TROPPE UNIVERSITÀ, POCHE RISORSE NUMERO DEGLI ATENEI DA RIDURRE - RICERCA IN POLI D'ECCELLENZA - AUMENTANO I LAUREATI, DUBBI SULLA QUALITÀ - LA SCIENZA DI BASE NON SI MISURA IN TERMINI DI MARKETING - ALLARME CNR: EUROPA IN DECLINO PER L'EMORRAGIA DI "CERVELLI - LE LAUREE BREVI SONO A REGIME DA UN ANNO - ATENEI: LA SAPIENZA PRIMA TRA GLI ITALIANI NELLA TOP 500 MONDIALE - MASTER, LE MIGLIORI SCUOLE SONO FRANCESI - UNIVERSITÀ STRANIERE SEMPRE PIÙ SOSTENUTE DALLE RISORSE PRIVATE - LA VOSTRA SCUOLA RESTA IN DEFICIT DI FLESSIBILITÀ - CAGLIARI: L'UOMO DI STRADA E LE SORTI DEL MAGNIFICO - IL MAGNIFICO MAIDA CERCA IL POKER: CAMBIATO LO STATUTO - MISTRETTA D’ACCORDO PER SALVARE TUVIXEDDU – CONCORSI TRUCCATI NEGLI ATENEI TOSCANI - ======================================================= TRA UN ANNO I PRIMI TRASLOCHI AL POLICLINICO DI MONSERRATO - DS INFURIATI PER I MANAGER - MANAGER, CONGELATO IL CASO BROTZU - MEDICI TROPPO STANCHI - ITALIA PAESE SEMPRE PIÙ EXTRALARGE - IN ARRIVO IL VACCINO PER IL DIABETE DI TIPO 1 - TERAPIA CELLULARE PER L'ARTRITE REUMATOIIDE E LA SCLEROSI MULTIPLA - I CARDIOLOGI: «SIETE TUTTI IPERTESI» - IMPIANTI PIÙ SICURI SENZA INTACCARE L'OSSO MASCELLARE - C’È UN LINK TRA EMICRANIA E INSULINA - RAGGI UV PER FERMARE IL RIGETTO - I RISULTATI DEI FARMACI BIOTECNOLOGICI - LO STRESS EVITA IL CANCRO - PROSTATA, QUELL'ESAME CHE FA DISCUTERE - LA TAC SVELA L'ATEROSCLEROSI - ======================================================= ____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 17-09-2005 «TROPPE UNIVERSITÀ, POCHE RISORSE NUMERO DEGLI ATENEI DA RIDURRE» Troppi atenei, poche risorse. Una dispersione di fondi e cervelli che non fa bene all'università italiana. E rischia di farle segnare il passo rispetto agli altri Paesi. Non è tenero il giudizio espresso da Fabio Roversi Monaco, ex rettore dell'ateneo di Bologna e presidente del collegio dell'Osservatorio Magna Charta Universitatum, durante il convegno annuale che ha visto convergere nel capoluogo emiliano i rappresentanti dei più illustri atenei del mondo. Alle 502 università che, dal 1988 ad oggi, hanno aderito ai principi di libertà e autonomia delineati nella «Carta», se ne sono così aggiunte altre 26: dal Kazakistan alla Colombia, da Israele al Sudafrica, i loro rappresentanti hanno firmato ieri mattina il documento, chiudendo così la manifestazione bolognese. Ma è alla conferenza inaugurale di giovedì, dedicata all’autonomia universitaria nell'equilibrio istituzionale tra insegnamento e ricerca, che i nodi sono venuti al pettine. È necessario, ha affermato Michael Gibbons (Association of Commonwealth Universities), creare un nuovo «contratto» tra società e università. Un contratto, ha chiosato Roversi Monaco, «già aggiornato rispetto alle esigenze del mondo contemporaneo e capace di essere ulteriormente aggiornato con la medesima rapidità che ne caratterizza l'evoluzione». Una sfida che in Italia assume connotati precisi: meno poli decentrati («le università andrebbero ridotte del 50%»), ma anche più flessibilità e turnover («troppi docenti di ruolo, così insegnamento e ricerca sono annacquati»). ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Sett. ‘05 RICERCA IN POLI D'ECCELLENZA Osservatorio della Magna Charta Universitatum Roversi Monaco: «Contratti flessibili e meno atenei» BOLOGNA m Contratti flessibili in avvio di carriera, meno atenei e ricerca concentrata in pochi poli eccellenti. È questa la ricetta per restituire smalto all'università italiana proposta da Fabio Roversi Monaco, già rettore a Bologna e oggi presidente dell'Osservatorio della Magna Charta Universitatum, l'Organizzazione internazionale che vigila sull'applicazione dei principi di libertà della didattica e della ricerca. A questi principi si ispira la Magna Charta, redatta nel 1988 e sottoscritta da 502 Atenei di tutto il mondo. Ieri, nel capoluogo emiliano, hanno aderito all'iniziativa altre 26 Università, dall'Austria alla Polonia, dal Sudafrica alla Colombia, nel corso di una cerimonia a chiusura del convegno «L'autonomia universitaria nell'equilibrio istituzionale tra insegnamento e ricerca». «La ricerca è troppo parcellizzata in Italia - ha detto Roversi Monaco - per questo è in larga parte ripetitiva e scoordinata, bisogna invece concentrare gli sforzi sui centri di vera eccellenza. D'altra parte le Università sono troppe, c'è una grande dispersione di risorse e c'è un numero eccessivo di posti di ruolo, mentre i ricercatori non devono entrare subito e stabilmente nella struttura. Sono necessari contratti flessibili, che diano uno sbocco professionale stabile solo al ricercatore che ha dimostrato quello che vale e che ha prodotto dei lavori». Gli studi accademici in Italia hanno perso terreno dagli anni 60. «Dobbiamo chiederci perché - ha aggiunto Roversi Monaco - da tanti anni non vinciamo un Nobel nelle scienze applicate. Noi siamo partiti da un livello molto alto, ma oggi dobbiamo domandarci che cosa sia successo». Per il rettore dell'Università di Bologna, Pier Ugo Calzolari, invece, la ricerca in Italia «è eccellente>., ma ci vogliono più «laboratori di ricerca privati, che sono solo il 30%» e bisogna incrementare le risorse: «Le università contano su finanziamenti, per studente, che sono la metà della media europea». Sul fronte dei lavori dell'Osservatorio, la cui autorità è solo morale, Roversi Monaco ha ricordato infine alcuni interventi in questi anni, in Kosovo e in Croazia, ma anche in un Land tedesco dove una legge voleva sottoporre la ricerca a una non meglio definita "moralità pubblica". MARIA TERESA SCORZONI ___________________________________________________ Il Campanile 16 Sett. ‘05 AUMENTANO I LAUREATI, DUBBI SULLA QUALITÀ Il punto sulla riforma dell'Università. E a scuola restano bloccate le retribuzioni e le carriere dei docenti Ancora tempi duri per i docenti della scuola italiana. Con stipendi assai lontani dagli standard europei e con una carriera che rimane fissa al palo, l'Italia è l'unico Paese dell’Ue ad avere un corpo docente che dal primo all'ultimo giorno di servizio non ha progressioni di alcun tipo. Né il merito mai introdotto, né l’anzianità, producono miglioramenti di status in favore dei docenti italiani. La riforma del reclutamento e ancora in discussione nelle aule parlamentari e il nuovo contratto di lavoro che si chiuderà nelle prossime settimane non sarà in grado di allineare comunque i salari a quelli europei, mancando i presupposti di base: normativa e risorse. Si ricorda che il 27 maggio era stato siglato l'accordo economico con Palazzo Chigi sul biennio 2004-2005: Il contratto di lavoro di un milione e centomila dipendenti della scuola (850 mila docenti, il resto è costituito da ausiliari, amministrativi e tecnici) è scaduto a dicembre del 2003 e lo stanziamento del governo rischia dì non coprire del tutto la perdita del potere d'acquisto dei salari. Una situazione difficile per i docenti anche se, come ha recentemente affermato il ministro dell'Istruzione e della Ricerca, Letizia Moratti, «dal 2002 l’impegno dello stato nei finanziamenti per la ricerca è aumentato fino a raggiungere l'attuale 0,72% del Pil, contro una media Europea dello 0,6%. Inoltre, i 1.100 milioni di euro sono stati stanziati per 12 programmi strategici in grado di incrementare la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. E intanto l'Italia ha più laureati. E' la prima volta che l'Università. cosiddetta di massa, ribalta cifre che fino a poco tempo fa ci relegavano in fondo alle classifiche internazionali. Dai 235.000 neodottori del 2003 siamo passati ai 269.000 di oggi. Trentaquattromila in più. Non è davvero poco per un Paese che non dava segnali positivi e che si era abituato a considerare gli atenei una stanza di "parcheggio". Drasticamente ridotto anche gli abbonati. Il tasso è sceso dal 65% del 2001 al 40% attuale. E se prima solo 3 studenti su 10 arrivavano al traguardo, ora 6 su 10. Il flop è al primo anno: 1 su 5 getta la spugna. In realtà il 19% di ragazzi che non si iscrive al secondo anno rappresenta una debolezza dei sistema formativo: orientamento insufficiente e mancanza di alternative alle aule universitarie. Positivo il trend delle iscrizioni e della durata degli studi. In aumento il numero di giovani che dopo le superiori scelgono di proseguire: dal 66,55 del 2000 al 72,8% del 2001, fino al 76% attuale. I dati sono contenuti nel VI Rapporto sulle università, presentato ieri dal comitato nazionale di valutazione. Rilevante anche la proporzione di studenti che si iscrivono per la prima volta dopo uno o più anni dai conseguimento della maturità: 1 su cinque, le matricole "attempate" che entrano nel circuita per migliorare la propria condizione lavorativa. Ma la corsa ai fondi nell'ambito del nuovo sistema di finanziamento, fondato sul merito e gli standard di produttività degli atenei, non deve abbassare la qualità dell’insegnamento e della conoscenza. E' sui livelli di conoscenza che si gioca il futuro. Le università trasmettono il sapere, fanno ricerca, producono tecnologie e creano figure professionali che servono al Paese. Devono anche analizzare criticamente la società migliorarne le condizioni, dando un contributo alla soluzione dei problemi più complessi- Ovvero gli atenei dovranno mantenere alla larga lontani da situazioni comunque deprecabili, da una parte non cedendo alle lusinghe del finanziamento facile abbassando i livelli di qualità della conoscenza, dall'altra parte non arroccandosi su una torre d'avorio, elitaria, chiusa nella propria autoreferenzialità. Stefano Quagliarotti ______________________________________________________ La Stampa 14 Sett. 04 LA SCIENZA DI BASE NON SI MISURA IN TERMINI DI MARKETING Dove ci rubano i giovani cervelli lì di sicuro c’è una buona scuola MODESTA PROPOSTA AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE: NON COSTA NULLA E DI SICURO DAREBBE RISULTATI ATTENDIBILI IL problema lungamente dibattuto della "fuga dei cervelli" dal nostro paese sembra avere almeno un risvolto positivo, di cui dovremmo approfittare: ci permette, con un semplice rilevamento, di scoprire le sedi di provenienza dei cervelli in fuga. Poiché, notoriamente, i paesi che li accolgono nei loro laboratori li prendono quasi "a scatola chiusa", cioè sulla base del giudizio che i colleghi stranieri hanno dei risultati dei nostri modi di formazione dei ricercatori e dei docenti italiani che ad essi si dedicano, ecco identificato un metodo semplice e sicuro per riconoscere i "centri di eccellenza". Ma procediamo con ordine, esaminando antefatti e responsabili della fuga che, certamente, non è bilanciata da opportunità analoghe offerte a giovani stranieri. Ormai da qualche anno è sbarrato l’ingresso ai giovani che vorrebbero accedere alla ricerca e in particolare a quella di base; nemmeno un precario co.co.co.: da qui, una espulsione di talenti degna di esodi storici. Un’intera generazione di futuri bravi ricercatori costretta a rinunciare ad un riconoscimento delle loro capacità in patria. Ma non in tutto il mondo è così; anzi, al contrario: le strutture di ricerca di tutti i paesi sviluppati cercano giovani in gamba, con ogni mezzo. E siccome da noi la chiusura dei cordoni della borsa e la sistematica precarizzazione non hanno potuto distruggere la qualità della formazione che è tuttora portata avanti per «orgoglio didattico» internazionalmente riconosciuto, i nostri laureati matematici, fisici, biologi, geologi, chimici vengono assunti con facilità un po’ dappertutto, per giunta con remunerazioni che fanno scomparire qualunque nostra misera borsa di dottorato. Per non dire del fatto che ad essi vengono riconosciute libertà d’azione e responsabilità impensabili negli enti gestiti con logiche aziendalistiche e, al contempo paradossalmente burocratiche. Premesso che qualunque ricercatore è sistematicamente sottoposto ad una rigorosa valutazione da parte della comunità scientifica internazionale, vero ed autorevole interlocutore, il ministro Moratti ha spesso ripetuto che vorrebbe avere una valutazione, fatta a suo modo, dell’eccellenza dei nostri centri di formazione e, di tanto in tanto, minaccia di mettere tutti in riga con valutatori forse esperti di marketing, ma non necessariamente qualificati ad esprimere pareri sulla qualità della ricerca di base (la madre di tutte le ricerche, applicative, tecnologiche, finalizzate). Esiste, a nostro parere, un metodo più sicuro, obiettivo e internazionale per valutare l’eccellenza di tutte le componenti del nostro Sistema Ricerca (Università, Cnr, Infn): basta rilevare da quali centri di formazione vengono prevalentemente i neolaureati accolti a braccia aperte in Usa, Francia, Germania, Inghilterra o dovunque la ricerca di base è apprezzata per quello che è, una risorsa per l’umanità indipendentemente dai profitti a breve. Altro che fuga dei cervelli! Questa è una pesca miracolosa che i paesi civili fanno in casa nostra! Noi pensiamo che sia interesse oggettivo anche dello stesso MIUR fare questa indagine: i consulenti appropriati, che non usino come indicatore di qualità il profitto a breve, ci sono. Questa indagine è probabilmente la maggior soddisfazione che un ambiente maltrattato come quello della ricerca può ricevere in questi anni bui. Il ministro scoprirà che anche i giovani le saranno grati e potrà così provare lo stesso piacere che proviamo noi quando ci fanno capire che siamo ancora buoni professori e buoni ricercatori: insegnare, avviare alla gioia del cercare di capire, è un’arte delle più nobili e raffinate. Certo non tutti siamo grandi artisti dell’insegnamento e della ricerca. Insegnare è impresa collettiva, di una buona scuola, specie se pubblica, disinteressata, molto lontana dai canoni di una mentalità manageriale: perciò, bisogna imparare a riconoscerne la qualità. E’ di queste cose che vive una «civiltà superiore», non della volgarità del mercato o delle aberrazioni della Lega (che vorrebbe chiudere il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste perché ospita ricercatori extracomunitari). Insomma, l’indagine che proponiamo ha la forza dei fatti concreti, come in questo esempio alla buona ma che può aiutare: se uno abbandona per strada una manciata di monete d’oro, il valore di quelle monete è misurato dal fatto che chi passa si precipita a raccattarle. Osservatorio sulla Ricerca: Carlo Bernardini Rino Falcone Francesco Lenci Giulio Peruzzi ______________________________________________________ Repubblica 14 Sett. 04 ALLARME CNR: EUROPA IN DECLINO PER L'EMORRAGIA DI "CERVELLI" L'Europa rischia un grave declino per perdita di conoscenza e di competitività nei prossimi 10 anni: l'allarme viene dalla ricerca "Brain Drain", curata, nella parte italiana dal Cnr (Maria Carolina Brandi e Sveva Avveduto). I dati europei faranno parte del progetto europeo Momo (Monitoring system on career paths and mobility flows). Per ora i dati dicono che tra il 1999 e il 2001 dei 15 mila europei che hanno concluso il dottorato di ricerca (Phd) negli Stati Uniti, 11 mila non intendono tornare in patria e non solo per fattori economici, ma per il prestigio e le possibilità di carriera. Gli italiani tendono a prolungare di più la loro permanenza in Usa. Inoltre, nel 2003, centomila europei con "alta qualificazione" sono emigrati in Usa, di questi 5900 sono italiani, quarti dopo i 31 mila del Regno Unito, i 15 mila francesi e i 13 mila tedeschi. ___________________________________________________ Corriere della Sera 17 Sett. ‘05 LE LAUREE BREVI SONO A REGIME DA UN ANNO e in genere hanno successo. Ma il confronto con le quinquennali crea problemi nelle professioni. Dove gli albi sono separati Può progettare un ponte l'ingegnere con laurea breve? No, non se ne parla. Una costruzione invece sì, purché sia semplice. Qualcosa di più, comunque, della "modesta costruzione" consentita al geometra. Anche se la distinzione spesso non è facile. A un anno dalla consegna delle prime lauree triennali, è tempo di bilanci Per quanto riguarda l'accesso alle Professioni, diversi Ordini-dottori commercialisti, ingegneri, architetti, chimici - hanno risolto il problema dell'iscrizione creando due albi separati: A per gli "specialisti", B per gli "junior". Diverse però le competenze: agli architetti A (con laurea quinquennale) spetta la progettazione, ai B (con laurea triennale) il design e l'architettura del verde. Agli ingegneri A spettano case e strade, ai B il controllo dei cantieri. «Nel complesso il bilancio è positivo» è il parere di Guido Fabiani, rettore di Roma Tre: «Sono aumentati i laureati in corso, la frequenza è più assidua». Secondo l'ultimo Rapporto dei consorzio AImaLaurea (che riunisce 42 atenei) nel 2004 le lauree triennali hanno rappresentato il 34 per cento del totale, contro l'1,2 percento delle specialistiche, il 2,2 a ciclo unico e il 62 per cento di quelle strutturate secondo il vecchio ordinamento. Gli ex studenti triennalisti in due casi su tre hanno deciso di proseguire la formazione: una scelta quasi totale tra gli aspiranti psicologi (91 su 100), molto seguita anche tra i geologi e i biologi (83 su 100), gli ingegneri e gli avvocati (rispettivamente 78 e 77 su 100). «La possibilità della doppia uscita era una scelta obbligata per adeguarci all'Europa» continua Fabiani, «però qualche problema nei programmi è rimasto. II percorso triennale non dovrebbe somigliare a uno quadri o quinquennale "ristretto", ma avere un carattere più professionalizzante. Per esempio, la storia bizantina è un corso adatto a una laurea specialistica, non al primo ciclo». Tra i problemi, resta quello della "spendibilità" del titolo sul mercato del lavoro. Piuttosto confusa la situazione a Giurisprudenza, perché la conferenza dei rettori ha bocciato un'ordinanza ministeriale che cambiava il sistema del 3+2. Nessuna difficoltà invece per la laurea triennale in Economia: « Funziona piuttosto bene» sostiene Andrea Belratti, prorettore alla Bocconi ai Milano. «Alcuni tra i nostri migliori studenti si sono già inseriti in Prestigiose banche internazionali. Per certe professioni - come i revisori aziendali - il titolo breve va bene per iniziare a lavorare sul campo. II resto si fa con l’esperienza. Il percorso ideale ai un giovane dovrebbe prevedere una laurea Junior,un primo lavoro in azienda, poi il rientro all’Università per la specializzazione. Purtroppo, però, in Italia la laurea triennale è considerata ancora di serie B». Nelle facoltà scientifiche, la situazione è variegata: ,La laurea specialistica serve per chi intende dedicarsi all'insegnamento o fare ricerca» spiega Giorgio Fior, preside di Scienze a Pavia. «Per questo è la preferita da quasi tutti gli iscritti a Fisica e Matematica. Ai chimici basta la triennale per inserirsi nell'industria». Intanto all'orizzonte si profila un altro cambiamento. Oggi chi si iscrive al triennio decide al termine degli studi se proseguire o no. Dal 2006/07 il percorso diventerà a Y: un anno comune a tutti, poi la divisione tra chi sceglierà la laurea triennale e chi opterà per la specialistica. In attesa dell’ennesima riforma. ________________________________________ la Repubblica 16-09-2005 ATENEI: LA SAPIENZA PRIMA TRA GLI ITALIANI NELLA TOP 500 MONDIALE SHANGHAI - Nella classifica dei 500 atenei migliori al mondo, "La Sapienza" di Roma si piazza al 97simo posto, prima tra tutte le università italiane. Latop 500 ~ stata stilata, come ogni anno, dall'ateneo di Shanghai "JiaoTong", in base ai criteri legati alle 'performance' accademiche e di ricerca, al numero di studenti iscritti e ai premi Nobel. L'americana Harvard figura prima in una classifica dominata dalle università degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Nei primi 500 ci sono "solo" 23 atenei italiani (168 sono americani) e il Bel Paese" conquista l'undicesimo posto nella classifica generale per nazioni. Tra i primi 150, Milano e Pisa, posizioni più basse, invece, perle università di Padova, Torino, Genova, Cagliari Trieste, Pavia, Genova, Ferrara, Palermo,per la Federico II di Napoli, Tor Vergata di Roma e per la Normale di Pisa. Ma la classifica stilata dall'università cinese è destinata a far discutere. La "Bocconi" di Milano, considerata tra le migliori, è invece agli ultimi posti. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Sett. ‘05 MASTER, LE MIGLIORI SCUOLE SONO FRANCESI LE CLASSIFICHE DEL FINANCIAL TIMES Università e business school europee hanno messo sotto la lente d'ingrandimento del Financial Times, i propri master in management per contendersi i primi posti della classifica dei migliori. Ce l'hanno fatta i francesi che oltre ad essere primi classificati con la scuola Hec (Hautes Etudes Commerciale) e secondi con EscpEap (entrambe hanno sede a Parigi), piazzano in tutto ben sei master tra i 25 classificati in tutta Europa, e quattro tra i primi dieci. A1 terzo posto Cems (Community of European Management schools) - un network di business school europee - di cui fa parte anche la Sda Bocconi. Si difendono le università inglesi, con il master in management della London School of Economics (quarto classificato) rappresentate da cinque scuole in tutto, più l'irlandese Smurfit Business school: segaono gli altri master di Spagna, Germania, Belgio, Scandinavia, Olanda, Austria e Ungheria. Si tratta di una classifica che il quotidiano economico inglese pubblica per la prima volta, mentre è alla sua quinta edizione il ranking dei migliori Mba. Ad essere esaminati con il consueto rigore sono i «Bologna master», poiché nascono dall'armonizzazione dell'istruzione superiore in Europa, sancita nella Dichiarazione di Bologna già nel 1999. Nel sistema educativo composto di tre anni di laurea di primo livello o bachelor (nel Regno Unito di quattro anni), il master di uno o due anni completa il ciclo d'istruzione previsto in cinque anni in tutto. I master presi in considerazione da Ft, non prevedono precedenti anni di esperienza e danno ai partecipanti una preparazione che premette l'assunzione in aziende o multinazionali nei ruoli della gestione e dell'organizzazione, sebbene in posizioni junior, considerata l'età (dai 22 ai 25 anni). La classifica tiene conto tra i criteri che più hanno inciso nella valutazione, proprio del salario guadagnato negli ultimi tre anni dai partecipanti ai master, subito dopo il conseguimento del diploma. Per esempio i francesi di Hec che hanno il frequentato il master nel 2002 e che hanno trovato lavoro nei tre mesi successivi, guadagnano oggi una media di 57.700 curo l'anno, contro i 25.500 della Strathclyde Graduate School di Glasgow al 25° posto. Per la compilazione del ranldng sono stati considerati il livello di mobilità internazionale riscontrata nel percorso di lavoro dei diplomati dalla fine del master ad oggi, l'internazionalità del corso di studi, data dal numero di studenti, professori e direttori di differente nazionalità. Questi i dati, ma le classifiche di Ft sui 25 migliori europei master in gestione, aprono la strada a considerazioni critiche sul mercato dell'istruzione internazionale. Della Bradshaw, che ha orchestrato tutto il lavoro per la realizzazione del ranking (editor, specializzata nella Business e Intenational Education del Financial Times), si chiede nel suo articolo di presentazione dell'iniziativa, se il tentativo di armonizzare la formazione post laurea in Europa non abbia prodotto una grande confusione, con la proliferazione di corsi assimilabili ai «Bologna Master». Si parla di un mercato europeo dell'education di oltre 600 miliardi di euro in costi e spese a carico dei governi. Programmi in merito ai quali i Paesi europei non si sono messi d'accordo nemmeno sulla durata. Nessuna università italiana è presente nella classifica. La Bocconi ha inaugurato i propri master biennali in management nel 2004, mentre l'indagine è cominciata nel 2002. «È vero che scontiamo un ritardo - afferma Andrea Sironi, Prorettore dell'Area graduate della Bocconi - ma i nostri master in management sono in diretta competizione con le scuole di business europee, per livello d'internazionalità e valore degli insegnamenti». LOREDANA OLIVA ___________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Sett. ‘05 UNIVERSITÀ STRANIERE SEMPRE PIÙ SOSTENUTE DALLE RISORSE PRIVATE CONFRONTI I dati Ocse sottolineano di nuovo la scarsa progressione degli stipendi dei professori italiani in relazione ai merito. Nelle università dei Paesi Ocse i fondi privati sono protagonisti , mentre oltre il 90% della spesa per l'istruzione primaria e secondaria proviene ancora da fondi pubblici. 11 ritratto dei sistemi di finanziamento dell'educazione tracciato dal rapporto «Education at a glance 2005» ci mostra una situazione estremamente diversificata e in rapida evoluzione. In generale, dice l'indagine, negli ultimi anni in molti Paesi dell'area i budget pubblici sono diminuiti in funzione del Pil, ma la quota di tali budget attribuita alla spesa per l'istruzione è comunque aumentata, anche se a un ritmo più lento del Pil. Ciò ha permesso di attutire gli effetti negativi sulla qualità e l'efficienza dei sistemi. I Paesi che hanno registrato cambiamenti più significativi nel finanziamento pubblico per l'educazione sono Danimarca, Nuova Zelanda e Svezia. Ma se l'istruzione scolastica è ancora fortemente dipendente dai flussi di risorse statali - la percentuale più alta sul totale della spesa si registra in Corea, dove non si va oltre il 20% - nell'educazione terziaria, che comprende l'università e tutte le attività di formazione post diploma, il peso degli investimenti privati è considerevolmente cresciuto a partire dalla metà degli anni 90. Dal 1995 al 2002, dicono i dati, i contributi privati sono cresciuti di oltre il 5% in Australia, Messico, Portogallo, Repubblica Slovacca, Turchia e Regno Unito. Nell'istruzione primaria e secondaria, invece, le quote dei due flussi di spesa sono rimaste sostanzialmente invariate. Ma l'impegno di fondi privati nell'università non è ovunque di eguale intensità. Si va da meno del 4% in Danimarca, Finlandia, Grecia, Norvegia, fino al 50% in Australia, Giappone e Stati Uniti. Leader della classifica è la Corea, dove la percentuale di risorse provenienti da fonti private raggiunge l’80% del totale degli investimenti. L'Italia può vantare una discreta posizione, con una percentuale che si attesta intorno al 25 per cento. Un valore che - stando alle ultime rilevazioni del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu) sullo stato di salute del nostro sistema - è destinato a salire, visto che, tra il 2001 e il 2003, la capacità dei nostri atenei di attrarre finanziamenti esterni attraverso convenzioni con imprese e istituzioni è cresciuta del 17,6 per cento. AL.TR. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 14 Sett. ‘05 «LA VOSTRA SCUOLA RESTA IN DEFICIT DI FLESSIBILITÀ» Andreas Schleicher è la testa pensante e il promotore entusiasta di tutte le indagini dell'Ocse sui sistemi educativi. Dal suo ufficio parigino di direttore del dipartimento di analisi statistiche del settore istruzione ha "inventato" le due grandi indagini comparate Pisa, sui risultati di apprendimento dei quindicenni, e dirige anche il Rapporto annuale Education at a glance presentato ieri in varie capitali. Dottor Schleicher, come giudica la prestazione dell'Italia? Buona fino alla secondaria superiore, insufficiente all'università, disastrosa nell'educazione permanente, dove vi collocate solo sopra la Grecia e l'Ungheria. L'Italia spende troppo poco? Il problema non è la quantità ma la qualità delle risorse. E vero che in Italia latitano gli investimenti privati per l'istruzione, ma lo Stato spende parecchio. I fondi però vanno tutti in stipendi e non resta quasi nulla per aggiornare le strutture e la preparazione dei docenti, misurare i risultati, premiare i migliori. I difetti strutturali rendono la spesa meno efficiente? Si. Noto nel sistema italiano un deficit di flessibilità. Tutto è rigido, vincolante, tutto è troppo e troppo uguale: molti insegnanti, molte ore di lezione, ma una gamma di opportunità educative ancora troppo ridotta e troppo formale. Oggi l'apprendimento esterno alle aule scolastiche sta diventando sempre più importante, e il vostro Paese non sembra essersene accorto. La formazione post scolastica, che da voi quasi non esiste, sarà sempre più un fattore chiave. Quanto rende oggi l'investimento in istruzione? Moltissimo, e renderà sempre di più, in termini di benessere individuale e sociale. La disoccupazione giovanile colpisce essenzialmente chi non dispone di un buon titolo di studio. Anche se le imprese italiane, per la verità, danno ancora troppo poco spazio ai laureati, specie di primo livello. A.CAS. ______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 17 Sett. 04 L'UOMO DI STRADA E LE SORTI DEL MAGNIFICO Qualcuno si sta chiedendo che cosa accada nell'Ateneo cagliaritano ma non sa bene cosa siano le "modifiche di statuto", Come si dice? "Bisogna mobilitare l'opinione pubblica", spiegare in modo semplice, di là dagli addetti ai lavori, che cosa sta succedendo dell'Ateneo cagliaritano. Un atto di lesa maestà per la Cattedrale del Sapere? Forse, soprattutto se da parte di un docente, seppur marginale al mondo universitario cagliaritano. Opinione pubblica? L'uomo di strada è lontano dai quartieri alti della cultura e dell'accademia. Lo stesso uomo di strada si è accorto che cosa sta succedendo nel mondo, in India, in Cina; legge sempre più spesso che si sta investendo in "conoscenza", sente le stesse cose anche in Sardegna. Potrebbe incuriosirsi anche dell'Ateneo cagliaritano che di quelle cose dovrebbe occuparsi; la stampa locale parla di una "rivoluzione" ai vertici universitari, di nuovi assetti accademici, di un coinvolgimento democratico, di una delle donne nelle stanze dei bottoni universitari. È la rivoluzione copernicana "dell'uomo solo al comando". Il nostro uomo di strada è quasi convinto, ma, insieme, il suo senso comune lo rende anche sospettoso, nei modi della cagliaritanità; è infatti distrattamente informato dalla stampa che sono imminenti le elezioni per la carica rettorale, nel 2006. Legge sempre sulla stampa di "modifiche di statuto", statuto", ma non sa bene di che cosa si tratti, non capisce di meccanismi istituzionali. Mette insieme i tasselli: la "rivoluzione" del Magnifico e le imminenti elezioni; gli spiegano inoltre che la "modifica di statuto" è un marchingegno che permetterà al "sempiterno" di ripresentare la sua candidatura a Rettore; è stato informato che è un marchingegno già usato nelle precedenti elezioni, e per lo stesso Rettore. Ha capito qualcosa anche della "modifica di statuto", cioè di una regola che viene ripetutamente cambiata in corso d'opera. Il nostro uomo di strada non capisce d'istituzioni, ma capisce di calcio ed immagina che un arbitro cambi le regole durante la partita per favorire la sua squadra, ed in due partite successive. È tutto dire: inorridirebbe, con il nostro uomo di strada, anche il mondo del calcio. Il sospetto diventa più forte...... che l'Ateneo sia diventato "cosa privata" per pochi amici e familiari? Il nostro uomo di strada, forse questa volta con una certa insofferenza, vorrebbe capirne di più, senza sospetti, possibilmente dagli accademici della "conoscenza ______________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Sett. 04 IL MAGNIFICO MAIDA CERCA IL POKER: CAMBIATO LO STATUTO Sassari. Il senato accademico cambia le regole elettive, ma i consigli di facoltà frenano Il rettore in corsa per la quarta investitura consecutiva Aria di elezioni all'università di Sassari. In corsa il rettore uscente Alessandro Maida: per lui sarebbe il quarto mandato consecutivo. Non c'è tre senza quattro. Il Senato accademico dell'Università di Sassari spiana la strada al quarto mandato di Alessandro Maida come rettore dell'ateneo sassarese. Lo fa con una delibera con cui modifica due articoli dello Statuto dell'Università. Con la revisione dell'articolo 76 il Senato ha deciso di consentire la rielezione consecutiva degli organi elettivi dell'Ateneo per tre volte. Ossia, via libera al possibile quarto mandato da rettore per Alessandro Maida, confermato, due anni fa, per la terza volta consecutiva alla guida dell'università sassarese. Nel 2006 Maida avrebbe dovuto dire addio al titolo di Magnifico, dopo nove anni consecutivi. Secondo la vecchia versione dello Statuto dell'Ateneo, una sua ricandidatura non sarebbe stata possibile. Con la delibera formulata nella riunione del 14 luglio scorso, il rettore invece potrà calare il poker di mandati. La sua ultima elezione era stata un successo annunciato e indiscusso: Alessandro Maida era l'unico candidato, e aveva ottenuto 530 voti a favore su 658 votanti, l'80,2 per cento delle preferenze. Il Magnifico aveva ricordato la «grande democrazia che regna all'interno del nostro Ateneo». Una democrazia che adesso cambia le regole. Democraticamente. La delibera che potrebbe allungare l'avventura da rettore di Maida, in questi giorni sta passando al vaglio degli undici Consigli di Facoltà dell'Ateneo di Sassari. Agraria, Architettura, Scienze, Lettere e Veterinaria hanno già sposato il documento. Si devono ancora esprimere Lingue, Farmacia, Economia, Medicina e Scienze politiche. Fuori dal coro Giurisprudenza, dove il Consiglio di Facoltà si è opposto. Ha votato no alla possibilità di un quarto mandato per tutti i rappresentanti degli organi accademici. Una rottura che potrebbe creare qualche problema alla quarta corsa di Alessandro Maida verso una poltrona che lo accoglie ormai da nove anni. La delibera del 14 luglio contiene anche un'altra variazione che cambia radicalmente le procedure burocratiche dell'Università. Con la variazione dell'articolo 80, si allarga la composizione del Senato fino a sessanta rappresentanti, e vengono cancellati gli infiniti passaggi burocratici necessari, finora, per la revisione dello Statuto. Niente più 60 giorni di tempo a disposizione di Consigli di Facoltà, Conferenza dei direttori di Dipartimento e Consiglio degli studenti per esprimere il proprio parere in merito alle revisioni deliberate. Via anche i trenta giorni per fare in modo che si esprima la Consulta e il Consiglio di amministrazione: le modifiche dello Statuto decise dal Senato accademico sarà subito adottata in maniera definitiva. Adesso si aspetta che sulla delibera che modifica lo Statuto si esprimano tutte le Facoltà. Poi Alessandro Maida potrà iniziare a pianificare la sua quarta campagna elettorale. Vincenzo Garofalo (Unioneonline) ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 Sett. 04 MISTRETTA D’ACCORDO PER SALVARE TUVIXEDDU L’Università cercherebbe altre aree per gli istituti E Mistretta è d’accordo: «Solo questione di soldi, possiamo sederci e trattare» CAGLIARI. Anche lui, sua Eternità il rettore Pasquale Mistretta: è d’accordo per ricomprare Tuvixeddu, è persino disposto a lasciare le aree del colle destinate nel progetto all’Università. Lui, che molti vedono come ispiratore del piano urbanistico della città, sarebbe pronto a sedersi attorno a un tavolo («anche come semplice osservatore») insieme al sindaco e ai proprietari delle superfici fabbricabili per cercare un’intesa utile ad allontanare il cemento dal sito archeologico. «E’ un problema di soldi - taglia corto il rettore e consigliere comunale indipendente - soltanto un problema di soldi. Se ci sono, l’operazione è possibile. Altrimenti si tratta di parole...». I soldi potrebbero esserci, il sindaco Floris dice che non sono il principale dei problemi, il presidente della Provincia ha offerto un grazioso contributo milionario. Poi c’è sempre la Regione, una Regione che guarda ai siti storici con un occhio di riguardo e che ha istituito - anche se non ancora finanziato - la Conservatoria delle coste proprio con l’obbiettivo di salvare il salvabile: «Sì, una quota qui e una là... se si arriva a fare un accordo sulla cifra non vedo quali ostacoli possano profilarsi. Non c’è più alcun carico di cause - precisa Mistretta - vertenze, è tutto pulito. Ci sono due proprietari e ci sono enti pubblici che sembra desiderino di comprare. Basta sedersi a un tavolo e discutere». Ci sarebbe un problema legato ai diritti dell’Università, che nelle aree sul versante di via Is Maglias dovrebbe realizzare alcuni edifici indispensabili: «Potremmo scorporare quelle aree, che sono ben lontane dalla necropoli - propone Mistretta - oppure cercare altre aree... sì, stiamo lavorando a un’ipotesi che porterebbe Scienze della terra a Monserrato, gli altri istituti potrebbero andare altrove. Se la cosa va avanti non sarà certo l’Università a mettersi di traverso». Da buon urbanista, Mistretta non nega il proprio interesse per la strada, quella destinata a tagliare la città: «Potrebbe essere utile, perchè il carico di traffico su Sant’Avendrace e altre vie del centro sta diventando insopportabile. D’altro canto però, se è vero che gli abitanti programmati per Tuvixeddu sono quattromila, centinaia di auto che entrano ed escono da viale Merello alle ore di punta sono un problema da affrontare». Insomma: al di là degli aspetti tecnici, l’idea di Graziano Milia incassa anche l’ok dell’Università. Peraltro targato Mistretta, uno che vede sempre al di là dell’apparenza con occhi piuttosto disincantati e realisti: «Per me si può fare - chiude il rettore - basta che non chiedano i soldi all’Ateneo, perchè tanto non ce ne sono». Pragmatico, no? (m.l) ______________________________________________________ Repubblica 17 Sett. 04 CONCORSI TRUCCATI NEGLI ATENEI TOSCANI: "TROPPO BRAVO, BOCCIAMOLO" La procura scopre prove manipolate per favorire amici e familiari Ieri a Firenze, l'ultimo caso: un professore rinviato a giudizio di ANTONELLO CAPORALE e FRANCA SELVATICI Un concorso FIRENZE - "Era il migliore, l'abbiamo fregato". Quando i baroni universitari si applicano sono quasi più abili di quei meccanici che taroccano i motori delle auto, quelli che ripuliscono le candelette e i carburatori. "Abbiamo fatto una battaglia terribile. proprio mafia e contromafia. Fare giudizi in modo da fregarne tutti tranne uno o due non è facile, però sto uscendo fuori con una bella lingua italiana, mi sto divertendo". I finanzieri intercettano i colloqui che Paolo Rizzon, ordinario di cardiologia di Bari, sta avendo con alcuni colleghi tra cui Mario Mariani, luminare di vastissima e acclarata fama, docente di cardiologia all'università di Pisa. Le conversazioni telefoniche sono parte dell'inchiesta, non ancora conclusa, della procura di Bari sui concorsi "pilotati" dalla Società italiana di cardiologia. Rizzon ha appena dovuto "fregare" il candidato Eugenio Picano in un concorso per associato di cardiologia alla scuola superiore Sant'Anna, e Picano è "uno che ha seicento punti di impact factor (il punteggio assegnato ai candidati in base alle citazioni ricevute per i loro lavori sulle riviste scientifiche ndr), mentre i più bravi degli altri ne hanno centoventi". Come tutte le cose difficili, far perdere Picano è costato tanta fatica. Altra telefonata ad altro utente: "Non è neanche bello dover fare 'ste cose, insomma!... Almeno a me non è che piaccia tanto! E' per tener contento Mariani. Quindi continuo a pagare". All'università ci sono infatti uomini d'onore: ogni parola è debito. E ogni impegno è un dovere, da hombre vertical. Verticale nel senso che se il papà insegna, un giorno o l'altro insegnerà anche il figlio. La teoria della diramazione per via successoria, la cosiddetta verticalizzazione della cattedra, è esemplarmente racchiusa dalla composizione accademica della famiglia Frati di Roma sulla quale, beninteso, non esiste ombra giudiziaria. Il capostipite Luigi è prorettore della Sapienza e professore ordinario e preside della facoltà di Medicina. La figlia Paola è professore associato, Luciana, mamma di Paola e moglie di Luigi, insegna storia della medicina. Un altro Frati, Giacomo, più giovane, è ricercatore al Campus biomedico romano. Quando la linea verticale si interrompe, accade che si profili quella orizzontale. Moglie, se esiste, o anche solo fidanzata. Ieri mattina il gip del tribunale di Firenze ha per esempio rinviato a giudizio, contestandogli il reato di abuso d'ufficio, un chiarissimo neonatologo fiorentino, il professor Firminio Rubaltelli, ordinario di Pediatria e capo all'unità intensiva di Careggi. E cosa avrebbe fatto Rubaltelli? Sarebbe andato in soccorso della dottoressa Giovanna Bertini. Giovanna ha 28 anni meno di Firminio e all'ospedale si è sempre mormorato che i due formassero davvero una bella coppia. Interrogata sul punto, la Bertini sdegnata una volta ha risposto: "È un pettegolezzo infondato. Ci mancherebbe altro". I finanzieri, perquisendo le dimore degli inquisiti, hanno trovato però una lettera, dal tono amoroso, di Giovanna a Firminio: forse è meglio che si stia prudenti di questi tempi. Il professore sarà processato per avere ripetutamente aiutato la dottoressa Bertini alla quale, scrive il pm nella richiesta di rinvio a giudizio che il gip ha appena convalidato, è legato da "una relazione sentimentale" e anche da un rapporto di interesse in quanto i due sono soci nella srl Neonatologia online. Alla socia e fidanzata Rubaltelli avrebbe fatto in modo di assicurare dapprima, anno 2000, un incarico di ricerca all'ospedale di Careggi, poi, anno 2002, l'avrebbe aiutata a vincere un concorso di aiuto ospedaliero e infine, anno 2004, la stava aiutando per farle salire ancora un gradino: professore associato di pediatria. Quest'ultima prova è stata ritenuta dall'accusa taroccata giacché il bando è parso cucito su misura per la dottoressa amica e socia. Infatti chi avesse voluto parteciparvi avrebbe dovuto documentare profili di studio e di impegno professionale in possesso soltanto della Bertini. Il professor Rubaltelli e la dottoressa saranno processati il 5 maggio dell'anno prossimo. All'università nessun allarme e nessuna reazione. Non si è costituita parte civile. Solo l'azienda ospedaliera l'ha fatto. In Toscana tutto va bene. Gli ospedali sono ottimi, i chirurghi valenti, i docenti illuminati. Non si capisce perché la magistratura e persino i giornalisti si incuriosiscono sul reclutamento all'attività didattica. "Io te lo dissi - non ti ricordi? - te lo dissi la prima volta: non può essere una penalizzazione essere un figliolo di qualcuno". È il 19 aprile 2003 e queste sono intercettazioni ordinate dalla procura di Bari. Gianfranco Gensini, ordinario di medicina interna nonché preside della facoltà di medicina di Firenze, conforta l'amico Mario Mariani, ordinario di cardiologia a Pisa. Mariani è sconcertato per le tante malelingue che assicurano che suo figlio Massimo sia stato aiutato nella sua attività di cardiochirurgo. Mariani: "La solita lettera anonima. un delinquente". Gensini: "Che hanno scritto?". Mariani: "Solite storie della cardiochirurgia. Il nepotismo. Io mi sono rotto...". Gensini: "Si, sì, sì anche perché sennò va a finire che essere figli di qualcuno diventa una colpa grave". Di telefonata in telefonata, i finanzieri pugliesi raggiungono la Toscana. E si accorgono che c'è di tutto e di più. Ogni figlio, è figlio di papà. Il professor Mariani ha mosso mari e monti per aiutare il figliolo Massimo e avviarlo alla carriera universitaria. Mariani è indicato dagli inquirenti, nell'inchiesta che ancora oggi non è conclusa, come uno dei vertici dell'associazione che avrebbe pilotato i concorsi e li avrebbe fatti deviare. Non sempre c'è inchiesta e non sempre c'è intrigo. A Siena non è accaduto niente di penalmente rilevante, e c'è da dire che i protagonisti sono riconosciuti come eccellenti medici. Gian Marco è ricercatore di oculistica, il suo papà Piero Tosi è ordinario di anatomia patologica, nonché rettore dell'università di Siena e presidente della Conferenza dei rettori. Nicola, figliolo del magnifico rettore dell'Università, è divenuto ricercatore di economia agraria. Il papà Augusto Marinelli è ordinario di economia agraria ed estimo rurale. Sonia, figlia di Mario Prestamburgo, è professore associato a Udine. Il suo papà (già deputato dell'Ulivo e sottosegretario nel governo Dini) è ordinario a Trieste. Come un veggente, un professore ordinario di filosofia antica dell'ateneo fiorentino un giorno scrive a una sua collega di Harvard una lunghissima mail nella quale predice promozioni e bocciature: "Una professoressa ha perso la testa per un giovane studioso, che quindi sarà promosso ordinario. Per fare carriera - scrive il professor Walter Lezsl - non bisogna fare buona ricerca e buon insegnamento, ma esercitare altre capacità, come l'attrazione sessuale oppure il servilismo": Nella mail Leizsl racconta tutti i dettagli dell'intrigo, le riunioni dei professori e le loro decisioni prima che i concorsi venissero svolti. Tutte le previsioni si sono avverate. La mail è agli atti giudiziari. Un'altra inchiesta è aperta. ======================================================= ______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 13 Sett. 04 TRA UN ANNO I PRIMI TRASLOCHI AL POLICLINICO DI MONSERRATO Sanità. Gavino Faa, preside di Medicina, parla dell'azienda mista Venticinque reparti che saranno spostati dagli ospedali cittadini al centro universitario Giacomo Bassi giacomo. bassi@gd s.sm ¡ Un anno. Dodici mesi. E i primi reparti universitari dell'ospedale San Giovanni di Dio saranno trasferiti al policlinico di Monserrato. E questo uno dei risultati che il progetto dell'Azienda mista (Asl-Universita) voluto dal Piano sanitario regionale ha gia raggiunto: nonostante l'accordo parta il primo luglio prossimo. LA NOTIZIA arriva dalla bocca del professor Gavino Faa, preside della facolta di Medicina e neo delegato dell'Ateneo cagliaritano per i rapporti con la Regione: áIl progetto dell'azienda mista prevede il trasferimento di tutte le cliniche universitarie dislocate nei presidi ospedalieri cittadini al policlinico di Monserrato: in tutto sono 25. Entro un anno - spiega Faa - saranno trasferite a Monserrato tutte le attivita didattiche di Medicina e la biblioteca biomedica. E poi a ruota i primi reparti dal San Giovanni di Dioâ. Gia questa e Venticinque reparti che saranno spostati dagli ospedali cittadini al centro universitario Giacomo Bassi giacomo. bassi@gd s.sm ? Un anno. Dodici mesi. E i primi reparti universitari dell'ospedale San Giovanni di Dio saranno trasferiti al policlinico di Monserrato. È questo uno dei risultati che il progetto dell'Azienda mista (Asl-Università) voluto dal Piano sanitario regionale ha già raggiunto: nonostante l'accordo parta il primo luglio prossimo. LA NOTIZIA arriva dalla bocca del professor Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina e neo delegato dell'Ateneo cagliaritano per i rapporti con la Regione: «Il progetto dell'azienda mista prevede il trasferimento di tutte le cliniche universitarie dislocate nei presidi ospedalieri cittadini al policlinico di Monserrato: in tutto sono 25. Entro un anno - spiega Faa - saranno trasferite a Monserrato tutte le attività didattiche di Medicina e la biblioteca biomedica. E poi a ruota i primi reparti dal San Giovanni di Dio». Già questa è una notizia: il più vecchio e malridotto ospedale cittadino inizia la smobilitazione. Ma c'è dell'altro. Perché tra poche settimane dovrebbero partire i lavori di costruzione di un nuovo padiglione alla cittadella: «È stato dato in appalto nei giorni scorsi e in due anni sarà completato - continua Faa - Lì saranno disponibili cento posti letto, e allora potremo decidere, sulla base di uno studio sulle priorità, quali reparti “smontare” dai vari ospedali e trasferire in una struttura ben più moderna e attrezzata quale quella di Monserrato». E QUANDO questo padiglione sarà completato, e lo saranno anche gli altri che sono in progetto, allora il San Giovanni di Dio potrà essere chiuso e destinato ad altro: «Chiaro che parliamo di tempi lunghi - prosegue il delegato dell'università - Ma contiamo in cinquedieci anni di smantellare il Civile. Che potrà essere usato per altri scopi». Le ipotesi sul futuro della struttura di via Ospedale sono tante: da centro per anziani a - ed è la possibilità più accreditata, anche all'assessorato regionale alla Sanità - poliambulatorio post degenza. Insomma i pazienti sarebbero operati a Monserrato, che accorperebbe tutte le funzioni delle cliniche universitarie sparpagliate in giro per la città, e tutto il decorso potrebbe essere fatto al San Giovanni. «Non dimentichiamo però - e Faa conclude i suoi programmi - che bisogna che ci sia anche la volontà politica di fare tutto questo. Per adesso il dialogo è costante, siamo fiduciosi». E lo sono anche i pazienti sardi. ? Da otorino a chirugia ?? Sono venticinque i reparti e le cliniche universitarie sparse per i diversi presidi ospedalieri della Asl 8 che dovranno essere spostati nel giro di una decina d'anni al Policlinico universitario di Monserrato. Già è stato appaltato un primo padiglione dove saranno spostati i primi distaccamenti d'Ate neo. ______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 17 Sett. 04 DS INFURIATI PER I MANAGER vogliono più spazio in sanità Tutto fermo sul caso Maninchedda che oggi parlerà al congresso del Psd'Az ? Questa volta è tutta colpa della sanità. A creare malumori all'interno della Quercia sono a quanto pare alcune nomine di manager Asl, in particolare quella di Franco Mulas tornato a Nuoro dopo le dimissioni di Aldo Urru. I MOTIVI del nuovo addensarsi di nubi sono sostanzialmente due: prima di tutto, i Ds vorrebbero più peso specifico all'interno della coalizione nell'attribuzione di incarichi rispetto soprattutto alla Margherita. Ma, stando a indiscrezioni, viene contestato soprattutto il metodo della Giunta: partita dalla volontà di muoversi in base a criteri ben lontani da quelli del passato, sarebbe invece ben presto tornata a vecchi metodi. Proprio questi due motivi sarebbero alla base della decisione di dimettersi da responsabile reginale dei Ds per la sanità di Nazareno Pacifico. Lui non vuole commentare, ma le dimissioni ci sono e la dicono lunga sui conflitti maturati in questi mesi. E proprio ieri un altro esponente diessino molto vicino a Spissu, il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, ha contestato la sospensione del servizio di elisoccorso in una lettera di protesta all'assessore Dirindin, che invece ha deciso di prorogare il servizio a Cagliari fino al 15 ottobre. In serata, la Dirindin ha invitato Ganau a non alimentare inutili polemiche fra nord e sud sottolineando come l'attivazione dell'elisoccorso solo nei mesi estivi era cosa nota. Si sarebbero invece calmate le acque all'interno del gruppo, dove giovedì sera si è a lungo discusso dell'attacco di Renato Cugini a Spis-regiosu, accusato di portare avanti una politica da resa dei conti. Ufficialmente il gruppo ha preso le difese di Spissu, ma c'è chi assicura che l'onda lunga del dissenso si solleverà a breve, sia nel partito che in coalizione. la questione dello spostamento di Paolo Maninchedda dalla prima alla seconda commissione con contestuale decadenza dalla presidenza decisa da Spissu. Nella riunione di gruppo la linea del capogruppo Siro Marrocu porta direttamente alla richiesta di dimissioni di Maninchedda. Ma lo stesso Marrocu aveva concordato con i colleghi di maggioranza di chiedere a Spissu di autorizzare Maninchedda a convocare il parlamentino (la cui presidenza pare sia ora rivendicata da Ds o Margherita non intenzionati a lasciarla a Progetto Sardegna) per discutere le dimissioni. Il braccio di ferro continua: intanto Maninchedda oggi parlerà al congresso del partito sardo d'azione a Cagliari. SARA PANARELLI ______________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 04 MANAGER, CONGELATO IL CASO BROTZU La Giunta indica Mulas a Nuoro e rinvia le dimissioni di Meloni La Giunta ha nominato Franco Mulas manager a Nuoro. Rinviata invece la discussione sulle dimissioni di Meloni. Subito la notizia: a Nuoro arriva, o per meglio dire torna, Franco Mariano Mulas, il manager che appena il 10 agosto scorso era stato sostituito da Aldo Urru. A deciderlo ieri mattina è stata la Giunta Soru che ha anche preso atto ufficialmente delle dimissioni presentate una settimana fa da Urru, chiamato all'Asl 3 il 2 agosto e rimasto in carica poco più di un mese. Neppure una parola invece sul caso Brotzu e sulle dimissioni rassegnate dal direttore generale Franco Meloni in aperta polemica con l'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin. Neppure una parola ufficiale perché, in verità, in viale Trento la questione non è stata affatto ignorata. Non poteva che essere così. E infatti mentre sul tavolo dell'esecutivo si formalizzava la destinazione di Mulas, la tempesta che si è abbattuta sull'azienda sanitaria di Cagliari, è entrata informalmente al tavolo dei tredici. Nessuna delibera quindi sul Brotzu, segno che la soluzione del caso non sarebbe ancora a portata di mano. Il ritorno La decisione di richiamare Mulas, trova pareri favorevoli bipartisan nel mondo politico sardo, certamente sulle capacità del professionista. Opposizione e maggioranza sembrano concordare, in generale sulla persona. Caustica invece la minoranza sul metodo adottato dall'esecutivo regionale. «Niente da dire sulle capacità della persona e il livello professionale dimostrato», attacca il capogruppo dell'opposizione Giorgio La Spisa (FI), «è da sottolineare però come l'azione della maggioranza su queste nomine sorprende giorno dopo giorno. È evidente lo stato di confusione che fa emergere i soliti contrasti interni». La nomina di Mulas, rivelano fonti vicine all'assessorato, sarebbe stata una scelta quasi obbligata all'indomani dell'addio di Urru. Al manager, che politicamente viene collocato vicino al coordinatore regionale della Margherita, Antonello Soro, sarebbe stato chiesto «un impegno professionale all'insegna della discontinuità rispetto al passato, un rinnovamento della gestione, partendo proprio dai buoni risultati raggiunti». I retroscena Mulas sarebbe stato portato direttamente dalla Dirindin. E questo viene assicurato da più parti in viale Trento. Come anche la convergenza su questo nome da parte Ds, Margherita e naturalmente dal presidente Soru. Un imprimatur a tre che, assicurano dal Palazzo, sarebbe stato siglato in un confronto riservato nei giorni scorsi tra Soru, Soro e Giulio Calvisi. Il caso BrotzuLa questione è congelata. Per due motivi: il primo perché, detto in soldoni, l'esecutivo è visibilmente in stallo. Nel senso che non ha ancora trovato la soluzione. La questione è tutta in salita perché, come viene serenamente ammesso dalla stessa maggioranza «il dopo Meloni è quanto di più delicato». Il secondo motivo è invece di facciata e di opportunità: prendere atto oggi delle dimissioni del manager del Brotzu senza indicare il sostituto non giova all'immagine. L'argomento va nel freezer, si prende tempo e si raffreddano gli animi. Dalla discussione di ieri una cosa sembra però assodata: «politicamente» le dimissioni di Meloni sarebbero state accolte. Le energie dell'esecutivo sono invece rivolte altrove. Appunto alla ricerca del manager da piazzare al Brotzu. La strappo con Meloni sarebbe invece di esclusiva competenza del presidente della Giunta. A Soru il non facile compito di chiarire la questione direttamente con l'interessato. La Dirindin al momento resta in seconda fila, d'altra parte lo stesso manager dimissionario ha rimesso il suo incarico al governatore, snobbando l'assessore. Un dettaglio, quest'ultimo, che avrebbe compromesso la candidatura di Meloni alla direzione della futura azienda mista del Policlinico, nomina da concordare con l'Università. L'indiscrezione Un esponente diessino racconta di un fuori programma sulla nomina del manager nell'Asl di Sanluri, ieri non in agenda. Secondo questa fonte, qualche attimo prima di iniziare la Giunta, un assessore avrebbe detto: «Attenzione non dimentichiamoci del Medio Campidano». Il nome di Bruno Palmas, il primo della lista tra i papabili per occupare quel posto, è arrivato subito dopo. Immediata la replica del presidente Soru che avrebbe sollevato un'accezione importante. Palmas, stimato medico oristanese, sarebbe incompatibile per via della sua carica politica di segretario provinciale Ds della federazione di Oristano. La questione ha creato qualche momento di imbarazzo. «Tranne per la Dirindin che senza alzare lo sguardo dal foglio su cui scriveva, si sarebbe fatta scappare un "divertito" sorriso». Per i Ds invece il caso è serissimo. Roberto Ripa ______________________________________________________ Le Scienze 13 Sett. 04 MEDICI TROPPO STANCHI Negli Stati Uniti è stato fissato un massimo alle ore di lavoro settimanali Le lunghe settimane di lavoro dei medici tirocinanti li lasciano così stanchi che i loro tempi di reazione sono quasi paragonabili a quelli di un ubriaco. Lo sostiene uno studio pubblicato sulla rivista “Journal of the American Medical Association”. Sottoposti a una simulazione di guida, i dottori con 90 ore di lavoro settimanale hanno ottenuto risultati peggiori di quelli che lavorano 44 ore cui erano stati fatti bere alcolici fino a raggiungere un livello di alcol nel sangue dello 0,05 per cento. I guidatori con un livello di alcol nel sangue dello 0,08 per cento sono considerati ubriachi. I risultati della ricerca rispecchiano quelli di uno studio precedente che aveva rivelato che i turni troppo pesanti producono il 50 per cento in più di errori con i pazienti. Un sondaggio fra il personale ospedaliero ha mostrato inoltre che i medici che lavorano troppo hanno tre volte più probabilità di essere coinvolti in incidenti automobilistici. Secondo il rapporto, le nuove regole istituite nel 2003 hanno abbassato il numero di ore di lavoro per i medici tirocinanti americani fino a un massimo di 80. “I medici - spiega Todd Arnedt dell’Università del Michigan, autore dello studio - devono essere consapevoli che il poco riposo può influenzare la loro capacità di riconoscere il livello delle proprie prestazioni. I programmi di tirocinio dovrebbero considerare questi rischi al momento di progettare i turni di lavoro e le strategie di gestione.” ______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 12 Sett. 04 ITALIA PAESE SEMPRE PIÙ EXTRALARGE il Sud ingrassa, l'Isola tiene la linea Il 9,1 per cento della popolazione supera i limiti di guardia del peso: il 4,5 per cento dei bimbi colpito dalla malattia Nell'Unione Europea quasi un decimo della spesa sanitaria è assorbita dai pazienti affetti dall'eccesso di stazza Marco Mostallino marco. mostallino@gd s.sm ¡ Come sempre si comincia da piccoli. Ed e cosi che li vedi tristi al supermarket spingere il carrello insieme alla mamma, perche su quel carrello non riescono ad arrampicarsi e sedercisi dentro come vorrebbero. E cosi che li vedi in spiaggia sudati e col fiatone, alla caccia di un pallone che non raggiungeranno mai. E il peggio e che oltre alla palla rischiano di non raggiungere nemmeno la vecchiaia. Sono i bambini obesi, il quattro per cento della popolazione fra i tre e i sedici anni in Italia, il 4,5 per cento dei piccoli sardi. Quote in crescita, secondo i dati della Societa scientifica italiana per l'obesita (Sio), anche fra gli adulti: il 9,1 per cento degli italiani ha gravissimi problemi di stazza, mentre il 33,4 per cento e decisamente sovrappeso. Con una media pari a quella nazionale, l'Isola e la meno grassa tra le regioni del Sud (le piu colpite dall'obesita), dove la punta e la Campania con il 36 per cento di e xtralarge. TOTALI che preoccupano, perche conducono l'Italia verso il solito modello degli Stati Uniti, dove oltre il 50 per cento degli abitanti e fortemente sovrappeso, con un tasso di obesita elevatissimo. Il nostro Paese, testimoniano i dati Istat e Sio, e sulla medesima cattiva strada: tra il 1994 e il 1995 gli obesi erano il 6,3 per cento dei cittadini, diventati (nel 2000, ultimo dato disponibile) il 9,1. I medici come l'endocrinologo cagliaritano Guido Almerighi (presidente regionale Sio, responsabile Struttura semplice per l'obesita della Asl 8) parlano apertamente di áepidemia di obesità in Italia e nell'Unione Europea, oltre che negli Usa. Il guaio è che il grasso in forte eccesso non è solo causa di fastidi e piccole o grandi inabilità quotidiane, ma fa crescere a dismisura il pericolo di infarti, malattie vascolari e respiratorie oltre che - effetto collaterale - la spesa pubblica: negli stati dell'Unione Europa la parte di quattrini destinata agli obesi oscilla tra il due e l'otto per cento del budget sanitario complessivo. Ma l'elemento più impressionante riguarda i farmaci: una persona con gravi problemi di peso costa in farmaci il 78 per cento in più della media per assistito. Peso, rischio di malattie e di morte precoce, aumentano di pari passo al costo delle cure per il sistema pubblico. Comunque lo si osservi, quanto accade in Italia è estremamente preoccupante anche perché i bimbi grassi di oggi saranno gli obesi di domani. Nel Piano sanitario nazionale del 2002 sono state inserite le linee guida per campagne di informazione ed educazione a stili di vita sani. Campagne che sono in atto, anche nei centri specializzati delle Asl isolane, ma che non fermano un fenomeno in espansione. Per capire, in fondo non serve nemmeno studiare statistica. Basta un salto al supermarket, per vedere famiglie di quattro persone per quasi mezza tonnellata di peso riempire carrelli di hamburger e merendine e di bibite zuccherose, frizzanti e e colorate. ? IL PROBLEMA È CULTURALE Guido Almerighi ENDOCRINOLOGO, PRESIDENTE SIO L'o b esità è una malattia polifattoriale, in quanto dipende da più fattori: dal patrimonio genetico, dagli stili di vita errati, dall'ambiente “tossico” nel senso di offerta sbagliata di cibo e di bevande. Tra gli adulti obesi, chi ha cultura e informazione prende coscienza della propria situazione e si pone di probldi affrontarla. Gli altri, e l'obesità cresce con il decrescere del livello culturale, non sanno invece cosa fare o cos attribuire la propria condizione e provano anche vergogna e imbarazzo. L'obeso ha un'aspettativa di vita inferiore alla media e va incontro di solito a incidenti di tipo cardiovascolare o cardiorespiratorio. Tra i bambini l'obesità può provocare piedi piatti, gambe “a ics” e problemi respiratori. I bambini obesi subiscono anche conseguenze psicologiche e problemi gastroenterologici. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 13 Sett. ‘05 IN ARRIVO IL VACCINO PER IL DIABETE DI TIPO 1 La sperimentazione /.Primi i..,risultati ,a fine anno. . ATENE Un vaccino "desensibilizzante", simile a quello che si usa per ridurre l'allergia, potrebbe diventare in futuro un'efficace arma terapeutica contro il diabete di tipo 1, che colpisce circa centoventimila italiani, soprattutto bambini e adolescenti. A fine anno dovrebbero arrivare i primi risultati degli studi di fase due, mirati a valutare la sicurezza del principio attivo e la sua efficacia al dosaggio di un'unica iniezione sottocutanea una volta al mese. La notizia rimbalza da Atene, dove è in corso il congresso dell'Easd (European association for the study of diabetes) Per il momento è in corso uno studio pilota su trentasei pazienti che coinvolge il Campus biomedico di Roma e centri a Dusseldorf e a Londra. «Se i dati saranno positivi a inizio 2006 partiranno altri due studi di fase clinica III, che coinvolgeranno nove centri europei tra cui l'Italia, con il Campus Biomedico di Roma come coordinatore perla penisola», spiega Paolo Pozzilli, ordinario di Endocrinologia al Campus biomedico di Roma. Il prototipo di vaccino punta in pratica a rendere nuovamente tollerabile per il sistema immunitario una piccola porzione della proteina che il sistema immunitario dei diabetici di tipo 1 considera "sbagliando", diversa dall'organismo, scatenando quindi anticorpi contro di essa. Quindi si tratta di una vera e propria desensibilizzazione che si protrae nel tempo. Nell'attesa di un vaccino che potrebbe liberare dalla necessità delle quotidiane iniezioni di insulina per sostituire dall'esterno l'ormone mancate, c'è comunque da registrare l'avanzata delle cosiddette insuline inalatorie, in grado di evitare il ricorso alle iniezioni. Ad Atene è stato presentato uno studio su pazienti che hanno utilizzato una particolare insulina da "aspirare" che ha determinato valori di glicemia simili a quelli ottenuti con insulina iniettata. La scienza, tuttavia, non si limita a cercare soluzioni per curare il diabete, ma punta anche a capire meglio l'origine degli stretti rapporti tra l'obesità e l'insorgenza della malattia. Secondo una ricerca condotta all'Università di Ancona coordinata da Saverio Cinti pubblicata sul «Journal of Lipid Research» infatti a favorire l'insorgenza delle complicazioni dell'obesità sarebbero cellule normalmente attive nel sistema immunitario, i cosiddetti macrofagi. Lo studio chiarisce i meccanismi attraverso i quali i macrofagi, incaricati di "fagocitare" quanto rimane delle cellule adipose al termine del ciclo vitale, interferiscano con l'azione dell'insulina. FEDERICO MERETA _______________________________________________________ marketpress.com 13 sett. 05 SCIENZIATI SPAGNOLI SVILUPPANO UNA TERAPIA CELLULARE PER L'ARTRITE REUMATOIIDE E LA SCLEROSI MULTIPLA Bruxelles, 13 settembre 2005 - Un gruppo di ricercatori dell'Istituto di parassitologia e biomedicina del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (Csic, Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo) di Granada ha sviluppato con successo nei topi una terapia cellulare per due delle principali malattie autoimmuni, ossia lartrite reumatoide e la sclerosi multipla. In entrambi i modelli sperimentali, gli scienziati sono riusciti a far scomparire i sintomi e a indurre un'inversione del processo degenerativo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati questa settimana sull'edizione digitale della rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences" (Pnas). Le malattie autoimmuni insorgono quando il sistema immunitario, che di norma protegge il corpo da malattie e infezioni, attacca se stesso, e possono colpire molte parti dell'organismo, come i nervi o i muscoli, nonché causare morbilità e invalidità significative e croniche. La terapia si avvale di un certo tipo di cellule, nello specifico quelle dendritiche, che iniettate negli animali colpiti da questi disturbi generano cellule T regolatorie (Tr), responsabili del mantenimento della tolleranza immunitaria. Mario Delgado, scienziato del Csic e a capo del gruppo di ricercatori, spiega: "L'analisi dei meccanismi cellulari ha rivelato che le cellule dendritiche inducono la crescita di nuove cellule Tr negli animali trattati e che queste cellule neutralizzano in modo specifico le cellule immunitarie che attaccano componenti delle articolazioni, nel caso dell'artrite reumatoide, o la mielina che riveste i nervi, nel caso della sclerosi multipla". La terapia è risultata efficace anche con cellule Tr create in vitro. In entrambi i casi, la risposta è stata indotta utilizzando un neuropeptide immunosoppressivo noto, il peptide intestinale vasoattivo (Vip), che è una proteina prodotta dalle cellule linfatiche e da quelle neurali nota agli scienziati per essere un potente agente antinfiammatorio. II gruppo di ricercatori guidato dal dottor Delgado ha studiato per dieci anni l'uso del Vip su un modello di sclerosi multipla. II processo terapeutico inizierebbe con l'estrazione di cellule ematiche o midollari dal paziente affetto dalla malattia autoimmune. Queste cellule verrebbero trattate con il Vip affinché si trasformino in cellule dendritiche. Infine, le cellule potrebbero essere iniettate nel paziente in modo che inducano la crescita di nuove cellule Tr, con conseguente recupero della tolleranza immunologica. Una terapia alternativa potrebbe essere basata sull'uso delle cellule dendritiche regolatorie in vitro per generare cellule Tr che potrebbero quindi essere inoculate nel paziente. II dottor Delgado spiega che "i risultati ottenuti con gli animali sono molto promettenti", pur mostrandosi cauto riguardo alle possibili applicazioni nell'uomo, avvertendo che in questo caso si tratterebbe di "una terapia cellulare personalizzata i cui costi sarebbero elevati". II suo impiego potrebbe tuttavia essere giustificato in quanto per alcune malattie degenerative non esiste alcun trattamento alternativo efficace. La sclerosi multipla (Sm) è una malattia neurologica cronica e grave, largamente diffusa in tutto il mondo. Si tratta di una patologia che colpisce preferibilmente giovani adulti, ha alti costi sociali e costituisce una vera emergenza a livello clinico e sociale. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 14 Sett. ‘05 I CARDIOLOGI: «SIETE TUTTI IPERTESI» Nove ultra-cinquantenni europei su dieci sarebbero ipertesi, in base alle ultime linee guida per la prevenzione elaborate da un comitato composto da rappresentanti di tutte le associazioni di cardiologi del Continente. Il 90%, quindi, supera i valori limite stabiliti: 140 per la pressione massima e 90 per la minima. Tutti malati, dunque? Non tutti gli specialisti sono d'accordo con una visione così drastica della situazione. II confronto. Steinar Westin e Iona Heath, autori di un editoriale pubblicato sul «British Medica] Journal», non ci stanno. «Anno dopo anno, abbiamo via via abbassato le soglie patologiche della pressione sanguigna e del colesterolo - dicono -. Oggi etichettiamo come malate persone sostanzialmente sane, le sottoponiamo per tutta la vita a trattamenti farmacologici preventivi, esponendole al rischio di effetti collaterali, a volte anche seri, a fronte di benefici di dubbia entità». Le risposte alle critiche di Westin e Heath non si sono fatte attendere. Esperti di tutta Europa si sono pronunciati sulle pagine delle riviste mediche. Anche in Italia c'è chi difende la validità delle linee guida e chi manifesta perplessità. Tra i difensori c'è anche Giuseppe Mancia, direttore del Centro interuniversitario di fisiologia clinica e ipertensione dell'Università di Milano-Bicocca, che delle linee guida europee è coautore. «Ampi studi epidemiologici dimostrano che mantenere la pressione sanguigna sotto la soglia di 140/90 comporta sensibili benefici per la salute: non c'è dubbio sull'evidenza di questi dati», dice. Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale, condivide invece le critiche esposte nell'editoriale del British Medica] Journal. «Le soglie fissate sono il frutto di un'interpretazione dei dati epidemiologici - spiega -. Occorre adottare dei modelli di interpretazione ragionevoli. È auspicabile intervenire sui soggetti a rischio consigliando un cambiamento dello stile di vita e, se occorre, prescrivendo opportuni farmaci. Non è ragionevole medicalizzare tante persone con un margine di beneficio minimo perché, a fronte di una riduzione limitata dei casi di malattie cardiovascolari, si rischia di sforare il tetto della spesa sanitaria per l'acquisto dei farmaci antipertensivi. Gli stessi soldi, impiegati in un settore diverso, consentirebbero di salvare più vite umane». In Italia. Lo scenario temuto da Westin e Heath, la medicalizzazione di massa degli ultra-cinquantenni, oltre a non essere auspicabile secondo alcuni, è concretamente poco attuabile. In Italia, per esempio, solo una piccola parte della popolazione che risulta ipertesa in base ai parametri delle linee guida si sottopone a controlli medici periodici e ha ricevuto una diagnosi di ipertensione. Sono 13 milioni in tutto il Paese e solo il 21 % di loro assume con regolarità i farmaci prescritti per il controllo della pressione sanguigna. La ragione è evidente: non è facile per una persona priva di sintomi e disturbi accettare di sottoporsi a una terapia farmacologica per prevenire eventuali future malattie, una terapia che può comportare effetti collaterali sgradevoli, come la tosse persistente che colpisce il 5-6% dei pazienti che assume Ace- inibitori. Lo stile di vita. Una soluzione per abbassare l'incidenza delle malattie cardiovascolari senza incrementare a dismisura la prescrizione di farmaci ci sarebbe: cambiare stile di vita. Tutti concordano che in questo modo si abbatterebbero i fattori di rischio nel 60% dei casi. Purtroppo, però, modificare le abitudini di un'intera popolazione è molto più difficile che somministrare medicine. «Negli ultimi tre anni, il ministero della Salute ha varato una serie di iniziative che puntano nella direzione giusta. Da questo punto di vista, il nostro Paese può considerarsi all'avanguardia in Europa», conclude Claudio Cricelli. Maria Cristina Valsecchi PER TRE ITALIANI SU 10 LO SCOMPENSO NON È UNA MALATTIA GRAVE Pochi sanno che più diffuso dell’infarto è lo scompenso cardiaco, un indebolimento del cuore che non riesce a pompare con sufficiente forza il sangue. Che affluisce con difficoltà ai tessuti e agli organi, riducendo rapporto di ossigeno e nutrienti. «In Italia, i malati di scompenso cardiaco sono oltre mezzo milione, più o meno f1% della popolazione. Ogni giorno negli ospedali vengono ricoverate oltre 500 persone con questa malattia - dice Alessandro Boccanelli, direttore dell’Unità operativa di cardiologia dell’Ospedale S. Giovanni di Roma -, per un totale di oltre 180mi1a nuovi casi all’anno». Eppure, solo tre italiani su 10 ritengono che lo scompenso cardiaco sia una malattia grave e due su 300 sono in grado di descriverne i sintomi. Per questa ragione, il Gruppo di studio europeo sullo scompenso cardiaco (Shape) ha annunciato la II Settimana europea detto scompenso cardiaco. La manifestazione, dal 21 al 27 novembre, coinvolgerà 50 centri specializzati dislocati su tutto il territorio italiano, a disposizione dei cittadini per fornire spiegazioni e l’opportunità di fare un check-up. Per informazioni: www.scompensocardiaco- europa.com. ___________________________________________________ Il Giornale 17 Sett. ‘05 IMPIANTI PIÙ SICURI SENZA INTACCARE L'OSSO MASCELLARE Felicita Donalisio E’ noto che non tutte le persone possiedono osso sufficientemente allo e largo da, poter consentire l'inserimento dei comuni impianti a vite. Per cause patologiche o per conformazione naturale, l'osso può essere sottile, basso o vuoto, per la, presenza di grandi seni mascellari nell'arcata superiore. Queste complicazioni si aggravano quando abbiamo problemi di masticazione. «Prendiamo i1 caso di una persona dal fisico robusto che impegna grande forza, muscolare in questa, importante funzione. Nella sua bocca, impianti di piccole dimensioni non resisterebbero nel tempo», dice il chirurgo implantologo Antonio Di Giulio, già professore di Chirurgia maxillo-facciale e tecniche Implantologiche, membro dell'ADI (Association of dental implantology UK) con studi a. Milano, Roma e Londra. «Per fortuna sono oggi disponibili metodiche implantologiche che consentono di aiutare anche i pazienti con queste problematiche. il caso dell'impianto iuxta-ossea che, tra l’altro, permette di esercitare una maggiore forza di masticazione perché costituito da due barre contrapposte che imitano la divaricazione delle tre radici, anch'esse divaricate dei molari superiori. La messa a punto della versione moderna della metodica iuxta-os sea, efficace nei casi difficili e nelle situazioni senza complicanze, è stata possibile grazie alla, disponibilità, di due diversi tipi di materiali che vengono abbinati: da un lato il titanio, metallo altamente biocompatíbíle e facilmente osteointegrabile, dall'altro una sostanza biologica che ha la proprietà di trasformarsi in osso del ricevente (una matrice di collagene neutro riassorbibile, impregnata di granuli ossei liofilizzati e demineralizzati). Con queste; due sostanze si è realizzato lo "iuxtaendo". Un impianto che non penetra nell'osso come le viti, ma lo circonda. Si evita in tal modo la metodica dell'inserimento degli impianti nell'interno dell'osso, che diventa complessa nei casi di penuria o inconsistenza ossea. Inoltre, con lo "iuxtaendo" non è necessario sottoporsi alla TAC, quindi si assorbono meno radiazioni». Continua Di Giulio: «Con lo "iuxtaendo", realizzato in titanio puro, si semplifica l’intervento, poiché, aperta la fibrocumosa gengivale, viene rilevata un'impronta di precisione dell'osso e sul suo modello si realizza l'impianto. L'osso quindi non viene minimamente toccato. Realizzato in speciali laboratori, l'impianto viene applicato sull'osso con estrema precisione. Viene poi completamente ricoperto dalla sostanza biologica ossificante, che si trasforma in osso del soggetto. Lo "iuxtaendo", così definito poiché è iuxta (vicino all'osso) ed endo (endosseo), diventa a tutti gli effetti un impianto endosseo, essendo inserito tra due sostanze ossee, quella del paziente e quella apposta dall'operatore. Si è ottenuto così un impianto simile alle viti endossee senza però avere intaccato l'osso al suo interno, ossia la midollare, così detta perché è più tenera della corticale ossea, esterna, su cui si ancora lo "iuxtaendo". Con questo impianto l'operatore ha la sicurezza di non invadere delicate strutture adiacenti. Questo impianto, applicabile anche su chi non ha disponibilità di osso, è universale. In questi casi, le alternative alla metodica iuxtaossea ancora oggi maggiormente praticate sono rappresentate da procedure che prevedono un intervento chirurgico preliminare per l'incremento della struttura ossea, con prelievo di osso da altri distretti dello scheletro e conseguente apertura di due campi operativi e lunghi tempi di attesa". ______________________________________________________ La Stampa 14 Sett. 04 C’È UN LINK TRA EMICRANIA E INSULINA CHI SOFFRE DI CEFALEA SPESSO E’ ANCHE OBESO E HA IL DIABETE DI TIPO 2 LA SCOPERTA GETTA UNA NUOVA LUCE SU UN DISTURBO MOLTO INVALIDANTE L’EMICRANIA è una malattia neurovascolare cronica che nei paesi occidentali colpisce il 15 per cento della popolazione, in prevalenza giovani donne. La malattia si caratterizza per l'improvvisa comparsa di crisi di cefalea pulsante, accompagnate da nausea, vomito e fotofobia, che possono durare sino a 72 ore. A volte l'attacco è preceduto da una complessa sintomatologia neurologica caratterizzata da disturbi della vista, formicolii al volto o ad una metà del corpo, disturbi del linguaggio e della forza. In questi casi si parla di emicrania con aura. Anche al di fuori delle crisi, i pazienti emicranici possono avere disturbi di entità variabile, come intolleranza alla luce e agli odori, alterazioni della pressione arteriosa, malattie allergiche come asma e dermatiti, disturbi dell'umore di tipo depressivo. Le conseguenze sulla vita sociale e lavorativa sono sempre molto invalidanti. Di recente l'OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, organismo dell’Onu con sede a Ginevra, ha classificato l'emicrania come una tra le venti malattie che sono maggiormente responsabili di disabilità. La qualità della vita del paziente emicranico, infatti, è significativamente alterata sia dalle crisi cefalalgiche sia da annesse patologie psichiatriche (disturbi d'ansia e disturbi depressivi), vascolari (ipertensione, vasculopatia cerebrale) e allergiche. Da anni è noto che esiste una stretta relazione tra emicrania ed obesità. In sostanza, l'aumento del peso corporeo aumenta la gravità e la durata degli attacchi emicranici, facilita la comparsa di crisi di emicrania con aura ed è considerato un fattore di rischio per la trasformazione di una forma episodica in una forma cronica di malattia (cefalea cronica quotidiana). Inoltre, numerosi farmaci che vengono utilizzati nella profilassi dell'emicrania possono facilmente indurre un significativo aumento del peso corporeo, complicando un quadro clinico particolarmente delicato anche dal punto di vista emotivo. Le cause di questa particolare associazione tra emicrania ed obesità erano, ad oggi, ignote. Recentemente abbiamo scoperto a Torino una interessante e significativa correlazione tra l'emicrania e il metabolismo dell'insulina. Nel lavoro appena pubblicato su «Cephalalgia», rivista scientifica dell'International Headache Society, abbiamo riportato le conclusioni di alcuni test che hanno misurato la sensibilità all'insulina in un gruppo consistente di pazienti emicranici. La sensibilità all'insulina, un indice della capacità del nostro organismo di utilizzare il glucosio a livello cellulare, è risultata significativamente alterata nei pazienti emicranici. Questa malattia, quindi, si caratterizza per uno stato di insulino-resistenza, condizione in cui vi è una risposta ridotta alle azioni metaboliche dell'insulina con un costante aumento delle concentrazioni di glucosio e di insulina nel sangue. E' ben noto che l'insulino- resistenza è una condizione di rischio per patologie gravi come l'ipertensione, l'obesità e il diabete tipo II. Questa scoperta spiega l'aumentato rischio per obesità e patologia cardiovascolare del paziente emicranico. I risultati dello studio torinese sono stati ripresi da «Nature Clinical Practice», che ne ha sottolineato gli importanti risvolti clinici. Il paziente emicranico, così come qualsiasi soggetto, se effettua una attività fisica regolare può ridurre in modo significativo lo stato di insulino-resistenza migliorando tutti i parametri metabolici e riducendo l'intensità e la frequenza degli attacchi di cefalea. Uno stile di vita sano con una moderata attività fisica dovrebbe essere sempre seguito dal paziente emicranico. Di recente sono entrati in commercio alcuni farmaci che migliorano la risposta all'insulina nel paziente diabetico. L'utilizzo di questi farmaci nell'emicrania potrebbe costituire una nuova prospettiva di profilassi farmacologica per tenere sotto controllo questa malattia. ______________________________________________________ La Stampa 14 Sett. 04 RAGGI UV PER FERMARE IL RIGETTO LA luce ultravioletta potrebbe forse sostituire i farmaci immunosoppressori oggi necessari per evitare il rigetto di organi trapiantati. A offrire questa possibilità è la "fotoferesi", una tecnica che, nata per curare alcune malattie della pelle come psoriasi e linfoma cutaneo, sta muovendo i primi passi nella terapia antirigetto. Le basi cellulari di questa sua azione, scoperte al centro di ricerca dell’ospedale «Bambin Gesù» di Roma da Andrea Lamioni e Rita Carsetti e riportate sulla rivista «Transplantation», faranno decollare la fotoferesi nella chirurgia dei trapianti, ha dichiarato entusiasta il direttore scientifico della struttura ospedaliera pediatrica Gian Franco Bottazzo. «E’ un passo avanti importante - dice Bottazzo - soprattutto nei trapianti pediatrici che oggi costringono il bimbo a prendere farmaci immunosoppressori per anni, con molti effetti collaterali sulla sua crescita e qualità di vita». La fotoferesi potrebbe essere applicata anche su pazienti allergici o con malattie autoimmuni come il diabete giovanile, una possibilità già dimostrata su un bambino con un difetto ereditario nella regolazione dei meccanismi di tolleranza immunitaria. La differenza genetica tra donatore e ricevente rimane ancora oggi un grosso problema nei trapianti, anche quando l'organo è compatibile. Dopo un trapianto bisogna sopire le difese del paziente poiché il sistema immunitario, che per sua natura riconosce l'organo come un intruso e tenta di eliminarlo, può causare il drammatico evento del rigetto acuto e, più spesso, i sintomi lentamente progressivi del rigetto cronico. «Oggi l'immunosoppressione, che pure si è molto affinata con il passare del tempo e la scoperta di nuovi farmaci, non ce la fa ancora ad evitare il rigetto cronico», dice Bottazzo. Con l'intento di trovare una valida alternativa agli immunosoppressori, al «Bambino Gesù» da qualche anno si trattano i piccoli pazienti con la fotoferesi extracorporea, una macchina che "spara" sul sangue del paziente trapiantato raggi ultravioletti. Questi, per così dire, "addestrano" il suo sistema immunitario a tollerare il nuovo organo, senza comprometterne, però, la funzione di guardia del corpo contro le infezioni come fanno i cocktail di immunosoppressori. Il bombardamento di raggi ultravioletti "stordisce" le cellule di difesa rendendole moribonde. I ricercatori hanno scoperto che queste, una volta reinfuse nel sangue del paziente, sono intercettate da cellule dendritiche che, come spazzini, le eliminano. Il lavoro di questi spazzini induce l'aumento di una popolazione di cellule sentinella identificate di recente, le T regolatorie (Treg), spiega Bottazzo. Ad esse spetta il ruolo di mantenere la tolleranza a tutti i nostri organi e tessuti. A giudicare da studi su topolini, le Treg sono cruciali nella modulazione del rigetto di un organo trapiantato e anche nel mantenimento della gravidanza, situazione in cui il feto rappresenta l’"intruso". Il loro aumento, opera della fotoferesi, induce una maggiore tolleranza immunologica che si estende anche all’organo estraneo. Le Treg sono sentinelle intelligenti perché, al contrario degli immunosoppressori, adempiono alle loro funzioni senza indebolire il sistema immunitario nel suo complesso. In altre parole, le Treg non influenzano le nostre capacità di difesa contro i germi patogeni, permettendo all'organismo di continuare a reagire contro di essi. È l’aumento delle Treg, ribadisce Bottazzo, la base dell’effetto immunomodulante della fotoferesi. In pratica, la tecnica avvia un fenomeno di immunosoppressione fisiologico e naturale di cui le Treg sono principali artefici. Si aprono ora importanti scenari sul ruolo delle Treg nelle malattie autoimmuni e nelle allergie, condizioni che potrebbero beneficiare in futuro del trattamento con fotoferesi e del conseguente aumento delle Treg. Paola Mariano ______________________________________________________ Repubblica 14 Sett. 04 I RISULTATI DEI FARMACI BIOTECNOLOGICI Riescono a colpire con maggiore precisione le cellule malate e a risparmiare invece quelle sane di Marco Venturini * Negli ultimi cinque anni i maggiori progressi della ricerca sul tumore del seno hanno riguardato le terapie. In particolare, i cosiddetti farmaci "intelligenti" capaci di colpire bersagli molecolari specifici del tumore e rispettare il più possibile il resto dell'organismo. Un altro progresso è la possibilità di selezionare tramite test genetici le pazienti che avranno più probabilità di rispondere ad un determinato farmaco, con il doppio vantaggio di ridurre la tossicità dei trattamenti e di utilizzarli, se pur tossici, solo in donne con alta probabilità di risposta al farmaco stesso. Ad esempio, circa il 30% delle pazienti con tumore mammario, produce un'elevata quantità di una proteina, chiamata HER2, fondamentale per la crescita del tumore. Contro l'HER2 è stato messo a punto un farmaco, il trastuzumab, anticorpo monoclonale impiegato con successo negli anni passati per trattare il tumore mammario metastatico. Scarsi gli effetti collaterali con l'eccezione di un certo grado di cardiotossicità in meno del 4-5% delle pazienti trattate. In seguito, l'anticorpo monoclonale è stato utilizzato associato alla chemioterapia, nei tumori del seno in fase iniziale, subito dopo il trattamento chirurgico. I risultati, riportati a maggio di quest'anno all'ASCO, sono davvero incoraggianti. Il trastuzumab ha ridotto il rischio di ricaduta del 50%. La sopravvivenza libera da malattia a 4 anni nelle pazienti trattate con sola chemioterapia è stata del 67%, mentre in quelle trattate con chemioterapia più trastuzumab è stata dell' 85%. In questi mesi è stato avviato uno studio coordinato dall'Istituto Tumori di Genova, dall'Istituto Regina Elena di Roma e dall'Università Federico II di Napoli, che coinvolge più di 100 centri sul territorio nazionale e oltre 2000 pazienti in post menopausa, per verificare, con un prelievo di sangue, la presenza nelle donne di un polimorfismo sul gene CYP19, che sembra correlato ad una migliore risposta a farmaci ormonali quali gli inibitori dell'aromatasi. Un altro esempio di come attraverso la farmacogenomica si possa rispondere al meglio ai bisogni delle pazienti e ai vincoli economici arriva da un altro studio. Sappiamo che il tamoxifene, farmaco ormonale usato da oltre 30 anni con risultati di estrema rilevanza, aumenta il rischio di fenomeni tromboembolici, soprattutto nelle donne che presentano un polimorfismo del Fattore 5 di Leyden, anch'esso dimostrabile tramite un esame del sangue. L' evidenza suggerisce che in queste donne sia meglio evitare il tamoxifene e passare ad altro farmaco simile. Un ultimo esempio di terapie innovative è il bevacizumab, anticorpo monoclonale che blocca la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono il tumore e che sta dando interessanti risultati nelle metastasi. Resta da chiarire come selezionare le pazienti da trattare. Questi sono solo alcuni degli esempi più recenti di come il trattamento del tumore al seno stia rapidamente evolvendo, aggiungendo armi ai trattamenti tradizionali. * Divisione oncologia medica Istituto dei tumori, Genova ______________________________________________________ Repubblica 14 Sett. 04 LA TAC SVELA L'ATEROSCLEROSI Ci si confronta sulla Tac a 64 sezioni ma già si parla di quella a 128. Il futuro tecnologico diventa presente ad un ritmo sempre più serrato. Già adesso, rimanendo nel campo della cardiologia, per visualizzare gran parte delle lesioni non è necessario eseguire esami invasivi: con la Tac di ultima generazione si riescono a ottenere immagini nitide e molto significative anche dei vasi coronarici di calibro minimo. "Questo apparecchio è in grado", spiega Filippo Cademartiri, cardio-radiologo all'Erasmus Medical Center di Rotterdam e responsabile dell'Imaging cardiovascolare non invasivo dell'università di Parma, "di rilevare la presenza di placche aterosclerotiche all'interno delle coronarie, le lesioni che sono alla base dell'infarto del miocardio, evitando la coronarografia convenzionale. La valutazione di queste placche utilizzando software di nuova concezione consentirà a breve di prevenire anche l'ischemia acuta del miocardio". "Ma attenzione", conclude il cardio-radiologo, "questa indagine non è ancora applicabile a tutti i pazienti perché un esame di buona qualità presuppone la riduzione della frequenza cardiaca durante l'esame, mentre l'esposizione ai raggi X costringe una severa selezione delle patologie". ______________________________________________________ Repubblica 14 Sett. 04 PROSTATA, QUELL'ESAME CHE FA DISCUTERE In occasione della Giornata europea della malattia un convegno di studi sul dosaggio del Psa Lo screening del tumore alla prostata, attraverso la ricerca del valore dell'antigene prostatico specifico (PSA), ha portato alla scoperta precoce di molti cancri, ma anche ad una situazione d'eccesso di diagnosi e di cura della malattia. Per fare il punto sul corretto approccio alla malattia si apre oggi a Milano il Convegno: "PSA: passato, presente e futuro. Il Carcinoma della prostata va trovato o cercato?", che rappresenta la manifestazione scientifica italiana della Giornata Europea contro le malattie prostatiche. Il Convegno è organizzato da Francesco Rocco, direttore dell'Unità Operativa di Urologia del Policlinico di Milano e Ordinario di Urologia dell'Università di Milano con il sostegno della Fondazione per la Ricerca e la Terapia in Urologia RTU onlus. "Il pregio maggiore di queste giornate di lavoro, che si concludono il 17 settembre, è l'avere riunito allo stesso tavolo gli autori dei lavori più importanti, comparsi nella letteratura scientifica mondiale negli ultimi anni", racconta Rocco, "in particolare ci confronteremo sul ruolo del PSA: i nuovi dati degli studi internazionali introducono molte considerazioni sull'utilizzazione clinica di questo marker e sulla reale incidenza del tumore della prostata; tanto che è stato messo in discussione il valore di 4 nanogrammi/millilitro, al di sotto del quale si riteneva assente questa patologia". Il dosaggio del PSA nel sangue ha sostituito sempre più spesso la tradizionale Esplorazione Rettale Digitale (DRE) nella diagnostica differenziale delle malattie della prostata: e così il Cancro Prostatico non è stato più trovato nel corso di una visita clinica motivata dalla sintomatologia del paziente, ma cercato dosando il PSA non solo nel malato ma anche nell'uomo apparentemente sano come esame di screening. (antonio caperna) ______________________________________________________ Le Scienze 16 Sett. 04 LO STRESS EVITA IL CANCRO La scoperta contraddice i risultati di studi precedenti Secondo uno studio di ricercatori danesi, pubblicato sulla rivista "British Medical Journal" e basato sulle risposte a un questionario di circa 7000 donne vissute a Copenhagen fra il 1981 e il 1983, elevati livelli di stress quotidiano possono abbassare il rischio di un tumore del seno. La scoperta contraddice i risultati di ricerche precedenti, secondo i quali lo stress raddoppiava il rischio. Gli scienziati ritengono che dosi regolari di stress facciano bene mentre un breve periodo di stress intenso, come quello dovuto a un lutto improvviso, sia dannoso. Secondo alcuni esperti, lo studio non chiarisce se lo stress sia o meno un importante fattore di rischio per il tumore del seno. All'inizio della ricerca, gli autori avevano chiesto alle donne quale fosse il livello di stress da loro sperimentato nella vita di tutti i giorni, classificando i risultati secondo livelli bassi, medi e alti. Lo stress era definito come tensione, nervosismo, impazienza, ansia o mancanza di sonno. Naja Nielsen dell'Università di Aarhus e colleghi hanno poi guardato se le partecipanti avessero sviluppato un tumore nel corso dei 18 anni successivi. Nel caso di 251 di loro, questo era avvenuto. L'analisi dei dati ha rivelato che le donne che avevano denunciato alti livelli di stress avevano il 40 per cento di probabilità in meno di sviluppare un tumore rispetto a quelle con bassi livelli di stress. Per ogni aumento di livello di stress su una scala da uno a sei, le partecipanti avevano l'8 per cento di probabilità di meno di sviluppare un tumore. I ricercatori suggeriscono una spiegazione per questi risultati: uno stress continuo e sostenuto potrebbe agire sui livelli dell'ormone femminile estrogeno, che nel corso del tempo potrebbe influenzare la probabilità di sviluppare un tumore del seno. Questa ipotesi, però, non è stata ancora provata e finora la ricerca in questo campo è stata limitata principalmente agli animali.