LA RIFORMA DOCENTI INCIAMPA SULLA COSTITUZIONE - LA RIFORMA MORATTI PARTE CON UNA BOCCIATURA - RIFORMA ATENEI- IL POLO: INCOSTITUZIONALE MA SI VA AVANTI - L’UNIVERSITÀ ITALIANA MERITA DI MEGLIO - LE UNIVERSITÀ CHIEDONO UN DIETROFRONT SULLE CARRIERE - LA MISERIA DEI LAUREATI «JUST IN TIME» - BALLIO: LA RIFORMA? UN DANNO PER L' UNIVERSITÀ - FABIANI: «CON LA FINANZIARIA TAGLI DEVASTANTI» - MORATTI: UNIVERSITA’ BASTA PRIVILEGI - DELLA LOGGIA: CORPORAZIONI E INTERESSI PRIVATI - BOTTAZZI: POCO IMPORTA AVERE LAUREATI SEMI-ANALFABETI - ALLA FACOLTÀ DI MEDICINA LA CERTIFICAZIONE ISO9001 - AGLI INFERMIERI PIACE LA LAUREA - ASSUNZIONE PER TREMILA INSEGNANTI DI RELIGIONE - BASTA IL SI DEL VESCOVO- PRECARIO SE INSEGNI LATINO - LA SELEZIONE UNIVERSITARIA E LA CULTURA DEGLI STUDENTI - ATENEI, RISCHIO ABBANDONO IL 25% LASCIA AL PRIMO ANNO - NEGLI ATENEI AUMENTANO LAUREATI E MATRICOLE ATTEMPATE - LE DOMANDE SENZA RISPOSTA DI UNA SCUOLA ALLA DERIVA - IL LAVORO? INIZIA IN FACOLTÀ - UNIVERSITÀ A DISTANZA CAMPANIA IN RIMONTA - CAGLIARI. IL CICLO DI CONCORSI ALL'UNIVERSITÀ - CAGLIARI: NASCONO I DOTTORI IN TUTTOLOGIA - SOLDI ALLA RICERCA? SOLO FUMO NEGLI OCCHI - CAGLIARI: MENSE, FITTI, AULE: UNIVERSITÀ BOCCIATA - CAGLIARI: TUTTI I DISAGI (TANTI) FACOLTÀ PER FACOLTÀ - ======================================================= IN VIAGGIO COI PROFUGHI DEL POLICLINICO DI MONSERRATO - DIPENDENTI SENZA L’INDENNITÀ: SCIOPERO DI DUE ORE AL POLICLINICO - GUMIRATO, MANAGER INCOMPATIBILE - I MEDICI A CONGRESSO RILANCIANO IL PUBBLICO - LA SALMONELLA SA RISTRUTTURARE IL SUO DNA - L’AGLIO (INCREDIBILE) FA BENE ALL’AMORE - NUMERI PRIMI: GLI IRRIDUCIBILI ALL’IPERMERCATO - LA RISPOSTA INFIAMMATORIA AGLI STATI EMOTIVI - ANORMALITÀ NEI MUSCOLI DEGLI OBESI - MOLECOLE DI LUCE - CURE IN RITARDO CONTRO L' ARTRITEv CINQUECENTO SCIENZIATI CONTRO IL DALAI LAMA «MEDITARE NON SERVE» - UN BLOCCO ALLA PSORIASI - ======================================================= ________________________________________________ Il Sole24Ore 21 ott. ’05 LA RIFORMA DOCENTI INCIAMPA SULLA COSTITUZIONE UNIVERSITÀ = In commissione alla Camera parere favorevole al Ddl ma dubbi sull'articolo 1 - L'opposizione accusa: è una forzatura ROMA a Rischio incostituzionalità per la riforma delle carriere universitarie. Secondo l'opposizione, nonostante il parere favorevole della Commissione Affari costituzionali della Camera, «la riforma Moratti sullo stato giuridico dei docenti è contro le più elementari regole costituzionali e va ritirata». Ma il Governo tira dritto. Il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti esprime «soddisfazione» per i «superamento del problema di costituzionalità», confermando l'approdo in Aula del Ddl per il prossimo 24 ottobre. Scontro maggioranza-opposizione. Quella di ieri è stata un'altra giornata campale per la riforma dello status giuridico dei docenti universitari. In mattinata la Prima Commissione di Montecitorio (Affari costituzionali) aveva dato parere favorevole al provvedimento, sollevando, però, il sospetto di incostituzionalità sull'articolo 1 del testo, nel quale si fa riferimento all'autonomia delle università «nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del ministero dell’Istruzione». Una previsione che, secondo Walter Tocci (Ds) «è in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione, secondo il quale l'autonomia universitaria trova limite solo nelle leggi dello Stato». Ma nel corso della giornata la Prima Commissione si è nuovamente riunita, rimandando alla Commissione Cultura la valutazione di costituzionalità. Una decisione che ha scatenato durissime polemiche da parte dell'opposizione, che parla di «sconcertante serie di intrighi della Cdl per il proseguimento dell’iter della legge». La maggioranza minimizza. «Abbiamo chiesto alla commissione Affari Costituzionali di rivedere il parere - ha detto Ferdinando Adornato (Fi), presidente della Commissione Cultura alla Camera - perché in due precedenti letture la stessa Commissione aveva dato al medesimo testo parere favorevole senza osservazioni e perché la legge 168/89 si esprime negli stessi ter- i mini del Ddl. Non esiste, dunque, alcun "caso" - ha concluso Adornato - e il provvedimento proseguirà il suo iter come previsto». «La Moratti sceglie l'illegalità per imporre la sua legge - accusa Walter Tocci (Ds) - e noi porremo la pregiudiziale di costituzionalità nella seduta del 25 ottobre». Tocci ha spiegato che nel pomeriggio di ieri è stato sostituito il relatore e la valutazione di costituzionalità è stata rinviata alla commissione Cultura. GIa quest'ultima - ha aggiunto - non ha deliberato sulla norma - costituzionale, limitandosi, con il voto contrario dell'opposizione, a dare mandato al relatore». Fa eco Andrea Ranieri (Ds), secondo il quale «la Prima Commissione è stata piegata ai voleri di una maggioranza decisa ad andare avanti a ogni costo sulla strada dello stravolgimento delle regole delle democrazia», mentre per Enrico Panini (Flc-Cgil) «il Ddl è tutto da rifare» e «i125 ottobre la protesta contro il ministro Moratti scenderà in piazza». Sconcertati i rettori. «È difficile comprendere come una commissione cosi importante come quella degli Affari Costituzionali - ha dichiarato il presidente della Crui, Piero Tosi - possa rinunciare a esercitare le sue funzioni». Proprio i rettori avevano rilanciato nei giorni scorsi, con un annuncio sui principali quotidiani italiani, il loro "no" alla riforma, denunciando anche i pesanti tagli per l'università previsti dalla Finanziaria, che, se confermati, «renderebbero ingestibili gli atenei». Cooperazione Italo-Svizzera. Il clima rovente si è ammorbidito con l'annuncio di un'università virtuale italo-svizzera. Ieri a Roma, in occasione dell'inaugurazione dell'Istituto svizzero della Capitale, il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, e il suo collega svizzero, Pascal Couchepin, hanno preso accordi per la creazione di un ateneo virtuale, che metterà in rete tutte le università interessate al progetto. La cooperazione tra i due Paesi riguarderà anche lo studio dei rischi climatici e dei nuovi materiali elettronici e la realizzazione di attività di ricerca e innovazione nei Paesi in via di sviluppo. ALESSIA TRIPODI _________________________________________________________ La Stampa 21 ott. ’05 LA RIFORMA MORATTI PARTE CON UNA BOCCIATURA UNIVERSITA’ PRIMO ARTICOLO INCOSTITUZIONALE: VINCOLA L’AUTONOMIA DEGLI ATENEI ROMA Forse il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari è «incostituzionale», però va avanti lo stesso e lunedì prossimo passerà alla Camera, probabilmente con voto di fiducia, e nonostante l’opposizione dei senati accademici, della conferenza dei rettori (Crui), dei sindacati, dei ricercatori, degli studenti. Il 29 settembre scorso il ddl passa in Senato con un voto di fiducia. Scoppiano le proteste nelle università. Il 13 ottobre la Conferenza dei rettori approva un documento durissimo in cui lamenta il carattere impositivo del provvedimento, «scritto senza aver consultato la base». La scorsa settimana la didattica viene sospesa in tutti gli atenei per cinque giorni consecutivi. Due giorni fa (il 19 ottobre) i 77 senati accademici fanno propria la piattaforma della Crui. Il ministro parla di spinte corporative che cercano di impedire il varo di un provvedimento «fortemente innovativo» e capace di aprire prospettive ai giovani ricercatori. Intanto il testo è all’attenzione della commissione Affari costituzionali della Camera, prima di approdare in aula dove è «calendarizzato» per il 24. Il «Comitato per i pareri» della Commissione medesima, ieri mattina rileva che l’articolo 1 comma 1 del ddl, è incostituzionale, in quanto vincola l’autonomia delle università, garantita dall’articolo 3 della Costituzione, alle disposizioni del Governo. Ma un parere è un parere, ovviamente, e non una sentenza della Consulta. Quindi, tecnicamente, la cosa non blocca l’iter, anche se dà animo a chi ha sempre eccepito sulla natura di questa legge. E così sindacati (Panini della Cgil, Marsilia della Cisl, Miraglia dell’Andu) Crui (il presidente Tosi)ed esponenti dell’opposizione (Tocci, Grignaffini e Ranieri dei Ds, Cortiana dei verdi, Titti de Simone del Prc, e altri) sottolineano come la Commissione abbia censurato un articolo del ddl e non si possa, dunque, far finta di niente. Il «parere» porta la firma del relatore Giulio Schmidt, parlamentare trentino di Forza Italia, il cui zelo non è apprezzato però dai suoi sodali di maggioranza. Il parlamentare viene sostituito in Commissione con Francesco Nitto Palma, il quale rimanda la valutazione di costituzionalità alla Commissione Cultura la quale, a sua volta, affida il ponderoso responso al relatore, in Aula. Sintesi: costituzionale o no, sia l’assemblea a decidere. E il 24, per l’appunto, deciderà. Alle ore 19 di ieri, la questione è superata. Il ministro dichiara, via comunicato, il suo apprezzamento. Francesco Pasquali, leader dei giovani di Fi, sbertuccia il coro delle opposizioni. La Crui ripete ancora una volta le mille perplessità sul ddl e invita (vanamente) al dialogo. Per tutta risposta incassa le ironie del ministro Tremonti. Nei giorni scorsi la Crui aveva lamentato il «drastico taglio» alle risorse perpetrato dalla finanziaria, e per farlo aveva acquistato degli spazi pubblicitari su importanti quotidiani. «Ho letto con vivo interesse l’avviso a pagamento pubblicato per iniziativa dei Rettori delle Università Italiane. Ma quanto è costato? - si chiede il ministro - In prima approssimazione mi risulta che, senza sconto, una pagina intera sul Corriere della Sera costa circa 55 mila euro (circa 110 milioni di vecchie lire). I risparmi - sottolinea - non potevano iniziare da qua?». La schermaglia continua. _________________________________________________________ Repubblica 21 ott. ’05 RIFORMA ATENEI- IL POLO: INCOSTITUZIONALE MA SI VA AVANTI Ieri la decisione della Commissione affari costituzionali. Ma la commissione cultura decide di andare in aula. Inutili gli appelli dei rettori di MARIO REGGIO Gli studenti nella conferenza d'ateneo alla Sapienza ROMA - La commissione parlamentare Affari costituzionali ha rinviato l'articolo 1 della legge sullo stato giuridico dei docenti universitari. L'annuncio è stato dato dai parlamentari dei Ds Giovanna Grignaffini e Walter Tocci. "La legge sullo stato giuridico dei docenti universitari è sbagliata, è contro le più elementari regole costituzionali e doveva essere ritirata. La Moratti - continuano i due esponenti politici - ha ignorato i nostri appelli a fermarsi, quelli dei rettori, dei professori e dei ricercatori". Questo in mattinata. Poi, a sorpresa, lo strappo nel pomeriggio. La commissione cultura della Camera, cui il decreto era stato rinviato, si è riunita d'urgenza e ha votato un ordine del giorno del presidente Ferdinando Adornato con il quale è stato nominato il relatore della legge in aula e, insieme, deciso che la legge verrà portata alla discussione e alla votazione della Camera anche in presenza dei dubbi di costituzionalità. Durissimo lo scontro con il centrosinistra che ha annunciato di voler presentare, lunedì, una eccezione di costituzionalità. Sono stati dunque disattesi platealmente gli inviti, ripetuti in giornata, del mondo universitario e dei sindacati di cogliere l'occasione per ridiscutere parti della riforma. "Con la decisione della Commissione parlamentare - commentava Enrico Panini, segretario generale della Flc-Cgil-il Ministro Moratti ora non potrà più sottrarsi. L'iter, pertanto, dovrà prevedere un ulteriore passaggio al Senato". E il presidente della Conferenza dei rettori rivolge un appello: "Il Parlamento colga subito questa occasione - afferma - per rivedere il decreto e riavviare il dialogo con l'Università, così come richiesto ieri dagli Atenei italiani in tutte le loro componenti, docenti, personale tecnico amministrativo, studenti, che hanno approvato la mozione della Crui con cui si chiedeva di ascoltare la voce dell'Università". La decisione arriva infatti all'indomani dell'assemblea congiunta dei Senati accademici e dei Consigli di amministrazione delle 77 università italiane: da tutti gli atenei è giunta la conferma della netta bocciatura del decreto già espressa dalla Conferenza dei Rettori, insieme alla richiesta di ritiro del testo dalla Commissione e rinvio del dibattito in aula, previsto per il 24 (discussione generale) e 25 ottobre (votazione finale). Un voto commentato dal presidente della conferenza dei rettori, Piero Tosi: "Ancora una volta l'Università si mostra unita nel chiedere con forza a Governo e Parlamento di ascoltare la sua voce e di affrontare in modo nuovo e organico, a partire dalla definizione dello stato giuridico dei docenti, le esigenze fondamentali del sistema universitario per il rilancio del Paese". Contestualmente al voto finale, il 25 ottobre è stata organizzata a Roma una manifestazione nazionale - che si preannuncia molto partecipata e combattiva - di studenti, docenti e sindacati. Il caso Sapienza. A Roma, nell'ateneo più grande d'Italia, le cose sono andate in modo meno tranquillo. Alla Conferenza d'ateneo hanno partecipato, oltre ai docenti anche gli studenti, che a gran voce hanno urlato "dimissioni, dimissioni". Gli studenti hanno chiesto le dimissioni del rettore, assieme a quelle dei Presidi di facoltà, per protestare contro il decreto Moratti. "Le dimissioni di un singolo rettore non portano a nulla - ha replicato il rettore Guarini - ma mi impegno a riportare la vostra richiesta all'assemblea della Crui, che si svolgerà prima dell'annunciato voto a Montecitorio. Ed io quando prendo un impegno lo mantengo". Poi un invito all'unità: "Questo è il momento di essere compatti e di agire su tutti i fronti possibili per ottenere che sia questo decreto venga modificato, assieme alla legge finanziaria 2006". Gruppi di studenti si affollano attorno al tavolo dove siedono il rettore e i rappresentanti dei docenti. L'Aula Magna non riesce più a contenere tutti. Centinaia di studenti si riuniscono sulla scalinata del Rettorato, vengono montati gli altoparlanti nel largo dove campeggia la statua della Minerva. Il dibattito si fa teso, viene spesso interrotto dagli slogan contro la Moratti. Ma anche i docenti non vengono risparmiati: "Vi abbiamo chiesto più di una volta di bloccare la didattica, ai presidi di dimettersi in segno di protesta, - urla una studentessa di Lettere - di occupare con noi le facoltà. Invece voi continuate a dire che il decreto va modificato, e sapete molto bene che delle vostre proteste alla Moratti non gliene frega niente. Vero, siamo tutti sulla stessa barca, ma a remare siamo solo noi". Riprende la parola il rettore Guarini: "Non rientra nei miei poteri sospendere la didattica. Non mi si può chiedere di commettere atti illegali". Ma ha assicurato che parteciperà alla manifestazione nazionale che si svolgerà a Roma il 25 ottobre se il decreto arriverà al voto in aula. _________________________________________________________ SardiNew 20 ott. ’05 L’UNIVERSITÀ ITALIANA MERITA DI MEGLIO Moratti: sarà una riforma-topolino di Sabrina Cenni Affollata assemblea di studenti docenti e parlamentari dopo il voto alla Camera In un soleggiato e tiepido pomeriggio d’autunno docenti e studenti di Scienze politiche di Cagliari si sono ritrovati in una affollatissima Aula A per una lezione veramente sui generis. In realtà alle ore 14 di ogni lunedì del primo semestre è prevista la lezione di Economia Politica del prof. Raffaele Paci per le matricole dei corsi di laurea in Scienze politiche e in Economia e politiche europee, ma lunedì 10 ottobre si è svolto un civile e articolato dibattito sul futuro dell’Università. È stato organizzato a seguito della sospensione delle attività didattiche nell’ambito delle iniziative della settimana di agitazione – dal 10 al 15 ottobre – promossa dalle organizzazioni di rappresentanza della docenza universitaria in risposta all’approvazione al Senato – attraverso il voto di fiducia richiesto dal Governo – del maxi-emandamento che sostituisce il testo del disegno di legge delega (Ddl) Moratti sull’Università. La discussione è stata introdotta da Paci ed è continuata con numerosi interventi di docenti e studenti. L’iter futuro del maxi-emendamento alla Camera è stato, invece, delineato dal deputato Pietro Maurandi (Ds) a tinte piuttosto fosche. Sembra, infatti, molto probabile che anche nell’altro ramo del Parlamento il provvedimento chiave per la Riforma dell’Università passerà grazie al voto di fiducia nel giro di qualche ora di discussione. Se la cava velocemente questo Governo per una Riforma attesa da più di vent’anni. Ma perché si è arrivati al maxi-emendamento e al voto di fiducia? Breve cronistoria di un decreto delega: l’approvazione del testo del Ddl alla Camera è avvenuta in modo quanto mai singolare. L’articolo 1 del decreto era stato bocciato a Montecitorio, la prassi avrebbe voluto che l’intero disegno di legge venisse ritirato una volta decaduto l’articolo di inquadramento generale che sancisce i principi cardine su cui incentrare l’impianto normativo. Si è andati avanti con le votazioni approvando un provvedimento pieno di incongruenze e favorendo così la presentazione di un numero elevatissimo di emendamenti da parte sia dei senatori di maggioranza che di quelli dell’opposizione. Ma, il Governo non poteva “perdere” troppo tempo con l’Università quando ci sono da discutere la legge finanziaria e una nuova legge elettorale, quindi il passo che ha portato al maxi-emendamento è stato brevissimo. Si è trattato dell’ennesimo colpo di mano della maggioranza e del Governo che, ancora una volta, alterano il corretto rapporto tra poteri dello Stato. Il voto di fiducia è stato richiesto non tanto per non far cadere il Governo ma per evitare un dibattito serio e sereno sul futuro di una delle principali istituzioni del Paese. L’impianto del Ddl Moratti non è cambiato rispetto al testo che sembrava emergere a luglio dalla discussione alla Commissione VII del Senato. Questa Commissione – come ha dichiarato in aula lo stesso presidente Asciutti – non è arrivata a votare un testo definitivo non per l’ostruzionismo della minoranza ma a causa del ritardo del parere della Commissione Bilancio, dovuto a sua volta ai ritardi del Governo nel trasmettere i chiarimenti richiesti. Analizzando i contenuti dei ben 25 commi del maxi-emendamento l’amara impressione che se ne ricava è “tanto rumore per nulla: la montagna ha partorito un topolino”. Per il presidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane, Piero Tosi, si tratta di “un disegno di legge confuso e frettoloso, che non risolve i problemi del personale universitario, e che soprattutto non offre ai giovani reali prospettive di adire a ruoli stabili e di essere valutati in modo continuativo per il effettivo valore”. Rispetto al testo presentato quasi due anni fa - ambizioso pur nella sua grande confusione - il maxi-emendamento sembra destinato a non incidere su alcun aspetto fondamentale dell’Università, è possibile che non crei gravi danni nell’immediato. Ma proprio la non-azione avrà conseguenze gravissime sull’Università, che ha bisogno, invece, urgentemente di una vera riforma in grado di dare risposte serie, rigorose e condivise alla grave situazione di disagio in cui si trova. L’unico risultato che potrebbe sortire l’approvazione definitiva del maxi-emendamento è per il Governo un’altra “medaglia” da sfoggiare a scopi puramente elettoralistici. Il maxi-emendamento, infatti, non contiene norme adeguate alle necessità di rilancio dell’università e non può essere affrontato senza sostanziali investimenti, mentre l’ultimo comma del provvedimento recita testualmente “dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Non vi è traccia di riforma dello stato giuridico dei ricercatori e dei docenti. Il maxiemendamento contiene solo norme – confuse e di vecchio stampo – sulla riforma del sistema concorsuale, riproponendo l’uso deprecabile di concorsi riservati. Riserve, si noti, mai richieste dalle organizzazioni di rappresentanza della docenza universitaria. Non prevede neppure meccanismi che facilitino l’accesso dei giovani alla carriera universitaria, ma allo stesso tempo la soppressione del ruolo di ricercatore è prevista a partire dal 30 settembre 2013: tra otto anni. Non si ritrovano insomma nel maxi-emendamento gli elementi di moralizzazione, di profonda innovazione e di grande competitività del sistema universitario cui inneggia il ministro Moratti. È facile prevedere che i costi della Riforma-topolino saranno elevatissimi non solo per il sistema Paese nel suo complesso, ma anche per regioni periferiche come la Sardegna, dove l’Università continua a essere attore essenziale dello sviluppo civile ed economico, e soprattutto per gli studenti, che si ritroveranno a frequentare sempre più un’università dove tutto viene fatto “a costo zero”, con strutture e servizi sempre più carenti e con un rapporto docenti/studenti – già tra i più bassi in Europa – destinato a diminuire ulteriormente. _________________________________________________________ Il Manifesto 21 ott. ’05 LA MISERIA DEI LAUREATI «JUST IN TIME» «Prodotto finito» NE' DIFETTI di attuazione, né «effetti collaterali». L'impianto di riforma avviato dai governi di centrosinistra e l'operato di Letizia Moratti, in nome della modernizzazione e delle virtù regolatrici del mercato del lavoro, hanno trasformato l'università in una macchina industriale progettata a discapito della libertà e dell'intelligenza dei singoli Formazione e cultura Spesa o investimento? Misurabili con il metro dell'utilitarismo e conformi al sistema delle aziende? Gli studenti stanno dando risposte inequivoche. Non altrettanto rettori e docenti MARCO BASCETTA L'agitazione attualmente in corso nelle università italiane sta portando molti nodi al pettine. Primo fra tutti la sostanziale continuità, logica e politica, tra l'impianto di riforma avviato dai governi di centrosinistra (Zecchino, Berlinguer) e l'operato di Letizia Moratti. Se mai l'espressione, generalmente vacua, di «pensiero unico» ha avuto una qualche pertinenza è in questo ambito della riforma universitaria che dovremmo ricercarla. Ma questo è anche il punto in cui comincia a prodursi un visibile attrito tra il punto di vista degli studenti che hanno vissuto sulla propria pelle una devastazione delle condizioni di vita e di libertà e perfino, è il caso di dirlo, della propria dignità di persone, e un corpo accademico certamente penalizzato (soprattutto nella sua componente precaria) dalla riduzione delle risorse e da una «razionalizzazione» di stampo aziendalista dei ruoli e delle mansioni, ma sostanzialmente complice dell'ideologia che ha sotteso la trasformazione dell'università italiana. L'intervento di Enrico Pugliese sulle pagine del manifesto (19 ottobre) costituisce purtroppo un esempio di questo attrito e di questa complicità. Vi si sostiene che la riforma dell'università fondata sulla differenziazione dei livelli di laurea ( il triennio, il quinquennio e il dottorato, il famoso tre più due) fu una scelta di «modernizzazione» (parola ormai quasi impronunciabile) dovuta al fatto che il nostro paese produceva pochi laureati rispetto al resto d'Europa, abbondava di studenti fuori corso, e scareseggiava di iscrizioni dopo la scuola superiore, che l'università nel suo complesso versava, insomma, in una condizione lamentevole. Ma la miseria del passato, conviene tenerlo a mente, non è mai sufficiente a legittimare il «cattivo nuovo». Questa «modernizzazione», interamente calata dall'alto, con un piglio dirigista affiancato da una cieca fede nelle virtù regolatrici del mercato del lavoro, questa riforma di stampo «cinese» che coniugava pianificazione burocratica, culto della «razionalità aziendale» e sostanziale disprezzo per la libertà e l'intelligenza dei singoli, si fondava su una fasulla professionalizzazione di massa (si fa per dire) che tuttavia permetteva all'«azienda universitaria» di vantare un incremento di «prodotto finito» e cioè di studenti portati in un modo o nell'altro a una laureata conclusione, senza alcun riscontro né sul piano dell'occupazione, né su quello della crescita personale, né, men che meno, sullo sviluppo culturale del paese. Perfino i famosi «fuori corso» (considerati oggi una sorta di criminali da condannare a pesanti pene pecuniarie) risultavano più spendibili sul mercato del lavoro, più liberi nella scelta della propria formazione e dei suoi tempi, più colti e versatili degli attuali laureati just in time. L'impianto della riforma fu, in sostanza di natura ideologica. E non si sentiva davvero il bisogno che qualcuno, da sinistra, si adoperasse nel giustificare, sia pure parzialmente, questa triste storia. Non si tratta, infatti, di «difetti di attuazione», o di effetti collaterali, ma di una idea della formazione che è anche una idea della società nella quale desideriamo vivere, fondata su un'analisi errata delle tendenze in atto e su interessi di breve o brevissimo respiro. Di questo ho l'impressione che gli studenti che occupano in questi giorni numerose facoltà italiane, soprattutto nell'università di Roma, ma non solo, abbiano consapevolezza più piena e matura di tanti accademici, anche di sinistra, che si apprestano a scaricarli, dopo essersene serviti per ammantare le proprie rivendicazioni con la nobiltà dell'«interesse generale». C'è, a dire il vero, un principio molto chiaro sul quale converrebbe schierarsi: l'istruzione è da considerarsi spesa o investimento? La formazione deve essere ritenuta una conformazione alla domanda contingente (e aleatoria) dell'attuale sistema delle aziende o anche una ricchezza extraeconomica della persona, e della relazione tra persone, che la eccede, la condiziona o la contesta? La cultura è interamente misurabile con il metro di un utilitarismo, peraltro discutibile quanto alla sua effettiva utilità? A queste domande di fondo mi sembra che il movimento degli studenti stia dando delle risposte inequivoche. Non altrettanto può dirsi di rettori e docenti. Pugliese si rallegra che tra gli studenti la percentuale dei «regolari», sia passata, grazie alla riforma, dal 55,8% al 58,8%. Ma cosa sono questi regolari? E questa «regolarità» ha uno sbocco o anche solo un qualche motivo di soddisfazione personale? E tra gli «irregolari» non ci sarà forse anche esercizio di libertà, autonomia e innovazione, oltre, naturalmente, a quelle difficoltà economiche che spetterebbe alla società, in nome dello stesso dettato costituzionale, rimuovere? Ma raccogliamo anche noi l'invito a fare un poco di storia. Nessuna nostalgia, ma il «meglio» non necessariamente viene dopo. Contrariamente alla «modernizzazione» di targa dirigista degli Zecchino e dei Berlinguer, la liberalizzazione dei piani di studio del 1969 fu imposta alla scaltrezza governativa democristiana da una grande pressione dal basso, da un bisogno di autodeterminazione che registrava il fallimento di quella programmazione classista e conformista delle vite e dei destini professionali che fino allora aveva dominato negli atenei italiani. Forse l'università non divenne compiutamente di massa, ma non fu certo più quella istituzione classista e di élite che aveva preceduto il 1968. Si disse poi, ci dissero i riformatori della sinistra, che gli studenti erano stati così abbandonati a se stessi, che si votavano con scelte ingenue e stravaganti alla disoccupazione, che i più deboli, privati della sicura guida dei burocrati ministeriali, sarebbero caduti strada facendo. Insomma, c'era troppa libertà e la libertà, diceva una vecchia dottrina, è una trappola formale e fatale, un ricettacolo di discriminazioni e privilegi. Senza minimamente comprendere che la cosiddetta disoccupazione intellettuale non era il frutto di un cattivo uso della libertà, o delle discriminazioni di classe in essa celate, bensì l'affacciarsi di nuove forme del lavoro e dello sfruttamento, di nuovi terreni di lotta e della necessità di nuovi diritti, di un nuovo statuto, sofferente, oppresso, ma anche resistente del lavoro mentale, i riformatori proclamarono che era giunto il momento di colmare il divario tra università e mercato del lavoro: inventariare la domanda delle aziende e riorientare su quest'ultima, senza sprechi né divagazioni, l'intero assetto della formazione. Si tentò, insomma, di programmare l'improgrammabile. Quanto più il mercato del lavoro si faceva imprevedibile e indipendente da qualsiasi tassonomia delle mansioni, tanto più l'università si trasformava in un istituto professionale orientato alla trasmissione delle più improbabili e aride competenze indirizzate a una specifica «professionalità». Questa volta, davvero abbandonati a sé stessi, gli studenti venivano accompagnati attraverso una fitta selva di regole e di obblighi come se viaggiassero verso un definito sbocco professionale. E questo come se fu già sufficiente ad annientare ogni estro individuale e ogni arricchimento culturale della collettività, alimentando al tempo stesso un fiorente quanto truffaldino mercato della formazione privata (senza tenere conto della quale tutta questa storia risulterebbe incomprensibile). Il risultato di questa furia ideologica della riforma è l'università che abbiamo sotto gli occhi: una macchina industriale progettata per fabbricare una gamma diversificata di figure standardizzate e precarie, un sistema di controllo capillare esercitato attraverso una rigida gabbia di frequenze, esami, obblighi, che cancellano ogni elemento personale e relazionale nella formazione culturale dei singoli. Una proliferazione inconsulta di insegnamenti, corsi, moduli, competenze, specializzazioni, master, mirati presumibilmente (almeno questa sarebbe una spiegazione razionale) a «sistemare» accademicamente il precariato e il parentado sulla pelle degli studenti e della loro vita quotidiana, a scapito di ogni serietà scientifica e utilità sociale. Scomparsi i libri, il tempo della riflessione e della discussione, non resta che una corsa affannosa attraverso scadenze didattiche d'ogni genere, segnate da una farraginosa contabilità di crediti, debiti e certificazioni, un tempo riempito a viva forza dal simulacro dell'efficienza. Che l'80 per cento degli studenti si dichiari soddisfatto di questa situazione, secondo una indagine citata da Enrico Pugliese, è davvero sorprendente, almeno quanto i sondaggi effettuati da Emilio Fede sulla popolarità del cavaliere. Come sorprendente è la circostanza che la grande stampa democratica tenga molto in sordina, quando non taccia del tutto, il movimento degli studenti. In fondo erano quindici anni che importanti università italiane non venivano occupate, in fondo in parlamento sta per essere approvato il ddl Moratti, una delle leggi più avversate dell'intera storia della Repubblica. Il fatto è che buona parte dell'establishment della sinistra ha preso parte, chi più chi meno, a questo scempio o ne ha tratto qualche vantaggio, scavandosi nicchie e tornaconti dentro una idea aziendalistica e competitiva dell'autonomia universitaria. E l'assenza totale di qualsiasi elemento di autocritica non lascia certo ben sperare riguardo alla futura politica universitaria dell'Unione. A rompere le uova nel paniere, e cioè una trattativa per la ripartizione delle risorse, tutta interna a questa idea di università, si è manifestata in questi giorni una dilagante soggettività degli studenti, che ha potuto giudicare per esperienza diretta la miseria di questo modello e riproporre la propria libertà come forza produttiva. Non si sente più invocare, come qualche anno fa, il salvifico interventismo dello Stato padrone, ma comincia a farsi strada una diversa idea, partecipata e dinamica, della sfera pubblica. Che non riguarda solo ilo mondo della formazione e dell'università, ma la generale moltiplicazione di regole, obblighi, obbedienze dettate dall'alto che accompagnano, facendo giustizia di un antico feticcio ideologico, la libertà senza freni delle imprese e dei capitali. Insegnanti di religione alla carica Sarebbero per l'esattezza 3.077 i docenti di religione cattolica pronti ad essere immessi in ruolo con decreto retroattivo a partire dal 1° settembre del 2005. Oltre tremila unità che andrebbero ad aggiungersi ai 9.229 già reclutati nello scorso mese di agosto per un piano complessivo che in tutto ne prevede ben 15.383. Per loro concorsi blindati e numero di posti addirittura maggiori rispetto a quelli dei candidati. Quanto all'accesso: niente di più che una semplice dichiarazione di idoneità rilasciata, naturalmente, dall'ordinario diocesano. ________________________________________________ Il Sole24Ore 19 ott. ’05 LE UNIVERSITÀ CHIEDONO UN DIETROFRONT SULLE CARRIERE ATENEI Per i rettori la riforma dei concorsi non premia il merito Finanziaria 2006 senza risorse per gli adeguamenti degli stipendi ROMA a L'Università fa appello al Parlamento: sulla riforma dello stato giuridico dei docenti sono ancora possibili correzioni di rotta cosi da evitare che gli atenei diventino «ingestibili». L'effetto combinato del Ddl sullo stato giuridico e dei tagli previsti nella Finanziaria per il 2006, secondo i rettori, porterebbe le università al collasso. L'ennesimo allarme dei rettori di fronte alla politica del Governo e della maggioranza parlamentare - contenuto nella mozione approvata all'unanimità dall'assemblea il 13 ottobre - sarà rilanciato oggi da tutti gli organi accademici. Una voce sola ma non corporativa, mettono le mani avanti i rettori. Che hanno scelto di acquistare uno spazio sui giornali per spiegare la posizione del mondo universitario (si veda a pagina 32). L'obiettivo cui tendono i vertici degli atenei, è «di assicurare una migliore funzionalità scientifica e didattica» delle istituzioni accademiche. E gli strumenti sono un sistema di reclutamento che permetta di valorizzare il merito e le capacità, l'accento sulla responsabilità e sulla valutazione, un nuovo modello di finanziamento delle università in relazione anche ai percorsi di carriera dei docenti. Queste risposte - secondo i rettori e gli organi accademici - non sono contenute nel disegno di legge sullo stato giuridico, che nelle scorse settimane è stato approvato con il voto di fiducia dal Senato ed è ora all'esame della VII Commissione della Camera. E la Finanziaria costituisce per i rettori l'ennesimo segnale negativo: non sono previsti finanziamenti per dare attuazione alla riforma (per esempio la chiamata di professori dall'estero o per pagare i contratti di ricerca), non sono stanziate risorse per i nuovi compiti da affidare ai docenti, mentre restano a carico degli atenei gli oneri per gli adeguamenti stipendiali del personale e il fondo per il finanziamento ordinario (che costituisce la principale fonte economica per gli atenei) diminuirà di 55 milioni. «La combinazione delle disposizioni del Ddl sullo stato giuridico e dei mancati interventi - denunciano i rettori - renderà di fatto ingestibili le università». Una prospettiva particolamente grave, visto che la formazione del capitale umano è essenziale per consentire al Paese di riacquistare competitività. In questo senso le misure favorevoli contenute in Finanziaria non tranquillizzano i rettori: la deducibilità fiscale delle donazioni, l'abrogazione della tassa sui brevetti e la destinazione alle università di una quota del 5 per mille non bastano per cambiare il giudizio del mondo universitario. _________________________________________________________ Corriere della Sera 18 ott. ’05 BALLIO: LA RIFORMA? UN DANNO PER L' UNIVERSITÀ Il rettore del Politecnico: niente assunzioni per 4 anni. «Mille fuorisede, la città deve accoglierli» La riforma è in parte inutile perché reintroduce modalità di concorsi che risalgono a 25 anni fa. Ed è dannosa perché blocca le assunzioni per quattro anni e limita la nostra autonomia La riforma universitaria? «Inutile e dannosa». Gli studenti? Poco preparati, «arrivano al test di ammissione senza una solida base culturale». Milano? «Incapace di attirare i talenti migliori, con il rischio di vederseli sfuggire». Parola del rettore del Politecnico, Giulio Ballio, che ieri mattina, davanti a centinaia di ospiti riuniti nel campus Bovisa, ha inaugurato il 143° anno accademico dell' ateneo. Pochi istanti per i saluti di rito e poi via, con la prima stoccata. Bersaglio, la riforma. «È in parte inutile perché reintroduce modalità di concorsi che risalgono a 25 anni fa». Poi l' affondo: «Ed è pure dannosa perché blocca le assunzioni per quattro anni, perché limita la nostra autonomia, perché impedisce ai nostri tecnici di insegnare». Quindi i problemi economici: «Con questa Finanziaria il nostro destino è sempre più incerto». Resta l' ottimismo per i buoni risultati dell' ateneo: il 67 per cento degli studenti arriva alla laurea triennale, il 53 alla specialistica e il 33 per cento abbandona. Per migliorare questi numeri, il Politecnico ha introdotto un test d' ammissione a Ingegneria che si può ripetere finché non si supera (è possibile iscriversi comunque, ma non si possono sostenere esami). «Purtroppo - continua Ballio - a settembre abbiamo avuto aspiranti in larga misura impreparati. Dovremo insistere in questa direzione ed estendere queste novità ad Architettura e Disegno industriale». Altro problema, l' accoglienza. Le residenze sono aumentate «anche se - avverte Ballio - coprono solo il 15 per cento del fabbisogno». E allora, insiste il rettore, bisogna fare qualcosa per i mille fuorisede che arrivano ogni anno in città: «Dobbiamo sognare che Milano accolga questi giovani e li stimoli, che dia loro concrete possibilità». Infine le novità: la Polipress, casa editrice del Politecnico, il libro «Breve storia del Politecnico» illustrato da Emilio Giannelli, il merchandising del «Poli», pronto a Natale, il potenziamento di attività sportive e culturali (l' ateneo ha raggiunto un accordo per la concessione del centro Giuriati). Ultima, l' obiettivo Bovisa, dove creare un «parco della scienza o città dei giovani». Idea accolta dal presidente della Provincia, Filippo Penati, che ha assistito all' inaugurazione con il sindaco Gabriele Albertini e il prefetto Bruno Ferrante. Con loro anche il presidente di Assolombarda, Diana Bracco: «Oggi - ha spiegato - le università hanno una responsabilità duplice: verso i giovani, cui devono assicurare una formazione di qualità, e verso le imprese, cui devono mettere a disposizione risorse con una forma mentis tecnico scientifica robusta e, al tempo stesso, flessibile». Annachiara Sacchi Il discorso LA RIFORMA Per Giulio Ballio la riforma Moratti è «inutile», perché reintroduce vecchie modalità di concorsi e «dannosa, perché blocca le assunzioni e limita l' autonomia degli atenei» GLI STUDENTI Il rettore del Politecnico ha dichiarato che la maggior parte degli studenti che hanno sostenuto i test per entrare nell' ateneo era impreparata LA CITTÀ Ballio lancia l' allarme accoglienza: bisogna fare qualcosa, ha detto, per le migliaia di studenti fuorisede che arrivano in città Sacchi Annachiara _________________________________________________________ Il Messaggero 22 ott. ’05 FABIANI: «CON LA FINANZIARIA TAGLI DEVASTANTI» Il Rettore di “Roma tre”: «Sessanta milioni di euro sono un’enormità. Rischiamo di non garantire i servizi agli studenti» ROMA - Rettore, la Finanziaria è in discussione. Che cosa si profila per le università? «Tagli devastanti. Nel termine che uso non c’è alcuna esagerazione. Si prevedono tagli per 60 milioni di euro, a tanto ammonta la riduzione del fondo ordinario di finanziamento degli atenei. A questo si aggiungono altri 60 milioni di euro che verranno tolti all’edilizia, un vero disastro». All’intervista risponde il rettore dell’ateneo “Roma tre”, Guido Fabiani. Oltre a questo ci sono altri tagli? «Purtroppo sì, dobbiamo ridurre le spese per i contratti del 40%. Tra l’altro ci chiedono di tagliare rispetto ai conti del 2003, il che significa una riduzione più sensibile. Eppure, dentro i contratti c’è di tutto: la ricerca, la didattica e anche alcune cose amministrative». Fabiani, lei dirige un grande ateneo, quali problemi avrà dal calo di risorse? «Rischiamo di non garantire i servizi agli studenti, questa preoccupazione è comune a tutti i rettori. I tagli andranno ad incidere su manutenzione, riscaldamento, elettricità, servizi. Ma anche biblioteche, didattica e ricerca. Insomma, sul funzionamento dell’intero ateneo. Eppoi, c’è il problema enorme degli aumenti di stipendio dei professori». E’ una vecchia partita quella degli stipendi «Certo, l’incremento avviene in modo automatico, deciso per legge. Ci costringono a pagare attingendo dai nostri bilanci, ma dovrebbe farsene carico lo Stato e non la cassa di ateneo». Quanto vi costerà l’aumento? «Comporterà un aggravio di 210 milioni di euro, soldi che dovremo distogliere da altri capitoli di spesa, dai servizi, come dicevo prima». Crede che qualche cosa in particolare verrà penalizzato? «Certo, oltre ai servizi rischiamo di indebolire l’offerta formativa. A rischio anche i master, che si sostengono molto con i contratti. E’ vero che verranno detassate le donazioni e che dal 2007 potremo beneficiare (però insieme a sanità e comuni) del 5 per mille, ma se non ci sarà un’inversione di tendenza, gli atenei non ce la faranno». A. Ser. ____________________________________________________ Avvenire 20 ott. ’05 MORATTI: UNIVERSITA’ BASTA PRIVILEGI DI DINO BOFFO L’ altra sede del Mitu, all'Eur, è in avanzato stato di ristrutturazione. Come il mondo della scuola, dell'università e della ricerca. Il ministro Letizia Moratti, che ha passato la mattinata nello storico palazzone di Viale Trastevere, incontra qui Avvenire. E qui traccia un quadro dei lavori in corso nei tre settori di sua competenza. Con il piglio di chi guarda avanti e non si limita a fare bilanci. La riforma della scuola, signora ministro, è un fatto sostanzialmente compiuto, quella dell'Università è in dirittura, nel settore della Ricerca si registrano novità di rilievo... Un'opera ciclopica. Sente di aver prodotto quella "svolta" che, al mo mento dell'insediamento, era nei suoi programmi? Posso dire di si. Dopo decenni di immobilismo c'è stato un risveglio di interesse rispetto alla scuola, all'università e alla ricerca nella consapevolezza che la "filiera della conoscenza" è strategica per lo sviluppo del Paese sia su un piano culturale, sia dal punto di vista economico-sociale. Questa consapevolezza ci ha permesso di riuscire là dove non si era riusciti prima, dando il via - dopo oltre ottant'anni - a una riforma organica del sistema scolastico che ha toccato per la prima volta anche l'istruzione superiore. Dunque, anche il nostro è un Paese riformabile? Si, anche se con difficoltà. E purché si abbiano a disposizione tempi congrui. Credo di esserci riuscita perché abbiamo potuto lavorare in modo disteso per cinque anni. Tempo e metodo. Il metodo Moratti... Beh [sorride]... diciamo che abbiamo messo in atto un sistema di ascolto, di dialogo e di confronto. E questo è, come le dicevo, un approccio che richiede tempo. È vero che abbiamo compiuto prima gli altri passi della riforma- con i decreti sul primo ciclo, sul diritto-dovere allo studio con l'innalzamento dell'obbligo scolastico da 9 a 12 anni di frequenza, sull'alternanza scuola-lavoro -, ma pensi che solo il decreto sul secondo ciclo ha preteso tre anni pieni di impegno. Ogni sforzo di riforma, soprattutto in questo nostro Paese, provoca reazioni e sconta ostacoli e ostilità, con un duplice livello di percezione di quel che viene realizzato: il livello della "realtà" delle cose e quello della "rappresentazione" che ne viene data. E spesso in questa nostra età dei computer più dei fatti sono i "si dice", certa "tradizione orale", a far notizia presso l'opinione pubblica. E molto vero, purtroppo. Ed è proprio per questo che io ho cercato di basare la riforma sulle migliori esperienze della scuola reale italiana, quella scuola nella quale si vive e si opera tutti i giorni. Elio fatto tenendo ben presenti i criteri guida che nel mondo stanno dando i migliori risultati: personalizzazione dei percorsi formativi, autonomia delle scuole ma all'interno di un solido e trasparente sistema centrale di valutazione e, dunque, di controllo della qualità e, ultimo non ultimo, forte raccordo con le famiglie. Tutto questo ha fatto si che aspetti importanti della riforma, grazie all'autonomia e alla possibilità di sperimentare riconosciute agli istituti, siano stati attuati in molte scuole ben prima di essere codificati in legge. Insomma, lei rivendica fatti, e una tenace aderenza alla realtà effettiva della scuola italiana, ma... ...ma so bene che c'è, come lei diceva, una certa tradizione orale. Cito solo due esempi. Il primo è quello degli anticipi scolastici: demonizzati in ogni modo e soprattutto con l'accusa di voler imporre l'andata a scuola precoce, togliendo un anno di giochi ai bambini. E invece si è sempre trattato non di un obbligo, ma di una possibilità in più. Nell'anno in corso usata, a conferma del fatto che c'era e c'è una precisa domanda sociale, da ben 45mila famiglie. I; altro esempio è quello del tempo pieno: per mesi e mesi si è tentato di far credere che l'avessimo abolito, mentre in effetti lo avevamo modificato mantenendo le 40 ore settimanali e dando in più a famiglie e studenti, a secondo dell'ordine di scuola, la libertà di personalizzare i percorsi di studio. Cominciano, però, a farsi sentire anche "tam tam" positivi. Non è che alla fine risulterà che la riforma Moratti piace anche a chi per ora non osa ammetterlo? Già alcuni che prima parlavano di "abrogazione", ora parlano di "aggiustamenti"... Io so solo che questa è una legge pensata per organizzare una scuola per la persona, fatta a misura di studente e di famiglia. Chi e che cosa l'ha più sostenuta nell'articolare la sua svolta per la scuola italiana? L'appoggio di tanta parte della società civile, quella che non si confonde e non si fa confondere dalle minoranze rumorose. Ma anche il continuo confronto con le esperienze di innovazione già in atto, in particolare quella condotta a Trento dove la riforma della scuola è stata testata in quasi tutti gli aspetti. E non dimentico di certo il forte sostegno politico che mi è stato assicurato dalla maggioranza di governo. Le Regioni sono oggi sue interlocutrici istituzionali dirette sul fronte, cruciale, della formazione professionale. È un rapporto proficuo? Cito un dato: attraverso i corsi di formazione professionale concordati con tutte le Regioni, senza differenze di schieramento politico, abbiamo riportato nel sistema di istruzione oltre ó3mila ragazzi tra i 15 e i 18 anni che altrimenti non avrebbero avuto un diploma o una qualifica. Ma dopo che, lo scorso aprile, l'opposizione politica nazionale è diventata schiacciante maggioranza nelle Regioni... Ci è stato posto, diciamo cosi, un problema di metodologia nell'attuazione della riforma. E io ho accettato questa impostazione, perché l'ho ritenuta giusta. Anche se ha comportato uno slittamento di un anno nell'attuazione della riforma per la scuola secondaria superiore. Problemi in via di risoluzione e nessun ostruzionismo. Diciamo che sono certa che con le Regioni, con tutte le Regioni, non potrà che esserci una collaborazione positiva. Perché la riforma è legge. E le leggi vanno rispettate e attuate. Ci sono preoccupazioni crescenti, imprenditoriali e politiche, per il "declino" delle scuole tecniche sospese-si sottolinea - tra passato e futuro. Tra non poche incertezze. Il calo di iscrizioni c'è. Ed è fisiologico. Un po' perché è aumentato il numero dei ragazzi che si orientano verso corsi di istruzione e formazione professionale, un po' perché a livello europeo, per determinate figure professionali, è ormai richiesta la laurea e questo ha indotto un "travaso" nei licei. Io sono convinta che la nascita del liceo tecnologico, secondo un modello già sperimentato in Francia, sarà una risposta moderna alla domanda di istruzione tecnica. E nel frattempo? Per intanto, è chiaro che diplomi e qualifiche degli attuali istituti tecnici continueranno a essere dati. Questa fase di transizione non toglie, insomma, nessuna certezza agli studenti e alle loro famiglie. Torniamo al tema, strategico, della formazione professionale... Con la riforma, anche la formazione professionale va ad assumere una dignità ordinamentale su un piede di parità niente affatto teorica rispetto ai licei. I due canali daranno cosi vita a un sistema unico, che garantirà e assisterà le possibilità di passaggio da un canale all'altro. Sente davvero di poter parlare di due canali paralleli e non di un canale che è primo (i licei) e di uno che è solo secondo (la formazione professionale)? Credo che siamo arrivati al superamento delle barriere tra l'apprendimento attraverso il "sapere" e l'apprendimento attraverso il "saper fare". E so che nella nuova scuola sono valorizzati tutti quegli apprendimenti formali e non formali (stage, tirocini...) che svolti in ambito non scolastico daranno diritto a "crediti" in ambito scolastico. I luoghi, i metodi e le fasi di apprendimento non sono più unici e divisi. È l'idea dell'alternanza scuola-lavoro, che trova applicazione nel nuovo concetto di educazione permanente. Adesso clamori e riflettori si concentrano sulla riforma dell'università. Già. E anche qui vedo una minoranza rumorosa che tenta di imporsi. Che, di fatto, a un quarto di secolo dall'ultima riorganizzazione del sistema universitario, s'impegna a perpetuare un insostenibile immobilismo. Ma la realtà è soprattutto altra. Il nostro disegno di legge ha avuto a livello sindacale il supporto di Uspur e Cipur, cioè delle due principali organizzazioni dei docenti universitari. Mentre sul piano politico-culturale è arrivato il sostegno davvero importante dell'iniziativa a forte connotazione trasversale che la Fondazione Magna Carta ha promosso e che 2.500 docenti - tra i quali molti rettori - e ricercatori hanno deciso di firmare. Eppure le proteste sono veementi... Purtroppo sono proteste legate alla difesa di inaccettabili situazioni di privilegio. Pensi solo che ancora oggi il 92% dei percorsi di carriera si sviluppa interamente all'interno di uno stesso ateneo... Questo non consente quella mobilità del sapere che arricchisce le università. E fa purtroppo emergere un mix di localismo e di clientelismo. Ma cresce la consapevolezza che la logica dei concorsi va finalmente depurata da tali condizionamenti. Ha colpito il plauso alla sua idea di riforma degli atenei tributato da Rita Levi Montalcini. Eppure tra i ricercatori universitari, figure desti nate a diventare "a tempo determinato", i malumori non mancano. Mi limito a dire che mi sembra semplicemente impossibile negare ch, nell'università ricerca e didattica sia no inscindibili. Non possono procedere - anzi adagiarsi - su binari ch non s'incontrano mai. È una cosa seri za senso. In nessun altro Paese a mondo esistono figure di ricercatori a vita che all'interno delle università nulla hanno a che fare con la didatti ca. Il tasto della ricerca è un tasto delicato... Importantissimo. E, infatti, come s sa, stiamo conducendo una forte iniziativa proprio a sostegno della "ricerca pura". L’Italia è stata tra l’altro il primo Paese ad adottare, da parte del Cnr, la "Carta dei diritti dei ricercatori". Che prevede esplicitamente 1 figure dei ricercatori a tempo indeterminato. Negli enti di ricerca, noi nelle università. C'è un'ansia di "giustizia" che trapela da ciò che dice. E alcune delle battaglie che sta conducendo, da mini stro in un governo di centrodestra, erano state in passato invocate anche da sinistra. Ci siamo posti un obiettivo: coniugare equità e merito. Non è semplice, ma non è impossibile. Le cito come esempio il decreto sulla formazione degli insegnanti e il piano in base al quale, dopo un decennio di blocco, abbiamo già assunto 130mi1a docenti, che diverranno 160mi1a nei prossimi due anni. È il più grande piano di assunzione attuato dal dopoguerra. E con esso ci siamo fatti carico, più che dimezzandolo, del problema del precariato. Un problema di equità. Mentre sul piano del merito... Abbiamo emanato un decreto che, a regime, prevede una selezione e formazione degli insegnanti basata su 5 anni di università-laurea triennale e un bienno di laurea magistrale - più uno di tirocinio. E, a fine percorso, il posto. Puntiamo cosi ad avere insegnanti più giovani (escono direttamente dall'università), più motivati (arrivano in cattedra attraverso un percorso scelto deliberatamente), più qualificati (con laurea magistrale) e con la certezza del posto di lavoro (la programmazione universitaria equivarrà a un'autorizzazione a bandire un concorso). ' A regime. Ma intanto... Intanto, abbiamo dato una risposta di equità a lavoratori precari dando loro, dopo tanti anni, un posto fisso. E abbiamo avviato un processo basato sul merito per svecchiare la scuola. Nella fase intermedia ci sarà un doppio canale. Le assunzioni passeranno per metà attraverso le vecchie - graduatorie, mentre l'altra metà verrà _ riservata ai nuovi laureati. _ Crede che sia questa la via per affrontare la questione dell'insoddisfazione e della perdita di ruolo sociale degli insegnanti? ~ Il problema è comune a tutti i Paesi = più avanzati. E non mi sento di dire che questa sia "la" risposta. È una delle risposte. Un'altra passa certamente per l'innalzamento del livello retributivo degli insegnanti. E, infatti, lo stiamo facendo. 1277 euro medi mensili in più dell'ultimo contratto segnano, a parità di ore e di impegno didattico, un aggancio ai livelli europei. E rappresentano, nel settore del pubblico impiego, l'incremento più elevato riconosciuto negli ultimi anni. Un'ultima domanda. Quest'impegno ha assorbito interamente cinque anni della sua vita. Lo rifarebbe? Sicuramente si. Ho scelto io di lavorare J in questo Ministero. Perché credo che l'investimento nella conoscenza sia il = più importante per formare quel patrimonio umano che è oggi la principale ricchezza di un Paese, premessa essenziale della coesione sociale e di - ogni processo di sviluppo scientifico, - tecnologico ed economico. Non è retorica, mi creda. È profonda e realistica certezza. intervista Lo sforzo di rimettere in movimento il mondo della formazione e della ricerca dopo anni di immobilismo L'impegno contro le opposizioni pregiudiziali e il conservatorismo delle corporazioni La valorizzazione delle esperienze in atto nel Paese reale. Parla la titolare di Viale Trastevere Il 92% delle carriere universitarie si sviluppa all'interno dello stesso ateneo. E questo fa emergere un mix di localismo e clientelismo La filiera della conoscenza é strategica per lo sviluppo del Paese sul piano culturale e dal punto di vista economico-sociale I criteri guida della riforma? Personalizzazione dei percorsi formativi, autonomia, forte raccordo con le famiglie La realtà ha smentito i pregiudizi diffusi ad arte. Due esempi? L'anticipo scolastico e la temuta abolizione del tempo pieno Con i corsi di formazione professionale concordati con le Regioni abbiamo riportato nel sistema di istruzione 63mila ragazzi _________________________________________________________ Corriere della Sera 20 ott. ’05 CORPORAZIONI E INTERESSI PRIVATI Le proteste delle università e dei professionisti Grazie a Berlusconi il discorso pubblico italiano si occupa da tempo, come è giusto, del conflitto d' interessi. Quello che colpisce, però, è come del tema del conflitto d' interessi, invece, ci si dimentichi completamente quando esso riguarda non già il presidente del Consiglio bensì altre persone o altre situazioni. Per esempio le grandi corporazioni che dominano il nostro panorama sociale, le quali riescono quasi sempre ad occultare quel conflitto grazie a tre elementi decisivi: il loro potere d' influenza, la loro compattezza interna e, infine, il diritto all' autogoverno riconosciutogli dalla legge. Due esempi da manuale li stiamo avendo in questi giorni con le agitazioni delle università e quelle di alcuni ordini professionali, rispettivamente contro la riforma Moratti sullo statuto giuridico dei docenti e contro la direttiva Bolkestein che liberalizza i servizi nell' ambito dell' Unione Europea. Nel primo caso nulla da ridire naturalmente sul fatto che la riforma non piaccia a un certo numero di docenti. Quello che è alquanto anomalo è che al loro seguito i vertici della corporazione universitaria - cioè i rettori e i presidi pressoché al completo - si affrettino immediatamente a proclamare l' agitazione delle università nella loro interezza sospendendo esami, lezioni e quant' altro. Naturalmente presidi e rettori si guardano bene dal cercare di capire come la pensa la maggioranza dei docenti dei loro atenei, se è d' accordo o no con la protesta. Per chiudere le università a loro basta che protesti un' esigua minoranza che rappresenta però il settore più vociante e ascoltato dai giornali del loro serbatoio elettorale. Accade così, come dicevo, che grazie all' autogoverno della corporazione universitaria, all' interesse degli eletti alla sua testa a continuare ad esserlo, quella corporazione stessa figuri da trent' anni perennemente allineata su posizioni nella sostanza esclusivamente protestatarie. Un caso ancor più macroscopico di conflitto d' interessi è quello messo in luce dalla protesta di alcuni ordini professionali contro le direttive Bolkestein. Dubito che tra le funzioni degli ordini professionali - i quali, lo ricordo, sono associazioni obbligatorie, a metà tra pubblico e privato, guidate da vertici elettivi alle quali la legge attribuisce il monopolio della gestione anche tariffaria di una miriade di attività - dubito, dicevo, che tra le loro funzioni vi sia quella di garantire il livello di reddito dei propri iscritti. Naturalmente i responsabili dei suddetti ordini diranno che, per carità, opponendosi alla suddetta direttiva si tratta semplicemente di tutelare la qualità delle prestazioni, la deontologia professionale e tante altre belle cose. Ma la realtà rimane quella che appare: e cioè che i professionisti hanno paura che la concorrenza straniera li costringa a perdere una parte dei propri guadagni e, forti del dominio elettorale che esercitano sui vertici degli ordini, spingono quest' ultimi in piazza trasformando il loro personale interesse nella politica generale della propria istituzione pubblica corporativa. In entrambi i casi ciò che viene al pettine è la struttura corporativa di tanta parte della società italiana, cioè l' ambigua commistione tra l' involucro pubblico-statale e le attività che esso riveste, le quali, però, sono o vogliono essere del tutto autonome. Si realizza così per questa via quasi un' istituzionalizzazione del conflitto d' interessi, una sorta di sua legalizzazione. Specie poi quando, come il caso dell' università e degli ordini (ma è un caso frequentissimo) all' esistenza delle corporazioni si somma il loro autogoverno, cioè il principio elettivo dei suoi vertici da parte della base. Galli Della Loggia Ernesto _________________________________________________________ SardiNew 20 ott. ’05 BOTTAZZI: POCO IMPORTA AVERE LAUREATI SEMI-ANALFABETI Corsi pensati per gli studenti o per i docenti? di Gianfranco Bottazi Sardinews apre un Forum sul funzionamento dell’Università: il primo contributo è di Gianfranco Bottazzi In questi ultimi tempi, l’Università di Cagliari è apparsa più del solito all’onore della cronaca giornalistica. Vi è apparsa, soprattutto, per le vicende un po’ oscure e per il dibattito certamente non aulico che hanno riguardato le eventuali modifiche dello Statuto che regola la vita amministrativa della stessa Università. Ha stupito, peraltro, che tutto sia avvenuto come se la questione di rendere possibile un’eventuale ricandidatura dell’attuale rettore sia completamente e solamente interna all’Università e come se, dal di fuori, si continui a guardare con curiosità divertita alle bizzarrie di questa cittadella chiusa e arroccata. Che non è amata, che non sembra essere sentita veramente come propria dal territorio regionale, che in sostanza non gode di grande simpatia all’esterno, accusata non tanto nascostamente di essere un luogo di privilegi, di inefficienza, di sprechi. Da un lato, è vero che l’Università è una delle cosiddette “autonomie funzionali” e quindi può apparire normale che si lasci rispettosamente alla sua, appunto, autonomia la discussione e scelta dei propri strumenti e organi statutari. Dall’altro, nello stesso periodo, la Giunta regionale, promuovendo i cosiddetti voucher formativi (ma perché non chiamarli più semplicemente “buoni formativi”) per i giovani sardi, da sfruttare fuori dalla Sardegna, ha attribuito una patente di disistima al sistema universitario sardo che più esplicita non poteva essere. Non risulta che nessun cenno di dibattito si sia acceso su tutto questo, essendo forse tutta la sensibilità e l’attenzione rivolta ai giochi statutari. Niente, tranne qualche accorato e nobile appello al rispetto delle regole e dello stile. Forse eravamo tutti già in ferie. Ma di Università, di formazione, di istruzione, dovremmo discutere (e molto!). E dovrebbe essere una preoccupazione non solo di chi opera nell’università ma dell’intera collettività regionale. Non fosse altro che per le note questioni della scarsa qualità delle nostre forze di lavoro, del rilievo strategico che sempre più le competenze e le conoscenze ricoprono nella competizione produttiva internazionale, del futuro economico e sociale di questa nostra regione. Sardinews ha di fatto già aperto da tempo questo dibattito, sia pure in modo non sistematico, con un’attenzione costante ai problemi della formazione e dell’università e, negli ultimi numeri, con i contributi e le esperienze amaramente “esemplari” di alcuni giovani laureati sardi. Sebbene la tentazione a buttarla sul sarcasmo e sulla denuncia sia comprensibile, è forse bene provare a ripartire da alcuni temi di fondo, da alcuni nodi che possano inquadrare i problemi e le sfide che abbiamo davanti. Così è nato il mostro La popolazione studentesca universitaria è cresciuta, in Sardegna come in Italia, in modo rapidissimo a partire dagli anni ‘60-‘70. Per quanto questo sia stato giustamente interpretato come un processo di democratizzazione degli accessi all’istruzione superiore, aprendo a persone di ceto medio-basso in passato escluse, credo non si debba dimenticare che, comunque, gli strati sociali di livello socioeconomico più basso sono ancora largamente esclusi dall’istruzione universitaria. E questo sarebbe già un grosso tema di riflessione. La moltiplicazione degli iscritti è tuttavia avvenuta senza nessuna modifica sostanziale di un struttura pensata per una società diversa, con funzioni diverse, con priorità e obiettivi diversi. Era un’università di élite, destinata ai figli, pochi, delle classi dirigenti, per riprodurre quelle stesse classi dirigenti. La contraddizione tra una struttura pensata per pochi e la massificazione indotta dai grandi numeri, ha generato quel mostro che è – in larga misura – ancora sotto i nostri occhi. È un modello perverso che, per moltissimi aspetti, è unico al mondo: decine di migliaia di iscritti, aule poco capienti e spesso inadeguate, servizi sempre sottodimensionati, la stragrande maggioranza degli studenti che passa all’università solo qualche ora, saltuariamente, per sostenere gli esami, poca o generalmente nessuna selezione all’ingresso, con tassi di abbandono che sfiorano ancora il 70 per cento degli iscritti al primo anno, con l’invenzione tutta italiana dei cosiddetti fuori-corso, quegli studenti di lungo corso che sostano virtualmente nell’università per lunghi anni e che fanno dei laureati italiani quelli con l’età media più alta del mondo. Eccetera, eccetera. Un modello, s’è detto. Caratterizzato da una vischiosità che appare come il maggior ostacolo al cambiamento. Ma che ha dimostrato di essere capace di riprodursi, di adattarsi, di trovare gli antidoti alle contraddizioni più evidenti e, paradossalmente, è stato addirittura capace, in quelle condizioni, di produrre laureati di discreto livello, di fare ricerca, di sopravvivere a volte più che dignitosamente. Così, ad esempio, la mancata frequenza, soprattutto in alcune facoltà, della maggioranza degli iscritti consente alle strutture inadeguate di non apparire come tali. E al docente che non fa lezione (avendo magari in vari modi “scoraggiato” la frequenza) di non apparire come un lavativo. E la fantasia, la creatività, il ricorso sistematico all’informalità italica riescono a fare il miracolo di un sistema che addirittura sembra a volte funzionare. Berlusconi insabbia Nella seconda metà degli anni Novanta, è noto, è stata lanciata una ambiziosa riforma (l’ennesima) dell’università, che tentava di aggredire i principali nodi che rendevano atipico il nostro sistema universitario, in Europa e nel mondo, dai fuori-corso alla adeguatezza dei programmi e degli ordinamenti didattici. La riforma – sulla cui vicenda sarebbe istruttivo soffermarsi, proprio perché ha messo in luce le resistenze e le vischiosità del modello – è rimasta largamente a metà del guado, prima impastoiata dagli stessi governi di centro-sinistra succeduti a Prodi, poi di fatto insabbiata dal governo Berlusconi e dal suo ministro Letizia Moratti, fin troppo scopertamente sostenitori di un obiettivo di ridimensionamento di tutto ciò che è pubblico e di introduzione di una logica di mero “mercato” anche nelle conoscenze e nella cultura. In ogni caso, formazione e ricerca non sono stati e non sono certamente una delle priorità del governo di centro-destra! Quale missione? È opinione comune che il tentativo di riforma almeno un merito lo abbia avuto, ed è stato quello di aprire un grande dibattito sulle funzioni, sugli obiettivi, sui contenuti e sul funzionamento dell’università oggi. Credo che proprio da quelle domande e da quelle risposte bisogna ripartire. E, per iniziare, bisogna fare i conti con una questione, quella della “missione” – come si usa dire oggi – dell’università in una società regionale che si vuole moderna e che vuole competere nel mondo. Le finalità istituzionali dell’università, per cui si deve fare ancora riferimento al Testo Unico del 1933, mai sostituito o abrogato, non sono cambiate: formazione e ricerca. Il fatto è che l’una e l’altra vanno continuamente ridefinite al mutare del contesto sociale ed economico. Un popolo di dottori La formazione che viene chiesta all’università è oggi una formazione a tutto campo. Non solo un sapere legato alla trasmissione delle conoscenze per l’educazione della mente e dello spirito, ma anche un sapere strumentale, operativo, che faciliti l’inserimento nel mondo del lavoro. Non solo formazione per i giovani da preparare all’ingresso nella vita professionale, ma formazione lungo tutto l’arco della vita, rivolta quindi anche a chi già lavora. Non solo percorsi formativi strutturati pluriennali, ma anche interventi su fabbisogni contingenti o utilizzazione di tecniche innovative, come la cosiddetta università a distanza. È chiaro che il tradizionale modello delle facoltà e dei corsi di laurea appare del tutto inadeguato nella sua rigidità più o meno paludata. È chiaro che il discorso deve essere articolato e ragionato per i diversi ambiti del sapere (le diverse facoltà?), ma non si può non cogliere la rigidità e la lentezza nell’adeguarsi alle nuove domande. Le resistenze al cambiamento sono forti, non c’è dubbio. Bisogna pensare a una università che ormai non ha più (solo) il compito di formare le nuove classi dirigenti, ma quella di diffondere competenze e conoscenze nel corpo intero della società. Le aspettative delle famiglie e degli studenti sono spesso ancora legate alla “vecchia” università: come non rimanere perplessi di fronte al fatto che la preoccupazione più diffusa tra gli studenti relativamente ai nuovi ordinamenti didattici sia stata quella del diritto o meno al titolo di “dottore” per chi ha terminato un corso triennale. Che l’Italia (e la Sardegna) sia un popolo di “dottori” è battuta che gira spesso fuori dall’Italia. Non sarebbe ora di cambiare? Dall’altro lato, i docenti, non solo i più anziani, vivono spesso con fastidio ogni riferimento al mercato del lavoro, all’utilità pratica della loro scienza, quasi che l’università debba essere una torre d’avorio di speculazioni e conoscenze fini a loro stesse. Le masse si arrangino Guai, naturalmente, a ridurre l’università a mera trasmissione di competenze professionali, o alla supina adesione a quello che richiederebbe il mercato. Fanno paura certi discorsi, purtroppo non più solo accennati, che si sentono sull’inutilità del greco o del latino, della filosofia o della storia, della letteratura o dell’archeologia a meno che non siano legate a qualcosa che possa produrre immediatamente denaro. Viviamo in una fase storica, e speriamo sia solo una fase, nella quale la “cultura”, il sapere, la capacità di esprimersi correttamente, è svalutato come inutile e quasi guardato con disprezzo. Ma l’università non può tralasciare la sua seconda grande finalità, la ricerca. Ossia la produzione, non solo la trasmissione, di conoscenze. Ma anche su questo, è opportuno guardare al nuovo scenario che si apre. È di moda oggi parlare di eccellenza e, nel quadro di una competitività e di una concorrenza che si vuole introdurre comunque e dovunque, si ritiene che le risorse – sempre scarse – debbano prioritariamente andare appunto ai centri di eccellenza. Niente di così sbagliato, anzi è condivisibile l’idea che si debba puntare sul potenziamento di quei centri che hanno dimostrato di lavorare bene. Ma c’è nella questione un ché di perverso, quasi una riproposizione dell’università per le élites. Destiniamo grandi risorse per pochi e le masse che si arrangino con livelli sempre più scarsi di formazione. La scommessa è invece un’altra: poiché è evidente che non apporterebbe nessun beneficio un aumento percentuale di persone che hanno conseguito formalmente la laurea, di primo o secondo livello che sia, ma che hanno una preparazione approssimata e del tutto insufficiente, bisogna vincere la sfida di coniugare una università di massa con una qualità della formazione adeguata. Formazione adeguata non vuol dire che dobbiamo creare decine di migliaia di potenziali premi Nobel, ma persone che, a seconda della tipologia professionale, abbiano imparato ad imparare, dispongano dei codici e delle conoscenze per muoversi al meglio nel lavoro e nella società. È indubbio che ancora molto resta da fare per adeguare i percorsi curricolari a questa sfida. Ancora troppi sono i programmi dall’ampiezza sproporzionata, le modalità di insegnamento arcaiche, la negligenza di competenze (la scrittura, la capacità di esporre, il lavoro di gruppo, le cosiddette capacità relazionali, eccetera) che oggi appaiono assolutamente necessarie. Troppo spesso, sono ancora raffazzonati i “percorsi”, costruiti più per dar spazio a questo o a quel docente piuttosto che avendo in mente lo studente. E soprattutto si affronti la questione ineludibile della eterogeneità della domanda di formazione che si rivolge all’università: oltre allo studente “canonico”, che studia a tempo pieno e, più o meno, si laurea nel tempo previsto, esiste una variegata tipologia di persone che si rivolgono all’università e che, per ragioni le più diverse (e non necessariamente di “mandronaggine”), hanno tempi, impegno, aspettative diverse e finiscono per gonfiare l’esercito dei fuori-corso. Non è impossibile, in un quadro di regole certe e soprattutto applicate, pensare di differenziare l’offerta formativa e i percorsi. Ma soprattutto occorre affrontare il problema, seriamente. Per evitare di avere, tra qualche anno, una percentuale di laureati più alta, ma ancora semi-analfabeti. ___________________________________________________ L’Unità 17 ott. ’05 SOLDI ALLA RICERCA? SOLO FUMO NEGLI OCCHI PROMESSE II raporto dell'Istat smentisce la Moratti di Pietro Greco All'atto del suo insediamento, nel 2001, alla guida del Ministero per la pubblica istruzione Letizia Moratti aveva promesso il raddoppio dell'intensità della spesa pubblica in ricerca e sviluppo e il rapido avvicinamento dell'intensità della spesa complessiva alla media dei paesi europei. Il rapporto presentato dalf Istat nei giorni scorsi ci consente di verificare se la promessa é stata mantenuta. E se é possibile che venga mantenuta almeno con l'ultima finanziaria di questa legislatura. Diciamo subito che i dati completi - perché riguardano università, enti pubblici e imprese - si fermano al 2003. E, quindi, sono relativi ai primi due anni della gestione Moratti. In questi due anni si é avuta effettivamente una crescita: la spesa italiana assoluta in ricerca dai 13.572 milioni di curo del 2001 ai 14.769: con un incremento dell'8,8%. Se però il calcolo viene effettuato a prezzi costanti (cioè al netto dell'inflazione), l'incremento risulta molto più modesto: del 2,6%. Se poi simisura intermini relativi, l'incremento praticamente sfuma. Ne12001l'Italia investiva in ricerca VI, 11 % del Prodotto interno lordo, nel 2003 ha investito l’1,14%. É escluso che negli ultimi due anni la spesa sia aumentata in maniera significativa. Cosicché possiamo dire che rispetto a cinque anni fa l'Italia investe complessivamente (pubblico e privato) in ricerca più o meno quanto investiva nel 2001. L'Italia non si é avvicinata alla spesa media dei paesi europei. Avrà il Ministro mantenuto almeno il primo dei suoi impegni: raddoppiare l'intensità della spesa pubblica (passando dal quasi 0,6 a oltre f1% del Pil)? Mancano i dati relativi alla spesa pubblica nelle imprese. Cosicché gli unici dati parziali che abbiamo sono quelli relativi agli Enti pubblici di ricerca o ad altre istituzioni. Ebbene, nel 2001 la spesa totale in questo settore ammontava a 2.493 milioni di curo. Nel 2005 questa spesa, stima l’Istat, ammonterà a 2.374 milioni di curo. In quattro anni, dunque, la spesa non solo non é raddoppiata, ma é addirittura diminuita di 119 milioni: meno 4,9%. Se poi calcoliamo questi cambiamenti a prezzi costanti (anno di riferimento il 1995), la spesa negli Enti di ricerca o in altre istituzioni pubbliche nei quattro anni della Moratti é passata da 1.973 a 1.808 milioni di curo: con una diminuzione netta dell'8,4%. Un'autentica catastrofe. Resta la finanziaria appena proposta dal ministro Tremonti, con la possibilità di devolvere i15 per mille alla ricerca nella dichiarazione dei redditi. I15 per mille del gettito Irpef ammonta a circa 660 milioni. Se tutto questo gettito passasse alla ricerca, la variazione non sarebbe superiore a 0,05 punti del Pil. Un' inezia. Ma in realtà si pensa che solo una parte degli italiani firmeranno in favore del 5 per mille. E che il gettito reale non supererà i 270 milioni di curo. Per queste risorse potranno competere sì le università e i centri di ricerca, ma anche altre organizzazioni (associazione ed enti locali) per altri scopi. Anche ammettendo un'equa ripartizione, é verosimile che ai laboratori pubblici affluiranno risorse per circa 90 milioni di curo. Insomma, se tutto andrà per il meglio nell'ultimo anno del governo Berlusconi la ricerca pubblica potrà recuperare la metà di quanto lo stesso governo ha già tagliato, a prezzi costanti, nei quattro anni precedenti. Se questo può essere considerato un successo ... _________________________________________________________ ItaliaOggi 21-10-2005 AGLI INFERMIERI PIACE LA LAUREA I dati al congresso nazionale Ipasvi DI ANDREA BATTISTUZZI Comincia a dare i primi frutti la modifica dei percorsi formativi per l'accesso alla professione di infermiere. A un anno dall'entrata in vigore delle prime lauree specialistiche, che hanno affiancato il diploma di laurea triennale in scienze infermieristiche, attivo dal 1992, le immatricolazioni sono infatti in netto aumento: dal 2000 a oggi sono schizzate di un +31%, rovesciando un andamento negativo che nel 2005 ha portato a 13.320 domande contro i.12 mila posti disponibili negli atenei. «La laurea magistrale e i master stanno innalzando le capacità tecniche, umanistiche, giuridiche ed economiche degli infermieri, ed è cresciuta la nostra capacità di risposta nel campo di gestione delle risorse umane», dice Annalisa Silvestro, presidente dell'Ipasvi, che ieri ha aperto a Roma i lavori del XIV congresso nazionale della Federazione nazionale collegi infermieri professionali assistenti sanitari vigilatrici d'infanzia. II trend positivo dell'università ha consentito all'Ipasvi di veder crescere sensibilmente il numero di iscritti dai 319.123 del 2000 ai 338.245 del 2004. Con una presenza preponderante di donne: la presenza femminile tra gli infermieri italiani, secondo quanto emerge da un rapporto presentato ieri, è pari a178,7%. Ma l’aumento di domande di immatricolazione non soddisfa ancora il bisogno di personale annuo nazionale, stimato dall'Ipasvi in 17.200 persone tra nuove strutture e turn over, contro i 13 mila laureati annui. L'obiettivo che si pongono i 5 mila delegati è di ottenere un maggior ruolo decisionale del personale infermieristico nelle strutture ospedaliere, come avviene negli altri paesi europei. «Abbiamo lavorato molto sulla formazione in questi anni»; dice il presidente Silvestro, «ed è arrivato il momento per gli infermieri di entrare nei luoghi e nelle responsabilità dell'amministrazione infermieristica»: A questo sforzo non è però ancora corrisposto, secondo l’Ipasvi, un riconoscimento della professione che dia delle adeguate prospettive di carriera. L'aumento del trattamento economico degli infermieri del gennaio 2003 non ha cioè modificato l'immagine di una categoria ancora subalterna a quella dei medici, né ha risolto il calo di «vocazioni» che si registra in Italia e in Europa nell'accesso alla professione. «L'Italia rimane cosi penultima nella classifica europea di personale infermieristico per numero di abitanti», ha detto a margine Annalisa Silvestro, un dato cresciuto in 13 anni appena dello 0,4% contro i12% della media europea. Questa carenza, unita all'innalzamento dell'età media e del numero delle strutture di ricovero, ha portato a cercare all'estero il personale necessario, aiutato dall'assenza nella normativa di quote per l'ingresso di personale infermieristico. Oggi gli infermieri dei paesi dell'allargamento, che non hanno recepito gli accordi di Strasburgo sugli standard comuni della professione, non hanno bisogno di un esame di lingua lavorare in Italia. «Un fenomeno delicato», ha concluso Annalisa Silvestro, «perché alla base della professione c'è la relazione umana tra infermiere e paziente». Annalisa Silvestro le. _________________________________________________________ Il Messaggero 22 ott. ’05 ASSUNZIONE PER TREMILA INSEGNANTI DI RELIGIONE E la Camera dà un primo sì, con riserva, al decreto sugli Atenei. Il governo: andiamo avanti lo stesso ROMA - Procede senza intoppi il piano triennale di assunzioni degli insegnanti di religione. Dopo i 9.229 immessi in ruolo lo scorso mese di agosto, è quasi pronto il provvedimento a decorrere dal primo settembre 2005, con il quale verranno reclutati altri 3.077 docenti di religione cattolica. La richiesta è stata inoltrata da viale Trastevere ai ministeri dell'Economia e della Funzione pubblica lo scorso mese di marzo e in questi giorni il Ministero dell'Economia ha dato il parere che è stato trasmesso al Dipartimento della Funzione Pubblica per il decreto di autorizzazione formale. Entro il settembre 2006 inoltre si arriverà a 15.383, secondo quanto stabilito dal ministro Moratti. Intanto, la Camera dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 1 del ddl sullo stato giuridico dei docenti universitari, ma il governo va avanti lo stesso. La Commissione Affari costituzionali della Camera, pur esprimendo un parere positivo sul provvedimento, ha ritenuto anticostituzionale l'articolo relativo all'autonomia degli atenei. Un pronunciamento che ai fini della riforma cambia poco, ma ha una valenza politica. Gli esponenti dell'opposizione esultano. «Il ministro Moratti è stato sconfitto», commentano Colasio e Bimbi della Margherita. Di «Caporetto per la Moratti» parlano Grignaffini e Tocci. «Comunque - osserva il leader della Flc-Cgil, Enrico Panini - ora si dovrà prevedere un ulteriore passaggio al Senato». Non sarà così. Il ddl sullo stato giuridico dei docenti andrà in aula alla Camera il 24 ottobre, annuncia una nota del dicastero di viale Trastevere, perchè è stato superato il problema sulla costituzionalità dell'articolo 1 del provvedimento. Come? Lo spiega il diessino Walter Tocci. «E’ stato sostituito il relatore, Giulio Schmidt di Forza Italia che aveva proposto la bocciatura del comma 1 della legge. Al suo posto si è presentato Nitto Palma il quale ha fatto approvare una risoluzione che rinvia alla commissione Cultura la valutazione di costituzionalità. _________________________________________________________ Repubblica 19 ott. ’05 BASTA IL SI DEL VESCOVO PER ENTRARE IN RUOLO PER RELIGIONE Si attende solo la pubblicazione del decreto che sarà retroattivo. La protesta del sindacato e dei precari: troppe differenze con gli altri lavoratori della scuola C'è l'ok del governo: tutti assunti gli insegnanti di religione di SALVO INTRAVAIA Procede spedito e senza intoppi il piano triennale di assunzioni degli insegnanti di Religione. Dopo i 9.229 immessi in ruolo lo scorso mese di agosto, è quasi pronto il provvedimento - addirittura retroattivo: a decorrere dal primo settembre 2005 - per l'assunzione di altri 3.077 docenti di religione cattolica. La richiesta è stata inoltrata da viale Trastevere ai ministeri dell'Economia e della Funzione pubblica lo scorso mese di marzo e in questi giorni il Ministero dell'Economia ha dato il parere che è stato trasmesso al Dipartimento della Funzione Pubblica per il decreto di autorizzazione formale. I "precari" di Religione. Sarà dunque completato il piano di assunzioni degli insegnanti di Religione (tra i quali il precariato praticamente non esiste) con l'ultima trance - anch'essa di 3.077 posti a decorrere dal primo settembre 2006 - per arrivare ai 15.383 stabiliti dal ministro Moratti. Assunzioni da sempre osteggiate dalla Cgil scuola che si è sempre espressa con toni forti. "Il governo - ha dichiarato all'indomani della prima infornata di docenti di religione cattolica Panini - ha voluto forzare la mano con una legge che ha sconvolto le regole del mercato del lavoro e dell'occupazione: non è mai esistito che l'assunzione in un settore pubblico avvenisse sulla base di un requisito discrezionale, perché la condizione unica per insegnare religione cattolica nelle scuole è l'idoneità rilasciata dal responsabile diocesano. E nel caso in cui - sottolinea, il segretario della Flc Cgil - il responsabile diocesano revochi l'idoneità all'insegnante, questo deve comunque essere mantenuto in servizio". Già, per partecipare al concorso riservato agli insegnanti di religione, oltre ad avere insegnato per almeno quattro anni consecutivi nell'ultimo decennio, in una scuola statale o paritaria, occorreva la certificazione di idoneità rilasciata dall'ordinario diocesano. E in moltissime regioni italiane i concorsi hanno avuto un numero di partecipanti di poco superiore ai posti nel triennio in questione. A giochi fatti, in Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Umbria, Veneto e Lombardia - per l'elementare e la materna - i posti a disposizione hanno superato gli idonei. Il concorso che tutti sognano: più posti che candidati. Gli "altri" precari. Strada ben diversa per le centinaia di migliaia di precari (storici o meno), alcuni iscritti da decenni nelle graduatorie permanenti, nei prossimi due anni scolastici saranno disponibili 'solo' 30 mila assunzioni. È stato, infatti, firmato dai ministri Moratti (Istruzione e ricerca), Baccini (Funzione pubblica) e Siniscalco (Economia) il provvedimento che prevede 20 mila immissioni in ruolo nell''anno scolastico 2006/2007 e 10 mila nel 2007/2008. Un provvedimento che lascia scontenti i sindacati della scuola perché 'le assunzioni programmate non coprono nemmeno la quota del turn-over annuale', commenta Francesco Scrima, segretario generale della la Cisl scuola, che 'denuncia l'assenza di analogo provvedimento per il personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario, ndr), area professionale i cui posti vacanti e lo specifico precariato sono a livelli percentuali così alti da mettere a rischio la stessa funzionalità dei servizi". Insomma, nella scuola ci saranno più pensionamenti che assunzioni. "Basta fare alcuni conti", rilancia la Flc Cgil. "Dal 2001, il ministro Moratti ha assunto a tempo indeterminato 47.500 docenti e 7500 ATA, nello stesso periodo sono andati in pensione circa 100 mila docenti e 35 mila Ata. Il saldo negativo porta alla ulteriore precarizzazione di 53.000 docenti e di 27.500 ATA e al conseguente risparmio per le casse dello stato", dichiara Enrico Panini. Non è tutto: secondo i Comitati degli insegnanti precari "proprio nell'anno in cui il ministero ha fatto sapere che un milione di studenti, su due e mezzo, ha deciso di 'non avvalersi' dell'insegnamento facoltativo della religione cattolica, la Moratti immette in ruolo tutti e 20 mila i prof di religione, scelti in modo arbitrario e insindacabile dai vescovi. Uno schiaffo - concludono i Cip - agli oltre centomila insegnanti precari delle materie obbligatorie subordinati, anche quest'anno, al caporalato di stato perchè proprio la sua scuola statale continui a offrire un servizio". E cosa accadrà nei prossimi due anni? "Il risparmio continua! 30 mila assunzioni contro un turn over di 40 mila docenti circa. L'attuale decreto dunque non solo non comporta maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato - sostiene Panini - ma comporta un vero e proprio risparmio di spesa. L'area della precarietà nella scuola dunque si allarga, da ciò si deduce che i disagi per la scuola sono destinati ad aumentare non a diminuire". Immediatamente prima delle scorse elezioni regionali il ministro Moratti parlò di un piano che prevedeva 200 mila assunzioni in tre anni, ma poi si rimangiò tutto. ________________________________________________ Repubblica 21 ott. ’05 LA SELEZIONE UNIVERSITARIA E LA CULTURA DEGLI STUDENTI A un test di ingresso a risposta libera (un commento, un breve riassunto, la collocazione storica di personaggi e avvenimenti), dei 316 iscritti solo 34 hanno raggiunto una votazione sufficiente tra 18 e 24 trentesimi. Impossibile? Gli aspiranti all'accesso a questo corso di laurea in Scienze dei beni culturali (sic) scrivano; eccezione, collezione e bizantino con due zeta, architetti con quattro ti, fu con l'accento, c'è tutto attaccato. Petrarca, innamorato di volta in volta di L'Aura, Beatrice, Fiammetta, Silvia, Francesca, può essere Fautore dei Sepolcri, o forse del celebre Canzoniere. , . Pericle è uno scultore o un personaggio mitologico, se non un «profeta dei prirni decenni dopo la morte di Cristo» e Tiziano Vecellio è «l'inventore del colore rosso tiziano». Dopo questa selezione si sono iscritti 198 studenti, con un ripescaggio aperto anche alle votazioni più basse: come potremo trasformarli in laureati qualificati? E cosa dobbiamo pensare delle statistiche che rimproverano l'Università della perdita del 20 per cento degli iscritti al primo anno? Maria Mimita lamberti _________________________________________________________ La repubblica 17 ott. ’05 ATENEI, RISCHIO ABBANDONO IL 25% LASCIA AL PRIMO ANNO Il sistema universitario si lancia nella scommessa dell'orientamento "I ragazzi hanno bisogno di essere guidati e noi siamo ancora indietro" di ANGELO MELONE LECCE - "Noi abbiamo una strana materia prima tra le mani: la produzione riesce se la materia prima fa la sua parte. Altrimenti addio industria". Il paradosso è di Guido Fiegna, del Comitato di valutazione universitario: un po' forte, ma rende perfettamente la strettoia in cui si trovano le università italiane (e non solo). La "materia prima", è ovvio, sono gli studenti. I produttori, il sistema degli atenei. E a una sorta di "contratto" con gli studenti gli atenei italiani stanno lavorando di fronte ai dati allarmanti che giungono dalle rilevazioni nel mondo universitario. Il 24% degli studenti universitari abbandonano il primo anno, uno su quattro. Il 20% delle matricole trascorre il primo anno di università senza dare esami. L'allarme è alto, anche se i dati sono in parziale diminuzione. La strada una sola: "Voi studenti ci mettete tutto il vostro impegno, noi atenei vi aiutiamo a capire subito qual è la vostra strada". Si chiama orientamento, ed è la scommessa degli atenei italiani che hanno provato a "mettere a sistema" tutte le loro esperienze in un seminario di tre giorni a a Gallipoli. Il lavoro è coordinato dal rettore dell'Università di Lecce - Oronzo Limone - che dice senza mezzi termini: "Le resistenze ci sono, anche negli atenei. Ma questo è il principale investimento sul nostro futuro: aiutare i ragazzi a capire qual è la loro strada fin dalla scuola significa produrre intelligenze e innovazione per il Paese: la scommessa di modernizzazione di cui tanto si parla passa di qui". Quella che viene fuori dalle indagini avviate dalla Conferenza dei rettori è una realtà decisamente difficile. Le università si trovano a fare i conti spesso con la necessità di affrontare veri e propri vuoti culturali dei ragazzi che arrivano dalla scuola e il risultato dell'analisi è che gli studenti hanno sempre più bisogno di essere assistiti e indirizzati. C'è chi - l'esperimento è in Umbria - organizza corsi nei licei con noti matematici per provare a stimolare l'interesse degli studenti per gli indirizzi scienifici e arginare l'emorragia di iscritti nelle facoltà. O chi, come il Politecnico di Torino, cerca un contatto con gli studenti che si sono fermati o hanno abbandonato. O ancora chi, è il caso di Lecce, organizza campus di orientamento estivo provando a coinvolgere annche le famiglie. Di esempi se ne potrebbero fare molti altri, le contromisure sono avviate ma la strada è ancora lunga: 47 atenei si impegnano a rilevare le lacune degli studenti che si affacciano per la prima volta nel sistema universitario, 54 organizzano corsi per farvi fronte, soltanto 23 organizzano corsi di preparazione per l'ammissione agli esami di facoltà a numero chiuso. Uno sforzo che ha bisogno di risorse. E le risorse non ci sono. Anzi - fa notare Mario Morcellini, preside di Scienze della Comunicazione della Sapienza - "l'attenzione dlla politica alla manutenzione del nuovo sistema di studi è sempre più deludente". Con un risultato che spinge all'autocritica: "Nella strettoia gli atenei finiscono sempre più per farsi la guerra a colpi di marketing invece che aiutare i ragazzi a trovare la loro strada". Più che un obbligo, una necessità. La spiega la psicologa Maria Luisa Pombeni, dell'Alma Mater di Bologna:"Ognuno dei nostri ragazzi ha un progetto: il sistema scolastico deve aiutarli a metterlo a fuoco". Pena un ulteriore allontanamanto di tutto il sistema Italia da molti altri Paesi europei. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 ott. ’05 NEGLI ATENEI AUMENTANO LAUREATI E MATRICOLE 'ATTEMPATE' Nei 63 atenei del Belpaese aumenta la schiera dei laureati e crescono le matricole “attempate” che tornano agli studi. Nelle università sale anche lo squadrone degli studenti “regolari”, diminuiscono i “parcheggiati”, scende il tasso di abbandono, anche se sono ancora in tanti a lasciare dopo il primo anno. Nel 44% dei casi si taglia il traguardo entro la durata del corso legale di studi. È la fotografia scattata dal sesto rapporto sullo stato del sistema universitario, messo a punto dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, presentato oggi a Roma dal presidente del Comitato Luigi Biggeri, alla presenza del ministro dell’Università Letizia Moratti. «L'università - spiega Biggeri - sembra aver metabolizzato la riforma. Dopo l'impennata subita dalla domanda di formazione dopo l'entrata in vigore dei nuovi ordinamenti didattici, il sistema è ora in progressivo assestamento e si sta stabilizzando». Nell'anno accademico 2004/2005 gli iscritti alle università italiane sono stati un milione e 800mila, 3mila unità in meno rispetto all'anno precedente. Dall'avvio nel 2001 gli immatricolati sono passati dai 295mila del 2000 a oltre 331mila, toccando i 347mila nel 2002 e i 353mila nel 2003 e i 348mila del 2004, nonostante il calo demografico dei giovani. Nel 2004 i laureati sono stati 269mila contro i 235mila del 2003. Questa accelerazione è generata dal conseguimento del titolo di studio da parte di studenti che con la riforma, nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, si sono trovati spesso a un passo dalla laurea e, con un colpo d'acceleratore, hanno concluso gli studi. In discesa il tasso di abbandono dal 65% del 2001 al 40% di oggi; più positivo il fattore studenti “inattivi” che sono passati dal 22,8% del vecchio ordinamento al 14,9% nel nuovo. _________________________________________________________ Corriere della Sera 16 ott. ’05 LE DOMANDE SENZA RISPOSTA DI UNA SCUOLA ALLA DERIVA di GIORGIO DE RIENZO «L a scuola in fondo è un racconto», dice Marilena Lucente nel suo libro, che non è un romanzo ambientato nella scuola, come quelli strampalati della Mastracola, ma una sorta di zibaldone in cui - senza un filo conduttore forte - si accumulano piccole vicende, domande ansiose, riflessioni serie (o impertinenti) e spaccati di vita quotidiana. C’è uno spunto originale che si perde dopo poche pagine: un sovrapporsi di tempi. La Lucente infatti si propone all’inizio nelle vesti di una professoressa, figlia (e nipote) di insegnanti e madre di scolari: e per un tratto del libro riesce a rimanere tale in un bel mescolarsi di immagini ed emozioni, di nostalgie e d’interrogativi. È un percorso che purtroppo s’interrompe presto. Sulla scena rimangono solo la «prof» che insegna Italiano e Storia in un Istituto Tecnico «di frontiera» e la madre che cerca di scoprire il misterioso tragitto scolastico dei figli. Basta però questa duplice prospettiva a dare profondità al libro. Sullo sfondo rimane il quadro di una scuola allo sfacelo come istituzione, proprio mentre si rinnova o finge di aggiornarsi. La Lucente coglie il punto centrale del problema: cambia la facciata, fioccano i proclami, ma non mutano i comportamenti dei colleghi o quando mutano - solo nella forma - può essere ancora peggio. Come un mormorio fastidioso rimangono sullo sfondo le parole che non si sprecano nei collegi dei docenti, rispetto allo sperpero delle parole nelle circolari che fioccano di continuo, e invece quelle che si ascoltano di sfuggita in sala professori, dove - per lo più - ciascuno risolve sbrigativamente a proprio modo (o tornaconto) i guai che il nuovo può portare. Sempre sullo sfondo rimane il quadro grigio della burocrazia: le «i» di impreparato, le «a» di assente, le «note» che affollano le pagine dei registri, l’alchimia dei compiti e delle interrogazioni, dei giudizi e dei voti. In primo piano invece c’è l’ostilità dei ragazzi a imparare e ascoltare, c’è quel loro schizofrenico comunicare pubblico con le scritte sui muri o sui banchi e il loro chiacchierio segreto, nel frenetico digitare sms sui cellulari, che vanno e vengono dentro e fuori dalla scuola o magari all’interno di una stessa classe. E allora come può la «prof» spiegare gli eventi della storia e far imparare la forza evocativa della poesia? Quali strumenti comunicativi può usare per entrare in contatto con i suoi allievi, imbottiti di miti televisivi, resi ciechi da spot pubblicitari? Il libro della Lucente si fa zeppo di interrogativi. Perché i suoi ragazzi scrivono sui muri della scuola, perché proprio lì? «Qual è la strada giusta per incontrarli»? E come incastrare ciò che offrono la Storia e la Letteratura con le «emozioni» forti che i giovani ricevono dalla tivù? Può essere avvilente che un ragazzo, che ha ascoltato forse a caso una sua lezione su Dante, ora stia più attento perché è stato in grado di rispondere a una domanda di Amadeus in un quiz televisivo. Forse - per incominciare - basterebbe un piccolo spostamento di prospettiva che partisse da una considerazione molto banale: che non esista una pedagogia buona per tutti, perché «l’uguaglianza della scuola è una utopia». ________________________________________________ Il Sole24Ore 22 ott. ’05 IL LAVORO? INIZIA IN FACOLTÀ I risultati della ricerca promossa dalla Conferenza dei rettori ROMA a Orientamento protagonista negli atenei italiani. Più del 90% delle università realizza interventi per colmare le lacune formative delle matricole, per seguirle nel loro percorso di studio e per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro dopo la laurea. Ma resta ancora bassa la quota di atenei che offre assistenza ai disabili. Sono i principali risultati dell'indagine «L'università orienta 2005», realizzata dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), che ha analizzato le iniziative messe a punto nell'anno accademico 2002/2003 da 72 atenei (il 93,5% del totale). L'indagine. Secondo i dati, il 97,2% degli atenei possiede una struttura per l'orientamento. Ben 69 su 72 hanno attivato uno sportello aperto al pubblico e nel 30,4°Io dei casi lo sportello è organizzato in tre distinte sezioni: attività di orientamento in entrata, in itinere e in uscita. I fondi ordinari sul bilancio restano la fonte principale di finanziamento delle iniziative: vi ricorre il 93,1% degli atenei, mentre il 52,8% attinge a fondi ministeriali specifici, il 44,4% a risorse legate a progetti e il 27,8% a fondi europei. Solo nel 13,9% dei casi i programmi sono finanziati attraverso collaborazioni con enti esterni. Rispetto all'indagine dell'anno accademico precedente, è passata dal 43,9% al 52,8% la quota di università che coinvolge le scuole superiori nei progetti di orientamento, mentre è scesa dal 15,2% al 13,9% la percentuale di strutture che prevede assistenza specifica per i disabili. Crescono, poi, le iniziative che puntano a colmare la distanza tra università e mondo del lavoro: il 34,7% degli atenei ha promosso la creazione di spin off, il 29,2% di incubatori d'impresa e il 13,9% di laboratori d'impresa. «È indispensabile - dice Oronzo Limone, rettore dell'università di Lecce e coordinatore della commissione Crui per l'orientamento - che l'incontro tra mondo del lavoro e università venga anticipato nel per corso formativo». Moratti convoca i rettori. Mercoledì prossimo il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, incontrerà i rettori della Crui per discutere delle disposizioni per università e ricerca contenute nella Finanziaria, della creazione dell'Agenzia di valutazione, delle linee guida della programmazione universitaria contenute nella legge 43/2005 e infine - se il Ddl sullo status giuridico dei docenti sarà approvato - della messa a punto dei decreti delegati previsti. Proprio lunedi prossimo il Ddl sulle carriere approderà alla Camera per la definitiva approvazione. ALESSIA TRIPODI ____________________________________________ il Giornale di Napoli 20-10-2005 ALLA FACOLTÀ DI MEDICINA LA CERTIFICAZIONE ISO9001 La Facoltà di Medicina e Chirurgia della Federico II è tra le prime strutture del Sud ad aver ricevuto il certificato di conformità ai sensi della norma IS09001:2000 per l'attività di Educazione Continua in Medicina - Ecm. Oggi, alle 12.30, nell'Aula del Consiglio di Amministrazione della Federico ll, presso il Rettorato, a Corso Umberto I, il Rettore, Guido Trombetd, e il Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Armido Rubino, illustreranno l'attività svolta ed il significato del riconoscimento ricevuto. L'attività svolta nel campo dell'Educazione Continua in Medicina ha ricevuto, il "certificato di conformità" attestante che l'attività svolta è conforme ai requisiti della norma. Polli: perdite dell'80%, è crisi _________________________________________________________ Mattino 17 ott. ’05 UNIVERSITÀ A DISTANZA CAMPANIA IN RIMONTA Il decreto che ha dato il via libera alle università a distanza risale al 2003. Fu allora che il ministro dell'istruzione Moratti e quello per l'innovazione tecnologica Stanca dettarono le regole per l'e-learning, il sistema di lezioni a distanza che consente di conseguire un titolo accademico senza spostarsi da casa propria. Secondo il piano della Moratti "l'università a distanza consente di estendere l'insegnamento universitario all'intero arco di vita (life long learning) raggiungendo anche fasce di popolazione che per diversi motivi sono impossibilitate ad accedere alla formazione universitaria, quali - ad esempio - gli studenti-lavoratori, gli anziani, i malati ed i soggetti deboli ed emarginati". Il tutto considerando che "l'e-learning è una delle cinque aree che l'Unione Europea ha posto come fondamentali per lo sviluppo dell'Information Society". La legge stabilisce anzitutto che i corsi di studio a distanza "sono istituiti ed attivati dalle università negli studi statali e non statali ed utilizzano le tecnologie informatiche e telematiche in conformità alle prescrizioni tecniche". I corsi di studio a distanza sono caratterizzati da diversi aspetti: l'utilizzo della connessione in rete per la fruizione dei materiali didattici e lo sviluppo di attività formative basate sull'interattività con i docenti-tutor e con gli altri studenti; l'impiego del personal computer; monitoraggio continuo del livello di apprendimento. Infine "la valutazione degli studenti delle Università telematiche è svolta nelle sedi degli stessi atenei e tramite verifiche di profitto". Impossibile avvicinarsi all'istruzione a distanza senza fissare alcuni termini tecnici. Primo tra tutti il concetto di network, la piattaforma/canale che ospita le lezioni a distanza dell'ateneo. Il canale più diffuso in Italia è Nettuno (appunto Network per l'università ovunque) che conta 39 università italiane consorziate e 40 partner internazionali (indirizzo web www.uninettuno.it). Venti gli atenei che erogano i titoli, con 27 corsi di laurea e ventiquattromila studenti iscritti. Oltre ai contatti on-line Nettuno produce anche lezioni trasmesse in televisione da canali digitali come Rai Nettuno Sat (1 e 2) e da Rai Due a partire dall'una e trenta di notte. Fondato nel 1993, il network ha avuto come università consorziate sin dall'inizio i politecnici di Torino e Milano e la Federico II di Napoli. Tra gli atenei che, in seguito, si sono consorziati ci sono anche Salerno, con particolare attenzione ai corsi di Economia, e la Sun di Caserta. Per la Federico II le lauree a distanza sono in Ingegneria informatica, delle telecomunicazioni e meccanica con il polo d'ascolto in via Claudio (tel. 081-7683647, mail nettuno@unina.it, indirizzo web www.nettuno.unina.it)o Segreteria del Polo 081/5931557. Nessuna sede in Campania, invece, per i corsi dell'Università cattolica del Sacro Cuore (www.unicat.it), una delle prime università private a scommettere sull'e-learning. Quattro le sedi (Milano, Piacenza, Brescia e Roma) corsi di laurea in Economia, Attività turistiche, Scienze sociali, Scienze della formazione, Scienze infiermeristiche. Al sud attive i centri di Potenza, Campobasso, Comiso e Taranto. A Maddaloni, presso il Villaggio dei Ragazzi, è possibile seguire i corsi dell'Upra (www.upra.org) l'Università pontificia Regina Apostolorum. Diversi i master organizzati come quello in Bioetica, Responsabilità sociale d'impresa e Scienze ambientali. Ancora in Campania la Parthenope ha attivato un corso di perfezionamento a distanza in gestione del risparmio che vede coinvolte anche gli atenei di Lecce, Parma e Tor Vergata. L'università del Sannio è invece capofila nei progetti del "Centro di competenza dell'Itc" previsto dalla Regione e che lavora su un canale di formazione e didattica a distanza. All'avanguardia, quindi, la facoltà di Ingegneria dell'ateneo beneventano. Destinato al dopo laurea il percorso a distanza del Suor Orsola Benincasa che ha bandito un master in "Programmazione, gestione e valutazione degli interventi educativi". Infine l'Usad dell'Orientale, la piattaforma che l'ateneo di Palazzo Giusso sta testando per avviare progetti di e-learning. Salvo Sapio Come si può surrogare il rapporto con il prof La formazione a distanza (FAD), non è certamente cosa nuova dei nostri tempi: la gloriosa Open University ha consentito a numerosi sudditi del Commonwealth di accedere a livelli di educazione altrimenti irraggiungibili, ed in vari paesi dai vasti territori disabitati, come l'Australia ed il Canada, questo tipo di istruzione è praticata con profitto da tempo. Ma con lo svilupparsi delle moderne tecnologie della comunicazione (radio e televisione prima e computer ed internet successivamente) la situazione è radicalmente cambiata: piuttosto che un surrogato di altre forme d'insegnamento, la didattica a distanza è diventata una possibilità concreta che va presa in considerazione accanto a tutte le altre. Anzi, i risultati migliori si hanno quando essa riesce ad integrarsi con le forme d'insegnamento più tradizionali. L'Università Federico II si è lanciata fin dall'inizio in questa avventura partecipando, come socio fondatore, al Consorzio Nettuno, voluto, nei primi degli anni novanta, dall'allora ministro Antonio Ruberti. Oggi la Federico II eroga, in questa modalità, diversi corsi di laurea. La particolarità del Consorzio Nettuno consiste nel fatto che non è un'Università a sé stante, bensì un produttore e distributore di materiali didattici, organizzati in corsi di laurea, e prodotti dagli stessi docenti delle Università consorziate. Le Università, se lo ritengono, possono consentire a propri allievi di iscriversi a tali corsi, con l'impegno di sostenere presso di loro le prove di accertamento del profitto. Con questo meccanismo si ottiene che il titolo finale venga rilasciato da una delle tradizionali Università italiane. Molto diversa è invece la situazione attuale a seguito della nuova legge sulle Università Telematiche. In base a questa legge possono nascere università telematiche (e ne abbiamo già due operative attualmente), che rilasciano titoli con validità nazionale, totalmente indipendenti dal tradizionale sistema universitario, purché esse soddisfino alcuni criteri che fanno essenzialmente riferimento ad aspetti di organizzazione tecnologica dell'erogazione dei corsi. A nostro avviso questo è un errore grave che rischia di creare delle realtà di formazione che non possono appoggiarsi in maniera adeguata ad un background di ricerca, che è premessa indispensabile di ogni buona alta formazione. L'Università di Napoli non si è limitata alla sola partecipazione al Consorzio Nettuno; sotto la guida del professor Angelo Chianese, infatti, ha portato avanti anche una sperimentazione avanzata sull'uso delle nuove tecnologie della rete. In ogni caso, a nostro avviso, gli aspetti tecnologici, anche se importanti, sono secondari rispetto al problema centrale della formazione a distanza che rimane quello di trovare e sperimentare metodologie che consentano di veicolare al meglio i contenuti educativi attraverso i nuovi mezzi, cercando di surrogare l'assenza di rapporto diretto docente-discente. Luciano De Menna Dipartimento Ingegneria elettrica Federico II _________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 ott. ’05 CAGLIARI. IL CICLO DI CONCORSI ALL'UNIVERSITÀ Dottorati di ricerca, 164 posti e 87 assegni Il ventunesimo ciclo dei corsi di dottorato di ricerca (indetto dall'Università di Cagliari) raggiunge quest'anno cifre considerevoli: 164 posti e ben 87 borse di studio sono infatti a disposizione per i prossimi tre anni. Gli interessati devono comunque tenere a mente che le domande devono essere presentate entro la scadenza fissata per giovedì 10 novembre e che le borse sono destinate a chi ha un reddito annuo lordo inferiore a 7.746,85 euro. i settoriI posti e le borse sono state distribuite, ovviamente, per materie che sono: difesa e conservazione del suolo, vulnerabilità ambientale e protezione idrogeologica; biologia animale, molecolare e dell'uomo; botanica ambientale e applicata; farmacologia delle tossicodipendenze; neuroscienze; sviluppo e sperimentazione di farmaci antivirali; patologia e tossicologia ambientale; terapia pediatrica e farmacologia dello sviluppo; scienze cardiovascolari; ingegneria del territorio; ingegneria e scienze ambientali; progettazione meccanica; geoingegneria e tecnologie ambientali; fonti scritte della civiltà mediterranea; storia moderna e contemporanea; discipline filosofiche; storia, filosofia e didattica delle scienze; il diritto dei contratti; diritto dell'attività amministrativa e informatizzata e della comunicazione pubblica; storia, istituzioni e relazioni internazionali dell'Asia e dell'Africa moderna e contemporanea. Tutte queste discipline hanno a disposizione 4 posti e 2 borse di studio. La situazione cambia, invece, per fisica (10 posti e 7 borse); chimica (10 e 5); chimica e tecnologia del farmaco; scienze morfologiche, ingegneria edile, economia e gestione aziendale (rispettivamente 6 e 3); scienze della terra ed economia (6 e 4); ingegneria industriale e ingegneria elettronica e informatica (rispettivamente 8 e 4); letteratura comparata (8 e 5). le domandePuò presentare la domanda al concorso, senza limitazione di età o cittadinanza, chi ha la laurea specialistica, magistrale o conseguita secondo l'ordinamento vigente prima del decreto ministeriale 509 del 3 novembre 1999. La domanda deve essere in carta libera (secondo lo schema allegato al bando) e deve pervenire all'ufficio dottorati di ricerca dell'Ateneo cagliaritano entro giovedì 10 novembre. La borsa, come detto, viene erogata a coloro che non possiedano un reddito annuo personale complessivo lordo superiore a 7.746,85 euro. Nel bando, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 81 (martedì 11 ottobre), sono indicati sede, durata, posti messi a concorso, borse di studio disponibili e sedi consorziate. Giuseppe Deplano _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 ott. ’05 CAGLIARI: NASCONO I DOTTORI IN “TUTTOLOGIA” Singolare protesta dei ricercatori universitari contro la Moratti Ventiquattro ore di lezione no stop tra il serio e il faceto Il rettore: «In ballo c’è l’intero impianto universitario minacciato anche dalla Finanziaria» CAGLIARI. Il senso profondo di sfiducia e d’avversione verso una riforma universitaria che fa acqua da tutte le parti sta in quei diplomi di laurea in “Tuttologia” che ancora per oggi saranno consegnati agli studenti più caparbi: 13 crediti formativi, per altrettante lezioni seguite, e il gioco è fatto. Ma in fondo è tutto uno scherzo: brutto, di quelli che mai si sarebbero voluti fare. E’ stata l’ultima trovata dei ricercatori universitari che ieri, riuniti nell’aula magna del Corpo aggiungo del Magistero, hanno messo in atto la loro ennesima protesta contro il riordino delle carriere previsto dal maxi emendamento voluto dal ministro all’Istruzione e Università Letizia Moratti. Il titolo rilasciato era semiserio, ma la protesta no, e neppure le ventinove e più lezioni che, uno dopo l’altro, i ricercatori delle diverse facoltà hanno tenuto in una maratona didattica cominciata ieri intorno alle 10, e che finirà oggi alla stessa ora. Ventiquattro ore filate di lezione, con turni, e ricercatori che davano il cambio agli altri solo per andare a mangiare un boccone, per lanciare un segnale politico forte. ‹‹Ci crediamo, e ci proviamo - dice Marco Pitzalis, tra i rappresentati dei ricercatori nel Consiglio d’amministrazione dell’Università - Il 24 ottobre il maxi emendamento finirà in Parlamento e noi vogliamo lanciare un segnale forte››. Un “no” deciso contro una normativa che, se dovesse passare, renderà ancora più precario il già difficile percorso di chi da ricercatore aspira a diventare un giorno professore. E renderà precaria tutta la sua carriera, perché la tranquillità, il lavoro stabile, verrebbero raggiunti solo molto tardi.  Davanti a questa eventualità la mobilitazione è stata di tutti: ieri per l’occasione c’erano anche il rettore Pasquale Mistretta e un folto gruppo di studenti.  ‹‹Non si tratta solo di difendere le ragioni dei ricercatori - ha detto Mistretta - In ballo c’è l’intero impianto universitario che ora è minacciato anche dalla Finanziaria: voci come l’edilizia hanno subito tagli gravissimi››. Anche gli studenti erano lì un po’ per sostenere i ricercatori, un po’ per difendere la loro idea d’università.  ‹‹La protesta attraversa l’Italia intera - ha detto Gian Vito, 24 anni - Il Parlamento non può non tenerne conto››. Ma tra chi protesta c’è chi spera che di questa brutta normativa il Parlamento si dimentichi. (s. z.) _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 ott. ’05 CAGLIARI: MENSE, FITTI, AULE: UNIVERSITÀ BOCCIATA Disagi logistici e costi mortificano le possibilità di studiare seriamente Il contributo alloggi non ha risolto il problema perché i proprietari non stipulano regolari contratti Gli studenti raccontano cosa c’è dietro la facciata di un ateneo aperto a tutti ma soltanto con le parole CAGLIARI. Spazi così stretti, da costringere quasi ad alzarsi all’alba pur di trovare un posticino davanti al professore. Affitti carissimi, che neppure i contributi alloggio riescono a scalfire. E ancora, trasporti all’anno zero, per la serie: «La tua vita la decidono gli orari dei pullman». Poche settimane dopo l’inizio del nuovo anno accademico, problemi che si vorrebbero ormai superati sono ancora lì a disturbare la vita degli studenti. E se sulla questione trasporti, l’altro giorno c’è voluta una “mascherata” on the road per sensibilizzare, su altri fronti è battaglia a tutto campo. Gianluigi Piras, coordinatore della Sinistra universitaria, traccia un quadro della situazione. «Facoltà diverse, problemi diversi - alza le spalle Gianluigi Piras -. Nel polo umanistico e in quello giuridico-economico i veri problemi sono gli spazi, nella Cittadella di Monserrato pesano invece i trasporti, uniti a un servizio mensa sottodimensionato». Se ogni micro-realtà ha il suo universo con cui fare i conti ogni giorno, ci sono poi tutta una serie di questioni più complessive: il caro affitti e i trasporti, ad esempio, che non guardano alla facoltà di appartenenza. «Sembra pazzesco - dice Gianluigi Piras - eppure problemi vecchi come quelli degli affitti troppo cari, col passare del tempo sono peggiorati». Ecco perché: se al problema dei locatari - l’Ersu (Ente regionale per il diritto allo studio) ha voluto in parte rimediare proponendo dei contributi sui fitti -, di fatto, dice Piras, la questione non è stata risolta. E per un motivo molto semplice: perché i soldi per il contributo siano sganciati, è necessario che lo studente presenti un regolare contratto di locazione. «Giustissimo e sacrosanto - commenta il rappresentante degli studenti - Il punto è che la maggior parte degli affitti sono in nero, così il proprietario chiamato alla trasparenza, pur di non perderci è portato a tirare su il prezzo». Come dire: contributo o no alla fine per lo studente non cambia niente. Vogliamo poi parlare di alloggi? «Col nuovo sistema informatizzato per le graduatorie nei giorni scorsi ne abbiamo visto delle belle - dice Gianluigi Piras -. Certo s’è tutto aggiustato, ma molte matricole che già dal primo ottobre avrebbero dovuto avere l’alloggio, per quindici giorni hanno dovuto arrangiarsi da sole». Un fatto gravissimo che per il rappresentante di Sinistra Universitaria merita giustizia: «Vogliamo assolutamente - dice Piras - che l’Ersu rimborsi i ragazzi per il disagio patito. Su questo punto siamo fermissimi, siamo pronti anche a dare battaglia pur di vedere salvaguardato quello che consideriamo un diritto violato». E a proposito di servizi forniti dall’Ersu, Piras fa qualche appunto anche sul servizio mensa: «Cosa ci sta a fare - si domanda - una mensa in piazza Michelangelo dove non c’è neppure un polo universitario? Quella di via Premuda è forse più accessibile, anche in questo caso siamo però lontani dalle facoltà». Bocciata senza appello anche la mensa del polo scientifico di Monserrato: «Troppo piccola - dice Piras - rispetto alle reali esigenze. Senza contare che lì non c’è neppure la cucina: i cibi arrivano già cucinati dalle altre mense». Insomma, uno scenario per nulla edificante che dà il polso sul disagio degli studenti: un esercito di circa 37 mila persone, buona parte delle quali fuori sede, che, sottolinea Piras, contribuiscono non poco all’economia della città. «E di questo - conclude il rappresentante degli studenti - le istituzioni dovrebbero tenerne conto». Sabrina Zedda FACOLTÀ PER FACOLTÀ Psicologia Gli spazi sono ridottissimi. Il corso di laurea scoppia, ma le aule non bastano mai. Giurisprudenza. Anche qui il vero problema sono gli spazi. Cinema e teatri diventano così alloggi di fortuna, ma l’acustica non è il massimo, mentre la luce scarseggia: gli occhi chiedono tregua. Lingue Oltre alla questione aule, che non bastano, la facoltà si distingue perché, dice Gianluigi Piras, «non tutti gli studenti iscritti al vecchio ordinamento hanno la possibilità di optare per il nuovo. Una questione che nelle altre facoltà neppure si pone». Medicina I dati sui laureati sono incoraggianti, il problema è il dopo: non tutti riescono a entrare nelle scuole di specializzazione, neppure quelli con ottimi curriculum. Scienze A pesare qui sono i tagli sui fondi per i laboratori: l’anno scorso gli studenti si sono dovuti finanziare da soli, versando circa quaranta euro a testa. Lettere e Filosofia L’aula informatica è off-limits ai disabili. L’ascensore c’è ma pare non funzioni. Scienze politiche Piani di studio poco coerenti e lauree specialistiche che sono una ripetizione delle triennali: sono queste le pecche più segnalate dagli studenti. Ingegneria Non sempre è facile avere libri in prestito dalla biblioteca. Nelle aule d’informatica si fa lezione con computer ultra vecchi. Economia Anche qui ci sono problemi di spazi che non bastano mai. La facoltà andrebbe inoltre informatizzata e senza computer è davvero difficile satre al passo con le altre facoltà della penisola. Scienze dell’educazione Non è abbastanza organizzata, così gli studenti si trovano costretti, negli stessi mesi, a dover seguire troppe lezioni e a sostenere troppi esami: essere studenti in corso è un sogno che solo pochi riescono a realizzare e si allungano i tempi per arrivare a laurearsi. (s. z.). _________________________________________________________ SardiNew 20 ott. ’05 CAGLIARI: TUTTI I DISAGI (TANTI) FACOLTÀ PER FACOLTÀ La parola agli studenti di Cagliari di Olimpia Loddo Il rettore Mistretta verso l’ennesima conferma, corsi a numero chiuso, università di massa o di élite Settembre, l’ateneo cagliaritano lentamente si risveglia. Gli scossoni non mancano, molti guardano alle vicende per la riconferma - o meno- del rettore Pasquale Mistretta. Succede lo stesso a Sassari dove potrebbe essere riconfermato Alessandro Maida. E gli studenti? I primi studenti cominciano a circolare per i corridoi. Gli esami della sessione autunnale sono vicini, in qualche facoltà già iniziati. I corsi a numero chiuso La tensione da esame non risparmia neanche le matricole. Per molte di loro ci sarà un test d’ingresso. Da quest’anno sono ventiquattro i corsi di laurea a numero chiuso. Ogni facoltà ne ospita almeno uno. Unica eccezione: giurisprudenza. Gianluigi Piras presidente del consiglio degli studenti si è schierato contro la chiusura dei nuovi corsi. La considera però un male minore. Il vero pericolo è l’università d’elite, appoggiata dagli avversari del rettore Mistretta. “I sostenitori di quest’idea – dice Gianluigi Piras – non vogliono una semplice riduzione, ma un dimezzamento del numero degli studenti” L’università di Cagliari resta di massa. Gli iscritti sono circa 40.000 dei quali 16931 fuoricorso. Troppi forse, ma meno che in passato. Il numero dei laureati è alto; nel 2004 se ne sono contati 4725. Nuovi edifici In primavera il consiglio di amministrazione dell’ateneo ha approvato una delibera per l’acquisto di alcuni locali in via Abruzzi. Giuseppe Frau studente di medicina e membro del consiglio di amministrazione spiega che si trattava di un acquisto necessario:” Ci sono quattromila studenti di psicologia che hanno bisogno di una sede. Già in autunno potranno accedere alle nuove aule. La carenza di aule è un problema comune a tutte le facoltà, ma si sta cercando di risolverlo. Ad esempio, nell’ex clinica Aresu, ci sono tre aule da duecento posti che presto saranno assegnate a scienze politiche.” Si parla della cittadella universitaria sede delle facoltà di scienze e medicina “Un luogo troppo isolato e collegato malissimo. – dice Giuseppe - Gli autobus smettono di circolare prima della fine delle lezioni. Mancano totalmente spazi ricreativi per gli studenti. Si stanno costruendo due edifici nuovi: uno è già terminato, l’altro l’anno prossimo ospiterà medicina” In verità anche i palazzi già aperti, avrebbero bisogno di essere restaurati. Sono stati inaugurati nel 1996, ma in realtà stanno in piedi da quasi quindici anni. In alcuni corridoi comincia a penetrare l’acqua. Medicina In medicina nell’ultimo anno accademico ci sono stati circa 200 laureati, quasi il doppio rispetto al 1996/97 “E’ senza dubbio un dato positivo – commenta Davide Matta rappresentante dei medici specializzandi – purtroppo, non tutti riescono ad entrare nelle scuole di specializzazione. Per esempio, in cardiologia c’erano solo cinque posti. I candidati erano 25. Tutti con ottimi curriculum, ma troppo legati alla cardiologia per poter pensare di specializzarsi in altro. Molti di quelli tagliati fuori faranno la guardia medica per anni o lavoreranno in cliniche private, con uno stipendio di otto euro l’ora lordi.”. Lettere e filosofia L’organizzazione nella facoltà di Lettere e filosofia sembra essere migliorata. “È previsto un appello al mese per agevolare gli studenti fuoricorso. I calendari degli esami sono esposti in tempi ragionevoli. Purtroppo sono ancora tanti i problemi legati alle strutture - dice Fabrizio Demontis senatore accademico iscritto in lettere “Le aule sono ancora sovraffollate. E’ stata creata un’aula d’informatica inaccessibile ai disabili. L’ascensore ci sarebbe, ma non l’ho mai visto in funzione. Ho visto invece dei colleghi paraplegici trasportati a braccia per entrare in aula “. Fabrizio ha votato contro la modifica dello statuto che consentirà al vecchio rettore di candidarsi per l’ennesima volta. “Si tratta soprattutto di una questione morale, non si possono cambiare le regole in corsa. L’università soffre anche per una mancanza di alternative.” Scienze matematiche fisiche e naturali Sono 3500 in tutto gli studenti delle facoltà scientifiche cagliaritane. La metà sono iscritti nei corsi di biologia, oggi a numero chiuso. Da circa tre anni, sono stati tagliati i fondi per i laboratori. “Nel 2004 ci siamo finanziati da soli, con un contributo di circa quaranta euro a testa per le spese di laboratorio. – dice Manuel Floris, rappresentante degli studenti in scienze. – In compenso nei corsi di Chimica, Fisica, Scienze Materiali e Matematica, si cerca di frenare il calo delle immatricolazioni, dando agli studenti in corso diversi vantaggi economici. Ad esempio chi è in regola con gli esami non paga ne’le tasse ne’i biglietti dell’autobus e riceve dei buoni acquisto per i libri. Corsi di laurea specialistica in biologia Il primo anno dei tre corsi di laurea specialistica in biologia potrebbe non partire. A luglio il rettore aveva promesso un finanziamento di 150.000 euro per tutti i corsi di laurea in biologia. Il prof. Giovanni Floris si mostra scettico”La data di inizio dei corsi è prevista per il primo novembre – dice – e ancora non abbiamo ricevuto un soldo “Sono circa 120 gli studenti neolaureati che potrebbero non riuscire a specializzarsi a Cagliari. Chi invece ha già iniziato la specializzazione potrà completarla, ma forse non potrà usare i laboratori. Scienze dell’educazione “Essere regolare negli studi da noi è quasi impossibile. Il 50% degli studenti è fuoricorso. – racconta Andrea Marrone studente di scienze dell’educazione - Ci sono troppi esami da preparare in poco tempo. Normalmente ogni anno si riesce a superare solo un terzo di quelli previsti nel piano di studi. Questa è una facoltà caotica e disorganizzata. Le lezioni si svolgono in aule sovraffollate e nell’arco di pochi mesi . Siamo abbandonati a noi stessi” Lingue e letterature straniere Per anni gli studenti di Lingue e Letterature straniere sono stati costretti a vagare da un capo all’altro della città. I corsi infatti si svolgevano in luoghi distanti tra loro e difficili da raggiungere in tempo utile, soprattutto per uno studente non motorizzato. Dall’anno scorso la maggior parte dei corsi è stata trasferita nella vecchia clinica Aresu. Cristina Casti studentessa di lingue parla del cambiamento: “Con la nuova sede, va molto meglio, è più facile seguire i corsi. Gli orari andrebbero comunque migliorati. Le lezioni sono distribuite senza logica nell’arco dell’intera giornata. Non esistono turni di tutoraggio, quindi è difficile ottenere spiegazioni. Nonostante questo si può restare in corso. Quest’anno ho seguito delle lezioni di russo al centro linguistico d’ateneo che sono stati utilissimi ai fini degli esami. Ho dovuto anticipare i soldi perché i finanziamenti non erano ancora arrivati. Chi non poteva permetterselo, non ha potuto sfruttare questa possibilità“ Scienze politiche Con le lauree triennali c’è stato un miglioramento. I programmi sono stati snelliti, i fuoricorso sono diminuiti. “Ci sono comunque molti problemi – afferma Roberto Ibba, studente specializzando in scienze politiche - Le lauree specialistiche sono una ripetizione delle triennali. Speravo invece di ricevere strumenti per poter fare ricerca. I piani di studio sono poco coerenti. Per esempio mi sto specializzando in Storia, ma sono obbligato a dare tre esami di economia.” Ingegneria In ingegneria a settembre ci sono stati i corsi di preparazione ai test d’ingresso. Anche chi sceglie le lauree aperte, dovrà superare un test. Un “esame di riparazione” attende chi non raggiunge la sufficienza . “I corsi preparatori hanno aiutato gli studenti ad affrontare con più serenità il quiz d’orientamento e lo studio universitario – spiega Alessio Orrù, rappresentante degli studenti in ingegneria – Ma le lacune della nostra facoltà restano gravi. Mancano le strutture per poter studiare bene. L’aula di chimica ad esempio è come se non esistesse. Solo in pochi riescono ad entrarci. I computer ci sono, ma sono vecchissimi. In alcune aule c’è un acustica pessima perché sono molto grandi, in altre l’acustica è discreta ma non c’è spazio per sedersi. Le biblioteche sono piccole e spesso ottenere in prestito una rivista è un utopia” Economia Il vecchio anno accademico si chiude in attivo per la facoltà di economia e commercio. Aperta la nuova biblioteca nell’ex albergo del povero. Sono messi a disposizione degli studenti 70 mila volumi, 20 mila riviste, 20 computer. Secondo Fabiola Nucifora, studentessa di economia e senatrice accademica si sono fatti molti passi avanti. Ma c’è ancora parecchio da fare. “Gli spazi a disposizione degli studenti sono ancora pochi, metà della biblioteca di economia è occupata dagli studi dei docenti. Bisogna informatizzare la facoltà. Gli studenti di economia non possono ancora usare internet per iscriversi agli esami, al contrario di quelli di giurisprudenza e di altre facoltà. In compenso dall’otto settembre tutti gli studenti dell’ateneo potranno pagare le tasse con internet o tramite bancomat . L’importo da pagare sarà comunicato via e-mail.” Giurisprudenza Nella facoltà di giurisprudenza il 20 settembre comincerà il corso introduttivo per le nuove leve che si accostano per la prima volta al diritto. Una bella iniziativa che evita lo stress del test di ingresso e attenua lo shock delle prime lezioni universitarie. La piaga di giurisprudenza, è la totale mancanza di strutture, ne parla Silvia Corda senatrice accademica e studentessa di giurisprudenza: “Le lezioni si svolgono in aule da ristrutturare totalmente. Spesso siamo costretti a seguire le lezioni in un vecchio cinema, nella semioscurità. L’unica porta del cinema è molto bassa e non ci sono finestre, ma solo semplici abbaini. Le uniche due aule decenti le dividiamo con economia e scienze politiche. Siamo l’unica facoltà in tutto l’ateneo che non ha una sala computer. È grave, visto che l’esame di informatica è obbligatorio per molti studenti. ======================================================= _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 ott. ’05 IN VIAGGIO COI PROFUGHI DEL POLICLINICO DI MONSERRATO In viaggio coi profughi della linea 'otto' Da piazza Matteotti al Policlinico di Monserrato fra anziani e studenti inscatolati come sardine CAGLIARI. Sembra uno sbarco di profughi o clandestini e invece i passeggeri hanno un regolare biglietto da novanta minuti, una tessera argento per gli over 65 o un abbonamento mensile per studenti. E' un viaggio sugli autobus della "Cagliari trasporto pubblico". La linea è la 8 del Ctm, che ogni giorno parte da piazza Matteotti e fa capolinea al Policlinico universitario di Monserrato. Sono le nove del mattino di una qualsiasa giornata della settimana. Già nel largo Carlo Felice, davanti alla Rinascente, l'autista ha difficoltà ad aprire le portiere. Il pullman è stracarico, ma rinunciare a prenderlo può voler dire aspettare almeno altri venti minuti per strada e il prossimo potrebbe offrire lo stesso biglietto di benvenuto. Il viaggio è lungo e per arrivare alla Cittadella ci vuole circa un'ora. Si passa davanti all'ospedale Civile, dove scendono per le visite gli anziani strattonati: faticano a restare in equilibrio. Si prosegue per viale Buoncammino e per piazza d'Armi, dove si concentrano i poli universitari economico, giuridico, umanistico di Sa Duchessa e d'ingegneria. La situazione si alleggerisce. Sono una quarantina gli studenti che scendono per andare a lezione o per sostenere gli esami, quando toccano terra sospirano di sollievo. Con la fronte imperlata di sudore restano a bordo le le donne anziane, che finora hanno fatto fatica a trovare una maniglia libera a cui aggrapparsi. Ancora un'altra tappa: l'ospedale di via Is Mirrionis, dove in tanti salgono per raggiungere il Policlinico universitario. Sono sempre studenti, quelli che hanno trovato una stanza in affitto a basso costo vicino a piazza San Michele. E ancora anziani, quelli che devono presentarsi per la visita di controllo nel centro rinomato per la ricerca universitaria. Ci vuole una mezz'ora di tragitto, fra il traffico di via Cadello e le strade di Pirri e Monserrato. Non è semplice: le strade sono strette ma non mancano le auto parcheggiate in doppia fila, lasciate da chi si ferma solo cinque minuti per prendersi il caffè, senza badare al disturbo che arrecano. L'autista si sfoga con il clacson per stanare il maleducato di turno. Dietro si forma una coda di automobili, che strombazzano a loro volta. I passeggeri si lamentano: "Il viaggio è già sfiancante - commenta un signore di 72 anni - anche senza queste soste". L'idiota esce con l'immancabile sorriso sulle labbra e sposta l'auto. Si riparte e si arriva alle code dei semafori su un breve tratto della 554. Poco meno di un chilometro e finalmente si scende: sudati, affaticati e sballottati. Quattro chiacchiere con l'autista, che si sgranchisce le gambe durante la sua breve pausa e commenta: "La stessa scena la ogni mattina. A me dispiace, perché i passeggeri viaggiano davvero male, ma noi non possiamo farci niente, dipende tutto dall'azienda". Finita la pausa si riparte e si ritorna in città. E la situapeggiora. Questa volta sono gli abitanti di Monserrato e Pirri che prendono l'autobus per arrivare in via Roma. Anche dall'esterno la situazione è imbarazzante. Mentre si è fermi a un semaforo, la commessa di un negozio indica alla collega il pullman carico di profughi dell'hinterland cagliaritano e scuote la testa in segno di dissenso. Ma chi non ha la macchina o chi non può più guidarla, come i tanti anziani in ritorno dalle visite di controllo, ormai è rassegnato. I ragazzi che sono stati più veloci nel trovare un posto a sedere, fanno mostra di buona educazione davanti a quelli che potrebbero essere i loro nonni e si alzano per cederlo. Ma non c'è spazio per arrivare fino al sedile. Un uomo ringrazia e rinuncia. Qualcuno se la prende con il conducente, altri col vicino che a una fermata troppo brusca gli ha schiacciato il piede: "Sono invalida - si lamenta una donna - le gambe non funzionano. Ma questa tortura la devo sopportare due volte alla settimana". Si arriva in piazza Matteotti, il viaggio è finito. L'autista riparte con un nuovo carico. Domani si replica. Carla Piras _________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 ott. ’05 DIPENDENTI SENZA L’INDENNITÀ: SCIOPERO DI DUE ORE AL POLICLINICO CAGLIARI. Il personale del Policlinico universitario ha scioperato ieri dalle 9 alle 11 per protestare contro il mancato pagamento del trattamento accessorio nello stipendio di ottobre. Nel corso di un’assemblea i lavoratori hanno discusso sulle prossime iniziative di lotta, che potrebbero creare disagi pesanti agli utenti. Al personale dell’Università viene corrisposta ogni mese un’indennità di 66 euro da gennaio, ma i dipendenti del Policlinico ne sono esclusi nonostante il Rettore si sia impegnato a eliminare la sperequazione. _________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’05 GUMIRATO, MANAGER INCOMPATIBILE Il sindacato firma un esposto alla Procura contro il manager: guidava contemporaneamente Asl 8 e un'altra società La Fase: presiedeva un'altra società violando l'esclusiva E alla fine lo accusarono di aver violato l'esclusiva con l'Asl 8. Gino Gumirato, occhialuto manager in carica da una manciata di mesi, è l'oggetto di un esposto firmato dalla Federazione autonoma sindacale europea. Per mesi - denuncia il sindacato - ha guidato l'Asl 8 e la società Cittadella socio sanitaria di Caverzere, facendo strame della clausola contrattuale che gli impone l'esclusiva. «Sono tranquillissimo, l'incompatibilità è solo nelle parole di chi da mesi cerca inutilmente di bloccare il nuovo corso dell'Asl 8», replica il diretto interessato. Sia come sia, salta agli occhi la guerra che da mesi infuria all'interno della Asl. L'ultimo capitolo è stato scritto su tre pagine di carta intestata Fase e firmate dal segretario regionale Tonio Raspino, destinatari il presidente della Giunta regionale e la Procura della Repubblica. Le prime righe sono dedicate al contratto stipulato da Gumirato con l'Asl che prevede l'impegno esclusivo a favore dell'Azienda. Impegno che, secondo la Fase, sarebbe stato infranto: «Il manager ha tenuto nei confronti della Giunta e, in particolare, di tutti i cittadini sardi un comportamento ambiguo e contrario alla morale». Il perché è spiegato nel passaggio successivo: «È ingiustificabile la sua permanenza nella carica di presidente di una società di diritto privato per i cinque mesi successivi alla sua nomina». La Fase ricostruisce la vicenda in questo modo: «La società Cittadella socio sanitaria di Cavarzere, costituita il 26 novembre 2004, aveva come presidente del Consiglio di amministrazione il dottor Gino Gumirato, almeno dal 16 aprile al 6 settembre 2005. Cioè per cinque mesi consecutivi Gumirato ha ricoperto contemporaneamente la carica di direttore generale dell'Asl 8 e presidente del consiglio di amministrazione della società». Cittadella Nella visura camerale, c'è la carta d'identità della società veneta a capitale pubblico-privato: l'oggetto sociale è l'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie. Dovrà dare corso a un progetto di sperimentazione gestionale predisposto dall'Azienda Ulss14 di Chioggia che prevede la parziale riconversione della struttura dell'ex ospedale di Cavarzere in funzione della realizzazione e gestione di un centro poliambulatoriale, di una comunità terapeutica residenziale protetta e di una struttura residenziale protetta e di un'altra per disabili. Non c'è da sbagliare sui poteri nelle mani del consiglio di amministrazione: per l'attuazione dell'oggetto sociale può compiere operazioni commerciali e industriali, bancarie, ipotecarie e immobiliari, compresi l'acquisto, la vendita e la permuta di beni mobili, immobili e diritti reali immobiliari. Ricorrere a qualsiasi forma di finanziamento con istituti di credito, banche, società e privati, concedendo le opportune garanzie reali a favore di terzi. Assumere (..) quote o partecipazioni anche azionarie in altre società di capitali o imprese costituite costituite o costituende per scopi affini. Il capitale sociale è di centomila euro, il venticinque per cento già versato. La legge «Chiedo solo che il manager smetta di dare lezioni di etica ai seimila dipendenti dell'Asl 8», commenta Tonio Raspino. In realtà la partita che si è appena aperta potrebbe avere conseguenze ben più pesanti. L'obiettivo della Fase è dimostrare l'incompatibilità del manager e, di conseguenza, l'annullabilità di tutti gli atti amministrativi compiuti da Gumirato nei primi cinque mesi del suo mandato. Il direttore generale è arrivato con un mandato preciso: sistemare i disastrosi conti dell'Asl 8 e cancellare le perdite entro un triennio. Nel frattempo, deve far decollare l'appalto Siemens che costò la testa al suo predecessore, Efisio Aste. Centinaia e centinaia di milioni che hanno già provocato un terremoto. Incompatibilità sì incompatibilità no, dunque. Lo scontro sindacale si sposta in Tribunale, la parola ai giudici. E, c'è da scommetterci, nei lunghi, ovattati corridoi della Asl, continuerà la lotta. Paolo Paolini _________________________________________________________ Repubblica 20 ott. ’05 I MEDICI A CONGRESSO RILANCIANO IL PUBBLICO Un organismo ad hoc porterà il controllo della spesa sanitaria delle Regioni all'interno del ministero della Salute. Lo ha assicurato il ministro Storace intervenuto a Ischia al 28mo Congresso dei medici dirigenti della Cimo-Asmd. "Certificazione dei bilanci, possibilità di intervenire sul rispetto dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), un controllo diretto step by step valutando le giustificazioni della spesa con una sensibilità ovviamente maggiore alle problematiche della salute di quella che fino ad ora ha avuto il ministero dell'Economia". Il ministro ha assicurato un rapporto medici-ministero più diretto, con la proposta di snellire strutture e procedimenti che regolano le contrattazioni. Ma sono molte altre le regole sulla salute che non piacciono ai dirigenti ospedalieri Cimo. "In primis", specifica il presidente Stefano Biasioli. "un'aziendalizzazione spinta che privilegia l'attenzione ai costi invece che all'efficacia". Accento poi sulla rivisitazione dei Drg (la base dei rimborsi nel Servizio sanitario) e dei Lea che avrebbero sottovalutato conseguenze e complicanze delle patologie croniche.Urgente anche una soluzione del problema dell'usura del medico ospedaliero, pensiamo al problema delle guardie notturne, che toglie anche garanzia di sicurezza al cittadino. In un altro congresso (quello della Fimmg, Federazione nazionale dei medici di medicina generale), dalla Puglia, il segretario Mario Falconi ha "minacciato" la nascita di un "Partito della Salute", in chiave di rilancio del Servizio sanitario pubblico e solidale. L'idea di un partito di medici non è piaciuta al ministro. La Fimmg chiede, inoltre, il coordinamento funzionale ed economico con gli altri elementi del Welfare, senza tralasciare lavoro e assistenza sociale con un'attenzione particolare alla non-autosufficienza. (maria gullo) _________________________________________________________ La Stampa 19 ott. ’05 LA SALMONELLA SA RISTRUTTURARE IL SUO DNA LA SCOPERTA ALL’UNIVERSITA’ DI UPPSALA GRAZIE ALLO STUDIO DELLE MUTAZIONI IN QUASI SETTEMILA GENERAZIONI DEL BATTERIO: IN SOLO CINQUANTAMILA ANNI RINNOVA COSI’ UN QUARTO DEI SUOI GENI I batteri patogeni, che provocano malattie, sono particolarmente interessanti dal punto di vista genetico poiché devono continuamente inventare nuovi trucchi per intrufolarsi nei loro ospiti, che a loro volta sviluppano nuove contromisure, portando a una sorta di evoluzione accelerata. Ora vari studi hanno svelato alcuni segreti della Salmonella, un killer di grande successo che spesso si nasconde nel nostro cibo e si è dimostrato in grado di evolvere a velocità impressionante. La Salmonella infetta nel mondo un milione di persone all'anno ed è la prima causa di avvelenamenti da cibo nel mondo occidentale. In agosto in Spagna si è verificata una piccola epidemia, con 1700 infezioni. La Salmonella è un batterio molto intraprendente, in grado di infettare creature diversissime, come mammiferi, uccelli e rettili, ma anche nascondersi nell'ambiente in attesa di un ospite adatto. Dal 1885 a oggi sono stati identificati 2213 ceppi, anche se quelli che infettano gli esseri umani sono solo due, Salmonella enteritidis e Salmonella typhimurium, di cui l'ultimo è molto più comune. Ma come ha fatto la Salmonella, che ha avuto origine 100 milioni di anni fa dal ben noto Escherichia coli, che viveva libero nell'ambiente, a evolvere in questa incredibile varietà di batteri? Dan Anderson, dell'Institute of Food Research inglese, in collaborazione con l'Università svedese di Uppsala, ha studiato sperimentalmente con il sistema delle micromatrici di Dna 6750 generazioni di batteri. È emerso che la Salmonella è in grado di espellere dal proprio genoma i pezzi di Dna superflui o diventati inutili. I batteri Salmonella sono potenzialmente in grado di perdere fino a un quarto dei loro geni in 50.000 anni, snellendo il loro genoma e facendo spazio per nuovi geni, magari presi in prestito da altri batteri. Ma i trucchi genetici della salmonella non sono finiti qui. Deve vivere infatti nel cibo, freddo, per poi iniziare il processo infettivo quando entrano nel corpo di un ospite, caldo. La risposta della Salmonella alla temperatura è stata studiata da John Ladbury, del University College London: «Abbiamo scoperto che a basse temperature la Salmonella disattiva i geni necessari per l'infezione e li riattiva una volta che si trova nel corpo caldo di un ospite. Non vuole sprecare energie mentre aspetta di essere mangiata su una foglia di lattuga.». L'interruttore termico è una proteina chiamata H-NS, che permette l'attivazione in pochi minuti di 532 geni diversi, necessari per azioni come nuotare, poco utili sulla foglia di insalata. Secondo Ladbury, la proteina cambia forma a seconda della temperatura, ma per ora è solo una supposizione. In passato, la lettura del genoma della Salmonella aveva permesso di scoprire qualche altro trucco interessante. Per esempio, oltre a risparmiare le forze, il batterio è in grado di attingere a una risorsa energetica inusuale, l'idrogeno molecolare, che viene spezzato sulla membrana cellulare e reso disponibile per ulteriori reazioni chimiche. Di solito le infezioni di Salmonella provocano solo una forte dissenteria, che molto raramente è così grave da portare a una disidratazione mortale. In compenso, come succede a tutti i batteri patogeni, stanno facendo la loro comparsa ceppi di Salmonella resistenti agli antibiotici, nonostante vengano curate in questo modo solo le infezioni più gravi, perché si è scoperto che la somministrazione di antibiotici fa sì che i batteri siano presenti nelle feci del paziente per tempi più lunghi, aumentando il rischio di trasmissione. Proprio per questo molte ricerche riguardanti la Salmonella mirano a risolvere il problema alla radice, sviluppando vaccini per gli animali, come i polli, da cui più spesso viene contratta la malattia. _________________________________________________________ La Stampa 19 ott. ’05 L’AGLIO (INCREDIBILE) FA BENE ALL’AMORE AL FORTE SAPORE DEL BULBO DI QUESTA PIANTA CORRISPONDONO NUMEROSE VIRTU’ CURATIVE L’ALLIUM SATIVUM è un bulbo appartenente alla famiglia delle liliacee. Il suo sapore forte è dovuto a un olio essenziale ricco di composti solforati, soprattutto disolfuro e trisolfuro di allile. Il luogo di origine dell’aglio è controversa: secondo Linneo (naturalista svedese vissuto nel XVIII secolo) è la Sicilia; per altri è il deserto del Kirghisi; per altri ancora la specie cresce spontanea solo in India e in Asia Centrale. Di certo si sa che in Cina l'aglio era già noto tremila anni fa; nell'India antica era usato per attenuare i dolori alle giunture o in caso di febbre. Era però considerato un cibo inibitore della crescita corporale. Di qui si vede la "duplice natura" di tale alimento, da una parte largamente utilizzato e apprezzato, o addirittura considerato miracoloso, dall'altro ripudiato. Tralasciamo le molte applicazioni terapeutiche dell’aglio dagli antichi egizi all’età moderna. La prima vera prova scientifica delle proprietà dell'aglio risale al 1858, quando il chimico e biologo francese Louis Pasteur scoprì la sua efficacia nel bloccare la riproduzione di batteri nocivi e quindi la sua proprietà antibiotica. Oltre alle note qualità vermifughe e tonificanti, oggi si sa che l’aglio è lassativo, diuretico, antisettico (soprattutto polmonare grazie al suo contenuto di zolfo e ossido di allile), battericida, espettorante, febbrifugo, regolatore della circolazione cardiaca. I principi antibiotici dell’aglio sono l'Allicina, la Garlicina e le Allistatine, che distruggono lo stafilococco, allontanando il raffreddore incipiente (in un vecchio trattato su "Le erbe medicinali" è scritto che la "pelle bianca dell'aglio è indicata per fare sulfumigi contro il raffreddore"). Indicato contro le punture di insetti e persino contro i calli, l'aglio è anche utilizzato per le sue proprietà ipotensive e perché in grado di giovare al cuore (grazie all'allicina, una sostanza che rende più fluido il sangue, contrastando la trombosi), abbassare il livello di colesterolo del sangue, ridurre l'incidenza di tumori, specie quelli dell'apparato digerente, e stimolare in modo aspecifico il sistema immunitario (aumentando la fagocitosi di organismi invasori e cellule anomale - è un "natural killer"). Il caso dell’aglio è singolare: molte delle presunte virtù attribuitegli in passato, tra cui iniziali credenze, oggi sono state confermate dai moderni studi scientifici. La sua "sorte" è paragonabile a quella della belladonna: gli effetti qualitativi di entrambi, noti già nel lontano passato, non soltanto hanno trovato un riscontro e una conferma, ma sono anche stati accreditati dal punto di vista quantitativo. L'aglio crudo, però, non è per tutti. E’ meglio non consumarne quantità eccessive: potrebbe a lungo andare danneggiare le cellule ematiche e portare anemia. Tuttavia - paradossalmente - sembra che la sua assunzione sia di aiuto all'amore: le virtù afrodisiache erano già note nel secoli scorsi, quando aglio e cipollotti erano vietati nei monasteri perché considerati eccitanti sessuali (ciò è oggi confermato dalla scoperta dei benefici apportati al sistema cardiocircolatorio). Ma attenzione: i greci non dicevano "fetido" a torto. Infatti se da una parte la "bagna càuda", la salsa piemontese a base di aglio, olio e acciughe, è per tradizione il piatto della socialità e dell'allegria in grado di stringere i legami di amicizia e vicinanza (questa sua influenza positiva sull'umore potrebbe, in un prossimo futuro, essere spiegata con la scoperta di un'influenza dell'aglio sul sistema neuro-modulatore), dall'altro, si sa, "l'alito cattivo" è nemico di fidanzati e giovani coppie, causa di inaspettati allontanamenti e di decise "distanze di sicurezza"(*)Liceo scientifico «Galilei», Nizza Monferrato Giovanna Caviglia _________________________________________________________ La Stampa 20 ott. ’05 NUMERI PRIMI: GLI IRRIDUCIBILI ALL’IPERMERCATO UN DIVERTENTE DIALOGO SUI «NUMERI PRIMI» CHE CI FA SCOPRIRE QUANTO LA MATEMATICA SIA IMPORTANTE ANCHE NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA EMMY e Alice stavano facendo la spesa in un ipermercato. Bip bip! Al cellulare di Emmy arriva un sms di suo cugino: "Tre ricercatori indiani hanno trovato un nuovo algoritmo per stabilire se un numero è primo. Che te ne pare?" Emmy lesse ad alta voce e aggiunse: "Vedremo!" Alice con perfida ironia commentò: "Tu e tuo cugino siete proprio strani! E poi cosa sono questi numeri primi? In che reparto li possiamo comprare?" Con molta pazienza Emmy rispose: "Ti mostrerò i numeri primi anche tra questi scaffali." A: "Non ci credo!" E: "Innanzi tutto, un numero intero, maggiore di 1, si dice primo se è divisibile solo per se stesso e per l'unità. I numeri primi sono così importanti poiché ogni numero intero positivo può essere espresso come prodotto di primi in un unico modo." A: "Ma possiamo sapere quanti numeri primi esistono?" E: "Il grande matematico greco Euclide dimostrò che ne esistono infiniti. Ti racconto la dimostrazione?" A: "No, non capirei niente. Piuttosto si può riconoscere subito se un numero è primo?" E: "Purtroppo no. Si può però usare il famoso Crivello di Eratostene." Prese un foglio e una penna dalla borsa e cominciò a disegnare una tabella in cui scrisse tutti i numeri da 2 a 47. "Prima di tutto cancelliamo tutti i numeri pari tranne 2 che è primo; poi tutti i multipli di 3, 5, 7, 11, 13 e così via. In questo modo restano solo i numeri primi. 47 non è cancellato: è primo! Questo metodo diventa lentissimo per numeri grandi, perciò i matematici si sono sforzati di trovare formule per ricavare tutti i numeri primi, ma per ora hanno perso la sfida. I numeri primi, infatti, non si succedono con regolarità, sono imprevedibili, spuntano fuori senza preavviso come funghi, all'inizio ce ne sono tanti, ma più ci si allontana dallo zero, più diventano rari." Poco dopo andarono a comprare le scarpe per i loro figli, che calzavano 31 e 29. A: "Guarda un po', altri due numeri primi!" E: "Questi però hanno una particolarità: la loro differenza è due." A: "Allora? Non mi sembra una cosa tanto strana." E: "In questi casi si parla di «numeri primi gemelli». Altri esempi sono 3 e 5, 59 e 61, 101 e 103. Si ritiene che esistano infinite coppie di primi gemelli ma finora nessuno è stato in grado di dimostrarlo". A: "Per fortuna 29 più 31 dà 60, un semplice numero pari! Secondo me questo è sempre vero se sommo due primi!" E: "…maggiori di 2! Piuttosto chiediti se ogni numero pari maggiore di 2 è somma di due numeri primi." A: "Secondo me non è sempre vero! Dunque, 4=2+2; 20=13+7; 48=29+19… Non so!" E: "Consolati! Non sono bastati due secoli e mezzo per risolvere questo problema, detto Congettura di Goldbach. Il guaio è che i numeri primi sono definiti attraverso la moltiplicazione, mentre il problema coinvolge l'addizione." Bip bip! Un sms per Alice. A: "Un mio amico mi ha mandato un sms dall'estero, guarda il numero: 214 74 83 647." E: "Lo riconosco! È il quinto numero primo di Mersenne: 231-1! Questi numeri primi sono della forma 2n-1. Non tutti i numeri di questa forma sono primi e non si sa se ci sono infiniti primi tra i numeri di Mersenne." Pagarono le scarpe con la carta di credito. E: "Per garantire la sicurezza in questi pagamenti si usa il metodo RSA, che è molto sicuro proprio perché basato su due numeri primi molto grandi." A: "Non immaginavo che i numeri primi entrassero tanto spesso nella nostra vita. Mi hai convinta, non sono così astratti." E: "La cosa straordinaria della matematica è che anche se i numeri primi non avessero utilità, sarebbero ugualmente affascinanti!" Si salutarono promettendosi di affrontare la congettura di Riemann dal parrucchiere. Antonio Macchia (*) _________________________________________________________ Le Scienze 21 ott. ’05 LA RISPOSTA INFIAMMATORIA AGLI STATI EMOTIVI Osservate differenze nei livelli di due biomarcatori dell'infiammazione Recenti scoperte suggeriscono che l'esaurimento psicofisico causato dal lavoro possa condurre allo sviluppo di processi infiammatori che svolgono un ruolo importante nell'insorgere e nella progressione di malattie cardiovascolari e di altri disturbi. Alcuni ricercatori hanno ora scoperto che gli uomini e le donne differiscono nelle reazioni infiammatorie allo stress e alla depressione sul posto di lavoro. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista "Journal of Occupational Health Psychology", le donne che sperimentano un esaurimento nervoso e gli uomini soggetti a depressione presentano un maggior livello di due noti biomarcatori dell'infiammazione, il fibrinogeno e la proteina C reattiva (CRP). Entrambi questi marcatori, in passato, sono stati associati al rischio di malattie cardiovascolari e di ictus. Nel primo studio su larga scala che mostra una differenza fisiologica nel modo in cui i due sessi reagiscono agli stati emotivi, i ricercatori Sharon Toker dell'Università di Tel Aviv e colleghi hanno esaminato i marcatori di micro-infiammazione nel sangue e i livelli di esaurimento psicofisico, depressione e ansia in 630 donne e 933 uomini sani per determinare quali condizioni costituissero i maggiori fattori di rischio per ciascun sesso. Per misurare i livelli di infiammazione sono stati usati le concentrazioni di fibrinogeno e la quantità di CRP nel sangue. La depressione è stata definita come uno stato di angoscia generalizzato e relativo a tutti gli aspetti della vita, mentre l'esaurimento psicofisico è stato definito come un calo delle risorse energetiche di un individuo al lavoro. I risultati indicano che le donne "esaurite" e gli uomini "depressi" sono a maggior rischio di future malattie legate all'infiammazione, come il diabete, gli attacchi cardiaci e gli ictus, rispetto alle loro controparti non soggette a esaurimento o depressione. Tutti i collegamenti sono stati determinati dopo aver tenuto conto anche dei fattori fisiologici di cui è nota l'associazione con i livelli di fibrinogeno e di CRP. Lo studio ha importanti implicazioni per la gestione dello stress sul posto di lavoro per prevenire i disturbi cardiovascolari e altri problemi di salute legati all'infiammazione. Sharon Toker, Arie Shirom, Itzhak Sharpira, Shlomo Berliner, Samuel Melamed, "The Association Between Burnout, Depression, Anxiety, and Inflammation Biomarkers: C-Reactive Protein and Fibrinogen in Men and Women". Journal of Occupational Health Psychology, Vol. 10, No. 4 (2005). _________________________________________________________ Le Scienze 19 ott. ’05 ANORMALITÀ NEI MUSCOLI DEGLI OBESI L'esercizio fisico sarebbe più efficace della riduzione calorica I muscoli scheletrici degli individui gravemente obesi sono "programmati" per ammassare grasso: lo rivela uno studio pubblicato sul numero del 12 ottobre 2005 della rivista "Cell Metabolism". La scoperta suggerisce che i muscoli possiedano una memoria metabolica dell'obesità, il che - secondo i ricercatori - potrebbe spiegare perché questi individui hanno difficoltà a perdere peso in modo sostenuto nonostante la riduzione del consumo di calorie. L'esercizio fisico potrebbe dunque risultare più efficace della dieta nell'annullare la programmazione metabolica aberrante nei muscoli, migliorando la prognosi a lungo termine dei pazienti. Gli scienziati, guidati da Deborah Muoio dello Stedman Nutrition and Metabolism Center della Duke University, hanno osservato che nei muscoli degli individui obesi la stearoil-CoA desaturasi-1 (SCD-1), un enzima che accumula grasso, è tre volte più abbondante rispetto ai muscoli delle persone magre. La scoperta di questa attività enzimatica fa chiarezza sull'importante legame fra l'obesità, il diabete e l'accumulo anormale di grasso nei muscoli. "L'obesità e il diabete di tipo 2 - spiega Muoio - sono associati con un metabolismo anormale dei lipidi e con l'accumulo di goccioline di grasso nei muscoli, ma le cause alla base di queste perturbazioni erano finora sconosciute. Ora abbiamo dimostrato che la SCD1 contribuisce in maniera importante a questi cambiamenti nella gestione dei lipidi nei muscoli e alla progressione dell'obesità". Matthew W. Hulver, et al., “Elevated Stearoyl-CoA Desaturase-1 Expression in Skeletal Muscle Contributes to Abnormal Fatty Acid Partitioning in Obese Humans”. Cell Metabolism, Vol. 2, ottobre 2005, pp. 251-261. DOI 10.1016/j.cmet.2005.09.002. _________________________________________________________ Le Scienze 21 ott. ’05 MOLECOLE DI LUCE Possono essere trasmesse attraverso i sistemi di fibre ottiche Un gruppo di fisici dell'Università di Rostock, in Germania, ha prodotto le prime molecole di luce al mondo. L'esperimento potrebbe consentire di aumentare significativamente il tasso di trasferimento dei dati attraverso i sistemi a fibra ottica. Le molecole sono costituite da solitoni, impulsi di luce che - a differenza della maggior parte degli altri tipi di impulso - non si dissipano o perdono facilmente la propria forma. I solitoni sono onde con caratteristiche simili alle particelle di materia, come gli elettroni. Sono utili per la trasmissione di informazioni perché i segnali possono viaggiare per lunghe distanze senza degradarsi. I ricercatori sostengono di essere stati i primi ad aver prodotto strutture di solitoni analoghe alle molecole. I sistemi di fibre ottiche trasmettono informazioni inviando attraverso una fibra segnali luminosi sotto forma di combinazioni di "zero" (buio) e "uno" (luce). Il tasso di trasferimento dei dati con questo codice binario sta ormai raggiungendo i suoi limiti fondamentali, ma potrebbe essere possibile superare questo limite trasmettendo informazioni sotto forma di "zero", "uno" e "due", con le molecole di solitoni che rappresenterebbero il numero due. M. Stratmann, T. Pagel e F. Mitschke ipotizzano che l'utilizzo di molecole di solitoni per codificare il "due" possa portare la tecnologia informatica a un livello successivo senza la necessità di costosi aggiornamenti delle infrastrutture. Ritengono inoltre che possa essere possibile rappresentare anche numeri più elevati con molecole composte da gruppi di solitoni ancora più complessi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Physical Review Letters". _________________________________________________________ Corriere della Sera 16 ott. ’05 CURE IN RITARDO CONTRO L' ARTRITE Esistono farmaci efficaci, ma le diagnosi devono essere tempestive SALUTE. Sanità Iniziative in tutta Italia per una malattia che riguarda 300 mila persone Aprire un barattolo o una caffettiera: un gesto semplice, ma che può rivelarsi impossibile per chi soffre da tempo di artrite reumatoide. Ma oggi, grazie alle cure disponibili è possibile ottenere nella maggior parte dei pazienti una remissione completa e persistente della malattia, ma a una condizione: che la diagnosi sia tempestiva e la terapia sia iniziata precocemente. «Un intervento con i farmaci convenzionali consente di portare in remissione il 69-70% dei pazienti - dice Gianfranco Ferraccioli, ordinario di reumatologia all' Università Cattolica di Roma -. L' importante è che i farmaci vengano assunti dal malato in tempi rapidi, entro il terzo o, al massimo, il sesto mese dalla comparsa dei sintomi». Se entro sei mesi la malattia non è regredita con le terapie convenzionali, si passa ai cosiddetti farmaci biologici, gli anticorpi anti TNF, che agiscono bloccando uno dei meccanismi chiave della malattia. «Circa la metà del rimanente 30% dei pazienti resistenti ai farmaci convenzionali può essere recuperato alla remissione completa con i farmaci biologici - aggiunge l' esperto -. Ciò significa che oggi circa l' 80% dei malati può essere aiutato in maniera efficace». E anche quei pochi pazienti che non rispondono nemmeno agli anti TNF non devono perdere le speranze: sono in arrivo altri farmaci biologici che funzionano con meccanismi differenti. Essenziale è, comunque, la tempestività dell' intervento. Ma oggi, in Italia, il tempo che trascorre fra la comparsa dei sintomi e la diagnosi della malattia varia dai 5 agli 11 mesi. «Per arrivare presto alla diagnosi, - aggiunge Ferraccioli - su iniziativa del Gisea (Gruppo Italiano Studio Early Arthritis), sono stati selezionati 14 centri universitari che sono in grado di dare una risposta entro 72 ore dalla richiesta della prestazione. Sette sono già in funzione (vedi box) e a breve gli altri. I centri Dove l' assistenza è rapida Ecco i Centri universitari di rapida assistenza. Bari, Policlinico, tel. 080.5592775 Ferrara, Osp. S. Anna, tel. 0532.236314 Napoli, II Università, tel. 081.5464487 Pavia, Policl. S. Matteo, tel. 0382.502419 Roma, Policl. Umberto I, tel. 06.49974631 e Univ. del Sacro Cuore, t. 06.3503654 Verona, Policlinico, tel. 045.8074627. Altri Centri saranno attivati a: Iesi, Firenze, Genova, L' Aquila, Modena, Palermo, Siena. L' ASSOCIAZIONE Le giovani donne sono le più colpite In Italia i malati di artrite reumatoide sono 300 mila, soprattutto donne giovani. La malattia coinvolge le articolazioni, specie mani e ginocchia e in 10 anni porta a disabilità il 50% dei malati. L' Associazione nazionale malati reumatici (Anmar, via Polacco 37, Roma, tel. 06.66016720) ha organizzato il 16 ottobre manifestazioni nei capoluoghi di regione e in alcune province per sottolineare il diritto di tutti i malati di accedere facilmente ai nuovi farmaci. Testimonial dell' associazione è da tempo l' attore Max Pisu. Marchetti Franco _________________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’05 CINQUECENTO SCIENZIATI CONTRO IL DALAI LAMA «MEDITARE NON SERVE» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Il Dalai Lama è al centro di una disputa che ha spaccato in due la scienza americana. La causa: la sua tesi che imparando a meditare intensamente il cervello può generare «sentimenti positivi» come l' amore per il prossimo. Il Dalai Lama è stato invitato a parlarne il mese venturo a Washington, alla riunione della Società neuroscientifica, ma 554 studiosi hanno chiesto che il suo discorso venga annullato. «Daremmo spazio a una personalità che avanza rivendicazioni infondate e comprometteremmo il rigore e l' obiettività scientifici», hanno scritto. Roventi le polemiche: i sostenitori del Dalai Lama accusano i contestatori di «manovre politiche». Alcuni di loro, dice Richard Davidson, della Università Wisconsin Madison, sono cinesi o discendenti di cinesi, e non hanno perdonato al Dalai Lama, la sua opposizione alla Cina dopo l' invasione del Tibet. «E' un fatto che la contemplazione buddista influisce sull' umore dell' individuo e gli dà un senso di pace», ha proseguito Davidson. «Non vedo perché non dovremmo approfondirlo». E' lo stesso parere dell' attore Richard Gere, un seguace del Dalai Lama. Secondo il New York Times, è stato Davidson a portare avanti la tesi del Dalai Lama. Il ricercatore ha condotto un esperimento con 25 tecnici e ha scoperto che in fase di meditazione registravano un aumento dell' attività del lato anteriore sinistro del cervello la cosiddetta regione della felicità. In un altro esperimento, Davidson ha accertato che 8 monaci «in stato di contemplazione» producevano più onde gamma di 8 studenti universitari. Le onde gamma sono associate al sistema emotivo umano. Due dei 554, Yi Raho, un professore della Northwestern University di Chicago, e Nancy Hayes, una docente della Johnson Medical School del New Jersey, hanno criticato gli esperimenti. «Quei monaci avevano da 12 a 45 anni in più degli studenti - ha rilevato Raho - e forse hanno capacità mistiche, il confronto non regge». Ha ammonito la Hayes: «Ci addentriamo su un terreno spirituale sconosciuto, e rischiamo di perdere credibilità». La Società neuro scientifica non ha ancora risposto ai 554, ed è possibile che li ignori e il Dalai Lama riesca a fare il suo intervento. Davidson afferma che «doti come l' altruismo, l' affetto e così via possano essere acquisite o rafforzate» e che sarebbe un grave errore non promuovere la meditazione e la contemplazione. I critici ribattono che uno scienziato non può fare il ricercatore e l' apostolo al tempo stesso. Ennio Caretto Premio Nobel Il 14mo Dalai Lama è nato il 6 luglio del 1935 in Tibet, a Takstern, provincia al confine con la Cina Caretto Ennio _________________________________________________________ Corriere della Sera 18 ott. ’05 UN BLOCCO ALLA PSORIASI Nuova arma per fermare il processo infiammatorio Preciso Malattie della pelle Risultati positivi con l' impiego di anticorpi monoclonali Preciso come una freccia verso il bersaglio: così i medici cercano di costruire i medicinali del futuro. Nel caso della psoriasi la freccia potrebbe essere un anticorpo monoclonale, l' infliximab, nato per combattere l' artrite reumatoide ma sperimentato anche in chi soffre di questa malattia della pelle. L' ultima ricerca a favore dell' infliximab è appena uscita sulla rivista Lancet. Gli autori, dell' Università di Manchester, hanno provato il farmaco su 378 pazienti con psoriasi moderata o grave: i partecipanti hanno ricevuto l' infliximab o il placebo per poco meno di un anno. L' anticorpo blocca il tumor necrosis factor-alfa, un mediatore coinvolto nella formazione delle lesioni cutanee: dovrebbe riuscire così a scardinare un passaggio fondamentale della malattia, impedendone la progressione, con conseguente riduzione dei sintomi. Dopo dieci settimane nell' 80% dei malati curati si è visto un deciso miglioramento e nella gran parte dei casi i benefici si sono mantenuti a distanza di un anno. Uno su quattro, per di più, si poteva dire praticamente "ripulito" da ogni segno di psoriasi a fronte di effetti collaterali tutto sommato ben tollerati, a quanto riferiscono gli autori. Che non sono gli unici fautori della cosiddetta "terapia biologica" della psoriasi. A luglio durante il congresso della Società americana di dermatologia, Mark Lebwohl, della Mount Sinai School of Medicine di New York, facendo il punto sulle ricerche ha dichiarato: «Le terapie biologiche alleviano i sintomi della psoriasi e ne rallentano il decorso, ma soprattutto migliorano la qualità della vita. Lo si è verificato sia per infliximab che per etanercept, l' altro anti-TNF-alfa utilizzato nella psoriasi». «Si tratta di anticorpi che in pratica si comportano da immunosoppressori ed è logico pensare a un impiego nella psoriasi, perché in questa malattia c' è una componente immunitaria - commenta Massimo Chinni, direttore dell' VIII Divisione Dermatologica dell' Istituto Dermopatico dell' Immacolata di Roma. - Detto questo, è bene smorzare gli entusiasmi. Infliximab ed etanercept sono approvati per l' uso nei malati con artrite psoriasica, una forma di psoriasi in cui le articolazioni si infiammano; non vengono prescritti, invece, per una psoriasi "normale", che non interessi almeno il 3 per cento della superficie corporea e che risponda ad altri farmaci. In altri termini, ci si arriva quando tutte le altre terapie hanno fallito». Il motivo? In parte la "pesantezza" della cura, che prevede iniezioni a cadenza regolare e può comportare effetti collaterali: come tutti gli immunosoppressori, anche infliximab ed etanercept riducono le difese ed espongono a un maggior rischio di infezioni. Le terapie biologiche poi sono costose. «E' bene sapere, comunque, che ad oggi non esiste un farmaco che possa guarire la psoriasi: i trattamenti non possono essere interrotti. In caso contrario i sintomi ritornano» spiega ancora Chinni. Alcuni dermatologi puntano su immunomodulatori come efalizumab, da quest' anno disponibile in Italia: anche in questo caso si tratta di anticorpi, ma stavolta anziché sopprimere la risposta immunitaria si cerca di modificarla in modo vantaggioso. Più lievi gli effetti collaterali, ma ugualmente proibitivo il costo: gli immunomodulatori possono aiutare alcuni pazienti, ma restano fra le armi da usare quando tutto il resto non basta. E' il giudizio, pubblicato sulla rivista dell' Associazione dei medici americani, di Robert Stern, della Harvard Medical School di Boston. Elena Meli FOTOTERAPIA Efficace anche la cura di luce Una delle cure più utilizzate ed efficaci per la psoriasi sfrutta la luce, la fototerapia. Consiste in una esposizione controllata ai raggi ultravioletti con o senza aver preso farmaci in grado di amplificarne l' effetto benefico che va fatta sotto il controllo del dermatologo. I risultati sono paragonabili a quelli che si ottengono con i medicinali per uso locale ed è un' opzione indicata soprattutto per chi soffre di una psoriasi piuttosto estesa: in questi casi, infatti, la terapia locale può essere poco agevole. Meli Elena