leadership al docente di Urbanistica fino al momento della pensione - quindi altri tre anni in Rettorato, visto che i docenti possono restare in servizio fino a 75 anni. In particolare c'è un'ipotesi che in questi giorni sta prendendo corpo: modificare lo statuto ma non all'articolo 12, che detta il numero massimo di mandati che un rettore può svolgere e la durata triennale di ogni mandato, bensì all'articolo 82. Quest'ultimo, sotto il titolo Scadenze temporali ed elezioni, recita al primo comma: «I mandati elettivi in corso al momento dell'entrata in vigore del presente Statuto (8 gennaio 1996) e quelli espletati in precedenza, anche in modo consecutivo, non sono computati ai fini della rieleggibilità». Non ci sarebbe molto da cambiare - spiega un mistrettiano osservante - basterebbe cambiare la data, dicendo che lo statuto entra in vigore a partire dal 2005. A quel punto Mistretta si vedrebbe annullata l'anzianità di servizio da lìder maximo dell'ateneo e potrebbe candidarsi esattamente come qualunque altro professore ordinario. Con una differenza: essendo vicino alla pensione non andrebbe oltre il prossimo mandato. C'è ovviamente un ostacolo: l'azzeramento dei mandati elettivi aveva senso perché nel '96 lo statuto entrava in vigore. Una soluzione c'è, anche se richiede un forte consenso da parte del corpo accademico: visto che dal '96 a oggi lo statuto è stato ritoccato più volte e che si stanno per battezzare tre nuove facoltà, facciamo una modifica-quadro, diciamo formalmente che questo è un nuovo statuto e diamo via libera al primo e ultimo mandato mistrettiano post-riforma 2005. Con una sottolineatura: in questo modo l'attuale rettore si sottoporrebbe al test elettorale. Un'altra ipotesi - che ora ha perso quota definitivamente o quasi, anche perché basterebbe un ricorso al Tar per farla traballare pericolosamente - era una proroga di due anni al mandato in corso con una norma transitoria ad personam (ad Pasqualem, l'hanno già definita i docenti più critici). Le altre ipotesi sono due, ed entrambe sembrano possibili ma non molto praticabili. La prima - in omaggio alla recente riforma dei corsi di laurea - è stata scherzosamente ribattezzata «la riforma del tre più due». Vale a dire: si modifica l'articolo 12 decidendo che d'ora in poi ai tre anni di mandato se ne aggiungono due. Si sta in carica cinque anni ma ci si può ricandidare una volta sola. La seconda possibilità è una modifica sempre all'articolo 12 (oggi al secondo comma stabilisce che il rettore dura in carica tre anni accademici e non è eleggibile per più di tre mandati consecutivi, nel 2002 il limite era di due mandati) in modo che non ci sia più un tetto alle candidature. Ovvero: chi viene eletto resta in carica tre anni e può ripresentarsi alle elezioni tutte le volte che vuole. Anche questa oggi sembra una strada piuttosto impervia. Sarà la riunione di domani del Senato accademico - così come quella del Consiglio d'amministrazione in programma per giovedì - a dare ai sostenitori del Mistretta VI il polso della situazione. Dalle nuove facoltà all'azienda sanitaria mista prossima ventura, la partita che passa per la modifica all'articolo 82 è la più importante degli ultimi dieci anni. Celestino Tabasso ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 lug. ’05 IL COMITATO STUDENTESCO: LE REGOLE NON SI TOCCANO Bocciate le modifiche normative Un "no" deciso a qualsiasi modifica dello statuto dell'Università. Il Comitato studentesco universitario ateneo Kalaritano lo ha detto chiaramente ieri, durante la presentazione di un questionario, che verrà sottoposto a un campione di circa 500 studenti, sulla conoscenza della vita "politica" nell'Università di Cagliari. «Non vogliamo andare contro Pasquale Mistretta ? ha spiegato Marco Solinas, rappresentante in Giurisprudenza ? Ma nessuno si può prendere il diritto di modificare lo statuto. Anche perché questa azione è già stata compiuta nel 2002, per consentire il Mistretta "ter". Inoltre ci preoccupa la scappatoia di una proroga di uno o due anni. Se così dovesse accadere, ci faremo sentire». E per capire che cosa pensano gli iscritti della vita politica nell'ateneo di Cagliari, il Comitato ha preparato un questionario informativo, anonimo, che punta a un campione di circa 500 studenti. «Vogliamo vedere il gradimento dei servizi offerti dall'Università ? ha sottolineato Alessio Pinna, rappresentante in Ingegneria ? Ma anche verificare se esiste un rapporto tra gli studenti e i loro rappresentanti, e quanti conoscono l'eventualità di una modifica dello statuto». L'esito dei voti sarà reso noto dopo l'estate, in apertura del nuovo anno accademico: dati importanti anche in vista delle elezioni per il rinnovo degli organi di rappresentanza studentesca, previste in via ufficiosa il 30 novembre. «L'esito del questionario potrà darci uno spaccato attendibile sul rapporto tra studenti e vita politica universitaria, che sembra sempre molto tiepido», ha evidenziato Pietro Salaris. Dati che saranno suddivisi per anno di iscrizione (non saranno testate le matricole) e per facoltà d'appartenenza. Intanto il Comitato fa sentire il suo "no" alla modifica dello Statuto, in un dibattito che inizia ad animarsi. Matteo Vercelli ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 lug. ’05 PANI: MISTRETTA ANCORA RETTORE? LA MODIFICA DELLO STATUTO È UN’OSCENITÀ ISTITUZIONALE Elezioni universitarie per il Rettorato. L’argomento? Sempre e comunque, Mistretta Pasquale, il Magnifico, e l’ennesima modifica di statuto che ne permetta la sua rielezione. Forse, però, i problemi sono altri, più gravi, di ordine istituzionale. Vediamone i termini. Il Rettore viene eletto attraverso meccanismi di “democrazia diretta” da un ampio consesso elettorale, dai docenti, dai ricercatori, da una consistente rappresentanza del personale tecnico- amministrativo e di studenti. Lasciamo l’Università, andiamo in banca. Immaginiamo per un attimo che il Direttore di quella banca venisse eletto dai suoi dipendenti, al loro interno, “democraticamente”, dai funzionari agli uscieri. Non dobbiamo essere sorretti da un eccesso di fantasia per prevederne i risultati, e, forse, riusciamo a capire meglio anche la questione delle elezioni per la carica rettorale. Innanzitutto viene lecita una domanda: come ci siamo arrivati? Forse non sbagliamo se individuiamo la nascita dell’attuale università negli anni sessanta, della democrazia diffusa, degli eccessi di democrazia. Muore l’università dei “baroni”, che si converte, gattopardescamente, ad università sindacal-popolare, del caos amministrativo, delle rivendicazioni di carriera, degli interessi locali, dai docenti al personale tecnico-amministrativo, con il consenso distratto degli studenti ed, attualmente, quello più consapevole dello stesso Ministro berlusconiano, degli ope legis (siamo in periodo pre- elettorale). Il cerchio si chiude. Ed è in questo ambito che può essere inserito, a livello nazionale, anche l’opportuno intervento di Gino Giugni sulla denuncia dei concorsi universitari. Cagliari? Il Magnifico, per le sue origini, ha ottima esperienza sindacale: diventa inamovibile. Il passaggio, dai meccanismi di “democrazia diretta” alla demagogia, è breve, ed i risultati prevedibili: cannibalismo accademico ed oscenità istituzionali (non troviamo altre parole per definire la proposta di due successive modifiche di statuto per permettere l’elezione dell’attuale Rettore), oltre il rispetto delle regole di una democrazia compiuta. Possiamo prevedere l’intervento dell’Esercito della salvezza sulle norme che regolano l’ufficio rettorale, non più eletto, ma di nomina ministeriale (?) regionale (?), di un comitato di saggi (?). Il caso-Cagliari può diventare, a pieno titolo, e responsabilmente, caso nazionale. Paolo Pani Docente di patologia generale ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 09 lug. ’05 BROTZU: BASTA CON MISTRETTA, È UN REGIME Università. Nanni Brotzu contesta l’intenzione del Magnifico di candidarsi al sesto mandato da Rettore ‘Aspettiamoci una nomina a vita, magari pure ereditaria’ Cade l’ipotesi della proroga dell’incarico per due anni, nuova modifica dello statuto? Di Mauro Lissia CAGLIARI. Ci risiamo, dunque: arrivato a meno di un anno dalla fine del quinto triennio da rettore, Pasquale Mistretta ha deciso di provare a farsi riconfermare per il sesto mandato consecutivo. Già tre anni fa la sua proposta di modificare lo statuto dell’Ateneo, che prevedeva inizialmente un tetto di due mandati, sollevò un’ondata di polemiche. Ma poi, finite quelle, arrivò puntuale la conferma alla poltrona di Magnifico. Un ruolo che Mistretta sostiene di meritare (dal 1991) per mancanza di alternative di pari caratura. Settantatrè anni, docente di urbanistica e ispiratore delle scelte di politica urbanistica della città negli ultimi decenni, simpatizzante per il vecchio Psi, Mistretta ha tentato anche di imboccare la strada della politica attiva candidandosi a sindaco col centro-sinistra, contro Emilio Floris. Uscito battuto, è rimasto in consiglio comunale e si è prontamente riposizionato votando spesso con la maggioranza di centro-destra per ribadire - così ha spiegato - la propria libertà intellettuale. Forse la stessa che l’ha indotto a costruire un metodo di votazione allargato a tutte le fasce di docenti, ricercatori e amministrativi. Metodo che - dicono gli avversari - gli ha garantito il controllo dell’elettorato universitario e la certezza quasi automatica dell’elezione. L’ultima volta Mistretta è stato eletto con 655 voti, contro i 239 di Luca Fanfani, i 138 di Francesco Raga e i 73 di Giuseppe Santa Cruz. Gli ‘aventi diritto’ al voto erano 1496, di cui 1187 votarono, 56 le schede bianche e 26 le nulle. Una vittoria netta, che gli diede il destro di qualificarsi ancora una volta come il migliore. Bravo, certo. Ma non abbastanza da impedire che l’Università cagliaritana scivolasse sempre più in basso nella graduatoria nazionale e che s’inasprisse il rapporto con gli studenti, stanchi di pagare tasse sempre più pesanti in cambio di servizi sempre più scadenti. Ora c’è chi vorrebbe costruire un dopo-Mistretta, ma prima bisogna che Mistretta se ne vada. Come auspica in quest’intervista il medico Nanni Brotzu, decano fra i docenti universitari. - Professor Brotzu, sente aria di regime? «Guardi, ormai possiamo aspettarci di tutto. Certo, anche una nomina a vita di Pasquale Mistretta che poi potrebbe diventare ereditaria. E’ una cosa della serie ‘Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca’. Oppure, se si preferisce ‘per volontà di Dio e della Nazione’». - Fuori dallo scherzo, si parla con insistenza di una nuova modifica allo statuto dell’Università, per favorire il sesto mandato mistrettiano. Oppure di una proroga biennale. «Bisogna impedirlo con ogni mezzo possibile. Partendo proprio da quella norma dello statuto votata dal primo senato accademico diretto da Mistretta, una norma che stabiliva il limite alle candidature consecutive: non più di due». - Poi invece sono diventate tre, quattro... «... ed ora sei, perchè l’idea della proroga biennale sembra accantonata. La prospettiva non cambia, sempre di Mistretta si tratta...». - C’è chi ironizza e parla di Mistretta riscaldata, chi invece protesta duramente per quella che viene definita occupazione militare dell’Ateneo... «Sento che la situazione è profondamente cambiata, credo che questa volta Pasquale avrà vita difficile. Non c’è aria di riconferma, se l’opinione pubblica ci dà una mano lo mandiamo finalmente a casa. Sarebbe ora». - Lei è convinto che il Rettore non abbia più la maggioranza? «La questione è un’altra: io ho vissuto tempi all’università in cui il Rettore veniva votato soltanto dai docenti di fascia A, gli ordinari. Poi Mistretta ha cambiato lo statuto e ora votano anche i ricercatori, gli associati e il personale amministrativo... sarà anche una soluzione democratica ma dove c’è la democrazia ci sono anche i paletti». - Sono quelli, che mancano? «Una volta, quando votavano solo gli ordinari, per essere eletto servivano i due terzi dei voti degli aventi diritto. Ripeto: degli aventi diritto. La volta scorsa, tre anni fa, sui 1500 che avevano diritto a votare hanno votato in pochi. Quindi basta organizzare un certo giro, se vogliamo chiamiamolo intrallazzo, è il gioco è fatto». - Può spiegarsi meglio, professor Brotzu? «Mi spiego: se votano i ricercatori e gli amministrativi è facile controllare: è gente che deve fare carriera, sono persone ricattabili in senso positivo o negativo. Non mi voti? Non fai carriera. Mi voti? Andrai avanti. Questo è il sistema Mistretta». - Lei descrive una situazione da regime sudamericano. Non pensa di esagerare? «Esagerare? Le faccio l’esempio del Policlinico, dove l’amministratore è di fatto Mistretta. Il direttore generale è un semplice passacarte, so bene quello che dico: fa quello che gli dice di fare il Rettore. E’ Mistretta che decide. Si può andare avanti così? No, guardi, bisogna cambiare. Qui accadono cose...». - Per esempio? «Si moltiplicano le cattedre inutili. Reumatologia: ce ne sono tre. Si offenderanno i reumatologi, ma è una cosa assurda. Credo di potermi permettere di dire che è una cosa senza senso». - Mistretta però si difende affermando di essere il migliore, l’uomo in grado di governare meglio l’Università di Cagliari. Non vede alternative, lui. «Io penso invece che non sia il migliore. Lui ottiene i voti col sistema che abbiamo visto, qui serve un rettore che deleghi, un uomo che non tenga tutto in mano. L’Università è una struttura grossa, estesa, con migliaia di dipendenti che hanno funzioni diverse. Medicina non è ingegneria, lettere non è biologia. Allora bisogna dare deleghe, basta pensare alla vicenda del protocollo d’intesa con la Regione...». - Dica. «C’è voluta un’imposizione dell’assessore Dirindin, che pure non avrei nominato perchè è piemontese e mi sembra assurdo che non si potesse trovare un assessore alla sanità sardo. Ma comunque... Mistretta non voleva l’intesa perchè voleva mantenere tutto il potere per sè, avrebbe perso il controllo del Policlinico, che diventa un’azienda per conto suo e Mistretta non può più metterci il naso». - Esiste a suo giudizio la possibilità che si formi all’interno dell’Università una maggioranza anti-Mistretta, sufficiente a fermarlo? «Guardi, il problema è che bisogna fermare questa modifica dello statuto. Perchè se si fa, grazie ai soliti intrallazzi Mistretta riesce a farsi eleggere di nuovo. E non deve accadere». - Ma perchè stavolta non dovrebbe riuscire a ‘sistemare’ lo statuto? «Perchè i presidi sono furiosi, il clima è cambiato. Mistretta non ha più il controllo totale del senato accademico. Dipende molto dall’opinione pubblica, se c’è l’atmosfera giusta...». - Non è che dietro questo ennesimo tentativo di Mistretta di farsi confermare ci sia, come qualcuno ha ipotizzato, qualche grosso affare immobiliare da portare alla conclusione? «No, questo no. Ci metto la mano sul fuoco, credo che lui sia una persona onesta. Il problema è che ha fatto perdere tempo, ha impedito la crescita dell’Università perchè vuol fare tutto lui e non ha il tempo per fare tutto». - E così l’Università di Cagliari è scivolata nella zona retrocessione fra gli atenei italiani. «Perchè l’Università deve produrre cultura e la cultura non si fa con la quantità, ma con la qualità. Bisogna selezionare. Di gente come Gianluigi Gessa, Bernardo Loddo, Paolo La Colla, Peppino Brotzu quanti ne troverà?». - Indicherebbe un nome per il dopo Mistretta, se ci sarà? «Penso a Raffaele Paci e a Francesco Sitzia, ho sentito questi due nomi e penso che siano persone serie e capaci. Ma l’importante è che si cambi, è davvero ora di cambiare per il bene dell’Università, dell’insegnamento, degli studenti. Basta con questo Mistretta, lo dico chiaramente: basta, non se ne può più». ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 lug. ’05 ATENEO SPACCATO SULLE NUOVE FACOLTÀ Università. Nella riunione di ieri il Senato accademico ha deciso di prendere tempo: la votazione rinviata a settembre Il voto sulle tre nuove facoltà slitta a settembre. Ma i giochi sembrano fatti: via libera per Architettura, pollice verso per Psicologia e Biologia Bocciatura per Biologia e Psicologia, si salva Architettura Niente voto per le tre nuove facoltà: tutto rimandato a settembre, ma per due di loro, Biologia e Psicologia, il futuro si colora di nero. Solo Architettura sembra aver convinto il Senato accademico. Così, per evitare una bocciatura dell'unico pacchetto, con tutte e tre le facoltà, la votazione fatta slittare a dopo l'estate avverrà singolarmente. Una scelta per ora solo ipotizzata, ma che fa capire le intenzioni della maggioranza dei "senatori". Poli universitariNell'audizione di ieri mattina, il Senato accademico ha ascoltato in audizione i docenti delle tre facoltà sulla rampa di lancio: Giorgio Sangiorgi, Franco Marini e Antonio Argiolas (Psicologia), Giovanni Floris, Giovanni Biggio e Angelo Cau (Bilogia) e Enrico Corti, Antonello Sanna e Carlo Aymerich (Architettura). Conclusi gli interventi a sostegno dei nuovi poli universitari, il dibattito è stato rinviato. Ai senatori (il rettore, i dieci presidi, i sei rappresentanti delle aree scientifico disciplinari, e i due degli studenti) il compito di valutare gli interventi dei docenti, oltre ai plichi prodotti dai nuclei di valutazione. Un lavoro lungo, che ha spinto il rettore Pasquale Mistretta a rimandare la votazione a settembre. Anche perché sul fronte universitario preme un altro argomento dal grande peso: la modifica dello statuto, oppure la proroga. All'orizzonte ci sono nuovi possibili candidati che fremono, e forse far scivolare di dieci mesi il mandato del rettore potrebbe accontentare tutti. L'attenzione del Senato accademico si è così concentrata sulle tre nuove facoltà. Nessun dibattito, come detto, ma l'elevato indice di gradimento su Architettura, manifestato da quasi tutti i senatori, e i tiepidi commenti su Biologia e Psicologia, sembra aver già tracciato la strada. "C'è un dato che ci ha sorpreso - spiega il preside di Medicina, Gavino Faa - L'80 per cento degli studenti universitari sardi in Architettura è iscritto in facoltà della Penisola. Dunque su poco meno di mille, 804 sono costretti ad abbandonare la Sardegna". Davanti a questo dato Faa parla di "decisione che ha una valenza sociale". Mentre sulle altre due facoltà si limita a dire che "le divisioni di rettori, uffici e personale, raddoppiano i costi". Roberto Crnyar, preside di Scienze, ricorda che la sua facoltà "ha votato a favore della nascita di Biologia, e che sosterrà il progetto". Parere favorevole su Architettura, che appare sana e proponibile, mentre su Psicologia esistono delle perplessità. Riflessione "Ora studieremo i documenti a disposizione, riprenderemo il dibattito e arriveremo al voto dopo l'estate". Insomma c'è tempo. Soddisfatto Francesco Ginesu, preside di Ingegneria: "Mi sembra che ci sia stato un apprezzamento per il progetto di Architettura. C'è un'esigenza provata visto il numero di sardi costretti a emigrare, e la facoltà a Cagliari non andrà a contrastare quella di Alghero, avendo un target diverso". Anche per Ginesu sulle altre due facoltà sembra esserci poco entusiasmo. Malgrado il dibattito non sia ancora iniziato ufficialmente, la decisione finale sembra già presa: Architettura nascerà, mentre i sostenitori di Psicologia e Biologia si devono mettere l'anima in pace. Anche per questo la votazione avverrà per singola facoltà, e non inserite tutte e tre in un solo pacchetto. Matteo Vercelli ___________________________________________________ la Repubblica 14 lug. ’05 CARLO RUBBIA: L’ENEA STA PRECIPITANDO Un MALE oscuro di abbagliante chiarezza sta precipitando l’Enea in un profondo dramma gestionale e progettuale. La crisi è cosi grave che, come presidente, non posso più tacere, per il bene della ricerca e dell'Italia. Gli attuali organi istituzionali dell'Enea si sono insediati all'inizio de12004, dopo un lungo periodo di commissariamento. Con la nuova legge si è voluto che il presidente dell'ente avesse un profilo di altissimo livello scientifico internazionale. E’ però accaduto che il consiglio di amministrazione non venisse individuato dal governo con analogo criterio, ossia privilegiando quello di eccellenza delle conoscenze e esperienze acquisite nel campo delle attività tecnico scientifiche. Avrei, forse, dovuto cogliere subito questo handicap di partenza e riflettere su quanto era, a quel punto, lecito e possibile attendersi da me. Senonché è prevalso sulle perplessità il mio forte desiderio di dare ciò che potevo al mio Paese, sostenendo costruttivamente l'Enea. È stato un errore. Un errore al quale si sarebbe potuto porre rimedio con adeguata sensibilità politica. Sensibilità che non c'è stata. La verità è che presidente e consiglieri di amministrazione parlano due lingue totalmente diverse. La carenza di sapere scientifico dei consiglieri, ha provocato un ulteriore deleterio effetto: il loro testardo compattamento in stile branco (con tutto il rispetto perle persone, ma il termine rende meglio l'idea), espressione di una mediocre difesa. Si è spesso detto dell'esistenza di scontri tra me e il cda: in realtà non ci può essere "scontro" tra un gruppo compattato di sette consiglieri di esplicita nomina ministeriale da una parte e uno scienziato senza connotazione politica dall'altra. LO scienziato-presidente messo continuamente e sistematicamente in minoranza. Tale surreale condizione è frustrante, deleteria. I consiglieri hanno addirittura preteso di sostituirsi al presidente nel proporre il direttore generale. Ossia, rivendicando non solo il diritto (sacrosanto) di nominare il direttore generale, ma anche quello di proporlo a se stessi. Si è giunti al punto di chiedermi, avendo io presentato una rosa di cinque nominativi, di proporne invece una rosa di sei, indicandomi ovviamente anche quale dovesse essere il sesto nome: quello che già avevano deciso dovesse occupare la carica di direttore generale. Essendomi rifiutato di scadere nella burla, il Consiglio si è appropriato della "rosa", con un solo e unico predestinato petalo. Mi sono allora rivolto al Tar e il tribunale mi ha dato ragione: la nomina era irregolare ed è stata annullata. Il paradosso è che la mia istanza al Tar avrebbe assunto connotati di un atto "sovversivo ", agli occhi dei consiglieri soccombenti nel giudizio. E ancora più sovversiva è ora ritenuta la mia richiesta che venga rispettata quella sentenza. Mentre infuria questo tipo di "altissima gestione",l’istituto di ricerca è paralizzato. Il Consiglio ha infatti sistematicamente "ripulito" i maggiori programmi strategici innovativi di alto livello che erano la parte principale delle scelte strategiche mie e del precedente piano triennale. Mi riferisco soprattutto al progetto europeo per il bruciamento delle scorie radioattive, programma nel quale l'Italia aveva assunto una posizione di assoluta leadership mondiale: la bocciatura votata dal cda dell'Enea ci ha fatto perdere un finanziamento comunitario di 5 milioni e mezzo di euro, fondi che pochi giorni fa sono stati dirottati a un laboratorio di ricerca americano. Tutta una serie di altre iniziative "storiche" hanno subito una politica finalizzata a destabilizzare il corpus delle competenze (e in alcuni casi del primato) scientifiche dell'Ente. Mi limito a citare il progetto Antartide, per molti anni uno dei più prestigiosi progetti internazionali di esplorazione del Polo Sud, che è stato sottratto all'Enea e trasformato in un consorzio di svariati enti azionisti; le attività di ricerca nel campo della fenomenologia ambientale, che sono state tolte all'Enea con la costituzione di un consorzio chiamato "Centro Euro-Mediterraneo" sotto la direzione di un microscopico gruppo di persone. Entrambe le attività si trovano oggi in una situazione altamente critica, vicino al collasso le prime, apparentemente bloccate le seconde. Ho ormai ampiamente constatato tutto ciò, e cioè che una convivenza civile in seno al Consiglio è divenuta una impresa difficile, in quanto ogni mia azione concreta in favore dell'ente - direi ogni mio tentativo di lavorare - viene osteggiata a priori. Ho sempre avuto molto rispetto peri ruoli istituzionali, ho atteso e ancora attendo un significativo interesse per il futuro del più grande e prestigioso ente di ricerca applicata in Italia, per la sua vocazione, per il ruolo internazionale, per l'avvenire della ricerca, per gli oltre suoi tremila dipendenti che lavorano seriamente e il cui valore non viene difeso da nessuno. Il silenzio comincia però a pesarmi, perché nel vuoto del silenzio, trovano spazio le maldicenze, le critiche ingiuste, le censure infondate. Non ho mai sopportato questo stato di cose e mi avvilisce constatare che al primato della scienza si sostituisca lo spicciolo tornaconto quotidiano. Non posso quindi più stare in paziente silenzio. E una questione di dignità e di rispetto. Per me e per tutti. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’05 ENEA, ARRIVA PAGANETTO MARTUSCIELLO VICEMINISTRO Enea commissariato e Authority rinforzata. II Consiglio dei ministri, sebbene oberato dal delicato varo del Dpef e dalle misure antiterrorismo, ha trovato modo di disincagliare l'Enea dalla battaglia ormai plateale tra il presidente Carlo Rubbia e il suo consiglio di amministrazione. Battaglia che aveva nei fatti bloccato ogni attività dell'istituto. Nuovo commissario straordinario è stato nominato l'economista Luigi Paganetto, uomo di solidi rapporti istituzionali e buone capacità di mediazione. Qualche speranza in più per la problematica programmazione energetica del nostro paese viene anche da rafforzamento del ponte di comando dell'Authority di settore. A completare la cinquina guidata da Sandro Ortis saranno, sempre che il Parlamento voglia ratificare la designazione fatta ieri sera dal Governo su indicazione del ministro delle Attività produttive Claudio Scajola, il deputato diessino Antonello Cabras, il sottosegretario forzista (prima era alle Attività produttive, ora all'Attuazione del programma ) Giovanni Dell'Elce, oltre a Ludovico Maria Gilberti, vicino alla Lega. L'Enea può cosi uscire dal all'authority energia pantano di polemiche che ha raggiunto l'apice proprio ieri, con un violento scambio di accuse a mezzo stampa tra il Nobel Carlo Rubbia, che ha bollato di incompetenza e assoluta inadeguatezza l'intero Cda dell'Enea, e il direttore generale del ministero dell'Ambiente Corrado Clini, membro di quel cda e per nulla disposto a digerire le ultime randellate del Nobel, controaccusato di aver paralizzato l'istituto con continue conflittualità "burocratico-formali". «Il periodo di commissariamento durerà il tempo strettamente necessario per rimettere l'Ente in condizioni di piena agibilità» precisa comunque Scajola. Quanto al completamento dei ranghi all'Authority per l'energia qualche robusta incognita rimane. Le designazioni fatte dal Governo devono essere ratificate nelle prossime settimane dalle Commissioni parlamentari competenti, a maggioranza qualificata. Il nome di Antonello Cabras è stato fatto per oliare il via libera, ma Dell'Elce, ex regista per il Governo della controversa legge "Marzano" per la riforma delle politiche energetiche, trova molte preclusioni. Il Consiglio dei ministri, infine, ha attribuito al sottosegretario Antonio Martusciello la carica di viceministro dei Beni culturali. ___________________________________________________ la Repubblica 15 lug. ’05 SCIENTISMO: SCIENZA SOTT’ACCUSA: E’ IDEOLOGIA La questione del rapporto tra scienza e fede si propone a partire dal configurarsi stesso della scienza moderna, basata sul principio dell'analisi empirica e della prova sperimentale. Cori Galileo la questione è quella della possibile concordanza dei risultati scientifici e delle ipotesi interpretative che ne derivano con il messaggio della Sacra Scrittura e la dottrina della Chiesa. La difficoltà di realizzare un tale accordo e d'individuare i limiti di autonomia della ricerca provocò una frattura che, insieme all’affermarsi di una prospettiva razionalistica in filosofia e all'irrigidirsi della teologia neoscolastica, portarono alla rivendicazione dell'assoluta indipendenza del pensiero scientifico nei confronti della visione religiosa. La scienza, come del resto la filosofia e la fede religiosa, non è immune dalia tentazione di erigere se stessa a paradigma supremo ed esclusivo di conoscenza della realtà. Di qui il prevalere, nel mondo scientifico, di una posizione agnostica aperta o all'affermazione atea o a quella teista, fin quando la legge dei "tre stadi" dello sviluppo umano teorizzata da Conte - dallo stadio teologico a quello metafisico sino a quello scientifico - esplicita l'opposizione di principio tra scienza e fede propria del positivismo ottocentesco, col profilarsi di quella visione scientista secondo la quale il punto di vista della scienza è quello esaustivo e definitivo sull'intera realtà. Il superamento, nella seconda metà del Novecento, delle incomprensioni che portarono al caso Galileo e all'aspra polemica intorno all'evoluzione, va letto entro il rinnovato quadro culturale che è frutto di positivi sviluppi sia nell'ambito scientifico sia in quello teologico. Alla luce di questa vicenda, come comprendere la relazione tra sapere della fede e sapere delle scienze? Ian Barb our ne ha delineato, schematicamente, quattro possibilità (Ways ofRelrzting Science and Theology, 1988): il conflitto, l’integrazione,l’indipendenza, il dialogo. E quest'ultima la prospettiva che mi pare la più pertinente e proficua. Essa vede l'essere umano impegnato a interpretare il suo rapportarsi alla realtà attraverso una pluralità di approcci descrivibili come contesti distinti del sapere. Parlare di "interpretazione del reale" significa proporre un punto di riferimento e di verifica stilla base dei quali esse si possono incontrare, nel rispetto delle rispettive autonomie metodologiche. Si tratta, da un lato, del riferimento oggettivo alla realtà intesa nel senso dinamico, aperto, prospettico e pluridimensionale attorno al quale possono concordare i diversi saperi; e, dall'altro, del riferimento soggettivo alla persona, in quanto esprimente la comunità e la tradizione della conoscenza umana, nella sua capacità e tensione ad accogliere, interpretare e plasmare il reale nel suo più vasto orizzonte di significato. E a motivo della pluralità di dimensioni della realtà che diventa necessario mettere in opera una pluralità di accessi e interpretazioni della medesima; cosi com'è a motivo della costitutiva apertura dell'essere umano alla realtà stessa, che quest’ultima può essere colta ed espressa nella sua ricchezza ontologica e semantica. Il duplice riferimento al principio oggettivo della realtà e a quello soggettivo dell'interpretazione offre lo spazio per il riconoscimento dello statuto epistelalico e del corrispettivo metodo d'indagine delle diverse discipline, superando ogni indebita tentazione riduzionistica o egemonie di un sapere rispetto all'altro. Lo ha sottolineato Giovanni Paolo II all'Università di Bologna nel 1982: «Poiché la ragione può cogliere l'unità che lega i] mondo e la verità alla loro origine solo all'interno di modi parziali di conoscenza, ogni singola scienza - compresa la filosofia e la teologia - rimane un tentativo limitato che può cogliere l'unità complessa della verità unicamente nella diversità, vale a dire all'interno di un intreccio di saperi aperti e complementari». La reciproca autonomia e complementarietà dei saperi spinge al contempo a un recupero, dal l'interno stesso della molteplicità, dell'unità della realtà conosciuta e insieme del soggetto che l'interpreta. È uno dei temi di fondo del messaggio rivolto nel 1988 dallo stesso Giovanni Paolo II al P. George CoyTle, direttore della Specola Vaticana: «Quando gli esseri umani cercano di capire le molteplici realtà che li circondano, quando cercano di trovare il senso dell'esperienza, essi lo fanno raccogliendo diversi fattori in una visione comune. La comprensione si realizza quando molti dati vengono unificati in una struttura comune. L'uno illumina i molti e dà significato al tutto». Di qui la possibilità di un dialogo fruttuoso tra teologia e scienza: quando la teologia riconosce il diritto delle scienze a indagare la specifica dimensione della realtà che esse delimitano secondo la loro metodologia propria; e quando queste ultime riconoscono che la teologia ha a che fare con una dimensione della realtà che, certo,trascende i criteri d'osservazione e di verificazione delle altre scienze, ma ne esibisce e ne giustifica di propri. Non si tratta, dunque, di - estrapolare i dati di una disciplina per riproporli come tali nell'ambito di pertinenza di un'altra, nella linea di un discutibile e anzi inaccettabile concordismo. Si tratta piuttosto di vedere se e come le prospettive dischiuse sul reale a partire da un ambito disciplinare, possano offrire apporti fruibili anche da altre discipline. Oggi, del resto, le nuove frontiere rese fruibili dall'esplorazione scientifica e dalie tecnologie nel campo, soprattutto, dell’ingegneria informatica e genetica riportano al centro, in forma inedita, la questione dell'uomo. È una questione antropologica che, diversamente dal passato, non tende solo a interpretare l'uomo, ma a trasformarlo: e questo non limitatamente ai rapporti economici e sociali (Karl Malx), ma nella sua stessa realtà biologica e psichica, a partire dalla generazione per giungere sino al funzionamento del cervello. L'interrogativo diventa allora non solo quello del significato e dell'originalità dell'essere umano nel concerto della realtà, ma anche quello del riferimento d'ogni sua impresa al rispetto e alla promozione della sua identità, dignità e libertà. Nella cultura occidentale la visione dell'universo e dell'uomo via via costruita ha in sé assunto e armonizzato - implicitamente ed esplicitamente - elementi conoscitivi, chiavi di lettura, prospettive e interpretazioni che hanno le più diverse origini: la rivelazione, la filosofia, le scienze, l'intuizione estetica. Ciascuna di queste fonti di conoscenza, per la sua parte, anche se non sempre in modo coerente e senza tensioni, ha offerto e continua a offrire tasselli e linee progettuali al disegno d'un mosaico in continua costruzione. Rinunciare alla ricerca dell'unità, pur nella distinzione degli ambiti di ricerca, comporta una frantumazione della persona. Alla fine, la persona umana che conosce e agisce è infatti una, pur nella molteplicità delle vie che scopre, inventa e percorre per attingere quella realtà che è la sua dimora e la sua vita. Così com'è una la famiglia umana, nello spazio e nel tempo, coinvolta nell'avventura di conoscenza, di libertà e di fraternità che è la storia. Ed è una, nella molteplice ricchezza delle sue espressioni e sollecitazioni, la luce - diversamente percepita e nominata - che ne rischiara il cammino. ___________________________________________________ Il Foglio 16 lug. ’05 MA QUALE OSCURANTISMO, È LA SCIENZA CHE HA PAURA DI CERCARE LA VERITÀ QUANDO LO SCIENTISMO FA MALE ALLA SCIENZA PRIMO DI DUE ARTICOLI BELLONE NEL SUO LIBRO DIPINGE GLI STUDIOSI ITALIANI COME VITTIME DELL'ODIO IDEOLOGICO. MA IL VERO NEMICO È FRA LORO Le polemiche referendarie hanno portato una novità nel panorama politico- culturale italiano: la scienza è stata al centro di un dibattito di grande rilievo, di scienza si è parlato come mai. Purtroppo non se ne è parlato in termini costruttivi, ma nella cornice di uno scontro frontale. Parole come "progresso scientifica", "razionalità scientifica", "Galileo", sono state usate come mazze ferrate per abbattere l'avversario, colui che ne veniva additato come il negatore. Sono stati commessi eccessi da tutti i lati ma è non il caso di fare gli equanimi: se qualcuno ha usato a casaccio l'accusa di "scientismo", ciò è stato nulla a fronte del diluvio di accuse contro i "nemici della scienza e della ragione" e dei torrenti di retorica sulle virtù salvifiche della scienza, quasi si trattasse dell'unico ridotto difensivo contro un'armata di biechi fanatici, l'unico faro di luce nella notte dell'oscurantismo, l'unica fiammella di speranza per i poveri malati che tentavano di sfuggire - per dirla con Giosuè Carducci - alle "ridde paurose" di monaci "ebri di dissolvimento". Tra le vittime principali di queste orde di flagellanti veniva indicato il nostro paese, destinato a essere tagliato fuori dal progresso e dalla ragione. Sarà possibile venir fuori da questa sagra di retorica e discutere razionalmente, per l'appunto? Non sarà facile finché noti uomini politici e intellettuali continueranno a ubriacarsi di epiteti, come "caccia alle streghe", "Savonarola", "Controriforma", "integralismo". Proviamo a parlare qui di fatti e concetti, anziché di anatemi, prendendo come spunto un recente libro di Enrico Bellone ("La scienza negata. II caso italiano", Torino, Codice, 2005), sebbene la tendenza dell'autore all'invettiva non renda il compito facile. La tesi di Bellone può essere cosi riassunta. L'Italia è un paese che ha sempre avuto una cultura scientifica fragile, una ricerca scientifica debole finanziariamente e istituzionalmente, combattuta da una cultura umanistica invadente e ostile, nel contesto di una cronica disattenzione per lo sviluppo scientifico-tecnologico. Il suo libro è la cronaca di un disastro, che ha le sue radici nel periodo dell'Unità nazionale, ed è stato aggravato dalla scelta fascista di privilegiare la scienza applicata a scapito di quella teorica e dalle leggi razziali. Nel dopoguerra vennero i colpi di maglio finali, con la distruzione del nucleare italiano e gli ostacoli alle ricerche biotecnologiche. Per Bellone, questi disastri sono conseguenze di un grande problema culturale, ovvero di un'ostilità per la scienza che ha la sue radici nel predominio della cultura umanistica antiscientifica. Non a caso tre quarti del libra sono dedicati a criticare l'ideologia de "la scienza e la ragione come nemici dell'uomo". Si parte da Husserl, padre di tutti i mali, per finire con Galimberti. Quasi tutti i nemici della scienza risultano essere non italiani, ma questa contraddizione viene spiegata da Bellone asserendo che soltanto in Italia il delirio antiscientifico viene preso sul serio e influisce persino sulle scelte politiche. Bellone sa che l'Italia, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento è stata la terza potenza mondiale della matematica e della fisica, e in ottima posizione in altri settori. Lo spiega dicendo che la matematica e la fisica teorica non hanno bisogno di finanziamenti. Ma uno storico della scienza come lui non può ritenere soddisfacente una simile spiegazione. Enrico Fermi non è stato soltanto un buon fisico, ma uno dei massimi fisici dell'era moderna. Tullio Levi-Civita era colui cui Einstein scriveva: "Quando ho saputo che lei attaccava la dimostrazione che mi è costata fiumi di sudore, mi sono preoccupato non poco", perché "lei va a cavallo della vera matematica, mentre uno come me è costretto ad andare a piedi". Vito Volterra veniva accolto con tutti gli onori all'estero come il "Signor Scienza Italiana". Giovanni Battista Grassi fu un protagonista degli studi sulla malaria. E' credibile che tutto ciò sia sbocciato a caso, per l'estro di qualche singolo? Non è credibile, e non fu cosi. Gli anni successivi all'Unità videro un'opera sistematica di costruzione della comunità scientifica nazionale, anche attraverso viaggi volti a studiare i modelli tedesco e francese. Levi-Civita fu prodotto della formazione di una scuola matematica metodicamente costruita. La corrispondenza scientifica del geometra Luigi Cremona - senatore, ministro e fondatore della scuola di ingegneria italiana - è uno straordinario documento del rispetto ammirato di cui era circondata una scienza che in pochissimi anni aveva raggiunto una posizione di grande prestigio mondiale. In pochi decenni, un paese inesistente si era dotato delle istituzioni scientifiche caratteristiche dei paesi avanzati. Anche guardando al processo di decadenza che iniziò nel periodo fascista occorre evitare ogni schematismo. E' semplicistico dire che il fascismo promosse la ricerca applicata -utile agli scopi militari e imperiali del regime - a scapito della ricerca pura. Al contrario, il fascismo introdusse tratti di modernità concependo una distinzione tra i due settori tipica di esperienze avanzate e, assieme a istituzioni applicative, ne promosse alcune di ricerca pura, come l'Istituto nazionale di alta matematica, che aveva come controparte l’Institute of Advanced Study di Princeton. E le ricerche applicative non furono meramente strumentali se, nel secondo dopoguerra, il matematico-capitano americano Goldstine, inviato da von Neumann, individuò Roma come uno dei migliori candidati per un centro europeo di informatica. Il disastro creato dal fascismo ha un nome diverso e ben preciso: autarchia - autarchia economico-industriale e autarchia culturale. Ovvero, l'idea nefasta che la scienza italiana dovesse svilupparsi in separatezza e antagonismo rispetto alle altre esperienze nazionali. In fondo, le leggi razziali furono l'estrema espressione dell'autarchismo fascista, ed è chiaro che la recisione dei rapporti internazionali non poteva non produrre effetti nefasti, portando alla ribalta una leadership della comunità scientifica subordinata a tale miserando disegno autarchico e che nessuna epurazione rimosse dalle posizioni di comando. E' nella continuità di questa classe dirigente mediocre e provinciale che va ricercato il declino del dopoguerra, su cui Bellone ha buoni argomenti, e neppure li dice tutti. Difatti, alla questione nucleare si potrebbe aggiungere la questione informatica, ancor più grave, ovvero la progressiva distruzione della Olivetti, che aveva tutte le carte per proporsi come un'azienda leader a livello mondiale in questo campo. Questo declino è associato a due mediocrità: quella di certi leader della comunità scientifica, e della classe imprenditoriale. Vogliamo attribuire la responsabilità dell'uscita del nucleare soltanto all'odio ideologico per la scienza e la tecnologia "nemiche dell'uomo"? Ricordo un dibattito di quegli anni in cui un illustre economista e un altrettanto illustre scienziato patrocinavano la scelta nucleare. Alla fine, un crocchio circondò i due per chiedere ulteriori chiarimenti sulla questione delle scorie che era rimasta in ombra. La risposta fu una scrollata di spalle seguita dal cinico commento: "Se la vedranno i nostri pronipoti". Quanti consensi alienarono siffatti atteggiamenti arroganti, cui era sottesa l'idea: "Dateci carta bianca, perché noi siamo quelli che sappiamo"? Bellone si appella ai vertici industriali come ai soli in grado di intendere e far intendere. Ma un siffatto appello dovrebbe essere assortito da una critica per l'insensibilità che la classe imprenditoriale ha avuto e continua ad avere nei confronti della ricerca di base. E'tradizione dell'imprenditorialità statunitense il mecenatismo disinteressato nei confronti della ricerca. Disinteressato fino a un certo punto, perché è basato sulla consapevolezza che il motore dell'innovazione è la libertà della ricerca, e non la sua subordinazione a esigenze pratiche immediate. Qualcuno ha mai visto in Italia esperti di industrie inviati ad ascoltare seminari universitari (anche i più teorici e apparentemente inutili) per trarne idee nuove? Questo è usuale negli Stati Uniti, dove si riservano imponenti finanziamenti federali alla ricerca di base. AL contrario, nel nostro paese la ricerca di base riceve le briciole dallo Stato e non riceve un centesimo dalle imprese, le quali invece sono pronte a spender denaro per iniziative il cui scopo è enunciare i dettami che la ricerca e le università debbono seguire al fine di fornire "prodotti" (cosi vengono chiamati ormai i lavori scientifici) immediatamente utili. Ma una siffatta strumentalizzazione all'uso immediato è la morte dell'innovazione nella ricerca, e quindi della ricerca stessa. Pertanto, simili ricette - una miscela di arroganza e di miopia - non soltanto non guariscono il paziente ma rischiano di avvelenarlo ancor di più. Non ha torto quindi Bellone quando individua nell'insensibilità per la ricerca scientifica di base uno dei mali del nostro paese. Ma il suo discorso va molto al di là di una questione di politiche scientifiche, poiché egli individua come unico responsabile di questa insensibilità un'ideologia antiscientifica che avrebbe allungato le sue radici soprattutto nella penisola. Il problema è che quando si passa dal discorso politico a quello ideologico-filosofico le cose si fanno tremendamente più complicate. Limitiamoci a enunciare due temi. La scienza di oggi non si ispira più a quell'oggettivismo assoluto che ne fu posto a base dalla metafisica cartesiana, non è più in grado di difendere con intransigenza l'idea che il mondo è retto da leggi naturali supreme e immutabili. Circa mezzo secolo fa il fisico Eugene Wigner mise in discussione la possibilità di parlare di "leggi" scientifiche, e John von Neumann asseri che la scienza non "spiega" nulla, a malapena "interpreta", ma soprattutto fa dei "modelli", ossia costruisce delle immagini formali della realtà che vengono valutate in base a meri criteri di efficacia. Naturalmente, né Wigner né von Neumann avrebbero ammesso che la scienza rinunziava a una funzione di "crescita" della conoscenza, e tantomeno avrebbero aderito a una posizione relativistica, intendendo con ciò l'idea che le costruzioni scientifiche non hanno alcun fondamento oggettivo, o addirittura sono il mero riflesso di rapporti sociali di potere. Ma il vaso di Pandora era scoperchiato e lo stato della scienza di oggi mostra come il criterio di "verità" guidi sempre meno la ricerca. Siamo lontani dai tempi in cui dominava la concezione riduzionista, quella visione secondo cui la scienza è un edificio in perpetuo accrescimento, e al cui nucleo centrale vengono continuamente ricondotte le nuove scoperte, non soltanto per verificare le seconde ma per accrescere il potere esplicativo del primo. Insistiamo che non è facile per una scienziato ammettere che la scienza non comporti una progressione verso il vero, senza dover ammettere che essa è una forma di conoscenza incerta come quelle non scientifiche. Pertanto, siamo in presenza di una vera e propria crisi di orientamento, e persino di identità, della scienza contemporanea. Dovrebbe essere superfluo dire che una via d'uscita a questa difficoltà non è asserire che la scienza è, per sua natura, relativista. Eppure questa è la più recente trovata di alcuni spiriti ameni, che la fondano sull'osservazione che la scienza non offre verità assolute, ma risultati continuamente rivedibili. Sono discorsi che si dubita possano essere fatti da persone in possesso di un diploma. Che la scienza stabilisca leggi eterne e assolute, scritte nella pietra, è un discorso che neanche il più accanito riduzionista si è mai sognato di fare. La gnoseologia scientifica classica è basata sull'idea di Nicola Cusano secondo cui esiste uno iato tra le conoscenze limitate e imperfette degli uomini e la verità assoluta, cui essi si avvicinano (come un poligono si approssima al cerchio circoscritto) senza poterla mai raggiungere. Ma l'esistenza di tale verità assoluta è il principio stesso che fonda la conoscenza: da un lato ne abbiamo bisogno, perché essa è la stella polare del processo conoscitivo, dall'altro non possiamo raggiungerla (e quindi siamo sempre in possesso di verità parziali), altrimenti essa parteciperebbe della natura imperfetta della nostra mente e non sarebbe verità. Secoli di scienza si sono basati su questa visione della conoscenza. (Del resto, persino 1-assolutismo" del pensiero religioso è basato su una visione analoga: cos'è l’esegesi dei testi sacri se non un tentativo di approssimare continuamente la conoscenza del senso della "rivelazione", la verità assoluta, in sé irraggiungibile pienamente dall'essere umano?). Il relativismo nega l'esistenza di qualsiasi verità oggettiva e quindi afferma l'assoluta (sic!) mancanza di certezza di ogni risultato della scienza, che può sempre essere sostituito 0 confutato, o è frutto di convenzioni sociali o rapporti di potere. La scienza non può accogliere in sé il relativismo senza distruggere il principio su cui si fonda: l'esistenza di una realtà oggettiva conoscibile. Pertanto, il vero problema è l'ingresso di questo cavallo di Troia nella scienza, non per opera di qualche umanista irrazionalista, ma per opera di scienziati-scientisti dichiarati. E' il positivismo che distrugge se stesso. (1. continua) Giorgio Israel Per l'autore l'Italia ha sempre avuto una scienza fragile, combattuta da una cultura umanistica invadente e ostile. Ma già a cavallo tra Ottocento e Novecento eravamo la terza potenza mondiale della fisica e della matematica La ricerca non può accogliere in sé il relativismo senza distruggere il suo principio fondante: l'esistenza di una realtà oggettiva conoscibile ___________________________________________________ Repubblica 15 lug. ’05 HOLTON: LE IDEE SBAGLIATE SUGLI SCIENZIATI Una scienza sulla difensiva, che non vive un momento facile nei suoi rapporti con la società civile e la politica, che mantiene una forte dimensione spirituale tua che conosce una fase di forte conflittualità con l'autorità religiosa. È questa l'analisi di Gerald Holton, fisico e professore di storia della scienza a Harvard, autore di - La lezione di Einstein- e di una miriade di studi che esplorano la dimensione sociale della scienza. Professor Holton, in Italia la comunità scientifica si schiera in larga parte per il si al referendum sulla procreazione assistita, e perde. Negli Stati Uniti Darwin e l’evoluzionismo sono sempre più minacciati dai profeti del creazionismo. La nostra è un'età di messa in crisi della dimensione scientifica? «Direi piuttosto che stiamo vivendo una fase nuova di una storia molto antica, le cui tracce ritroviamo sin nel pensiero dell'antichità. È la storia dello scontro tra scetticismo e assoluto. Protagora e Platone non si trovavano per esempio d'accordo su una questione fondamentale, che ritorna oggi. Protagora affermava che l'uomo è il fine di ogni cosa, la misura di tutto. In questo modo negava l'esistenza di un criterio assoluto capace di discriminare tra vero e falso. L'unico criterio era l'uomo, la realtà si frantumava in una miriade di interpretazioni soggettive, senza una sola verità o un unico sistema di ideali validi per tutti e per sempre. Per Platone e la sua scuola gli assoltiti erano invece una realtà necessaria all'esistenza. È una discussione che prosegue ancor oggi. C'è chi pensa che l'uomo non possa esistere senza assoluti, e chi invece crede che lo scetticismo, la ricerca, il libero pensiero, la revisione critica delle verità acquisite siano essenziali per lo sviluppo dell'uomo. Quello che è in crisi oggi non è il paradigma scientifico. Stiamo piuttosto vivendo una fase acuta di riproposizione di un'alternativa antica: quella tra relativismo e fede in verità immutabili». Ma c'è chi accusala scienza di inclinare verso lo scientismo. Cioè la scienza trasformata in ideologia, impegnata a ridurre a ragione oggettiva ogni fenomeno della vita, avrebbe perso la capacità di interpretare aspirazioni e paure umane. «Non credo alla tesi degli abusi della ragione scientifica. So che la ripropongono alcuni storici e filosofi della scienza, ma non mi convince. Negli anni la scienza ha mostrato di saper evolvere. La pretesa di attribuire alle affermazioni scientifiche un valore assoluto e universale è da sempre soltanto una parte dell'attività dello scienziato. Il paradigma scientifico è certamente quello galileiano, volto alla precisione, alla misurazione dei fenomeni in modo da eliminare dalla scienza pubblica gli elementi "qualitativi" che impediscono il raggiungimento di un accordo ragionevole e oggettivo tra i ricercatori. Ma il paradigma scientifico è fatto anche dei sogni, delle intuizioni, della dimensione affettiva, emotiva, anche religiosa, di chi conduce le ricerche. E questo gli scienziati più avvertiti lo hanno sempre saputo». Per esempio? «Cito Sigmund Freud. Una volta gli chiesero. Che cosa ci vuole per avere una vita felice? E Freud rispose: "Due cose: lavoro e amo re". Uno scienziato avvertito, capace di fare il proprio lavoro, è attento a quanto succede attorno a lui, all'arte, alla musica, alle relazione umane, familiari. L'idea di uno scienziato completamente chiuso nel suo laboratorio è pura fiction. Gli scienziati sono esseri umani, e gli esseri umani hanno bisogno di amore, di nutrire il loro spirito. Chi parla di una scienza lontana dalla società compie un errore grossolano». Ma allora da cosa deriva questa immagine di una scienza accerchiata e incapace di rispondere alle aspettative, alle richieste, alla paura del futuro di una parte dell'opinione pubblica? «Sospetto che una buona parte di questi attacchi siano motivati politicamente. Non dimentichiamo che la scienza ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione della concezione moderna del diritto. Grazie ai progressi della scienza medica, per esempio, la salute è diventata un diritto universale, che appartiene indistintamente a tutti gli uomini. Nello stesso tempo, il paradigma scientifico di un pensiero critico, chiaro, oggettivo, ha conquistato sempre più campi del sapere. È ovvio che la pervasività e l'autorità del modello scientifico finiscano per entrare in conflitto con altre dimensioni del vivere sociale: la politica, la religione. E le accuse di scientismo, di arroganza della scienza, diventano strumento di una battaglia più ampia perla conquista della supremazia sociale». In questa battaglia volta alla conquista della supremazia sociale, scienza e religione si trovano sempre e comunque su fronti opposti e inconciliabili? «No. Einstein ha scritto che "un sentimento religioso cosmico è la spinta più forte e nobile per la ricerca scientifica". Nel suo modo ingegnoso, Einstein cercava di intrecciare scienza e religione, come aveva fatto per lo spazio e il tempo, l'elettricità e il magnetismo, l'energia e la massa. La sua idea si rifaceva a Spinoza, all'intuizione che Dio e Natura sono un'unica cosa. È lo stesso pensiero espresso da Maimonide, la stessa concezione che permea il pensiero di Galileo. Proprio Galileo diceva che ci sono due modi per cercare Dio: il primo passa per le Scritture, il secondo perla Natura. E ancora Einstein scriveva che gli scienziati che cercano di comprendere le leggi dell'universo sono persone religiose. Questa sorta di religiosità cosmica è una fede in cui molti scienziati e ricercatori, anche in modo inconscio, credono. È la prova che la scienza moderna è attraversata da mille tensioni, che non può essere ridotta a scientismo, che non è soltanto il paradigma della razionalità oggettiva, dei risultati verificabili e riproducibili. Quello di Galileo e di Einstein pare un compromesso intelligente, cui dovremmo guardare di più in questo periodo». Un'ultima cosa. Il mondo scientifico americano deve affrontare in questi mesi la messa in discussione dell'evoluzionismo, da parte della destra religiosa che sostiene le tesi creazioniste, e anche da parte della chiesa, dopo le affermazioni del cardinale austriaco Schoenborn contro le teorie neo darwiniane. È una battaglia che si annuncia particolarmente aspra? «È già molto aspra. Chi impugna la Bibbia per sostenere le tesi creazioniste fa parte di una minoranza ristretta ma molto agguerrita, ricca finanziariamente, manovrata politicamente. È una battaglia dagli esiti incerti, e il darwinismo non è la sola dottrina che rischia di essere messa in discussione. A rischio ci sono la cosmologia, la paleontologia, la geologia, la genoimica, tutte quelle discipline che tracciano uno sviluppo temporale dell'uomo e della vita che non si accorda al testo sacro. Gli scienziati sono preoccupati, sulla difensiva, si chiedono cosa fare e come reagire». Il progresso scientifico é una frazione, e senza dubbio la più importante, del processo cui andiamo soggetti secoli e aggi soggetta a tante critiche La scienza come professione 1919 ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 12 lug. ’05 SARDEGNA ULTIMA IN TECNOLOGIA (143 su 147) Cade il mito dell'Isola del futuro Il caso. Innovazione: 143° posto su 147 regioni d'Europa. I dati in un convegno dei Ds Soru: a rischio il nostro benessere. Dadea: ma siamo primi in Italia per risorse investite Marco Mostallino Internet, governo elettronico, servizi telematici, fibre ottiche, ma anche più in generale nuove tecnologie e brevetti. Il luogo comune dell'Isola del progresso, capace di guardare al futuro nonostante un'economia depressa e una cultura balbuziente (6,2 per cento di laureati contro il 7,5 nazionale), si frantuma contro i numeri dell'Unione Europea. Secondo il rapporto 2005 sull'innovazione in Europa, appena diffuso da Bruxelles, la Sardegna è al 143 posto su 147 regioni del vecchio continente, seguita solo da Puglia, Valle d'Aosta, Molise e Basilicata. Il dato, rovesciato sulla sala da Antonangelo Casula (segreteria Ds) è una doccia gelida sul convegno promosso a Cagliari dalla Quercia «per dire alla società - spiega il segretario Giulio Calvisi - che il partito vuole dialogare su questi temi». Alcuni oratori cambiano la scaletta, a cominciare dal rettore Pasquale Mistretta il quale precisa che in questo quadro la provincia di Cagliari con l'otto per cento è sopra la media nazionale dei l a u r e at i . PERSINO la nuova economia qui da noi invecchia rapidamente e ripercorre brutte strade già battute. Il presidente della Regione Renato Soru spiega che «il nostro livello di conoscenza è inadeguato a mantenere il livello di benessere. Rischiamo di perderlo in pochi anni, per questo Giunta e maggioranza indirizzano tutte le loro forze e risorse alla conoscenza e all'innovazione». La Sardegna però non ha tenuto conto che il progresso è come il Tour de France. Arrivata prima sulla vetta di Internet, lassù si è appisolata e nella discesa e nelle nuove tappe si è lasciata sor sorpassare. Con alcuni segnali di intorpidimento mentale oltre che delle gambe. Secondo l'Osservatorio industriale, negli ultimi anni la richiesta di servizi ad alta tecnologia (Information Technology) da parte delle imprese è calata dell'8,5 per cento rispetto ai tempi del boom. «Però sono aumentate le aziende di settore», ricorda ancora Casu Casula. Si replica cosi quanto già rappresentato su latri palcoscenici dell'economia isolana: nell'impossibilità di creare mercato, di fatturare con i privati, gli imprenditori guardano alla Regione, ai Comuni, alle Comunità montane come unica fonte di guadagno. Attraverso appalti pubblici che spesso mostrano la corda, come Egos, il sito regionale - figlio delle giunte della Cdl - da 3 milioni e mezzo per il pagamento dei tributi locali: vi sono presenti solo quattro comuni su 375. I BANDI tuttavia vanno avanti, senza pause di riflessione. L'assessore agli affari generali Massimo Dadea sottolinea con motivato orgoglio che la Sardegna, nell'ultimo anno, è la prima regione italiana come impegno di spesa nell'innovazione. E annuncia le gare appena avviate per tre nuovi progetti telematici. Uno, al servizio interno degli uffici pubblici (si chiama Sibar) è da otto milioni di euro. E ha una disciplina che taglia fuori le imprese locali di piccole e medie dimensioni, cosi che in gara ci sono Ibm, Accenture e altri colossi. Fonti politiche raccontano, su questo bando, di uno scontro fra Soru e Dadea, Il presidente avrebbe voluto tre tranche di appalto, proprio per aprire la gara un po' a tutti, ma l'assessore è andato avanti con la mega commessa. Funzionerà meglio di Egos? ? ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 13 lug. ’05 LE CREATURE DI SUSINI Ce le invidia tutto il mondo ma in pochi a Cagliari le conoscono. Ecco la storia delle cere anatomiche arrivate sull'Isola nel 1800 grazie a Carlo Felice. Curioso: in pochi a Cagliari sapevano di un clone del museo Tussaud abbarbicato nel cuore di pietra della cittadella. Entriamo. Nella penombra, tra lame di luce che rimbalzano su teche di noce e di vetro, l'odore acre della storia. Hanno un odore strano duecento anni. Sanno di polvere e vento, di mercanti e botteghe. Nella memoria soffusa di quegli antichi odori, da centinaia di anni, riposano le cere anatomiche che il mondo intero ci invidia. DISEGNATE da quel mago modellatore di Clemente Susini, le cere giacciono su preziose stoffe di seta con l'unico intento di essere ammirate. Niente calchi di grandi personaggi, ma un'ottantina tra volti, corpi, organi talmente ben lavorati da sembrare vivi. Cosa ci facciano ottantatre cere anatomiche nel bel mezzo della città antica, ancora oggi è un mistero. Di certo, si sa che fu il vicerè Carlo Felice che le volle acquistare per abbellire il suo museo di antichità allora ospitato nel Palazzo di Cagliari. Pagate 14.800 lire, le cere lasciarono, nel 1805, il laboratorio di Fisica e di Storia Naturale della Specola di Firenze, regno supremo del Susini, per imbarcarsi alla volta dell'Isola. A quell'epoca, l'uso di riprodurre in cera i preparati di cadaveri era molto in voga, ed è probabile cha anche a Cagliari, l'esigenza di disporre di modelli per diffondere la conoscenza della neonata anatomia, fosse molto sentita. Le cere del Susini, però, non sono solo semplici modelli, ma piccoli gioielli di perfezione finemente colorati con lapislazzuli, perle e scaglie d'oro macinate. Una perfezione tecnica in gra grado di cancellare quel pizzico di macabro e lasciare spazio a una compostezza classica di rara bellezza. Solo i capelli, la barba, i peli di quei corpi senza vita sono realmente incanutiti, invecchiati. Umani. In città, l'uomo che più di tutti si è battuto per ospitarle nel museo di piazza Arsenale, si chiama Alessandro Riva, un professore di anatomia che, di queste cere, si è follemente appassionato. Un amore contagioso dato che, tra quelle antiche teche, non di rado, s'incontra Giorgio Todde, lo scrittore oculista che di Riva è stato anche allievo (il logo del suo libro “Lo stato delle cose”, riprende proprio una cera del Susini), cosi come il sindaco Floris o l'avvocato Delogu. Non solo nomi noti, tra il pubblico affezionato, ma anche anonimi fotografi francesi e professori brasiliani. «Un tesoro di cere» irrompe come un fiume in piena il professore: «Pensi che in tanti anni non hanno mai subito restauri: il clima di Cagliari è perfetto e i pidocchi cinesi con cui sono state realizzate fondono fortunatamente a temperature molto più elevate ». La città dorma dunque sonni tranquilli: a meno di un terremoto improvviso, le cere che tutto il mondo ci invidia, avranno ancora vita lunga. Più complicata, invece, la vita di questo professore milanese, naturalizzato cagliaritano e, obbligato, di tanto in tanto, a scorrazzare le cere per i più importanti musei del mondo. «Mi chiamano in tanti, ma io non le affido a nessuno: quando escono da qui, le cere sono con me». Armato di un bauletto in legno, il professore ha esposto alla Libreria Sansovina di Venezia, alla Royal Festival Hall di Londra, al museo nazionale di Tokio e a La Villette di Parigi. Tutti, manco a dirlo, sono diventati pazzi per le cere del Susini. «È stato in occasione di uno di questi viaggi che ho scoperto che le cere, oltre ad essere singolarmente autografate, nascondono preziose gocce di egual colore. Nel caso di improvvise rotture, il restauro è immediato». Non è il valore delle cere - dieci anni fa, un calco è stato valutato 5 miliardi - ma l'unicità di questi oggetti che incanta il professore. Nate per appassionare i futuri medici, le cere del Susini hanno sedotto il mondo. ? ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 12 lug. ’05 PIDOCCHI E PECE PER LE ANTICHE CERE Per realizzare i calchi conservati nelle teche i ceroplasti utilizzavano ingredienti naturali compresa la sugna, olio e balsami vari Clemente Susini, il ceroplasta fiorentino dal gusto talvolta tendente al macabro, artefice delle splendide cere mirabilmente conservate nel museo cagliaritano, lavorò senza sosta ai suoi modelli per oltre quaranta anni. Un lavoro da certosino, dove l'armonia e la bellezza si fondono con una perfezione tecnica davvero ineguagliabile. Solo altri due musei al mondo possono vantare altrettanti tesori: la Specola a Firenze e lo Josephinum a Vienna. Quella del Susini era una grande officina di ceroplastica in cui gruppi di ceraioli riproducevano i preparati anatomici attenendosi ai resti di cadaveri. Prelevavano i calchi in gesso e vi colavano dentro miscele diversamente colorate di cera vergine, sego, pece e balsami vari. La fortuna della ceroplastica anatomica, iniziata nel 1700, permetteva agli studenti di ben conoscere tutte le strutture del corpo difficilmente visibili con la dissezione del cadavere, memorizzando, per esempio, scene di parti difficoltosi o le piu comuni operazioni chirurgiche. A Firenze si usava un impasto ottenuto mescolando l'ottima cera d'api e cera di altri insetti, la cosiddetta cera cinese, ad alto punto di fusione e prodotta da particolari tipi di pidocchi parassiti di vegetali. Il miscuglio ottenuto veniva versato in un grosso paiolo di rame stagnato posto a fondere a fuoco molto lento. Talvolta, si aggiungeva all'impasto della sugna (grasso animale) e olio di spermaceti (olio vegetale). Il calco in gesso, una volta indurito, costituiva il negativo, una sorta di matrice che veniva conservata per ulteriori modelli. La fase piu delicata, quella in cui il Susini si rivelo un vero maestro, e quella della forgia del modello: a fusione avvenuta si aggiungevano coloranti naturali quali lacca, cinebro e cera bianca gramolata. Con ferri di vario tipo si realizzavano le striature dei muscoli e, con pennelli finissimi, si dipingevano i vasi sanguigni piu sottili. Visitato da circa diecimila turisti all'anno, soprattutto stranieri, il museo delle cere anatomiche di Cagliari e aperto tutti i giorni, dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19 (chiuso lunedì). Il biglietto costa 1 euro e 55 (0,52 per bambini e adulti oltre i 65 anni, universitari non pagano) e comprende anche una guida. Per informazioni, telefono, 070.6757627. Sulla Rete: http://pacs.unica.it/cere/home_it.htm ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 14 lug. ’05 LA CONOSCENZA RICHIEDE INVESTIMENTI QUALI RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E REGIONE? Paolo Pani DOCENTE È continuamente ribadita la tesi che la "conoscenza", nella modernità, è uno dei valori fondanti del progresso, qualsiasi attribuzione si possa dare a questa categoria. È difficile negarlo. È, tuttavia, opportuno chiarire i termini di "conoscenza". La produzione di "conoscenza" richiede investimenti talora cospicui: ne dobbiamo, preventivamente, prendere atto ed esserne avvertiti soprattutto quando parliamo dei rapporti tra Università, uno dei luoghi di produzione di "conoscenza", e il suo territorio, nel nostro caso la Regione sarda. È opportuno, inoltre, ripetere che le Università sono istituzioni statali, di carattere nazionale ed internazionale, non "regionali". Eppure dobbiamo anche prendere atto che le stesse Università non sono entità astratte, avulse da qualsiasi ragionamento che la colleghi al suo specifico territorio: non si capirebbe altrimenti perché "Bocconi" è Milano e "Politecnico" rimane, tradizionalmente, ancora Torino. In altri termini le Università fanno parte di un sistema, mentre la crescita è assicurata sia dalle proprie risorse interne d'intellettualità sia da un continuo rapporto con il suo territorio, per la Sardegna si pensi all'Ingegneria mineraria e più recentemente alla Chimica. In alcuni casi, in altre parole, l'Università da una risposta al suo territorio, di carattere tecnologico, ingegneristico ingegneristico (delle "cose da fare"), in altri casi è soprattutto la curiosità intellettuale della "ricerca pura" (si pensi, a Roma, a Fermi ed ai ragazzi di Via Panisperna). In ambedue i casi l'Università assolve la sua funzione, di ricerca tecnologica nei primi casi e di "libera ricerca", senza ulteriori attributi, nell'esempio romano. Quelli citati sono forse esempi estremi: è, tuttavia opportuno, ricordare, che esistono aree grigie dove è più problematico stabilire rigidi confini. I casi estremi ci aiutano, però, a capire quale il contributo che l'Università possa assicurare alla Regione. La "ricerca libera" esalta una delle principali funzioni dell'Università, il suo senso critico (da altri definito, in termini generali, come "cultura"), che, in ultima analisi, è ciò che permette di prendere responsabilmente le decisioni (d'ordine tecnologico, sulle "cose da fare"), ma che difficilmente può essere quantificato. Il senso critico si forma, matura ed è verificato nel contesto di un continuo confronto con altre realtà, nazionali, europee ed internazionali, che non con quelle più specificamente locali (nel nostro caso regionali). In questo caso è altrettanto ovvio che i riferimenti non possano essere quelli locali né tanto meno quelli interni, di autoreferenzialità accademica, anche dal punto di vista del reperimento dei finanziamenti. Si pone a questo punto il problema del ruolo della Regione e dei suoi programmi di finanziamento per la ricerca per i due Atenei sardi. Se si accettano queste premesse risulta legittimo che i finanziamenti regionali debbano privilegiare soprattutto programmi di "ricerca" finalizzati (per le "cose da fare") e verificabili rispetto agli interessi, economici, sociali e culturali (con rigore, di una cultura sarda) della stessa Regione. Solamente in modo marginale e contingente, la Regione potrà assumere una funzione vicaria rispetto alle competenze ministeriali, anche in materia di finanziamenti. Queste questioni sono solamente preliminari, ma doverose per una trasparente specificazione di ruoli e funzioni, da parte della Regione e della stessa Università. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 09 lug. ’05 IL CRS4 CAMBIA PELLE, VIA I PRIVATI Dedoni (Riformatori) lancia l’allarme, ma Murgia (Consorzio 21) garantisce il potenziamento Tutto alla Regione per risanare i debiti del centro che fu di Rubbia RICERCA «Rilanceremo studi e progetti» ALFREDO FRANCHINI CAGLIARI. Lunedì prossimo il Crs4, il Centro di calcolo matematico fondato dal Nobel Carlo Rubbia, cambia pelle: fuori i soci privati e quote acquisite dalla Regione pronta a rilanciare quello che, in origine, era stato il fiore all’occhiello della ricerca sarda. La notizia che il Crs4, alle prese adesso con una situazione finanziaria disastrosa e col serio rischio di dover portare in tribunale i libri contabili, ha creato un po’ d’allarme nel mondo politico tanto che il consigliere dei Riformatori, Attilio Dedoni, ha presentato un’interrogazione urgente al presidente della giunta e all’assessore all’Industria. Cos’è successo? Nel 1990, quando fu istituito, il Crs4 era considerato il Centro di calcolo matematico più potente del mondo. Dagli studi del Centro cagliaritano nacquero nell’ordine prima Video on line e poi Tiscali ma una serie infinite di contrasti generarono un paio di lustri, o forse più, di occasioni perdute. Debiti e litigi tra i soci furono l’altra conseguenza. Tra i soci, la St-Microelectronics, leader europeo dei microchip, fu costretta colpevolmente a lasciare la Sardegna per trasferirsi a Catania; la Techso, dopo altre traversie, abbandonò il campo. Ma soprattutto è intervenuta, nel frattempo, la sentenza della corte di giustizia dell’Aja in base alla quale non sarebbe stato più possibile concedere sovvenzioni a una società nella cui compagine azionaria ci fossero stati dei privati. E allora cosa fare considerato che il Crs4 è il fulcro della ricerca? Giuliano Murgia, presidente del Consorzio 21 che acqusirà tutte le quote dei privati in capo al Crs4, nega che ci possano essere ripercussioni sull’attività del Crs4: «Al contrario il Centro sarà potenziato e rilanciato», afferma Murgia, «con i progetti per il supercalcolo e la bioinformatica». Ma anche con i progetti già presentati nel campo energetico e nei settori delle tecnologie. Attilio Dedoni però è deciso ad approfondire l’argomento: «L’improvvisa regionalizzazione del Crs4 contraddice la tanto declamata volontà di privatizzazione e coinvolgimento delle aziende private nella ricerca», sostiene nell’interrogazione. Il consigliere dei Riformatori si rivolge perciò alla giunta nell’interrogazione per sapere se non sarebbe il caso «di sospendere ogni trasformazione del Crs4 e porre il caso all’attenzione del consiglio regionale». L’intuizione della ricerca risale al 1989 quando la giunta regionale di Mario Floris (con Antonello Cabras alla Programmazione) costituì il Consorzio 21, l’organismo originato addirittura da una costola del Piano di rinascita che lo prevedeva; (il Consorzio 21 fu costituito quindi con una quindicina d’anni di ritardo). Il Crs4, presieduto da Carlo Rubbia e diretto da Paolo Zanella, partì molto bene, in collegamento con il Cern di Ginevra. La pace politica, però, non dura: devastanti operazioni mortificano talenti e scienziati, l’avvicendamento ai vertici è il frutto dell’incertezza di diverse giunte. Prevale anche la necessità (politica) di non fare scelte di fondo e di non scontentare nessuno. Una linea che porta il Crs4 a perdere piano piano il ruolo che aveva avuto all’inizio, quando aveva costuito la base di partenza per tante realtà Internet come Video on line (che peraltro non esiste più) e Tiscali. La St Microelettronics (nella compagine azionaria Finmeccanica e France Telecom) abbandonò l’isola all’inizio del 2000; aveva partecipato per sei anni a un laboratorio condiviso con Techso dell’Ibm. Concluso il programma St propose un nuovo progetto a un’unica condizione: assumere il controllo del laboratorio. Una richiesta a cui nessuno della Regione riuscì a dare una risposta e così sulla «non decisione» l’imprenditore, Pistorio, preferì trasferire l’attività in Sicilia. La Regione, a suo dire, aveva tradito lo spirito iniziale quando aveva reso possibile a Rubbia e ai tanti riceratori del Crs4 di costituire quello speciale timbro che avrebbe contraddistinto il marchio originale dell’informatica sarda. Ora si riparte: l’investimento dovrà riguardare le quote dei privati del Crs4 ma soprattutto la valorizzazione del capitale umano e i vantaggi competitivi che potranno derivare dal centro di calcolo matematico. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 lug. ’05 Severgnini: COME SONO I SARDI VE LO DICO IO Beppe Severgnini e il viaggio impossibile nella testa degli italiani di GIORGIO PISANO L'ultima impresa, probabilmente la più difficile, l'ha portato in abissi infidi e profondi: la testa degli italiani. Visita guidata, la sua, aperta a tutti gli stranieri che arrivano nel Belpaese e vogliono capire. Oltre i luoghi comuni e le leggende che confinano col mito. Beppe Severgnini ha scritto un libro che è una bella foto di gruppo: dentro ci siamo tutti. Ai sardi, che frequenta da trentadue anni, ha dedicato un'attenzione particolare, da viaggiatore rodato e attento. La testa degli italiani, oltre duecento pagine di incursioni folgoranti, ha una dedica che pochissimi potrebbero permettersi: a Indro Montanelli, come d'accordo. Severgnini gli deve molto: grazie ai suoi insegnamenti, è riuscito a decollare diventando in tempi brevi un giornalista di prima fila. Ex corrispondente dell'inglese Economist, editorialista del Corriere della sera da una decina d'anni, nel 2004 ha ricevuto un premio speciale: European journalist of the year. Su Internet gestisce due siti: uno dedicato ai lettori (una legione di fedelissimi), un altro (Italians, chiacchiere varie) che sul fronte degli accessi è secondo soltanto a Dagospia. Per trentotto volte fino ad oggi ha organizzato incontri con connazionali: da Bombay a Boston, pizzate che sembrano una rimpatriata da liceali. Servono per raccontarsi e verificare lo stato di salute psicologica degli italiani all'estero. Quarantotto anni, nordista di Crema, Severgnini è un signore molto, molto anglosassone. Viso sghembo, mascella lievemente dicentrata, pare un ragazzino coi capelli grigi per caso. Nell'84 a Cagliari ha tenuto la sua prima conferenza pubblica seminando qualche brivido: al Rotary, che l'aveva invitato, non s'aspettavano di trovarsi davanti un giovanotto a sfumatura lunga, quasi sulle spalle. Da quella volta è tornato in molte occasioni ma nel frattempo è passato dal barbiere convertendosi in via definitiva a un taglio politicamente corretto. Ha casa nelle vicinanze di Santa Teresa di Gallura, che frequenta da sempre. Di fronte a quel mare che toglie il fiato ha scritto i 45 motivi per cui ama la Sardegna. A cominciare dalle donne sarde che vestono nero da sempre, con grande anticipo «sulle p. r. milanesi della moda». La sua arma è l'ironia. Un'ironia sottile e a crudeltà autolimitata, come la velocità di certe macchine. Dice che non gli piace infierire su chi è in difficoltà. Le critiche: per alcuni, ha il culto della superficialità, un garbo eccessivo che non va mai al nocciolo dei problemi. Starebbe bene in un salotto dove si fa conversazione, il tè, i pasticcini e le signore che ascoltano incantate. Per altri, ha semplicemente scelto di colpire i bersagli con diplomazia. Pagina 89 del suo libro, come spiegare in una frase l'irresistibile successo televisivo di Berlusconi: ...è un commerciante di sogni, abile a trasformare la realtà in spettacolo. Senza conoscerla, ha preso l'America di Norman Rockwell - le tavole imbandite, i vecchietti allegri, le ragazze formose - e l'ha importata, adottata, adattata, svestita e sveltita. Non ci crederete, ma ci siamo cascati. A Cagliari con l'associazione Italia- Inghilterra di Franco Staffa, infaticabile militante culturale, Severgnini parte dalla testa degli italiani e arriva decisamente oltre. Cosa ha imparato da Montanelli? «Mi ha insegnato quello che non si fa, le frasi da non scrivere, gli amici da non frequentare, come evitare i periodi troppo lunghi, gli aggettivi e le bassezze». Così difficile fare il giornalista? «Il nostro mestiere nasce quasi sempre da una vocazione. Se c'è vocazione, bisogna avere anche tenacia e attitudine. Poi, aspettare la fortuna che passa». Montanelli era sensibile all'adulazione: lei? «Purtroppo, anch'io. E quando ad adularti è una bella ragazza di 25 anni, lascia il segno. Per il momento, reggo bene e mi difendo, da vecchio sarà più difficile». Spiegare la testa degli italiani: non ha osato troppo? «Il mio viaggio non è meno complicato di quello di Jules Verne al centro della terra. Tant'è che avverto i miei lettori stranieri con una frase che è diventata un tormentone: are you ready for the italian jungle?, Siete pronti ad affrontare la giungla-Italia?» Conclusione? «Credo che il mio sia un vero ritratto del nostro Paese, ritratto sociale morale economico psicologico. E' molto complicato scrivere tutte queste cose in 250 pagine anziché 2.500». Sono le cose minime a rivelare una nazione? «Sì, a patto che non ci si fermi a quelle. La mia è stata una ricerca entomologica. Flaiano diceva che siamo una collezione: sbagliava? «Sicuramente no. Una collezione interessante e preziosa. Con una differenza: nelle altre collezioni di solito le farfalle non passano il tempo a litigare». Ha scoperto anche un popolo unito? «Un giorno nelle piazze d'Italia ci saranno monumenti a Bossi e Calderoli. E' stata una vera fortuna che a cavalcare il separatismo sia stata gente come loro. In altre mani, potevano essere grossi guai. Bossi e Calderoli sono patrioti involontari». Ricetta nazionale di sopravvivenza. «La solita, fare di necessità virtù. Noi abbiamo intrecci di solidarietà familiare che altrove non esistono. In Norvegia uno che guadagna mille euro al mese, su mille euro deve fare affidamento. In Italia, c'è tuo padre che ti aiuta, i nonni che ti pagano il telefono, una zia che pensa alla macchina...». Siamo bravi, bravissimi. «Abbiamo una formidabile abilità tattica, ma scordiamo la strategia: che futuro avranno i nostri figli?» Giudizio finale? «Le quattro i: intelligenti, intuitivi, intraprendenti. Ma anche lievemente inaffidabili». Italia include Sardegna: com'è? «Dopo la Lombardia, è la regione che conosco meglio. E dico: avete la fortuna di essere stati sfortunati. Il disinteresse dell'Italia nei vostri confronti è evidente, siete stati dimenticati. Grazie a questo però, non avete porti inutili, acciaierie da chiudere, abusi selvaggi». Difatti, non abbiamo niente. «Vero, ma qui non si sono ripetuti certi orrori del Sud. Dunque c'è il tanto per progettare il futuro. In altre regioni devono prima buttar giù tutto e poi ricominciare». Noi chi siamo, nel bene e nel male? «Se aveste la stima che ho io di voi, avreste un grande successo. Dovreste essere meno diffidenti nei confronti del mare, soprattutto a Cagliari dove si può recuperare un bellissimo fronte-porto. Poi c'è altro, molto altro». Di questo ha parlato nell'amichevole intervista sul Corriere a Renato Soru. «Amichevole? Ho l'abitudine di scrivere le opinioni dei miei interlocutori anche quando non mi piacciono. Il fatto è che Soru la pensava esattamente come me: da anni sostenevo che bisognasse preservare le bellezze della Sardegna. Il decreto salvacoste, a patto che non sia eterno, risponde proprio a questa esigenza». Sardegna è anche Porto Cervo. «Non è il mio ideale di vacanze: ci sono le persone che passo l'anno a evitare. Ma se c'è gente che vuol pagare 15 euro un aperitivo, giusto che esista Porto Cervo». Per chi può. «Naturale, ma debbo dire che tutta quella zona mi sembra rispettosa del paesaggio. La Costa Smeralda sta attraversando ora la fase due: andiamo a visitare i luoghi dove passavano le vacanze i vip. Che ora non ci sono più». C'è pure una fase tre? «Sì: le grandi folle che vanno a vedere un posto dove sono stati i loro amici che andavano a vedere i luoghi di vacanza dei vip». Qual è lo scarto temporale tra Sardegna e Lombardia? «Ci sono parti dell'isola che mi fanno pensare al 1975, trent'anni fa. Penso, per esempio, alla regressione turistica di Castelsardo: non c'è più nulla, sparito (causa incendio) perfino l'unico chioschetto della spiaggia. Per gli stranieri è un colpo d'occhio meraviglioso trovare una natura così intatta. Ma i sardi?» Per Cagliari è diverso? «Cagliari ha un futuro meraviglioso se smette di trincerarsi contro il mare. Quello che Renzo Piano sta facendo, con dolore e pazienza, a Genova, qui verrebbe semplicissimo». E' un problema di ignoranza, chiusura mentale? «No, non più. Io incontro sardi in tutto il mondo, prendo la pizza con loro. Medici, chimici, biologi. Le nuove generazioni pensano in modo nuovo, sono stufe di una terra che offre poco». E allora? «La mia sensazione è che in Sardegna stia arrivando un fortissimo scontro generazionale. Ci sarà una rottura, inevitabile e dura. Questi ragazzi non sono più disposti ad accettare le logiche dei concorsi universitari, le tagliole e gli slalom legati a un posto di lavoro». Tutta colpa del regime? «In Italia non c'è regime, semmai una democrazia imperfetta, con l'aggravante che non ammette di esserlo. L'euro ci ha salvato: senza, come sa chiunque segua le vicende europee, saremmo rovinati». Ma lei, che ama fare il grillo parlante, dove guarda? «Sono un senzatetto politico. Potrei votare il centrodestra se non fosse quello che abbiamo in Italia. Del centrosinistra amo invece alcune tematiche sociali». Il rapporto coi politici. «Molto scarso, non li frequento. A quattro soltanto do del tu: Siniscalco e Tremonti (che conoscevo da tempo), Enrico Letta (perché mi sembra un uomo di valore), Veltroni (perché è impossibile dargli del lei). I politici mi considerano in genere inaffidabile. Grazie, è un bellissimo complimento». Qual è la differenza tra leggerezza e superficialità? «La stessa che passa tra il pane carasau e le patatine in busta». _______________________________________________________ Il Sole24Ore 14 lug. ’05 I GIOVANI NON AMANO LA CHIMICA Timidi i segni di ripresa: la Facoltà è penalizzata dal luogo comune che non assicuri un lavoro soddisfacente La crisi delle vocazioni scientifiche che da anni affligge l'università italiana ha colpito la chimica, tanto che oggi le aziende del settore faticano a trovare personale qualificato. Tra il 1980 e il 2000, i corsi di laurea in Chimica hanno perso il 43% delle immatricolazioni. Spiragli di ripresa. Le statistiche degli ultimi anni sembrano mostrare segni di ripresa, con un recupero del 30% delle matricole dal 2002 al 2004, pari a 13.044 immatricolazioni nell'area chimico- farmaceutica rispetto alle 11.350 di tre anni fa. «Un fenomeno dovuto però in gran parte all'aumento fisiologico del numero degli studenti in tutte le Facoltà in seguito all'introduzione delle lauree brevi», dice Ulderico Segre, presidente del corso di laurea in Chimica dell'Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore della Conferenza Nazionale dei Presidenti dei corsi di laurea in Chimica. Negli ultimi trent'anni, la percentuale degli universitari che ha scelto questo indirizzo di studi in Italia ha oscillato continuamente, senza mai tornare ai livelli degli anni Sessanta, quando una laurea in Chimica era considerata una strada sicura verso una carriera soddisfacente. Le origini della crisi. «Tutto nasce - spiega Segre - con la crisi dell'industria chimica italiana della metà degli anni Settanta e dal timore dei giovani di non trovare lavoro nel settore. Un timore che oggi è infondato. La laurea in Chimica ha diversi sbocchi professionali nel panorama italiano: l'industria tessile, il settore meccanico, quello alimentare, per citarne alcuni». Infatti, secondo l'indagine Istat del 2004 sull'inserimento professionale dei laureati, la percentuale di occupati a tempo indeterminato a tre anni dalla laurea in Chimica è del 77 per cento. Uno studio di Federchimica del 2003 indica i settori di impiego dei laureati. Il 47% di loro lavora nell'industria chimica, alimentare, meccanica, tessile, elettronica, biotech e informatica, di prevalenza nelle piccole e medie imprese rispetto alla grande industria. Il 26% dei laureati trova impiego nell'Università, il 7% nel settore dei servizi, il 6% nell'ambito di enti di ricerca non universitari, il 4% intraprende la libera professione. Le scuole. Il disamore per la chimica non è legato solo a timori infondati di disoccupazione. Ha radici nella formazione scolastica dei ragazzi. «Nelle scuole secondarie le ore di studio destinate alla chimica sono poche - commenta Segre - e spesso gli insegnanti che se ne occupano non sono laureati in Chimica, ma in Biologia o Scienze naturali. Non dico che siano impreparati o incapaci di insegnare, ma non tra smettono ai ragazzi la passione per la chimica, una passione che li spinga a scegliere questo indirizzo di studi all'Università». Negli ultimi decenni, poi, la chimica ha acquisito una connotazione negativa nel sentire comune. «Quando si parla di chimica, la gente pensa agli incidenti industriali, all'inquinamento, ai pericoli per la salute», dice Segre. «Si trascura il fatto che una migliore conoscenza della chimica aiuta a prevenire incidenti, a limitare i danni dell'inquinamento e a difendere l'ambiente e la salute umana». L'orientamento. Il Progetto lauree scientifiche, lanciato l'anno scorso dal Miur in collaborazione con la conferenza nazionale dei Presidi di Scienze e Tecnologie, prevede una serie di iniziative locali, coordinate a livello nazionale, per orientare i giovani verso la scelta di un corso di laurea in Chimica. «Per esempio - spiega Segre - abbiamo predisposto presso le strutture universitarie l'allestimento di laboratori di chimica a disposizione delle scuole secondarie che non sono dotate di attrezzature adeguate. Gli insegnanti e i loro studenti potranno servirsene per fare lezione». Maria Cristina Valsecchi ___________________________________________________ Il Sole24Ore 14 lug. ’05 BIOLOGIA, LA CRISI NON ABITA QUI La biologia è un'isola tranquilla nel panorama dell'università italiana: non ha risentito della crisi delle immatricolazioni che negli ultimi anni ha colpito altri corsi di laurea scientifici come fisica, matematica e chimica. «Dagli anni 70 il numero delle nuove matricole è rimasto pressappoco stabile - dice Daniela Candia Carnevali, ordinaria di Zoologia dell'Università di Milano e presidente del Collegio dei biologi delle università italiane -, segno evidente dell'interesse che i giovani nutrono per le scienze biologiche, una materia che anche sulla stampa fa sempre notizia, nonostante a volte venga guardata dal pubblico con un briciolo di diffidenza. Ma non c'è niente di meglio della conoscenza per sconfiggere la diffidenza». I dati. Le serie storiche fornite dal Miur indicano un calo del numero delle immatricolazioni limitato al 14% dal 1996 al2000, a fronte di un aumento del 51% tra il 2000 e il 2004. «L'incremento dei nuovi iscritti negli ultimi anni - osserva Candia Carnevali - è dovuto soprattutto all'introduzione dei diplomi triennali. La riforma incoraggia i giovani che hanno la preoccupazione di non riuscire ad affrontare un corso di studi di cinque anni. Nonostante questo, sono molti gli studenti che dopo il diploma triennale decidono di continuare con la laurea specialistica. Capiscono che la biologia è una disciplina più -adatta a un corso di studi quinquennale». Per quanto riguarda l'occupazione, l’88% dei biologi trova lavoro entro tre anni dalla laurea, il 51% a tempo indeterminato, secondo l'indagine Istat del 2004 sull'inserimento professionale dei laureati. È troppo presto per disporre di statistiche sull'occupazione dei diplomati con laurea triennale. Le opportunità. «Gli sbocchi professionali per un biologo spaziano dalla ricerca al settore sanitario, dall'ambiente ai laboratori privati fino all'industria», dice Candia Carnevali. «Certo, chi vuole intraprendere la carriera universitaria deve mettere in conto alcuni anni di precariato tra borse di studio e assegni di ricerca». Un indirizzo di studi affine come argomento ma non come impostazione è il corso di laurea in Biotecnologie. «II nostro lavoro - spiega Francesco Lescai, presidente dell'Associazione nazionale biotecnologi italiani - è volto all'applicazione tecnologica delle scienze biologiche. Siamo gli ingegneri della biologia». Giovanissimo - in Italia esiste appena da undici anni - il corso di laurea in Biotecnologie non ha mai conosciuto flessioni, ma una continua crescita delle immatricolazioni. «L'unica flessione registrata negli ultimi anni è quella nel settore agrario, motivata dal timore di non trovare lavoro in Italia, dove le biotecnologie agrarie non godono di buona reputazione». L'albo mancato. Uno studio condotto dall'Anbi nel 2003 mostra che la maggior parte dei biotecnologi trova un lavoro retribuito entro otto mesi dalla laurea. Nel 76% dei casi si tratta di una posizione, inizialmente precaria, in ambito universitario. Poco meno del 24% dei laureati viene assorbito dalle aziende private. «Questo dato - commenta Lescai - non indica disinteresse da parte dell'industria. L'interesse c'è ed è grande: il settore è in rapida crescita, soprattutto in Lombardia, Piemonte e Veneto. Purtroppo, però, in Italia non è stato ancora istituito un albo professionale dei biotecnologi e molte aziende non sanno come muoversi per reclutare il personale di cui hanno bisogno. Il problema dovrà essere risolto a breve termine, per evitare una fuga dei laureati all'estero. Per il momento, meno del 5% di loro ha lasciato l'Italia, ma più del 45% allo stato attuale delle cose la ritiene una soluzione inevitabile». Cr.V. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 16 lug. ’05 PARIGI VUOLE UN MIT FRANCESE PER RAFFORZARE LA COMPETITIVITÀ DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI a La Francia intende fare presto. Entro il 2010 vuole che nelle vicinanze di Parigi veda la luce l'equivalente europeo del Mit (Massachusetts Institute of Technology), "nutrito" da almeno 3mila ricercatori, di cui la metà con passaporto internazionale e metà della Ue. Una scuola di alta tecnologia che a regime disporrà di un budget annuale di 800 milioni di euro, finanziati al 50% da istituzioni pubbliche e private. I siti preselezionati dal Conseil stratégique de l’innovation (Cis) sono cinque. C'è l'arca ex Renault dell'Ile Seguin, al centro della Senna parigina, anche se ritenuta un po' limitata nel caso di uno sviluppo del centro e ci sono poi Versailles, Marne la Vallée e Fontainebleau (sede della prestigiosa Insead). Anche se le preferenze vanno per il Plateau de Saclay a Sud-Ovest di Parigi, già sede di vari centri di ricerca, di università e grandi ecoles di rinomanza internazionale, ma anche del futuro sincrotrone Soleil. AL di là di quella che sarà la scelta definitiva, è chiaro l'obiettivo del presidente Jacques Chirac e del Governo di spingere su tutte le iniziative necessarie ad assicurare un futuro alla Francia. Non a caso nelle ultime settimane è stato un moltiplicarsi di annunci in questa direzione. È dell'altro ieri, ad esempio, la notizia della costituzione di un Haut comitè scientifique, alle dirette dipendenze del presidente della repubblica, che avrà il compito di guidare e di fissare gli obiettivi dell'innovazione nell'Esagono, tenuto conto del fatto che già oggi la Francia investe il 2,2% del Pil nella ricerca e vuole arrivare al 3 entro 4-5 anni. Ha seguito questa stessa logica la costituzione nelle scorse settimane di due agenzie specializzate, l'una nella ricerca e l'altra nell'innovazione industriale che disporranno di importanti risorse (la prima è già stata dotata di 2 miliardi di euro, mentre la seconda dovrebbe riceverne entro 6 e 7) da destinare a nuovi progetti. La filosofia di fondo è quella di riunire in poli specialistici, l'eccellenza di cui dispone la Francia: da quella industriale, a quella universitaria e della ricerca. Facendo interagire queste organizzazioni, mettendo in comune le conoscenze, ma anche i finanziamenti pubblici e privati. È in questo quadro che all'inizio di questa settimana la Francia ha selezionato 67 poli cosiddetti di "competitività", di cui 6 già di livello internazionale, 9 che hanno come obiettivo di raggiungere al più presto la massima categoria e una cinquantina che hanno invece vocazione a rimanere a carattere nazionale. Ovviamente, sia nel caso del Mit, sia dei poli, la Francia invita gli altri partner europei a partecipare a queste iniziative, a farsi avanti. Solo cosi, infatti, si possono creare industrie del calibro di Airbus o finalizzare iniziative come Galileo o come il "supereattore" nucleare Iter. MLC. ======================================================= ___________________________________________________ Il Sole24Ore 15 lug. ’05 I RETTORI LANCIANO L'ALLARME SULLA SANITÀ UNIVERSITARIA ALlarme della Conferenza dei Rettori (Crui) delle Università italiane sulla Sanità universitaria: senza adeguamenti normativi rischia una crisi irreversibile. Motivo: «La sua capacità scientifica è frustrata ed è depauperata di fondamentali risorse finanziarie», ha spiegato il coordinatore della Commissione Crui-Medicina, Salvatore Venuta, che con il presidente dell'organismo, Piero Tosi, e il presidente della Conferenza dei presidi di medicina, Luigi Frati, ha incontrato il coordinatore degli assessori alla Sanità, il toscano Enrico Rossi. La Crui e le Regioni hanno deciso di realizzare un tavolo tecnico per affrontare la revisione del decreto legislativo 517/1999 (sui rapporti Ssn-Università) «per una maggiore valorizzazione dell'attività istituzionale scientifica, didattica e assistenziale universitaria e per la sua integrazione nella programmazione sanitaria regionale e nazionale». 11 sistema della Sanità universitaria è composto oggi da 39 Facoltà, circa 29.900 posti letto e oltre 27.765 nuove immatricolazioni l'anno, tra medicina e le professioni sanitarie non mediche. ___________________________________________________ ItaliaOggi 15 lug. ’05 APPELLO CRUI: SOLUZIONI DOC PER LA SANITÀ UNIVERSITARIA Sanità universitaria vicina a una crisi irreversibile. Questo il grido d'allarme lanciato dalla Conferenza dei rettori delle università italiane a conclusione di un incontro tra il presidente della Crui, Piero Tosi, il coordinatore della commissione Crui medicina, Salvatore Venuta, il presidente della Conferenza dei presidi di medicina e chirurgia, Luigi Frati, e il coordinatore degli assessori regionali alla sanità, Enrico Rossi. Insieme hanno deciso di costruire da subito un'alleanza strategica tra il sistema della sanità universitaria e le regioni per restituire a «questa determinante risorsa il giusto ruolo nell'ambito del sistema sanitario nazionale». Alleanza che si trasformerà in un tavolo tecnico che affronti i problemi relativi alla revisione del decreto legislativo 517/99 in una logica di maggiore valorizzazione dell'attività istituzionale scientifica, didattica e assistenziale universitaria e della sua integrazione nella programmazione sanitaria regionale e nazionale. Il sistema della sanità universitaria conta oggi 39 facoltà di medicina, con circa 29.900 posti letto e oltre 27.765 nuove immatricolazioni annue (tra corsi di laurea in medicina e corsi delle professioni sanitarie). ___________________________________________________ il Giornale 16 lug. ’05 LA RICERCA MEDICA NON DEVE PUNTARE SOLO SULLA GENETICA Gianni Mozzo I *Il mondo cambia velocemente e Spoleto Scienza ne registra, ogni anno, le novità. Questa diciassettesima edizione della grande manifestazione che onora l'Umbria e l'Italia intera, si !;è aperta con un omaggio a Giulio Verne (morto esattamente un secolo fa) ed alle sue mirabolanti anticipazioni. La Fondazione Sigma-Tau ha celebrato il grande «pioniere del futuro» con letture di alcuni suoi testi, a metà tra scienza e fantascienza, con la regia di Massimo Longhi. Scontata un'incursione nell'attualità, affrontata sotto aspetti diversi. L'astrofisico inglese John D. Barrow, per esempio, ha illustrato alcune ricerche condotte nell'Università di Cambridge sugli asteroidi. Ha detto: «Ormai ci rendiamo conto che i pianeti entrano sempre più spesso in collisione con asteroidi e comete. Quale sarà il nostro destino astronomico? E che cosa avverrà all'universo nel suo complesso?». Un altro scienziato inglese, il professor Harold Thimbley, ha tessuto invece l'elogio dei computer, con qualche limite. «La tecnologia dei computer» ha detto «può essere usata a fini buoni o a fini perversi. Possiamo usarli per centralizzare il potere controllando tutto o quasi tutto, o per comunicare liberamente e risolvere problemi importanti». Naturalmente, si è parlato anche di Medicina, in particolare di genetica. Il professor Gilberto Corbellini, cattedratico nell'Università di Roma, ha auspicato che il dibattito sulle applicazioni della genetica nel campo medico diventi «meno astratto». Terreno fertile, questo; terreno aperto a tutte le ipotesi,, anche a quella dell'immortalità, affrontata dal genetista, inglese Aubrey de Urey. Egli giudica «legittimo» cercare strategie per l'immortalità e sostiene che tutti gli studi sull'invecchiamento ne costituiscono la premessa: sono una - fuga veloce- verso una vita sempre più lunga. Non c'è unanimità., su questa «pericolosa speranza». Due scienziati americani, lo storico della Medicina Sherwin Nuland e il genetista Gregory Stock, avanzano 'seri dubbi su una lontana ma possibile «immortalità». Stock, in particolare, sostiene che la genetica non deve rappresentare un alibi per scegliere soluzioni ardite, come la 'clonazione. Il progresso scientifico, afferma, può contare anche sulla genetica ma deve cercare altre strade: «Il futuro non è un'entità astratta mal, qualcosa, che noi stessi dobbiamo costruire». Spoleto Scienza (che si conclude domani) propone, inoltre, nel chiostro di San Nicolò, un singolare «concorso», realizzato in collaborazione col Sole 24 Ore, con Focus e con Radio 24. Questo concorso consiste nel sollecitare «scoperte che possono cambiare 1e sorti dell'umanità». Queste scoperte, sottoforma di testi scritti, dialoghi, poesie, spot, corti cinematografici, commedie, devono essere inviate agli organizzatori di Spoleto Scienza o alle pubblicazioni collegate: Tutti, insomma, possono «costruire» il mondo di domani ______________________________________________________________ Corriere della Sera 15 lug. ’05 MEDICINA, UNO STUDIO SU TRE SMENTITO DA ALTRE RICERCHE Rivisti i risultati di lavori scientifici pubblicati dal 1990 al 2003 Tra le delusioni: gli ormoni post-menopausa e la vitamina E Ordini e contrordini, così vanno le cose in medicina e quel farmaco, che fino a un momento prima faceva bene, ora fa male o quantomeno non è più così efficace. Uno studio pubblicato questa settimana su Jama (Journal of the American Medical Association), la rivista dell' Associazione dei medici americani, dimostra che almeno un terzo delle ricerche, su terapie farmacologiche e non, vengono successivamente smentite o ridimensionate. Un esempio: milioni di donne in menopausa hanno assunto ormoni per prevenire le malattie di cuore. Poi la ritrattazione: non solo la terapia sostitutiva non riduce il rischio cardiaco, ma può aumentare quello di tumore. L' analisi ha preso in esame una serie di lavori pubblicati fra il 1990 e il 2003, compresi 45 studi che inizialmente documentavano l' efficacia di una cura. Ricerche successive, in una sorta di revisionismo terapeutico, hanno ribaltato i dati di sette studi e hanno ridimensionato i risultati di altri sette. «Non è inusuale che anche gli studi migliori e più citati, pubblicati su riviste prestigiose, portino a conclusioni contraddittorie e a volte esagerate» ha commentato l' autore dell' indagine, John Ioannidis, dell' Università greca di Ioannina. Le riviste in questione sono l' inglese Lancet e le americane Jama e New England, le più diffuse al mondo, da cui i media attingono a piene mani per trasmettere notizie a un pubblico assetato di informazione sulla salute, ma sempre più disorientato di fronte a messaggi contrastanti. Ma da dove hanno origine tutte queste contraddizioni?«A volte è un problema di protocollo di studio - commenta Pier Mannuccio Mannucci, clinico medico ed ematologo alla Fondazione Ospedale Maggiore di Milano -. Prendiamo la terapia sostitutiva in menopausa: i primi dati di uno studio di coorte (in cui cioè si osserva nel tempo un gruppo di persone sottoposte a terapia, ndr) avevano evidenziato alcuni benefici, plausibili da un punto di vista biologico, dal momento che con la menopausa viene meno l' effetto protettivo degli ormoni naturali sul cuore. Quando poi sono stati condotti studi controllati (in cui c' è un gruppo che assume la terapia e un altro di controllo che assume placebo, ndr) è venuta fuori la verità: nessun vantaggio, anzi, qualche rischio». Più o meno per lo stesso motivo, l' ossido di azoto si è rivelato inefficace nel ridurre la mortalità in persone con insufficienza respiratoria e una promettente cura con anticorpi contro la setticemia non ha retto a verifiche approfondite. C' è poi il fattore «industria»: a volte quello che ricerche sponsorizzate dalle case farmaceutiche dimostrano (o non dimostrano) viene poi contraddetto da lavori indipendenti.«I contraccettivi di III generazione - continua Mannucci - aumentano lievemente il rischio di trombosi rispetto a quelli di II, rischio che non era emerso da studi sponsorizzati».La lista dei casi citati da Ioannidis comprende anche quello della vitamina E nella prevenzione dell' infarto e della posizione migliore per un paziente con trauma.«La vitamina E - dice Mannucci -, che sembrava efficace nel ridurre il rischio cardiovascolare, non ha retto alla verifica su ampia scala. Per ottenere risultati il più possibile veritieri bisogna spesso lavorare su grandi casistiche». Ma il problema non riguarda soltanto i farmaci. «Spesso vengono ridimensionate o abbandonate anche terapie che prevedono l' uso di apparecchiature - commenta Pasquale Spinelli, oncologo all' Istituto Tumori di Milano -: un esempio è quello della crioterapia per la cura dei tumori. Sono state comperate centinaia di macchine che poi sono finite in soffitta».Adriana Bazzi LA RICERCA FRA TRIONFI E SMENTITE Sul «Journal of the American Medical Association» sono stati pubblicati esempi di scoperte in seguito Le pillole di ormoni contro la menopausa Le pillole di ormoni avrebbero protetto le donne in menopausa dalle malattie al cuore. Ma uno studio più ampio ha rivelato che quel tipo di pillole accresce i rischi Gli anticorpi per fermare la setticemia Un trattamento basato su particolari anticorpi avrebbe dovuto aumentare la sopravvivenza alla setticemia, un' infezione mortale del sangue. Ma l' ipotesi è stata smentita Il potere benefico degli antiossidanti Le sostanze antiossidanti contenute in tè, vino, frutta e verdura ridurrebbero di molto il rischio di attacchi cardiaci. Uno studio ha però dimostrato che i benefici sono modesti JOHN IOANNIDIS Non è inusuale che anche gli studi migliori e più citati portino a conclusioni contraddittorie o esagerate PIER MANNUCCI Spesso vengono ridimensionate o abbandonate anche terapie che prevedono l' uso di apparecchiature Bazzi Adriana ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 lug. ’05 AZIENDA MISTA, SIGLATO L'ACCORDO FRA REGIONE E UNIVERSITÀ TURRITANA "Salvate" cardiologia, oncologia e dermatologia Istituzione entro il 2006 di Gabriella Grimaldi SASSARI. Alla fine, l'accordo è stato raggiunto. Sassari avrà la sua azienda sanitaria mista e una organizzazione ospedaliera tutta nuova, così come è già avvenuto nel resto d'Italia. Superati gli ultimi ostacoli, che vedevano contrapposti l'assessorato regionale e i vertici dell'università turritana riguardo alla distribuzione dei servizi e alla formazione, l'intesa è stata firmata martedì a Cagliari. L'azienda dovrà essere istituita entro il giugno del 2006. Le firme dell'assessore alla Sanità Nerina Dirindin, di Renato Soru, del rettore Alessandro Maida e del preside della facoltà di Medicina Giulio Rosati dovrebbero mettere dunque fine a una stagione di polemiche che ha conosciuto diverse fasi ad alta tensione. Soprattutto quando ci si è trovati a ridistribuire reparti, servizi e, di conseguenza, incarichi di responsabilità all'interno della nuova azienda ospedaliera universitaria. Si tratta di un modello, quello predisposto dall'assessore - basato sui due assi dell'azienda mista e del presidio ospedaliero del Santissima Annunziata -, che dovrebbe razionalizzare l'offerta sanitaria partendo dalla cancellazione di doppioni nei reparti e approdando alla collaborazione costruttiva fra la componente ospedaliera e universitaria. Ma, come era prevedibile, la sola esposizione del progetto e della sua ratio aveva destato timori e perplessità ponendo con asprezza in contrapposizione i medici ospedalieri e quelli universitari. Tanto che una bozza di intesa discussa lungamente in Regione era rimasta "appesa" alle osservazioni del consiglio di facoltà sul destino di alcuni settori scientifici attualmente gestiti dall'università e sede di altrettante scuole di specializzazione. "Assegnando specializzazioni come oncologia, dermatologia e cardiologia all'ospedale - obiettavano i vertici della facoltà - rischiamo di perdere i requisiti minimi richiesti a livello europeo nell'ambito della formazione, requisiti senza i quali i nostri titoli di studio non avranno più valore". Adesso pare che le perplessità siano state superate dall'accordo firmato a Cagliari: il Santissima Annunziata e l'Azienda mista ospedaliero-universitaria avranno circa 950 posti letto complessivi (per adeguarsi alla normativa nazionale), distruibuiti fra le due strutture. È stato chiarito che l'attività didattica in quei settori scientifici non specificamente previsti all'interno dell'Azienda mista (in particolare oncologia e dermatologia) potrà comunque essere svolta nell'ambito del Dipartimento di medicina interna dell'Azienda mista. In questo modo sarà salvaguardata l'attività delle due scuole di specializzazione. È stato poi previsto di inserire esplicitamente la cardiologia (oltre che l'emodinamica, l'unità coronarica e la cardiochirurgia) nel Dipartimento di Emergenza Urgenza del Santissima Annunziata, e di prevedere che l'università svolga lì l'attività di formazione. A propostito di formazione la Regione "in cambio" ha chiesto all'ateneo un impegno a partecipare ad un'analisi dell'offerta dei professionisti del mondo sanitario e del loro livello di occupazione, al fine di favorire una migliore programmazione dell'offerta formativa universitaria. In sostanza: i medici che escono dall'università sono troppi, bisogna rivedere questo aspetto. "Il documento è il frutto di una attenta e complessa valutazione di alcuni punti critici, affrontati sotto il profilo tecnico e programmatorio, nell'interesse generale della popolazione della provincia di Sassari e nel rispetto di quegli obiettivi che la Regione si sta dando sulla base degli obblighi imposti dal Governo centrale - spiega l'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin -. L'accordo conferma in maniera concreta il definitivo superamento del grave ritardo rispetto al quale la Regione Sardegna ha disciplinato i rapporti fra le università isolane e il Servizio Sanitario Nazionale, e si inserisce in una fase di programmazione che consente la nascita dell'azienda mista in un quadro di complessiva riorganizzazione della sanità in Sardegna". ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 lug. ’05 SANITÀ, VOGLIAMO ESSERE COINVOLTI Le organizzazioni sindacali si esprimono sul piano della Dirindin Perplessità sul ruolo dell'università e sulle ricadute del progetto sulla cittadinanza e sui lavoratori di Gabriella Grimaldi SASSARI. "Tutti i piani in teoria vanno bene, è necessario invece capire quali saranno le ricadute soprattutto sulle fasce più deboli". E poi dubbi e osservazioni sul ruolo dell'università nei servizi sanitari, sulla formazione dei medici e sull'organizzazione della futura azienda mista. È questo il succo di una prima riunione convocata dalle segreterie confederali territoriali sul piano sanitario regionale presentato di recente dall'assessore Nerina Dirindin. Le rappresentanze dei lavoratori chiedono anche di essere maggiormente coinvolte nella discussione del futuro della sanità. "Il ruolo del sindacato - commenta Piero Cossu della Cgil - deve essere quello di sollecitare una discussione che abbia un fondamento unitario. Vogliamo svolgere un compito da mediatori in una fase piuttosto delicata". Le organizzazioni sindacali affermano tuttavia che "dall'approccio iniziale è emerso un giudizio articolato, positivo per i contenuti e le filosofia cui il piano si ispira dopo 20 anni dall'ultimo varato dalla regione che tiene conto dei bisogni di salute della comunità sarda senza per questo nascondere preoccupazioni e perplessità che detto strumento per la sua complessità suscita". In particolare, Andrea Ruiu della Cisl, sottolinea che "una sanità di qualità deve passare attraverso il confronto", ed esprime un dubbio: "Che tipo di servizi potremo avere e con quali sacrifici?". Il riferimento è al ruolo che, in una razionalizzazione del sistema andrà ad assumere l'università. "La facoltà di Medicina e Chirurgia - si legge nel documento espresso dall'assemblea sindacale - deve essere posta nelle migliori condizioni per concorrere a fornire la più adeguata assistenza ai cittadini, la più alta e qualificata formazione di medici e personale sanitario e la più avanzata ricerca scientifica". "La preocupazione - conclude Arnaldo Melissa della Uil - è che questo piano appare come un'operazione di tipo ragionieristico. Però, direi che per il momento il giudizio è sospeso. Chiediamo comunque di essere coinvolti in maggior misura nel progetto di una nuova sanità, con un occhio di riguardo, oltre che ai bisogni dei cittadini, alla tutela dei diritti dei lavoratori". Un'ultima osservazione riguarda il futuro dei presidi ospedalieri di Sassari, Alghero e Ozieri: "Rappresentano e devono costituire ancora di più altrettante appropriate sedi di cura, in quanto dotate di importanti e riconosciute professionalità. Servizi ai quali dovranno rivolgersi i cittadini del territorio". Infine, le segreterie confederali hanno deciso di avviare una serie di incontri, iniziando con l'università di Sassari per proseguire con i sindaci di Sassari, Alghero e Ozieri in quanto presidenti della Conferenza dei sindaci e concludere nel mese di settembre con la Provincia e la direzione della Asl n. 1. Nella prima decade di ottobre verrà convocata l'assemblea unitaria dei consigli generali per una valutazione conclusiva del piano e la formulazione delle osservazioni che dagli incontri e dall'assemblea potranno scaturire, "per rivendicare un'attuazione rispettosa e adeguata del piano integrato alle esigenze della Provincia". ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 lug. ’05 PRE-IMPIANTO NEGATO: LA PAROLA ALLA CONSULTA Riaccende la speranza dei promotori del referendum sulla procreazione assistita, usciti sconfitti dalla consultazione popolare di giugno, l’ordirianza con Ili quale il giudice civile -(sezione di famiglia) del Tribunale di Cagliari, Donatella Satta, ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale sull'articolo 13 della legge 40. Il caso è nato dal rifiuto opposto dalla Asl cagliaritana a una donna portatrice sana di beta talassemia che chiedeva di sottoporsi a una diagnosi pre-impianto per un intervento di procreazione medicalmente assistita, procedura vietata dall’attuale legge: Dopo le memorie depositate dall'avvocato della donna,, il 12 luglio anche la Procura della Repubblica aveva inviato un memoria al Tribunale, chiedendo al Giudice di obbligare la Asl a eseguire la diagnosi prenatale pre-impianto per l'embrione che sarà trasferito in un utero. «Non abbiamo mai pensato - é stato il commento del senatore ds Lanfranco Turci, membro del comitato promotore - che il mancato dei quorum al referendum significasse la fine della battaglia sulla legge 40. Anzi abbiamo sempre sostenuto che comunque la legge aveva elementi di incostituzionalità, in primo luogo con il diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione». ___________________________________________________ Il Sole24Ore 12 lug. ’05 SCOPERTE LE STAMINALI «CATTIVE» Ricerca / All'Istituto dei tumori di Milano Uno studio italiano ha identificato le cellule responsabili dello sviluppo del cancro MILANO m Esistono cellule staminali "cattive" responsabili della crescita dei tumori. È questa la conclusione. a cui è giunto un team di ricercatori dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano guidato da Marco Pierotti, in uno studio pubblicato sulla rivista «Cancer research» e reso noto ieri in occasione dei festeggiamenti per gli ottant'anni dell'ente milanese. II ricercatore Dario Ponti è riuscito a moltiplicare in vitro le cellule responsabili dello sviluppo delle neoplasie e a riprodurne un quantitativo sufficiente per testare nuovi farmaci. «Il cancro è composto da una popolazione eterogenea di cellule - ha spiegato Pierotti - e solo il 2%, identificabile in base all'espressione di due antigeni presenti sulla membrana cellulare (CD44 e CD24), è responsabile dello sviluppo del cancro. Sono quelle cellule che, una volta eradicato chirurgicamente il tumore della mammella, ne causano la recidiva e la resistenza ai farmaci. Possiedono molecole in grado di inibire la morte cellulare perché ricche di survivina, una proteina che permette alle cellule tumorali di proliferare». Il risultato della ricerca apre pertanto nuove prospettive nello sviluppo di terapie contro il carcinoma mammario, che potranno in futuro essere focalizzate esclusivamente contro questo «nocciolo duro di cellule irriducibili». Delle cellule staminali "buone", invece, si è occupato il gruppo del professor Paolo Corradini, direttore del dipartimento di Medicina oncologica dell'istituto, in un'indagine che presto verrà pubblicata dal «Journal of Climcal Oncology». Lo studio è stato condotto monitorando 150 pazienti sottoposti a un trapianto di midollo da un donatore familiare tra il 1999 e il 2004. Le staminali "buone" sono quelle chiamate ematopoietiche, che vengono trapiantate insieme al midollo osseo per la loro capacità di curare i linfomi, la leucemia mieloide e il mieloma multiplo. Dopo il convegno, il ministro della Salute, Francesco Storace, ha visitato l'Istituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi, annunciando che, per frenare la fuga dei cervelli italiani all'estero, proporrà la creazione di una "cabina di regia" tra ministero, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e Agenzia italiana del farmaco, «per coordinare gli sforzi sul fronte della ricerca e riallocare le risorse dedicate e rilanciarla». FL.PA. ___________________________________________________ Corriere della Sera 12 lug. ’05 SCOPERTE LE STAMINALI DEL TUMORE AL SENO «COSI LE ELIMINEREMO» Lo studio dell'Istituto dei tumori di Milano apre nuove vie di cura I ricercatori: resistono ai farmaci, ma possiamo batterle MILANO - Le chiamano mammo-sfere, sono piccoli aggregati di cellule staminali: li dentro si sta leggendo il futuro della terapia contro il cancro alla mammella. Primi al mondo, i ricercatori dell'Istituto tumori di Milano sono riusciti a moltiplicare e studiare in provetta queste cellule e hanno presentato í risultati, appena pubblicati sulla rivista Cancer Research, a Milano in occasione degli ottant'anni della costituzione dell'Istituto, alla presenza del ministro della Salute Francesco Storace e del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Ricerca di base, ma che sarà fondamentale per trovare nuovi farmaci contro la neoplasia. Quello firmato da Dario Ponti, Grazia Daidone e Marco Pierotti è il terzo fondamentale lavoro sulle staminali della mammella: i primi due, pubblicati nel 2003 e condotti dal gruppo americano guidato da Mohamed Al Hqjj di Ann Arbor, hanno dimostrato, rispettivamente, l'esistenza di staminali adulte «normali» nella mammella e di staminali «deviate» nel tumore mammario. Ora gli italiani sono riusciti a riprodurre queste ultime e a moltiplicarle in laboratorio cosi da ottenerne in quantità e analizzarle più facilmente, «Le cellule del tumore sono molto eterogenee - spiega Pierotti -. Le staminali rappresentano l’1-5 per cento di tutte le cellule cancerose, ma sono quelle responsabili della sopravvivenza del tumore stesso; le altre sono si tumorali, ma prima o poi si estinguono. Il problema è che, quando somministriamo i farmaci, curiamo la massa, cioè colpiamo inutilmente quel 95 per cento di cellule che comunque non sopravviverebbero, ma spesso "manchiamo" le staminali, di solito più resistenti alle terapie». Le staminali, dunque, sono all'origine del tumore e si può già oggi dire che quante più sono le staminali presenti in una neoplasia, tanto più quest'ultima sarà aggressiva e inattaccabile dai farmaci. Del resto per far attecchire un tumore in un topo è necessaria inoculare un milione di cellule neoplastiche prese nel loro insieme, ma di staminali ne bastano soltanto mille. Ecco perchè lo studio di queste cellule porterà a una vera rivoluzione nella gestione del paziente. Non solo si potranno sviluppare test per la diagnosi di tumore, possibilmente in grado anche di stabilirne la prognosi, ma studiare nuovi farmaci o anticorpi mirati contro le staminali tumorali a differenza di quelli in uso che, invece, «colpiscono nel mucchio». «Si può pensare non soltanto di mettere a punto nuovi composti - dice Pierotti - ma anche di studiare qualche trucco che permetta di utilizzare al meglio quelli già disponibili. Un esempio. le staminali possiedono geni capaci di "buttare fuori" dal loro interno i farmaci: basterebbe bloccare questa pompa e costringere i composti attivi a rimanere dove devono agire». All'Istituto tumori, Dario Ponti ha già cominciato a occuparsi di un altro tipo di staminali neoplastiche che sono all'origine del tumore al polmone e che si possono definire pneumo-sfere. «L'obiettivo è lo stesso - commenta Ponti -. Studiare dapprima la biologia molecolare di queste cellule con l'obiettivo di individuare interventi più efficaci». Ma non ci sono soltanto cellule staminali «cattive»; esistono anche staminali cosiddette «buone» che non producono tumori, ma sono in grado di curarli. E' il caso dei linfomi o delle leucemie, malattie che oggi vengono curate con il trapianto di cellule staminali da donatore. In Europa, nel 2003, sono stati eseguiti 20 mila trapianti e globalmente il 50 per cento dei pazienti guarisce. «Fino ad oggi -spiega Paolo Corradini dell'Istituto tumori - i candidati ideali erano considerati le persone al di sotto dei 50 anni, anche perchè le terapie immunosoppressive, che si somministrano prima del trapianto, hanno un certo grado di tossicità. Ora, grazie alle staminali e a farmaci meno tossici, è possibile trapiantare con successo anche soggetti con più di cinquant'anni». La dimostrazione in uno studia a firma dei ricercatori dell'Istituto in pubblicazione sul Journal of Clinical Oncology. Adriana Bazzi ___________________________________________________ La Repubblica 12 lug. ’05 L'OLIO DI LORENZO FUNZIONA Presentato uno studio di Moser, grande detrattore del farmaco WASHINGTON -L'olio di Lorenzo funziona. Il farmaco scoperto da dite genitori italiani, Michaela e Augusto Odone, per curare il figlio Lorenzo malato di Adl (adrenoleucodistrofia) sembrerebbe avere effetti positivi secondo tino stridio del neurologo Hugo Moser della Johns Hopkins University. Secondo gli scienziati la sostanza, un estratto di olio di oliva e olio di semi di colza, potrebbe prevenire la malattia neurologica. Gli scienziati hanno somministrato l'olio a 89 ragazzini cui l’Adl è stato diagnosticato ma non ha. presentato sintomi. In un articolo pubblicato sulla rivista Archives of Neurology, Moser afferma che il farmaco ha scongiurato i sintomi nella maggioranza dei casi. «Questo studio dimostra che l'uso dell'olio di Lorenzo è in grado di prevenire l'inizio della forma fulminante della malattia cerebrale che colpisce il 50% dei ragazzi con Adl», ha detto Moser, che finora era stato tra i medici scettici. Lorenzo Odone, il figlio della coppia italiana malato di Adl, ha ora 27 anni, e la malattia lo ha paralizzato nella casa della sua infanzia alle porte di Washington. La sua storia è diventata anche un film in cui Nick Nolte e Stzsail Sararldoal avevano la parte del padre e della madre, mentre Moser era Peter Ustialov. Lorenzo Odone aveva 6 anni quando fecero la comparsa i sintomi della malattia genetica degenerativa trasmessa per via materna. I medici lo avevano dato per spacciato, mentre i suoi genitori si chiusero in biblioteca per cercare una cura e misero a punto l'olio che sembrò rallentare la malattia. L'attivismo degli Odoale diede vita al Progetto Mielina, gruppo non profit che cerca di trovare strade per riparare la mielina, lo strato protettivo dei nervi attaccato dall'Adl. Della scoperta non può gioire la madre di Lorenzo, morta di cancro nel 2000, e il padre, malato, si è rifiutato di fare commenti. «Anche se molte persone, me compreso, hanno parlato male dell'olio, questo stridio dimostra che ha un effetto su certi tipi di Adl e mi lascia pensare che è qualcosa di più di un placebo o di una cialtroneria da stregoni», ha ammesso Moser. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 14 lug. ’05 DA UN ANTIBIOTICO SPERANZE PER L'ARTRITE Un gruppo di reumatologi americani ha condotto un esperimento durato due anni e mezzo per valutare l’utilizzo di un antibiotico per combattere l’osteoartrite. I ricercatori, coordinati da Kenneth D. Brandt dell’Università dell’Indiana, hanno provato a verificare l’efficacia della doxiciclina nel rallentare il degrado della cartilagine. Il test, realizzato su 431 donne di età compresa fra 45 e 64 anni che presentavano i primi sintomi della malattia, ha mostrato un rallentamento nella progressione della malattia nel 33% dei soggetti dopo 30 mesi. Il risultato della ricerca, che ha riguardato espressamente il ginocchio, sono stati pubblicati sulla rivista «Arthritis & Rheumatism». Perché tuttavia si possa giungere a una terapia antibiotica per l’osteoartrite occorreranno ulteriori ricerche. ___________________________________________________ Libero 16 lug. ’05 CAMMINARE SU STRADE ACCIOTTOLATE AIUTA A COMBATTERE L'IPERTENSIONE PORTLAND Camminare sui sassi fa bene alla salute e permette di combattere l'ipertensione. Lo dice una ricerca compiuta da studiosi dell'Oregon Research Institute. In particolare è emerso che passeggiare per mezz'ora al giorno su una strada lastricata di ciottoli tiene bassi i valori pressori, e oltretutto migliora l'equilibrio. I test sono stati compiuti su un, campione di anziani di età compresa tra i 60 e i 92 anni, per un arco di 16 settimane. Secondo David Ellison l'effetto benefico delle camminate sui sassi si è rivelato davvero sorprendente soprattutto considerando «la rapidità con la quale le persone ne hanno tratto giovamento». Ellison, della divisione di ipertensione e nefrologia dell'Oregon Science and Health University di Portland, ha scelto non a caso la Cina come luogo per i suoi esperimenti. In questo Paese è infatti noto il valore curativo del passeggiare su strade acciottolate, queste ultime tra l'altro particolarmente numerose anche nei grossi centri abitati. Secondo la tradizione cinese la composizione irregolare del pietrisco stimola efficacemente la pianta del piede, riattiva la circolazione, e migliora complessivamente la salute del corpo. Gianluca Grossi ________________________________________________________ MILANO FINANZA 16-07-2005 BASTA UN ESAME DELLE UNGHIE PER DIAGNOSTICARE L'OSTEOPOROSI A gli esami richiesti in caso di sospetta osteoporosi potrebbe aggiungersi presto un nuovo test che misura la «qualità» delle unghie: se troppo deboli, infatti, sarebbero un campanello d'allarme per questa diffusa e debilitante malattia. L'originale idea è stata proposta da un gruppo di ricercatori irlandesi dell'università di Limerick ed è candidata a ricevere un riconoscimento in occasione dei Medical futures innovation awards che si celebreranno a Londra a fine anno, una sorta di premio Oscar nel settore sanitario. L'intuizione deriva dal dato quasi aneddotico che le persone affette da osteoporosi hanno spesso unghie indebolite, che si rafforzano dopo alcuni mesi di terapia. Indagando più a fondo e a livello microscopico il problema, l'équipe irlandese ha scovato un legame cruciale per mantenere l'integrità di alcune proteine strutturali che conferiscono forza e resistenza a unghie e ossa: nelle unghie questo tipo di legame chimico, detto ponte di solfuro, serve a far aderire tra loro le molecole della proteina cheratina, e nell'osso quelle di collagene. Per misurare la robustezza di un campione di unghia è stato messo a punto un test specifico, il Selectis bone quality test, che si serve di un sofisticato sistema laser, detto Raman. La differenza rispetto ai test convenzionali è che, anziché misurare la massa ossea, il test ne rileva l'architettura andando a indagare a livello microscopico i legami chimici che la compongono. Il legame di interesse è appunto quello dei ponti di solfuro, legami flessibili che si stabiliscono tra due atomi di zolfo di altrettanti amminoacidi (i mattoncini delle proteine) e che conferiscono robustezza a ossa e unghie. Un raggio laser viene inviato sul campione per pochi secondi e l'analisi di come la luce viene riflessa fornisce informazioni sui tipi di legami proteici che mantengono la micro-architettura dell'unghia. I vantaggi di questo metodo sono l'elevata specificità, accanto al fatto che non richiede una particolare preparazione del campione e può essere eseguito in tempi brevi. Per confermare l'accuratezza del metodo i ricercatori hanno esaminato 200 persone sottoposte all'esame più accurato di densitometria ossea. Ebbene, tutte le persone cui è stata diagnosticata l'osteoporosi avevano anche livelli più bassi di ponti di solfuro in ossa e unghie rispetto a quelle sane. «Di solito le persone sono sottoposte all'esame della densità ossea in presenza di fattori di rischio come la menopausa o il fumo. II test potrebbe essere un'alternativa semplice ed economica per stabilire il livello di rischio del paziente o la necessità di ulteriori esami per approfondire la diagnosi», commenta Marc Towler, uno degli autori dello studio. Con il progressivo invecchiamento della popolazione, la diagnosi dell'osteoporosi è un problema più che mai attuale, come rileva una recente ricerca europea che ha coinvolto anche l'Italia: solo i125% delle donne europee sopra i 50 anni è sottoposta agli esami convenzionali, con il risultato che ben il 47% di esse non si considera a rischio. Complice il fatto che l'osteoporosi è una malattia asintomatica, può restare non diagnosticata né trattata per molti anni, finché non si verifica una frattura che spesso riduce la capacità di compiere una vita attiva e indipendente. In questo contesto è evidente che uno strumento in grado di supportare la diagnosi potrebbe fare la differenza. Intanto il lavoro dei ricercatori continua per perfezionare la tecnica, allo scopo di identificare un livello preciso di legami di solfuro indicativo del rischio di osteoporosi. ( ___________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 17 lug. ’05 LE MELE ROSSO FUOCO RICCHE DI ANTIOSSIDANTI La mela di Biancaneve, con la buccia rossa come il fuoco e la polpa bianca come la neve, ha vinto l'oscar fra tutte le varietà di mele. La Red Delicious (mela delizia) contiene infatti la maggiore quantità di antiossidanti, cioè di composti che contrastano nell'organismo l'attività dei radicali liberi, legati a cancro, Alzheimer e disturbi cardiaci. Lo ha dimostrato una ricerca canadese, pubblicata sul Journal of Agricoltural and Food Chemistry, che ha misurato la quantità e l'attività degli antiossidanti in otto diverse Varietà di mele: la Red Delicious ne è almeno sei volte più ricca. Non tutte le mele rosse sono ricche di antiossidanti: la vera, all'apice opposto al picciolo, delizia ha cinque protuberanze che corrispondono al numero dei petali dei fiore. Roberta Salvadori ______________________________________________________________ La Repubblica 14 lug. ’05 L'AUTOPALPAZIONE SERVE ANCHE A LUI Quella ai testicoli dovrebbe essere eseguita una volta al mese, dai 15 anni in su. Come si deve fare di Aldo Franco De Rose * Secondo le raccomandazioni del National Cancer Institute l'autopalpazione del testicolo deve essere effettuata dopo una doccia o un bagno caldo in modo che lo scroto sia completamente rilasciato. - La prima cosa da fare è porsi davanti ad uno specchio, in piedi e verificare che non siano presenti dei rigonfiamenti. Questi non dipendono mai da cause testicolari: può trattarsi di una raccolta di liquido nella cavità vaginale del testicolo (idrocele), di una dilatazione delle vene del funicolo spermatico (varicocele) o di ernia inguinale che ha raggiunto lo scroto (evento molto raro nel giovane). Inoltre un testicolo più basso rispetto all'altro non deve destare alcuna preoccupazione: si tratta di una condizione di assoluta normalità. - Il testicolo va esaminato con entrambe le mani, mettendo indice e medio nella zona inferiore e pollice in quella superiore. Un delicato movimento rotatorio e inizialmente superficiale consentirà di esplorarne la superficie esterna che, in condizione normalità, si presenta liscia, uniforme e di consistenza teso- elastica. La presenza di una formazione sospetta verrà percepita come una irregolarità della superficie, aderente e non spostabile rispetto al piano sottostante, rimanendo fissa al testicolo. - L'esplorazione va quindi continuata nella stessa posizione di prima ma esercitando una modesta pressione; in questo modo si potranno ottenere delle informazioni sulle condizioni più interne al testicolo, avendo la possibilità di percepire, se presente, anche un eventuale nodulo, situato all'interno del parenchima testicolare. Esso potrà avere la grandezza di un pisello o addirittura di una piccola nocciola e risultare più duro rispetto al restante tessuto. Si ricorda che l'autopalpazione, quando effettuata in modo delicato, non determina dolore. Infine non bisogna allarmarsi se un testicolo, complessivamente, risulta un po' più grosso dell'altro. Le sue dimensioni normali possono variare dai 4 a 5 cm di lunghezza. Però attenzione. Un elemento di normalità che è sempre opportuno considerare è la presenza dell'epididimo; esso è situato dietro e lateralmente al testicolo dall'alto in basso e si presenta come una struttura morbida tubulare: l'epididimo può risultare dolorabile quando si tocca in quanto spesso è sede di infiammazioni (epididimite): a volte nel suo contesto si possono apprezzare delle formazioni tondeggianti, non dure, che variano da pochi millimetri a qualche centimetro, simulando a volte anche un testicolo soprannumerario: si tratta di semplici cisti. L'autopalpazione andrebbe sempre eseguita dopo i quindici anni, una volta al mese, in modo da individuare qualsiasi formazione sospetta, nelle fasi iniziali. * Specialista Urologo e Andrologo, Ospedale San Martino-Genova ______________________________________________________________ Le Scienze 14 lug. ’05 UN ONCOGENE DEL MELANOMA Potrebbe costituire un target per futuri farmaci e terapie Un gruppo di ricercatori guidato da scienziati del Dana-Farber Cancer Institute di Boston ha scoperto nelle cellule di alcuni pazienti con melanoma allo stadio avanzato un'anormalità genetica che peggiora le loro possibilità di sopravvivenza. La mutazione potrebbe diventare un target di futuri farmaci o terapie contro i tumori della pelle. Lo studio è stato pubblicato sul numero del 7 luglio della rivista "Nature". "L'identificazione di questa moltiplicazione anomala dell'oncogene MITF - spiega William Sellers, uno degli autori della ricerca - può metterci in grado di sviluppare strumenti diagnostici e prognostici migliori, oltre che fornirci un obiettivo per terapie altamente specifiche per i pazienti con melanoma metastatico che possiedono copie in eccesso di questo gene". I melanomi costituiscono solo il sei per cento dei tumori della pelle diagnosticati negli Stati Uniti, ma causano circa il 75 per cento dei decessi. Provocati principalmente dall'esposizione al sole, i casi di melanoma sono in rapida crescita negli ultimi anni. Se diagnosticati in tempo possono essere curati, ma se le cellule penetrano in profondità nella pelle il tumore può diffondersi con conseguenze irreparabili. Grazie all'analisi dei polimorfismi di singoli nucleotidi (SNP), Levi Garraway, William Sellers e colleghi hanno identificato le regioni dei cromosomi dove i geni risultavano disattivati oppure iper-espressi. Studiando cellule di tumori primari e metastatici, gli scienziati hanno osservato fino a 13 copie extra del gene MITF nel 10 per cento dei melanomi primari e nel 21 per cento dei tumori metastatici. Controllando poi i risultati dei trattamenti dei pazienti da cui erano stati presi i campioni, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti con le copie in eccesso del gene avevano tassi di sopravvivenza dopo 5 anni molto inferiori alla media. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 11 lug. ’05 LA SCOPERTA: DIETE DANNOSE. Meglio il cibo intelligente La ricerca Usa: lo stress da calorie aumenta il colesterolo Esperimento su due gruppi di donne: in forma solo chi apprezza gli alimenti ROMA - Buone notizie per le donne perennemente in guerra con la linea. Le diete non funzionano. Non fanno dimagrire, perché i chili col tempo si riprendono tutti. E non si procurano neppure i benefici di salute che ci si aspetterebbe. In discussione tutti quei regimi alimentari basati su stringati protocolli e calcoli severi di grammi e calorie. Al contrario, mangiare con raziocinio, con porzioni ridotte, ma senza gravose rinunce è un sistema molto più efficace sul piano della forma e del benessere generale. Colesterolo cattivo e pressione ne traggono giovamento in modo duraturo. Si afferma il principio del «mangia quello che vuoi» , non dimenticando però di dare adeguato spazio quotidiano all' esercizio fisico. RILASSATI COL CIBO - Il mito delle diete restrittive subisce una nuova picconata con lo studio pubblicato sul Journal of the American Dietetic Association, numero di giugno. «Si possono ottenere significativi miglioramenti a livello di metabolismo e salute psicologica senza affanni. Potete rilassarvi col cibo», conclude Linda Bacon, Università di California, una delle ricercatrici. Lo studio ha interessato un campione di 78 donne comprese nella fascia d' età più a rischio di obesità, tra 30 e 45 anni. Per 6 mesi la metà ha partecipato a una dieta tradizionale e a un programma basato su una serie di regole: come contare le calorie e i grassi, leggere le etichette degli alimenti al supermercato, aggiornare un diario col resoconto della giornata a tavola, usare la bilancia, esercizio fisico. All' altra metà delle volontarie è stato invece semplicemente consigliato di osservare stili di vita piùmorigerati, non pesarsi, assecondare l' appetito naturale, conoscere le qualità nutrizionali dei cibi, apprezzare il proprio corpo rotondo, sviluppare un' immagine positiva di se stesse, movimento. Un approccio ribattezzato «salute per ogni taglia». I RISULTATI - Dopo 6 mesi le donne a dieta avevano perso chili, ma li hanno recuperati nel giro di due anni, le altre invece sono rimaste stabili, senza però mai ingrassare. La pressione è scesa in ambedue i gruppi, ma le seconde hanno mantenuto i valori. In quanto al colesterolo, solo quelle del «mangia ciò che vuoi» lo hanno visto calare in modo significativo e duraturo. I ricercatori californiani fanno notare: «E' ben documentato che le diete falliscono a lungo termine nel 90-95% dei casi. Noi dimostriamo che anche i miglioramenti di salute e le sane abitudini, ad esempio l' attività sportiva, non vengono mantenuti. Non solo. La qualità della vita peggiora » . Secondo la Bacon, le stesse conclusioni valgono anche per gli uomini. GLI ERRORI - Enrico Arcelli, docente di scienze motorie all' università di Firenze, è d' accordo: «L' attenzione morbosa al cibo è controproducente. Tanto maggiori sono gli obblighi tanto meno vengono rispettati. Le costrizioni non ripagano. Il segreto è assimilare informazioni corrette che aiutano a scegliere e non riducono in schiavitù. E' una delle ragioni per cui sono un convinto sostenitore della dieta a "zona", dove i carboidrati hanno la prevalenza, il 40%, controbilanciati dal 30% di proteine. Uno schema salutare, appagante, non rigido». Nazario Melchionda, endocrinologo, autore di «Le diete fanno ingrassare», riporta l' attenzione sul movimento fisico: «La maggior parte delle persone non ne capisce l' importanza e continua a ridurre l' apporto calorico mentre invece il fattore fondamentale del successo è lo sport. Calare di peso in modo artificiale non fa bene, occorre raggiungere un equilibrio psico fisico » . Nel libro appena pubblicato «Mangiare bene, mangiare sano» Renzo Pellati, specialista in scienze dell' alimentazione, traccia la strada che conduce verso il peso ideale. Così scrive: «L' importante è cambiare lentamente le proprie abitudini alimentari sbagliate. Se il soggetto è forte mangiatore sarà opportuno soddisfare il senso di sazietà con cibi poco calorici, come ortaggi, frutta e con poco condimento. Se eccede in alimenti ricchi di grassi, come formaggi, salumi, carne, dolci farciti di creme, si ridurranno gradatamente le dosi. Se esagera in un solo pasto bisognerà ridistribuirlo in vari spuntini. In ogni caso è un errore demonizzare il cibo». De Bac Margherita