CONTRORIFORMA ALL'UNIVERSITÀ - SÌ AI CONCORSI MA LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ NON CONVINCE - L'UNIVERSITÀ È PARALIZZATA. NOI LA SALVEREMO COSÌ - PANEBIANCO: I NO ALLA MORATTI SONO POLITICI E MESCHINI - DOTTORANDI: PERCHÉ COMBATTIAMO LA MORATTI E LE BUGIE DEI TG - PICCOLE UNIVERSITÀ DI CAMPANILE CRESCONO - UNA FABBRICA CHIAMATA UNIVERSITÀ - I RETTORI: INVESTITE NELL' UNIVERSITÀ PIÙ RICERCA O PERDIAMO STUDENTI - SASSARI:UNIVERSITÀ: STORIA DI UNA MONARCHIA ANNUNCIATA - LA QUALITÀ DEGLI STUDI A SASSARI - UNIVERSITÀ: CHI VINCE AL TEST COSTI-BENEFICI - MEDICINA PREMIATI UN PROFESSORE AUSTRALIANO E IL SUO ALLIEVO - NELLE UNIVERSITÀ AUSTRALIANE È BOOM DI STUDENTI STRANIERI - NOBEL PER LA FISICA AGLI INVENTORI DEL GPS - QUESTO NOBEL FA LUCE SULLA FISICA - AD HARVARD ASSEGNATI GLI ANTI-NOBEL - BATTUTA D'ARRESTO SU RICERCA E SVILUPPO - I VESCOVI: VOTARE GLI ABORTISTI È PECCATO - LAUREARSI IN DUE ANNI È POSSIBILE - OGNI ANNO +20 % DI MATRICOLE ALLE FACOLTÀ «SOCIALI» - GAVINO SANNA: LA PIPI CONTRO SORU - ======================================================= L’AZIENDA MISTA VA AVANTI MA PERDE IL MICROCITEMICO - TRA DUE SETTIMANE TRASFERITE AL POLICLINICO LE PRIME SALE OPERATORIE - PALERMO: IL FALSO MANAGER DIRIGEVA UN OSPEDALE - IN ITALIA IL 30% DI RICOVERI È DOVUTO AL DIABETE - NIENTE SAPONE, SONO AMERICANI - CONTINUA A CRESCERE LA SPESA SANITARIA - SONO SALVO GRAZIE CON LA RISONANZA AD ALTA DEFINIZIONE - CHI MENTE HA PIÙ MATERIA BIANCA. E UTILIZZA PIÙ REGIONI DEL CERVELLO - IL VIRUS DELLA «SPAGNOLA» ERA «AVIARIO» - PROSTATA E CANCRO, I TEST DA AFFINARE - ARTRITE REUMATOIDE MALE SCONOSCIUTO - TUBERCOLOSI E MIGRAZIONI - ======================================================= ______________________________________________ Rinascita 8 ott. ’05 CONTRORIFORMA ALL'UNIVERSITÀ DOCENZA Demagogico il provvedimento del governo Violate conoscenza e creatività I provvedimento sulla docenza universitaria, su cui arrogantemente si è chiesta la fiducia, costituisce una vera e propria controriforma, un'operazione anche dai connotati demagogici, che non risponde né alle aspettative del mondo accademico e della cultura più in generale e nemmeno alle sfide che questo mondo globalizzato pone e che l'internazionalizzazione dell'economia impone. La conoscenza, la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica sono fondamentali per il futuro della scienza nel nostro Paese e dello stesso sviluppo nazionale e dell'Europa. Anche nel "Manifesto per la scienza" sottoscritto da tanti accademici europei è stato ribadito ancora una volta come la conoscenza sia un bene immateriale primario di interesse ormai sopranazionale ed è stato anche per gli impegni assunti a Lisbona proposto di destinare una quota del Pii a livello europeo alla ricerca. In Italia, invece, abbiamo assistito, in questi ultimi anni, a continui tagli ai fondi pubblici per la ricerca e la cultura, con un inevitabile effetto negativo nel medio e nel lungo periodo sulla stessa creatività. Si privilegia, con scarse risorse per giunta, la ricerca a breve periodo che determini subito un risultato utile per il mercato. Questo è importante, noi non lo neghiamo, purché non vengano meno le risorse per la ricerca fondamentale di base, per la cultura, per le strutture culturali nel nostro Paese che, dì anno in anno, si vedono ridotti i fondi. Ancora pochi giorni fa in Parlamento, il presidente del Consiglio Berlusconi ha sostenuto che lo stato di salute del nostro Paese è ottimo. Sta di fatto che in base all'indice di sviluppo umano elaborato dalle Nazioni Unite per misurare il grado di sviluppo effettivo di uno Stato (indice che include i livelli di educazione, di istruzione e di cultura, oltre a quelli di qualità della vita), l'Italia, che occupa il settimo Posto nella scala dei Paesi industrializzati, si trova nella diciottesima posizione. Infatti, il Pii misura esclusivamente la ricchezza prodotta, ma non certamente il grado di cultura e di educazione complessiva di un Paese. , Assistiamo inoltre - ormai è un'ovvietà - ad una progressiva perdita in termini di competitività dell'azienda Italia e quindi alla perdita dì quote di mercato_ Nasce da qui l'esigenza, ormai da tutti riconosciuta per arrestare questo processo, di promuovere un più alto valore tecnologico aggiunto alla produzione, aumentando quindi le conoscenze nel nostro sistema produttivo. In un recente dossier dell'Istat sulle "Spese in ricerca e sviluppo delle imprese" si sottolinea l'estrema debolezza della ricerca in Italia. La spesa pubblica è assolutamente inadeguata. Ma anche nell'ambito delle imprese (chiaramente non possiamo riferirci a quelle piccole e medie, che di certa non possono investire in ricerca e innovazione, bensì alle grandi), possiamo osservare che il livello di spesa per la ricerca è assolutamente basso e solo una minima parte della ricchezza prodotta viene reinvestita in una prospettiva di crescita a medio e lungo periodo; e quando parliamo delle grandi aziende ci riferiamo soprattutto all'Eni o all'Enel. E' strategicamente sbagliato andare ad ulteriori dismissioni di azioni da parte dello Stato di questi grandi gruppi, che soli possono investire un'ingente massa di capitali nella ricerca per conseguire un risultato che, molto spesso, è assai differito nel tempo e, pertanto, senza vantaggi immediati. Un'ulteriore privatizzazione di Eni, Enel e di altre aziende che operano nel settore dell'energia e delle telecomunicazioni comporta il rischio che sia l'interesse privato a determinare i settori di ricerca e che non sia certamente l'uso sociale della conoscenza a dettare gli orientamenti in tal senso. La Cina sta per richiamare dall'estero un milione di propri studenti mandati a studiare nelle migliori università del mondo. Si alzano barriere contro i prodotti di abbigliamento cinesi, ma le nostre autorità diplomatiche ci avvertono che la Cina fra pochi anni sarà in grado di competere anche con prodotti ad alto valore tecnologico. Ebbene, cosa si è prodotto da parte di questo Governo? Nella Finanziaria dell'anno scorso erano previste agevolazioni fiscali, per qualche nostro ricercatore che si trovava all'estero, con l'auspicio che potesse rientrare in Italia. Ma come è possibile pensare ad un rientro? Cosa troverebbero i nostri cervelli all'estero se mancano in Italia le strutture, gli stanziamenti per la ricerca e se le assunzioni nelle università sono bloccate? AL nuovo carrozzone che è stato istituito, l'istituto nazionale di tecnologia, non sì sono negate le risorse che invece sì sono negate alle università, al Cnr, all'Enea e agli istituti specializzati di ricerca. I giovani laureati scappano all'estero e realizzano brevetti altrove. Sono pochi i laureati nel nostro Paese rispetto alle esigenze. Non può essere tutto affidato alla spontaneità del mercato. In questo settore, in particolare, occorre la mano visibile dello Stato, attraverso incentivi specifici per la ricerca soprattutto nei settori tecnico scientifici. Ecco perché questo provvedimento, sottratto alla discussione in Commissione e quindi al confronto con le proposte alternative avanzate dall'opposizione, ha suscitato la contrarietà di tutto il mondo accademico italiano, non risponde alle esigenze e alle aspettative delle università, né va in direzione di aumentare le conoscenze del nostro sistema produttivo. Esso renderà sempre più precario il lavoro nella ricerca, e la precarietà, come sappiamo, incide negativamente sulla stessa specializzazione professionale. Dopo una politica dissennata di tagli alle università e ai centri di ricerca, ai quali sono state negate le necessarie risorse, dopo il blocco delle assunzioni dei ricercatori, si imponevano provvedimenti specifici volti ad accrescere la qualità delle università italiane, che sono il punto strategico per la ricerca e l'innovazione tecnologica. Questa controriforma non risponde all'esigenza dì riaprire alle giovani generazioni le porte della docenza e della ricerca universitaria. Per perseguire l'obiettivo della crescita del Paese occorre aumentare le conoscenze. Senza crescita, è anche difficile raddrizzare i conti. Quindi occorrono ampi investimenti in istruzione e formazione, non i regali fiscali alla Tremonti. II provvedimento del ministro Moratti è un bluff, perché tra l'altro non prevede risorse aggiuntive, quindi non incentiva né la ricerca né la didattica, rende sempre più difficile l'ingresso dei giovani nel mondo accademico c penalizza i giovani ricercatori attuali, disconoscendo il loro ruolo negli atenei. Il Presidente della Conferenza dei rettori, non a caso, ha detto che questo provvedimento manda nel caos le università./ ____________________________________________________________ La Stampa 5 ott. ’05 SÌ AI CONCORSI MA LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ NON CONVINCE LA POLEMICA I DOCENTI REPLICANO AL MINISTRO Piace il nuovo metodo, che supera i localismi, sul resto il contrasto rimane totale A dire il vero, questa non mi sembra una riforma dell’Università, è un intervento sullo stato giuridico di chi ci lavora; ma la cosa peggiore è nell’ultimo articolo, dove si dice che dai provvedimenti non devono derivare maggiori oneri per la finanza pubblica. Un riforma a costo zero? Via, non prendiamoci in giro». Marco Santagata, direttore del dipartimento di italianistica a Pisa e presidente di Icon, il consorzio per la laurea online, è stato fra gli estensori della riforma Berlinguer, che fra proteste d’ogni genere ha cambiato definitivamente il volto dell’Università italiana, introducendo la laurea triennale. Ma il suo sarcasmo su quella firmata dal ministro Moratti non è «interessato». Anche la conferenza dei rettori ha criticato duramente il provvedimento per quanto riguarda l’iter parlamentare con il voto di fiducia al Senato, sottolineando la mancanza di «reali possibilità, basate sul merito», la sparizione dal testo di ogni riferimento a un’Agenzia indipendente di valutazione sull’operato delle diverse Università e altri punti ancora. Le acque sono agitate, le contrapposizioni forti, ma forse non è solo una «minoranza rumorosa», come il ministro ha detto nell’intervista a «La Stampa» dell’altro ieri, a schierarsi. Quella c’è, ed è stata chiamata in causa in un appello lanciato nel marzo scorso attraverso la fondazione Magna Carta da un gruppo di docenti di varia estrazione politica e culturale. C’erano fra gli altri Biagio De Giovanni, Gian Enrico Rusconi, Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Sabbatucci e Aldo Schiavone, che ne fu il promotore. Esordiva così: «Siamo stanchi di dire e di ascoltare solo dei no: da più di trent’anni, l’Università italiana non sa far altro. O meglio, non l’Università ma quella piccola minoranza alla quale consentiamo da troppo tempo di parlare a nome di tutti e di bloccare tutto». Le adesioni furono numerose. Ma se «non basta dire sempre no», quando dire sì? Come, su che punti? E’ il tema di questi giorni, in attesa che il provvedimento del ministro torni alla Camera dei deputati. E su alcuni aspetti c’è quasi l’unanimità, per esempio sui concorsi. Santagata è convinto che il tornare a quelli nazionali non risolva il problema sorto obiettivamente negli ultimi anni, con i concorsi locali «diventati - ammette - bieco localismo». Ma Aldo Schiavone, e come lui forse la maggioranza degli universitari, è di parere opposto. «Questa riforma non mi entusiasma per nulla - spiega il docente che ha fondato a Firenze l’Istituto umanistico di alti studi - però su alcuni punti, per esempio il concorso nazionale, risolve problemi». Dello stesso parere è Paolo Bertinetti, anglista a Torino: «Quello del concorso nazionale è un esempio di piena identità di vendute tra Università e Ministero. Sul resto il contrasto è molto grande». Il resto sono soprattutto i ricercatori, ruolo che andrà ad esaurimento nel 2013 sostituito da contrattisti a tempo determinato, e la sorte dei 50 mila precari che ancora devono trovare una via d’accesso all’Università. A loro il ministro promette un futuro migliore, pochi ci credono. Anche fra i cattedratici: «Rendere precario l’accesso al ruolo di ricercatore è inquietante e iniquo - dice per esempio Giorgio Ficara, italianista a Torino, solide relazioni internazionali -. Da noi un precariato fino ai 40 anni e oltre crea una forma di disagio e smarrimento, che quelli bravi non possono accettare». Ragion per cui, il professor Ficara ammette ormai «per cinismo e realismo» di mandare i suoi allievi migliori all’estero, invece di «tentare inutili concorsi italiani, con attese lunghissime». Ma tutto questo è l’oggi, e va oltre la riforma Moratti. E’ il grande tormento cresciuto con l’Università di massa, insieme alle accuse alla «corporazione» accademica. Motivate? «Io sono stato membro del consiglio nazionale universitario per nove anni - risponde il professor Mario Morcellini, docente alla Sapienza e presidente della conferenza dei presidi di scienze della comunicazione - e i ricorsi che abbiamo esaminato rappresentavano un tre per cento del totale dei posti assegnati per concorso. Non esiste sistema pubblico e privato che possa evitare al 100 per cento i meccanismi di cooptazione; quindi, se vogliamo restare “di qua dal Paradiso”, dobbiamo ammettere che questo sistema non era comunque quello dipinto dai media o dal ministro Moratti, quando ci accusa di tutelare i nostri interessi corporativi». Morcellini semmai rimanda l’accusa al mittente, con un bel gesto retorico: «Aver scelto la strada della fiducia sul provvedimento dà fiato agli interessi corporativi. E’ un errore grave: alla Rai il ministro aveva governato con equilibrio. Ora sembra aver perso quelle doti». La riforma, in una parola, è «anti-meritocratica»: «prevede una mappa pivilegiata per chi sta dentro, poche risposte per i 50 mila fuori». Persino il linguista Raffaele Simone, autore di un atto d’accusa durissimo, «L’università dei tre tradimenti», pubblicato qualche anno fa per Laterza, questa volta si schiera coi suoi colleghi: «Sicuramente la protesta ha qualche aspetto corporativo, però attenzione: il vero luogo del corporativismo accademico è il Parlamento». Anche lui opera però qualche distinguo: «Sono d’accordo con l’istituzione del ricercatore a tempo determinato. Uno dei difetti dell’Università è sempre stato la totale impossibilità di liberarsi delle persone prive di vocazione e di talento». L’opposizione c’è, ma discute, non marcia compatta. Se Laura Pelaschiar, anglista, ricercatrice presso la Facoltà di lettere di Trieste, pensa al precariato a lungo termine come a un «pura follia» («Chi si potrà permettere 9 anni nell’incertezza sperando di accedere poi a un concorso per associato?») Paola Pallavicini, professore a contratto - quindi precaria - che si occupa di «storia di genere» e storia dei media, offre una risposta inattesa: «Paradossalmente, la prospettiva dei contratti a termine nel mio caso è migliore, dato che mi occupo di studi poco strutturati nell’insegnamento universitario, che fanno riferimento a diverse “corporazioni” accademiche». Quindi è favorevole? Non esageriamo. Semplicemente, «un contratto a termine non mi umilia più di quanto mi umili adesso vedere dimezzato il mio stipendio nell’arco di tre anni». Riforme a parte, forse è proprio il tasso di umiliazione presente nell’Università (e nei suoi dintorni) quello su cui bisognerebbe lavorare. Da subito. ______________________________________________ L’Unità 6 ott. ’05 L'UNIVERSITÀ È PARALIZZATA. NOI LA SALVEREMO COSÌ GIUNIO LUSATTO Si è già detto, giustamente, tutto il male possibile sui contenuti del progetto di legge Moratti relativo allo stato giuridico dei docenti e sulle forzature procedurali con le quali è stato approvato al Senato. Forse, non si è invece evidenziato a sufficienza un ulteriore gravissimo aspetto negativo: occupandosi ditale progetto non ci si è occupati in questi anni dei problemi veri che l'università italiana ha davanti a sé. Se il progetto divenisse legge (magari con una ulteriore forzatura alla Camera) il Miur e le università sarebbero paralizzati per ulteriori anni dal lavori di bassa cucina richiesti dalla sua attuazione: definire le modalità organizzative per i giudizi nazionali, accorpare i settori scientifico-disciplinari, assegnare i numeri di posti, fissare le quote «riservate» e ripartirle. Un gruppo di professori «benpensanti», al quale hanno dato spazio la Fondazione del Presidente del Senato e il giornale Il Riformista, ha lanciato lo slogan «non possiamo dire solo dei no» e ha giustificato contale parola d'ordine l'adesione alla legge Moratti: legge che in realtà è altrettanto negativa nella loro asserita ottica «meritocratica» quanto lo è da altri punti di vista. Ebbene, non dire solo dei no significa affrontare le questioni universitarie che richiedono interventi importanti; chi ha detto no, in quanto non ha assunto iniziative politiche al riguardo, è il governo che si è incaponito nella volontà di portare avanti a tutti i costi la legge sulla docenza, mentre in molti casi proprio gli ambienti universitari che si opponevano duramente a tale legge hanno anche sviluppato un insieme di elaborazioni propositive. In particolare, il gruppo «Diamo voce alle università», docenti di orientamento progressista in positivo rapporto con Parlamentari di centrosinistra delle Commissioni Istruzione e Cultura, ha condotto un impegnativo lavoro di approfondimento a partire da un documento base presentato all'Università di Roma3 nel novembre 2004 e sul quale erano giunte oltre 1800 adesioni. Tale lavoro sarà al centro di una Conferenza Nazionale a Milano, Università Bicocca, il prossimo venerdì 7. I titoli delle 11 schede preparatorie, qui di seguito riportati con l'indicazione dei relativi redattori, illustrano da soli l'ampiezza delle tematiche che verranno affrontate. Finanziamento delle università (P. Silvestri) - Governo del sistema universitario (L.Modica) - Ordinamenti didattici (G.Capano) - Politiche di sostegno agli studenti (G. Catalano) - Rapporti Scuola/Università (G.Luzzatto / C.Pontecorvo) - Rapporti Università/Territorio (R.Moscati) - Ricerca universitaria (C. Calandra Buonaura / M.Camboni) - Stato giuridico dei docenti (E.Bimbi / C.Violani) - Università. e formazione pern7anente e ricorrente (B.M. Bosco Tedeschini Lalli) - Università e insegnamento a distanza (D.Pedreschi / E.Stefani) - Valutazione nel sistemauniversitario (L.Guerzoni) Troppa carne al fuoco, è facile obiettare. Ma solo tenendo presente la vastità dei problemi, e le interconnessioni tra i diversi aspetti, è possibile evitare soluzioni controproducenti. Ogni scheda formula pertanto precise proposte attuabili a tempi brevi o medi, senza l'idea di azioni globali palingenetiche ma nella consapevolezza di tali necessarie interconnessioni. Nella convinzione, altresì, che non si parte da zero. A partire dalle iniziative di Antonio Ruberti (1989), si è progressivamente consolidata una linea che ha individuato nello sviluppo dell'autonomia e nel forte raccordo con la realtà europea due strumenti fondamentali per rendere l'università adeguata al mondo di oggi; il percorso è stato incompleto, ha talora registrato passi indietro - in particolare nell'attuale legislatura - ma come direzione generale è irreversibile e ha anche visto risultati positivi. Ciò che occorre, allora - e il gruppo citato si muove in questa ottica - è individuare da un lato i punti sui quali finora gli interventi non ci sono stati o sono stati insufficienti, e verificare d'altro lato - dove gli interventi ci sono stati - quali sono stati i loro limiti, o comunque le ragioni di risultati inferiori alle aspettative. Tra gli interventi finora assenti, sembra prioritaria, e ormai non rinviabile, una radicale riforma delle strutture di governo: il Ministero è ancora quello che gestiva e non quello che deve studiare, capire, progettare e indirizzare, le Università sono ancora rette da organismi sostanzialmente corporativi e continuano a operare più come confederazioni di Facoltà e/o Dipartimenti tra loro indipendenti che come istituzioni dotate di propria immagine complessiva e di proprie strategie. È inoltre indispensabile una Autorità di valutazione che sia rigorosamente «terza», indipendente dal Miur come dagli Atenei. Quanto all'esame delle riforme già attuate, occorre in particolare monitorare le modalità con le quali è stata resa operante la riforma didattica («3+2», crediti, etc.). Monitorare significa fare solo affermazioni documentate, non generalizzare singole realtà come se fossero la regola, in una parola applicare un metodo scientifico anche all'esame del funzionamento dei luoghi dove si forma alla scienza: il che spesso non è avvenuto. Si vedrà allora che ci sono casi dove le cose hanno funzionato bene, e altri dove non hanno funzionato affatto (e uno spettro di casi intermedi): solo così si possono individuare i miglioramenti indubbiamente necessari. Chi sarà alla Conferenza a Milano ci proverà. ______________________________________________ Corriere della Sera 6 ott. ’05 PANEBIANCO: I NO ALLA MORATTI SONO POLITICI E MESCHINI La «chiamata alle armi», la «grande mobilitazione» contro il decreto del ministro Letizia Moratti sulla docenza universitaria che scuote le Università italiane, è solo l'ultimo (in ordine di tempo) penoso sussulto di un mondo universitario nel quale la parte migliore dei professori, per lo più, tace e lavora, lasciando nelle mani delle componenti più corporative, politicizzate e sindacalizzate, il privilegio della «rappresentanza». Il decreto Moratti, inevitabilmente frutto di compromessi, contiene cose buone (soprattutto, la graduale eliminazione del ruolo dei ricercatori, senza peraltro toccare i cosiddetti diritti acquisiti) e cose meno buone. Non è un toccasana per l'Università ma qualcosa di significativo promette comunque di realizzarlo. Di sieuro, non merita la dura opposizione in cui si è impegnata la Conferenza dei Rettori in sintonia con i sindacati del settore. Quanto accade è interessante. Docenti che non mossero un dito per protestare contro la riforma del «tre più due» (laurea triennale più biennio specialistico) le cui conseguenze negative, sotto il profilo della qualità dell'offerta didattica e della formazione, erano prevedibilissime prima ancora che entrasse in vigore, si stracciano ora le vesti perché vengono toccati alcuni aspetti della progressione in carriera. Le ragioni della «mobilitazione» sono fondamentalmente due. In primo luogo, si tratta del consueta fuoco di sbarramento contro qualunque tentativo di modificare lo status quo, toccando i vari interessi corporativi. Niente di nuovo rispetto al passato. In secondo luogo, la cosiddetta mobilitazione ha evidenti motivazioni politiche. Insomma, è un episodio della campagna elettorale, della lotta politica «contro il governo Berlusconi». Per molti, si tratta di sincera convinzione (comunque deprecabile, perché l'Università in quanto tale dovrebbe tenersi fuori dalla tenzone politica). Per alcuni, invece, si tratta, verosimilmente, di calcolo. Secondo le attese e le previsioni, dopo le elezioni ci sarà probabilmente un governo di sinistra. Conviene acquisire meriti agli occhi dei futuri vincitori. ___________________________________________________ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 6 ott. ’05 DOTTORANDI: PERCHÉ COMBATTIAMO LA MORATTI E LE BUGIE DEI TG Che un Ministro della Repubblica, come la signora Moratti, voglia imporre riforme inutili e dannose al mondo dell'Università, è già accaduto in passato. Che invece insulti l'intero mondo dell'Università che si è schierato in larghissima parte contro la sua riforma dichiarando che si tratta soltanto di incrostazioni corporative da spazzare via a colpi di fiducia parlamentare, è decisamente più grave. Che poi il servizio radiotelevisivo pubblico che tutti noi paghiamo, nell'ormai inqualificabile Tgl del 29 settembre, si inventi letteralmente la notizia che le associazioni dei dottorandi di ricerca sarebbero d'accordo con questa catastrofica riforma, è davvero uno scandalo. I giovani studiosi, i dottorandi, i ricercatori sono i più penalizzati da questa riforma che non tocca minimamente le posizioni acquisite ed i meccanismi clientelari di selezione, e che è degna di un Paese che umilia sistematicamente i propri giovani cervelli. Per questo si stanno battendo e continueranno a farlo contro la riforma Moratti. Che questo non piaccia alla signora Moratti ed ai giornalisti del Tgl, è comprensibile. Che si raccontino spudoratamente delle menzogne, lo è di meno. Giuseppe Lella Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani Bari guis04@hotmail.com ______________________________________________ Il Sole24Ore 7 ott. ’05 PICCOLE UNIVERSITÀ DI CAMPANILE CRESCONO LA TESI Un ateneo in ogni provincia. È il segno di una concezione arcaica dell'istruzione e del lavoro DI WALTER PASSERINI E così da marzo avremo pure l'Università della bistecca, a Panzano, nel cuore del Chianti, rettore il poeta-macellaio Dario Cecchini, docente di «cottura della vera fiorentina alla griglia». Sarà una delle tante università che nascono come funghi sul territorio nazionale. All'enfasi e alle metafore alimentari siamo ormai abituati, anche grazie a una fiorente e incontrollata offerta formativa. Nella quale si nascondono però delle polpette avvelenate. Non ci riferiamo tanto ai numerosi tentativi, spesso perfettamente riusciti, di creare dal nulla improbabili atenei privati, usando magari come aule vecchi locali cinematografici in disuso, ma all'esplosione di università pubbliche, dotate di tutte le autorizzazioni rilasciate dal Ministero. Dal varo delle lauree triennali, a partire dal 2000, vi è stata infatti un'incontrollata crescita di atenei di provincia che, se in certi casi può rispondere ai fabbisogni di specifici territori, nella maggioranza delle situazioni risponde invece ad altri criteri, tra i quali non ultimi il narcisismo di potentati locali, il riciclaggio di vecchi baroni trombati e una certa idea dello studio e del lavoro, tipici di una società arcaica che speravamo non ci fosse più. Ma così evidentemente non è. Ormai ogni provincia italiana ha oggi la sua università. Non c'è capoluogo che non la chieda, che non la reclami e che non venga accontentato. Le università di paese, di villaggio, di campanile saranno il prossimo traguardo, in una corsa verso una declinante qualità? II fenomeno non è positivo. Ma soprattutto, quel che fa male al Paese è la cultura della formazione dei giovani e del lavoro che è sottesa alla proliferazione delle sedi universitarie. E cioè l'idea che in sintesi potremmo definire, integrando un vecchio proverbio popolare contadino, «Mogli, studi e buoi dei paesi tuoi». In sostanza, è il primato dell'idea dell'antimobilità, il trionfo del piccolo mondo antico, del piccolo borgo, del bozzolo protettivo, la vittoria dell' antimodernità. Sì, perché studiare nella stessa città significa un liceo a tiro di mamma; a cui segue un ateneo sotto casa, che tra l'altro costa meno; significa il mantenimento dei legami affettivi con la famiglia. E infine, l'uscita dal piccolo corsificio di paese per conquistare l'agognato lavoro. Ma qui è doccia fredda. Perché non è detto che dopo un onorevole curriculum scolastico i nostri giovani dottori riescano a trovare pure il lavoro sotto casa. Un amaro risveglio. Il fallimento di un progetto che impedisce ai nostri ragazzi di crescere, di confrontarsi con la realtà, con il mondo esterno, con la mobilità. Teniamoci i nostri Peter Pan, i nostri Tanguy. Ma non lamentiamoci se continuiamo a restare un piccolo paese. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ ______________________________________________ Il Mondo 14 ott. ’05 UNA FABBRICA CHIAMATA UNIVERSITÀ L'assessore alle Attività produttive: «Siamo una piccola grande regione. Che vuole essere protagonista di una nuova fase di crescita». Torm la concertazione con il territorio La punta di diamante sarà il sistema universitario regionale. Con tre atenei (L'Aquila, Chieti e Teramo) e quasi 60 mila studenti, in crescita costante, rappresenta la sfida del sistema Abruzzo per il futuro. Soprattutto nel campo della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo delle aziende e anche dello spirito imprenditoriale, che è alla base dell'eeonomi2 della regione. Un'economia che sta vivendo una fase di passaggio, come rileva anche la nuova giunta di centro-sinistra guidata da Ottaviano Del Turco, che ha vinto le elezioni dello scorso aprile: il pil, dopo un lungo periodo di grande vitalità. sembra stia rallentando; accanto ad alcuni distretti produttivi e sistemi di piccole e medie aziende dinamic emergono alcune situazioni difficili per esempio intorno al polo tecnologico dell'Aquila; va infine riequilibrato il rapporto tra aree più interne e atee costiere e vallive con ritmi d crescita diversi. Tutti fattori evidentemente correlati, anche se è proba bile che alcuni di essi siano il sintomo più che la causa. La nuova giunta regionale si è insediata da non molto tempo, ma gia l'aspettano al varco molte decision cruciali. In questa fase di profonda trasformazione un ruolo importante sarà quello dell'assessore alle Attività produttive, Valentina Bianchì. Domanda. Qual é, oggi, lo stato di salute del sistema produttivo abruzzese? Risposta. Dopo la crescita che ha portato l'Abruzzo a essere tra le regioni a più alto indice di sviluppo del Centro-Sud, è mancata una politica efficace per l'innovazione e soprattutto non sono stati sviluppati progetti per il consolidamento e l'internazionalizzazione delle imprese che operano in regione. Ora siamo di fronte a una fase di svolta per affrontare la quale abbiamo avviato una programmazione, recuperando, anzitutto; il metodo della concertazione tra le parti sociali e dando finalmente all'Abruzzo una missione. Siamo convinti che oggi la competizione non si gioca più a livello di singola impresa ma dì sistemi territoriali. D. Quali sono i punti di forza su cui scommettere? R. L'Abruzzo ha tutte le condizioni per essere competitivo e per continuare ad attrarre nuovi investimenti in virtù di un tessuto imprenditoriale vivace, dove accanto alle grandi industrie si sono sviluppate piccole e medie imprese considerate d'eccellenza a livello internazionale, di una buona dotazione di infrastrutture, di servizi e di aree disponibili per gli insediamenti, di un'alta scolarizzazione e di una buona specializzazione degli occupati. Poi c'è un territorio che deve ancora essere valorizzato dal punto di vista turistico e, quindi, commerciale, utilizzando al meglio quella vocazione ambientale che ha consentito uno sviluppo compatibile all'interno e nella cinta esterna delle aree protette. D. E i principali punti critici dell'Abruzzo spa? R. Ci sono alcune emergenze occupazionali dovute alla crisi di alcune grandi imprese in settori che soffrono la competitività dei Paesi emergenti. Ma ci sono altre grandi industrie che continuano a investire in Abruzzo. C'è un elevato numero di centri commerciali di fronte ai quali negli ultimi anni ha sofferto il piccolo commercio, ma è anche vero che probabilmente c'è stata una selezione naturale, visto che gli ultimi dati registrano una crescita costante in questo settore. D. Dunque quali sono i principali progetti della giunta e dell'assessorato? R. L'obiettivo principale della giunta regionale e dell'assessorato alle Attività produttive e all'innovazione è di favorire lo sviluppo del sistema produttivo della regione Abruzzo costituito, com'è noto, in prevalenza da piccole e medie imprese industriali, artigianali, commerciali e di servizi, ma è necessario anche consolidare le strutture esistenti. D. Un punto decisivo dovrebbe riguardare gli investimenti in ricerca e innovazione, dalle università alle imprese abruzzesi... R. Si. Operìamo principalmente per la promozione e l’incentivazione dell'innovazione e della ricerca, per la creazione di condizioni migliori per l'accesso al credito da parte delle Pmi, per il massimo utilizzo degli strumenti e delle provvidenze aggiuntive di provenienza statale e comunitaria e lo sviluppo di un sistema favorevole alla crescita e all'insediamento di attività produttive. Tutto questo avverrà attraverso un programma di interventi concertato con il mondo imprenditoriale, delle rappresentanze sindacali e delle associazioni di categoria, oltre che con gli enti locali, sarà ispirato alla flessibilità e dotato di appositi strumenti di sviluppo del territorio e di monitoraggio degli interventi. Le azioni ruoteranno tutte dinamicamente attorno a quattro punti cardine della programmazione regionale per le attività produttive: la crescita e sviluppo del sistema delle imprese, i processi di trasformazione del sistema produttivo, il sostegno finanziario e facilitazioni per l'accesso al credito e gli strumenti per il governo dello sviluppo. D. Come vede le prospettive per il prossimo futuro? R. Ci aspetta un duro lavoro che parte dalla costruzione di un rinnovato rapporto di fiducia tra ente pubblico, territorio e associazioni di categoria. Principale obiettivo deve essere necessariamente creare le condizioni per quel dialogo tra tutti i protagonisti che per troppi anni è mancato. Di fronte a noi ci sono i Balcani e poi il grande mercato del Mediterraneo: siamo una piccola grande regione, ne saremo protagonisti. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 4 ott. ’05 I RETTORI: INVESTITE NELL' UNIVERSITÀ PIÙ RICERCA O PERDIAMO STUDENTI I dieci atenei di Milano «rendono» 1,5 miliardi di euro L' appello: città troppo cara, alloggi a prezzi bassi per chi si deve laureare Valgono oro i ragazzi che hanno scelto di laurearsi a Milano. Ogni anno Stato, enti locali e famiglie spendono poco meno di 1,5 miliardi di euro per fare studiare sotto la Madonnina 174 mila studenti. Un flusso di danaro che rappresenta il 2,7 per cento della ricchezza prodotta ogni anno in città. A stimare il valore della Milano universitaria ha provveduto un' indagine condotta dalla Camera di Commercio con l' associazione MeglioMilano. Alla presentazione dei dati hanno partecipato i rappresentanti del mondo dell' università. Oltre al sindaco, Gabriele Albertini, all' assessore al Lavoro della Provincia, Luigi Vimercati e all' assessore alla Casa della Regione, Piero Borghini. Che il bilancio dell' università milanese sia in utile è riconosciuto da tutti. «L' università è premiante per il capitale umano e di conoscenza destinato a riversarsi sul nostro territorio prima ancora che per l' indotto economico in senso stretto», commenta Massimo Sordi, vice presidente della Camera di Commercio. Ma il mondo dell' università si interroga sul futuro. «Il punto è: fino a quando Milano riuscirà a mantenere queste posizioni?», mette i piedi nel piatto il rettore del Politecnico, Giulio Ballio. «Quando tra dieci anni i ragazzi che escono dalle superiori sapranno meglio l' inglese potrebbero scegliere di andare a studiare all' estero». Se, da una parte, Milano sembra la migliore città italiana per l' offerta universitaria, dall' altra la concorrenza di Ginevra, Parigi, Londra o Friburgo si fa sempre più pressante. «Per il futuro la prima sfida sarà attirare gruppi di ricerca su settori che fino a oggi sono rimasti scoperti. Prendiamo le biotecnologie: si parla tanto del lancio di Milano come polo d' eccellenza ma Losanna, grazie a investimenti nettamente superiori, ci sta già prendendo il posto», continua Ballio. L' allarme del rettore del Politecnico è condiviso da Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm. «Per attirare i giovani migliori bisogna prima di tutto creare buone opportunità per i docenti d' alto livello - dice Puglisi -. I buoni studenti poi vengono di conseguenza». Cruciale per l' università milanese sarà nei prossimi anni anche la capacità di accogliere gli studenti offrendo alloggi a prezzi accettabili. «Il fatto di essere una delle città più care dell' area euro pesa negativamente sulla nostra capacità di attirare studenti. Inoltre si crea una distorsione a favore delle famiglie a più alto reddito», valuta Luigi Campiglio, prorettore della Cattolica. Una prima risposta al problema viene offerta oggi da Comune, Regione e Aler. «In passato Milano aveva sottovalutato la potenzialità dei propri atenei - dice il sindaco, Gabriele Albertini -. Ora contiamo di creare al più presto un migliaio di posti letto per studenti distribuiti su quattro residenze». Rita Querzé HANNO DETTO Giulio Ballio rettore Politecnico La prima sfida per il futuro sarà attirare gruppi di ricerca su settori che fino a oggi sono rimasti scoperti, come le biotecnologie Giovanni Puglisi Per attirare i giovani migliori bisogna creare buone opportunità per i docenti d' alto livello. Gli studenti vengono di conseguenza Luigi Campiglio Il fatto di essere una delle città più care dell' area euro pesa negativamente sulla nostra capacità di attirare studenti Querze' Rita ____________________________________________________________ Sassari Sera 8 ott. ’05 UNIVERSITÀ: STORIA DI UNA MONARCHIA ANNUNCIATA Erano allora i tempi in cui l’idillio tra il Rettore ed il suo Collega Sindaco di Sassari Nanni Campus si esprimeva al meglio e negli ambienti politici della città, si prefigurava una candidatura di Maida al Parlamento Nazionale. La proroga di un al ... Nel 1996 veniva approvato il primo Statuto dell’Autonomia dell’Università di Sassari. Governava da qualche anno l’Ateneo il Prof. Vanni Palmieri, dopo 18 anni ininterrotti di rettorato del Prof. Antonio Milella. Al fine di affermare il principio di rotazione delle cariche, evitando forme di concentrazione e personalizzazione del potere, venne prodotta una norma statutaria che confermava la durata in carica del Rettore in tre anni e prevedeva una unica rielezione. In tutto due mandati. Una norma di garanzia democratica adottata nel nostro Paese ad esempio per l’elezione dei Sindaci ed adottata negli Stati Uniti D’America per l’elezione del loro Presidente. Tra i più accesi sostenitori dell’introduzione di tale norma di garanzia era l’allora Preside di Medicina, il Prof. Alessandro Maida che precisò era anche contrario all’elevazione della durata della carica da tre a quattro anni. Un intervento rigoroso a difesa, si disse, del rinnovamento. Il Prof. Palmieri concluse il proprio incarico nel 1997, anno in cui fu eletto Rettore il Prof. Maida che concluderà il suo terzo mandato nell’aprile del prossimo 2006. Come è possibile si chiederà qualcuno? Semplice, prima del termine del secondo mandato del Rettore Maida in scadenza nel 2003, è stata apportata una variazione allo Statuto prevedendo il rinnovo del mandato del Rettore da una a due volte. Erano allora i tempi in cui l’idillio tra il Rettore ed il suo Collega Sindaco di Sassari Nanni Campus si esprimeva al meglio e negli ambienti politici della città, si prefigurava una candidatura di Maida al Parlamento Nazionale. La proroga di un altro mandato avrebbe fatto coincidere la scadenza dell’incarico alla vigilia delle elezioni nazionali del 2006. I fatti successivi hanno fatto naufragare questo progetto e credo che in ciò sia stata importante anche l’opinione di chi sosteneva che i sassaresi sarebbero stati poco disponibili ad essere rappresentati al Parlamento Italiano da un deputato Siciliano, dopo che già lo erano, obtorto collo, al Parlamento europeo. Fallito questo disegno, si è posto quindi il problema del futuro del Prof. Maida. è pensabile che possa essere restituito alla ricerca scientifica ed alla didattica? Quando mai, si saranno detti nelle stanze ovattate del potere universitario, basterà modificare ancora lo Statuto e potrà continuare a fare il Rettore per la quarta volta. Assunta la decisione politica la macchina organizzativa si mette in moto e la Facoltà di Architettura, i Dipartimenti di Teoria e ricerche dei Sistemi culturali,di Scienze Biomediche, di Farmacologia, Ginecologia ed Ostetricia, di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria e quello di Storia, presentano una proposta di modifica dell’art. 76 dello Statuto riguardante la durata in carica degli organi elettivi (Rettore e presidi). Anche il Consiglio degli studenti presenta proprie richieste di modifica di Statuto e, manco a dirlo, riguardanti l’eliminazione dei vincoli temporali nella eleggibilità di tutti gli organi elettivi dell’Ateneo, ma salvano la faccia tentando uno sforzo per proporre altre modifiche statutarie riguardanti: l’elettorato attivo e passivo del Rettore, le modalità elettorali, la composizione del Senato accademico, del Consiglio di Amministrazione, del Consiglio degli studenti e del Consiglio di facoltà, le borse di studio, le modalità per la revisione dello Statuto. Il Rettore anch’egli presenta una proposta per l’inserimento nello Statuto del “Comitato delle pari opportunità” e del “Garante dei diritti”, nonché la riformulazione dell’art. 80 ovvero quello che riguarda le modalità per la revisione dello Statuto. Tutti propongono, accondiscendenti. Le modifiche statutarie, arrivano il 14 luglio in Senato Accademico. La discussione, si sofferma sulla proposta di variazione dell’art. 76 e dell’art.80. Il primo, come già detto propone che gli organi elettivi dell’Ateneo possano essere riconfermati per tre mandati consecutivi, l’art.80 è quello che regola le modalità per le revisioni statutarie. Le altre modifiche, si sostiene, potranno essere esaminate in conformità all’eventuale modifica dell’art.80. La procedura attuale così come disciplinata dal vigente art 80 dello Statuto, prevede che le proposte di revisione deliberate dal Senato Accademico, siano sottoposte all’esame dei Consigli di Facoltà, della Conferenza permanente dei Direttori di Dipartimento e del Consiglio degli Studenti che nei 60 giorni successivi dovranno esprimere il loro parere. Nei successivi 30 giorni dovrà essere espresso il parere della Consulta e del Consiglio di Amministrazione dell’Università. Il senato Accademico adotterà la delibera definitiva una volta concluso tale iter. Nella nuova proposta si prevede che la delibera di revisione possa essere decisa direttamente dal Senato accademico integrato da: un professore di 1° fascia, un professore di seconda fascia, un ricercatore o un assistente del ruolo ad esaurimento ed uno studente per ciascun Consiglio di Facoltà eletti al loro interno dalle rispettive categorie; sei rappresentanti del personale tecnico amministrativo di cui quattro eletti al loro interno dai rappresentanti nel Consiglio d’Amministrazione, nel senato Accademico e nei Consigli di Facoltà e due eletti al suo interno dal personale dell’Amministrazione centrale. Tale proposta, che sembrerebbe apparentemente indirizzarsi verso una maggiore partecipazione alla decisione, nella sostanza elimina la consultazione delle Facoltà e delle altre componenti dell’Ateneo restringendo di fatto il dibattito sulle proposte. I presidi della Facoltà di Legge e di quella di Veterinaria rispetto alle proposte avanzate chiedono la possibilità di consultare al riguardo la Facoltà, ma il Rettore mette in votazione la proposta di modifica dell’art. 76 che viene approvata con l’astensione dei proff. Lobrano, Coda, Morandi e Delrio e dell’art.80 che viene approvata con l’astensione dei Proff. Coda e Lobrano. La democrazia è fatta salva ed è stato garantito il pluralismo grazie a qualche voto di astensione. Non credo possano esserci dubbi su come si concluderà la vicenda: ritengo scontata la modifica statutaria proposta e il Prof. Maida, salvo qualche cataclisma, nel prossimo aprile, sarà rieletto Rettore per la quarta volta e potrà effettuare le modifiche statutarie accentrando il dibattito sull’organismo decisionale allargato, ma senza che le Facoltà e le altre componenti dell’Ateneo, possano nei fatti dare il loro contributo. Credo sia giusto avere rispetto per l’Autonomia dell’Università ma sono convinto che si aiuterebbe proprio l’autonomia dell’Istituzione e quella dei singoli operatori a vario titolo se sulle questioni rilevanti di questa Istituzione l’interesse della Città avvenisse in modo più esplicito. Non posso certo affermare che questa vicenda non sia all’attenzione dei circoli della politica, della cultura, della così detta società civile e nella stessa Università; la discussione è presente, ma avviene sotto voce, quasi con circospezione. Il dissenso fa solo capolino, nonostante sia difficile, nelle discussioni private trovare qualcuno che sostenga l’opportunità della prosecuzione del mandato del Rettore e delle altre cariche elettive dell’Ateneo. La sostanza è comunque che all’interno dell’Università, le alzate di mano a favore sono senz’altro preponderanti, anche se, le argomentazioni che affrontino nel merito l’utilità di dilatare ancora il numero dei mandati, sono del tutto assenti. Effetto di un potere che si è consolidato, ramificato e ora è difficile da contestare senza il rischio di essere estromessi da un sistema consociativo ed autoreferenziale ? Si sa, tutti tengono famiglia ed alcuni, una parte, la tengono proprio all’Università. In questo clima, qualcosa comunque è successo. La Facoltà di Giurisprudenza ha prodotto un parere molto circostanziato sulle due proposte di variazione di Statuto . La lettura di tale documento crediamo sia utile e sono superflue altre considerazioni rispetto a quelle in esso contenute. Ne offriamo ai lettori gli stralci più significativi per una riflessione sulla vicenda. Ben lieti di pubblicare se qualcuno ce ne darà l’opportunità altri pareri e tesi diverse. ABUSO DI POTERE L’università, in generale, è da tutti ritenuta il luogo del sapere, della conoscenza, della ricerca e della formazione dei giovani che, frequentandola, assumono il sapere critico come strumento per migliorare la società. Un luogo simbolo della libertà. Le vicende sui mandati del Rettore, sono il segno di un degrado in atto e di una progressiva stasi del rinnovamento anche delle rappresentanze. L’università come specchio di una società immobile di sapore brezneviano, dove la crescita sembra ormai dominio incontrastato delle parentele, delle amicizie, delle conoscenze. Mai del sapere, della capacità e del merito. Il merito appunto. Sta di casa nel mondo universitario? Sassari non fa eccezioni ad un quadro nazionale desolante. I concorsi truccati sono spesso la norma, gli incarichi si moltiplicano per figli, amici,e sodali vari. Lo studio, la ricerca e le pubblicazioni scientifiche sono costantemente mortificate. Nell’ambiente si racconta che spesso bravi ricercatori per avere la conferma degli incarichi o delle borse di studio scrivono le loro pubblicazioni firmandole con i nomi dei figli dei potenti. A tanto si arriva. Anche a Sassari. I numeri sulla qualità della nostra Università sfatano molti luoghi comuni e offrono concreti spunti di riflessione per tutti: studenti, docenti, amministratori, cittadini. Molti ritengono che l’Università sia per la città una grande opportunità e una grande risorsa per il futuro dei nostri giovani. Dai numeri e dai concreti comportamenti appare un quadro non esaltante. V. B. P. IL DOCUMENTO DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA Dopo una premessa che riassume le modifiche proposte dal senato accademico dell’Università di Sassari agli art. 76 e 80 dello Statuto la facoltà motiva la sua netta contrarietà alle modifiche proposte e in particolare alla riforma dell’art 76 che prevede l’ennesima rielezione del rettore in carica.. Di ce il documento: … Numerosi stati di democrazia costituzionale, i quali prevedono l’elezione popolare del Capo dello Stato dispongono il limite costituzionale di non oltre due mandati elettorali consecutivi. Lo dispongono infatti la Costituzione degli Stati Uniti d’America… quella austriaca…quella portoghese…quella finlandese… e diversi Paesi dell’ex Europa Orientale nonché numerosi paesi dell’America latina. Disposizioni analoghe sono state introdotte in via legislativa nel 1993 anche nel sistema elettorale dei Comuni e delle Province della Repubblica Italiana: il che è indice significativo del rilievo delicato e centrale che la disciplina dei limiti della “rieleggibilità” alle cariche elettive riveste quale garanzia della democraticità dell’ordinamento. La “ratio” dell’istituto è chiara: evitare- in particolare per gli ordini monocratici- che si creino forme di concentrazione e di personalizzazione del potere. Il pericolo che la limitazione costituzionale, e statutaria, dei mandati elettivi intende scongiurare era già individuato nell’800 da Toqueville con riferimento alla figura presidenziale statunitense…. …La formulazione originaria dell’art 76 dello statuto dell’Ateneo di Sassari risponde alla medesima ispirazione ideale. Il suo obiettivo è affermare il criterio della rotazione delle cariche elettive, in modo da evitare l’insorgenza di situazioni di accentramento e di sedimentazione di potere e, dunque, ribadire e rafforzare il principio della democraticità di conduzione dell’Ateneo. …La proposta di riforma dell’art.76, primo comma, non pone in dubbio, almeno sotto il profilo formale, la necessità e la centralità statutaria di una disciplina che stabilisca, per le cariche elettive, una limitazione al numero dei mandati ricopribili consecutivamente. La riforma proposta va, però, ad incidere su una previsione statutaria già oggetto di un precedente e recente intervento riformatore. In origine l’art 76 limitata la possibilità di essere rieletti (alla stessa carica) consecutivamente per una volta. Successivamente (nell’anno 2002) l’art.76 è stato oggetto di una prima modifica con la quale si è provveduto ad innalzare il limite di rieleggibilità a “due volte consecutive” … si propone, ora, una seconda modifica con l’innalzamento ulteriore del limite “a tre volte consecutive”, elevando così a quattro il numero massimo dei mandati consecutivi consentiti… … E’ riconosciuto quale principio generale del costituzionalismo, che la stabilità delle disposizioni statutarie fondamentali- categoria cui la disposizione in argomento appartiene -è un bene da preservare con la cura e la prudenza massima possibili. In particolare, poi, la Facoltà di Giurisprudenza, ritiene che modificazioni reiterate alla disciplina in questione comportano il rischio della alterazione della sua fisionomia e della sua funzione, determinando uno svuotamento sostanziale delle istanze di garanzia che ne costituiscono il senso e il valore. Infatti il principio del limite della rieleggibilità appare in contrasto sul piano sostanziale con una prassi riformatrice tesa a ritoccare periodicamente verso l’alto il numero massimo dei mandati elettivi. Pertanto la facoltà di giurisprudenza, la quale considera necessario e fondamentale l’istituto della limitazione del numero dei mandati elettorali consecutivi, esprime parere negativo sulla proposta di riforma dell’art 76. Il documento della facoltà in merito alle altre modifiche (art.80) propone un emendamento della proposta approvata dal senato accademico, nel senso della trasformazione del previsto Senato allargato da organo decisionale a organo istruttorio, incaricato di formulare una ipotesi complessiva di riforma, la quale sia quindi oggetto della valutazione e del voto delle Facoltà e delle altre componenti dell’Ateneo. LA QUALITÀ DEGLI STUDI A SASSARI La scelta dell’Università per il completamento degli studi è sempre più legata alla qualità delle singole facoltà. Sempre più spesso infatti le singole Università fanno pubblicità con riferimento alla qualità del loro ateneo per attirare nuovi studenti. Nuovi studenti iscritti significa aumentare le entrate non solo quelle derivanti dalle tasse ma anche altri finanziamenti publbici. Per le Università è quindi strategico migliorare la loro offerta formativa e favorire in tutti i modi nuove iscrizioni. Diventa significativo per le famiglie che investono sulla formazione dei loro figli, conoscere in maniera più oggettiva qual è la qualità degli studi universitari in Italia. Per questo, diverse ricerche ormai da anni, analizzano lo stato dell’università italiana e delle numerose facoltà. Vengono pubblicate guide e suggerimenti che aiutano nelle scelte. Gli elementi presi in considerazione riguardano i servizi per gli studenti, la qualità dei docenti, le relazioni con le università estere, la durata effettiva degli studi, i fuori corso e altri parametri che consentono di qualificare gli studi. Pubblichiamo in breve i dati più significativi rilevati dalla Guida Repubblica-Censis 2005-2006 e dal quotidiano il Sole-24 ore. I numeri dell’università di Sassari sono così sintetizzati: 15400 iscritti, 11 facoltà, 22 dipartimenti, 22 biblioteche, 1 docente ogni 24 studenti, 126 iscritti ogni 1000 residenti. I posti alloggio garantiti dall’ente regionale per il diritto allo studio sono attualmente 330. L’università sassarese ha sedi decentrate a Nuoro, Olbia, Oristano, Alghero. Questo il quadro generale. Ma la qualità degli studi a Sassari qual è? E’ una sede universitaria “buona” tanto da richiamare studenti non solo sardi, ma di tutto il Paese e dall’estero? Siamo tutti consapevoli che una buona qualità dell’università cittadina ha enormi ricadute sul tessuto produttivo e sociale non solo sassarese. Il Censis sulla base di vari parametri stila annualmente una classifica delle migliori facoltà italiane. Come si piazza in questa classifica l’università di Sassari? Ecco i crudi numeri. La facoltà di Architettura è fuori classifica e non viene valutata, perché di recente costituzione. La facoltà di Economia si colloca nella parte bassa della classifica e occupa il 24° posto su 39. Quella di farmacia sta al 23° posto su 27, mentre Giurisprudenza è al penultimo posto 34 su 35. La facoltà di Lettere e filosofia è al 14° posto su 32, mentre quella di Lingue e letterature straniere è all’ultimo posto 16 su 16. La “mitica” facoltà di Medicina e Chirurgia è al 27° posto su 31. Non sta meglio la facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali 13a su 15. Nella parte medio alta della classifica stanno le facoltà di Scienze Politiche che si colloca al 7° posto su 22, quella di Veterinaria che occupa il 7° posto sui 13 disponibili e la facoltà di Agraria che si colloca all’8° posto su 18 atenei. Un’altra valutazione della qualità degli studi universitari è stata elaborata dal quotidiano Il Sole- 24 ore. Nella classifica generale degli atenei, su 74 sedi universitarie del Paese, Sassari si colloca al 63° posto con un punteggio di 316,2. La prima sede è quella di Roma Campus Biomedico con 962,2 punti e l’ultima è quella di Napoli Parthenope con 148,6. Cagliari in questa classifica si colloca al 59° posto con 370,3 punti. Mal comune mezzo gaudio. Il Sole 24 ore ha elaborato, (sempre per le 74 sedi universitarie) anche altre statistiche che valutano che tipo di studente si iscrive, da dove viene, come frequenta l’università, quanti si laureano in tempo. Vediamoli brevemente: Studenti da lontano. Indica quanto attrae la qualità degli studi nelle varie sedi universitarie. La percentuale degli studenti che provengono da località fuori dalla regione sede dell’università è a Roma San Pio V (1a classificata) del 62,1%; a Ferrara (6a classificata) del 52,2%, mentre a Sassari ( 70a classificata) è dell’1,4% e a Cagliari (64a classificata) è del 3,2%. Pochissimi quindi gli studenti non sardi che studiano nell’Isola. Dove vanno i più bravi? Dove vanno ad iscriversi gli studenti che alla maturità hanno preso più di 9/10? All’Università di Milano San Raffaele per il 64,3%; a Sassari (57° posto) sono il 23,4% mentre Cagliari (48° posto) ha il 25,6 di studenti maturati con 9/10. Gli abbandoni. La percentuale degli studenti che non si reiscrivono dopo il primo anno e che abbandonano gli studi universitari. A Roma Lumsa (1° posto) è di 0,0 a Sassari (47° posto) è del 3,8%, come a Cagliari (46° posto). Gli inattivi. Percentuale degli studenti che in un anno non ottengono crediti formativi (non fanno o non passano agli esami). A Roma San Pio V (1° posto) la % è pari a 0,0, mentre a Cagliari (21° posto) è del 2,1% e a Sassari (48° posto) è del 3,7%. Infine il dato più rilevanti per valutare la qualità di una sede universitaria riguarda la percentuale degli studenti iscritti che si laureano entro la durata legale del corso di studi. A Roma Campus Biomedico (1° posto) è pari all’87,1%. A Sassari (38° posto) solo il 7,1% si laurea entro i tempi e a Cagliari (59° posto) solo il 4,6% degli studenti conclude i suoi studi nei tempi previsti. V.B.P. Fonte: Sardegna Ventirighe n° 27 del 1 ottobre 2005 ___________________________________ Corriere della Sera 3 ott. ’05 UNIVERSITÀ: CHI VINCE AL TEST COSTI-BENEFICI A confronto rette e servizi degli atenei pubblici e privati. Dove lo studio rende di più Cinquantamila euro. 'Poco meno di cento milioni delle vecchie lire. E' questa la cifra che (mediamente) deve investire chi vuole raggiungere la laurea, almeno stando all'indagine condotta dal Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario. Se poi la sede dell'ateneo è distante dalla città dì provenienza dello studente, si deve aggiungere il costo di vitto e alloggio e la cifra aumenta di almeno 8,300 euro l'anno. II tutto senza considerare il capitale da investire nei caso sì punti a un master dì prestigio. E in cambio i nostri atenei che cosa offrono alle matricole? Solo il titolo di studio o poco più. Prova ne è la scarsa presenza di studenti stranieri nelle nostre università: all'estero infatti si attendono, non solo corsi di livello qualitativamente elevato, ma anche strutture adeguate (campus, alloggi, biblioteche, tutor, servizi di collocamento) che invece quasi sempre scarseggiano. E allora proviamo a capire se l'offerta didattica e i servizi agli studenti che gli atenei offrono sono commisurati allo sforzo economico richiesto. Se i costi sono abbastanza contenuti nelle facoltà statali, seppur con grandi differenze tra gli atenei del Nord, più cari, e quelli del Sud Italia, Il discorso cambia per le private. Per le matricole non si scende ai di sotto dei 1.475 euro della Cattolica di Milano, ma si possono toccare anche gli 8.633 euro della Bocconi nel caso in cui si rientri nella fascia contributiva più alta. Se si parla poi di laurea specialistica i costi lievitano - ulteriormente e, tranne che alla Cattolica, spariscono le divisioni in fasce. Bisogna tenere presente però che - tutte le università prevedono la possibilità di offrire sconti e borse di studio, in base al merito e a sostegno delle fasce a più basso reddito, mentre per chi ha un grado di disabilità pari o superiore al 66% le tasse sono gratuite. Alcuni atenei privati come Bocconi, Luiss o il Politecnico di Milano, hanno stretto accordi con alcune banche per erogare prestiti d'orrore a condizioni agevolate. l'offerta di servizi? Gli atenei, in particolare quelli privati, combattono la guerra delle immatricolazioni anche a colpi di facilities, mostrando una sempre maggiore attenzione ai bisogni dello studente, sia in termini di supporti allo studio che di collegamenti internazionali e col mondo del lavoro. Alla Cattolica per esempio ci sono 1.300 posti letto suddivisi in 22 collegi nei quali si entra per reddito e per concorso, Per gli studenti disabili, ipovedenti o con problemi di udito, è previsto l’accompagnamento di un tutor, sono state attrezzate aule speciali dove le lezioni possono essere registrate. L'ufficio placement dispone di banche dati alle quali le aziende possono accedere per selezionare il personale, offrire stage e lavoro. Il servizio relazioni internazionali è attivo su progetti europei ed eroga contributi per periodi di ricerca all'estero per la stesura della tesi. Alla Luiss di Roma il fiore all'occhiello è rappresentato dalle «consulenze blografiche sono un ciclo di incontri, a tu per tu, tra manager e singolo studente, per un vero e proprio tutoraggio ad altissimo livello, durante il quale chiedere consigli, individuare percorsi, scoprire la distanza che passa tra l'organizzazione formale e quella di fatto e le strategie giuste per affrontare un colloquio, L'università Bocconi, che si avvia a diventare un vero e proprio campus inserito nella città, con pensionati, mensa, palestra, attività, ricreative e culturali anche serali, ha assunto sempre di più un carattere internazionale. Il simbolo è il progetto «Campus Abroad>• che permette di seguire per tre mesi un corso tenuto da un docente della Bocconi all'estero. Periodi di scambio, da sei mesi a un anno, e stage internazionali permettono di fare esperienza in Paesi dell'Unione europea e non. Esiste un centro linguistico gratuito per approfondire anche lingue non curricolari. Per gli studenti della Iulm di Milano il servizio di placement funziona on line grazie ad una banca dati. Molte le iniziative internazionali, con un exchange program ritagliata a misura di ogni studente, scambi di docenti e accordi con università straniere per l’ottenimento del doppio titolo. Alla Liuc - Università . Carlo Cattaneo - sono 50 corsi attivati in lingua inglese ed é possibile conseguire il doppio titolo in economia e ingegneria con le università partner. Uno dei punti di forza è l’ntegrazione col mondo dell'impresa, che si traduce in opportunità di tirocini, in Italia e all'estero, e gli scambi internazionali. Gli atenei statali cercano di tenere il passo puntando su una, migliore collaborazione con il mondo dell'impresa, potenziando i laboratori di lingue e aumentando il numero delle postazioni informatiche. In questo panorama i Politecnico di Torino e Milano vincono la sfida con l'innovazione tecnologica, sviluppando progetti di ricerca e sviluppo. A Milano per esempio si trovano la galleria del vento i laboratori di crash e quello di modellistica. Inoltre la,facoltà di ingegneria, ha sviluppato il progetto Time che permette frequentando due anni all' estero di conseguire la doppia laurea , mentre grazie al programma Unitech è possibile integrare una esperienza internazionale e un periodo di stage a studi manageriali. Da segnalare Il caso unico della Scuola Normale Superiore di Pisa. Agli studenti che hanno superato la selezione e sono quindi ammessi ai corsi, rimborsa non solo totalmente le tasse universitarie, ma assicura vitto e alloggio nei propri pensionati erogando anche un assegno mensile di studio. Privilegio riservato a pochi, visto che quest'anno le matricole sono solo 56, ____________________________________________________________ La Stampa 5 ott. ’05 MEDICINA PREMIATI UN PROFESSORE AUSTRALIANO E IL SUO ALLIEVO. OGGI SI GUARISCE DALL’80 AL 90% DEI CASI Nobel alla coppia che ha sconfitto l’ulcera Marshall e Warren hanno scoperto il batterio che vive nello stomaco di metà dell’umanità Il premio Nobel per la Medicina 2005 riguarda direttamente metà della popolazione mondiale. Una persona su due si porta nello stomaco un microorganismo chiamato Helicobacter pylori, e quest’anno gli accademici del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno attribuito il più prestigioso dei riconoscimenti ai suoi scopritori, gli australiani Barry J. Marshall e J. Robin Warren. Il loro lavoro ha permesso di guarire il 90% delle ulcere del duodeno e l’80% delle ulcere gastriche. Studi successivi hanno portato poi anche a prevenire un gran numero di tumori dello stomaco indotti dallo stesso microorganismo su persone con una particolare predisposizione. Il premio - oltre un milione di euro, diviso in parti uguali - sarà consegnato, come è tradizione, il 10 dicembre, nell’anniversario della morte di Alfred Nobel. Benché così diffuso, e benché già descritto da Giulio Bizzozero nel lontano 1883, il ruolo dell’Helicobacter pylori è sfuggito ai medici patologi fino al 1982, quando Marshall e Warren riuscirono a individuare le colonie di questo microorganismo nella maggioranza dei pazienti con infiammazioni allo stomaco e ulcere gastriche o duodenali. All’epoca la connessione tra il batterio e quelle malattie non era affatto una cosa ovvia. Ancora 25 anni fa gastriti e ulcere venivano attribuite perlopiù a disagi psicologici, considerati causa di un’eccessiva produzione di acidi gastrici ai danni della mucosa dello stomaco. L’idea che un batterio sconosciuto fosse all’origine di quelle malattie appariva quasi eretica. Marshall e Warren hanno dovuto far cadere quello che per generazioni di medici era stato un dogma. Ma l’evidenza della scoperta era tale che la conversione è stata quasi immediata. Rapido è stato anche il passaggio alla terapia: una cura con antibiotici di una-due settimane elimina l’Helicobacter, e gastriti e ulcere guariscono come per miracolo. Un duro colpo alla medicina psicosomatica, abbandonate certe terapie palliative quasi stregonesche (si curava l’ulcera persino con le lumache!), finiti gli interventi chirugici allo stomaco, spesso molto rischiosi e non in grado di risolvere il problema. Una rivoluzione per la gastroenterologia. Robin Warren, nato nel 1937, patologo a Perth, sulla costa occidentale dell’Australia, facendo la biopsia di pazienti con ulcera notò per primo che microorganismi sconosciuti, dalla strane «antenne» elicoidali (di qui il nome), colonizzavano la parte inferiore dello stomaco. Il fatto più sorprendente era la loro resistenza a quell’ambiente ad altissima acidità. Warren coinvolse nella ricerca il suo allievo Barry Marshall, di 14 anni più giovane, e insieme esaminarono una casistica di 100 pazienti individuando il rapporto di causa effetto tra la presenza del batterio e l’infiammazione della mucosa gastrica, con le conseguenti ulcere. L’Helicobacter si è rivelato onnipresente. Nei Paesi meno sviluppati si trova quasi nella totalità della popolazione, ma anche in quelli sviluppati è diffusissimo. Il contagio avviene attraverso il cibo, fin dagli anni dell’infanzia. Nella maggior parte dei casi non dà problemi. In altri invece fa esplodere la malattia ulcerosa. Più raramente, l’infiammazione della mucosa sfocia in una particolare categoria di tumori, i linfomi gastrici e intestinali, o addirittura nell’adenocarcinoma gastrico. La scuola di medicina di Torino, con Mario Rizzetto, Antonio Ponzetto e Rinaldo Pellicano, ha dato contributi importanti nella definizione dei protocolli terapeutici dell’Helicobacter e nella caratterizzazione di questo microorganismo, che si presenta in numerose varianti. «Il fatto che in molti casi l’Helicobacter non dia sintomi - dice Rizzetto, ordinario di gastroentorologia all’Università di Torino - dipende sia dalla sensibilità individuale (a base immunitaria e, a monte, genetica) sia dai vari ceppi di questo batterio, che possono essere più o meno patogeni. Dato che il più delle volte si convive tranquillamente con l’Helicobacter, non ha senso procedere a screening di massa; è sufficiente fare dei test quando compaiono i primi sintomi. La cura con un cocktail di antibiotici è molto efficace e porta frequentemente alla remissione del linfoma dello stomaco. Gli antibiotici sono ancora più efficaci da quando li si associa agli inibitori di pompa protonica, che bloccano l’acidità. I problemi di resistenza dell’Helicobacter agli antibiotici sono per ora limitati. La resistenza si deve piuttosto a varianti del microrganismo. In questi casi si caratterizza in coltura il ceppo e poi si procede con antibiotici mirati.» Il Nobel per la Medicina segna una discontinuità con la maggior parte dei premi degli ultimi anni, di solito assegnati a ricerche di biologia molecolare, spesso lontane da applicazioni terapeutiche immediate. Con la scoperta dell’Helicobacter si premia un lavoro che ha avuto ed ha un enorme impatto sulla salute di milioni di persone. E’ un ritorno allo spirito di Alfred Nobel, che nel suo testamento suggeriva di valorizzare scoperte e invenzioni di immediato rilievo sociale. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 ott. ’05 NELLE UNIVERSITÀ AUSTRALIANE È BOOM DI STUDENTI STRANIERI di Mario Margiocco Il Nobel per la medicina concesso tre giorni fa a due ricercatori australiani premia un sistema di formazione e ricerca che è riuscito a fare scuola a livello mondiale. Nella gara fra le università dei paesi industrializzati per assicurarsi la fetta maggiore degli studenti internazionali gli Stati Uniti sono sempre in testa, ma è l'Australia ad aver raggiunto negli ultimi anni i risultati migliori mentre l'Italia resta nelle ultime posizioni. L' Australia è riuscita nel 2003-2004 ad attirare quasi 152mila studenti, poco meno del 10% (dati Ocse, prudenziali) del milione e 800mila giovani che vanno a formarsi o a completare la formazione all'estero, il doppio rispetto a 20 anni fa. E questo con solo otto università di livello e di offerta accademica completi, e 37 istituzioni in tutto. Poca cosa a fronte delle oltre 200 istituzioni americane con un'offerta completa di ottimo livello, Ph D compresi, classificate dalla Carnegie Foundation, più circa un migliaio di scuole minori di buona reputazione e che hanno raccolto nello scorso anno accademico 572mila studenti, il 28% del totale mondiale secondo le cifre dell'americano Institute of international education, per la prima volta (-2,4%) in calo dal 1971-72. Ad interrompere una crescita continua incominciata nei primi Anni 50, e curata con attenzione dal sistema Usa che vi ha sempre visto un veicolo cruciale di americanizzazione e di selezione di cervelli, sono state le restrizioni ai visti anche studenteschi imposte dopo gli attentati del settembre 2001. Prima un visto iniziale consentiva di completare tutti gli studi; dopo la concessione iniziale è diventata molto più lenta, l’obbligo di ripetere le pratiche frequente, e ancora oggi, dicono i sondaggi, il 41% degli americani chiede per gli studenti stranieri più controlli antiterrorismo. Le norme sono state alleggerite a partire da quest'anno dopo le proteste dei rettori, e dopo che soprattutto dall'Asia (i flussi dai Paesi mediorientali sono modesti) che da tempo fornisce più del 50% degli iscritti vi è stato un notevole calo, Cina compresa, con la sola eccezione indiana. Ma anche dall'Europa c'è stata una stasi, con una ripresa - sembra - solo in questi mesi. Nel 2002-2004 il numero degli studenti stranieri è cresciuto in Gran Bretagna, in Germania che continua ad offrire tasse quasi inesistenti, e in Francia. Ed è cresciuto soprattutto in Australia, anche se da quest'anno la concorrenza di Singapore, della Nuova Zelanda e soprattutto dei numerosi campus aperti dalle università australiane in Cina e in altri paesi dell'Asia Sud Orientale incomincia a farsi sentire. Il sistema australiano è passato dai 35 mila studenti del '94 ai 152 mila dell'anno scorso. Per il 78% asiatici, con un totale di oltre 68mila cinesi, rappresentano complessivamente tra tasse e spese di soggiorno la quarta voce dei conti con l’estero, per un totale di entrate di 5,9 miliardi di dollari australiani, pari a circa 3,77 miliardi di euro. Al quinto posto come numero di studenti dopo Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania (ma qui il dato è per circa un terzo gonfiato dagli stranieri già residenti) e Francia, l’Australia è al primo posto assoluto nel rapporto stranieri-autoctoni fra gli iscritti, che era di poco più del 12% nel ’98 e di oltre il 18% nel 2004, contro un 11% nel 2004 in Gran Bretagna, il 7% in Francia, e un po' meno del 4% negli Stati Uniti. In Italia siamo sotto il 2%, nonostante un leggero miglioramento degli ultimi due anni, cosa che pone l’università italiana dopo il Giappone e prima soltanto di Repubblica slovacca, Turchia, Polonia e Corea, fra i paesi Ocse. Vanno poi aggiunti, nel caso australiano, i 30mila studenti cinesi che le università australiane hanno direttamente in Cina (una delle migliori, la University of Canberra, ha campus a Hong Kong, Singapore, Cina, Malaysia, Thailandia e Vietnam). Mentre la University of New South Wales ha raggiunto un accordo per aprire a Singapore, dove già esistono tre università nazionali e varie collaborazioni soprattutto con istituzioni americane, un campus autonomo, e in prospettiva completo, con scuole professionali e avanzati laboratori di ricerca. ______________________________________________ Libero 5 ott. ’05 NOBEL PER LA FISICA AGLI INVENTORI DEL GPS È INIZIATA A FIRENZE UNA DELLE RICERCHE PREMIATE DALL'ACCADEMIA SVEDESE j STOCCOLMA Il Premio Nobel 200,5 per la fisica e stato assegnato agli americanì Roy J. Glauber e John I,. Ilall e al tedesco Theodor W. Ilaensch. I tre fisici sono stati premiati per il loro contributo alla comprensione dei fenomeni ottici e allo sviluppo della spettroscopia basata sui laser ad alta precisione. Conoscenze che hanno permesso di studiare le costanti della natura, di mettere a punto orologi ad altissima precisione e di dare un forte impulso alla tecnologia GPS (global positionìng system). Il premio viene assegnato per metà a Glauher (80 anni), dell'università di Ilarvard, per le sue; ricerche sul comportamento delle particelle di luce, che hanno contribuito alla teoria quantistica della coerenza ottica. L’altra metà del premio viene invece divisa equamente tra llall (77 anni), dell'università del Colorado , e Ilansch (64 anni), dell'Istituto Max plank di ottica quantistica e dell'università di Monaco, per il loro contributo allo sviluppo della spettroscopia di precisione basata sui laser. E’ nata in Italia una delle ricerche premiate. E’ infatti a Firenze che il tedesco Thcodor Wolfgang IIansch ha avuto l'idea di come misurare in modo preciso la frequenza tremendamente elevata con cui si propaga la luce. Nell'università di Firenze IIansch é anche titolare della cattedra di fisica della materia, anche se da alcuni anni è in congedo ed è tornato in Germania per motivi di studio. Ma proprio a Firenze Ilansch ha installato lo strumento capace di misurare la propagazione delle onde luminose, fino ad allora impossibile da misurare. «Una volta Ilansch mi spiegò che l’idea gli venne mentre passeggiava per Firenze e che subito corse a verificarla in laboratorio, insieme ad un giovane collaboratore», ha detto il fisico Massimo Inguscio, collega di Ilansch a Firenze. _____________________________________________________ L UNIONE SARDA 05-10-2005 43 QUESTO NOBEL FA LUCE SULLA FISICA Scienze. Gli americani Gauber e Hall e il tedesco Hansch sono stati premiati per il loro contributo alla comprensione dei fenomeni ottici G li americani Roy J. Glauber e John L. Hall, e il tedesco Theodor W Hansch sono i vincitori del Nobel per la Fisica. I tre scienziati sono stati premiati per il loro contributo alla comprensione dei fenomeni ottici e allo sviluppo della spettroscopia basata sui laser ad alta precisione. Conoscenze che hanno permesso di studiare le costanti della natura, di mettere a punto orologi ad altissima precisione e di dare un forte impulso alla tecnologia GPS (global positio ning system). «Sono molto colpito», ha commentato a caldo Theodor Hansch, subito dopo aver appreso la notizia all'Università di Monaco di Baviera dove lavora. «Questo premio dimostra che anche in Germania si può fare un ottimo lavoro scientifico». In questo premio Nobel, però, c'è anche un po' d'Italia. La scoperta, infatti, è scaturita da un'idea nata per caso passeggiando per le vie di Firenze, e realizzata in laboratorio in una settimana di lavoro frenetico tra lenti e laser. «All'inizio sembrava un'ìdea difficile da realizzare, ma avevamo a disposizione tutti gli strumenti laser e abbiamo deciso di provare», ha detto il fisico Marco Bellini, dell'istituto nazionale di ottica applicata del Cnr di Firenze, che ha lavorato a fianco di Theodor Hansch nella costruzione del «pettine di frequenza», lo strumento premiato con il Nobel che ha permesso di compiere misure dalla precisione inimmaginabile e di esplorare la natura della materia con un dettaglio senza precedenti. «L'idea alla base del pettine di frequenza», ha detto Bellini, «era generare una sorta di righello di colori in grado di misurare tutte le altre frequenze». In pratica lo spettro luminoso generato dalla luce, con le sua altissime frequenze, poteva diventare il punto di riferimento per misurare la luce emessa da oggetti come atomi e molecole. «Era chiaro», ha aggiunto, «che si trattava di uno strumento fondamentale perché permetteva di conoscere la struttura degli atomi». Avrebbe permesso di misurare materia e antimateria, ma anche tempi e distanze. Ma per avere a disposizione uno strumento efficiente era necessario dilatare lo spettro del righello, naturalmente mantenendo inalterata la precisione. «In poco tempo abbiamo allestito l'esperimento e, cosa davvero insolita per un professore, Hansch venne in laboratorio con me ad avvitare bulloni e a posizionare lenti. Inaspettatamente è andata bene al primo tentativo e in poco tempo abbiamo ottenuto un risultato sorprendente. Alla fine si può dire che l'idea di fondo era molto innovativa, ma la tecnica per realizzarla era semplicissima». Che cos'è la luce e quali differenze ci sono fra diversi tipi di luce? Perché la luce emessa da una candela si comporta in modo diverso da quella emessa dal laser di un lettore di CD? E considerando che la velocità con cui la luce si propaga nello spazio vuoto è una costante, si può usare la luce per ottenere misure ancora più precise di quelle fatte dagli orologi atomici? È a domande come queste che i tre fisici sono riusciti a dare una risposta. In particolare, al più anziano dei tre, Glauber (80 anni), va il merito di avere trovato una nuova strada per risolvere il problema della doppia natura della luce. Era noto che la luce si comporta sia come una radiazione elettromagnetica (e si propaga come un flusso di onde), sia come un fascio di particelle: un vero e proprio rompicapo che venne risolto da Glauber nel 1963, quando dimostrò che era possibile studiare i fenomeni ottici utilizzando i concetti della fisica quantistica. Grazie a questo lavoro vennero gettate le basi dell'ottica quantistica. ____________________________________________________________ La Repubblica 7 ott. ’05 AD HARVARD ASSEGNATI GLI ANTI-NOBEL L'UNIVERSITÀ AMERICANA PREMIA LE RICERCHE PIÙ "IGNOBILI" PUBBLICATE Dal brevetto sui testicoli finti per cani allo studio sulla defecazione dei pinguini Sveglie che scappano e aragoste in tv di ELENA DUSI Harvard, la cerimonia di premiazione Si chiude oggi la settimana dei premi Nobel. Da lunedì con la medicina a oggi con la pace, alla ribalta gli uomini che hanno contribuito al progresso dell'umanità. Ma, abolendo ogni deferenza e sostituendola con una dose equivalente di autoironia, l'università americana di Harvard ha assegnato i premi "Ignobel", riservati alle ricerche più ignobili apparse sulle riviste scientifiche negli ultimi anni. Il primo premio, l'Ignobel per la medicina, è andato all'inventore dei Neuticles, testicoli artificiali per cani castrati. Il prodotto, disponibile in tre taglie, è stato regolarmente brevettato negli Stati Uniti. Nel sito che lo pubblicizza il padre dell'invenzione Gregg Miller spiega: "I neuticles permetteranno al vostro cane di mantenere il suo aspetto naturale e la perfetta autostima. Lo aiuteranno a superare il trauma legato alla castrazione, come se nulla fosse accaduto". Lo slogan è convincente, visto che a oggi sono state vendute 150 mila paia di Neuticles. Evidentemente non è il buon gusto a caratterizzare l'annata, così il riconoscimento nel settore della dinamica dei fluidi è andato alla ricerca "La pressione prodotta quando i pinguini depongono i loro escrementi. Calcoli di defecazione aviaria", pubblicata nel 2003 nella cornice tutt'altro che ilare della rivista "Polar Biology". Nel campo della biologia si è distinto il Journal of Chemical Ecology che non si è tirato indietro davanti a una ricerca dal titolo "Rassegna delle secrezioni odorose delle rane. Possibili funzioni e significati filogenetici" e l'ha pubblicata per intero. Gli scienziati avevano analizzato gli effluvi di 131 specie diverse di rane poste in condizioni di stress per soppesarne le differenze. Chiuso il capitolo bestiale, gli Ignobel hanno affrontato anche temi seri. Un esempio fra tutti: il problema dell'inefficienza delle sveglie mattutine. Il riconoscimento nel campo dell'economia è andato all'inventore di una sveglia che oltre a suonare scappa via e si nasconde sotto i mobili. Meglio alzarsi e filare subito al lavoro che tentare di zittirla. La trovata non poteva che arrivare dal prestigioso Mit, Masachussetts Institute of Technology. Il prestigioso riconoscimento per la pace, infine, è andato ai ricercatori dell'università di Newcastle che hanno monitorato l'attività elettrica del cervello di alcune aragoste mentre guardavano Guerre Stellari in Tv. Normalmente, per essere pubblicati su una rivista di prestigio, gli esperimenti scientifici devono avere la caratteristica della ripetibilità: qualunque laboratorio del mondo deve poter ottenere gli stessi risultati a parità di condizioni. Ma in occasione della 15esima edizione degli Ignobel il suo fondatore Marc Abrahams ha precisato: "Questi sono esperimenti che non possono e non devono essere ripetuti". In fondo però il confine tra ironia e serietà è labile. Così il pensiero di tutti i vincitori di oggi è andato Roy Glauber, il professore di Harvard che appariva ogni anno nella cerimonia dell'assegnazione degli Ignobel. La manifestazione si conclude puntualmente con una flotta di aerei di carta che si abbatte sui vincitori, e Glauber, cappello di carta in testa, si occupava di passare con la scopa sul palco per fare pulizia. Ebbene, a lui quest'anno è andato il premio Nobel per la fisica. Quello vero, di Stoccolma. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 ott. ’05 BATTUTA D'ARRESTO SU RICERCA E SVILUPPO di Roberto Giuliane Battuta d’arresto nella spesa per la ricerca e sviluppo all’interno di imprese, pubbliche amministrazioni e istituzioni non profit, con proprio personale e attrezzature. Dopo tre anni di crescita l’aumento in termini monetari è solo dell’1,2%, che si traduce in un meno 1,7% in termini reali. Si riduce, invertendo una tendenza consolidata, anche l’incidenza percentuale sul Pil della spesa per ricerca e sviluppo, scesa dall’1,16% del 2000 all’1,14% del 2003. Nel 2003 la spesa in ricerca e sviluppo in Italia è stata pari a 14.769 milioni di euro. Le imprese ne hanno svolto il 47,3% (contro il 48,3% del 2003), le università il 33,9%, gli enti pubblici di ricerca il 14,3%, le altre istituzioni pubbliche il 3,2% e le istituzioni private non profit l’1,4 per cento. Dai dati resi noti dall’Istat emerge quindi che in particolare è il settore delle imprese a ridurre la spesa intra-muros dell’1,1% in termini monetari. Il settore universitario appare, invece, in crescita anche nel 2003, segnando un passo avanti pari al 4,3% rispetto al 2002, anche se più contenuto a causa del rallentamento delle assunzioni di docenti. Poco dinamica, invece, la spesa per ricerca e sviluppo delle pubbliche amministrazioni, che aumenta dello 0,7 per cento. Non sale la spesa degli enti pubblici di ricerca nel 2003 (- 0,1%), mentre i dati previsionali 2004 indicano una consistente flessione, quantificabile intorno all’11,6 per cento. Per gli altri comparti cauto ottimismo per i dati di previsione 2004 e 2005, soprattutto sul fronte imprese (+ 7,5% nel 2004 e + 5,1% nel 2005). Nel complesso le previsioni indicano aumenti, a valori correnti, del 2,9% nel 2004 e del 4,3% nel 2005. La ricerca di base in imprese, amministrazioni pubbliche e istituzioni non profit occupa il 16,1% della spesa, quella applicata il 48,5%, mentre lo sviluppo sperimentale il 35,4 per cento. La tenuta del sistema è garantita dalle amministrazioni pubbliche e, soprattutto, dalle università. La contrazione delle spese in ricerca e sviluppo interna delle imprese ridimensiona, infatti, la quota privata per queste spese, in calo dal 2000. Il contributo delle imprese scende dal 50,1% del 2000 al 47,3% del 2003. «Si tratta di un’anomalia nel contesto dei principali Paesi Ue - spiega il rapporto Istat - dove la quota di spesa sostenuta dal settore privato supera frequentemente il 60% con punte, nei Paesi nordici, di oltre il 70 per cento». L’apporto maggiore viene dalle grandi imprese: quelle con almeno 500 addetti sostengono il 72,7% della spesa per ricerca e sviluppo, mentre il contributo delle piccole, al di sotto dei 50 addetti, è limitato al 5,1 per cento. I settori con livelli di ricerca più elevati sono: la fabbricazione di apparecchiature radio-tv e per telecomunicazioni (913 milioni di euro), quella di prodotti chimici e farmaceutici (819 milioni di euro), di macchine e apparecchi meccanici (802 milioni di euro), di autoveicoli (723 milioni di euro), la fabbricazione di altri mezzi di trasporto (706 milioni di euro) e le attività di ricerca e sviluppo (651 milioni di euro). Il personale Flessione nel 2003 anche per il personale impegnato nelle attività di ricerca e sviluppo, con una flessione dell’1,3% rispetto al 2002. Il ridimensionamento prevalente è avvenuto nelle imprese (-3,2% di personale, -4,1% di ricercatori) e nelle università (-1,5% il personale, -1,9% i ricercatori). In generale le imprese nel 2003 hanno perso 1.100 ricercatori, a fronte dei 1.500 acquisiti nel 2002. Ricercatori in aumento, sul fronte imprese, solo nella fabbricazione di autoveicoli (+ 25,6%) e nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto (+ 18,6%), mentre la riduzione più forte interessa la fabbricazione dei prodotti in metallo (-40,2%), di apparecchi da precisione (-29%) e le attività professionali e imprenditoriali (- 24,5%). La spesa è concentrata nell’Italia settentrionale e centrale (89,9%), in particolare in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, mentre la fetta del Sud è solo del 10,1 per cento. Tre Regioni, Lazio, Piemonte e Lombardia, da sole assorbono il 59,8% della spesa in ricerca e sviluppo delle imprese, il 63,2% di quella delle amministrazioni pubbliche, il 33,3% della spesa delle università. ____________________________________________________________ La Stampa 5 ott. ’05 I VESCOVI: VOTARE GLI ABORTISTI È PECCATO SINODO: LEVADA HA CHIESTO UN CONFRONTO CON LE ESPERIENZE DI ALTRI PAESI Il Prefetto della Fede: chi li sostiene non si avvicinerà ai sacramenti CITTÀ DEL VATICANO. E’peccato votare i candidati politici favorevoli all’aborto; lo ha ricordato al Sinodo dei Vescovi, ma in forma problematica, chiedendo che i presuli ne discutano, il successore del cardinale Ratzinger all’ex sant’Uffizio, William Joseph Levada. Levada era fino a qualche mese fa l’arcivescovo di San Francisco, e di conseguenza ha vissuto in forma diretta il tema dei politici favorevoli all’aborto nelle elezioni presidenziali statunitensi. Così nell’ora di interventi «liberi» ha preso la parola ricordando che la Chiesa sostiene che «è peccato votare i candidati politici che ammettono leggi a favore dell'aborto». Chi vota questi candidati, in sostanza, non può avvicinarsi ai sacramenti, in particolare all'eucaristia, se non dopo aver reso confessione del proprio «peccato». Il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede ha ricordato che questa posizione «ha creato divisioni nell'opinione pubblica e nella Chiesa americane durante il periodo elettorale» ed «è stato giudicato da molti come un'interferenza della Chiesa nella vita politica»; per questo ha detto di ritenere «opportuni un approfondimento e un confronto sull'argomento, ascoltando anche le esperienze delle Chiese di altri paesi». La questione era già presente nel documento preparatorio di questa undicesima Assemblea generale del Sinodo, il cosiddetto «Instrumentum Laboris»; al paragrafo 73, toccando il rapporto tra eucaristia e vita morale, era scritto che «alcuni ricevono la comunione pur negando gli insegnamenti della Chiesa o dando pubblicamente supporto a scelte immorali, come l'aborto, senza pensare che stanno commettendo atti di grave disonestà personale e causando scandalo». «Del resto - aggiungeva l'Instrumentum Laboris -, esistono cattolici che non comprendono perché sia peccato sostenere politicamente un candidato apertamente favorevole all'aborto o ad altri atti gravi contro la vita, la giustizia e la pace». ________________________________________________ Avvenire 05-10-2005 OGNI ANNO +20 % DI MATRICOLE ALLE FACOLTÀ «SOCIALI» Ogni anno aumentano del 20% gli iscritti alle facoltà di Scienze sociali, secondo i dati forniti dal Consiglio dell'Ordine degli assistenti sociali. A cosa è dovuto questo fascino? Molte matricole hanno esperienze di volontariato e vogliono continuare ad occuparsi come lavoro di handicap, di minori, di anziani. Una vera e propria laurea in servizi sociali è una novità introdotta con la riforma universitaria del 2000. L'anno prima a Trento, però, erano già in sperimentazione. «S'iscrissero i vecchi assistenti sociali con i diplomi universitari e delle scuole private. In pochi giorni ci furono 100 iscritti. Oggi abbiamo i primi 10 laureati che hanno completato il 3+2», ricorda Cleto Corposanto, presidente dei corsi di laurea in servizi sociali all'ateneo trentino. «Fondamentale è il tirocinio che non può essere osservativo, ma pratico - continua Corposanto -. Nel nostro caso ogni allievo ha un tutor, che è assistente sociale, con cui partecipa alle visite domiciliari, alle indagini familiari. Sono attività che suscitano attitudini che solo il lavoro sul campo può. dare». Lo stage al corso di laurea triennale in servizi sociali dell'Università di Trento dura 600 ore, vale a dire 8 ore di lavoro per cinque giorni la settimana. Per chi vuole specializzarsi in particolari settori ci sono i master. L'Università Cattolica di Milano offre il master di I livello Interventi relazionali in contesti d'emergenza. «Tra i nostri iscritti ci sono laureati in servizio sociale, psicologi, medici. Noi diamo gli strumenti per affrontare le situazioni di crisi, che vanno dal sapere comunicare, alla conoscenza del privato sociale di un determinato territorio. Nella tesi ciascuno in base alla laurea di provenienza approfondirà un argomento», spiega la direttrice Cristina Castelli. Seppur timidamente si stanno affacciando i primi dottorati di ricerca in servizio sociale. Uno all'Università di Trieste in condominio con i sociologi, Sociologia, Servizio sociale e Scienze della formazione. L'altro all'Università Roma 3 Servizi sociali. Il coordinatore Salvatore Rizzo spiega cosa significa fare ricerca nei servizi sociali: «Vuol dire dare fondamenti scientifici alla figura dell'assistente sociale che in questo sistema di Welfare ha delle importanti opportunità. Chi lo frequenta non ha come obiettivo la professione, ma l'approfondimento della disciplina per alimentare con studi e ricerche innovativi le politiche sociali». (C.Mor.) ____________________________________________________________ La Repubblica 7 ott. ’05 LAUREARSI IN DUE ANNI È POSSIBILE Accettato il ricorso di un ragazzo di Lecce che si era visto bloccare la tesi Il rettore: "Il percorso di studi è impostato per un apprendimento graduale" "Così mi sono laureato in due anni" e il Consiglio di Stato ha detto sì di DANIELE SEMERARO ROMA - Laurearsi in due anni è possibile. Lo ha confermato il Consiglio di Stato con un'ordinanza del 27 settembre scorso, convalidando la decisione del Tar di Lecce, che a giugno aveva dato ragione a uno studente, Alessandro Gravili, che in soli due anni era arrivato, con la tesi pronta, al termine del corso di studi e si era visto all'ultimo momento respingere la possibilità di laurearsi. "Entro novembre - racconta Alessandro, studente di Filosofia - si poteva fare la preiscrizione con riserva al corso di laurea specialistico se si erano erano ottenuti almeno 140 crediti su 180 e a patto di laurearsi entro l'ultima sessione, il 30 aprile. Frequentavo il secondo anno di quella che ora chiamano 'laurea breve' e feci questa preiscrizione in modo da poter iniziare a dare gli esami della specialistica già a giugno e non perdere sette mesi di tempo, in attesa dell'inizio del nuovo corso". A questo punto l'università accetta la domanda e fissa la data di laurea, ma pochi giorni prima la blocca. "Con l'appoggio della famiglia - continua Alessandro - mi rivolgo al mio avvocato che presenta un ricorso immediato al Tar". Il tribunale amministrativo di Lecce, così, con un provvedimento urgente dà ragione al ragazzo, che riesce a laurearsi l'ultimo giorno utile, con la votazione di 110 e lode. L'università, però, sia per non creare un precedente che per la convinzione di aver subito un torto si appella al Consiglio di Stato, che pochi giorni fa ha emesso la sentenza definitiva, inoppugnabile: la laurea è valida. In particolare, ci spiega l'avvocato del ragazzo, Vincenzo Greco, "dopo la riforma del '99 la normativa non parla più di durata 'legale' del corso, ma di durata 'normale' di tre anni". Il concetto è in effetti ancorato a una media statistica, che consiste in una determinazione convenzionale delle ore di studio necessarie per affrontare un esame. Nessuno, in sostanza, può impedire che uno studente accorci la durata del proprio corso di studi, così come nessuno vieta di potersi laureare "in ritardo". L'importante è che lo studente abbia acquisito i crediti necessari al conseguimento del titolo. "Il fatto sconcertante - aggiunge il legale - è che l'accusa dell'università, in sede di appello, si è basata su un argomento assolutamente nuovo, cioè che in questo modo lo studente non paga un anno di tasse universitarie. È un'argomentazione che ha del paradossale, perché c'è stato anche nel 2001 un decreto della presidenza del Consiglio in virtù della quale tutti gli atenei sono stati autorizzati ad esentare dalle tasse gli studenti che conseguono la laurea nella durata normale del corso di studi. Un'argomentazione sciocca dal punto di vista politico e sconcertante dal punto di vista universitario". Totalmente in disaccordo, invece, il rettore dell'Università di Lecce Oronzo Limone: "Lungi da noi valutazioni di tipo economico-finanziario - replica -. Semmai il ricorso è di tipo amministrativo. Noi vogliamo che tutti si laureino entro i tempi, avremmo un turn-over più veloce di studenti". L'ateneo comunque ha accettato "di buon grado" la decisione del Consiglio di Stato, pur riservandosi di creare un nuovo regolamento didattico in tempi brevi, in accordo con l'autonomia delle università. "Sono felice per i nostri studenti se riescono a laurearsi prima, ma il rispetto delle norme è fondamentale. Il percorso di studi è stato impostato per un apprendimento graduale e una maturazione di tre anni". Non si dà per vinto, comunque, Alessandro, che ora frequenta il primo anno della laurea specialistica in Storia della Filosofia e ha intenzione di laurearsi anche questa volta in anticipo. "Non mi sento più dotato degli altri, ma sono volenteroso e testardo. E sono molto contento che grazie a me altri ragazzi avranno la possibilità di laurearsi in anticipo". Ma per laurearsi prima bisogna avere il dono dell'ubiquità e frequentare contemporaneamente le lezioni e studiare ogni momento possibile? Non è così, risponde Alessandro, basta sapersi organizzare: "Non sono un classico 'secchione', faccio sport ed esco con gli amici. E poi se le materie sono interessanti non si fa fatica a studiarle. Mi metto a disposizione, anche tramite il mio nuovo sito, - conclude - di tutti i ragazzi che vogliano fare quello che ho fatto io perché è giusto che anche altri, magari non tutti, possano usufruire di questa sentenza". ____________________________________________________________ Corriere della Sera 8 ott. ’05 GAVINO SANNA: LA PIPI CONTRO SORU Il pubblicitario, autore dei manifesti per la campagna elettorale del centrosinistra in Sardegna, ha scritto 65 pagine contro il governatore Il libro anti-Soru di Sanna «Su di lui mi sono sbagliato» E’ un uomo grigio, non sorride mai, si circonda di lecchini d’oro e di becchini di idee Lì lo disse: «Meglio Soru che male accompagnato». Qui lo nega: «Meglio Soru? Forse no». L’anno scorso Gavino Sanna, classe 1940, il pubblicitario italiano più premiato al mondo, il cantore di Fiat e Barilla, tornò nella sua Sardegna e la riempì di manifesti per dire che «non è tutto loro quel che luccica», che il centrosinistra poteva farcela, che in Regione era Renato Soru il miglior presidente possibile. Un anno, un secolo fa. Oggi il Divino Gavino ha cambiato idea, s’è ritirato furioso nella sua casa milanese e ha riempito 65 pagine d’un libretto bianco, La pipì controvento , per negare che il Signor Tiscali sia l’uomo giusto e che nell’isola possa luccicare qualcosa. Scrive di soldi mai versati, di provincia ingrata. Il guru che cancella Soru: «E’ un signore che non vorrei per amico. Amici così, non mi servono. Bisogna essere leali, "puliti", aperti. Lui è uno che ti usa e getta come carta igienica». Gli dà del bugiardo, accusa i suoi collaboratori d’averle rubato le idee. E’ uno sfogo violento. «L’ho covato abbastanza. Fino all’ultimo, speravo di dover scegliere fra Doctor Jekyll e Mister Hyde. Parlo d’un signore che sembra a tutti un signore e invece non lo è». Perché ci si è messo insieme, allora? «E’ stato lui a chiamarmi. Mi ha raccontato la Sardegna che sognava. Ho accettato di fargli la campagna elettorale. Sono diventato il suo alter ego , mi sono esposto in quest’isola d’accattoni che s’esaltano per la balentìa , la sardità, queste balle. Gente che si masturba allo specchio e crede d’essersi fatta Sophia Loren. Ho preso schiaffoni, per lui». E lui? «Sparito. Diceva Maria Carta che in Sardegna l’invidia ne uccide più della malaria: esteti da Strapaese mi hanno attaccato per gli stand della Regione alla Fiera di Milano, per il nuovo marchio dei Quattro Mori... Lui, silenzio. Tiene i miei progetti nel cassetto, come se avessi la lebbra. E’ un uomo in grigio, non sorride mai, si circonda di lecchini d’oro e becchini d’idee . Il massimo dell’affetto fu un sms, la sera della vittoria. Due parole: "Congratulazioni. Renato"». Meglio lavorare con gl’industriali? «Assolutamente. Giovanni Rana era come Soru: non lo conoscevo, aveva un prodotto da vendere, mi ha cercato, è diventato famoso. L’unica differenza è che Rana è simpatico». E sì che lei godeva della benedizione di D’Alema... «Benedizione... Venne Claudio Velardi a chiedermi che cosa stavo facendo e a dirmi che cosa dovevo fare. Rimase mezz’ora e se ne andò». Passa al centrodestra? «No, non ho più voglia di politica. Ho lavorato in America alla campagna di Nixon: là, se uno fa vincere un candidato, viene portato in trionfo. Qui è una cosa meschina. Stavo da anni nel cda della Scuola sperimentale di cinema. Ma siccome io "ero" Soru, An è andata dal ministro Urbani e ha ottenuto la mia testa. Alla scuola aspettano che arrivi a rimpiazzarmi la fidanzata di qualche potente». Però nel Polo la corteggiavano... «Romano Comincioli, di Forza Italia, mi chiese di mollare Soru e sostenere Mauro Pili, candidato del centrodestra. Pili è un amico, ma non c’è lo stesso sogno». E Berlusconi? «Lo conosco da tanto. La prima volta fu a Milano, una cena di pubblicitari al Gallia. Mi fissava. Io ero infastidito. E lui: "Caro Sanna, da giovane portavo i capelli lunghi come lei. Poi li ho tagliati e la mia vita è cambiata. Facciamo un patto: se lei se li taglia, ci diamo del tu". Non ho mai obbedito». Però vi date del tu... «Quando ha visto la mia campagna per Soru, mi ha fatto i complimenti. E ha aggiunto: "Peccato che quello sia un pazzo"». Su questo, forse siete d’accordo.. . «Soru fa cose da pubblicitario. Le basi Usa alla Maddalena: bella battaglia, giusta, ma poi non porta a casa niente. Le ville a due chilometri dalla costa: deve vietarle perché ci sta nel personaggio pubblico, non perché ci crede. Demagogia. E’ un ricco che si compra la povertà e la distribuisce a gente che non vuole averla». Da pubblicitario: Berlusconi può recuperare consensi con qualche spot? «No, servono altri colpi di teatro. Lo vedo stanco. Sente il peso dell’età. Il suo problema è di uno che racconta venti volte una barzelletta che tutti conoscono. "Scendere in campo" funzionava, l’usò anche Hitler nel Mein Kampf . Ma le ultime trovate erano orrende: "Meno tasse per tutti" è l’ultima cosa che un politico deve dire». Chi ha più bisogno d’un buon pubblicitario? «Vedo solo vecchie ballerine d’avanspettacolo con la calza smagliata, tutti nei teatrini di Matrix , Ballarò , Porta a porta . Bertinotti fa buona comunicazione. Prodi, no: non riesce neanche a raccontare una barzelletta, con quella bocca a culo di gallina. Bossi è come Berlusconi: "Roma ladrona" non va più, deve inventarsi qualcosa d’altro». E uno sconosciuto, tipo lo Scalfarotto delle primarie? «Non interessa, non si vende: molte volte è l’abito che fa il monaco. Uno però c’è: è nero nero, sardo sardo, e prende a schiaffi tutti. Si chiama Gavino Sale, un indipendentista. Nella sua follia, non andrà da nessuna parte. Però è affascinante. La comunicazione, dovrebbero impararla tutti da lui». Francesco Battistini LA PIPI’ CONTROVENTO”. LA PRIMA PARTE DEL PAMPHLET DI GAVINO SANNA SUL GOVERNATORE Data: 08/10/05 Poi eri sceso dal palco e tra le persone che salutavi c’ero anch’io. Mi hai detto: Noi abbiamo rischiato di conoscerci per via di un quadro di Biasi... Buon giorno. Sono Renato Soru: io avrei intenzione di cambiare l’immagine della mia azienda, mi farebbe piacere che lei se ne occupasse. Vorrei incontrarla per parlarne. Questo successe, caro Renato, tra il febbraio-marzo di un anno fa, di fronte all’hotel Las Tronas di Alghero, nell’edicola in cui compro la razione quotidiana di giornali, un luogo incantevole anche per la ricezione dei cellulari. Un sardo che chiama un altro sardo per ridisegnare l’immagine di una cosa importante era piuttosto persuasiva. Tiscali era ormai un nome suggestivo dell’informazione globale. Ma poi per non so quanto tempo non sentii più nessuno. Buongiorno, sono Renato Soru. Forse lei avrà letto da qualche parte che ho deciso di dedicarmi alla politica. Sto cercando delle persone che possano formare il team che seguirà la mia campagna. Ma vorrei soprattutto una persona che mi stesse vicino per proporre la mia immagine. Io, Renato, ti avevo conosciuto a Villanovaforru, a un convegno di giovani stranieri venuti per studiare in Sardegna. Il tuo intervento mi aveva colpito per la sua violenza contro i politici. Dicevi, ai ragazzi che ti ascoltavano: Se avete qualcosa da fare, non chiedete aiuto ai politici. Fatevelo da voi, abbiate il coraggio di osare. Mi era parsa un’allusione a una qualche tua esperienza negativa neppure lontana. Poi eri sceso dal palco e tra le persone che salutavi c’ero anch’io. Mi hai detto: Noi abbiamo rischiato di conoscerci per via di un quadro di Biasi. Che a me piaceva e che lei ha finito per comprare. Era un paesaggio rosa che proveniva dall’antiquario Crobu di Cagliari. Il nostro primo appuntamento fu a casa mia a Milano. Mi hai raccontato cosa avessi in mente e interrogato su cosa ne pensassi. Tutto con molta sobrietà. Alla mia domanda Come mai ha deciso di darsi alla politica –ancora non ci davamo del tu- ho avuto in risposta Non voglio fare più il mestiere che ho fatto sino ad ora. Ero rimasto molto sorpreso. Un signore di successo, conosciuto nel mondo, sbandieratore dei valori della Sardegna con Tiscali, con quel taglio culturale d’avanguardia che proponeva all’attenzione del mondo la nostra terra, beh non era un avvenimento da nulla. E aggiungesti: Io ho deciso di dedicarmi per cinque anni al bene della Sardegna per riscoprire e far scoprire i nostri valori e i nostri tesori. Ricordo che mi dicevi queste cose rannicchiato nella poltrona, in una postura semplice e appassionata. La tua era la Sardegna che io avevo sempre sognato, quando stavo lontano: in America, nei molti anni di Milano. Un sogno alimentato dalla rabbia che provavo quando tornavo per le vacanze nell’isola, un rancore malinconico per una patria per me “assaie luntana”, alimentato anche dalla saudade sarda, dalla nostalgia per i nostri silenzi e per i nostri odori. . E’ un emozione così che mi ha portato ad accettare l’incarico. Il tempo era pochissimo. Tu non avevi ancora idea del team, di quanto spendere, con il solo capitale, immenso, del desiderio di fare e di riuscire. Io, te lo dissi, tutto da solo da non potevo fare e chiamai a raccolta un mio grafico, un assistente bravo e devoto che si chiama Stefano Fontana e un copyrighter di origine sarda, che più sardo non si può, Aldo Tanchis di Lei, che aveva lavorato per molti anni con me e per me. Con lui ho usato l’enfasi degli affetti e delle radici. Aldo, siamo chiamati ad una cosa importante. Insomma, la nostra era diventata una missione prima ancora che cominciassimo. Avevo fatto il pubblicitario per quasi cinquant’anni e mai la Sardegna mi aveva chiamato per servirsi del mio lavoro, se non nella dimensione del testimonial in una campagna di sardi famosi per conto dell’Esit che si rivelò una truffa, sanata con una riflessione patriottica: Tanto lei, caro Sanna, è un uomo di mondo e capisce come vanno queste cose . Accidenti se ho capito, io che non sono mai stato uomo di mondo. Ci mettiamo a lavorare. Istantaneamente, la prima cosa che mi venne in mente, giocando sul suo none (quasi fosse la didascalia di una mia caricatura) fu Meglio Soru che male accompagnato. Era una prima base su cui lavorare, sicuro che la mia determinazione a rispettare il ruolo di cui mi sentivo investito mi avrebbe portato a fare una campagna diversa. Evitare i faccioni, gli slogans più abusati nella campagne dei politici anche di maggior successo, volevo una campagna popolare, con un linguaggio semplice, quasi banale, rubando, se fosse stato possibile, un’idea- forza dai muri della città. Non è la prima volta che scopro invenzioni uniche vergate da mano ignota. Ricordo una frase su un muro di un cavalcavia sulla strada per Alghero che recitava: Non è tutto loro quello che luccica. Neppure un copy di vaglia avrebbe saputo fare tanto. Solo la grande saggezza popolare sa grondare di questi valori. Volevo fortemente una cosa che tutti capissero, abolendo le parole inventate dalla politica. Arrivai così, sfrondando, a Meglio Soru. Sfidando tutti a non capire che cosa volessimo dire. E venne il nostro secondo incontro a casa. Io amo fare degli schizzetti, ad appuntare piccole frasi e provocazioni prima che diventino idee. Ti feci vedere, Renato, gli esiti di una campagna fatta per il comune di Sassari che si apprestava a frugare le viscere del centro storico creando disagi e imprecazioni. Uno dei titoli più efficaci proposti per la campagna era: Minn’affuttu. Silloge del menefreghismo della gente ormai abituata a tutto e sempre pronta a non credere a niente che potesse migliorare il suo futuro. Per la prima volta scoprimmo le nostre convinzioni rinunciando alle convenzioni. Tu, molto tranchant: Non piacciono queste cose. Vorrei ritrovarmi, riconoscermi nella campagna alla quale penso. Sfogliando altri lavori per altre campagne, (..questo mi piace, questo non mi piace) a un tratto sei stato attratto dalla camicia di Aldo Tanchis che ti sedeva a fianco. Ecco, mi piacerebbe il colore viola di questa camicia. Era uno dei tanti colori delle “fardette” delle donne sarde. La tentazione irresistibile dell’identità. Ti rassicurammo. La campagna sarebbe stata viva, con tanti colori. Ogni titolo, ogni uscita, sarebbe stata una nuova provocazione. Ti sentii rilassato e disposto alla confidenza. Sono andato a Sorso, dicesti, e in risposta a questa mia faccia impenetrabile una ragazza m’inviò un piccolissimo biglietto: Sorridi, Renato, sei tra amici. Era una cosa che ti aveva divertito tanto. Divenne uno tra gli annunci che forse intrigò di più. Ripensandoci, Renato, questo che è poi diventato un annuncio di successo lo utilizzerei per tutta la Sardegna. Lo scriverei in grande in tutti gli aeroporti dell’isola: Suonerebbe come un benvenuto pieno di simpatia e di trasporto. Portammo avanti, io, Stefano e Aldo, una mole enorme di proposte. Deflagrarono i colori alla moda delle gonne delle donne sarde. Con un fascio enorme di carte, venni a trovarti questa volta nella tua casa. Io che ho studiato architettura e che resta con la caricatura una pulsione per me incontenibile, rimasi colpito dalla bellezza di questa casa, falsamente minimalista, in un progetto alla Aldo Rossi, e quando andai via dissi a Lella: E’ la prima volta che vedo una casa dove non cambierei neppure un tappeto. Con te c’era tua moglie e il tuo prezioso collaboratore di Tiscali, Aldo Mariani. A Mariani dobbiamo l’azzeramento dei tempi morti, l’abolizione del dolce non fare della nostra gente, Tua moglie chiari meglio un concetto. Noi, disse, non vogliamo una pubblicità aggressiva. Basta con questa politica che si monta nella scatola televisiva dove uno insulta l’altro. Giusto, ma noi avevamo bisogno di vincere e non potevamo adagiarci sul tono soffice che non avrebbe smosso niente. Io mi fido, se lo dice lei, concluse molto carinamente tua moglie. All’uscita da ogni nostro incontro c’è stato sempre qualcuno che cercato di strapparmi un’indiscrezione, di scongelare la parte più segreta di Soru. Lui Soru arriva sempre a un’intesa. Molte impuntature. Lui ha bisogno di molto tempo per convincerti che le cose, così come le vede lui, vanno pensate, vagliate, certificate, licenziate. Come i pappagallini che esitano di fronte al biglietto della buona fortuna e agganciano a un tratto col becco quel biglietto e non l’altro. Un giorno, molto presto al mattino, fui invitato nella tua casa a prendere un caffè. Aspettando che arrivasse Mario Mariani mi hai chiesto se ero ancora amico di Pino Careddu. Ti ho detto che ci conoscevano da più di quarant’anni, con alcune esperienze iniziali in comune. Dicesti: Sa, io l’ho querelato o lo devo querelare perché sta scrivendo delle cose ignobili nei miei confronti. Molte cose sono vecchie o non sono vere. Se lei è ancora amico di Pino Careddu, credo che non potremo lavorare assieme. Ti spiegai che la mia amicizia con Pino Careddu non aveva niente a che fare con il mio lavoro. Lei sta parlando con una persona riservata, aggiunsi. Fu forse il nostro primo piccolo incidente di percorso. Ma servì per cominciare a capirci. Su consiglio di Mario Mariani ci installammo in una agenzia: la Soleja, uno dei cui proprietari era Chicco Porcu. Qui ho potuto apprezzare il grande apporto dei ragazzi nella fase dei definitivi. Ma soprattutto la grande energia e intelligenza di Chicco che aveva trasformato la parte del suo ufficio, il suo quartierino creativo, in blockbuster dove aveva una parte centrale la mamma, una signora molto nota, dedita alle opere di beneficenza, una squisita e quasi indispensabile presenza. Qui ho potuto apprezzare la generosità e la professionalità di Chicco che metteva a disposizione di Progetto Sardegna tutti gli umori e i saperi della professione che aveva imparato a Londra, dove aveva studiato e fatto pratica. A tutte queste cose, man mano si procedeva, si aggiungevano delle piccole fioriture. Improvvisamente scoprimmo di avere bisogno di un marchio che fosse l’espressione della coalizione. Pensai di proporre la storia dei Quattro Mori modificandoli con quattro cuori. Qualcosa che esprimesse l’amore dei sardi per la Sardegna dentro un logo che aveva più di ottant’anni di storia. Mi sembrò che venisse bene con “Sardegna Insieme” che divento poi “Sardegna insieme con Renato Soru”. Il marchio piacque indiscutibilmente sino a quando non ci fuorono i primi confronti con i soci della coalizione. Indubbiamente quei quattro cuori al posto dei Quattro Mori esprimevano anche un fatto politico, evocavano la storia di tante competizioni elettorali con il Psdaz. Mi chiesero se potessi aggiungere altri cuori che allontanassero il dubbio di una citazione politica che in altre stagioni era stata importante. Aggiunsi un quinto cuore nella formulazione che è poi divenuta definitiva. Era inevitabile che frequentando i vecchi locali della Soleja, parlando con gli assistenti, vivendo un’atmosfera di giovani e di ragazze, caotica ma molto vera, abituato com’ero a tempi e ai silenzi milanesi, desiderassi luoghi e decisioni più aderenti alla fisiologia del Progetto, Il fatto è che, se non arrivavi tu, Renato, quei tempi morti sarebbero stati pause di allegro cameratismo con frange di intromissioni da parte di quelli che io chiamo i Lecchini d’oro, figuranti, perdigiorno, dispensatori di consigli, collettori di anticipi (Ricordati che questo consiglio te l’ho dato io). Ebbimo persino la visita di un grande benedicente, il missus di D’Alema, Velardi, a chiederci che cosa stavamo facendo, dicendoci che cosa avremmo dovuto fare. Non so rispondere se fosse venuto a titolo personale ma sta di fatto che quella gradita visita (lo fu per te?) non modificò in niente i nostri programmi. Non avendo muri o giornali su cui affiggere inventammo due cose. I Ragazzi sandwich che avevano davanti “Meglio Soru” e dietro, di volta in volta, un annuncio diverso. L’altra idea fu quella di lanciare, per tutta la durata della campagna elettorale, un tabloid con notizie e commenti con la riproduzione di un annuncio, sempre diverso. nell’ultima pagina. Lo chiamammo il Progetto. La campagna aveva già gambe. Ovviamente avevamo uno sguardo fisso nella direzione della controparte politica. Ma in proposito voglio raccontarti un episodio forse sepolto nella concitazione della campagna elettorale. Appena si seppe che ero stato chiamato da Renato Soru, tornato a Milano, ricevetti la telefonata di un altissimo personaggio della nomenclatura di Forza Italia. Il signore venne a casa mia, parlammo con molta cortesia, e alla fine mi chiese in maniera molto diretta se avessi voglia di fare la campagna per Mauro Pili. Gli risposi che il mio telefono era a disposizione di tutti, soprattutto lo conosceva Mauro col il quale ci scambiavamo cordialità da moltissimo tempo. Precisai che io avevo preso un impegno e che, sicuramente, mi sarei messo di impegno “per farvi molto male”. La risposta fu: Purtroppo lo so. Io aggiunsi: Piuttosto che fare una campagna politica con Soru ho intravisto la possibilità di fare qualcosa di utile per la mia terra. Una campagna di emozioni, non di soldi. Un quotidiano nazionale dedicò una pagina intera a questa collaborazione tra due sardi, un pubblicitario di antico pelo e il nuovo governatore della Sardegna. Definì la campagna che andava via assumendo connotazione come la più innovativa di quante ne fossero apparse sino ad allora nei media italiani. Quando il giornalista osservò che la campagna era raccolta in due sole parole (Meglio Soru) ebbi qualche tormento. Ma quando vidi la campagna dipanarsi con quel tormentone e con tutti i suoi prodotti, decisi che avevamo trovato una formula che avrebbe cambiato i pensieri della gente e il corso delle istituzioni. Ciò che ha avuto vita durissima era lo slogan “allungato”, quel “Meglio Soru che male accompagnato” nato dalla prima spremitura della campagna. Tu fosti il primo, Renato, a dirmi Non mi piace. Non mi piace perché lo trovo riduttivo. Demolitore di appoggio fu un personaggio, l’autore di Jack Frusciante, che spari subito dall’inevitabile Circo Barnum che si crea negli ambulacri della politica in fase pre elettorale. In effetti i padri della demonizzazione del logo “allungato” risultarono diversi. Gianni Massa mi confesso che era stato lui a dirti che quello slogan era riduttivo. Insomma tu dicevi no, io dicevo si e alla fine lo scontro di temperamenti si risolse a mio favore. Andammo bene entrambi. In fondo sei stato il primo e l’ultimo ad esserne beneficato. D’accordo, dava il senso dell’emergenza ma alla fine metteva kappaò una campagna parallela basata su un paio di scarpe da tennis, ogni giorno più nuove. Le scarpe da tennis di una inutile attraversata nel deserto, l’Armungia- Dakar dell’ex presidente Mauro Pili. Era una ragione di più perché i linguaggi, la forma grafica esprimessero una comunicazione corretta, serena. Ma un attacco alla concorrenza. Forse per questo siamo stati ignorati dalle televisioni locali e dalla carta stampata. L’unica intervista televisiva sulla filosofia della campagna me la fece Sky. Molti mi chiedono, Renato, quale linguaggio usassi tu allora. Ceratemene più accessibile globalmente. Oggi non parli: per cui mi sarebbe difficile soddisfare questa curiosità su com’eri prima rispetto al presente. Adesso fai, prima dovevi dipingere questa Sardegna che volevi cambiare. Ricordo la prima uscita della nostra campagna: Oggi 17 aprile andiamo in campagna assieme. Era la tua prima uscita pubblica. Andammo assieme a Nuraghe Losa e in quell’oceano di gente che era venuta per conoscerti ed applaudirti ebbi netta la sensazione che ce l’avremmo fatta. Le cose che dicevi erano a presa rapida. La gente era decisa e si preparava a un grande cambiamento. Era la prima volta che io mi trovavo su un palco accanto alla committenza. Ma questo ruolo di iniziale terzietà io l’ho perso dopo il successo del logo con il quale preparammo la grande convention di Nuraghe Losa: Da oggi il cuore della Sardegna batte più forte. E’ stato l’annuncio che forse ti è piaciuto di più. Dal quale abbiamo ricavato i banner, le Tshirt per le ragazzine. Lo comprasti per la tua prima apparizione alla Fiera di Cagliari. Anche lì sedevo accanto a te proprio perché non mi sentivo parte politica. Chi portava avanti il none della Sardegna, le bandiere, chi correva per diventare il governatore della Sardegna era il committente, eri tu. Io mi sentivo come un sardo che aveva regalato l’idea della Sardegna a un signore che doveva portarla avanti. La mia presenza non aveva valore di testimonianza aggiuntiva – lo dico per chi ha tentato di incolparmene- ma di consustanzialità dell’avvenimento. A Nuraghe Losa, in un’occasione meno ingessata, affatto professionale, più simile alla scampagnata, ho vissuto quella festa di popolo, quello sventolio di bandiere come davanti al quadro del funerale di Togliatti dipinto da Guttuso. Tutto intento a vivere un’emozione che dovevo interiorizzare per donarla. Io, insomma, facevo la campagna per la Ferrari e tu eri quello che guidava la macchina per vincere. Trassi, tuttavia, un beneficio, lo dico con ironia, indiretto da quella partecipazione. La gente ha così bisogno di Cambiamento, di stare con chi è in grado di vincere la gara, con chi vive accanto al mito del momento, che a Portotorres iniziò la raccolta delle firme per essere candidato sindaco della mia città. Ricordo, Renato, che nella tua seconda visita a Milano ti proposi di non deludere la gente che è abituata a vederti vestito di grigio con la cravatta blu. Se lei va a trovare la gente degli ovili, chi lavora nella campagna, per favore non si vesta da pastore. Non serve togliersi la cravata e indossare la giacca di velluto. Tu mi obiettasti: Ma io lo faccio per sentirmi più vicino. E io: Se mi permette, dottor Soru, il mio commento è che lei si trasforma e diventa povero come sono poveri gli altri e quindi ho l’impressione che sia anche un’offesa. Io mi trasformo e divento povero perché vengo da voi che siete poveri e siete vestiti come me. Non lo faccia. Questo è il mio modestissimo contributo. Poi faccia come vuole. Ma voglio ripercorrere con te gli avvenimenti del giorno in cui presentammo la campagna alla coalizione. Ci riunimmo nei locali di Piazza del Carmine nella sede di progetto Sardegna. E c’era Cugini e tanta altra gente che non conoscevo e alla quale non avevo mai stretto la mano. E io ero Gavino Sanna e per altri dottore, perché dottore non si nega a nessuno, e tu mi chiedesti di presentare la campagna. Imbarazzato non ero perché per me era come se ripetessi la presentazione per la Pasta Barilla, per la General Motors, per la Esso, per la Coca Cola ma quel momento evocò un episodio importante della mia carriera. Quando fui chiamato da Nixon per la sua campagna elettorale. Ma io, se è possibile, mi sentivo ancora più sicuro di allora. Intanto perché avevamo concordato ogni cosa con te ed era tutto sotto controllo. E poi perché osavo pensare che la coalizione si fidasse ciecamente di te. Se andava bene ciò che avevo fatto per un ex presidente americano ritenevo potesse andar bene per un futuro governatore della Sardegna. Invece le cose andarono diversamente con un finale fantastico. Vennero a galla vecchie abitudini culturali ed egemoniche. Qui mettiamo il nostro logo, qui aggiungiamo i colori della nostra formazione, insomma quasi una lottizzazione del simbolo. Mi fermai e con molta calma dissi che non mi risultava che i signori avessero dietro le spalle una carriera di grande pubblicitario internazionale di successo, per cui avessero la bontà di farmi finire. La mia faccia tosta e la mia determinazione ebbero un effetto salvifico per l’integrità del lavoro. Ci fu una corsa ad accaparrarsi pezzi del lavoro fatto, si creò un clima di complicità e di intesa e anche quello fu un segno che la mia idea nuova di Sardegna marciava grazie a Renato Soru. Troppa enfasi? Una ragione ci sarà stata in quella che per me era diventata una laboriosa fascinazione. E’ cambiato qualcosa da allora’ Chissà. Il gran giorno si avvicinava vorticosamente. L’eccitazione era palpabile in tutti. Io chiamavo Milano dove Stefano e Aldo portavano a termine la grafica, loro mi ragguagliavano sulle scadenze che ci eravamo dati, sentivo la febbre di una partecipazione totale. Un mattino scoprimmo che il presidente del Cagliari Cellino si era candidato contro Soru. In un bar trovai sparsi sui tavoli giornali con grandi foto che inneggiavano al presidente del Cagliari che tornava in serie A. Io tornai in ufficio e disegnai un annuncio: Con Soru in serie A va tutta la Sardegna. Tappezzammo tutti i muri della città certi, che con quell’annuncio fortemente emotivo avremmo spompato il trionfalismo di Cellino. Questo episodio me ne ricorda un altro che è ormai nella storia del pallone italico. Ero ad Alghero quando la Roma, sponsorizzata dalla Barilla, vinse il campionato. Mi telefonarono dalla Barilla perché inventassi uno spot in cui si ringraziava la Roma e la sportività italiana per quell’accadimento. Telefonai a una nota casa di produzione, scelsi un regista che è poi diventato famoso, d’Alatri, lo spot andò in onda e una sera, mentre ora intento a un tramonto di Capocaccia, venni a sapere che era stato premiato al festival di Cannes. Queste coincidenze erano segnali che mi scaldavano, prima della vittoria. Il bagno nell’identità era totale. Cercai uno speaker che ci leggesse alcuni annunci per l’emittenza televisiva. Ne trovai uno con una bella voce, ma troppo impostata e passai una giornata intera a fargli ripetere gli annunci come se li dicesse alla sorella o alla zia. Non chiami Gassman, parlando, chiami sua mamma. Producemmo anche una marea di piccolissimi annunci per dire che anche in una campagna di grande respiro hanno spazio anche le piccole cose e che le grandi cose, quando riescono, non hanno bisogno di grandi numeri, di tanti soldi. Ma sull’onda dei ricordi penso con simpatia a quella persona straordinaria che è il prof. Gessa. Un grande, un grandissimo da contenere. Il secondo personaggio dopo Renato Soru. Lui ha una presenza fisica da vecchio attore holliwoodiano. Uno più bello di Lee Marvin. Credo che questo personaggio tracimante abbia detto quello che abbiamo scritto con grande soddisfazione di tutti. Al contrario di ciò che ci accadde, ricorderai Renato, quando uscirono i primi spot di Chicco. Se li era prodotti da solo senza curare la voce, lo stile dei messaggi, i colori: un lavoro nello stile di un grande disubbidiente per uno che aveva studiato a Londra, che aveva fatto cose di grande scuola, nello stile cagliaritano dei Lappola. Io non mi trovai troppo d’accordo con quelle scelte. A tua richiesta te lo confidai. E tu, con affettuosa confidenza, aggiungesti: Bisogna fermarlo, ho l’impressione che Chicco stia andando sopra le righe. Ma la cosa riguardava più te che me. Io ricordo la professionalità di Chicco ma soprattutto l’aiuto generoso avuto dalla moglie, Angela, a capo dello studio di produzione. Alla vigilia delle elezioni Cagliari fu colpita da un diluvio di Meglio Soru. Era la strategia che ci eravamo riservata. Lasciammo l’ultima frazione che precedeva il divieto di affissione per aggiungere …Che male accompagnati. Sicuri che quella coda, quell’allungamento lo avrebbero scritto i ragazzi sui muri della strada. Ricordo una bellissima campagna fatta per la Mondatori, in continente, Fanfani ha detto che…. E i ragazzi aggiunsero il resto secondo il loro estro, suscitando un grande effetto subliminale. Ora, passata la festa, sceso il silenzio sulle consuetudini di quei giorni operosi, trovo la calma per raccontarti dei fatti che possono essere detti soltanto a persone di cui hai fiducia. Io non rispondo alle polemiche dei tuoi contro-altari che hanno presentato le cose come è piaciuto a loro. Ora qualcuno deve ascoltare me. Io ho prestato, finora in silenzio, la mia faccia, il fianco, tutta la mia professione che è stata umiliata, berteggiata. (Gavino Sanna: "La Pipi' controvento". 1parte ======================================================= ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 ott. ’05 L’AZIENDA MISTA VA AVANTI MA PERDE IL MICROCITEMICO La Dirindin e Gumirato incontrano il consiglio di facoltà di Medicina: L'ospedale di via Jenner resta alla Asl, Il Policlinico universitario: verrà potenziato prima di passare all’azienda sanitaria mista. Il progetto dell'azienda sanitaria mista AS1-Università perde un pezzo ma acquista velocità. E la sintesi del lungo incontro di ieri mattina all'Università di Cagliari, con l'assessore regionale alla Sanità Dirindin e il manager. dell'AsI 8 Gino Gumirato a confronto con il rettore Pasquale Ristretta, il preside. di Medicina Gavino Faa e il consiglio di facoltà. IL VERTICE. L’incontro ha lasciato più che, soddisfatti Ristretta e Faa, che hanno sottolineto il «clima aperto e costruttivo». Eppure in teoria i due rappresentanti dell’Ateneo avrebbero di che protestare: i protocolli d'intesa prevedevano che l'azienda mista nascesse unendo il Policlinico il San Giovanni di Dio e il _Microcitemieo, ma ieri : s' è deciso che quest'ultimo resterà alla Asl 8 perché, è , al centro di un progetto che lo vedrà raddoppiare in collaborazione con i privati, con un potenziamento settori della radiologia e della medicina nucleare studiato per servire anche l'ospedale oncologico. FUTURO. Ma il progetto viene ridimensionato solo teoricamente.- In realtà l’Università ha ottenuto quello che le stava più a cuore: la possibilità - una volta decollata l'azienda di utilizzare le sale operatorie del Policlinico tecnologicamente impeccabili ma tuttore ferme. La struttura di Monserrato avrà in carico due reparti di chirurgia, e nel frattempo potrà dotarsi di un reparto di rianimazione. Un altro progetto è la realizzazione di un pronto soccorso, che garantirebbe al policlinico un flusso di .utenti molto più robusto e soprattutto - continuo di quello attuale.. . IL PERSONALE. A spiegare la soddisfazione degli universitari c’è anche la maggiore flessibilità, emersa nell'incontro di ieri per quanto riguarda l’impiego del personale: a determinare l’organico delle strutture dell’azienda mista saranno le esigenze operative, non solo e non tanto il fatto che l professionisti siano contrattualizzati dall'ateneo o dall'azienda sanitaria numero 8. Maggiore snellezza e meno dispersione sul territorio; questi gli obiettivi da raggiungere prima che l’azienda --mista venga battezzata ufficialmente. PREVISIONI.- I tempi non saranno brevi (per il via libera serve l'approvazione del piano sanitario regionale, servirà più di qualche mese) e quindi si cerca di sfruttare ,questo periodo per risolvere in anticipo i problemi organizzativi che la fusione potrebbe creare. Tra le questioni aperte c'è anche quella finanziaria, visto che sarà necessario far partire la nuova azienda senza problemi di bilancio, e quindi vanno razionalizzate spese ed entrare delle, strutture che le verranno conferite __________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 8 ott. ’05 TRA DUE SETTIMANE TRASFERITE AL POLICLINICO LE PRIME SALE OPERATORIE A marzo gli studenti L'ospedale Microcitemico è fuori dall'Azienda mista. Il super organismo che metterà insieme e racchiuderà in un'unica struttura logistico amministrativa sia l'Università sia la Asl 8, ha scelto di cambiare la sua forma costituente. Non più tre strutture in una ma solamente due: San Giovanni di Dio e Policlinico Universitario. Fuori dall'accordo, appunto, il Mi c r o c i t e m i c o . La decisione è stata presa ieri mattina nel corso di due ore di incontro tra l'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin, il direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato, il rettore dell'Ateneo cagliaritano Pasquale Mistretta e il preside della facoltà di Medicina Gavino Faa. A far da pubblico, nell'aula Virginio Costa, tutti i docenti del polo scientifico dell'università cagliaritana. Tutti quelli che, insomma, dovranno lavorare alla creazione e al corretto funzionamento dell'Azienda mista. DOPO GIORNI E GIORNI di riunioni serrate e tavoli tecnici, i vertici dell'università, della Asl e della Regione, hanno fissato i primi paletti per la nascita e lo sviluppo dell'Azienda mista: «La nuova configurazione - ha spiegato Gavino Faa - ha un solo fine: quello del miglioramento delle prestazioni e dell'efficienza. Per questo abbiamo deciso di lasciar fuori il Microcitemico: perché far partire il progetto con tre sedi staccate e lontane tra loro avrebbe creato notevoli problemi di tipo logistico-amministrativo ». Questo non significa, hanno precisato i partecipanti alla riunione di ieri, che il Microcitemico verrà lasciato da solo: «È possibile che un domani - ha concluso Faa - anche la struttura ospedaliera che è nata soprattutto grazie all'intervento del professor Cao e di altri esponenti universitari, entri a far parte dell'Azienda Mista. Tanto più che c'è già un progetto di ampliamento del Microcitemico che lo proietterà a livelli di assoluta eccellenza nel panorama sanitario e italiano e europeo». IN ATTESA che l'Azienda parta ufficialmente (la data è stata fissata per il gennaio 2007) sono già iniziati i rodaggi della convenzione. Tra due settimane saranno trasferite al Policlinico di Monserrato due sale operatorie oggi inutilizzate: una dal San Giovanni e una dal Binaghi. E dal prossimo primo marzo, è l'idea del rettore cagliaritano, dovrebbero trasferirsi alla cittadella tutti i corsi della facoltà di Medicina. ? ____________________________________________________________ La Stampa 5 ott. ’05 PALERMO: IL FALSO MANAGER DIRIGEVA UN OSPEDALE PALERMO, IL CURRICULUM ERA FINTO PALERMO. Un impiegato di banca falsificando i titoli professionali è riuscito a farsi nominare, con la complicità di un politico, alla guida di uno degli ospedali più grandi della Sicilia. I carabinieri hanno scoperto la truffa e arrestato Liborio Immordino, 62 anni. Sulla poltrona di direttore generale dell'ospedale «Vincenzo Cervello» di Palermo, Immordino c'è rimasto per 3 anni, guadagnando 418 mila euro. Adesso è accusato di truffa aggravata e falso. Il politico, durante una conversazione con Immordino, registrata dai microfoni ambientali dei carabinieri, lo rassicurava e gli ricordava che lui, deputato regionale di un partito di centrodestra con incarichi istituzionali, era il «suo dante causa e non si doveva preoccupare». Il politico non è indagato. I pm Fabrizio Vanorio e Alessandro Di Taranto che hanno coordinato l'inchiesta, sottolineano le inadempienze dell'assessorato regionale alla Sanità. I responsabili della Sanità regionale non hanno fatto nulla per controllare quello che l'impiegato di banca sosteneva nel suo curriculum. Così, per due volte, Immordino ha presentato la domanda per diventare direttore generale, attestando falsamente di aver conseguito un'esperienza ultraquinquennale di dirigenza. L'uomo ha ingannato, secondo i magistrati, il presidente della Regione siciliana che lo ha fatto nominare con delibera di giunta direttore generale dell'azienda ospedaliera prima l'8 aprile 2002 e poi riconfermato il 21 aprile 2005. ______________________________________________ Il Sole24Ore 6 ott. ’05 IN ITALIA IL 30% DI RICOVERI È DOVUTO AL DIABETE Il 30% dei ricoveri in ospedale in Italia è per diabete. Lo ha detto Antonio Pontiroli, presidente della Sid (Società italiana di diabetologia) durante il congresso «Panorama Diabete» in corso a Riccione. Sempre in Italia, il diabete giovanile (tipo 1) colpisce oltre 20mila persone. La nuova sfida è la terapia con cellule staminali (quelle embrionali, vietate nel nostro Paese, sono le più promettenti) utilizzate come «fabbriche» di ormoni anti-zucchero. Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. ____________________________________________________________ La Stampa 5 ott. ’05 NIENTE SAPONE, SONO AMERICANI L’operazione «mani pulite» - niente a che fare, naturalmente, con Tangentopoli - non ha dato neppure in America i risultati sperati dagli igienisti. Nel cui sistema dominante di valori-segni - tracciato dopo la straordinaria rivoluzione mentale che accompagnò la comparsa sulla scena dei «bacilli» a opera di Pasteur - la semplice ed elementare pratica di pulizia corrispondente al lavarsi le mani è una pietra angolare. Eppure, persino in una società come quella americana, ossessionata dall'igiene, il rituale lavacro, dopo una visita alla toilette, non è affatto un gesto scontato, come si sarebbe portati a credere. Lo hanno rivelato i risultati - ripresi dal New York Times - di uno studio commissionato dalla Società statunitense di microbiologia. Se il 91% dei 1013 americani interpellati per telefono aveva dichiarato di farlo, la verifica sui comportamenti di più di 6 mila utenti di bagni pubblici in diversi luoghi ha mostrato un certo scarto tra il dire e il fare: a osservare la buona abitudine del lavaggio delle mani era in realtà l'82%, con oscillazioni in più o in meno nelle varie località. Non si tratta di una percentuale sconfortante, in verità, come hanno ammesso i committenti dell'indagine. Anche se la disaggregazione per sesso mostra che sono le donne a innalzarla, essendo assai meno parsimoniose nell'uso dell'acqua. Il 90%, infatti, non ha trascurato di lavarsi le mani, contro un più modesto 75 degli uomini, convinti, pare, che l'uso degli orinatoi di genere li esoneri dal farlo. Il sondaggio telefonico ha appurato una certa rilassatezza in altre situazioni: meno della metà degli adulti interpellati ha affermato che si lava sempre dopo aver toccato un animale domestico, dopo aver maneggiato denaro e dopo aver starnutito, cosa che non fa bene sperare in vista di una possibile pandemia d'influenza. Soltanto il 64% degli uomini e l’82% delle donne ha dichiarato di farlo dopo aver cambiato il pannolino al pupo, mentre non tutti ricorrono al lavandino prima di sedersi a tavola. Il livello di reddito e di formazione sembra avere qualcosa a che fare con la pratica dei lavacri e delle abluzioni, che non ha una lunghissima storia, come è noto, essendosi affermata da quando la gente ha cominciato a credere a bacilli e microbi, poco più di un secolo fa. Se il 24% delle persone che hanno un reddito inferiore a 40 mila dollari non trascura di seguirla, solo il 18% dei fortunati che lo superano ritengono il denaro tanto sporco da esigere una «decontaminazione» dopo averlo maneggiato. Sarebbe interessante disporre di dati analoghi per l'Italia. Il problema, qui da noi, sarebbe il contatto ravvicinato - per i ricercatori - con i bagni pubblici, per buona parte luoghi di degradazione igienico-sanitaria e d'inferno olfattivo. Ma questo, come si dice, è un altro discorso. ________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 8 ott. ’05 CONTINUA A CRESCERE LA SPESA SANITARIA? RIVEDIAMO IL RAPPORTO TRA STATO E CITTADINO Viviamo un’epoca nella quale si capisce che in molte patologie umane, è sempre più importante la responsabilità di ciascuno di noi Negli ultimi10 anni la spesa sanitaria in Italia è cresciuta dell’8% annuo. Negli ultimi 5 la spesa sanitaria è passata da 60 a 93 miliardi di euro I dati sono impietosi, ma troppi stentano a capirne il significato. La crescita della spesa sanitaria nei principali paesi occidentali aumenta ad un tasso che è incompatibile con la ricchezza degli stessi paesi. Negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria in Italia è cresciuta al tasso dell’ 8% annuo. Negli ultimi 5 anni la spesa sanitaria italiana è passata da 60 a 93 miliardi di euro. Tutte le principali economie mondiali, per arginare questa deriva, hanno messo in atto politiche tendenti a ridurre i costi. Hanno ridotto i posti letto per acuti portandoli a 3 ogni mille abitanti; hanno cercato di ridurre drasticamente il numero dei ricoveri ospedalieri incentivando, tutte le volte che è stato possibile, pratiche mediche e chirurgiche in regime ambulatoriale o di ricovero diurno; hanno portato nel territorio l’assistenza a malati cronici per non gravare sui costi di degenza ospedaliera; hanno infine cercato di ridurre e razionalizzare il consumo dei farmaci. Tutti questi provvedimenti, che alcune nazioni hanno già completato, non hanno però inciso sostanzialmente sulla riduzione della spesa sanitaria. I motivi sono ormai evidenti a tutti. Grazie alle migliorate condizioni economiche ed ai progressi della medicina clinica la vita media è in costante aumento. Si assiste perciò ad un aumento delle malattie degenerative, da invecchiamento ed a nuove malattie strettamente legate a maggiore disponibilità di alimenti ed a maggiore sedentarietà. A queste vanno aggiunte le patologie dovute all’inquinamento ambientale. D’altro canto le nuove possibilità diagnostiche che la tecnologia giornalmente ci mette a disposizione ed i progressi terapeutici sono fattori che paradossalmente aumentano la spesa. Infatti queste nuove risorse non sono ancora in grado di modificare sostanzialmente la storia naturale delle malattie. Hanno incrementato le opzioni di cura, molto meno le possibilità di guarigione. Viviamo del resto un’epoca nella quale si comincia a capire che in molte patologie umane, dall’infarto al diabete, passando per l’obesità, ma in un futuro questo varrà anche per i tumori, è sempre più importante il ruolo e la responsabilità di ciascuno di noi e del nostro medico per conservare una buona salute. Il governo centrale cerca perciò di ridurre la crescita della spesa sanitaria ed in quest’ottica anche la regione Sardegna ha varato, con una delibera, delle linee guida per riqualificare l’assistenza e attuare un rientro dal disavanzo consolidato al 31.12.04. Ma riqualificare l’assistenza ovvero migliorarla per spendere di meno vuole dire fare le riforme che gli altri hanno già fatto, ma ciò richiede maggiori investimenti iniziali. Ridurre invece le spese per il personale, che vuol dire ridurre il personale, significa peggiorare l’assistenza sanitaria perché già ora abbiamo la metà degli infermieri che ci servono. Vorrei ricordare che il Servizio Sanitario non è in deficit perché c’è un’offerta di salute maggiore della richiesta, ma per il contrario. E’ evidente quindi che la spesa sanitaria continui a salire. Ma, mentre tutti dovrebbero essere preoccupati per questa crescita della spesa sanitaria, in troppi, il sindacato, la sinistra, il Tribunale del Malato continuano a chiedere nuovi fondi per la sanità. Per questi stessi motivi Tony Blair si appresta a ridurre gli impiegati della macchina statale di 100 mila unità per avere più risorse per la sanità. Noi cosa vogliamo fare? Per tutti, destra e sinistra, è arrivato il momento di capire che va ridiscusso il rapporto fra stato e cittadini. Il giusto diritto alla salute si deve accompagnare ad un dovere dei cittadini a cercare di conservare, nei limiti delle conoscenze scientifiche e delle condizioni sociali, un buon stato di salute. È necessario cominciare a pensare che per ridurre i costi ed avere risorse sanitarie sufficienti per tutti è necessario ridurre la richiesta sanitaria ___________________________________ Milano Finanza 7 ott. ’05 SONO SALVO GRAZIE CON LA RISONANZA AD ALTA DEFINIZIONE Questo esame abbinato alla mammografia permette di rilevare anche i noduli più piccoli Prendendo spunto dall'esperienza che uno dei centri oncologici più prestigiosi al mondo, E Sloan Kettearing di NewYork, il Centro catanense di oncologia ha adottato da qualche mese una procedura innovativa di esplorazione del seno che coniuga i vantaggi della risonanza magnetica a un'elevata definizione dell'immagine. Con questo nuovo approccio non sfuggono neppure i noduli più piccoli, impalpabili e impercettibili. A oggi l’unico test diagnostico provato che riduce la mortalità per cancro al seno è la mammografia, che però non é priva di limitazioni tra cui una seppur minima esposizione alle radiazioni. e una sensibilità scarsa su sensibilità scarsa su come le cicatrici chirurgiche La risonanza gode di una minore invasività, paerché non è dotata di radiazioni ed è dotata di una sensibilità superiore sulle lesioni mammarie Il nuovo approccio made in Usa non prevede però di sostituire l’una all’altra, piuttosto di integrare le informazioni ricavabili da ciascuna. «Con la mammografia si identificano le lesioni dal punto di vista della morfologia», spiega Francesco Pane, responsabile della Diagnostica senologica del centro catanese e pioniere di questa tecnica in Italia, ««con la risonanza, invece, si ricavano informazioni sulla loro dinamica vascolare, attraverso l'impiego di un mezzo di contrasto. Un metodo che consente anche di discriminare le lesioni benigne da quelle maligne, perché l’acquisizione del mezzo di contrasto avviene in modo diverso». La risonanza magnetica permette di acquisire immagini tridimensionali da varie parti del corpo sfruttando le proprietà degli atomi di idrogeno, di cui il corpo umano è estremamente ricca. La somministrazione di un mezzo di contrasto consente di visualizzare i nuovi vasi sanguigni che sì formano intorno alla massa tumorale, un processo detto neoangionesi, sono proprio i nuovi vasi sanguigni che acquisiscono con più rapidità il mezzo di contrasto,"ma che altrettanto velocemente lo rilasciano. Il tempo di acquisizione, pertanto, risulta fondamentale. «In Italia si punta molto sulla dinamica vascolare delle lesioni e quindi sulla velocità elevata di acquisizione dell’immagine precisa Pane, «ma per avere la massima velocità bisogna utilizzare un diametro molto ampio, che comprende entrambe le mammelle. La risoluzione quindi è minore e non c’è una buana definizione morfologica. L'approccio innovativo messo a punto a New York accantona invece la risoluzione temporale per privilegiare quella spaziale. «In pratica si acquisisce una mammella per volta, e questo permette una maggiore risoluzione dell'immagine contenendo i tempi di acquisizione. Restringendo il diametro, il potere risolutivo aumenta, un po' come se si trattasse di una fotografia prosegue Pane. E’ così possibile identificare piccoli noduli sfuggiti a un esame iniziale o anche le cosiddette neoplasie intraduttali, lesioni che potrebbero evolvere a forme tumorali più gravi se non identificate per tempo. Ma a fronte di questi innegabili benefici, non ci sarà anche il rischio di scovare lesioni innocue, aumentando inutilmente il ricorso agli interventi chirurgici? In effetti può capitare, anche se in questi casi si può procedere con un ago sotto la guida della stessa risonanza magnetica, evitando il ricorso, alla chirurgia vera e propria», conclude Pane. «Va tuttavia detto che la risonanza soffre ancora di una bassa specificità, motivo per cui il suo impiega per lo screening del tumore al seno è solo una prospettiva». ______________________________________________ Libero 5 ott. ’05 CHI MENTE HA PIÙ MATERIA BIANCA. E UTILIZZA PIÙ REGIONI DEL CERVELLO Bugiardi si nasce o si diventa? Probabilmente si nasce visto che dietro al fatto di raccontare menzogne pare esserci addirittura un cervello più sviluppato della norma. Stando infatti alle conclusioni di ricercatori dell'università della California i bugiardi possiedono fino al 26% di materia bianca in più rispetto alle persone sincere; un sovrappiù di neuroni (in pratica di "materia pensante") che parrebbe collocato in un'area cerebrale in passato già messa in relazione con la predisposizione a infrangere l'ottavo comandamento. Lo studio ha specificatamente coinvolto 49 individui, dodici dei quali considerati bugiardi patologici, altri 21 normali e 16 con comportamento antisociale o deviante, riconducibile all'autismo. Sono state valutate diverse forme e manifestazioni di bugia: dalla bugia bianca, detta per esempio per far felice una persona, a quella pedagogica, per aumentare l’autostima di un bimbo; da quella utilitaristica, usata soprattutto in campo lavorativo per dribblare un incarico straordinario o noioso, a quella protettiva, per mascherare una scappatella. Tali comportamenti sono stati in seguito associati al modo di pensare che chi racconta balle è più intelligente degli altri? Non proprio, commentano i ricercatori. Semplicemente il cervello dei bugiardi patologici funziona in modo leggermente differente da quello delle persone per cos? dire "normali", e questa considerazione ci può essere d'aiuto per comprendere meglio taluni meccanismi legati a malattie mentali o a deficit comportamentali, ma anche alla psicologia umana in senso generale, In ogni caso, racoontano gli studiosi, l'azione del mentire risale agli albori del genere umano, ed è un bene che l'uomo abbia imparato a praticarla. Poiché, come ha ammesso per Tgcom Luigi Anolli, docente di Psicologia della 'comunicazione all'università Cattolica di Milano «in fondo la bugia ci permette di sopravvivere in molte circostanze difficili o imbarazzanti della vita». Gli italiani in particolare in quanto a frottole ci sanno fare. Sono infatti più di 1 miliardo e 400 mila le bugie raccontate ogni anno lungo lo Stivale. Quasi 3 milioni 800 mila al giorno. Un milione e mezzo di adulti ammette di dire una media di 5 bugie al giorno e il 45% dei 15-79enni afferma di aver pronunciato il falso negli ultimi dodici mesi. Sono i dati ricavati dallo studio "Gli Italiani e le bugie", realizzato tramite 1.002 interviste telefoniche su un campione rappresentativo della. popolazione italiana trai 15 e i 79 anni (pari a 46,8 milioni di adulti) da Astra/Demosko pea. Ma c'è infine da tenere presente che per un organismo raccontare balle vuol dire altresì sprecare parecchie energie. Lo hanno dimostrato in questo caso gli studiosi della Temple University di Philadephia. Essi hanno scannerizzato l'organo cerebrale di 11 volontari verificando che chi si esprime svisando la verità utilizza più (e diverse) regioni del cervello, rispetto ehi si dimostra trasparente. E pertanto si stanca anche di più. Gianluca Grossi ____________________________________________________________ Corriere della Sera 7 ott. ’05 IL VIRUS DELLA «SPAGNOLA» ERA «AVIARIO» L'analisi sull'agente virale responsabile della pandemia del secolo scorso mostra similitudini con l'influenza dei polli ora d'attualità Il virus dell' influenza «spagnola» (Ansa) LONDRA - Il virus responsabile della pandemia di Spagnola del 1918 era di origine aviaria, proprio come l'H5N1 oggi responsabile dell'influenza aviaria nel Sud Est asiatico, e poi si era adattato all'uomo. Lo rivelano i ricercatori dal gruppo di Jeffery Taubenberger, dell'Istituto di Patologia delle Forze Armate di Rockville, che hanno completato la sequenza del genoma del virus della Spagnola, mappando gli ultimi tre geni ancora da decifrare. Lo studio è pubblicato sulla rivista Nature. Dall'analisi del materiale genetico del virus della Spagnola, che era del tipo H1N1, è emerso che era di tipo aviario. Un dato in comune con la cosiddetta «influenza dei polli», in particolare, è l'emoagglutinina, cioè la molecola (indicata con H). MUTAZIONI SIMILI -I ricercatori avevano iniziato i lavori nel 1997, usando frammenti di codice genetico del virus isolati dal tessuto polmonare delle vittime. L'articolo di Nature viene pubblicato in tandem con un altro articolo in via di pubblicazione sulla rivista Science, firmato dai microbiologi Adolfo Garcia-Sastre e Peter Palese, della Mount Sinai School of Medicine che hanno collaborato con i colleghi statunitensi dell'istituto delle Forze Armate e del Dipartimento di Agricoltura. Secondo le analisi, il virus della pandemia influenzale del 1918 e l'H5N1, responsabile dell'influenza aviaria che ha colpito soprattutto il Sud-est asiatico, hanno subito le stesse mutazioni. Mutazioni genetiche cruciali, secondo gli scienziati, per passare dagli uccelli all'uomo e adattarsi al nuovo ospite. INFORMAZIONI STRATEGICHE - I ricercatori statunitensi si sono impegnati a ricostruire il genoma della Spagnola perchè dalla conoscenza dettagliata di quel virus si possono trarre preziose informazioni sui meccanismi di virulenza dei virus influenzali e sulle caratteristiche cruciali per trasformare un semplice virus influenzale in un killer. Gli esperti ritengono che ciò possa aiutare a prevenire nuove pandemie e a prepararsi ad affrontarle nel modo migliore. Ne è convinto anche Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università di Milano: «La mappa del genoma della Spagnola», spiega, «fornisce un'utile informazione contro il virus dei polli: ora sappiamo dove guardare per capire se sta diventando davvero pericoloso. E poter intervenire con immediatezza». IL SOSPETTO DIECI ANNI FA - Il sospetto che il virus responsabile della pandemia di Spagnola del 1918 fosse di origine aviaria «era sorto 10 anni fa, dopo l'analisi di alcuni cadaveri conservati nel permafrost. Dalla mappatura del genoma arriva solo una conferma, che non costituisce una novitá, nè un motivo di allarme». Lo sottolinea Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Ircss Lazzaro Spallanzani di Roma, commentando il completamento e la pubblicazione su Naturè della sequenza del genoma del virus. «Tutti i virus che hanno provocato pandemie erano di orgine aviaria - riferisce l'esperto - quindi si tratta di un dato atteso». In ogni caso una maggiore conoscenza del fenomeno può fornire nuove armi ai ricercatori, aggiunge Ippolito. domande su polli e pandemia MA SONO ANCORA «DIVERSI» - Della stessa opinione Pregliasco, che si è detto poco stupito dal fatto che anche il virus responsabile della terribile epidemia influenzale del 1918 fosse di origine aviaria. «Dall'analisi del materiale genetico della Spagnola, un virus del tipo H1N1 - ha dichiarato il virologo- è emerso in particolare che l'emoagglutinina era di tipo aviario. Si tratta di una molecola che conste al virus di attaccarsi alle cellule dell'apparato respiratorio». La trasformazione che ha reso la Spagnola tanto terribile, però, per il virus dei polli non è ancora avvenuta, continua Pregliasco. «Il pericolo di questa ricombinazione c'è, ma al momento non è possibile prevedere se e quando questo avverrà» osservato il microbiologo Michele La Placa, dell'università di Bologna. Quello che è certo, secondo La Placa, «è che sebbene una nuova eventuale pandemia potrebbe avere un'alta mortalità, saranno evitabili moltissime delle morti provocate dalla Spagnola. L'altissima mortalità di quella pandemia è stata infatti dovuta in gran parte a complicanze batteriche, come polmoniti da stafilococco, allora impossibili da curare perchè non esistevano ancora gli antibiotici». PREVISIONI - Del resto, gli autori della ricerca pubblicata su Science sostengono dalle pagine della rivista che, sebbene molti esperti considerino alto il rischio di una nuova pandemia influenzale, attualmente non è possibile predire quali virus saranno in grado di causare una pandemia o quanto virulenta potrá essere. Con la comprensione dei segreti nascosti nella struttura del virus dell'influenza spagnola, i due microbiologi sperano di risolvere proprio questi arcani, in modo da permettere in futuro ai ricercatori di produrre per tempo vaccini e trattamenti adatti ad evitare una pandemia influenzale. 07 ottobre 2005 ____________________________________________________________ La Repubblica 7 ott. ’05 PROSTATA E CANCRO, I TEST DA AFFINARE Le ultime ricerche - La diagnosi precoce spesso non ferma la malattia. Servono ulteriori ricerche per capire il livello di malignità di Aldo Franco De Rose * L'evoluzione del tumore della prostata rimane ancora un mistero anche per gli specialisti. Se da una parte i progressi in campo diagnostico hanno consentito di individuare un numero sempre maggiore di tumori, 11-14 mila nuovi casi all'anno in Italia, dall'altra la ricerca non è stata ancora in grado di stabilire quale tipo di tumore prostatico sia destinato a rimanere silente per tutta la vita e quale invece si rivelerà presto aggressivo. "In un prossimo futuro", ha affermato Francesco Rocco, direttore della I cattedra di urologia dell'università di Milano e direttore del corso sul tumore della prostata che di recente si è tenuto a Milano, "dovremo sforzarci di riuscire ad ottenere questa diagnosi differenziale in modo da curare tempestivamente le malattie pericolose senza trascurarne nemmeno una e, contemporaneamente, evitare ai soggetti che potrebbero non averne bisogno trattamenti inutili e quindi anche gli effetti collaterali dell'intervento come incontinenza, impotenza". A rafforzare questa necessità c'è anche Ottavio De Cobelli, primario urologo all'Istituto Europeo di Oncologia, citando i risultati di studi autoptici eseguiti su ultrasettantenni morti per altre malattie. "Ebbene", dice De Cobelli, "il 65% di essi aveva anche un tumore alla prostata ma non lo sapeva. Inoltre, sempre in base a questi studi, a 50 anni, un uomo su due avrebbe un cancro alla prostata nascosto, ma solo in percentuale molto minore quel tumore si rivelerà in maniera aggressiva". E sulla stessa strada sembra andare un lavoro apparso recentemente sul New England Journal of Medicine che sembra modificare ancora le considerazioni sul valore predittivo del test del Psa: 2.950 uomini di età compresa tra 62 e 91 anni apparentemente sani e con PSA inferiore a 4ng/ml sono stati controllati per 7 anni e tutti sottoposti a biopsia della prostata. La presenza di cancro prostatico è stato evidenziato nel 15,2 % dei soggetti, variando dal 10,1% degli uomini che avevano PSA tra 0,6 e 1 ng/ml, fino al 26,9% delle persone con PSA tra 3,1 e 4 ng/ml. "Questo lavoro potrebbe dare inizio a una rivoluzione", conclude Francesco Rocco, "esso dimostra che non esiste un livello di PSA di sicurezza e che di conseguenza sia la diagnostica individuale, sia quella di screening dovranno essere ulteriormente discusse e in qualche modo reimpostate". Insomma in tema di terapia di tumore della prostata, l'obiettivo di un prossimo futuro potrà essere quello di riuscire ad adottare, in ogni singolo paziente, la miglior scelta terapeutica "su misura", evitando comportamenti troppo standardizzati, che potrebbero ingenerare eccessi di aggressività, o pericolosi atteggiamenti astensionistici. *Specialista Urologo e Andrologo, Osp. S. Martino Genova ____________________________________________________________ La Repubblica 7 ott. ’05 ARTRITE REUMATOIDE MALE SCONOSCIUTO Il 12 ottobre giornata mondiale dedicata a questa diffusa e invalidante patologia autoimmunitaria di Antonio Caperna Un italiano su 2 non sa perché compare l'artrite reumatoide, non ne conosce i sintomi, non sa che il dolore ne è un'importante manifestazione e solo l'11% pensa che il reumatologo sia lo specialista giusto, per chiedere aiuto. E' il risultato dell'indagine di Datanalysis su mille italiani, presentata il 4 ottobre a Roma, in occasione della giornata mondiale dedicata alla patologia del 12 ottobre. "E' evidente che c'è tanto bisogno di informare la popolazione sull'artrite reumatoide. Le giornale mondiali servono proprio a questo scopo ma non devono restare iniziative isolate, altrimenti il loro impatto sull'opinione pubblica dura solo l'arco di 24 ore", afferma Roberto Marcolongo, presidente della LIMAR (Lega Italiana Malattie Reumatiche). Anche gli intervistati sottolineano che è "scarso" il livello di informazioni sulla malattia fornito dalle istituzioni pubbliche (66,7%, con massima incidenza nel Sud Isole e minima nel Nord est), se non "inadeguato" (13,3%). Da qui la richiesta di una maggiore informazione per 7 persone su dieci. L'artrite reumatoide è un'infiammazione cronica che colpisce più arti, caratterizzata da dolore, impotenza funzionale e distruzione delle strutture articolari. Si aggrava con il passare del tempo e non è raro l'interessamento di altri organi ed apparati come occhio, cute e polmoni. La malattia comincia in genere a manifestarsi tra i 30 ed i 50 anni. In Italia interessa 300 mila persone (7 milioni in Europa) con 5 mila nuovi casi l'anno. A dieci anni dall'avvenuta diagnosi ben il 44% dei pazienti risulta inabile al lavoro e dopo 20 anni di malattia circa un paziente su 4 è costretto a sottoporsi ad almeno un intervento chirurgico di artroprotesi. Il 22% è costretto ad abbandonare ogni tipo di attività lavorativa ed uno su dieci necessita di assistenza continua. Su questo punto gli intervistati si sono ritrovati d'accordo: il 75% ritiene che la malattia sia così drammatica da richiedere il sostegno dei propri familiari in ogni ambito del quotidiano. "Le terapie attuali permettono di avere una buona qualità di vita. Ma la diagnosi deve essere precoce, per avere i migliori risultati", sottolinea Marcolongo, "come associazione poi stiamo raccogliendo firme, per sostenere un progetto di legge sulle malattie autoimmunitarie sistemiche. Insieme ai cittadini è importante coinvolgere anche la classe politica". ____________________________________________________________ La Scienze 7 ott. ’05 TUBERCOLOSI E MIGRAZIONI L'evoluzione del batterio della tubercolosi sarebbe stata plasmata dalle migrazioni umane Gengis Khan e le sue truppe potrebbero aver conquistato intere nazioni non soltanto con la semplice forza militare: uno studio pubblicato sul numero di ottobre della rivista "Genome Research" suggerisce che le scorribande mongole attraverso l'Asia durante il tredicesimo secolo potrebbero essere state una delle principali cause della diffusione di una delle malattie più letali al mondo, la tubercolosi. Nel loro studio, Igor Mokrousov dell'Istituto Pasteur di San Pietroburgo e colleghi hanno dimostrato che la storia evolutiva dell'agente che causa la tubercolosi è stata modellata dagli schemi delle migrazioni umane. I ricercatori hanno esaminato le impronte genetiche di oltre 300 varietà di Mycobacterium tuberculosis, il batterio che infetta il sistema polmonare degli individui vulnerabili e provoca la TBC clinica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che la malattia uccida ancora 5.000 persone ogni giorno, circa due milioni di persone l'anno. Il patogeno sta rapidamente diffondendosi e sviluppando resistenza ai farmaci in molte regioni, in particolare in Africa. "M. tuberculosis - commenta Mokrousov - ha la notevole capacità di persistere nell'ospite umano in forma latente e asintomatica. Questo ha probabilmente consentito al batterio di coesistere con l'uomo in epoca preindustriale, quando il modo principale di trasmissione era all'interno delle famiglie o delle case, dove c'erano contatti fisici significativi". Oggi, quasi un terzo di tutta la popolazione del mondo è portatrice della TBC latente. Poiché il batterio infetta soprattutto i maschi, i ricercatori hanno ipotizzato che la sua diffusione rispecchiasse l'ereditarietà unidirezionale del cromosoma Y. Per verificare questa ipotesi, hanno confrontato i profili genetici di una forma comune di M. tuberculosis, il genotipo di Pechino, con gli schemi delle migrazioni umane preistoriche e recenti e con quelli globali delle variazioni del cromosoma Y. I risultati confermano che negli ultimi 60.000-100.000 anni la diffusione e l'evoluzione di M. tuberculosis sembra coincidere con gli schemi migratori umani. I. Mokrousov, H. M. Ly, T. Otten, N. N. Lan, Vyshnevskyi, S. Hoffner, O. Narvskaya, "Origin and primary dispersal of the Mycobacterium tuberculosis Beijing genotype: Clues from human phylogeography". Genome Research 15 1357-1364 (2005).