UNIVERSITÀ, PASSA LA RIFORMA - UNIVERSITÀ, SCONTRI SULLA RIFORMA - SI ALLA RIFORMA, L'UNIONE NON VOTA - IL SILENZIO DELLA SARDEGNA SENZA DISSENSO NÉ CORTEI - ANCHE ASPETTI POSITIVI IN CATTEDRA PIÙ GIOVANI - UN GIURISTA CONTRO LE FALSE RIFORME - TOSI:DECRETO CONFUSO E FRETTOLOSO - UNIVERSITA': IL CATALOGO È QUESTO - DOCENTI PRONTI A OCCUPARE LE UNIVERSITÀ - IL TESTO DELLA RIFORMA - LAUREE BREVI E ALTRI PASTICCI COSÌ È DEMOLITO IL TITOLO DI «DOTTORE» - LAUREATI TRIENNALI? LE AZIENDE RESTANO FREDDE - LA RIVOLTA DEI RICERCATORI «CON 800 EURO NON SI VIVE» - CAGLIARI: L'UNIVERSITÀ NON DÀ LEZIONI DI DEMOCRAZIA - A LEZIONE NELLA PROPRIA CASA UN NUOVA VIA PER LAUREARSI - CAGLIARI: ADDIO LIBRETTO UNIVERSITARIO - LA CRISI NERA DI ECONOMIA E COMMERCIO NUOVA “FABBRICA” DI DISOCCUPATI - SCOSSA DI TERREMOTO AD ATLANTIS - UN MONDO FATTO SOLO DI BIT - ======================================================= FINANZIARIA 2006: PIU’ FONDI PER LA SANITA’, CONTRATTO SPECIALIZZANDI - CON LA MANOVRA ARRIVA IL TAGLIO DELLE LISTE D'ATTESA - LA LEGGE SULLE RADIAZIONI RISCHIA DI OSTACOLARE I MEDICI - LONDRA - LE DONNE MANCINE RISCHIANO DI PIÙ IL TUMORE AL SENO - IL POLO ONCOLOGICO CANCRO PER L'ITALIA - TUMORI: OLTRE 2MILA MORTI IN MENO L'ANNO - SINTESI DEI DATI SULLA MORTALITÀ PER TIPO DI TUMORE - IL DIABETE? SI BATTE SUL TEMPO - TEST AIDS SENZA PRELIEVO DI SANGUE - INFLUENZA AVIARIA: LA "GENETICA INVERSA" CI AIUTA - I DANNI DEL FUMO LEGGERO - LE BASI GENETICHE DEI RITMI CIRCADIANI - CALVIZIE, LA SPERANZA DAI TOPI: UN GENE FA RICRESCERE IL PELO - SCOPERTO IL RAPPORTO TRA INFIAMMAZIONE E TUMORE - BROTZU: TRAPIANTO DA RECORD DI RENE E PANCREAS - ======================================================= _________________________________________________________________ Repubblica 27 Sett. 05 UNIVERSITÀ, PASSA LA RIFORMA Il Senato vota la fiducia sul maxi emendamento sullo stato giuridico dei docenti con 160 sì e 7 no. Verso il blocco dal 10 al 15 ottobre Opposizioni fuori, no di Andreotti La protesta davanti al Senato ROMA - Il Senato ha votato la fiducia al governo sul maxiemendamento al ddl di riforma dello status della docenza universitaria. I sì sono stati 160, i no 7, nessun astenuto. L'opposizione per protesta non ha partecipato alla votazione definendo "un colpo di mano" la mossa del ministro Moratti. E sul decreto è arrivato il "no" del senatore a vita Giulio Andreotti. Gli altri senatori a vita, Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina, Oscar Luigi Scalfaro e Rita Levi Montalcini, sono risultati assenti. Assente anche il vicepresidente Domenico Fisichella di An. Con l'approvazione del contestato disegno di legge, il governo va incontro a un ciclone: sindacati e associazioni hanno proclamato il blocco totale di ogni attività nelle università dal 10 al 15 ottobre, la Conferenza dei rettori ha chiesto un incontro con il presidente della Camera, Casini, in vista del ritorno del ddl a Montecitorio e l'opposizione ha annunciato di aver presentato circa 600 emendamenti per la discussione alla Camera, con tre pregiudiziali: una di costituzionalità, una di merito e una per la richiesta di sospensiva. Nel mondo universitario è montata la protesta ieri in seguito alla scelta di Letizia Moratti che, dopo la decisione di sottrarre il disegno di legge alla discussione in commissione, ha deciso anche di blindare un maxiemendamento ponendo la questione della fiducia. La reazione è stata immediata. Tafferugli si sono verificati fuori dal Senato dove docenti e ricercatori avevano organizzato un sit in di protesta. I senatori dell'Unione hanno definito l'iter scelto da Moratti un "insulto alla democrazia" e hanno accusato la maggioranza di "disprezzare il Parlamento". Per l'Unione il provvedimento "penalizza i giovani ricercatori, non riconoscendo il fondamentale ruolo da loro svolto attualmente negli atenei, anche sul fronte della didattica", "non soddisfa l'esigenza di introdurre seri criteri di valutazione all'interno dell'università", blocca di fatto i concorsi perché "è probabile che i decreti attuativi non potranno essere adottati da questo governo", è un provvedimento senza copertura finanziaria "che pretende di mettere mano all'accesso alla carriera universitaria senza che ciò comporti ulteriori oneri a carico dello Stato". Non sono meno duri i rettori: "Questo è un insieme sgangherato di norme, che tutto prospetta tranne una riforma" stigmatizza Guido Fabiani, rettore di Roma Tre, ma anche membro della Crui con delega alla valutazione e alle risorse, che spiega anche il perché del coro unanime di proteste: "Tutti si ribellano perché questo decreto legge colpisce la dignità dell'università. È di una pochezza straordinaria - dice Fabiani - è naturale che chiunque abbia a cuore il suo lavoro si rifiuti di abbassarsi a questi livelli". Letizia Moratti si difende: "Non è vero che c'è stato uno strozzamento della discussione, sono anni che si parla di questa riforma. Abbiamo sbloccato una serie di veti che non giovava al sistema universitario". Riguardo ai contenuti e alle proteste, Letizia Moratti sostiene che "Il contrasto rimane forte, perché questa legge tocca dei privilegi", ma il provvedimento "metterà in cattedra i migliori. Con questi meccanismi l'università avrà più selezione e più 'merito'". "Quello che cambia- continua Moratti- è che si danno più opportunità ai giovani attraverso i contratti, ai ricercatori di accedere ai ruoli della docenza universitaria" perché "attraverso il concorso nazionale finalmente andranno in cattedra veramente solo i migliori e spariranno le clientele". La protesta dei ricercatori alla Statale di Milano Il ministro sostiene anche che il suo disegno di legge "si fonda su una visione già attuata nei principali paesi europei", ma proprio guardando all'estero, alla Francia, dove la riforma è stata bloccata dalle proteste, i ricercatori hanno chiesto ai docenti universitari di rassegnare in blocco le dimissioni, per ostacolare il disegno Moratti. Per ora i rettori hanno assicurato la loro solidarietà, senza aderire alle iniziative, ma ciò non significa che ci sia scollamento nel dissenso tra la base e i vertici degli atenei. "È una protesta che sta raggiungendo livelli di consenso che hanno pochi precedenti nella storia della nostra università - osserva Enrico Panini, segretario della Flc-Cgil - Sindacati e associazioni proseguiranno la lotta fino a che non sarà bloccato il disegno di legge e aperto un confronto". _________________________________________________________________ La Stampa 29 Sett. 05 UNIVERSITÀ, SCONTRI SULLA RIFORMA PROTESTE A ROMA DOCENTI, RICERCATORI E STUDENTI: DECISO IL BLOCCO DI TUTTE LE ATTIVITA’ DAL 10 AL 15 OTTOBRE Il governo ha posto la fiducia sul testo, tafferugli davanti al Senato ROMA Il governo ha posto la fiducia per il voto che si terrà oggi al Senato sul maxi- emendamento alla riforma dell’università. L’opposizione è insorta, gridando al «colpo di mano». E intanto docenti, ricercatori e studenti, reduci dal sit-in davanti a Palazzo Madama, hanno proposto il blocco di tutte le attività accademiche dal 10 al 15 ottobre per protestare contro la riforma Moratti. Peggio di così non poteva finire. La travagliata riforma dell’università italiana, tassello fondamentale per il rilancio economico e sociale del Paese, sarà verosimilmente approvata in tutta fretta, con il minimo dei consensi in Parlamento, e contro il parere della stragrande maggioranza dei rettori e dei docenti. «Quella della fiducia è stata una scelta tecnica e non politica», ha assicurato Renato Schifani, presidente dei senatori di Forza Italia. «Dovevamo approvare questa legge prima della sessione di bilancio e l’opposizione ha presentato ottocento emendamenti. Non potevamo fare altrimenti. Tutti parlano di riforme ma poi quando si tratta di farle, le cose sono più complicate». Ma le giustificazioni di Schifani non hanno certo placato gli animi. Anzi, la Conferenza nazionale dei rettori ha denunciato l’iniziativa del governo come «una inaccettabile forzatura della prassi parlamentare», e ha ribadito che il testo non risponde affatto «alle esigenze di una riforma incisiva e organica, sostenuta da imprescindibili e adeguati finanziamenti». Per i senatori dell’Unione la decisione di porre a sorpresa la fiducia costituisce «l’ennesimo insulto alla democrazia» e «una vergogna per il Paese». L’annuncio della fiducia ha anche creato momenti di tensione tra la folla di docenti e studenti che protestava davanti a palazzo Madama. Al centro della disputa è il maxi-emendamento del governo sullo status giuridico dei ricercatori e sul reclutamento dei professori universitari. Per Letizia Moratti, la sua approvazione rappresenta «un importantissimo passo avanti per la crescita della qualità del sistema-università fondato in primo luogo sulla meritocrazia», che dovrebbe permettere al lacero sistema universitario italiano di ricollegarsi con l’Europa. Niente di tutto questo, replica allarmata la grande maggioranza dei rettori e dei docenti. La riforma non risolve il problema del precariato, la vera piaga del sistema, e semmai promette di peggiorarlo, togliendo prospettive concrete a migliaia di giovani ricercatori che da tempo esercitano attività didattica senza qualifica e in cambio di stipendi talmente irrisori da essere meramente simbolici. Per quanto concerne l’altro grosso nodo, quello del reclutamento trasparente dei docenti in base al merito, i rettori sono favorevoli ad un ritorno ai concorsi nazionali, come propone il governo. Ma per evitare gli abusi e il malcostume di una volta, chiedevano l’istituzione di una Agenzia di valutazione di prestigio e indipendente dal ministero. Ma i rettori hanno preso atto «con rammarico» che ogni riferimento all’Agenzia «è scomparso nel testo». Un altro aspetto che preoccupa la conferenza nazionale dei rettori è che la riforma viene varata praticamente a costo zero e non si capisce come possa essere attuata concretamente. «Una disegno di legge come questo lede la dignità dei docenti universitari», protesta Guido Fabiani, il rettore di Roma Tre. «Tutti si sentiranno offesi da norme così riduttive. Il provvedimento è stato messo a punto senza alcuna concertazione. E contrariamente a quanto afferma il ministro Moratti, non rappresenta affatto la posizione dei rettori. Non c’è il merito, non c’è la ricerca, non c’è l’accesso dei giovani e sul finanziamento c’è lo zero assoluto». La riforma preoccupa più di tutti le migliaia di ricercatori precari che insegnano corsi universitari: prevede la messa in esaurimento della figura del ricercatore entro il 2013. «Di fatto la Moratti non fa che allungare il precariato senza riconoscere il ruolo docente alla nostra categoria», spiega Marco Merafina, portavoce della rete nazionale dei ricercatori. «E’ una legge inutile e dannosa per il Paese». Quello presentato dal governo è un unico maxi emendamento che riassume tutti gli articoli della riforma universitaria. Questi punti salienti e che hanno scatenato le proteste. Per una prate dei ricercatori, 25 mila, di ruolo e vicino ai 50 anni, l’attesa della pensione perché poi quella figura scomparirà dagli atenei. Ai 50 mila precari ancora solo due contratti, da tre anni l’uno poi fine della carriera. Contratti a termine anche per i professori associati e stesso stipendio per i docenti che scelgono l’impegno a tempo pieno e quelli che invece si dedicano anche per la libera professione. C’è però una nuova figura professionale: il professore a sovvenzione. Lo stipendio viene pagato da un’azienda ed è assunto a tempo determinato dall’ateneo. Ci sarà poi un concorso nazionale nazionale per l’assegnazione delle nuove cattedre. Rimane ancora da definire la figura del professore aggregato: nel testo arrivato dalla Camera, il titolo verrebbe concesso come sanatoria a ricercatori e personale tecnico, ma senza un inquadramento contrattuale e senza aumenti di stipendio. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 05 SI ALLA RIFORMA, L'UNIONE NON VOTA S.Bio. * Il testo approvato dal Senato Il Senato ha detto sì alla fiducia sul ddl di riforma dello status della docenza uiversitaria. Il provvedimento ora torna alla Camera perché il maxi emendamento del governo, interamente sostitutivo del ddl, introduce delle modifiche rispetto al testo licenziato precedentemente da Montecitorio. Le opposizioni, per protesta, non hanno partecipato al voto. I sì al maxiemendamento sono stati 160, i no 7, nessun astenuto. Tra coloro che hanno votato contro c'è stato anche Giulio Andreotti, mentre sono risultati assenti tutti gli altri senatori a vita: Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina, Oscar Luigi Scalfaro e Rita Levi Montalcini. Preceduto da mesi di polemiche e da una forte opposizione del mondo dei ricercatori e dei docenti universitari, il maxiemendamento sul quale il governo ha posto la fiducia ha ridotto ad un solo articolo composto da 25 commi la precedente versione in 6 articoli. Il testo è rimasto pressoché lo stesso, ad eccezione dell'articolo 2, che prevedeva il sistema di valutazione sull'attività didattica, sulla ricerca e sulla gestione delle università, integralmente soppresso. Cassata anche la lettera «e» del terzo comma dell'articolo 3 che prevedeva che la copertura finanziaria di una parte dei nuovi concorsi avvenisse utilizzando gli oneri derivanti dalla cessazione del servizio. La legge prevede che il governo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge emani uno o più decreti legislativi e dispone che il ministro dell'Istruzione bandisca con proprio decreto, entro il 30 giugno di ogni anno, le procedure per conseguire l'idoneità scientifica per le fasce dei professori ordinari e dei professori associati. Il comma 11 della legge dispone che «ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento, nonchè ai professori incaricati stabilizzati» siano «affidati corsi e moduli curricolari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici» e sia loro attribuito il titolo di «professore aggregato» limitatamente alla durata dei corsi. Le università (comma 14) possono instaurare rapporti di lavoro subordinato stipulando contratti di diritto privato a tempo determinato. I contratti potranno avere durata massima di tre anni e potranno essere rinnovati per una durata complessiva di sei anni. Le università potranno procedere alla copertura di una percentuale non superiore al 10% dei posti di professore ordinario e associato mediante chiamata diretta di studiosi stranieri o italiani impegnati all'estero. L'ultimo comma, il 25, prevede che dall'attuazione delle disposizioni della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». «Il contrasto» su questa riforma «rimane forte» perché «tocca dei privilegi». Così il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti ha commentato le polemiche che hanno accompagnato il via libera del Senato, attraverso il voto di fiducia, al ddl sulla docenza universitaria. «Noi abbiamo cercato di tutelare gli interessi generali dei giovani e del Paese - aggiunge - e non alcuni interessi corporativi». «Il Governo ha gestito l'Università con una logica da supermercato» è stato il commento del senatore Fiorello Cortiana, capogruppo dei verdi in commissione istruzione. «Oggi l'esecutivo ottiene la fiducia della sua maggioranza, ma ha perso definitivamente quella dei rettori, dei senati accademici, dei professori, dei ricercatori, degli studenti e soprattutto degli elettori». Quella di oggi era «una fiducia tecnica» ha detto il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani. «Era da anni che si parlava di questa riforma. Questa si aggiunge a tutte le altre riforme che sta attuando la casa delle libertà per cambiare il paese». _________________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 28 Sett. 05 IL SILENZIO DELLA SARDEGNA SENZA DISSENSO NÉ CORTEI Un testo che penalizza ancora di piu gli atenei sardi e che invita a fare ricerca altrove Professore a sovvenzione. Arriva nelle Universita il ricercatore sempre piu precarizzato e gli atenei di tutt'Italia si ribellano. Un vero e proprio golpe politico-istituzionale è l'accusa che proviene da gran parte del mondo universitario, sul disegno di legge che delinea lo stato giuridico dei docenti. Ma negli atenei sardi di Cagliari e Sassari, regna il silenzio. Mentre nel resto della Penisola ieri professori e studenti sono scesi in piazza per dire no alla riforma che allungherebbe il precariato e la fuga dei cervelli, il mondo universitario isolano si dichiara sorpreso. «È stato un vero contropiede, - dice Marco Pitzalis ricercatore dell'Università di Cagliari - un colpo di mano della Moratti. Bisogna ricordare, però, che tutti noi ci siamo sempre opposti a questa riforma». Proprio nei mesi scorsi, infatti, quasi il 90 per cento dei ricercatori aveva spedito alcune lettere di protesta ai presidi delle facoltà. «Se fosse passato il disegno di legge - ricorda Pitzalis - avremmo rinunciato agli “affidamenti”, cioè a tutti quegli oneri che i ricercatori si accollano a titolo gratuito come la gestione di corsi. Una riforma bocciata da tutti i consigli di facoltà, i senati accademici e consigli di amministrazione delle Università sarde dice Enzo Tramontano, rappresentante dei ricercatori nel Consiglio di amministrazione dell'ateneo del capoluogo. Cautela per i 245 ricercatori di Sassari Vedremo nei prossimi giorni come interpretare il dissenso, parole di Guglielmo Sanna, rappresentante dei ricercatori sassaresi. E contro l'approvazione della legge che dovrà regolare carriere e lavoro negli atenei italiani si e schierata anche la Conferenza dei Rettori. Tutto il mondo accademico e contrario a questa riforma - afferma Pasquale Mistretta, rettore dell'Università cagliaritana - anzi una Controriforma che non solo ridisegna il ruolo dei docenti, ma tutta l'Università italiana. Un testo che penalizza ancora di piu gli atenei sardi e che invita ad andare a fare ricerca altrove. cioè a tutti quegli oneri che i ricercatori si accollano a titolo gratuito come la gestione di corsi». Una riforma «bocciata da tutti i consigli di facoltà, i senati accademici e consigli di amministrazione delle Università sarde» dice Enzo Tramontano, rappresentante dei ricercatori nel Consiglio di amministrazione dell'ateneo del capoluogo. Cautela per i 245 ricercatori di Sassari «Vedremo nei prossimi giorni come interpretare il dissenso», parole di Guglielmo Sanna, rappresentante dei ricercatori sassaresi. E contro l'approvazione della legge che dovrà regolare carriere e lavoro negli atenei italiani si è schierata anche la Conferenza dei Rettori. «Tutto il mondo accademico è contrario a questa riforma - afferma Pasquale Mistretta, rettore dell'Università cagliaritana - anzi un “Controriforma” che non solo ridisegna il ruolo dei docenti, ma tutta l'Università italiana. Un testo che penalizza ancora di più gli atenei sardi e che invita ad andare a fare ricerca altrove». ? _________________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Sett. 05 ANCHE ASPETTI POSITIVI IN CATTEDRA PIÙ GIOVANI GIORGIO RUMI ROMA - «Non è un testo da buttare perché cerca di risolvere i grandi problemi ancora aperti dell' università, cominciando dal reclutamento che per noi addetti ai lavori è importante, abbassando l' età dei giovani docenti attraverso i contratti, per esempio». Il professor Giorgio Rumi, ordinario di Storia contemporanea alla Statale di Milano, vede più di un aspetto positivo nel testo della riforma dello stato giuridico, accanto a zone d' ombra. «Far entrare tutti in ruolo, senza il periodo di prova del contratto di tre anni rinnovabile - continua lo storico, toccando uno dei punti più contestati della legge - non consente a ciascun docente di accertare la solidità della propria vocazione». Sindacati e associazioni di docenti chiedono il ritiro della riforma imposta dal governo con la fiducia. Minacciano agitazioni. Rumi preferisce non esprimersi sul metodo adottato per far approvare la legge. Si limita a dire che «non ricaveremmo un gran guadagno se grazie a una bacchetta magica fosse possibile lasciare tutto come era». Qualche esempio? «L' incertezza del futuro derivata dalla mancanza di prospettive certe per quanto riguarda i concorsi e l' avanzamento, tipica del vecchio sistema. La riforma stabilisce che i concorsi si devono fare. Quando non si fanno concorsi o si fanno raramente aumenta il potere del piccolo gruppo che controlla la disciplina e che tiene tutto fermo fino a quando i suoi allievi non sono pronti. Insomma si nota uno sforzo di miglioramento, anche con degli errori». Vediamo anche questi. «E' evidente - continua Rumi - il tentativo di salvare i diritti delle persone, le loro aspettative come accade con le diverse norme previste dalle legge per cui si fa il pool delle necessità delle università in materia di personale docente, un punto centrale, e poi si aggiungono per ordinari, associati e ricercatori, in percentuali rilevanti come 100, 25, 15 per cento, quote di posti riservati. Mettiamo che le facoltà chiedano 100 posti di ordinario di Storia contemporanea, ebbene a questi se ne aggiungono altri 100 riservati a quanti, tra i professori associati, hanno delle aspettative. Si introduce, insomma, un elemento diverso da quello dell' interesse scientifico-didattico della facoltà, anche se socialmente comprensibile». «Lo stesso - conclude Giorgio Rumi - si può dire per la nomina dei commissari dei concorsi. Il nuovo metodo di scrematura dei candidati per elezione e successivo sorteggio della commissione salva certamente dalle camarille e dalle zone d' ombra di cui si parla. E' quindi un fatto positivo. Ma in questo modo viene anche abolito il membro della commissione che rappresenta gli interessi legittimi della facoltà, una garanzia affinché la persona per cui si è ipotizzato il concorso riesca ad affermarsi. Ma se viene meno la sicurezza della facoltà, non c' è il rischio che questa riduca il numero dei concorsi». G. Ben. Benedetti Giulio _________________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Sett. 05 UN GIURISTA CONTRO LE FALSE RIFORME Le Riflessioni di Casavola Nelle nostre università vige un nocivo divorzio tra gli studi della storia e del diritto. Quei due campi del sapere sono persino istituzionalmente collocati in due facoltà diverse, tra le quali la distanza aumenta via via che il piccone dei riformatori si abbatte sul corpo dolente dell' istituzione loro affidata. Nel campo della storia romana questa separazione, di per sé allucinante, si viene vieppiù approfondendo, forse perché vi è, in questo caso, un di più di conoscenze tecniche chiamate in causa. Se infatti è ormai previsto e metabolizzato il cosiddetto «latino senza latino», e quindi la storia antica senza diretto ricorso alle fonti, va da sé che l' ipotesi di includervi «addirittura» le fonti sul diritto sfuma nell' empireo dell' utopia. Eppure è solo raddrizzando questa stortura che si può recuperare un orientamento. È dalla storia del diritto e dall' indagine sulle sue fonti che può prendere avvio lo studio storico del mondo romano, e non viceversa. Tale fu il cammino di Theodor Mommsen. E l' Italia fu a lungo influenzata da quel modello. In questa tradizione si colloca l' opera di Francesco Paolo Casavola. Di lui sono ora accessibili, grazie all' editore napoletano Jovene, i tre imponenti volumi Sententia legum tra mondo antico e moderno, che racchiudono la serie completa degli scritti minori. La tripartizione corrisponde ai grandi «temi» che polarizzano l' indagine di Casavola: il diritto romano (vol. I), la successiva civiltà giuridica (vol. III), la metodologia e la storiografia (vol. II). (Nella Postfazione collocata al termine del terzo volume, Casavola si interroga intorno ai danni che le riforme stanno infliggendo agli studi giuridici. Ma varranno le voci dei grandi competenti a far riflettere gli incontrollati detentori della facoltà di riformare?). Casavola non è mai stato abitatore della «torre d' avorio». La circolarità tra passato e presente è per lui anche circolarità tra impegno di studio e impegno civile. Anzi, questo è parte essenziale del suo stile di studioso. Per molti, il suo nome è legato alla stagione delicata della storia recente, in cui la Consulta, da lui presieduta, affrontò decisioni che hanno influenzato e forse determinato la successiva storia della nostra Repubblica. Di qui il costante riproporsi in queste pagine - molte delle quali scaturiscono da spinte e occasioni «viventi», attuali - di temi che fanno parte del conflitto politico. (Conflitto è parola malvista, ma è bene riabilitarla: altrimenti, altro che «consociativismo»!). Sia che egli tratti delle «radici» della democrazia in Occidente, sia che si soffermi sulla storia del diritto elettorale, de nobis fabula narratur. «Non esistono scorciatoie atte a riavvicinare la democrazia dei moderni a quella degli antichi», e avverte, citando Thomas Mann: «I princìpi fondamentali della democrazia, libertà e uguaglianza, sono reciprocamente conflittuali, il primo può generare anarchia, il secondo tirannide». E non è questa l' aporia capitale da almeno due secoli? Canfora Luciano _________________________________________________________________ Repubblica 28 Sett. 05 TOSI:DECRETO CONFUSO E FRETTOLOSO Il presidente della Crui si unisce alle proteste: "Preoccupazioni giuste la nostra posizione è condivisa dalla maggioranza nelle università" Tosi, la protesta dei rettori: Piero Tosi, presidente della conferenza dei rettori ROMA - Il dissenso nella relazione annuale sullo stato dell'università di una settimana fa, nel presente la preoccupazione per come è avviato a concludersi il varo del ddl sulla riforma dello stato giuridico della docenza. Piero Tosi, presidente della Crui, commenta la scelta del ministro Moratti sull'iter della riforma. "Non posso che condividere la preoccupazioni di tutte le componenti del mondo universitario - dice il rettore dell'Università di Siena - che si vedono sottrarre in modo autoritario e unilaterale dalla maggioranza di governo la possibilità di poter incidere direttamente sul loro futuro". Tosi è stato in prima linea nel seguire la presentazione al senato e le manifestazioni di piazza che hanno accompagnato i lavori a Palazzo Madama. "Abbiamo incontrato presso la sede della Crui una delegazione di manifestanti - conferma il presidente della conferenza dei rettori - alla quale abbiamo ribadito le nostre posizioni, le stesse che la maggioranza assoluta delle università italiane ha fatto proprie il 30 giugno scorso e che io stesso ho ribadito il 20 settembre nella giornata dell'Università". La posizione della Crui è emblematica del fronte comune del dissenso alla riforma proposta da Letizia Moratti e al modo scelto per renderla operativa. "Un disegno di legge confuso e frettoloso - sottolinea Tosi - che non risolve i problemi del personale universitario, e che soprattutto non offre ai giovani reali prospettive di adire a ruoli stabili e di essere valutati in modo continuativo per il loro effettivo valore". _________________________________________________________________ Il Manifesto 30 Sett. 05 UNIVERSITA': IL CATALOGO È QUESTO REMO CESERANI Temo che la situazione dell'università italiana, dopo i maldestri tentativi di riforma attuati negli ultimi anni - ultimo, in ordine di tempo, lo sgangherato maxiemendamento (!) al decreto sullo stato giuridico dei docenti approvato ieri dalla camera - sia ormai forse giunta a un punto di non ritorno. Chiunque prenderà in mano la situazione, dopo quanto è stato combinato da un ministro incompetente e fortemente ideologizzato e da consiglieri competenti ma accecati da modelli di organizzazione universitaria totalmente estranei alla grande tradizione europea (ma anche, purtroppo, dai ministri precedenti), avrà davanti una situazione fortemente compromessa, forse irrecuperabile. È il caso di ripetere ancora una volta quali sono, per punti essenziali, i problemi ormai incancreniti delle nostre università? 1. La forte dispersione delle strutture e delle risorse, con la continua creazione di piccole università di provincia, prive di tradizione, di laboratori, di biblioteche, di personale preparato, e lo squilibrio fra questi microatenei e i mastodontici, ingovernabili maxiatenei che hanno misure oltre ogni limite di funzionalità. Tutto questo all'interno di una generale tendenza a restringere l'investimento pubblico sulla ricerca e sull'università, con effetti drammatici. 2. Il crescente squilibrio fra università statali e università private, fortemente appoggiate queste ultime dal ministro Moratti in nome di una malintesa ideologia del mercato dei saperi e della formazione. A ciò si aggiunga la crescente confusione delle risorse di bilancio, provenienti da finanziamenti pubblici, di amministrazioni locali, di privati, in una giungla di interessi e condizionamenti. 3. Lo squilibrio, anch'esso crescente, tra le aree disciplinari che fanno la forza di un ateneo moderno (le scienze pure, fisico-naturali e umanistiche) e le discipline un tempo di contorno e applicative (un tempo spesso collocate fuori dall'università, presso istituzioni apposite, come le Hochschulen tedesche, i politecnici, ecc.). Ne fa prova il convogliamente sempre più rilevante delle risorse verso le applicazioni tecniche, le scuole professionali, le business schools, le scuole di management, i masters, i corsi di preparazione alle più varie professioni, generalmente a basso livello culturale,. 4. La persistente incertezza nello scegliere fra forme organizzative di tipo accentrante (con restrizioni, regolamenti, legislazioni minuziose che regolano tutto dal centro) e forme reali di autonomia e responsabilizzazione degli organi di governo e delle forme di iniziativa dei singoli atenei. 5. L'aver attuato, e continuamente rafforzato, un'organizzazione della didattica che ha paurosamente spezzettato tutte le forme di apprendimento, con uno sminuzzamente incontrollato dei corsi, soprattutto nelle facoltà umanistiche, e una continua confusione tra corsi propedeutici, corsi di preparazione di base e corsi di approfondimento e specializzazione. Di questo portano responsabilità gli organi ministeriali, che hanno imposto modelli molto rigidi (e molto confusi) delle classi e dei corsi per ogni facoltà, ma anche i componenti delle facoltà e le corporazioni disciplinari, che hanno preteso di avere ciascuno un ampio spazio nei corsi a tutti i livelli e hanno impedito l'individuazione di percorsi semplici, organici e affrontati con la necessaria gradualità di approfondimento. 6. Un ulteriore squilibrio è stato introdotto dalla scelta ideologica di privilegiare, e ampiamente finanziare, le cosiddette «scuole di eccellenza» (parola quantomai ideologica e ingannatrice). Le comunità universitarie, per tradizione luoghi di condivisione e crescita collettiva dei saperi, sono state drammaticamente spaccate dalla distinzione fra pochi luoghi di privilegio e abbondanza di risorse (scelti senza nessuna procedura democratica) e il panorama depresso delle altre realtà universitarie. 7. Tutto questo ha fortemente squilibrato il rapporto fra attività di ricerca e di insegnamento dei docenti, ha generalmente ridotto la qualità del loro impegno, ha aumentato il peso dei carichi burocratici, ha creato vere e proprie crisi di rigetto, con frequenti pensionamenti anticipati. 8. L'effetto combinato di una pessima legge sul reclutamento e di forti lobbies corporative ha dato il via a una stagione di concorsi che si possono tranquillamente considerare i peggiori, per la qualità dei risultati della selezione, fra quelli avvenuti negli ultimi decenni. Hanno prevalso ampiamente le logiche locali, clientelari, familiari, con un danno fortissimo alle aspirazione dei giovani, un aumento della piaga del precariato, un drammatico incremento della fuga dei cervelli. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 27 Sett. 05 DOCENTI PRONTI A OCCUPARE LE UNIVERSITÀ Arriva al Senato la legge di riforma degli atenei. I rettori appoggiano la protesta Il governo vuole concludere, anche ponendo la fiducia. La replica: «Troncata la discussione, c' è un grande malessere» ROMA - L' anno accademico che sta iniziando rischia di essere piuttosto agitato. Questa volta a scioperare, fare assemblee e occupazioni più o meno simboliche saranno i prof, con l' appoggio dei rettori, decisi a bloccare la riforma dello stato giuridico voluta dal ministro Moratti. Stamani, infatti, nell' aula del Senato inizia la discussione della legge destinata a regolare carriere e lavoro nei 77 atenei del Paese. E' una corsa contro il tempo. Dopo circa due anni di dibattito, nel calendario di Palazzo Madama è rimasta una manciata di giorni. Alla Camera, dove la riforma dovrebbe tornare, c' è un po' più di spazio, non molto però. Il governo sembra deciso a concludere. Anche ponendo la fiducia. Ma il mondo accademico, o almeno gran parte di esso, non vuole saperne. Per rettori, presidi, sindacati, associazioni di professori serve una riforma, ma quel testo non funziona. Molte sigle hanno proclamato agitazioni. Per il 28 settembre, ultima giornata di discussione al Senato, è stata annunciata una manifestazione a Roma. I ricercatori - 23 mila - sono i più determinati contro la riforma della Moratti: la vogliono cancellare. I RETTORI - Nelle università i contrari sono ormai la maggioranza. C' è un fatto nuovo. I rettori che finora hanno puntato a un' intesa, tenendo a freno quanti volevano lasciare i tavoli del confronto e passare alla protesta, ora sono schierati contro. Hanno mutato atteggiamento quando la maggioranza ha applicato la regola che consente di spostare dalle commissioni all' aula una legge rimasta bloccata per 60 giorni. Piero Tosi, presidente della Conferenza permanente dei rettori (Crui) è preoccupato: «E' stata troncata la discussione. Nelle università, purtroppo, c' è un grande malessere». I rettori denunciano anche la confusione e l' incertezza sugli emendamenti. I RICERCATORI - E' la parte più delicata della riforma, insieme ai concorsi. Le incerte sorti del disegno di legge sono legate ad alcuni emendamenti presentati dal senatore Franco Asciutti, presidente della Commissione istruzione di Palazzo Madama e dai senatori Giuseppe Capurro (Udc) e Giuseppe Valditara (An). Lo scopo è quello di offrire prospettive ai giovani mantenendo in vita il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato per altri 8 anni. Un punto sul quale il ministro Moratti finora ha sempre espresso un' opinione contraria. Tra gli emendamenti ce n' è uno che propone la selezione delle commissioni dei concorsi col sorteggio invece del voto al fine di evitare il rischio di accordi sottobanco, una piaga che impedisce ai giovani più preparati di affermarsi. Giulio Benedetti La vicenda LE MANIFESTAZIONI Oggi si riaccende la protesta di studenti, professori e ricercatori contro la riforma dello stato giuridico dei docenti voluta dal ministro per l' Istruzione Letizia Moratti. Sono previste manifestazioni simboliche come l' occupazione dei rettorati, mentre domani alle 11 è in programma una manifestazione nazionale a Roma LA LEGGE L' oggetto della protesta è il disegno di legge che rivede lo stato giuridico dei docenti, cancellando la figura del ricercatore. I docenti puntano il dito contro l' iter procedurale del disegno di legge, che è arrivato al Senato senza passare per la commissione parlamentare Istruzione e Cultura. I professori denunciano «il clima di confusione e di scollamento nel quale si apre questo assurdo dibattito parlamentare» I RETTORI La riforma è stata criticata anche dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), che sottolinea la «contrarietà delle università italiane alla riforma». I rettori, inoltre, «fanno appello alla responsabilità dei senatori». E il presidente dei rettori Piero Tosi, durante la relazione annuale tenuta la scorsa settimana, ha considerato «allarmante lo stato della ricerca e dei ricercatori» e invitato le istituzioni a «modificare la legge» 58 MILA PROFESSORI I docenti delle università italiane sono quasi 58 mila. Di questi, 23 mila ricercatori, i più determinati contro la riforma 64 ATENEI Contro la riforma dello stato giuridico dei docenti, in discussione da oggi al Senato, sono schierate 64 università su 77 Benedetti Giulio _________________________________________________________________ Senato 29 Sett. 05 IL TESTO DELLA RIFORMA Viene in pratica riscritta la riforma universitaria e decadono gli altri emendamenti UNIVERSITÀ, IL MAXIEMENDAMENTO APPROVATO (Ddl Senato 29.9.2005) E' stato approvato il 29 settembre il maxiemendamento del Governo che riscrive la riforma universitaria, facendo decadere il testo precedentemente approvato dalla Camera e tutti gli emendamenti dell'opposizione. La presentazione del testo ha provocato incidenti davanti a Palazzo Madama. L'emendamento secondo il Governo favorisce la meritocrazia, secondo docenti e ricercatori prolunga il precariato e danneggia l'università.(28 settembre 2005) Ddl Camera 3497 - Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari Emendamento Governo 1.2000 Gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sono sostituiti dal seguente: Articolo 1 1. L’università, sede della formazione e della trasmissione critica del sapere, coniuga in modo organico ricerca e didattica, garantendone la completa libertà. La gestione delle università si ispira ai principi di autonomia e di responsabilità nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. 2. I professori universitari hanno il diritto e il dovere di svolgere attività di ricerca e di didattica, con piena libertà di scelta dei temi e dei metodi delle ricerche nonché, nel rispetto della programmazione universitaria di cui all’articolo 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, dei contenuti e dell’impostazione culturale dei propri corsi di insegnamento; i professori di materie cliniche esercitano altresì, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca; i professori esercitano infine liberamente attività di diffusione culturale mediante conferenze, seminari, attività pubblicistiche ed editoriali nel rispetto del mantenimento dei propri obblighi istituzionali. 3. Ai professori universitari compete la partecipazione agli organi accademici e agli organi collegiali ufficiali riguardanti la didattica, l’organizzazione e il coordinamento delle strutture didattiche e di ricerca esistenti nella sede universitaria di appartenenza. 4. Il professore, a qualunque livello appartenga, nel periodo dell’anno sabbatico, concesso ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, è abilitato senza restrizione alcuna alla presentazione di richieste e all’utilizzo dei fondi per lo svolgimento delle attività. 5. Allo scopo di procedere al riordino della disciplina concernente il reclutamento dei professori universitari garantendo una selezione adeguata alla qualità delle funzioni da svolgere, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni universitarie, uno o più decreti legislativi attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca bandisce, con proprio decreto, per settori scientifico-disciplinari, procedure finalizzate al conseguimento della idoneità scientifica nazionale, entro il 30 giugno di ciascun anno, distintamente per le fasce dei professori ordinari e dei professori associati, stabilendo in particolare: 1) le modalità per definire il numero massimo di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica per ciascuna fascia e per settori disciplinari, pari al fabbisogno, indicato dalle università, incrementato di una quota non superiore al 40 per cento, per cui è garantita la relativa copertura finanziaria e fermo restando che l’idoneità non comporta diritto all’accesso alla docenza, nonché le procedure e i termini per l’indizione, l’espletamento e la conclusione dei giudizi idoneativi, da svolgere presso le università, assicurando la pubblicità degli atti e dei giudizi formulati dalle commissioni giudicatrici; per ciascun settore disciplinare deve comunque essere bandito almeno un posto di idoneo per quinquennio per ciascuna fascia; 2) l’eleggibilità, ogni due anni, da parte di ciascun settore scientifico- disciplinare, di una lista di commissari nazionali, con opportune regole di non immediata rieleggibilità; 3) la formazione della commissione di ciascuna valutazione comparativa mediante sorteggio di cinque commissari nazionali. Tutti gli oneri relativi a ciascuna commissione di valutazione sono posti a carico dell’Ateneo ove si espleta la procedura, come previsto al numero 1); 4) la durata dell’idoneità scientifica, non superiore a quattro anni, e il limite di ammissibilità ai giudizi per coloro che, avendovi partecipato, non conseguono l’idoneità; b) sono stabiliti i criteri e le modalità per riservare, nei giudizi di idoneità per la fascia dei professori ordinari, una quota pari al 25 per cento aggiuntiva rispetto al contingente di cui alla lettera a), numero 1), ai professori associati con un’anzianità di servizio non inferiore a 15 anni, compreso il servizio prestato come professore associato non confermato, maturata nell’insegnamento di materie ricomprese nel settore scientifico-disciplinare oggetto del bando di concorso o in settori affini, con una priorità per i settori scientifico disciplinari che non abbiano bandito concorsi negli ultimi cinque anni. c) nelle prime quattro tornate dei giudizi di idoneità per la fascia dei professori associati è riservata una quota del 15 per cento aggiuntiva rispetto al contingente di cui alla lettera a), numero 1), ai professori incaricati stabilizzati, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai ricercatori confermati che abbiano svolto almeno tre anni di insegnamento nei corsi di studio universitari. Una ulteriore quota dell’1 per cento è riservata ai tecnici laureati già ammessi con riserva alla terza tornata dei giudizi di idoneità per l’accesso al ruolo dei professori associati bandita ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e non valutati dalle commissioni esaminatrici; d) nelle prime quattro tornate dei giudizi di idoneità per la fascia dei professori associati di cui alla lettera a), numero 1), l’incremento del numero massimo di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno indicato dalle università è pari al 100 per cento del medesimo fabbisogno; e) nelle prime due tornate dei giudizi di idoneità per la fascia dei professori ordinari di cui alla lettera a), n. 1, l’incremento del numero massimo di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno indicato dalle università è pari al 100 per cento del medesimo fabbisogno; 6. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge sono bandite per la copertura dei posti di professore ordinario e professore associato esclusivamente le procedure di cui al comma 5, lettera a). Sono fatte salve le procedure di valutazione comparativa per posti di professore e ricercatore già bandite alla medesima data. I candidati giudicati idonei, e non chiamati a seguito di procedure già espletate, ovvero i cui atti sono approvati, conservano l’idoneità per un periodo di cinque anni dal suo conseguimento. La copertura dei posti di professore ordinario e di professore associato da parte delle singole università, mediante chiamata dei docenti risultati idonei, tenuto conto anche di tutti gli incrementi dei contingenti e di tutte le riserve previste dalle lettere a), b), c) d) ed e) del comma 5, deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei limiti e delle procedure di cui all’articolo 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e all’articolo 1, comma 105, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. 7. Per la copertura dei posti di ricercatore sono bandite fino al 30 settembre 2013 le procedure di cui alla legge 3 luglio 1998, n. 210. In tali procedure sono valutati come titoli preferenziali il dottorato di ricerca e le attività svolte in qualità di assegnisti e contrattisti ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, di borsisti post-dottorato ai sensi della legge 30 novembre 1989, n. 398, nonché di contrattisti ai sensi del comma 14 del presente articolo. L’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato ai sensi del presente comma è subordinata ai medesimi limiti e procedure previsti dal comma 6 per la copertura dei posti di professore ordinario e associato. 8. Le università procedono alla copertura dei posti di professore ordinario e associato a conclusione di procedure, disciplinate con propri regolamenti, che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, riservate ai possessori della idoneità di cui al comma 5, lettera a). La delibera di chiamata definisce le fondamentali condizioni del rapporto, tenuto conto di quanto disposto dal comma 16, prevedendo il trattamento economico iniziale attribuito ai professori di ruolo a tempo pieno ovvero a tempo definito della corrispondente fascia, anche a carico totale o parziale di altri soggetti pubblici o privati, mediante la stipula di apposite convenzioni pluriennali di durata almeno pari alla durata del rapporto. La quota degli oneri derivanti dalla copertura dei posti di professore ordinario o associato a carico delle università è soggetta ai limiti e alle procedure di cui all’articolo 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e all’articolo 1, comma 105, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. 9. Nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, le università, previa attestazione della sussistenza di adeguate risorse nei rispettivi bilanci, possono procedere alla copertura di una percentuale non superiore al 10 per cento dei posti di professore ordinario e associato mediante chiamata diretta di studiosi stranieri, o italiani impegnati all’estero, che abbiano conseguito all’estero una idoneità accademica di pari livello ovvero che, sulla base dei medesimi requisiti, abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca un periodo di docenza nelle università italiane, e possono altresì procedere alla copertura dei posti di professore ordinario mediante chiamata diretta di studiosi di chiara fama, cui è attribuito il livello retributivo più alto spettante ai professori ordinari. A tale fine le università formulano specifiche proposte al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca che, previo parere del CUN, concede o rifiuta il nulla osta alla nomina. 10. Sulla base delle proprie esigenze didattiche e nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, previo espletamento di procedure, disciplinate con propri regolamenti, che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, le università possono conferire incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, anche pluriennali, nei corsi di studio di cui all’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, a soggetti italiani e stranieri, ad esclusione del personale tecnico amministrativo delle università, in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali e a soggetti incaricati all’interno di strutture universitarie che abbiano svolto adeguata attività di ricerca debitamente documentata, sulla base di criteri e modalità definiti dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con proprio decreto, sentiti la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e il CUN. Il relativo trattamento economico è determinato da ciascuna università nei limiti delle compatibilità di bilancio sulla base di parametri stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per la funzione pubblica. 11. Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, che hanno svolto tre anni di insegnamento ai sensi dell’articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341, nonché ai professori incaricati stabilizzati, sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici nonché compiti di tutorato e di didattica integrativa. Ad essi è attribuito il titolo di professore aggregato per il periodo di durata degli stessi corsi e moduli. Lo stesso titolo è attribuito, per il periodo di durata dell’incarico, ai ricercatori reclutati come previsto al comma 7, ove ad essi siano affidati corsi o moduli curriculari. 12. Le università possono realizzare specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese o fondazioni, o con altri soggetti pubblici o privati, che prevedano anche l’istituzione temporanea, per periodi non superiori a sei anni, con oneri finanziari a carico dei medesimi soggetti, di posti di professore straordinario da coprire mediante conferimento di incarichi della durata massima di tre anni, rinnovabili sulla base di una nuova convenzione, a coloro che hanno conseguito l’idoneità per la fascia dei professori ordinari, ovvero a soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale. Ai titolari degli incarichi è riconosciuto, per il periodo di durata del rapporto, il trattamento giuridico ed economico dei professori ordinari con eventuali integrazioni economiche, ove previste dalla convenzione. I soggetti non possessori dell’idoneità nazionale non possono partecipare al processo di formazione delle commissioni di cui al comma 5, lettera a), numero 3), né farne parte, e sono esclusi dall’elettorato attivo e passivo per l’accesso alle cariche di preside di facoltà e di rettore. Le convenzioni definiscono il programma di ricerca, le relative risorse e la destinazione degli eventuali utili netti anche a titolo di compenso dei soggetti che hanno partecipato al programma. 13. Le università possono stipulare convenzioni con imprese o fondazioni, o con altri soggetti pubblici o privati, con oneri finanziari posti a carico dei medesimi, per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari, con definizione del loro compenso aggiuntivo a valere sulle medesime risorse finanziarie e senza pregiudizio per il loro status giuridico ed economico, nel rispetto degli impegni di istituto. 14. Per svolgere attività di ricerca e di didattica integrativa le università, previo espletamento di procedure disciplinate con propri regolamenti che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, possono instaurare rapporti di lavoro subordinato tramite la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato con soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca o equivalente, conseguito in Italia o all’estero, o, per le facoltà di medicina e chirurgia, del diploma di scuola di specializzazione, ovvero con possessori di laurea specialistica e magistrale o altri studiosi, che abbiano comunque una elevata qualificazione scientifica, valutata secondo procedure stabilite dalle università. I contratti hanno durata massima triennale e possono essere rinnovati per una durata complessiva di sei anni. Il trattamento economico di tali contratti, rapportato a quello degli attuali ricercatori confermati, è determinato da ciascuna università nei limiti delle compatibilità di bilancio e tenuto conto dei criteri generali definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per la funzione pubblica. Il possesso del titolo di dottore di ricerca o del diploma di specializzazione, ovvero l’espletamento di un insegnamento universitario mediante contratto stipulato ai sensi delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, costituisce titolo preferenziale. L’attività svolta dai soggetti di cui al presente comma costituisce titolo preferenziale da valutare obbligatoriamente nei concorsi che prevedano la valutazione dei titoli. I contratti di cui al presente comma non sono cumulabili con gli assegni di ricerca di cui all’articolo 51 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, per i quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti. Ai fini dell’inserimento dei corsi di studio nell’offerta formativa delle università, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca deve tener conto del numero dei professori ordinari, associati e aggregati e anche del numero dei contratti di cui al presente comma. 15. Il conseguimento dell’idoneità scientifica di cui al comma 5, lettera a), costituisce titolo legittimante la partecipazione ai concorsi per l’accesso alla dirigenza pubblica secondo i criteri e le modalità stabiliti con decreto del Ministro per la funzione pubblica, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ed è titolo valutabile nei concorsi pubblici che prevedano la valutazione dei titoli. 16. Resta fermo, secondo l’attuale struttura retributiva, il trattamento economico dei professori universitari articolato secondo il regime prescelto a tempo pieno ovvero a tempo definito. Tale trattamento è correlato all’espletamento delle attività scientifiche e all’impegno per le altre attività, fissato per il rapporto a tempo pieno in non meno di 350 ore annue di didattica, di cui 120 di didattica frontale, e per il rapporto a tempo definito in non meno di 250 ore annue di didattica, di cui 80 di didattica frontale. Le ore di didattica frontale possono variare sulla base dell’organizzazione didattica e della specificità e della diversità dei settori scientifico- disciplinari e del rapporto docenti-studenti, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Ai professori a tempo pieno è attribuita una eventuale retribuzione aggiuntiva nei limiti delle disponibilità di bilancio, in relazione agli impegni ulteriori di attività di ricerca, didattica e gestionale, oggetto di specifico incarico, nonché in relazione ai risultati conseguiti, secondo i criteri e le modalità definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la funzione pubblica. Per il personale medico universitario, in caso di svolgimento delle attività assistenziali per conto del Servizio sanitario nazionale, resta fermo lo speciale trattamento aggiuntivo previsto dalle vigenti disposizioni. 17. Per i professori ordinari e associati nominati secondo le disposizioni della presente legge il limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell’anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, ivi compreso il biennio di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, ed è abolito il collocamento fuori ruolo per limiti di età. 18. I professori di materie cliniche in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge mantengono le proprie funzioni assistenziali e primariali, inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca e ad esse complementari, fino al termine dell’anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, ferma restando l’applicazione dell’articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni. 19. I professori, i ricercatori universitari e gli assistenti ordinari del ruolo ad esaurimento in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge conservano lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento, ivi compreso l’assegno aggiuntivo di tempo pieno. I professori possono optare per il regime di cui al presente articolo e con salvaguardia dell’anzianità acquisita. 20. Per tutto il periodo di durata dei contratti di diritto privato di cui al comma 14, i dipendenti delle amministrazioni statali sono collocati in aspettativa senza assegni né contribuzioni previdenziali, ovvero in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione è prevista dagli ordinamenti di appartenenza, parimenti senza assegni né contributi previdenziali. 21. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato di concerto con i Ministri dell’interno, degli affari esteri e del lavoro e delle politiche sociali, sono definite specifiche modalità per favorire l’ingresso in Italia dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea chiamati a ricoprire posti di professore ordinario e associato ai sensi dei commi 8 e 9, ovvero cui siano attribuiti gli incarichi di cui ai commi 10 e 12. 22. A decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 5 sono abrogati l’articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341 e gli articoli 1 e 2 della legge 3 luglio 1998, n. 210. Relativamente al reclutamento dei ricercatori l’abrogazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 210 del 1998 decorre dal 30 settembre 2013. Sono comunque portate a compimento le procedure in atto alla predetta data. 23. I decreti legislativi di cui al comma 5 sono adottati su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, sentiti la CRUI e il CUN e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Ciascuno degli schemi di decreto legislativo deve essere corredato da relazione tecnica ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. 24. Ulteriori disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 5 possono essere adottate, con il rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data della loro entrata in vigore. 25. Dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Sett. 05 LAUREE BREVI E ALTRI PASTICCI COSÌ È DEMOLITO IL TITOLO DI «DOTTORE» ITALIANS Voglio tranquillizzare Sara Marcon, lettrice trentenne giunta al sesto stage gratuito: con la laurea in Scienze della comunicazione può ambire al posto di portiere condominiale a Roma, rispondendo a un annuncio dell' agenzia Ad Interim («Angeli per Aziende che Contano»). Leggo: «La risorsa si occuperà della custodia e della sorveglianza dello stabile e curerà la pulizia di scale e pianerottoli. Requisiti: età 25/30 anni, domicilio a Roma, diploma o laurea, pregressa esperienza, disponibilità immediata». Dimenticavo cosa offrono. «Contratto a termine di due settimane per sostituzione». Tranquillizzo anche i lettori: questo non è un altro articolo sui guai dell' università italiana, che è una parola astratta. E' un articolo sui guai degli universitari, che sono italiani in carne e ossa. Ma i ragazzi e le ragazze devono sapere cosa li aspetta. Questo: il loro titolo di studio avrà un valore legale ma non un valore reale. Molti di noi speravano accadesse il contrario, ma è andata male. Solo Dostoevskij e un capomastro saprebbero descrivere la metodica demolizione del titolo di «dottore» in Italia. Ma proviamo comunque a cercare i responsabili, così da poterli ringraziare. Il primo è il sistema «3+2», che ha spinto le università a moltiplicare i percorsi di laurea. Questo ha reso felici i docenti, ma ha aumentato la gloriosa confusione che regna sotto il cielo accademico. In Italia ci sono 3.028 corsi di laurea triennale, ma solo 2.923 hanno registrato iscritti. Se ne deduce che 105 non abbiano alcun iscritto. Non è il caso di «Lingue e cultura italiani per stranieri» a Pisa: un iscritto. Scrive Il Corriere dell' Università e del Lavoro: non avrà dovuto sgomitare per entrare in aula. Racconta un dottorando genovese (Roberto Abram): «L' università sta diventando un liceo più o meno tecnico, mentre la scuola superiore è diventata una scuola media (non più rimandati, ma debiti formativi). Non ci dobbiamo stupire se, una volta laureati, ci offrono compensi da diplomati; né ci dobbiamo rattristare se, per avere una preparazione universitaria, siamo costretti a fare uno o più master e c' affacciamo tardi sul mondo del lavoro». Poteva aggiungere: questo avviene anche negli Usa (il college è un liceo con un bel giardino; poi c' è la graduate school). Ma in America ci sono arrivati per scelta, non per disperazione. Un colpo al titolo di «dottore» l' ha dato il governo - non questo, quello di prima - col Decreto Legge 03/11/99, n 509, secondo cui «le università possono riconoscere come crediti formativi, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate...» (per questo il Cepu può accantonare Del Piero e Vieri - in sintonia con le rispettive squadre - e annunciare: «Oggi puoi laureare la tua esperienza!»). Un' altra bottarella viene dalle «lauree estere» come quelle rilasciate dalla Clayton University di San Marino, che sembra americana ma non richiede l' inglese e dà un indirizzo di Hong Kong (a Stefano Ricucci vorrei chiedere: perché un uomo così ricco vuole un titolo tanto povero?). Mala spallata finale al titolo di «dottore» - diciamolo - l' abbiamo data tutti noi: adulti e famiglie, parenti e giornali, scuola e tv. Noi che abbiamo fatto credere ai nostri ragazzi che nella vita bastano un pezzo di carta e un po' di creatività; e non occorrano invece competenze, fatica e noiosissimi numeri. Scrive Roberto Napolitano in «Fardelli d' Italia»: quest' anno c' erano 4 mila matricole in matematica e fisica contro 54 mila in scienze della comunicazione. Il guaio è che tra poco non c' è più niente da comunicare. Se non una certa preoccupazione: ma, per quella, basta quest' articolo. www.corriere.it/severgnini www.beppesevergnini.com Un concorso di cause: la formula «3+2», i crediti formativi e il mito del «pezzo di carta» Severgnini Beppe _________________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Sett. 05 LAUREATI TRIENNALI? LE AZIENDE RESTANO FREDDE La prima generazione post riforma «è acerba e insicura» Viaggio nelle imprese che hanno cominciato a inserire i giovani usciti due anni fa dalle università Dottorini? No grazie. Troppo professionalizzati. Troppo lontani dall' azienda. Troppo acerbi. Troppo insicuri. Troppo diversi dai «veri» laureati. Tutto troppo o troppo poco per i laureati triennali che solo da un paio d' anni sono stati inseriti nelle aziende. Giovani come i loro colleghi di tutta Europa , secondo le aspettative dovevano essere disegnati ad hoc dalle università per le imprese, entrare nel mondo del lavoro con il turbo e sfondare subito. Nei fatti, però, non è andata esattamente così. Almeno finora. E' quanto emerge da un' indagine svolta sul campo con i capi del personale e della selezione aziendale, dove la cosa più evidente è che gli entusiasti sono pochi. Anzi, dopo un anno di rodaggio, quelle che dovevano essere «marce in più» sembrano piuttosto diventate marce in meno. Il tutto con una premessa: siamo alle prime impressioni, un punto più corretto della situazione si potrà fare tra due-tre anni. Per cominciare, se prima i datori di lavoro si lamentavano dei vecchi quadriennali-quinquennali «troppo filosofi», ora paradossalmente trovano i nuovi triennali troppo tecnici e carenti nei contenuti scientifici generali. E' d' accordo Roberto Buccianti, presidente dell' Associazione Ercole Bottani che raggruppa grandi aziende industriali come Pirelli o Siemens: «I nuovi ingegneri devono avere solide competenze di base per adattarsi alla dinamicità del mondo aziendale». Ciò non significa che l' obiettivo di avvicinare la realtà universitaria a quella occupazionale sia stato raggiunto. Maria Rosaria Natale, responsabile selezione, formazione, sviluppo e mobilità interna del Gruppo Bayer è polemica su questo punto: «Il problema non è la laurea di tre o quattro anni, ma l' impostazione della facoltà. Molti ordinamenti e programmi di studio continuano a ignorare la complessità e il bisogno specifico dell' azienda. Sono troppo teorici. Rispondono quasi più alla necessità di creare cattedre all' interno del mondo universitario che di preparare studenti anche per un percorso professionale». Uno scopo tuttavia è stato ottenuto: finalmente si è riusciti a portare giovani appena ventiduenni laureati nel mercato del lavoro, anche se la stramaggioranza dei ragazzi sfornati dalle università lo scorso anno ha continuato gli studi per la laurea specialistica. Il problema è che tra dubbi, perplessità, riforme e controriforme i ragazzi, dopo tre anni di università, rischiano di essere trattati dalle aziende esattamente come i diplomati di un tempo. Tutta un' altra prospettiva, cioè, rispetto al tappeto rosso che forse si aspettavano di trovare. Barera Iolanda _________________________________________________________________ Corriere della Sera 29 Sett. 05 LA RIVOLTA DEI RICERCATORI «CON 800 EURO NON SI VIVE» Protesta nelle università. Gli assistenti: ci costringono ad andare all' estero «Se passa la riforma non resta che cambiar mestiere». Pronti a bloccare le lezioni Ottocento euro al mese, niente macchina, una casa «per fortuna» regalata dai genitori, la ricarica per il cellulare da 50 euro da far durare almeno sei mesi - «basta stare un po' attenti e usare Internet» - pochi lussi e tanto lavoro. Vita da dottorando. «Ma se passa la riforma del sistema universitario non esistono prospettive». Sospira Nicola Casati, 27 anni, laureato nel 2002 con il massimo dei voti in Scienze chimiche e ora aspirante ricercatore. «Se la legge sarà approvata dal Senato - continua - non restano che due strade: cambiare mestiere o andare all' estero. La meta? Gli Stati Uniti o il Nord Europa». Sono centinaia i giovani dottorandi che, come Nicola Casati, temono la nuova legge di riforma sullo stato giuridico della docenza: addio alla figura del ricercatore («era la nostra meta: una nomina in ruolo e 1.100 euro mensili») che si trasformerebbe in un incarico triennale rinnovabile una sola volta. Hanno protestato ieri, per difendere il loro futuro. Appuntamento in via Festa del Perdono, con i docenti di ruolo e gli assegnisti, i professori a contratto, i neolaureati e i colleghi del Politecnico. Tutti nel chiostro centrale della Statale, i cartelloni con le scritte «Fermate il ddl Moratti!» e «Salvate l' Università», e la raccolta di firme. Sul volto, le mascherine da panda «perché noi ricercatori siamo una razza in via di estinzione». C' era anche Claudio Fiocchi, che di anni ne ha 33 e che a fine mese - «ma non ogni mese» - ci arriva grazie a contratti a progetto. «Pensavo - confessa - che prima o poi sarebbe arrivato un assegno da ricercatore, ma ormai questa speranza mi è stata tolta. Otto anni di precariato e un pugno di mosche in mano, ecco quello che mi resta». Sono preoccupati, disorientati, delusi. Ma anche pronti a combattere, insieme ad altri duemila ricercatori che negli atenei milanesi tengono il 15-20 per cento delle lezioni. Le cose, dicono, stanno così: «Se il Senato approverà lo stesso testo di riforma uscito dalla Camera senza tenere conto degli emendamenti presentati in commissione, bloccheremo le lezioni». Lo hanno ripetuto al rettore dell' Università degli Studi, Enrico Decleva, chiedendogli un aiuto nella battaglia contro il disegno di legge che sarà approvato tra oggi e domani. Sostegno accordato. Del resto Decleva è sempre stato critico nei confronti della riforma. «Sciagurata», l' ha definita ieri. «Ma aspettiamo di capire cosa succede - ha risposto il rettore ai manifestanti -: prima di intervenire. Sono convinto che la posizione dei rettori e gli emendamenti presentati non potranno essere del tutto ignorati. Il problema, piuttosto, sarà la copertura finanziaria». Annachiara Sacchi La scheda CHI E' Nicola Casati ha 27 anni. Si è laureato nel 2002 in Scienze chimiche e ha un assegno da dottorando di 800 euro al mese. Vive da solo, in una casa acquistata dai genitori, usa pochissimo il cellulare e molto la posta elettronica. «Ho poche pretese, ma ce la faccio solo perché non devo pagare un affitto» LA PROTESTA Ieri docenti e assistenti hanno protestato in Statale contro il disegno di riforma dell' università. Sotto accusa la trasformazione della figura di ricercatore in contratto a termine. La promessa: «Se il testo passerà al Senato senza modifiche, bloccheremo le lezioni» A RISCHIO DI ESTINZIONE l' ironia contro la riforma I ricercatori si sono ritrovati ieri nel chiostro centrale della Statale. Hanno fatto fronte comune con docenti di ruolo, «assegnisti», professori a contratto, neolaureati e dottorandi del Politecnico. A Milano sono in duemila Sacchi Annachiara _________________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 26 Sett. 05 CAGLIARI: L'UNIVERSITÀ NON DÀ LEZIONI DI DEMOCRAZIA È normale che al voto universitario di Cagliari (e non solo) si presenti una percentuale di studenti tipo Movimento dei pescatori dell'Abetone? Roba da cinque per cento, insomma: poco meno del venti nell'ultima occasione, quando la mobilitazione fu tanta. Eppure, se uno su cinque va a votare e quattro studenti disertano, di chi è la colpa? Soprattutto dell'Università, che non promuove a sufficienza le forme di partecipazione e non inculca, nella testa della futura classe dirigente sarda, i principi di base della democrazia. Il problema del non voto per gli organi dell'Ateneo è antico e non sarebbe giusto addossarlo soltanto sulle spalle di questa gestione. Ma c'è una ragione per denunciarlo: il fatto che con quarantamila studenti (la metà fuorisede) l'ateneo cagliaritano è la più grande impresa culturale dell'Isola e partecipa a pieno titolo alla costruzione della città metropolitana. Nessuno può permettersi di ignorare questi processi né le dimensioni dei flussi economici generati dall'Ateneo direttamente o prodotti dagli studenti. Ecco perché, per migliorare l'integrazione degli studenti con i cagliaritani e per integrare meglio l'università nel suo complesso (non i singoli capi) con la città, è bene che a novembre alle urne gli studenti siano presenti in massa. Al Rettore il compito di invitarli, non con i soliti manifesti. _________________________________________________________________ Repubblica 29 Sett. 05 A LEZIONE NELLA PROPRIA CASA UN NUOVA VIA PER LAUREARSI Quattro università interamente sul web, decine di migliaia di studenti e richieste in costante crescita: ecco le lauree on line. Nel mondo sono 400 di MASSIMILIANO PAPASSO Quattro università che svolgono le loro attività interamente sul web, migliaia di studenti che seguono lezioni solo grazie ad un mouse e un collegamento Internet, un giro d'affari che iscritto dopo iscritto, diventa sempre più corposo. A poco più di due anni dal loro riconoscimento, anche in Italia le lauree online sono diventate ormai una realtà concreta e non più solo virtuale. Dall'entrata in vigore del decreto del 16 maggio del 2003 a firma dei ministri Letizia Moratti e Lucio Stanca, il mondo dell'istruzione a distanza nel nostro Paese ha fatto passi da giganti. Ad offrire lauree online, università storiche, da Roma a Modena, passando per Milano e Udine, ma soprattutto "web atenei", facoltà virtuali che da qualche anno operano esclusivamente su Internet. A beneficiare di un'offerta formativa tutta incentrata sull'utilizzo delle nuove teconologie (cd-rom, tv digitale, trasmissioni satellitari) studenti che una laurea non sono riusciti mai ad ottenerla, e professionisti che ne sono alla ricerca per far lievitare la propria busta paga. Ma se la laurea in Italia corre sul filo di Internet, anche la truffa di certo non sta a guardare. Navigando in rete alla ricerca di un corso di laurea da frequentare interamente online, si corre il rischio di imbattersi in delle situazioni poco chiare. Colpa di decine di pseudo università che promettono prestigiosi titoli accademici: spesso però si tratta solo di carta straccia. La tradizione online. Uno dei primi atenei ad organizzare una laurea interamente su Internet, con lezioni ed esercitazioni sul web, è stato il Politecnico di Milano, nel 1999 con il corso in Ingegneria informatica, un progetto interamente ideato e sviluppato in collaborazione con "Somedia" - una società del gruppo Espresso - e che con quest'anno raggiunge il suo sesto ciclo accademico. Dopo di lui, quasi tutte le università italiane hanno dato vita a lauree basate sul metodo dell'e-learning: un docente da una parte, gli studenti dall'altra e il mare di internet nel mezzo. Diverse le classi di laurea: dal Marketing alla Sociologia, passando per Lettere ed Ingegneria. Unico punto fermo l'esame finale, che come sancito il decreto del 2003, deve essere svolto in forma tradizionale, con un colloquio "dal vivo" tra docente e allievo. Anche se qualche università pensa già a come aggirare l'ostacolo. "Tra i nostri studenti - spiega Yuri Kazepov, responsabile del corso di laurea online in Sociologia dell'università di Urbino - ci sono molti studenti che vivono all'estero. Ecco perché abbiamo pensato di offrire a loro la possibilità di sostenere su internet anche l'esame finale, abbattendo così tutte le eventuali spese di trasporto". Le web university. Accanto alle università tradizionali, il decreto Moratti- Stanca ha aperto la strada al riconoscimento di atenei che operano esclusivamente su internet. Al momento le "web university" sono quattro: l'Università Guglielmo Marconi, l'Università Leonardo da Vinci (collegata con l'ateneo di Chieti e Pescara), l'UniNettuno e il Telma. A queste, nei prossimi mesi, potrebbero aggiungersi altre quattro università virtuali. Sono al vaglio del CNVSU, infatti, le domande di riconoscimento della Uil di Firenze, dell'Unimer di Roma, l'Efrio di Benevento e il Pegaso di Napoli. Variegata l'offerta didattica di questi nuovi atenei: si va da Pedagogia della Uil, a Giurisprudenza dell'Efiro, passando per Scienze economiche e Gestione aziendale della Pegaso e dell'Unimer. I costi per gli studenti (al netto di collegamento ad internet) sono molto vicini a quelle delle università tradizionali: si va da un minimo di 800 euro ad un massimo di 2000 euro l'anno. Con il vantaggio però di cancellare dall'elenco delle spese mensili, voci come "affitto" e "trasporti". L'identikit del cyber-studente. Il numero degli studenti che negli ultimi anni ha scelto la laurea online è in continua crescita. Lo dimostrano i dati forniti da ogni singola università. "Ormai i nostri studenti sono più di 25.000 - spiega Maria Grazia Garito, presidente di UniNettuno, l'università telematica che raggruppa 38 atenei in tutta Italia - Ogni anno registriamo un aumento considerevole degli iscritti frutto anche della nostra esperienza che ci vede ormai da 12 anni operare nel settore della teledidattica e nell'utilizzo delle più moderne tecnologie". "Chi sceglie di studiare utilizzando il canale di internet - conferma Fabio Capani, rettore dell'Unidav - ha un'età compresa tra i 30 e i 50 anni. Qualcuno magari è già in possesso di un titolo accademico, anche se per la maggior parte si tratta di ex studenti che non hanno concluso gli studi e che magari frequentando un'università tradizionale non li avrebbero mai conclusi". Parenti serpenti. Ma se di competizione tra vecchie e nuove università ancora non si può parlare, a causa della diversa natura di ciò che si offre, la nascita di una nuova struttura telematica un po' di fastidio alla comunità accademica italiana la dà e come. Come testimonia il caso del Polo didattico dell'UniMarconi che dovrebbe sorgere nei prossimi mesi ad Alcamo, in provincia di Trapani. Secondo un progetto ancora in fase embrionale, in terra siciliana dovrebbe sorgere una nuova struttura con 26 corsi di laurea. Una sorta di "mostro telematico" che ha già messo in allarme la CRUI (che con una mozione lo scorso luglio ha criticato l'iniziativa) e che rischia di aprire un caso politico tra il Comune siciliano e l'Università di Palermo, l'ateneo che più di altri potrebbe soffrire di una migrazione di studenti. "Per il momento è solo un'idea - confermano dal Comune di Alcamo - ma questo potrebbe essere per la nostra città un grande investimento. Avere ad Alcamo una sede universitaria è quello che vogliamo. Poi, che si tratti di un'università telematica o di una tradizionale, per noi non fa differenza". C'è laurea e laurea. Nel mondo sono oltre 400 le università che permettono agli studenti di conseguire la laurea a distanza. Basta un click infatti per poter seguire in tempo reale una lezione ad Harvard o ad Oxford. Ma in mezzo a prestigiose università e docenti di fama internazionale, molto spesso si corre il rischio di imbattersi in delle vere e proprie truffe. Su Internet, infatti, sono decine i siti (soprattutto stranieri) che propongono lauree a distanza a prezzi stracciati. Titoli dai nomi e dall'aspetto del tutto simili a quelli di casa nostra, ma che in realtà nascondono un particolare da non trascurare: il più delle volte si tratta di lauree rilasciate da università straniere, e che non hanno valore legale nel nostro Paese. Insomma per laurearsi su internet basta un click, ma fino ad un certo punto. _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 Sett. 05 CAGLIARI: ADDIO LIBRETTO UNIVERSITARIO è la rivoluzione elettronica Ogni studente avrà una smartcard: a novembre parte la sperimentazione in due facoltà cristiano. Il libretto universitario, con i voti degli esami e le firme illeggibili dei professori, andrà presto in soffitta: al suo posto gli studenti avranno un libretto elettronico che verrà aggiornato, esame dopo esame, dal computer. E presto dovrebbero essere un ricordo anche le file davanti agli sportelli delle segreterie. Gli impiegati non dovranno più frugare in archivi cartacei: sara tutto informatizzato, con totem elettronici - self service- dove gli studenti potranno richiedere informazioni e stampare certificati e documenti. Il cda dell'Ateneo ha approvato nella seduta dell' 8 settembre una rivoluzione informatica: costerà un milione e 7 mila euro il nuovo sistema Il libretto universitario, con i voti degli esami e le firme illeggibili dei professori, andrà presto in soffitta: al suo posto gli studenti avranno un libretto elettronico che verrà aggiornato, esame dopo esame, dal computer. E presto dovrebbero essere un ricordo anche le file davanti agli sportelli delle segreterie. Gli impiegati non dovranno più frugare in archivi cartacei: sarà tutto informatizzato, con totem elettronici “self service” dove gli studenti potranno richiedere informazioni e stampare certificati e documenti. Il cda dell'Ateneo ha approvato nella seduta dell' 8 settembre una rivoluzione informatica: costerà un milione e 7 mila euro il nuovo sistema “Esse3” affidato alla Kion, una ditta che offre già i suoi servizi a molti altri atenei italiani in collaborazione col ministero. La struttura informatica sarà fornita dall'Ibm. A PARTIRE dall' immatricolazione, che proprio in questi giorni costringe a ore di fila gli aspiranti studenti, dall'anno prossimo tutto verrà gestito da un sistema computerizzato. nuovi studenti riceveranno una smart-card e una password. Dovrà essere presentata anche agli esami: il docente, superata la prova, la inserirà in un pc per aggiornare la carriera universitaria dello studente. Scompare così anche il vecchio, famoso statino che gli assistenti dei professori dovevano compilare. Il lavoro delle segreterie (soprattutto per la trascrizione dei dati) viene così snellito di una mole enorme di lavoro. La rivoluzione inizierà gradualmente, in via sperimentale, questo novembre in due facoltà (ancora da individuare). Dal prossimo anno accademico (2006-2007) il software, che verrà comunque installato in questi mesi, sarà funzionante in tutte la facoltà dell'Ateneo. Gli studenti potranno accedere anche da casa ai servizi. Esempio: per sapere a quanto ammonta la rata delle tasse da pagare, invece che andare allo sportello basterà connettersi e richiedere le informazioni online. Ma diventano elettroniche anche le compilazioni dei piani di studio, l'iscrizione agli esami, i passaggi di corso, la registrazione della frequenza alle lezioni dello studente, e tutte le verbalizzazioni che riguardano gli esami universitari. «Finalmente, si spera, finiranno i ritardi e le file e sarà semplificata la vita accademica degli studenti», commenta in un comunicato il gruppo “Università per gli Studenti”. _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 23 Sett. 05 LA CRISI NERA DI ECONOMIA E COMMERCIO NUOVA “FABBRICA” DI DISOCCUPATI Direte che l’argomento di oggi non ha relazione con la materia fiscale. Eppure di riflesso c’entra, dal momento che il fisco è fonte di lavoro e allora, immagino, qualcuno citerà la irriverente battuta che anche la mafia dà lavoro. Gli Atenei sardi sfornano ogni anno centinaia di laureati, destinati a patire anni di sofferenze prima di poter accedere al mondo del lavoro. Vediamo che succede a chi si laurea in Economia e Commercio, cioè a chi è in possesso di un titolo che, in passato, era un sicuro passaporto per l’occupazione. Col quasi blocco delle assunzioni, gli è precluso l’accesso nella pubblica amministrazione. Banche? È già un miracolo che non licenzino quelli che ci sono già dentro. Le aziende private, senza prospettive di sviluppo, nemmeno si sognano di incrementare l’organico. Rimane l’attività professionale, cioè quella di dottore Commercialista. Bella attività questa, una prospettiva quasi un sogno ma a volte una chimera! La maggior parte di questi professionisti vive decentemente grazie all’esistenza di un fisco minaccioso e burocratico che esige adempimenti di vario tipo. Quelli più fortunati ricevono incarichi dal Tribunale per perizie o fallimenti, settori che possono rivelarsi remunerativi. Uno spazietto c’è sempre per tutti, specie se andrà in porto il previsto aumento tariffario del 47%. Per svolgere la professione bisogna sottostare ad un tirocinio di tre anni presso altro commercialista e poi superare un difficile esame di Stato dove, mediamente, un 70/80% di candidati naufraga. Quindi si ottiene l’iscrizione all’Ordine professionale. L’Unione Europea vede tutti gli ordini professionali come fumo negli occhi in quanto li percepisce come ostacolo alla concorrenza nel mercato. Il 13 gennaio 2004, la Commissione Europea ha approvato la Direttiva Bolkestein che intende porre un argine alla dominanza degli ordini professionali. Apriti cielo! Si è scatenata una baraonda con la presentazione di 1.200 emendamenti provenienti da tutti i paesi aderenti e ciò può darvi l’idea del corporativismo che a parole viene sempre negato, non fregandogli nemmeno del fatto che l’Unione Europea ha avviato a luglio due procedure d’infrazione contro i tariffari di avvocati, ingegneri e architetti in Italia. Ma questa “sindrome dell’idraulico polacco”, cioè la paura della concorrenza, responsabile della bocciatura francese della costituzione europea, è dura a sparire. Dal 1.1.2008 ragionieri e dottori Commercialisti confluiranno in un albo unico mentre il percorso universitario sarà composto da tre anni per la laurea breve, due anni per la specializzazione. Se aggiungiamo i tre anni di tirocinio si arriva a otto anni più esami e ritardo fisiologico negli studi, si arriva al lavoro quasi all’età della pensione. Una novità è costituita da un nuovo esame più severo, basato su una prova pratica. A fronte di tanta complessità, nel progetto Siliquini di riforma degli albi, sarà invece previsto un tirocinio di un anno per gli ingegneri, ridotto a sei mesi per architetti, agromoni, chimici, geometri, agrotecnici. Meno male che la legge che disciplina l’albo unico dei commercialisti, con preciso richiamo all’art. 2041 del codice civile, prevede una azione che il Tirocinante può esercitare contro il maestro per risarcimento danni, in quei casi non rari in cui il tirocinio si tramuta in stato di schiavitù. Sostengo da tempo che bisogna aiutare i giovani e agevolare il loro ingresso nel mondo del lavoro. È giusto che si debba seguire il tirocinio però, invece degli esami, alla fine del triennio deve essere il “maestro” a rendere idoneo l’allievo. Questo metodo è simile a quello dell’imprinting ” del mondo animale, cioè il sistema col quale il genitore rende adulto il cucciolo facendogli da maestro, il che dà almeno certezza di una data di arrivo al tirocinante volenteroso. L’Ordine professionale manterrebbe solo la funzione di controllo sull’operato degli iscritti. Per chiarezza, chi scrive è Dottore Commercialista iscritto all’albo con figli che hanno seguito tutt’altro studio e lavoro. _________________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 30 Sett. 05 SCOSSA DI TERREMOTO AD ATLANTIS arriva la cassa integrazione I vertici della società di informatica tirano in ballo il Consorzio 21: è responsabile della crisi Nella “Città dell'innovazione” di Atlantis spirano venti di crisi. La società di information technology, nata nel 1997 con partecipazione Saras e in seguito acquisita dalla società Il Sestante, è in difficoltà finanziaria e non riesce a far fronte al pagamento degli stipendi di cento suoi dipendenti. La decisione presa dai vertici, dopo aver ascoltato dipendenti e sindacati, è stata quella di avviare la procedura di messa in cassa integrazione ordinaria. Da quattro giorni sono senza lavoro 40 dipendenti, entro la prossima settimana saranno 60 e presumibilmente a dicembre diventeranno 100. Il provvedimento riguarda i sessanta corsisti assunti quest'anno da Atlantis nell'ambito di un progetto approvato dalla Regione nel 1999 che aveva l'obiettivo di collocare la Sardegna come regione pilota sul tema dello sviluppo nel Mediterraneo. Effettuato il previsto corso di formazione, però, il progetto non è mai partito e Atlantis ha comunque dovuto assumere i 60 giovani. «Ma non possono essere ancora utilizzati per le attività previste», ha precisato Raffaello Grazzini, presidente di Atlantis, in un incontro nella sede di Pirri «e rappresentano quindi un costo insostenibile per l’azienda». L'incontro è stato convocato da Grazzini per motivare la «sofferta» decisione della cassa integrazione, ma è stato anche l'occasione per chiarire alcune dinamiche aziendali. Secondo i vertici della società, infatti, le cause della crisi finanziaria di Atlantis sarebbero da imputare in parte «ad azioni ostili molto gravi perpetuate da soggetti istituzionali, che hanno avuto pesanti ripercussioni sulla disponibilità di risorse finanziarie». In particolare Raffaello Grazzini fa ririferimento al Consorzio 21. Il rapporto con l'ente regionale s'incrina dopo la stipula di un contratto di servizi, nel luglio del 2003, per l'insediamento di alcune attività all’interno del Parco scientifico e tecnologico di Pula. «Di fatto - ha evidenziato il presidente - Atlantis è stata in grado di utilizzare i locali solo dopo 20 mesi dalla firma». Ciò nonostante, il Consorzio 21 ha promosso un decreto ingiuntivo a gennaio 2005 per 93 mila euro, che Atlantis ha pagato regolarmente. Ma non è bastato: «Il legale del Consorzio - ha ricostruito Grazzini - ha chiesto il pignoramento dei conti bancari di Atlantis creando un danno enorme all’azienda, che non può più partecipare a bandi e a progetti con i ministeri e non può far fronte al pagamento di stipendi e fornitori». ? Il contratto col ministero Atlantis è stata costituita nel giugno 1997 e attualmente possiede un capitale sociale pari a 6.630.000 euro. La sua attività comincia con il Contratto di Programma, sottoscritto dalla società con il ministero per le Attività Produttive. Approvato con delibera Cipe nel maggio 2001, il piano prevede investimenti complessivi per oltre 21 milioni di euro, di cui 18,593 per la ricerca e 2,582 per interventi industriali e ha come obiettivo la creazione di un centro di eccellenza per lo sviluppo locale. _________________________________________________________________ La Stampa 28 Sett. 05 UN MONDO FATTO SOLO DI BIT QUELLO di «informazione» è un concetto che attraversa tutte le scienze e la nostra stessa vita quotidiana, tanto più oggi che l’informatica e le telecomunicazioni hanno tradotto in bit parole, immagini, musica e ogni tipo di dati. L’informazione è essenziale nella fisica classica come in quella quantistica, nei discorsi sulla freccia del tempo come nella descrizione dei buchi neri o dell’evoluzione cosmica. I bit, come gli atomi, sono dappertutto. E gli atomi stessi, la materia, possiamo capirla soltanto se la riduciamo a bit, a informazione, come il grande fisico teorico Wheeler ha suggerito. Professore in un college della Virginia, Hans Christian von Baeyer ci spiega tutto questo con elegante leggerezza, humour, intelligenza e visione interdisciplinare. Una lettura tanto piacevole quanto illuminante. Hans C. von Baeyer: «Informazione. Il nuovo linguaggio della scienza», Edizioni Dedalo, 290 pagine, 17 euro La questione è antica: siamo più figli dei nostri geni o del nostro ambiente? La risposta finora era del primo o del secondo tipo, oppure mediava tra i due. Anche in questo caso però ambiente e geni rimanevano fattori separati e indipendenti. Matt Ridley fa un passo in avanti, e contrappone al rigido meccanicismo che ispira sia i fautori della genetica sia quelli dell’ambiente un «gene agile», che a sua volta si plasma sul contesto, in una visione sistemica. Convincenti i casi che Ridley descrive, tratti ora dalla patologia mentale ora dalla formazione culturale. E alla fine, non più assediato da geni e ambiente, si salva anche il libero arbitrio. Matt Ridley: «Il gene agile», Adelphi, 484 pagine, 38 euro Nelle campagne i rabdomanti, quei «sensitivi» che dicono di percepire l’acqua (o altre sostanze) nel sottosuolo aiutandosi con un bastoncino biforcuto, un pendolino o apposite bacchette, hanno ancora molto credito. Persino le amministrazioni comunali a volte li consultano. Luigi Garlaschelli e Andrea Albini (Università di Pavia) in questo libro disegnano un documentato panorama storico della rabdomanzia nelle sue varie forme, analizzando con cura argomenti e controargomenti e discutendo gli innumerevoli test che si sono fatti per mettere alla prova i rabdomanti. Il verdetto è negativo. Come’era scontato. Ma ci si arriva applicando con rigore il metodo scientifico: e in questo sta la vera lezione del libro. Luigi Garlaschelli e Andrea Albini: «Rabdomanzia», Avverbi, 164 pagine, 14 euro Professore emerito di neurologia all’Università di Torino, Davide Schiffer in un libro di due anni fa ha raccontato con la forza della testimonianza personale la persecuzione razziale subita dalla sua famiglia e da lui stesso, segnata dalla deportazione e morte del padre ad Auschwitz. Terribili anni dell’adolescenza e della prima giovinezza. In questo nuovo libro narra la sua seconda vita, quella di ricercatore e di clinico, esperienza che prende avvio nel 1951, quando chiede al cattedratico Dino Bolsi di assegnargli una tesi di laurea in neurologia. Sono cinquant’anni di straordinari sviluppi delle neuroscienze, ma anche di attività clinica e di vita accademica, talvolta con le sue rivalità e meschinità. Una testimonianza serena, perché, Schiffer ha sempre preferito, come scrive lui stesso, essere spettatore piuttosto che attore. Uno slalom avvincente tra nomi veri e nomi inventati, sullo sfondo di una Torino che dalle macerie del dopoguerra si evolve gradualmente fino a quella dei nostri giorni. Davide Schiffer, «Diario di uno scienziato», Ed. del Capricorno, 302 pagine, 22 euro Come cola il miele? Come cade una fetta di pane imburrato? C’è davvero telepatia quando ci sentiamo osservati e, voltandoci, scopriamo che davvero qualcuno sta osservandoci? Jay Ingram, conduttore di programmi di divulgazione scientifica, allinea una serie di agili divertenti capitoletti su temi curiosi che spaziano dalla fisica alla psicologia e alla sociologia. Jay Ingram, «La velocità del miele», Dedalo, 250 pagine, 13,50 euro Piero Bianucci ======================================================= _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 05 FINANZIARIA 2006: PIU’ FONDI PER LA SANITA’, CONTRATTO SPECIALIZZANDI Consiglio dei ministri: varata la Fianziaria 2006 di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore) Un Fondo sanitario nazionale da 90,96 mld, ma sotto la tagliola del rispetto del patto di stabilità del 23 marzo scorso. Ma un budget che sale a quasi 93 mld, grazie ai 2 mld in più per ripianare vecchi disavanzi (2002-2004), legati però a una clausola specifica: l’applicazione da parte delle Regioni di regole nuove di zecca per tagliare le liste d’attesa negli ospedali e in tutte le strutture pubbliche. Poi lo sblocco di 12 mld rimasti nei cassetti per la mancata applicazione del federalismo fiscale. E niente di fatto, almeno per ora, per il «contratto di programma» con le imprese farmaceutiche: se ne riparlerà probabilmente in Parlamento, magari al momento della presentazione del maxi emendamento già annunciato addirittura prima della presentazione della manovra alle Camere. È una Finanziaria 2006 bifronte quella per la Sanità. Anche elettoralmente valida per il Governo, almeno per un versante: la volontà di stringere alle corde le Regioni per azzerare le liste d’attesa. Il punto sicuramente più controverso è quello della tenuta finanziaria del Ssn: le aspettative dei governatori erano infatti di un Fondo 2006 almeno da 95 mld, il tendenziale indicato dal Dpef. Una cifra che il Governo non poteva certamente mettere sul piatto, nonostante le insistenze del ministro della Salute, Francesco Storace: il compromesso per tenere più in alto l’asticella, è stato allora quello dei 2 mld in più assegnati come ripiano di deficit pregressi. «Sulla Sanità non avverrà alcun taglio, ma un contenimento molto ragionevole delle dinamiche di crescita», ha spiegato Tremonti. Per niente rassegnato Storace: «Abbiamo dovuto discutere pesantemente con Tremonti. Quel qualcosa che può mancare si discuterà in Parlamento». Storace ieri ha incassato anche 300 mln per il contratto degli specializzandi e fondi per la ricerca sanitaria. Fuori sacco anche il via libera all’atto di indirizzo per il secondo biennio di medici e personale Ssn. Più fondi a chi non sfora. Agli 89,96 mld previsti per il 2006 dalla Finanziaria dell’anno scorso, la nuova manovra aggiunge un miliardo: di qui il nuovo "tetto" di 90,96 mld per il 2006. Ma attenzione: essenziale sarà il rispetto degli obblighi presi dalle Regioni col patto di stabilità sanitario del 23 marzo scorso: riduzione dei posti letto, graduale ma costante, per arrivare a un taglio di circa 28mila posti (1% in meno dell’attuale standard di 5,5 posti per mille abitanti); meno ricoveri in ospedale e più day hospital e assistenza domiciliare; piani di prevenzione e formazione; ripiani della farmaceutica. Per i manager che non attuano i programmi di rientro dai disavanzi, scatta il licenziamento; e per le Regioni inadempienti, può scattare come ultima istanza l’«affiancamento» del Governo. La riduzione dei disavanzi, infatti, dovrà essere «strutturale». Liste d’attesa, tempo di tagli. Per accedere al ripiano da 2 mld previsto dalla Finanziaria, le Regioni dovranno stipulare entro il prossimo 31 marzo una duplice intesa col Governo: sul prossimo Piano sanitario 2006-2008 e sugli interventi da attuare per ridurre le liste d’attesa. E proprio il capitolo delle code negli ospedali e nelle strutture pubbliche, sarà ragione di un altro aspro scontro con le Regioni. Intanto scatta da subito - dal 2006 - il divieto delle cosiddette "agende chiuse", cioé la sospensione delle prenotazioni per ottenere una prestazione. Un sistema spesso usato per convogliare altrove - a pagamento - la domanda. Per chi non rispetterà il divieto, scatterà una sanzione tra mille e 6mila euro. Ma il piano prevede ancora, entro la fine di marzo 2006: una lista di prestazioni per le quali le Regioni dovranno indicare entro 90 giorni il tempo massimo d’attesa; l’individuazione da parte delle Asl delle strutture anche private accreditate dove assicurare i tempi massimi d’attesa e le misure previste in caso di ritardi. Una formulazione, quest’ultima, che esclude l’ipotesi del «ristoro» ai cittadini: varrà probabilmente la regola della concessione gratuita della prestazione in intramoenia. Ecco poi il varo dei Centri unici di prenotazione regionali e, infine, la creazione di una Commissione nazionale sull’appropriatezza delle prescrizioni. Federalismo fiscale, 12 mld sbloccati. Col congelamento del Dlgs 56/2000, sono stati bloccate in questi anni risorse per 12 mld complessivi, anche legati alla "Bassanini". Un blocco che a questo punto cade: il Governo infatti ha recepito l’accordo raggiunto a fine luglio in Calabria tra i governatori. L’obiettivo è di ridurre il divario tra Nord e Sud, provocato dal Dlgs 56/2000 che aveva penalizzato le Regioni del Mezzogiorno. I fondi rimasti fermi, tuttavia, non saranno erogati tutti in una volta. Entro marzo con un decreto del ministero dell’Economia, «sentite» le Regioni, saranno stabilite le cadenze di riparto dei 12 mld. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Sett. 05 CON LA MANOVRA ARRIVA IL TAGLIO DELLE LISTE D'ATTESA di Roberto Turno Partita aperta fino all'ultimo sui fondi per la Sanità nel 2006, che comunque favoriranno solo le Regioni con i conti in ordine. E possibile varo di due misure caldeggiate dal ministro della Salute, Francesco Storace: il taglio delle liste d'attesa negli ospedali e il pacchetto sui farmaci, a cominciare dagli accordi di programma con le industrie farmaceutiche. Nel cantiere a cielo aperto della manovra 2006, Storace continua a tenere fermo il punto sulle risorse finanziarie, contando di arrivare almeno a 93 mld, circa 2,6 in meno del tendenziale ma più di quanto previsto l'anno scorso. Con la possibilità però di sbloccare i quasi 12 miliardi di vecchi fondi ( 2002 2004) rimasti in sospeso col congelamento del Dlgs sul federalismo fiscale. Resta il fatto che nella bozza all'esame ieri della maggioranza, la proposta dell'Economia era di incrementare i fondi di 1 mld l'anno - dunque, meno di 93 mld - vincolando però le assegnazioni all'entità dei disavanzi accertati. Con altri 2 mld di vecchi ripiani, ancorati però al taglio delle lste d'attesa entro marzo 2006 e all'intesa sul Piano sanitario 2006 2008. Altro rebus che Storace vuole assolutamente risolvere, e sul quale ieri ha fatto pressing su Tremonti, è quello delle risorse da assegnare al suo ministero. Da un lato, infatti, il ministro teme che con l'abolizione del tetto del 2% possano arrivare per il suo dicastero tagli ben più significativi. Dall'altro, sembra che ieri sera mancassero all'appello risorse per la ricerca ( 345 mln), per gli specializzandi ( 300 mln) e per i danneggiati da vaccinazioni obbligatorie ( circa 200 mln). Per non dire del rischio di ridurre drasticamente le dotazioni per l'edilizia sanitaria rispetto ai 3 mld programmati. Per quanto riguarda liste d'attesa e farmaci, è stato il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi, ad annunciare ieri il via libera di Palazzo Chigi. Le misure anti code per accelerare la concessione delle prestazioni sanitarie, prevedono centri unici di prenotazione regionale, l'abbandono delle " liste chiuse", l'obbligo in caso di ritardo di garantire la prestazioni gratuita in libera professione ( sarebbe a carico della Asl di appartenenza). Altra carta sponsorizzata dal ministero della Salute sono gli accordi di programma con le industrie farmaceutiche. « Uno strumento innovativo di partecipazione tra pubblico e privato » , ha affermato Cursi: in sostanza le imprese, a fonte di un impegno a investire in in Italia, otterrebbero un premio di prezzo. La possibilità iniziale era di aggiungere una quota ( lo 0,5%) al tetto sulla farmaceutica del 13 per cento. Sempreché le dotazioni da parte dell'Economia siano sufficienti, visto che circola sempre l'ipotesi che, aumentando le risorse complessive per il Ssn, lo stesso tetto sui farmaci possa subire decurtazioni. Anche per questo sul tavolo del Governo è aperta l'ipotesi che sia su liste d'attesa che sui farmaci si deciderà col maxi emendamento in Parlamento. Nel complesso sale a 93 mld la dotazione per il 2006 _________________________________________________________________ Le Scienze 29 Sett. 05 LA LEGGE SULLE RADIAZIONI RISCHIA DI OSTACOLARE I MEDICI I regolamenti sulle scansioni MRI sarebbero troppo severi I medici europei temono che i nuovi regolamenti sull’esposizione alle radiazioni possano ostacolare senza motivo l’utilizzo della risonanza magnetica (MRI) durante la cura dei pazienti. La Physical Agents Directive dell’Unione Europea, che dovrebbe entrare in vigore nell’aprile 2008, mira a proteggere i lavoratori nel campo delle telecomunicazioni e nelle aziende elettriche dai possibili rischi per la salute causati dall’esposizione a radiazioni elettromagnetiche. Campi troppo forti possono infatti indurre una corrente all’interno dei tessuti, riscaldandoli e provocando gravi danni. Alcuni studi controversi hanno suggerito che questi campi possano addirittura danneggiare il DNA. Ma le nuove regole impediranno anche ai medici di utilizzare le apparecchiature per la MRI, a loro volta fonte di radiazione elettromagnetica. Ciò impedirà di seguire i pazienti durante le scansioni e potrebbe persino limitare la corretta pulitura dei dispositivi. Molti medici sostengono che gli scanner MRI non sono pericolosi, e che nonostante le frequenze elettromagnetiche di questi apparecchi possano riscaldare leggermente i tessuti e stimolare i nervi nella spina dorsale, ciò non porterebbe a un danno perché si tratterebbe di effetti minuscoli. Peter Mansfield, il vincitore del premio Nobel che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della MRI, ha dichiarato che i regolamenti sono nocivi e che “dovrebbero essere studiati da capo”. Come lui, molti esperti notano che le scansioni MRI vengono usate per osservare l’interno del corpo umano sin dagli anni ottanta, senza effetti dannosi conclamati. “Non ci sono prove che restare in piedi accanto a uno scanner sia pericoloso”, ha aggiunto Ian Young, ingegnere in pensione che contribuì alla costruzione del primo scanner MR a scopi medici. Michael Clark della Health Protection Agency (HPA) della Gran Bretagna replica che la direttiva è stata studiata per proteggere i lavoratori. Ammette che i medici hanno ragione quando sottolineano la mancanza di prove di effetti dannosi, ma aggiunge: “abbiamo a che fare con una nuova tecnologia e forse un po’ di cautela è necessaria. Non possiamo escludere effetti a lungo termine”. _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 22 Sett. 05 IL POLO ONCOLOGICO CANCRO PER L'ITALIA Se è vero che «nomina sunt consequentia rerum», perché i nomi sono l'effetto delle cose, la Casa delle Libertà è ormai diventato un Polo oncologico. L'opposizione non è mai arrivata ad accuse così pesanti: risuonate invece nella maggioranza per sue parti. Prima Fini definisce le correnti di An una metastasi. Da metastasi Berlusconi tratta gli ex dc di Follini e Casini. Fini chiese scusa al partito. Il Cavaliere, al solito, si limita a far dire che sono state fraintese parole chiarissime per i destinatari e per tutti. Un linguaggio così truculento è una novità assoluta fra avversari: figurarsi tra alleati, anche se non si sopportano più. Queste scambio di delicatezze significa semplicemente che la disfatta annunciata, come sempre, si accompagna al dilaniamento fra gli ex soci, ciascuno dei quali cerca una zattera di salvataggio. In questo caso, soprattutto l'Udc (ma non solo): in fuga da Berlusconi, ma in maniera contorta, ambigua e opportunistica. Vuole la proporzionale, nata morta e bloccata dall'Unione, ma ancora rilanciata dal Cavaliere. Le gentilezze reciproche nella destra sono tuttavia appropriate ed estensibili alla situazione nazionale. Il Polo oncologico è diventato il cancro d'Italia e le sta contagiando le proprie metastasi. Mentre il Fondo monetario italiano suona campane a martello per la nostra economia e per il futuro della finanza pubblica, anche per il discredito mondiale di Bankitalia. Mentre Berlusconi lascia Fazio al suo posto come un monolite e il Governatore rischia di essere cacciato perché indagato dalla magistratura: ha atteso a lungo, per non interferire, eppure viene trattata come un eversore. Mentre la Finanziaria è tutta per aria e respinta con sdegno da tutti, incluse Lega e Udc (incredibile sintonia). Mentre la casa comune va a fuoco, Berlusconi pensa a salvare la propria leadership a pezzi. Cancella il partito unico che aveva lanciato come salvifico. Si rimette a pasticciare sulla legge elettorale mentre gli italiani sono sbigottiti e allarmati del loro presente con un futuro a rischio. Una catastrofica buffonata che lascerà l'Italia sotto le macerie tumorali di una coalizione finita: ma non rende l'unico servizio possibile calando il sipario sul disastro. Contempla la propria agonia ma la vuole far scontare fino all'ultimo al Paese. Un fosco crepuscolo degli dei immaginari che pagheremo tutti. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Sett. 05 TUMORI: OLTRE 2MILA MORTI IN MENO L'ANNO di Nicoletta Cottone * La sintesi della ricerca In Italia diminuisce del 2% la mortalità per tumori: ogni anno si registrano 2. 300 decessi in meno, 1.300 uomini e 930 donne. Sono proprio le donne a perdere più punti in salute, a causa dei cambiamenti negli stili di vita legati per lo più al fumo, mentre il Sud paga lo scotto dell’abbandono della dieta mediterranea. Il calo della mortalità è, infatti, più marcato al Nord e tra i giovani. Lo segnala l’ultimo rapporto sulle nuove tendenze della mortalità tumorale in Italia, presentato questa mattina al ministero della Sanità, elaborato da Istituto superiore di sanità, Istat e Istituto nazionale dei tumori. La ricerca analizza 30 anni di evoluzione della malattia, dal 1970 al 1999. «Sono dati incoraggianti - dice il ministro della Salute Francesco Storace - il messaggio che voglio trasmettere é che questa malattia non é più incurabile. Le politiche di prevenzione e gli stili di vita stanno portando a dei risultati importanti». Fondamentale il cocktail di prevenzione, progresso diagnostici e terapeutici. «L’avanzamento delle conoscenze - spiega Enrico Garaci, presidente dell’Istituto superiore di sanità - permette diagnosi più precoci e terapie più efficaci capaci di ridurre la mortalità in termini significativi». Importantissimo un corretto stile di vita. «Il fenomeno è evidente - sottolinea Arduino Verdecchia, curatore del volume e direttore del reparto di epidemiologia dei tumori dell’Istituto superiore di sanità - nel caso delle neoplasie correlate all’abitudine del fumo: infatti, parallelamente alla diminuzione del numero di fumatori, passati dal 55% nel 1970 al 33% del 1999, è diminuita anche la mortalità dei tumori dei polmoni, del cavo orale, dell’esofago, della laringe, del rene e della vescica. Non così per le donne e, in particolare per le giovani, per le quali si registra un aumento dell’incidenza degli stessi tumori. Nello stesso periodo le fumatrici sono passate dal 12 al 18 per cento». Anche una variazione in peggio delle abitudini alimentari può aggravare l’incidenza della malattia. «Il Sud - aggiunge Verdecchia - a causa dell’introduzione e della diffusione di cibi industriali ricchi di zuccheri e di grassi, ha perso quel vantaggio di salute che gli derivava dalla dieta mediterranea, considerata preventiva per diversi tipi di tumore». In prima linea, dunque, la prevenzione, fondamentale la ricerca scientifica per combattere la malattia, aumentare la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici. L’Istituto superiore di sanità, insieme agli Irccs, in collaborazione con gli Stati Uniti ha varato un progetto per determinare i nuovi marcatori biologici che consentano di ottenere diagnosi più precoci e nuove molecole più mirate nell’attività antitumorale. In questo progetto sono già stati investiti 10 milioni di euro. I dati Quasi tutti i tumori fanno registrare una diminuzione media dell’1,5%, mentre diminuiscono sistematicamente la mortalità per tumori allo stomaco (-3,8%), del testicolo (-6%), del linfoma di Hodgkin (-7,3%) e dell’utero (-4,8 per cento). Vi sono, invece, purtroppo, dei tumori per i quali si osserva un aumento generalizzato: il cancro ai polmoni e quello al cavo orale per le donne (rispettivamente + 1% e + 1,8%), il melanoma alla pelle (+ 1,5%) e i linfomi non Hodgkin, associati spesso a infezioni Hiv (+ 2 per cento). L’andamento dei tumori (circa 250mila l’anno) è, in generale, decrescente dalla metà degli anni Novanta, con un livello di sopravvivenza a 5 anni del 46% (il valore medio europeo è del 45 per cento). La sopravvivenza è più alta nelle donne (54%), per la diversa distribuzione dei tipi di malattia, più severa per gli uomini. In numeri assoluti si parla di 550mila uomini e 720mila donne che nel 2000 avevano o avevano avuto un tumore. È aumentata, comunque, la speranza di vita. I consigli Sono quattro le azioni per prevenire i tumori ancora in crescita. In prima linea puntare a una dieta mediterranea, basata su prodotti naturali, con vegetali freschi, frutta, pesce, cereali, legumi. Una dieta, quindi, povera di grassi animali, carni rosse, uova, formaggi e salumi. No a cibi preconfezionati di cui si conosce poco il contenuto e non si controllano le componenti alimentari. No al fumo. È il secondo invito rivolto, in particolare, alle donne e ai giovani. Il terzo consiglio riguarda l'avere rapporti sessuali protetti per prevenire infezioni e malattie sessuali, epatiti e, conseguentemente, l’aumento del rischio di epatocarcinoma, infezioni Hiv, con aumentato rischio di tumori non Hodgkin. Ultimo suggerimento quello di proteggersi dall’esposizione a raggi solari e ultravioletti, con l’uso di creme solari con filtri, cautela nell’esposizione al sole, soprattutto per i bambini, per evitare il rischio di melanoma della pelle SINTESI GENERALE DEI DATI EPIDEMIOLOGICI L’incidenza Anche l’incidenza dei tumori maligni, al pari della mortalità, segue un andamento decrescente, ma solo per gli uomini a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Per le donne, infatti, l’incidenza, che indica il numero di nuovi casi l’anno, è ancora in crescita, sebbene con una velocità minore negli anni recenti. Oggi si stimano circa 250.000 tumori maligni l’anno. La sopravvivenza I livelli di sopravvivenza per tumore in Italia sono in linea con la media europea, secondo quanto attesta Eurocare, il più vasto studio comparativo europeo di sopravvivenza finalizzato a conoscere le differenze di sopravvivenza per tumore in Europa. Se in Italia, infatti, la sopravvivenza a 5 anni è in media del 46%, il valore medio europeo è del 45%. La sopravvivenza, poi, è più alta per le donne (54% contro il 40% degli uomini), a motivo della diversa distribuzione per tipi di cancro, più letali negli uomini (polmone, colon-retto, stomaco), meno severi nelle donne (mammella, colon-retto, cervice e corpo uterino). La prevalenza La prevalenza in Italia continua a crescere, a differenza dei tassi di incidenza e di mortalità. Il fenomeno si spiega col carattere cumulativo della prevalenza, che include tutte quelle persone che hanno avuto una diagnosi di tumore, quindi anche coloro che ne sono guariti, i pazienti in trattamento per tumori diagnosticati di recente, quelli che sono in terapie per recidive e i pazienti terminali. In Italia, nel 2000 è stata calcolata una prevalenza di 202 casi ogni 10.000 per gli uomini (2%) e di 256 ogni 10.000 per le donne (2.5%). In numeri assoluti, si parla di 550.000 uomini e 720.000 donne che nel 2000 avevano o avevano avuto un tumore. La speranza di vita Gli uomini che si ammalano di cancro perdono in media 9 anni di vita, le donne 16. Il tempo medio vissuto con il tumore è aumentato di circa mezzo anno tra il 1970 e il 2000, contro i 7 anni di vita guadagnati invece nel medesimo periodo (in 30 anni la speranza di vita è passata da 69 anni per gli uomini e 75 per le donne nel 1970 a 76 e 83 nel 2000). È stato calcolato che, eliminando ipoteticamente il tumore come causa di morte, la speranza di vita arriverebbe a 80 anni per gli uomini e a 85 per le donne. SINTESI DEI DATI SULLA MORTALITÀ PER TIPO DI TUMORE I TUMORI DEL CAVO ORALE I tassi di mortalità per i tumori del cavo orale diminuiscono tra gli uomini del Nord e del Centro, ma crescono tra le donne. Includono: labbra, lingua, ghiandole salivari, pavimento della bocca, palato, gengive e tonsille. Fattori di rischio: l’uso di tabacco e il consumo di alcol. L’andamento della mortalità differisce notevolmente tra i due sessi: per gli uomini si osserva una riduzione costante a partire dal 1983, con la sola eccezione dei giovani del Sud. Il decremento coinvolge, invece, unico caso tra tutti i tumori, anche gli anziani al ritmo del - 4.5% l’anno. La riduzione della mortalità è maggiore nel Nord-Est (- 4.3%) che era l’area a più alto rischio. Per le donne, il trend di mortalità, invece, è raddoppiato dal 1970 al 1999, soprattutto al Centro e al Nord-Est. Semplificando si può dire che se il rapporto di mortalità uomini e donne era nel 1970 di 10 a 1, nel 1999 è di 5 a 1. Analogamente, l’incidenza risulta stabile per gli uomini e in crescita per le donne. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è complessivamente del 44%, maggiore per le donne (54%) che per gli uomini (41%). I TUMORI DELL’APPARATO DIGERENTE La mortalità per tumore gastrico diminuisce sistematicamente. Quella per tumori dell’intestino ha iniziato un trend in discesa dal 1985, più marcato per le donne. Includono: esofago, stomaco, intestino, fegato e pancreas. Fattori di rischio: cibi conservati sotto sale (stomaco), un’alimentazione povera di fibre vegetali e ricca di carni rosse specie se conservate (intestino), tabacco e alcol (esofago), fattori di origine genetica (cardias e del fondo dello stomaco), alcol, epatiti, cirrosi (fegato). Per tutti i tumori dell’apparato digerente si osserva una marcata riduzione dei livelli di mortalità, con l’eccezione del tumore al pancreas, che, in 30 anni, ha raddoppiato il tasso in tutte le aree del Paese, con punte più alte al Nord e con accenni di riduzione solo tra i giovani negli anni recenti, e per il carcinoma al fegato che, tuttavia, ha mostrato una repentina inversione di tendenza solo negli ultimi cinque anni. L’incidenza dei tumori dell’apparato digerente rispecchia sostanzialmente le tendenze della mortalità, tranne che per il cancro all’intestino, il cui esito è nel 30-40% dei casi favorevole e con possibilità di cura. A cinque anni dalla diagnosi sono vivi il 50% dei malati di tumore all’intestino, il 25% dello stomaco, il 10% dell’esofago e il 5% dei tumori del fegato e del pancreas. La prevalenza di queste neoplasie è raddoppiata, tra il 1970 e il 2000, per i tumori dello stomaco e quintuplicata per quelli dell’intestino. Aumento della sopravvivenza e invecchiamento della popolazione ne sono i fattori determinanti. I TUMORI DELL’APPARATO RESPIRATORIO La mortalità per i tumori dell’apparato respiratorio diminuisce a partire dagli anni Ottanta in tutta Italia, ma più marcatamente al Nord. Continua ad aumentare nelle generazioni anziane e nelle donne. Includono: la laringe, i bronchi e i polmoni. Fattori di rischio: fumo e alcol. Il rischio relativo dei fumatori è 11 volte maggiore di quello dei non fumatori, quello di chi beve è quasi il triplo rispetto ai non bevitori, il rischio combinato dei due fattori arriva a 43. Oltre al tabacco e all’alcol, altri fattori di rischio sono: l’inquinamento atmosferico, l’esposizione ad amianto, a fumi di combustione di idrocarburi e ad alcune sostanze cancerogene dell’industria chimica. La mortalità per cancro della laringe, molto più frequente negli uomini, mostra una sistematica riduzione per entrambi i sessi, anche se più spiccata per gli uomini. Per i tumori al polmone, si è osservata negli uomini una favorevole inversione di tendenza a partire dal 1987 che ha raggiunto, nel 1999, i livelli del 1970. Questo è vero soprattutto per la classe più giovane e progressivamente meno per gli anziani. Per le donne succede il contrario: la mortalità per tumore polmonare cresce, tanto da poter parlare, soprattutto per le giovani, di “epidemia” di cancro polmonare, con un incremento più spiccato al Centro-Sud. Geograficamente parlando, si osserva una certa uniformità della mortalità per gli uomini, una divaricazione invece per il gentil sesso a causa di un minore aumento nel Sud. L’incidenza dei tumori dell’apparato respiratorio mostra un trend simile a quello della mortalità La sopravvivenza a 5 anni per tumore della laringe arriva al 70%, un tasso tra i più alti d’Europa; per tumore al polmone si arriva appena al 10%. Nonostante diminuisca l’incidenza del cancro al polmone negli uomini, la prevalenza aumenta per effetto dell’invecchiamento della popolazione e del miglioramento della sopravvivenza dei pazienti. È stato stimato che la prevalenza dei tumori polmonari tra gli uomini aumenterà del 15% tra il 1990 e il 2005, del 78% per le donne. I MELANOMI DELLA PELLE L’incidenza dei melanomi continua crescere in tutto il Paese, come pure la mortalità anche se, grazie ai miglioramenti diagnostici e terapeutici, si è osservato di recente un rallentamento. Fattori di rischio: l’esposizione ai raggi ultravioletti, la pelle chiara e con molti nei, una storia famigliare di melanoma o di tumori cutanei, ridotte difese immunitarie, forti scottature solari da giovani. La mortalità per melanoma maligno della pelle è in crescita in tutte le età e per entrambi i sessi, senza però uniformarsi a tutto il Paese. Livelli più bassi si osservano, infatti, nelle regioni del Sud a causa di una minore suscettibilità della pelle, sebbene nel Meridione la velocità di crescita sia più alta. La mortalità per le donne è circa il 20 per cento più bassa che per gli uomini. Nel complesso, la mortalità cresce del 70% ogni 10 anni. L’incidenza di melanoma è in crescita sistematica in tutte le regioni, con una velocità che provoca un raddoppio del tasso ogni 10 anni. La sopravvivenza presenta un trend in crescita per entrambi i sessi: per gli uomini è passata dal 57 al 71% tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, per le donne dal 78 all’83%. I TUMORI DELL’APPARATO GENITALE FEMMINILE La mortalità per i tumori dell’utero si è ridotta a meno di un terzo in 30 anni. Nel caso dei tumori al seno, la mortalità ha iniziato a scendere negli ultimi anni, grazie soprattutto alle diagnosi precoci. Includono: mammella, utero, ovaio. Fattori di rischio: precocità al menarca, posticipazione delle gravidanze e minor numero di figli, non allattamento dei neonati, vita sedentaria, soprappeso, terapie ormonali e storia famigliare per i tumori della mammella; scarsa igiene e infezione da HPV, il Papilloma Virus, per il tumore del collo dell’utero; attività ovulatoria prolungata per i tumori dell’ovaio. La mortalità per tumore della mammella mostra, a partire dai primi anni Novanta e fino a 74 anni, un inizio di riduzione da attribuire prevalentemente alla diffusione dello screening mammografico. Per i tumori dell’utero si registra una riduzione della mortalità in tutte le classi di età e le aree geografiche, tanto da portare la mortalità del 1999 ad un quinto di quella del 1970. Merito della diffusione del Pap test. La mortalità per i tumori dell’ovaio, mostra invece un trend in crescita con un rallentamento negli ultimi anni grazie ai miglioramenti nelle terapie (in particolare, grazie alle terapie al cisplatino). L’incidenza del tumore alla mammella non presenta la tendenza alla diminuzione visto per la mortalità: ogni giorno in Italia vengono diagnosticati più di 100 casi di tumori alla mammella e l’incidenza aumenta, tranne che per le generazioni più giovani. Diminuisce, invece, l’incidenza dei tumori della cervice e del corpo dell’utero e cresce quella dei tumori dell’ovaio. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi per i tumori del seno aumenta: era il 73% nei primi anni Ottanta, il 77% nel corso dello stesso decennio e l’81% nei primi anni Novanta. Analogamente per i tumori dell’ovaio, i livelli di sopravvivenza crescono, passando dal 32% nella prima metà degli anni Ottanta al 37% nella prima metà degli anni Novanta. Nel caso del cancro alla cervice uterina la sopravvivenza aumenta nel corso degli anni Novanta fino a raggiungere il 66%. Dei pazienti con questo tipo di cancro, ne sopravvivono due su tre e tre su quattro di quelli con tumore dell’endometrio, per il quale il tasso di sopravvivenza è del 76%. I TUMORI DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE Scende la mortalità per i tumori al testicolo e rimane stabile quella per il cancro alla prostata, grazie alla diffusione del test PSA. Includono: prostata e testicolo. Fattori di rischio: fattori genetici e abitudini alimentari. La mortalità per i tumori alla prostata mostra un andamento stabile e territorialmente omogeneo, eccezion fatta per le regioni del Sud dove partendo da livelli più bassi è cresciuta più velocemente. Nei giovani, fra cui questo tumore è raro, la mortalità si mostra in leggera diminuzione; nella fascia di età 55-74, quella maggiormente coinvolta dalla diffusione del PSA, si nota una tendenza alla riduzione dagli anni Novanta; per i più anziani il trend di mortalità è invece in netta crescita. La mortalità per tumore al testicolo mostra, invece, una decisa riduzione in tutte le aree e le età. L’incidenza dei tumori alla prostata aumenta del 50% per gli over 75 e del 100% nella fascia 60-74, in conseguenza della sovra diagnosi dovuta alla diffusione del PSA. L’incidenza del tumore al testicolo mostra un certo aumento nelle età più giovani. La sopravvivenza a 5 anni per tumore alla prostata è in Italia del 67%, a metà tra il 40% di Polonia, Malta e Danimarca, e l’80% di Germania, Austria, Francia e Islanda. La sopravvivenza per tumore al testicolo è in tutta Europa al di sopra del 90%, con l’eccezione dell’Estonia (73%) e della Polonia (81%). I TUMORI DELL’APPARATO URINARIO La mortalità per tumori della vescica è in diminuzione, quella per tumori del rene è stabile dal 1990. Includono: reni e vescica. Fattori di rischio: il fumo di sigaretta per entrambi i tipi di tumore (si stima che per i fumatori il rischio sia doppio o triplo rispetto ai non fumatori); l’occupazione lavorativa in industrie chimiche e della pelle o in attività quali parrucchieri, macchinisti, tipografi, per il tumore della vescica; l’obesità per il tumore al rene. La mortalità per tumori della vescica è in netta diminuzione in tutte le fasce di età, in entrambi i sessi e in tutte le aree. Per gli uomini, tra i quali la mortalità è sei volte maggiore che nelle donne, la riduzione sembra maggiore, mentre per le donne sembra concentrarsi nella classe di età 55-74. La mortalità per tumore del rene mostra un trend più in crescita con un’inversione di tendenza in anni recenti e con un gradiente Nord-Sud più marcato: in tutte le aree, infatti, ad eccezione del Sud, è iniziata una riduzione della mortalità pari all’1% l’anno. L’incidenza dei tumori alla vescica e al rene risulta in salita per tutte le età al ritmo dell’1-2% l’anno. La sopravvivenza per i tumori della vescica è del 70% a 5 anni dalla diagnosi ed è tra le più alte in Europa. Per i tumori che insorgono in giovane età, la sopravvivenza tocca punte dell’80-90%. Per i tumori al rene, la sopravvivenza è del 59%, anche in questo caso tra le più alte d’Europa. I TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE La mortalità dei tumori cerebrali ha cominciato a diminuire in anni recenti e più precocemente nei giovani. Includono: i glomi, ossia tumori originati dal tessuto di sostegno, mentre nei bambini i tumori cerebrali originano anche dai neuroni. Tumori secondari del cervello possono insorgere anche per la diffusione da tumori in altri organi. Fattori di rischio: esposizione a radiazioni ionizzanti, formaldeide, cloruro di vinile. La mortalità presenta un andamento in discesa già dai primi anni Ottanta sia per gli uomini che per le donne, senza differenze geografiche e di età, anche se dopo i 75 anni il fenomeno è più limitato. La sopravvivenza è piuttosto bassa, meno del 20% a 5 anni dalla diagnosi di tumore cerebrale, (17% per gli uomini e 18% per le donne). Arriva invece al 50% per i più giovani, ma scende al 10% già a 55 anni. I TUMORI DEL SISTEMA EMOLINFOPOIETICO La mortalità per i linfomi non-Hodgkin è aumentata negli anni Ottanta, al contrario di quella per i linfomi di Hodgkin. Per le leucemie diminuisce solo tra i giovani. Includono: i linfomi non-Hodgkin, la malattia di Hodgkin e il complesso di tutte le leucemie. Fattori di rischio: fattori genetici, esposizione a radiazioni ionizzanti e a benzene, immunosoppressione e alcuni virus quali EBV, HIV, HTLV-I, HHV-8. La mortalità per i linfomi non-Hodgkin ha subito un drammatico aumento dal 1980 fino alla metà degli anni Novanta, senza alcuna differenza di età, sesso o provenienza geografica. Le tendenze degli anni recenti mostrano incrementi maggiori al Sud e per le età più avanzate. La mortalità per la malattia Hodgkin, invece, mostra una riduzione generalizzata, tanto da raggiungere un quinto di quello che era nel 1970. La mortalità per leucemie, infine, si mostra anch’essa in diminuzione, grazie ai progressi nelle terapie. L’incidenza dei linfomi non-Hodgkin è crescente, non così quella dei linfomi di Hodgkin che in 10 anni si è ridotta del 40%. Per le leucemie, l’incidenza si mantiene inalterata. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è aumentata, dagli anni Ottanta ai Novanta, dal 60% ad oltre l’80% per i linfomi di Hodgkin, dal 40 al 50% per i linfomi non-Hodgkin, dal 30 al 37% per le leucemie. QUATTRO AZIONI PER PREVENIRE I TUMORI ANCORA IN CRESCITA Tratto dal volume “ Nuove evidenze nell’evoluzione della mortalità per tumore in Italia” a cura dell’ISTAT e dell’ISS 1) Alimentazione basata su prodotti naturali, con largo apporto di vegetali freschi, frutta, pesce, cereali, legumi, e relativamente povera di grassi animali, carni rosse, uova, formaggi, salumi, etc. Alimentazione variata e semplice, evitando prodotti fast food, merendine, alimenti industriali preconfezionati, eccesso di grassi e zuccheri. Questo tipo di alimentazione detta anche “dieta mediterranea” risulta preventiva per diversi tipi di tumore, quali tumori dell’apparato digerente, tumori del polmone, tumori della mammella e tumori della prostata, oltre a prevenire obesità, diabete, malattie cardiovascolari. L’omogeneità raggiunta dalla mortalità per tumore sul territorio nazionale, che si è verificata per molti tipi di tumore, è riconducibile alla omogeneità del regime alimentare indotta dalla pubblicità, dalla diffusione di supermercati e l’uso di prodotti della grande distribuzione, l’introduzione di cibi preconfezionati di cui poco si conosce del contenuto e del quale non si controllano le componenti alimentari. L’uniformità alimentare ha prodotto un danno alle popolazioni del Sud che, in questi 30 anni, hanno perso un vantaggio di salute che avevano. 2) Prevenzione dell’abitudine al fumo, particolarmente rivolto alle donne ed ai giovani, ovvero le fasce di popolazione che meno hanno recepito i messaggi di rischio per la salute che sembrano aver funzionato per gli uomini. 3) Induzione di cultura di rapporti sessuali protetti per la prevenzione di infezioni e malattie sessuali, epatiti e conseguente aumentato rischio di epatocarcinoma, di infezioni Hiv, con aumentato rischio di linfomi non Hodgkin. 4) Protezione dell’esposizione ai raggi solari ed ultravioletti, uso di creme solari con filtri, cautela nell’esposizione per i bambini atta ad evitare scottature ed ustioni, come fattori che aumentano il rischio di melanoma della pelle. È importante che queste poche indicazioni riguardo a comportamenti individuali divengano oggetto di azioni di prevenzione atte a contrastare un aumento di rischio di tumore per la popolazione. La riduzione quasi generalizzata della mortalità per tumore è un importante risultato sanitario e sociale, ma anche un notevole risparmio di domanda e di spesa sanitaria. Basti pensare alla impressionante riduzione della mortalità per tumore polmonare tra gli uomini, del tumore dello stomaco, e della cervice uterina, per rendersi conto del numero delle vite salvate e dei relativi costi sanitari evitati. _________________________________________________________________ La Stampa 28 Sett. 05 IL DIABETE? SI BATTE SUL TEMPO SI STUDIA UN’AZIONE PREVENTIVA MA OCCORRE ANCORA MOLTA RICERCA UN PARTICOLARE ANTICORPO PUO’ FERMARE LA REAZIONE CHE CAUSA LA MALATTIA Paolo Cavallo-Perin (*) IL diabete mellito giovanile o diabete di tipo 1 è una malattia metabolica causata da un difettoso funzionamento del sistema immunitario: le cellule beta del pancreas che producono l’insulina errooneamente vengono riconosciute come estranee, e quindi attaccate e distrutte dal sistema immunitario. La distruzione delle cellule beta pancreatiche ha una lenta evoluzione nel tempo, ma non dà alcun sintomo fino a quando circa l'80% di esse è stato distrutto. A questo stadio, i livelli di insulina prodotta raggiungono una soglia critica per l'organismo. Il deficit di insulina si manifesta con i ben noti sintomi della malattia (sete, aumentata produzione di urina, perdita di peso), legati all'aumento dei livelli di glucosio nel sangue. L'unica terapia per il diabete tipo 1 è costituita, da 70 anni a questa parte, da ripetute iniezioni quotidiane di insulina. Così però si corregge solo la conseguenza della distruzione delle beta cellule, ma non la causa della malattia, cioè il difetto del sistema immunitario. Una recente sperimentazione clinica coordinata da Lucienne Chatenoud presso l'Istituto Necker di Parigi e pubblicata sulla rivista «New England Journal of Medicine» potrebbe in futuro offrire nuove possibilità terapeutiche ai pazienti diabetici tipo 1. L'idea alla base dello studio è di "riordinare" il sistema immunitario, facendo uso di un anticorpo diretto contro la molecola CD3. Questa molecola è presente sui linfociti T, che sono i principali responsabili dell'attacco auto-immune. Topi di laboratorio trattati con un anticorpo anti-CD3 non sviluppano diabete. I meccanismi di questo effetto sono solo in parte conosciuti, ma rispecchiano l'azione dell'anticorpo sui linfociti T, cui segue l'attivazione di linfociti regolatori della risposta immunitaria. In seguito a queste osservazioni su topi, i ricercatori hanno raccolto, entro 4 settimane dalla diagnosi di diabete, 80 pazienti tra i 12 ed i 39 anni. Seguendo la procedura comune a tutti gli studi in cui un nuovo farmaco viene sperimentato sull'uomo, metà dei pazienti ha ricevuto l'anticorpo anti-CD3. L'altra metà ha invece ricevuto un'innocua sostanza di controllo, detta placebo. Per garantire la massima imparzialità di questi studi, né pazienti né medici curanti possono sapere se la sostanza somministrata è l'anticorpo o il placebo (studio "in doppio cieco") . La ricerca ha mostrato che i pazienti che avevano ricevuto l'anticorpo anti- CD3 mantenevano, a un anno e mezzo di distanza, una maggiore produzione residua di insulina rispetto ai soggetti trattati con placebo. In altre parole, la somministrazione dell'anticorpo era in grado di fermare l'ulteriore distruzione delle beta cellule pancreatiche ancora presenti. Di conseguenza, i pazienti trattati con l'anticorpo anti-CD3 mantenevano livelli di glicemia ottimali con dosi assai inferiori di insulina. Nel 75% dei pazienti trattati con l'anticorpo, ma in nessuno di quelli trattati con placebo, tali dosi di insulina erano, un anno e mezzo dopo la diagnosi, addirittura inferiori alle 0,25 unità per kilogrammo al giorno (circa 18 unità al giorno per un individuo di media statura). In altre parole, nel 75% dei pazienti trattati con l'anticorpo anti- CD3 si può parlare - almeno per questo periodo di osservazione di un anno e mezzo - di una quasi completa guarigione in termini metabolici. Quali sono i rischi della terapia con anti-CD3? Se ne sa poco, dato il breve periodo di osservazione. Gli effetti collaterali sono stati tuttavia modesti, e limitati al periodo (6 giorni) di somministrazione del farmaco. È importante notare che non si tratta di una terapia immunosoppressiva del tipo utilizzato per i trapianti d'organo. L'anticorpo anti-CD3 non è infatti stato somministrato per mesi o anni, ma per soli 6 giorni: quindi con un rischio assai inferiore di infezioni. Quali prospettive apre questo studio per i pazienti diabetici tipo 1? Ulteriori ricerche sono necessarie per tentare un'applicazione su larga scala di questa terapia. I pazienti considerati avevano tra i 12 ed i 39 anni ma molti diabetici sono di età inferiore e presentano solitamente un attacco auto-immune più aggressivo, più difficile da fermare. In secondo luogo, uno dei criteri di selezione dei partecipanti allo studio era la presenza di una produzione residua di insulina (cioè la presenza di una consistente frazione di beta cellule pancreatiche ancora risparmiata). Inoltre, non sorprendentemente, i pazienti che maggiormente si giovavano della terapia con anticorpo anti-CD3 erano quelli con una produzione residua di insulina più alta. Tuttavia, le condizioni (in termini di produzione di insulina) non sono sempre così favorevoli, soprattutto nei diabetici più giovani. Come ovviare a questo problema? La soluzione logica sarebbe intervenire più precocemente. In effetti, al momento della diagnosi, solo il 20% delle beta cellule possono ancora essere salvate. La percentuale potrebbe essere più alta se si potesse intervenire in anticipo. Per farlo, bisogna essere in grado di identificare soggetti ancora sani che svilupperanno in seguito la malattia. Sono in fase di sviluppo nuovi test immunologici per individuare, attraverso un prelievo di sangue, i linfociti T che causano la distruzione delle beta cellule pancreatiche. Questo esame potrebbe fornire una diagnosi assai più precoce, in un momento in cui nessun sintomo è ancora presente ma l'attacco auto-immune è già silenziosamente in atto e può essere fermato. Uno studio di questo tipo è in corso all'Istituto Necker di Parigi. L'Università di Torino vi è coinvolta, grazie al Gruppo di studio piemontese per l'epidemiologia del diabete. [TSCOPY](*)Istituto Necker, Parigi e Università di Torino[/TSCOPY] Roberto Mallone _________________________________________________________________ Repubblica 29 Sett. 05 TEST AIDS SENZA PRELIEVO DI SANGUE Negli Usa è una iniziativa presa da alcuni atenei si fa con un tampone da tenere tra guancia e gengiva L'esame adesso è per via orale CHARLESTON - Test per l'Aids all'università, senza prelievi di sangue e siringhe. La West Virginia University di Charleston, negli Stati Uniti, ha deciso di seguire l'esempio di altri atenei (quali la Fairmont State University e il Glenville State College) e rendere disponibile un test per l' Hiv ai suoi studenti. I primi esami sono stati fatti all'inizio del mese e ne hanno usufruito in 20. Il test si fa con un tampone di cotone, da tenere per circa cinque minuti tra la guancia e la gengiva. Il cotone attira gli anticorpi dai vasi sanguigni della bocca e può essere poi analizzato per individuare l'eventuale presenza del virus. I risultati arrivano dopo circa due settimane, in modo del tutto confidenziale. "Ci ha spinti a fornire il servizio - ha riferito il direttore del servizio sanitario per gli studenti dell'università - la necessità di aumentare la prevenzione, la consulenza e l'informazione sull'Aids". Nello stato della West Virginia il numero di casi di Aids e di trasmissione del virus Hiv è diminuito leggermente dal 2003. Fornire un test affidabile al 99%, direttamente nelle università, secondo la responsabile sanitaria dello stato è un'arma in più per ottenere risultati di prevenzione ancora migliori. "E' importante anche perché se uno studente teme di aver contratto il virus, si renderà conto che il servizio sanitario è in grado di dargli delle risposte", ha sottolineato la responsabile. La consulenza non si limiterà solo all'Aids, ma comprenderà tutti i comportamenti ritenuti a rischio per la salute. "Gli studenti troppo speso ritengono di non essere in pericolo, perché sono giovani e in buona salute - dice il direttore del servizio sanitario dell'università - pensano che a loro non possa succedere. Invece l'Aids colpisce tutti, senza distinzione di età, genere, razza o orientamento sessuale" _________________________________________________________________ Corriere della Sera 26 Sett. 05 LONDRA - LE DONNE MANCINE RISCHIANO DI PIÙ IL TUMORE AL SENO prima della menopausa rispetto a quelle «destrimani». A suggerire questa (curiosa) associazione epidemiologica è uno studio condotto da scienziati olandesi e pubblicato dal British Medical Journal online Cuno Uiterwaal, professore di epidemiologia clinica all'università di Utrecht, coon i suoi colleghi ha studiato 12 mila donne di mezza età in salute nate tra il 1932-1941 che fanno parte di un programma di screening al seno. «Se prendiamo i tumori al seno pre-menopausali e post-menopausali c'è il 40% in più di rischio per le donne mancine», ha detto Uiterwaal. «In particolare abbiamo scoperto che le mancine hanno più del doppio delle possibilità di sviluppare un tumore al seno prima della menopausa rispetto a quelle che non lo sono». I ricercatori dell'University Medical Centre di Utrecht, nei Paesi bassi, sostengono che ci siano origini condivise tra il nascere mancini e lo sviluppo del tumore al seno, probabilmente l'esposizione agli ormoni nell'utero. NESSUN ALLARMISMO - Ma gli scienziati hanno sottolineato che la scoperta non le deve allarmare. «Quello che il nostro studio intende fare è focalizzarsi su quest'area. Non conosciamo tutte le cause del tumore al seno, ecco perché dovremmo continuare. Ciò potrebbe essere un nuovo fattore che ci porta a capire meglio la causa della malattia».Nel mondo viene diagnosticato ogni anno un tumore al seno a oltre un milione di donne I tre quarti dei casi sono registrati dopo la menopausa, che di solito inizia intorno ai 50 anni. I fattori di rischio conosciuti per il tumore al seno sono sono una storia familiare per questo tumore (mamme, nonne, zie, sorelle che ne hanno sofferto), il fumo, l'assenza di gravidanze Dal 5 al 10% dei tumori al seno sono ereditari. La maggior parte sono dovuti alla mutazione dei geni in BRCA1 o BRCA2. Prima la malattia è diagnosticata, migliore è la prognosi per le donne _________________________________________________________________ Repubblica 28 Sett. 05 INFLUENZA AVIARIA: LA "GENETICA INVERSA" CI AIUTA Le ricerche di Adriana Albini * Numerose recenti pubblicazioni scientifiche su accreditate riviste internazionali ci rivelano alcuni segreti del virus dell'influenza aviaria. Innanzi tutto si cerca di capire il passaggio dell'influenza aviaria dai polli alle anatre selvatiche che ha permesso la migrazione del virus a vasto raggio. Secondo Samuel Jutzi, responsabile di una sezione Fao, che ha sede a Roma, gli uccelli migratori potrebbero portare il contagio in Europa occidentale già in primavera. Un gruppo di ricercatori coreani ha studiato anatre che mostravano sintomi clinici: problemi respiratori, diarrea, perdita di appetito e mortalità superiore al 12%. Gli "isolati virali" ottenuti dalle anatre ammalate hanno confermato che si tratta di H5N1 diventato patogenico per i volatili, confermando la diffusione di questo ceppo dai polli ad altri uccelli di specie affini. Un altro team, questa volta in Cina, ha pubblicato su Journal of Virology che il virus H5N1 ha gradualmente acquisito la capacità di replicare anche in topi da laboratorio, e di farli ammalare. Dal confronto di un vecchio virus non patogenico con uno isolato dalla recente epidemia, gli studiosi hanno osservato che la variazione di un singolo aminoacido nella catena proteica caratterizza il virus letale rispetto a quello innocuo. Il mistero della diffusione da parte degli uccelli migratori è stato affrontato, sempre su Journal of Virology, da parte di un gruppo di Memphis, Tennessee. L'anatra può costituire un reservoir naturale di influenza A non patogenica. Ogni tanto, però, si sono verificati contagi mortali nella fauna dei parchi e in allevamenti domestici. Gli scienziati hanno visto che negli uccelli studiati albergano vari tipi di isolati, alcuni non patogenici e altri patogenici, questi ultimi talvolta possono dare una sintomatologia lieve, non mortale, che consente una loro ulteriore propagazione. Nello stesso numero del settembre 2005 della rivista, è riportata una ricerca dell'Influenza Branch di Atlanta, negli USA, che ha studiato cinque ceppi isolati dall'uomo nell'epidemia 2004 e notato che la loro virulenza è assai superiore a quella dei virus ottenuti nel 1997, indicando una progressiva "trasformazione" del virus verso forme più pericolose. Uno studio con rilevanza applicativa è uscito un paio di settimane fa sulla prestigiosa rivista Procedings of the National Academy of Science da parte del dipartimento di malattie infettive di Memphis. Il gruppo ha generato dei candidati vaccini contro H5N1 attraverso la tecnica della "genetica inversa", basati su due forme differenti isolate da un ceppo nel 2003 a Hong Kong, l'altra da un isolato vietnamita del 2004. Sono state riscontrate differenze di aminoacidi in 10 punti diversi dell'emagglutinina. I vaccini ottenuti possono riconoscere differenze di uno o due aminoacidi e si dimostrano molto efficaci. Lo studio ha fatto vedere che la preparazione di "vaccini mutanti" è in grado di proteggere bene gli animali dall'infezione e potrebbe essere un'importante arma nell'uomo. I vaccini tradizionali spesso si preparano inoculando l'antigene nell'embrione dei polli. Essendo l'aviaria un virus che uccide proprio questa specie, bisogna trovare vie alternative. Dunque un farmaco "genetico" è molto importante. La genetica inversa, potente arma dei microbiologi, parte dalla sequenza degli aminoacidi del virus, per costruire un DNA specifico per codificare quella sequenza. Questo DNA può essere modificato a piacere per colpire anche delle varianti mutate. * Dir. Dip. Oncologia Traslazionale IST - Genova, Lab. Oncologia Molec. _________________________________________________________________ Le Scienze 29 Sett. 05 I DANNI DEL FUMO LEGGERO Il rischio è alto soprattutto per le donne Un vasto studio pubblicato sulla rivista "Tobacco Control" rivela che fumare anche solo da una a quattro sigarette al giorno può quasi triplicare il rischio di malattie cardiache e di tumore dei polmoni. L'impatto è più forte per le donne e contraddice l'idea che chi fuma poco possa evitare i gravi problemi di salute che affliggono i fumatori accaniti. I ricercatori norvegesi K. Bjartveit e A. Tverdal hanno analizzato la salute e i tassi di mortalità di circa 43.000 fra uomini e donne, seguendoli dalla metà degli anni settanta fino al 2002. Tutti i partecipanti avevano un'età compresa fra i 35 e i 49 anni all'inizio dello studio, quando sono stati esaminati per scoprire l'eventuale presenza di disturbi cardiovascolari e diabete. Nonostante una porzione significativa dei fumatori leggeri abbia aumentato il proprio consumo giornaliero di tabacco, questo non ha mai superato le 9 sigarette al giorno. E coloro che nel corso dello studio hanno smesso di fumare sono stati tanti quanti quelli che hanno aumentato il numero di sigarette consumate al giorno. Anche tenendo conto dei fattori di rischio che avrebbero potuto influenzare i risultati, i dati rivelano che il fumo leggero danneggia la salute. Il rischio maggiore si verifica proprio quando si fumano fino a quattro sigarette al giorno. Rispetto a chi non ha mai fumato in vita sua, questi fumatori hanno quasi tre volte più probabilità di restare vittime di una malattia alle arterie coronarie o di un tumore dei polmoni (valore che sale a cinque volte per le donne). © 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A _________________________________________________________________ Le Scienze 29 Sett. 05 LE BASI GENETICHE DEI RITMI CIRCADIANI I cicli circadiani variano sostanzialmente da individuo a individuo Tutti sappiamo che esistono individui mattutini e persone che preferiscono far tardi la notte. La variazione dei ritmi circadiani individuali, oltre che aneddotica, è un fatto verificato sperimentalmente. Ma finora per studiare sistematicamente le differenze circadiane (e dunque per chiarirne le eventuali cause genetiche) gli scienziati dovevano affidarsi a osservazioni prolungate del comportamento. Il lungo periodo di osservazione necessario per identificare le variazioni del ritmo circadiano negli esseri umani ha costi proibitivi ed è estremamente faticoso. Per aggirare queste limitazioni tecniche, Ueli Schibler dell'Università di Ginevra e colleghi descrivono sulla rivista "PLoS Biology" un nuovo metodo per misurare i cicli circadiani in coltivazioni di cellule di mammifero provenienti da tessuti diversi dal nucleo suprachiasmatico. I ricercatori hanno prelevato campioni di pelle da esseri umani e hanno infettato le colture tissutali con un virus progettato per esibire un segnale fluorescente quando un determinato gene circadiano risulta espresso. Grazie alla sensibilità di questo metodo, Schibler e colleghi hanno confermato che, sia per gli uomini che per i topi, i ritmi circadiani variano sostanzialmente da individuo a individuo: ciò suggerisce che anche la genetica dell'orologio biologico differisce parimenti da persona a persona. A differenza del reale ritmo di un individuo, però, il ritmo di una cultura cellulare non varia in base ai cambiamenti di esposizione alla luce o alle abitudini del sonno. I ricercatori avvisano dunque che il loro metodo può indicare differenze nei ritmi circadiani ma non può misurare direttamente il segnale proveniente dal coordinatore centrale dei ritmi circadiani nel cervello, il nucleo suprachiasmatico. S. A. Brown, F. Fleury-Olela, E. Nagoshi, C. Hauser, C. Juge, et al., "The period length of fibroblast circadian gene expression varies widely among human individuals". PLoS Biol 3(10): e338 (2005). © 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 28 Sett. 05 CALVIZIE, LA SPERANZA DAI TOPI: UN GENE FA RICRESCERE IL PELO Una ricerca americana. La tecnica, per ora limitata ai roditori, si basa sulla riattivazione delle cellule staminali dei follicoli ROMA - Nei topi funziona, nell' uomo chissà e chissà quando. Ma suscita ugualmente immancabili speranze la sperimentazione di una ricercatrice americana che è riuscita a far ricrescere la pelliccia a un roditore calvo, colpito dalla alopecia universale, la forma che caratterizza, ad esempio, l' arbitro Collina. Fra i cento geni collegati alla calvizie umana Catherine Thompson, dell' università americana Johns Hopkins, ha puntato l' attenzione su uno già noto da diversi anni, Hairless (traduzione: senza capelli), riuscendo a dimostrare che questo genere di malattia è determinata dall' atrofia dei follicoli piliferi. Basta riattivare Hairless, sostiene la genetista, ed ecco veder rispuntare la perduta criniera grazie alla rigenerazione delle cellule staminali dei follicoli. L' articolo è pubblicato sull' edizione elettronica di Pnas. La tecnica è basata sull' introduzione di un gene artificiale nel topo con alopecia, ma per ora non è trasferibile sull' uomo. «Non abbiamo nessuna intenzione di avventurarci nella terapia genetica. Però comprendere il meccanismo della rigenerazione dei follicoli ci permetterà di scoprire il problema alla base della calvizie umana più comune», dichiara la Thompson al quotidiano spagnolo El Pais. Pnas riporta le due foto affiancate del topolino preso come modello dal gruppo universitario. Prima della cura, completamente glabro, l' occhio reso ancora più tondo dall' assenza di ciglia e sopracciglia. E poi dopo la cura, all' apparenza più sicuro di sé stesso forse perché protetto da un folto mantello peloso. Mauro Picardo, direttore scientifico dell' istituto dermatologico del San Gallicano, Roma, ricorda la storia di Hairless che venne identificato nel 1926. Già da allora era noto che la sua mutazione era legata alla perdita di capelli. Quest' ultimo studio approfondisce la conoscenza sui suoi meccanismi d' azione. «Potrebbe essere una strada interessante da seguire - commenta il dermatologo -. Viene proposto un modello sperimentale per la ricerca sull' alopecia che però non può riprodurre le forme umane più comuni, quelle che preoccupano di più». L' 80-90% degli uomini soffrono di una calvizie che rientra nella sfera dell' alopecia androgenetica. Non è una malattia e può comparire già a 18-20 anni. c' è chi ne risente sul piano psicologico e preferisce rimediare con le soluzioni offerte dal mercato, ad esempio il trapianto di capelli. Il 10- 20% dei maschi hanno invece l' alopecia areata, a chiazze o totale, o anche universale, che impedisce la crescita di peli in tutto il corpo. È il già citato caso di Collina. Franco Buttafarro, presidente della società italiana di chirurgia della calvizie, fa notare come tutti gli uomini ereditano una certa quantità di geni che li conducono verso una più o meno spiccata perdita della capigliatura: «Mi sembra un po' troppo affrettato attribuire tutta questa importanza ad Hairless. Certo se riuscissimo a trovare la cura per l' alopecia universale sarebbe una svolta per tutte le forme». Attualmente non ci sono terapie convincenti. Secondo Buttafarro, buoni risultati nei giovani con la psicoterapia. mdebac@corriere.it Prima e dopo ROMA - Nei topi funziona, nell' uomo chissà e chissà quando. Ma suscita ugualmente immancabili speranze la sperimentazione di una ricercatrice americana che è riuscita a far ricrescere la pelliccia a un roditore calvo, colpito dalla alopecia universale, la forma che caratterizza, ad esempio, l' arbitro Collina. Fra i cento geni collegati alla calvizie umana Catherine Thompson, dell' università americana Johns Hopkins, ha puntato l' attenzione su uno già noto da diversi anni, Hairless (traduzione: senza capelli), riuscendo a dimostrare che questo genere di malattia è determinata dall' atrofia dei follicoli piliferi. Basta riattivare Hairless, sostiene la genetista, ed ecco veder rispuntare la perduta criniera grazie alla rigenerazione delle cellule staminali dei follicoli. L' articolo è pubblicato sull' edizione elettronica di Pnas. La tecnica è basata sull' introduzione di un gene artificiale nel topo con alopecia, ma per ora non è trasferibile sull' uomo. «Non abbiamo nessuna intenzione di avventurarci nella terapia genetica. Però comprendere il meccanismo della rigenerazione dei follicoli ci permetterà di scoprire il problema alla base della calvizie umana più comune», dichiara la Thompson al quotidiano spagnolo El Pais. Pnas riporta le due foto affiancate del topolino preso come modello dal gruppo universitario. Prima della cura, completamente glabro, l' occhio reso ancora più tondo dall' assenza di ciglia e sopracciglia. E poi dopo la cura, all' apparenza più sicuro di sé stesso forse perché protetto da un folto mantello peloso. Mauro Picardo, direttore scientifico dell' istituto dermatologico del San Gallicano, Roma, ricorda la storia di Hairless che venne identificato nel 1926. Già da allora era noto che la sua mutazione era legata alla perdita di capelli. Quest' ultimo studio approfondisce la conoscenza sui suoi meccanismi d' azione. «Potrebbe essere una strada interessante da seguire - commenta il dermatologo -. Viene proposto un modello sperimentale per la ricerca sull' alopecia che però non può riprodurre le forme umane più comuni, quelle che preoccupano di più». L' 80-90% degli uomini soffrono di una calvizie che rientra nella sfera dell' alopecia androgenetica. Non è una malattia e può comparire già a 18-20 anni. c' è chi ne risente sul piano psicologico e preferisce rimediare con le soluzioni offerte dal mercato, ad esempio il trapianto di capelli. Il 10-20% dei maschi hanno invece l' alopecia areata, a chiazze o totale, o anche universale, che impedisce la crescita di peli in tutto il corpo. È il già citato caso di Collina. Franco Buttafarro, presidente della società italiana di chirurgia della calvizie, fa notare come tutti gli uomini ereditano una certa quantità di geni che li conducono verso una più o meno spiccata perdita della capigliatura: «Mi sembra un po' troppo affrettato attribuire tutta questa importanza ad Hairless. Certo se riuscissimo a trovare la cura per l' alopecia universale sarebbe una svolta per tutte le forme». Attualmente non ci sono terapie convincenti. Secondo Buttafarro, buoni risultati nei giovani con la psicoterapia. Margherita De Bac mdebac@corriere.it Ai topi malati di alopecia sono stati riattivati i follicoli piliferi. Dopo la cura, al topolino è ricresciuta la pelliccia (nella foto a destra) _________________________________________________________________ Corriere della Sera 27 Sett. 05 SCOPERTO IL RAPPORTO TRA INFIAMMAZIONE E TUMORE Studio di ricercatori italiani sul cancro alla tiroide. «Ora nuove terapie» Negli ultimi anni, dopo osservazioni cliniche casuali, si è sempre più rafforzata l' ipotesi di un collegamento tra infiammazione e tumore. Ed è stato un vecchio anti-infiammatorio come l' aspirina a far sospettare questo legame: nei pazienti con problemi al cuore ai quali veniva somministrata per migliorare la circolazione si è vista un minore incidenza di alcuni tumori. Gli studi per comprendere il perché sono subito partiti e ora c' è un primo risultato riguardante la tiroide. Per la prima volta è stato scoperto nei tumori umani il nesso fra geni che causano cancro (oncogeni) e infiammazione. È l' importante risultato di uno studio pubblicato su Proceeding National Academy of Science (Pnas), condotto da due team di ricercatori italiani, coordinati da Marco Pierotti dell' Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori/Ifom e da Alberto Mantovani dell' Istituto clinico Humanitas di Milano, con i finanziamenti dell' Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro). Al lavoro hanno collaborato anche Andrew Fischer dell' università del Massachusetts, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e università degli Studi di Milano. Il tumore studiato è il carcinoma papillare della tiroide, tumore frequente che colpisce in maggioranza le donne. «Nel carcinoma papillare della tiroide - sottolineano Pierotti e Mantovani - si verifica di frequente un evento che in gergo definiamo di "riarrangiamento di geni", di per sé sufficiente a causare l' insorgenza del cancro. Ci siamo chiesti quale relazione ci fosse tra questo evento e l' infiammazione. E abbiamo scoperto che il gene riarrangiato (Ret/Ptc) attiva nelle cellule tiroidee un programma infiammatorio, presente ai massimi livelli nei tumori che causano metastasi linfonodali. Dunque tra l' oncogene e l' infiammazione esiste un nesso diretto». «È noto da tempo che tra infiammazione e cancro esiste un duplice rapporto - spiega Mantovani -. Da una parte infatti alcune forme di infiammazione in determinati organi favoriscono la nascita di un tumore, malattia dovuta ad alterazioni genetiche; dall' altra un tumore, indipendentemente dal fatto che sia stato o meno concausato da un' infiammazione precedente, per svilupparsi crea un ambiente infiammatorio. Fino a oggi non si conosceva il nesso fra geni e micro-ambiente che aiuta il tumore a svilupparsi. Ora con la scoperta del legame diretto fra oncogene e infiammazione si aprono ampi spiragli di cura e di diagnosi precoce». E tra le nuove terapie potrebbero trovare spazio anche «vecchi» anti-infiammatori. In sintesi, bloccare l' infiammazione creata dal tumore potrebbe bloccarne lo sviluppo e anche il decorso. Mario Pappagallo Pappagallo Mario CHIUDI _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 23 Sett. 05 BROTZU: TRAPIANTO DA RECORD DI RENE E PANCREAS Brotzu. È la prima volta in Sardegna Gli organi del motociclista morto ad Assemini sono stati impiantati insieme su un trentenne ? Rene e pancreas, per la prima volta in Sardegna, sono stati trapiantati insieme su un giovane trentenne della provincia di Cagliari. Il difficile intervento è avvenuto ieri pomeriggio al Brotzu. Ora il paziente è in rianimazione: prognosi riservata, che potrebbe essere sciolta tra oggi e domani. La particolarità dell'operazione è che si tratta di un “trapianto combinato”. I due organi sono stati cioè trapiantati contemporaneamente. Il rene dall'equipe del primario di Urologia Mauro Frongia; il pancreas da quella di Fausto Zamboni, primario di chirurgia generale. Ma tutto è stato possibile solo grazie alla generosità della famiglia del giovane Giuliano Niola, 33 anni, di Assemini, morto dopo un incidente stradale in sella alla sua moto lo scorso lunedì. I genitori hanno dato il via libera all'espianto degli organi. Non solo del rene e del pancreas, donati a un ragazzo di appena tre anni più giovane di lui e dializzato da molto tempo: anche il cuore è stato già trapiantato al San Camillo di Roma, mentre il fegato è arrivato al Centro Trapianti di Torino. Ci vorranno dunque altre 24 ore circa per conoscere le condizioni del paziente trapiantato al Brotzu. In casi come questo, il “trapianto combinato” di rene e pancreas permette di superare più facilmente alcuni disturbi che la semplice sostituzione del pancreas non sempre basta a risolvere. Presto si saprà se l'intervento, mai avvenuto prima nell'Isola, può dirsi riuscito con successo. ? CR.P.