MARAINI: MORATTI CONTROMANO IN AUTOSTRADA - MORATTI:PROTESTANO PERCHÉ ABBIAMO TOLTO PRIVILEGI - UNIVERSITÀ, I PRESIDI A CIAMPI: NON FIRMI UNA LEGGE INGIUSTA - STUDIAMO PER DIVENTARE UN ESERCITO DI PRECARI - UNA RIFORMA CONTRO LA SCIENZA - RICERCATORI, LA SVOLTA SARÀ NEL 2013 - LA RIFORMA DEGLI ATENEI, UNO SPAZIO IN PIÙ DI LIBERTÀ - TROPPE ACCUSE «STRABICHE» UNIVERSITÀ DI MASSA, MA - ECCO L’ITALIA DELLE LAUREE (TAROCCATE) PER TUTTI - LE SFIDE STRATEGICHE PER GLI ATENEI - LA RIFORMA "UCCIDE" L'ERASMUS - NEOLAUREATI. LA STABILITÀ ADESSO NON È UNA VIRTÙ - SPESE RICERCA, DOPPIO BINARIO SENZA ACCESSO - WEB LAUREE, ECCO I PRIMI DOTTORI ON LINE - TUTTI I FIGLI DELLA OPEN UNIVERSITY - PALMA D'ORO ALL'HARVARD UNIVERSITY - LA MATEMATICA CONTRO L' ECONOMIA - BILL GATES:L'ITALIA? E' UNA SORPRESA TECNOLOGICA - PACI CANDIDATO, LA RIVOLTA DEI PICCOLI - ULTIMO ROUND PER LE NOMINE AL MIT ITALIANO - L’ATENEO FAI-DA-TE (INTITOLATO AL NONNO) - ======================================================= CAGLIARI: MEDICINA, QUASI UNA FACOLTÀ MODELLO - ANATOMIA PATOLOGICA PARTE IL SERVIZIO SANTA CRUZ HA VINTO - MONSERRATO COMITATO IN RIVOLTA CONTRO IL MAXI PONTE - OSSA SU MISURA DI CERAMICA E STAMINALI - CHI LAVORA A 65 ANNI VIVE DI PIÙ PAROLA DEI TEXANI - INFEZIONI GINECOLOGICHE NELLE DONNE: LO STRESS CRONICO PUÒ FAVORIRLE - IL TEST DEL PSA PUÒ AIUTARE A SALVARE LA PROSTATA? - L' INTESTINO DIVENTA VIRTUALE SALUTE ATTUALITA' - AUTISMO: ASSOLTA LA VACCINAZIONE - LE TROPPE ILLUSIONI DELLA GENETICA - BONCINELLI: COSÌ SI SVOLGERÀ LA CACCIA AI GENI DELLE MALATTIE - STAMINALI NEL CERVELLO PRIMA VOLTA SU 6 BIMBI - DIABETE: INSULINA ADDIO, IL TRAPIANTO SI FA A PALERMO - I GENI "INGEGNERI" PER BATTERE LA TALASSEMIA - ======================================================= _____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25 ott. ’05 MARAINI: MORATTI CONTROMANO IN AUTOSTRADA La riforma della scuola e il ministro La signora non è sfiorata dal dubbio che potrebbe essere lei ad avere sbagliato direzione IL SALE SULLA CODA Alla domanda: non le sembra strano che tutti i settori dell' insegnamento, dalla scuola all' Università, le si rivoltino contro, ho sentito più volte il ministro Moratti rispondere che gli insegnanti sono cocciutamente conservatori, attaccati irrazionalmente ad antiche abitudini che non vogliono cambiare. Inoltre, a suo dire, docenti e discenti non conoscono bene la riforma e sono ostili per partito preso. Mi chiedo come possa una donna intelligente e colta continuare a credere in questo ritornello. Possibile che tutti, studenti e insegnanti, dalle maestre delle scuole materne fino ai professori universitari, dai bidelli ai ricercatori più sofisticati siano ostili per partito preso? Possibile che non le venga un dubbio sul perché di una mobilitazione così ampia, che coinvolge tutti gli strati dell' insegnamento pubblico? È quasi commovente la tenacia con cui il ministro affronta l' intera classe dei docenti e dei discenti del Paese con un piglio a dir poco donchisciottesco. Certamente non le manca il coraggio. La sua bella faccia di donna controllata, educata, che rivela grandi tradizioni familiari, non mostra un momento di perplessità, né di esitazione. I suoi ammirevoli occhi verdi guardano l' interlocutore con aria sorpresa. Si direbbe che sia appassionatamente e sinceramente sorpresa di trovare tanta resistenza: come possono accanirsi contro una riforma che migliore non potrebbe essere? La vediamo spesso sugli schermi, sicura di sé, ma non arrogante, olimpica nei suoi modi eleganti e determinati. Decisa, con pazienza, a spiegare le qualità straordinarie della sua riforma. Guardandola ammirata, mi è venuta in mente quella storiella che racconta di un automobilista che si trova a correre contromano sull' autostrada. L' uomo alla guida sente una voce alla radio che dice: «Attenzione c' è un irresponsabile che sta andando contromano! E lui, scotendo la testa, borbotta: uno? Ma saranno cento che vengono contromano!». Ecco, il ministro Moratti, nella sua serafica persuasione di verità, continua a pigiare il pedale dell' acceleratore, convinta che tutti gli altri stiano andando contromano, senza dubitare un solo momento che potrebbe essere lei ad avere sbagliato direzione. Da tutte le parti arrivano segnalazioni di pericolo: l' università con questa riforma si allontana dalla ricerca, inoltre premia i grandi baroni e non aiuta il ricambio dei docenti; la scuola pubblica con questa riforma viene fortemente penalizzata rispetto alle scuole private (tanto per dirne una: le ultime assunzioni di insegnanti di religione, senza concorso, mentre mancano i soldi per pagare i precari che pure hanno fatto i concorsi e li hanno vinti, oppure le grandi promesse di favorire l' insegnamento dell' inglese proprio nel momento in cui le lezioni di inglese di fatto vengono dimezzate). Questo per citare solo alcune fra le tante critiche fatte alla riforma. Tutte bugie? Tutte pretese assurde, tutte giustificazioni senza senso? Inviterei la signora Moratti a considerare, affidandosi per una volta a un piccolissimo sentimento di umiltà, le ragioni degli altri, che non possono essere false e insignificanti solo perché non coincidono con le sue. Oppure dica chiaramente che vuole sfasciare la scuola pubblica per mettere tutto in mano alla Chiesa, come succedeva secoli fa, prima che il Paese scegliesse di uscire dal totalitarismo cattolico per diventare repubblicano e democratico. Maraini Dacia _____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 27 ott. ’05 MORATTI:PROTESTANO PERCHÉ ABBIAMO TOLTO PRIVILEGI Il ministro Moratti: la riforma non è stata capita, d' accordo sull' aumento dei fondi per la ricerca «Contestazioni legittime, ma la legge è stata fatta per i ragazzi» LA CONTESTAZIONE A MONTECITORIO IL MINISTRO ROMA - La protesta di rettori e professori? «Abbiamo toccato dei privilegi». Quella dei ragazzi? «La legge non è stata capita, forse nemmeno letta, temo sia stata strumentalizzata». Il giorno dopo l' approvazione della riforma e gli scontri di piazza, Letizia Moratti rivendica le sue ragioni. Parte dai soldi il ministro: «Non è vero che la riforma è a costo zero. Nei prossimi 8 anni, tra pensionamenti e abbandoni volontari, usciranno dall' università 20 mila docenti. Quindi ci saranno 2,65 miliardi di euro da usare». I tecnici del ministero si affrettano a spiegare: «Questo non vuol dire che quei 20 mila professori non saranno rimpiazzati, ma il ricambio consentirà di risparmiare». Moratti tende la mano ai rettori quando si dice «d' accordo con la richiesta di maggiori fondi per la ricerca». Del resto, persa la battaglia, i rettori guardano avanti: «Prendo atto - dice il loro presidente Piero Tosi - che la legge è stata purtroppo approvata. Ora dobbiamo valorizzare quanto è emerso da università e società civile per trasformarlo in una proposta da affidare al prossimo Parlamento». Ma non è solo per parlare dei contenuti della legge che Letizia Moratti ha convocato i giornalisti. Dopo la protesta di piazza, il ministro vuole riallacciare il dialogo con gli studenti: «Questa riforma - afferma - l' abbiamo fatta per loro: basta pensare al maggior impegno dei professori che dovranno fare più ore di lezione, ai questionari per la valutazione di cui terremo maggior conto». Sottolinea con un sorriso che le «contestazioni sono una legittima forma di espressione» e parla di maggiori finanziamenti per Erasmus e dottorati, che pure con la riforma non c' entrano. Parole che si spiegano con il suo ruolo non solo di ministro ma anche (al di là delle smentite ufficiali) di candidato sindaco a Milano: nella Cdl c' è chi teme che la battaglia sulle riforme di università e scuola le si ritorca contro, facendole perdere il voto dei giovani. Lorenzo Salvia Salvia Lorenzo __________________________________________________ Europa 29 ott. ’05 UNA RIFORMA CONTRO LA SCIENZA Intervista con Gilberto Corberlini: ecco come si vanifica la "vacazione" dei giovani LUCIA ORLANDO Ottananni dopo Gentile, l'Italia modifica completamente gli ordinamenti scolastici. I:ultimo atto, il 14 ottobre scorso, con l’approvazione di due decreti applicativi da parte del consiglio dei ministri, ira cui quello che ridefinisce l’istruzione e la formazione di secondo grado. È stato il decreto più combattuto, ma tutta la discussione si è polarizzata sulle "architetture" della scuola superiore. Otto licei? Istituti tecnici che diventano licei? E i professionali? Nel dibattito politico sono stati_ completamente trascurati i contenuti degli insegnamenti, solo qualche rara voce ha cercato di rompere il silenzio. Non si tratta di questioni di poco conto. Per esempio sulla qualità dell'educazione scientifica si basa buona parte delle speranze di questo paese per sfuggire al declino al quale sembra destinato. Gilberto Corbellini, storico della medicina all'Università di Roma La Sapienza, è da sempre attento alla didattica delle scienze. Assoluta mancanza di discussione pubblica per definire i contenuti degli insegnamenti. Eppure l'educazione dei giovani dovrebbe essere questione d'interesse nazionale- Cosa pensa del metodo Moratii? Per la riforma dell’istruzione non è andata diversamente dalla maggior parte dei settori su cui questo governo ha legiferato. Una riforma dell’istruzione era necessaria. Bisogna adeguare i contenuti dell'apprendimento alle trasformazioni della domanda di lavoro, alla crescente selettività della formazione accademica e post-accademica e all’esigenza di funzionamento delle moderne democrazie- dove l’economia e i servizi sono sempre più basati sulla conoscenza, e i futuri cittadini devono essere preparati a una vita di apprendimento continuo. Però il metodo è stato completamente sbagliato. All’estero sono stati creati gruppi di lavoro, composti da esperti con competenze tecnico-scientifiche fuori discussione, che hanno raccolto analisi statistiche sulle effettive carenze ed esigenze del sistema educativo da riformare, hanno redatto rapporti preliminari dibattuti con le parti sociali interessate dalle conseguenze delle riforme, rendendo esplicito il quadro di riferimento pedagogico. Così è accaduto in Gran Bretagna, dove sulla base dì un lavoro del genere nel febbraio del 2005 il Depariment for Education and Sld1ls ha prodotto un Libro Bianco su cui sarà basata la riforma dell’istruzione superiore (14-19 anni). In Italia, invece, si procede solitamente investendo un gruppo di esperti, o presunti tali, prima di tutto politicamente affidabili, che a tavolino mette a punto una soluzione preconfezionata e pronta per l’uso. Senza nemmeno discutere o esplicitare il procedimento utilizzato. Senza che le diverse "agenzie" sociali possano dialogare, sulla base della loro prospettiva, con gli esperti. Va da sé che questa impostazione è piuttosto tipica dell’approccio paternalistico e centralistico che caratterizza la concezione della politica in questo paese. Non è certo liberale. Durante la gestazione della riforma, tutti, dal governo alla Confindustria, hanno asserito la necessità di migliorare la qualità dell'educazione scientifica. Hanno chiamato in causa i pessimi risultati italiani dell'indagine Otse Pisa sui livelli d'istruzione dei quindicenni. Ma davvero si può migliorare l'educazione scientifica, eliminando dall'esame di Stato di quasi tutti i licei le discipline scientifiche (fisica, chimica, scienze della Terra e biologia) con inevitabili conseguenze sulla percezione dell'importanza di queste discipline tra giovani e famiglie? Il miglioramento della conoscenza scientifica non è, chiaramente, un obiettivo di questa riforma. Non è proprio incoraggiante constatare che i documenti della riforma, approvati dal Parlamento e che dovranno ispirare i programmi didattici, contengono inciampi ortografici e sintattici, luoghi comuni e frasi fatte. La qualità dei contenuti dell’insegnamento scientifico è eterogenea. Per fortuna, il nucleo di una disciplina o di un insieme di discipline scientifiche è abbastanza standardizzato. Ci sono i manuali. Per cui più o meno sono presenti i temi che ci devono stare. Ma, oggi, uno dei problemi dell’insegnamento scientifico che si solleva in tutti i paesi occidentali, e che nella riforma italiana non viene neanche toccato, è come recuperare la «vocazione", cioè l’interesse dei giovani per la scienza. Su questo piano il risultato della riforma potrebbe essere quello di allontanare ulteriormente i giovani dalla scienza. Infatti, é una profusione di letture critiche della scienza, che servono solo ad alimentare la paura irrazionale verso Tunica attività conoscitiva umana che produce razionalità. Non sembra esserci un particolare sforzo di aggiornamento dei contenuti alle tematiche scientifiche più recenti ed attuali... Nessuno degli anonimi estensori della riforma ha provato a immaginare quello che si sta immaginando ú1 altri paesi: vale a dire se non sia il caso di sfruttare le suggestioni che spesso sollevano 1e novità conoscitive e tecniche più recenti, per trascinare gli studenti verso lo studio anche delle nozioni di base. Comunque spicca il fatto, piuttosto incredibile se si considera che su questo versante negli Stati Uniti si sta lavorando molto a livello dell’istruzione secondaria e universitaria; non vengono sfruttate tutte le opportunità di stimolare a una visione interdisciplinare, oggi consentita dagli sviluppi delle ricerche di frontiera che combinano frequentemente matematica, fisica, chimica, biologia e medicina. . Su quali pilastri si dovrebbero costruire percorsi scolastici di educazione scientifica adeguati a contrastare la crisi delle iscrizioni alle facoltà scientifiche? È difficile rispondere. Non basta creare un buon percorso educativo, in termini di qualità dei contenuti e dei metodi, per ottenere i risultati auspicati. 11 contesto dell'apprendimento e quindi anche la qualità e la motivazione degli insegnanti è altrettanto fondamentale. E non mi sembra che i nostri insegnanti siano particolarmente incentivati a trovare motivazioni e gratificazioni nel loro lavoro. Tuttavia, oggi disponiamo di dati validi, che ci suggeriscono delle strategie educative potenzialmente efficaci. Alcune ricerche mostrano come l’inquadramento storico delle tematiche scientifiche e l’esperienza diretta della pratica di laboratorio aiutino a costruire un apprendimento concettualmente più coerente delle scienze. Ma di questi aspetti la riforma non dice nulla. Certo, poi il problema diventerebbe avere laboratori e musei scientifici organizzati per la didattica delle scienze, diffusi come in alti! paesi occidentali, cosa che in Italia non è. Sull'educazione scientifica l'opposizione ha idee più chiare? La grande tristezza è stata constatare che i leader dell'opposizione hanno mosso delle critiche, ma dimostrando di non avere idee forti in merito. Temo che non siano consapevoli del fatto che l’istruzione è forse la principale emergenza in questo paese. Non si può invertire un declino economico, culturale e civile piuttosto evidente, se non si preparano le future generazioni ad affrontare le sfide della governance globale. Soprattutto nei settori scientifico e tecnologico Studenti medi di tutta Italia hanno manifestato mercoledì scorso a Roma insieme a studenti e docenti universitari ___________________________________________________________ Il Messaggero 30 ott. ’05 UNIVERSITÀ, I PRESIDI A CIAMPI: NON FIRMI UNA LEGGE INGIUSTA L’appello al presidente: «Con la riforma sulla docenza rischiamo il declino» di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Ora l’università bussa alle porte del Quirinale. Il Coordinamento nazionale dei presidi di facoltà invia un appello al presidente della Repubblica Ciampi. Nella lettera i capi delle facoltà parlano di «umiliazione», di «declino» e chiedono di «non procedere alla promulgazione di una legge ingiusta». Il testo gira in questi giorni negli atenei e sta raccogliendo migliaia di firme. Ecco che cosa hanno scritto i presidi: «Con l’approvazione del ddl Moratti sulla riforma dello stato giuridico dei docenti universitari sta per concludersi una delle operazioni potenzialmente più pericolose per il futuro dell’Università. Sui contenuti della legge è stato espresso ampio e convinto quanto inascoltato dissenso da un vastissimo numero di esponenti del mondo accademico e da tutti gli organi che lo rappresentano. Lo stesso iter che il governo ha scelto per approvarla finisce per rappresentare un colpo alle aspettative dell’Università pubblica: una riforma non per l’università ma contro l’università. I docenti le chiedono di non procedere alla promulgazione di questa legge ingiusta e, secondo la stessa Commissione Affari costituzionali, incostituzionale. Tale legge avrebbe l’effetto di umiliare l’università pubblica, accelerandone in maniera irreversibile il declino». «La legge manda ad esaurimento il ruolo dei ricercatori - dice Mario Morcellini, preside di Scienze della Comunicazione della Sapienza - E anziché prevedere il passaggio alla terza fascia, come avevano chiesto le università, verranno inquadrati come collaboratori a progetto e al massimo gli si concederà il titolo onorifico di professore aggregato, in una condizione di totale precarietà, con un contratto triennale, rinnovabile una sola volta. Risultato: incentiviamo la fuga dei cervelli». Critici anche i rettori. Dice Guido Fabiani, capo di Roma Tre: «Sono preoccupato per il futuro dell’università italiana, lo vedo nero. Nella nuova legge non c’è innovazione, non ci sono risorse, non c’è ricerca, non c’è merito, non c’è valutazione, non c’è posto per i giovani». Ma il governo difende la scelta fatta. Il senatore di Forza Italia Franco Asciutti (presidente della Commissione Cultura) ieri a Modena ha illustrato i contenuti della nuova legge sullo status giuridico dei docenti universitari. Asciutti ha parlato di un «ddl che è stato fermo alla Camera per due anni, proprio per assicurare il confronto con tutti i soggetti interessati dalla riforma: studenti, docenti e ricercatori». Lo scontro sarebbe nato dopo le modifiche apportate al testo. Dal quel momento si sarebbero levate contestazioni anche sugli aspetti precedentemente condivisi. L'università italiana, ha sostenuto Asciutti, «soffre di provincialismo. Fino ad oggi i docenti espletavano tutta la loro carriera praticamente all'interno dello stesso istituto; ciò ha creato gravi problemi e favorito i nepotismi. La riforma ha cercato di eliminare questi problemi ed ha accolto in massima parte le richieste della Conferenza dei Rettori». Intanto, è in arrivo una novità per Giurisprudenza. La Corte dei Conti ieri ha definitivamente registrato il decreto che introduce la laurea “1+4”. «Un percorso di più ampio respiro - afferma Giuseppe Valditara, con delega all’università per An - per la formazione dei giuristi. Chi, invece, dovrà svolgere professioni intermedie avrà l’”1+3”». ___________________________________________________________ Il Messaggero 30 ott. ’05 STUDIAMO PER DIVENTARE UN ESERCITO DI PRECARI di PIER PAOLO PITTAU ROMA L’ormai famoso dito di Daniela Santanché è naturalmente lì, sul muro dell’ingresso della facoltà di Architettura di Roma Tre, all’ex mattatoio. Sotto l’immagine, ingrandita e in duplice copia, qualcuno ha scritto in rosso «Questo gesto è per noi». Attorno, e nel cortile, manifesti che motivano l’occupazione cominciata dieci giorni fa, prospetti con la pianta dei locali occupati e il fitto calendario delle attività: assemblee, seminari, workshop, ma anche una “grigliata sociale” e una “festa testaccina con stornelli romaneschi”; e, a terra, due striscioni: quello appeso fuori per le prime mobilitazioni e quello portato martedì alla manifestazione nazionale. Già visti come storici cimeli, segni della gestazione di un qualcosa di nuovo, un movimento studentesco unitario di Roma Tre. Con un sogno ancora più grande: un movimento che unisca tutti gli studenti romani. E’ alla facoltà di Architettura nell’ex mattatoio che pulsa il cuore “rivoluzionario” della terza università romana. «Beh, rivoluzione...», dice una studentessa quando uno di Scienze politiche pronuncia anche questa parola nello spiegare perché l’occupazione di Architettura è «permanente». Rivoluzione resta una parola grossa; piuttosto, lo dice un comunicato al muro e lo ripetono gli occupanti, «questo è solo l’inizio di un percorso di mobilitazione di lungo periodo». La riforma Moratti è ora legge. Non sperano, gli studenti, che un futuro governo di centrosinistra possa cancellarla? Dalle espressioni con cui accolgono questa domanda è chiaro che non ci sperano molto. Ripetono quanto vanno dicendo da tempo: la Moratti è solo «un tassello ulteriore della distruzione dell’università pubblica già iniziata con le riforme Zecchino-Berlinguer che hanno creato i problemi con cui siamo costretti a fare i conti tutti i giorni». Cioé numero chiuso, formazione nozionistica, processo formativo funzionale alla creazione di un esercito di futuri precari, privatizzazione dei servizi, aumento delle tasse. Tre studenti fanno da guida ai locali occupati, grandi spazi abbandonati: qui un’aula per laboratori autogestiti, là un’altra aula per seminari sempre autogestiti (che danno crediti), poi un videolaboratorio, un archivio, e una casa dello studente con cucina collettiva. In realtà all’ultima assemblea sulla casa dello studente con annesse cucine non s’è trovato l’accordo. C’è chi la vuole subito, chi invece pensa si debba coinvolgere l’Adisu, l’agenzia regionale che fornisce servizi agli universitari. Chi la vuole sostiene che sarebbe una manna per gli studenti fuori sede. Gli studenti di Roma Tre sono 38 mila e l’università è in grado di alloggiarne solo 74, per di più a Casal Bertone, lontano da tutte le facoltà. E in quanto a mense, ce n’è una sola. Che dicono gli insegnanti dell’occupazione? «La maggior parte di loro rispondono gli studenti sostengono che abbiamo fatto bene». Intanto, gli occupanti si danno da fare per rendere vivibili i locali: «Un giorno ristrutteremo case, questa è una buona occasione per fare pratica». Chi fa l’idraulico (ci sono docce e bagni da rimettere in sesto), chi l’elettricista, chi il muratore. I materiali se li comprano autotassandosi. Gli spazi saranno al servizio di tutti gli studenti di Roma Tre sparsi qua e là per la capitale. Il movimento si consolida. All’ex mattatoio arrivano da Lettere, da Scienze politiche, da Giurisprudenza, dal Dams. __________________________________________________ Il Sole4ORE 29 ott. ’05 RICERCATORI, LA SVOLTA SARÀ NEL 2013 Il punto più contestato della legge sull'università e la cosiddetta "precarizzazione" dei ricercatori: I a partire dal 30 settembre 2013 gli atenei non potranno più assegnare per concorso posti da ricercatore a tempo indeterminato, ma dovranno stipulare «contratti di diritto privato a tempo determinato», con una durata massima di tre anni. rinnovabili una sola volta. Entro sei anni, dunque, i futuri ricercatori dovranno vincere un concorso da professore ordinario o associato, oppure abbandonare l'università. La riforma ha sollevato molta apprensione all'interno degli atenei, ma non per ragioni di principio. Pochi contestano che il posta dì lavoro a vita sin dalla prima assunzione sia scarsamente compatibile con quella selezione dei migliori che dovrebbe. sempre guidare la ricerca e l’alta formazione. 501o una minoranza di docenti e ricercatori sostiene che la sicurezza del posto sia una condizione essenziale per fare ricerca in modo proficuo. «Perché il sistema possa funzionare - afferma però Giorgio Piras, ricercatore alla Sapienza di Roma - bisogna che entro quei sei anni si aprano possibilità effettive di stabilizzazione, attraverso concorsi frequenti e imparziali: ma questi non sono affatto garantiti dall'attuale meccanismo». Nasce da qui l'incertezza sul futuro. E, dal lato dei docenti, si teme che, di fronte a prospettive troppo labili, i giovani migliori si orientino verso il settore privato. «I nostri laureati - spiega Federico Delfino, docente a Genova nel corso di Ingegneria gestionale - trovano lavoro subito e senza difficoltà. Sei anni sono un tempo ragionevole per valutare la qualità di un ricercatore, ma dopo c'è il buio. Perché ma giovane di valore dovrebbe rischiare. quando le aziende gli offrono dei buoni posti a tempo indeterminato?». È vero che non sono molti i corsi che aprono prospettive di lavoro così vantaggiose: probabilmente soltanto alcune lauree scientifiche molto richieste. Nelle facoltà umanistiche la carriera universitaria conserva intatto il suo appeal: qui il contratto a tempo determinato non potrebbe aprire le porte ai giovani, oggi abituati a una lunga anticamera in condizioni di precariato privo di garanzie? «In teoria sì - sostiene Alessandro 5chiesaro, docente di Letteratura latina alla Sapienza di Roma - ma perché ciò si realizzi mancano numerose condizioni. Oggi 38 anni è l'età media d'ingresso nel ruolo di ricercatore; a 33 anni si conquista, in media, un posto di "assegnista". In compenso siamo l'unico Paese al mondo in cui i professori occupano la cattedra fino a 75 (0 77) anni di età. Questo modello è insostenibile. II ricercatore a tempo determinato era già stato introdotto negli anni 90, con buoni risultati. Ma con gli attuali livelli di finanziamento non si potrà garantire il futuro neppure ai giovani miliori I posti sono troppo pochi perché non si verifichi l’assalto alla diligenza": il nocciolo della "precarizzazione" sta tutto qui. Gli atenei più ricchi faranno l'uso più ampio possibile della facoltà di nominare ricercatori a tempo indeterminato fino al 2013. Poiché i posti sono limitati, la fuga dei cervelli dall'università fra otto anni sarà un rischio concreto: non perché le aziende private offriranno posti migliori, ma perché negli atenei quasi tutti i posti saranno già occupati. __________________________________________________ Il Sole4ORE 28 ott. ’05 LA RIFORMA DEGLI ATENEI, UNO SPAZIO IN PIÙ DI LIBERTÀ CI sono tre modi di affrontare il problema dell'università in Italia, e i primi due sono tra loro speculari. II primo, quello privilegiato dalla minoranza rumorosa di studenti e docenti, consiste nell'opposizione di principio a ogni cambiamento strutturale, in ossequio a parole d'ordine eterne. Bisogna pur trovare il coraggio di dirlo: le piattaforme rivendicative che gli studenti hanno esposto nei documenti ufficiali nell'ultima ondata di occupazioni sono identiche, nella sostanza e a volte persino nel linguaggio, a quelle scritte negli ultimi cinquant'anni a intervalli regolari. Come se, in tutto questo tempo, la modernizzazione e le sue conseguenze si fossero tenute a distanza di sicurezza dalle cittadelle del sapere. Il secondo approccio è quello di scrivere un libro dei sogni. Immaginare che l'università possa, come per incanto, uscire all'improvviso da una crisi con radici ataviche e, conseguentemente, svalutare qualsiasi intervento porti un qualche seppur parziale cambiamento. A questa tentazione c'è sembrato indulgere - sia detto senza polemica - Roberto Perotti nel suo intervento di ieri. Le premesse e i modelli dai quali è partito risultano, infatti, per larghi tratti condivisibili. Ma, forse, un eccesso di esasperazione per l’asfitticità che si respira negli atenei, assieme a una certa dose di massimalismo, l'hanno condotto a travisare quel che di buono vi è nel provvedimento di riforma del ministro Moratti. E a liquidare, in tal modo, la via intermedia che a noi pare, invece, l'unica veramente percorribile. È infatti questo terzo approccio, quello che ci sentiamo di preferire. Chi vive nell'università senza per questo chiudere gli occhi sul mondo esterno e conosce le esperienze accademiche più avanzate ha da tempo cessato di credere che una riforma - qualunque riforma - possa rivelarsi risolutiva. Sa bene che le speranze sono confinate in esperienze accademiche originali, portate avanti da minoranze coese e motivate, che, con il passar del tempo, producano effetti di rinnovamento sempre più vasti fino a divenire costume diffuso. Per questo, al cospetto di qualsiasi provvedimento di riforma, non ci si domanda più se essa sia o meno la panacea. Si constata, più concretamente, se conceda maggiori o minori opportunità a coloro i quali, eventualmente, intendano operare per rinnovare il sistema. Se si applica questo criterio alla riforma Moratti, si giunge a due conclusioni. La prima è che l'opposizione che ha suscitato è del tutto spropositata rispetto ai suoi effetti. Si tratta di un provvedimento importante ma non decisivo. La seconda è che, in ogni caso essa concede qualche strumernto in più e non in meno , coloro i quali vogliano impegnarsi per cambiare le cose. E ciò per diversi motivi tra loro correlati. Iniziamo dai concorsi. Oggi, con i concorsi locali si è stabilizzata una regola pei la quale l'universitario, di norma, diviene ricercatore, associato e ordinario nello stesso ateneo che lo ha visto studente. La richiesta del posto equi vale alla vittoria del concorso E non c'è virtù che tenga dopo un certo numero di anni si è promossi indipendente mente dai meriti, per anzianità conseguita. E chiedere all'universitario virtuoso di opporsi a questa pratica nei confronti del collega con il quale si è, magari, diviso lo studio per dieci anni è inutile, oltre che crudele. Il nuovo sistema, con la creazione di liste di idonei fino al 40% superiori ai posti richiesti, ha innanzitutto il pregio di superare una pratica rivelatasi fallimentare. Poi, forse, potrà introdurre qualche elemento di concorrenza tra gli atenei e, soprattutto, di mobilità degli universitari che, in tal modo, nel corso della loro carriera potranno entrare in contatto con idee, modi di pensare, scuole differenti da quelle del loro quartiere di riferimento. In tal senso, anche la possibilità per i privati e le aziende di finanziare cattedre non dovrebbe essere sottovalutato, così come quello di far accedere alla docenza, per tempi limitati, soggetti non provenienti dal mondo dell'accademia. Si tratta, infatti, di provvedimenti che vanno nel senso di sgretolare l'immagine dell'università come fortezza assediata dall'interesse privato dal quale, sempre e in ogni caso, è necessario difendersi. Essi concedono delle opportunità per creare collegamenti più forti e strutturali tra il mondo dell'impresa e quello della ricerca accademica e, di conseguenza, per far accedere un po' più di denari nelle casse impingui dei nostri atenei Nessuno, ovviamente, può garantire che queste opportunità siano effettivamente sfruttate: le istituzioni tengono se sono buone le guarnigioni e se queste sono corrotte non c'è riforma che le possa salvare. Ma IL sfiducia verso i costumi italici non può portarci a liquidare ogni opportunità come pericolosa. Più utile, in tal senso ~ rivolgersi agli studenti. Spiegargli che il loro futuro dipende anche da quanto le università riusciranno a connettersi con un mondo esterno in inesorabile trasformazione. Infine il reclutamento, cor la previsione di contratti di ricerca di sei anni e l'abolizione del ruolo dei ricercatori a partire dal 2013. Qui è necessario essere chiari. Il senso della disposizione cambia a seconda del fatto che quella data così lontana - il 2013 - sia prevista solo per smaltire il ruolo, concedendo ai tanti ricercatori validi di superare un concorso per merito e agli altri di andare in pensione, o invece per preparare una nuova terrificante "infornata" che riempia gli atenei per i prossimi cinquant'anni. Crediamo di sapere che l'intenzione del ministro sia la prima. E, in tal caso, contratti meno obbliganti che producano una selezione dei più idonei e che consentano fuoriuscite laterali verso altre carriere, magari più remunerative, sono una risorsa sia per gli atenei sia per le imprese che potranno trarre da lì parte dei loro quadri. Lo sono persino per i dottori di ricerca più responsabili che, infatti, non chiedono più il posto fisso ma delle opportunità concrete. Bisogna, dunque, prendere atto che questa riforma è stata la rottura possibile di un sistema che si è ostinatamente opposto a ogni forma di cambiamento. Ora giunge la parte più difficile: sfruttare quello spazio di autonomia e libertà che, piccolo o grande che sia, indubbiamente si è creato. ___________________________________________________________ La Stampa 25 ott. ’05 TROPPE ACCUSE «STRABICHE» UNIVERSITÀ DI MASSA, MA LA minaccia più grave che incombe sul futuro dell’Università pubblica italiana - ancor più grave delle conseguenze della legge in discussione al Parlamento - è lo strabismo con cui essa viene guardata da varie forze politiche e sociali, e il malessere che questo strabismo genera al suo interno. Non c’è politico (nazionale o locale, di destra o di sinistra), o esponente delle forze produttive (grandi o piccole, dell’industria o dei servizi) che non parli della diffusione della formazione e della ricerca come della leva fondamentale per dare impulso allo sviluppo economico (lo sviluppo civile è raramente citato). Attorno a questa idea è fiorito un discorso incentrato su centri di eccellenza, trasferimenti tecnologici alle imprese, incubatori, master internazionali. Nel contempo, però, i mass media diffondono nella società l'idea che l'Università (unitamente ad altre grandi istituzioni pubbliche, come la scuola e la giustizia) sia una realtà non idonea a raggiungere il grande compito che le è assegnato. Essa viene dipinta come arretrata, svogliata, corporativa, inefficiente, rissosa; in conclusione, ingiustamente privilegiata (com’è nell’ispirazione del disegno di legge in via di approvazione). Fin qui, si potrebbe dire, non vi è ancora traccia di «strabismo»: isole di elevata qualità ben possono emergere da un mare di inefficienza. Bisognerebbe dunque generalizzare il modello delle isole. Ma una seria proposta in tal senso non c'è: e qui sta lo strabismo. Perché il limite fondamentale che viene imputato all'Università è la sua inefficienza come università di massa: quella che si manifesta nei confronti delle migliaia di studenti che sovraffollano le sue aule insufficienti, che premono sui suoi servizi inadeguati. All’Università di massa si imputa di non essere abbastanza di massa. Si vogliono due cose diverse, che potrebbero non essere incompatibili, ma non si dice nulla (e non si offrono strumenti e risorse) su come renderle compatibili. In tal modo l'idea dell’innovazione tecnologica e quella del degrado diffuso sono alleate per occultare il problema vero: come evitare che l’Università perda la sua ragion d’essere di fondo, la sua vocazione istituzionale. Si tratta di un’idea semplice e antica: la formazione della «classe dirigente» deve avvenire attraverso l'opera non di «ripetitori», per quanto abili, ma di studiosi capaci di innovare criticamente. A partire da questo punto ci si dovrebbe chiedere come tenere insieme le due domande fondamentali, ma divergenti, che le vengono rivolte (e che l’Università vuole tenere insieme): quella proveniente dai settori produttivi e dalle professioni, che richiede ricerca applicata immediatamente spendibile e formazione tecnico-specialistica mirata, e quella avanzata dal sistema sociale, che chiede all’Università di promuovere una formazione culturale diffusa, per migliorare il capitale sociale medio e opporre una barriera al processo di impoverimento culturale dei giovani, non risolto dal sistema scolastico. E’ su questo punto che occorre misurarsi per trovare adeguate soluzioni, non da soli, ma in collaborazione con le altre istituzioni, consapevoli che la creazione della classe dirigente è un obiettivo qualificante non solo dell'Università, ma di tutta la comunità. Nonostante che il numero di docenti in rapporto agli studenti sia tra i più bassi d’Europa, la parte migliore del corpo accademico italiano ha reagito cercando di garantire adeguati livelli di qualità nella didattica e nella ricerca e si è assunta i sempre più gravosi compiti amministrativi che l'organizzazione degli atenei richiede. Se questo sforzo non viene sostenuto sia da politiche nazionali e locali, sia da un discorso pubblico teso a riconoscere e a stimolare la funzione dell’Università italiana, anche la parte migliore del corpo docente e del personale tecnico- amministrativo che lavora in essa perderà la stima del proprio lavoro e il declino di questa fondamentale agenzia formativa sarà irreversibile. In tal modo la demagogia «anticorporativa» avrà davvero raggiunto il suo scopo. Rettore dell’Università di Torino ___________________________________________________________ Corriere della Sera27 ott. ’05 ECCO L’ITALIA DELLE LAUREE (TAROCCATE) PER TUTTI Solo quest’anno l’Antitrust ha messo 14 «università» sotto inchiesta: 5 già condannate Forse perché gli ultimi anni sono stati segnati da un delirante moltiplicarsi di nuove università e sezioni staccate sparse per tutta la penisola quasi che un paesotto di provincia fosse miserabile senza uno svincolo a tre corsie e uno straccio di facoltà. Forse perché le aperture ai «privati» sono state male regolamentate. Forse perché il caos ha incoraggiato i furbi. Fatto sta che all’Authority oggi presieduta da Antonio Catricalà ne hanno viste di tutti i colori. La «Libera Privata Università di Diritto Internazionale» dell’Isfoa, Istituto Superiore di Finanza e Organizzazione Aziendale stracolmo di lettere maiuscole come fosse un poderoso istituto traboccante di storia, gloria e onori, scrive ad esempio nel suo sito di voler «diffondere i principi dell’Open University, programma di matrice anglosassone» per superare le «evidenti lacune presenti nel sistema accademico tradizionale» grazie a un metodo che «fonda le sue radici nel concetto secolare, iniziato dai filosofi greci, che l’istruzione superiore deve essere in sintonia e in armonia con la vita personale e professionale di ciascun allievo». E promette agli iscritti decine e decine di percorsi di studio, dalla «Tecnica di Borsa» all’«Ingegneria Finanziaria e Montaggio di Operazioni di Securitasion». E dice di avere sedi nella Quinta Strada di New York (New York!) e nel Principato di Monaco (Monaco!) e a Sofia (Sofia!) e perfino Repubblica di Nauru, in Polinesia (la Polinesia!). E dove ha la sede centrale questo splendido ateneo ricco di storia? In Rruga Tefta Tashko, 104/6 a Tirana, dove la società albanese è stata registrata in tribunale l’8 settembre 2005. Forse (forse) per superare l’imbarazzo dell’«università» precedente che portava un nome simile già condannato dalla nostra Authority per la concorrenza. Alla «Libera Università Internazionale G. W. Leibniz», con sedi a Milano, Roma, Bergamo e Lamezia Terme, hanno preso in prestito il nome del pensatore tedesco non a caso: entrato all’Università di Lipsia a 15 anni, laureato in filosofia a 17 e benedetto dottore in legge a 20, era il simbolo giusto: qui si fa in fretta. Come non fidarsi, di un nome così? Di un simbolo con la penna e il compasso? Di un ateneo fondato «nei primi anni ’90 del secolo scorso» a Santa Fè, nel New Mexico, che dice di avere un «rettore» e un «senato accademico» e una «direzione accademica»? L’Antitrust l’aveva già sanzionata nel 2003, per quelle parole, specificando che la sedicente «università» «non gode di alcun riconoscimento o accreditamento in Italia e che i titoli dalla stessa rilasciati non possono qualificarsi quali titoli aventi valore legale» quindi la pubblicità «poteva trarre in errore». Due anni dopo, dice l’Authority, «è stata riproposta senza cambiamenti di sostanza». Del Cetus (Centro di Tecnologia Universitaria Straniera) è sufficiente vedere in questa pagina la foto della sede principale: cinque vetrine a piano terra di un brutto palazzone al numero 2220 di via Aurelio Di Bella, periferia di Palermo. Come possa essere la sede secondaria, a Caltanissetta, immaginatelo voi. Eppure, a guardare il sito internet, tra bedde fimmine con toga e tocco da laureate e il marchio con quel berretto a punte da dottore, non puoi aver dubbi. Né te li lascia la presentazione, che è tutta un fiorir di paroloni e spiega che il Cetus è «un Campus di cultura universitaria per la Sicilia, altamente specializzato nella realizzazione di corsi per il conseguimento del Dottorato di Laurea degli Stati Uniti d’America» (l’America!) e puoi avere il Bachelor Degree, il Master Degree e il PH Doctor e con quei pezzi di carta hai il mondo in tasca perché «i Titoli Accademici rilasciati dalle Università Statunitensi attraverso il nostro Dipartimento sono legalmente ammessi». Un falso, denuncia l’Antitrust. Infatti, anche se «le espressioni presenti nella pagina web quali "Facoltà di Economia Management", "Facoltà di Ingegneria e Scienze Fisiche", e i relativi titoli ottenibili, quali "Dottore in Economia", "Dottore in Ingegneria meccanica/elettronica", "Dottore in scienze ambientali", contribuiscono a suscitare nei consumatori il convincimento che Cetus permetta di conseguire titoli aventi valore legale», quelle carte non valgono niente. Tanto più che i presunti atenei americani che dovrebbero (dovrebbero) rilasciare quelle lauree (Adam Smith University, Golden State University, Clayton University) «non sono università "accreditate" secondo l’ordinamento statunitense». Il che vale anche per i «cugini» del Cesus, Centro Studi Università Straniera- Campus per la Calabria e il Lazio, con sedi a Siderno e Colleferro e una filiale ad Ardore Marina, altra metropoli che senza un pezzo d’ateneo si sentiva umiliata. Dice l’Authority che, a leggere il suo sito, ieri miracolosamente sparito da Internet, si potevano conseguire anche qui le prestigiose lauree americane del Cetus più un reboante «Doctor Phylosophy Degree». Di più: «I nostri Laureati possono accedere ai Master di specializzazione presso le più prestigiose Università statali europee, nelle facoltà di medicina» e che il CE.S.U.S. consente la «convalida di esami già sostenuti presso altre strutture Universitarie nell’ambito delle medicine convenzionali e non, abbreviando in tal modo il percorso accademico Universitario». E tutto grazie a cosa? Alla «legge 7 agosto 1990 n. 241 che recita: gli esami della tesi finale del dottorato di laurea sostenuti in un dipartimento di un’Università Usa hanno lo stesso valore di quelli sostenuti presso la sede originale negli Stati Uniti d’America». E guarda caso con chi erano affiliati il Cetus e il Cesus? Con «l’European Institute of Technology avente sede nella Repubblica di San Marino che, a sua volta, costituisce un "Dipartimento della Clayton University", sita nel Missouri». Lo stesso «ateneo» sammarinese che diede la «laurea» in economia al reuccio del mattone Stefano Ricucci e in lettere ad Anna Falchi. Applausi. Peccato che, a leggere su internet un articolo dell’ Arkansas Democrat-Gazette del 4 giugno, la Clayton University del Missouri non solo non è accreditata ma non ha un solo studente americano dal 1989 e oggi risulta trasferita a Hong Kong. Gian Antonio Stella ___________________________________________________________ Corriere della Sera28 ott. ’05 LE SFIDE STRATEGICHE PER GLI ATENEI UNIVERSITA’ E FUTURO di ANGELO PROVASOLI* Sono 237 le sedi universitarie italiane per un totale di 5.131 corsi attivati. Il primato spetta alla Lombardia (con 28 sedi e 960 corsi circa) seguita dalla Sicilia (22 sedi per un uguale numero di corsi). Se la delocalizzazione è un valore non si può certo dire che il sistema universitario non lo abbia fatto suo. C'è da chiedersi però se una simile parcellizzazione possa essere la base da cui partire per rendere competitiva ed europea l'università italiana. Personalmente non credo. La ricerca, vera forza per una didattica di eccellenza, necessita di massa critica, di risorse concentrate oltre che ben investite. L'università è uno dei motori dello sviluppo economico del Paese e come tale va considerata e gestita. Prima di tutto da noi docenti e rettori. La questione non è certamente quella di aziendalizzare la cultura quanto piuttosto di dotarsi di un progetto strategico e di un sistema di relazioni che rendano possibile concretizzare le strategie: non è più possibile pensare di potersi accontentare delle risorse pubbliche. La ricerca italiana resta ai margini del contesto internazionale perché, a differenza di quanto avviene nei Paesi del Nord Europa, in Giappone e negli Usa, la percentuale del finanziamento pubblico sul totale degli investimenti in ricerca e sviluppo è troppo alta: se nel nostro Paese è del 50,8 per cento, nella Ue dei 15 è 34,4, negli Usa è 27,8 e in Giappone è il 18,5 per cento. Appare chiaro quindi che solo dall'alleanza su progetti condivisi tra mondo della ricerca e dell'alta formazione e mondo produttivo è possibile costruire il nostro futuro. L'università non può non accettare la sfida europea così come non può non lavorare affinché la competitività divenga finalmente un vincolo per lo sviluppo del Paese e non un obiettivo. Per farlo però non bastano le dichiarazioni di principio, non serve richiedere al governo che verrà la convocazione degli stati generali dell'università per ridefinire la missione stessa dell'università, perché non è questa a essere in discussione. Il sistema necessita di una forte accelerazione, non di una pausa di riflessione. È necessario fissarsi degli obiettivi, che non possono però ridursi alla discussione sulla contrattualizzazione della forza lavoro. L'università deve rafforzare i sistemi di alleanze e le joint venture con centri italiani e stranieri e soprattutto deve superare le proprie barriere culturali. L'internazionalizzazione deve diventare una dimensione strategica del nostro sistema. Dobbiamo essere in grado come italiani di attrarre i migliori talenti europei e non. Progetti come l'università italo-cinese che coinvolge quattro atenei italiani (di cui due milanesi: la Bocconi e il Politecnico), due cinesi, il ministero dell'università e le imprese devono diventare un modello, un format al quale ispirarsi. L'anno accademico che stiamo inaugurando dovrà essere ricordato non per i contrasti che dividono le diverse componenti del sistema universitario, a volte troppo concentrato e chiuso su se stesso, ma per la sua capacità di guardare oltre, di programmare e perseguire obiettivi utili alla crescita del paese e del suo capitale umano. Alle richieste di attenzione e dialogo con le istituzioni dobbiamo affiancare proposte concrete, progetti che facciano crescere il nostro sistema universitario. La Bocconi ha scelto di farlo programmando i suoi prossimi dieci anni, potenziando la sua offerta formativa internazionale, sempre più europea e in lingua inglese, e, già da anni, investendo nei giovani ai quali offre un percorso di carriera con il quale misurarsi e testare la propria capacità di fare ricerca e didattica. *rettore Università Bocconi ____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 28-10-2005 NEOLAUREATI. LA STABILITÀ ADESSO NON È UNA VIRTÙ Indagine Cesop: l'85% dei giovani accetta occupazioni saltuarie Ma all'impiego chiedono gratificazioni «Va bene persino la precarietà, ma che almeno l'impiego sia gratificante». In sintesi è questo ciò che emerge dalla rilevazione 2005 del «Recent graduates survey» - condotta da Cesop communication, agenzia di orientamento e placement post laurea, e dall'istituto statistico Ipostat - sulle alle aspirazioni professionali dei neolaureati. I dati si riferiscono per ora a 1.000 giovani, la ricerca completa ne conterà 2.500, rappresentativi di tutte le facoltà e aree geografiche d'Italia. «I giovani - spiega Eugenio Amendola, responsabile della ricerca - hanno una grande fiducia nei propri mezzi, anche se risulta evidente come sia ormai largamente accettata la precarietà dei posti di lavoro disponibili. È considerata una tappa verso una stabilità che, comunque, non sono disposti a barattare con un lavoro che non li gratifichi». Infatti l’85°Io degli intervistati si dice disponibile ad accettare un contratto a progetto a condizione che abbia un contenuto stimolante. Passando dalle aspettative dei neolaureati alla ricerca concreta di un lavoro le cose cambiano. Lo confermano le agenzie per il lavoro, prima specializzate nell'interinale e ora uffici privati «di collocamento» a tutto campo. Da loro, negli ultimi tempi, stanno passando sempre più neolaureati (aumentano del 20°Io ogni anno) quelli che prima non «si abbassavano» a rivolgersi a società che offrivano solo lavoro a tempo. «Sicuramente anche per la crisi economica - sostiene il direttore operativo di Manpower Riccardo Barberis - è cambiata completamente la richiesta dei giovani. Se prima il candidato dava la sua disponibilità per una sola mansione, ora è sempre più probabile che accetti qualsiasi opportunità, anche se non affine al suo percorso formativo». Dunque, appena laureati le aspettative sono elevate, dopo ci si accontenta, infine passati due anni, quando non ci si può più fregiare del titolo di neolaureati, crollano le aspirazioni. «Bisogna distinguere tra lauree deboli e forti - esordisce Antonio De Lillo, docente di sociologia all'università di Milano Bicocca-. Gli ingegneri continuano ad avere discrete prospettive, anche se devono attendère più a lungo prima di essere assunti. Lettere, scienze politiche, ma anche economia, non assicurano più un posto di lavoro. E spesso le aziende preferiscono diplomati al posto di chi dispone di una laurea, magari breve». Instabilità solo all'ingresso nel mondo del lavoro o destino ineluttabile? «Ormai - continua De Lillo –la laurea corrisponde al diploma di 20 anni fa. Non sappiamo ancora come sarà considerata la laurea triennale, perché non abbiamo ancora delle serie storiche. E' certo, però che solo una laurea forte con master e specializzazione può assicurare, relativamente, un percorso professionale d'alto livello». E per gli altri, solo lavoro intermittente? «Non soltanto, anche se spesso è così. Certo è che se non si riesce a ottenere stabilità entro i primi anni di lavoro, diventa difficile trovare un'occupazione stabile». Maurizio Cannone 20 per cento E' l'aumento annuo della quota di neolaureati che si rivolgono alle agenzie per il lavoro private, le ex agenzie interinali, per ottenere un impiego Secondo dati Istat, in Italia sono 1.909.000 gli occupati con contratti a tempo determinato. E i neolaureati sono sempre più disposti ad impieghi non affini alla propria formazione ___________________________________________________________ La Repubblica 31 ott. ’05 LA RIFORMA "UCCIDE" L'ERASMUS Il meccanismo del corso di studio, il "3+2", allontana gli universitari dall'Europa. L'indagine Almalaurea e i pareri dei responsabili negli atenei gli studenti non riescono a partire di MASSIMILIANO PAPASSO Una scena del film "L'appartamento spagnolo" Da quando è entrato in vigore ha fatto crescere il numero delle matricole. In pochi anni ha moltiplicato l'esercito dei laureati e dimezzato quello dei fuori corso. Ma che potesse innescare la crisi dei programmi di mobilità studentesca, di certo non se lo aspettava proprio nessuno. Il meccanismo del corso di laurea 3anni+2anni sta uccidendo l'Erasmus: è questa la nuova accusa a carico della già bistrattata riforma del sistema universitario targata decreto ministeriale 509/99, e a tutti nota con la formula del 3+2. Secondo la VII indagine AlmaLaurea sul profilo dei laureati, infatti, il numero degli studenti universitari che sceglie di passare un periodo di studio all'estero è ormai in continua diminuzione. Tutta colpa della riforma che se in teoria avrebbe dovuto avvicinare i laureati italiani ai più competitivi colleghi europei, con il passare degli anni di fatto li ha allontanati sempre di più. Lezioni da seguire, laboratori da frequentare e un numero infinito di esami da sostenere, il tutto compresso nel tempo record di tre anni, sembrano infatti aver scalzato dalla lista delle cose da fare prima della laurea degli studenti universitari italiani la tanto cara e apprezzata esperienza all'estero. Un fenomeno registrato in quasi tutti gli atenei italiani, con l'eccezione di poche realtà "esterofile" come Bologna e Milano, e che potrebbe nei prossimi anni mettere in serio pericolo la sopravvivenza del programma di mobilità studentesca che porta il nome del celebre filosofo olandese. I numeri della crisi. Secondo il rapporto 2005 del consorzio bolognese che monitora 140 mila studenti di 35 atenei italiani, la percentuale di neo-dottori italiani che nel 2004 (vedi la tabella) ha avuto un'esperienza di studi all'estero è stata pari all'11,3 per cento del totale. Di questi solo sette studenti su cento sono partiti con destinazione uno dei Paesi inseriti nel programma Erasmus: Spagna, Inghilterra o Francia che sia. Un anno prima questa percentuale si era attestata su un più confortante 8,3 per cento, mentre gli studenti che avevano scelto di continuare il ciclo di studi lontano dall'Italia avevano toccato quota 13,3 (vedi la tabella) . Più consistente il distacco con gli anni precedenti: nel 2001 (vedi la tabella) i ragazzi italiani che erano andati all'estero erano quasi il 19 per cento del totale, scesi poi al 16,5 (vedi la tabella) nel 2002. Tutta colpa del 3+2. "Bologna, almeno per il momento, non è stata toccata da questa crisi - spiega Basilio Lamberti, responsabile dell'ufficio Socrates- Erasmus dell'Alma Mater -. Ogni anno quasi 1400 dei nostri studenti parte per l'estero, ma il nostro è un caso particolare. Nel resto d'Italia la quota Erasmus sta diminuendo sensibilmente a causa del 3 2. I ragazzi preferiscono laurearsi in fretta piuttosto che andare per tre o sei mesi a studiare in giro per l'Europa. Se continuerà questo trend, sarà difficile anche per noi garantire una consistente partecipazione al programma". La nuova Casa dello Studente per universitari Erasmus a Firenze "Con la riforma - dice Francesco Furno dell'Erasmus Student Network, l'associazione di ex studenti Erasmus con 24 sezioni in tutta Italia e migliaia di iscritti - il vero problema da superare è quello del riconoscimento dei crediti. Ogni università ha il suo sistema e succede spesso che un ragazzo italiano in Spagna superi un esame da 10 crediti che però diventa da 6 al suo ritorno. Con questo sitema non si invogliano certamente i ragazzi a partire, soprattutto adesso che gli anni per laurearsi sono veramente pochi e si deve fare tutto in fretta". Gli studenti anti-Erasmus. Spulciando tra i dati AlmaLaurea è possibile tracciare anche una classifica degli studenti che di Erasmus non ne vogliono proprio sentir parlare. In cima alla lista ci sono i ragazzi del settore chimico-farmaceutico, seguiti da quelli di medicina, biologia e ingegneria. Decisamente più europeisti invece gli universitari impegnati in studi economici, politico-sociali e architettura, anche se il primato resta saldamente nella mani degli studenti iscritti a corsi di tipo linguistico. Tutti però sono in netta minoranza rispetto a quanto succedeva in epoca pre-riforma. Basti pensare che se con la laurea a ciclo unico aderivano al progetto Erasmus quasi 11 architetti su 100, con il varo del 3+2 non si arriva nemmeno a quota 4 (vedi la tabella) . Il trend in Europa. E se in Italia l'Erasmus è alle corde, nel resto d'Europa l'esercito di studenti che si muove è in continua crescita. Secondo la Commissione Europea lo scorso anno i partecipanti al programma di mobilità studentesca hanno toccato quota 135 mila, con un aumento di quasi dieci punti percentuali rispetto all'anno accademico 2002/2003. La Spagna è il Paese che ha ospitato più universitari (22.000) seguita da Francia e Germania. Buona la posizione dell'Italia che ha accolto poco più di 12 mila ragazzi: moltissimi gli spagnoli (4200), i tedeschi (1700) e i francesi (1200), pochi quelli provenienti da Gran Bretagna e Portogallo che si attestano sotto quota mille. Spagna che resta in cima anche alle prefernze dei nostri studenti con 5600 ragazzi diretti nelle università di Madrid o Barcellona, mentre riscuotono scarso interesse i paesi nordici e i nuovi Stati membri dell'Unione Europea. Più crediti per chi parte. Ma se i numeri parlano dell'inizio di una crisi, cosa si può fare per cercare di invertire la tendenza negativa degli ultimi anni. "Di certo bisognerebbe riflettere su come organizzare i cicli di studio - commenta Elke Koch-Weser, coordinatrice del programma Socrates-Erasmus all'università La Sapienza di Roma -. Alcuni atenei stanno cercando di invogliare gli studenti a partire integrando la borsa di studio messa a disposizione della Ue, ma questo non è una pratica molto diffusa. Magari prevedere l'acquisizione di crediti da parte di chi aderisce al programma può essere una soluzione praticabile. Studiare all'estero è un'esperienza formidabile, che io consiglio sempre ai miei studenti. Anche a costo di laurearsi con qualche mese di ritardo". (31 ottobre 2005 __________________________________________________ Il Sole4ORE 29 ott. ’05 SPESE RICERCA, DOPPIO BINARIO SENZA ACCESSO Le spese di ricerca e sviluppo sono escluse dalla disciplina del "doppio binario" e non è possibile dedurre extra contabilmente l'ammortamento. Il chiarimento arriva dalla risoluzione 152/E di ieri che conferma il contenuto della circolare 27/E/05 sul disinquinamento del bilancio e la gestione del doppio binario. La circolare ribadisce che la norma sulle deduzioni extracoratabili non si applica alle spese a utilità pluriennale contemplate nell'articolo 108 del Tuir e. di conseguenza, non è possibile dedurre extra contabilmente quote di ammortamento. Infatti, l'articolo 109, comma 4, lettera bj, si riferisce agli ammortamenti di beni, mentre le spese di ricerca e sviluppo e tutte le altre spese previste nell'articolo 108 non possono essere considerate «beni immateriali». Pino a questo punto si tratta di conferme. Ma la risoluzione va oltre e si occupa del caso di una società che nei bilanci degli esercizi 2000 e 2001 ha imputato integralmente al conto economico le spese di ricerca e sviluppo. Nella nota integrativa il comportamento è stato motivato quale rettifica fiscale (articolo 2426, comala 2, Codice civile), al fine di beneficiare dell'opportunità concessa dall'articolo 74, comma 1 (allora in vigore), relativo alle spese per più esercizi. Nell'ambito dei disinquinamento fiscale. la società ha ripristinato il valore civilistico delle spese. L'operazione ha comportato l'iscrizione di una sopravvenienza attiva e delle imposte differite. La società chiede conferma circa l'irrilevanza fiscale, attraverso variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2004, della sopravvenienza attiva emersa in seguito al disinquinamento: i futuri ammortamenti civilistici saranno recuperati a tassazione. L'Agenzia ribadisce che le spese non rientrano nell'ambito del disinquinamento. Non si applica la disciplina prevista dall'articolo 109 del Tuir: scattano, invece, i principi generali sulla determinazione del reddito d'impresa. Principi che non consentono di dare rilievo al ripristino delle spese relative a studi, ricerche, pubblicità e propaganda, la cui deduzione è avvenuta. Così, la loro emersione in bilancio non dà luogo alla tassazione della sopravvenienza e neppure al riconoscimento dei costi dedotti in precedenti esercizi. 11 secondo periodo del comma 1 dell'articolo 108, sull'ammortamento dei beni attenuti in seguito a studi e ricerche, prevede che le quote sono calcolate sul costo diminuito dell'importo dedotto. La risposta delle Entrate riafferma che nel caso in cui l'impresa effettua un disinquinamento di dubbia interpretazione civilistica, il Fisco non può entrare nel merito e tassare la sopravvenienza. Il problema resta circoscritto all'ambito civilistico e può accadere quando la nota integrativa è ambigua. Per evitare dubbie situazioni di carattere civilistico, il principio contabile 1 dell'Oic, Organismo italiano di contabilità, ha precisato che il disinquinamento dalle interferenze fiscali, contenute nei bilanci precedenti a12004, è obbligatorio. In particolare per le imprese che nella nota integrativa hanno dichiarato di avere contabilizzato; al fine di ottenere vantaggi tributari, ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valore privi di giustificazione civilistica. Invece, se le partite contabilizzate nei precedenti esercizi erano tali che l'impresa aveva trovato sostanziale coincidenza tra norma fiscale e criterio contabile e in tal senso si era espressa nella nota integrativa; queste partite non costituiscono interferenza fiscale. Nella risoluzione 152IE l’Agenzia sottolinea dunque che esulano dalla sua competenza valutazioni sulla conformità a corretti principi contabili delle modalità di contabilizzazione delle spese di ricerca e sviluppo. FRANCO ROSCINI VITA __________________________________________________ Il Sole4ORE 28 ott. ’05 WEB LAUREE, ECCO I PRIMI DOTTORI ON LINE Grazie a Internet cresce in Italia l'offerta di titoli a distanza Dottori con una password per il lavoro. Ingegneri elettronici, esperti di marketing, avvocati e persino laureati in lettere: cresce di anno in anno il numero degli studenti che percorrono la "strada telematica" per conseguire un titolo universitario attraverso Internet. Dopo il via libera del decreto Moratti-Stanca (17 aprile 2003) che consente a soggetti pubblici, università statali e privati di istituire corsi di laurea online, si sono moltiplicate le offerte degli atenei ed è aumentata proporzionalmente l'attenzione e la partecipazione ai corsi di studio. La maggioranza sono lavoratori, spesso in età adulta. «Si tratta di persone tra i 30 e i 50 anni - spiega Fabio Capani, rettore dell'Università Leonardo da Vinci (Unidav) di Chieti - soggetti che hanno problemi di tempo o impegni familiari, lavorano o semplicemente hanno interrotto gli studi e vogliono completarli». L'Università telematica aiuta nel loro percorso i diversamente abili, gli italiani all'estero e chi vive in sedi disagiate. Non mancano casi di talenti, che puntano a una seconda laurea mentre lavorano. Come funziona? L'accesso alle lezioni è libero, con tempi e modalità personalizzate, basta avere un Pe e un collegamento Internet. I percorsi didattici sono monitorati da tutor esperti, che assistono classi di 25-40 alunni al massimo, garantendo un'assistenza e una vicinanza che superano spesso in qualità quelle degli Atenei reali. «All'Università Telematica G. Marconi - aggiunge il rettore Alessandra Briganti - abbiamo anche un centro di consulenza motivazionale, per assistere lo studente in difficoltà psicologica». Le modalità d'insegnamento sono molteplici: si va dalla lezione videoregistrata alla distribuzione di dispense telematiche, dai test di apprendimento online ai Cd- Rom multimediali. Ogni Università ha le sue regole. I mezzi più usali sono Internet e il satellite, anche se non mancano piattaforme di e-learning che sfruttano la tv digitale terrestre, videoconferenze, aule virtuali, chat e forum. 1 classici manuali, i libri e le dispense non sono obbligatorie, sostituite quasi sempre da documentazione digitale, libri elettronici, presentazioni. Gli esami, invece, sono sempre frontali. L'offerta formativa è molto ampia in Italia. Il Carso in Ingegneria informatica online del Politecnico di Milano è il primo ad avere sfornato laureati, Avvia I costi sono elevati ma i vantaggi sono evidenti per i fuori sede to nel 1999, in collaborazione con Somedia, e certificato da Campus One della Crui, conta oggi circa 500 studenti, il 92% dei quali dichiara di svolgere già un'attività lavorativa. Si tratta di giovani tra i 30-36 anni di cui soltanto il 30% proviene dalla Lombardia. «Costa mediamente il doppio dell'università tradizionale - dichiara Alberto Colomi, direttore del Centro Metid del Politecnico - ma offre ovvi risparmi, per esempio a chi vive nel Centro e Sud Italia da cui proviene un terzo dei nostri studenti. A Chieti, invece, (che nel 2006 dovrebbe lanciare anche Giurisprudenza e Psicologia) i corsi triennali dì Storia e tutela del patrimonio archeologico, Economia e management dei servizi sanitari, Formazione alle professioni educative costano circa 2.000 euro. «Meno di un quarto sono studenti abruzzesi», precisa Capani. «Molti degli iscritti a Economia sono medici, dirigenti di Asl o aziende ospedaliere». Molto più ampia è, invece, l'offerta formativa dell'Università Marconi, arrivata al terzo anno di attività. Con 3mila iscritti dichiarati, annovera sei corsi di laurea online (Scienze giuridiche, economiche, della formazione, geo-topo- cartografiche, sociali e Lingua e cultura italiana), che a breve, tramite Microsoft Windows Media Center, saranno fruibili anche sul televisore di casa. Telma, invece, l'Università telematica del Formez partirà con due corsi a novembre: Economia e management dell'audiovisivo e Produzione e distribuzione audiovisiva. materie che potrebbero interessare anche gli addetti della Guardia di Finanza con cui ]'Università sta definendo accordi. Un discorso u pane merita, invece, il Consorzio Nettuno, ente attivo già da dieci anni, che offre 27 corsi di laurea suddivisi fra Architettura, Beni culturali, Economia, Ingegneria, Psicologia, Sociologia, Scienze della comunicazione. È un colosso della formazione, che conta 26mila iscritti e ben 30mila ore di lezione già sviluppate e archiviate su Internet. Tra gli Atenei tradizionali, invece, sono da segnalare l'Università di Palermo (Scienze matematiche, fisiche e naturali), Reggio Emilia (Comunicazione e marketing), Ferrata (Turismo e Beni culturali e Comunicazione Multimediale), mentre per gli studenti del Nord un'ottima occasione è anche il nuovo Politecnico di Studi Aziendali di Lugano, che ha messo online sei Corsi di Laurea in Scienze Aziendali, della Comunicazione, Politiche, Enogastronomiche, Informatiche ed Economiche. Un passo indietro, invece, per la Cattolica di Milano, che nei prossimi due anni dimezzerà i suoi corsi triennali a distanza, mantenendo le lezioni in videoconferenza per Agraria, Economia c Scienze della Formazione. A CURA DI DARIO BANFI CRISTINA CASADEI __________________________________________________ Il Sole4ORE 28 ott. ’05 TUTTI I FIGLI DELLA OPEN UNIVERSITY Ma come si è sviluppata in Europa l'offerta di formazione e lauree ori Ime? Nel Vecchio continente le esperienze più significative appartengono all'area scandinava e al Regno Unito. Si tratta di esperienze ispirate a quelle della Open University,l'archetipo inglese di fine anni '60 utilizzato e vagheggiato da molti altri Paesi. Va ricordato che questo vero e proprio sistema ha laureato oltre 2 milioni di persone in tutte le discipline e vanta oggi 200mila iscritti. Mentre negli Stati Uniti sul finire degli anni '90, con la forte diffusione di Internet lo sviluppo delle università virtuali, fino ad allora relegate al ruolo di formazione a distanza per corrispondenza o tramite corsi televisivi, ha assunto una nuova connotazione grazie al canale ubiquo e a basso costo e diventava possibile la realizzazione di programmi di insegnamento interattivi, nel Regno Unito, sulla spinta di quanto avvenuto negli Stati Uniti, lo sfruttamento di Internet è stato più focalizzato verso la creazione di biblioteche virtuali, dove fosse possibile trovare materiale didattico a supporto dello studio. Tuttavia mentre negli Stati Uniti ciò è stato propedeutico alla nascita di corsi e campus virtuali, nel Regno Unito invece è venuto meno lo stimolo e l'interesse a promuoverne la diffusione. Anche quando nel 2000 venne lanciato un ambizioso progetto pubblico denominato e-University, che avrebbe dovuto raccogliere le realtà accademiche che si erano segnalate per le loro iniziative virtuali e sul quale il governo britannico avrebbe investito 100 milioni di euro, la mancanza di un ruolo di coordinamento centrale e, secondo alcuni, di focus preciso verso il "mercato" ha portato al fallimento dell'iniziativa. Nel 2003 dopo tre anni di vita dei 250 mila studenti che avrebbe dovuto attrarre, l'e-University contava solo 950 iscritti. L'Hefce che è l'organismo statale inglese che promuove e finanzia lo sviluppo del sistema didattico, alla luce degli errori commessi con la e-University ha successivamente optato per un approccio decentralizzato, lasciando alle singole realtà universitarie britanniche il compito di approcciare il nuovo mercato senza doversi conformare a un strategia centralizzata, ma limitandosi a dare un supporto di natura tecnologica. Ad oggi tuttavia il ritardo accumulato dal sistema britannico nei confronti dei cugini americani rimane sensibile e il recupero pianificato non ha ancora dato risultati. ___________________________________________________________ La Repubblica 28 ott. ’05 PALMA D'ORO ALL'HARVARD UNIVERSITY ricerca del "Times" di Londra. Nessuna università italiana nella elite mondiale. Nella classifica delle prime venti Inghilterra, Francia e Cina la top-20 degli atenei premia gli Usa In testa tra le italiane La Sapienza, al 125esimo posto Poi ci sono Bologna al numero 159 e Firenze al 199esimo Il simbolo di Harvard LONDRA - L'Università americana di Harvard è la più prestigiosa del mondo. Anche quest'anno nessun ateneo italiano, invece, figura tra i cento più quotati. Per incontrare una nostra struttura occorre scendere la classifica fino al 125esimo posto, dove troviamo La Sapienza di Roma. Lo rivela una ricerca del quotidiano londinese Times. Secondo la graduatoria, redatta grazie alla valutazione di 2375 docenti universitari, Harvard è seguita a breve distanza dal Mit, il Massachussets Institute of Technology. Non potevano poi mancare le due storiche università inglesi, Cambridge e Oxford. E ancora, Stanford, l'università californiana con sede a Palo Alto, nel cuore della Silicon Valley, l'Università Berkeley della California e Yale, a New Haven, nel Connecticut. Tra i primi sette atenei, dunque, ben cinque sono statunitensi. Ben più in fondo bisogna scorrere la lista per trovare le università italiane. Nella classifica il Times conferma la presenza della Sapienza, che sale al 125esimo posto rispetto al 162esimo dello scorso anno. Oltre all'ateneo romano figurano l'università di Bologna al 159esimo posto (eral numero 186 nel 2004) e, per la prima volta, l'università di Firenze al 199esimo. Oltre a Cambridge e Oxford, il primo ateneo europeo che si incontra è la francese École Polytechnique, al decimo posto, mentre a sorpresa al quindicesimo posto compare l'università di Pechino. Tra i fattori che hanno influenzato la classifica, il numero di studi citati dagli altri atenei, il rapporto numerico tra docenti e studenti e il numero di professori, alunni e ricercatori provenienti dall'estero che lavorano nelle diverse facoltà e dipartimenti. Criteri di valutazione che premiano soprattutto il peso scientifico dell'ateneo, ma che potrebbero non coincedere con il punto di vista degli studenti e che inevitabilmente finiscono per premiare le strutture più grandi. _____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25 ott. ’05 LA MATEMATICA CONTRO L' ECONOMIA Il padre della geometria dei frattali: «Sbagliate le regole della finanza» L' opera e la vita di Benoit Mandelbrot smentiscono molti luoghi comuni sui matematici. Per esempio, l' idea che un grande matematico debba aver già dato il massimo di sé ben prima di arrivare ai trent' anni. Mandelbrot ha pubblicato tutti i suoi lavori più importanti dopo aver passato la cinquantina, alcuni dopo la sessantina e ancora altri dopo la settantina. Oggi, a ottantun anni, è attivissimo e non cessa di esplorare nuove strade. Inoltre, si pensava che l' opera di un grande matematico dovesse essere comprensibile solo a un pugno di suoi colleghi altamente specializzati. Ma una ricerca su internet per il termine «frattali» (da lui coniato nel 1974) dà 3 milioni e trecentoquarantamila siti. Un altro luogo comune è che un grande matematico sia una raffinata macchina per astrazioni impalpabili, un virtuoso di formule pure, un dimostratore di teoremi. Mandelbrot è anche tutto questo, ma ha esplorato il mondo soprattutto con gli occhi, non solo quelli della mente, insistendo sull' importanza fondamentale dello sguardo diretto sulle forme e le architetture dell' universo, alcune reali, alcune astratte ma direttamente connesse con quelle reali. Nato a Varsavia, cresciuto e laureato a Parigi, poi per molti anni eminente professore di matematica all' Università di Yale e ricercatore nei laboratori della Ibm a Yorktown Heights, Mandelbrot si è sempre mosso con un piede nell' accademia e uno nell' industria, trovando ispirazioni (e applicazioni) in fisica, in economia, in biologia e in chimica. Infine, Mandelbrot ha smentito il luogo comune forse più sottile e radicato: che i modelli matematici debbano per forza fuggire dalla ruvidezza e irregolarità delle cose concrete, sostituendovi curve continue e figure perfette. Mandelbrot considera, invece, la ruvidezza (roughness in inglese) una grandezza naturale, onnipresente, ineludibile, ma trattabile rigorosamente, al pari di temperatura, peso, colore, frequenza, acidità. Immaginiamo di spaccare in due un comune mattone e osserviamo la ruvidezza delle due nuove facce così create. Ripetiamo questa brutale operazione sui frammenti e poi sui frammenti di quei frammenti, fino a quando ci dovremo servire di una lente per osservare quelle piccole facce ruvide. Esse si assomigliano tutte, sono tutte, come Mandelbrot ci ha insegnato a dire, «auto- simili». Un altro esempio: prendiamo la costa ligure, da Lerici a Turbia (come Dante suggeriva), poi prendiamo un chilometro di quella costa, poi dieci metri, poi un metro, poi dieci centimetri. La ruvidezza resta sempre la stessa, l' intera costa rocciosa e i sui più piccoli tratti sono anch' essi ugualmente ruvidi, sono, appunto, «auto-simili». Così è anche il cuore di un cavolfiore, così il nostro apparato circolatorio e tant' altro in natura. Egli ha trovato il modo di trattare matematicamente questi oggetti irrimediabilmente ruvidi, mediante insiemi geometrici che hanno un numero non intero di dimensioni (hanno un numero, appunto, fratto; per esempio, quattro terzi o sette quarti). La sua più celebre equazione se la batte per semplicità con quella leggendaria di Einstein (E=mc2). Si tratta di una serie di funzioni, tale che ciascuna di esse è uguale alla precedente innalzata al quadrato, più c («c» è un parametro). Niente di più, niente di meno. E' vero, la serie va vista raffigurata su un piano matematico un po' particolare, detto piano complesso, per motivi storici. Ma è pur sempre un piano, raffigurabile su un foglio, o su uno schermo di calcolatore. L' insieme infinito di punti che si estrae da quella semplicissima serie di equazioni, cioè il luogo dei punti del piano complesso che danno soluzioni non infinite, è il bellissimo insieme di Mandelbrot, quasi un cavolfiore visto in sezione, un cuore che tocca un cerchio che tocca tanti altri cerchi più piccoli, con minute infinite ruvide propaggini, ciascuna delle quali contiene un intero insieme uguale a quello di partenza, e così per le propaggini delle propaggini all' infinito. Adesso Mandelbrot ci dice che la ruvidezza è anche la legge che governa i mercati finanziari. Nel suo recentissimo libro (scritto con il noto analista finanziario Richard L. Hudson e tradotto da Einaudi), vengono criticati quasi tutti gli assunti centrali delle scienze economiche. Mandelbrot e Hudson mostrano che non è vero che gli agenti economici siano tutti uguali e perseguano il massimo del profitto, non è vero che si possano estrapolare le tendenze dei mercati sul medio e lungo termine, non è vero che i prezzi cambino in modo continuo. Domina, invece, anche qui un' ineliminabile ruvidezza. Per esempio, la curva della media dell' indice Dow Jones dal 1916 ai giorni nostri, se tracciata in grafici opportuni, mostra oscillazioni degne di un elettroencefalogramma, vibrazioni caotiche, fughe verso lo zero o verso l' infinito. In queste loro «immagini dell' anormale», una sintesi di 40 anni di battaglie di Mandelbrot contro le teorie finanziare ortodosse, si canta il De Profundis della scienza economica. A Genova al Festival della scienza Benoit Mandelbrot (nella foto), 81 anni, è nato a Varsavia, ma si è laureato a Parigi. È stato professore di matematica all' Università di Yale. Sarà presente al Festival della scienza di Genova giovedì 3 novembre. Piattelli Palmarini Massimo ___________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’05 ULTIMO ROUND PER LE NOMINE AL MIT ITALIANO C’è tempo fino a metà novembre per le firme ministeriali. Manca quella della Moratti (Miur) Non decolla l’Iit di Genova. Dal Tesoro 150 milioni ma gli uffici sono ancora vuoti Mancano ormai pochi giorni. A metà novembre l’Istituto italiano di tecnologia, il Mit tricolore incaricato di rilanciare la ricerca scientifica nel Bel Paese, potrebbe, ironia della sorte, ritrovarsi senza testa. La prorogatio degli attuali vertici dell’istituto, partita ai primi di ottobre in assenza delle nuove nomine, scade infatti tra poco più di due settimane. E qualcuno, soprattutto in Liguria, comincia a essere seriamente preoccupato. A cominciare da Claudio Burlando, presidente Ds della Regione, per cui «è un momento delicatissimo: la proroga ha comportato una sorta di paralisi della vicenda». Una paralisi che ha coinvolto direttamente anche la stessa amministrazione regionale, impegnata con Fintecna in un’operazione da 22 milioni di euro per rilevare l’edificio di Morego, alle spalle di Genova, candidato a diventare la sede dell’Iit. Burlando è pronto a mettere a disposizione i locali, 24 mila metri quadrati completamente cablati, ma sul versante dell’Iit gli interlocutori, ingabbiati nel limbo della prorogatio, non hanno preso impegni di lungo periodo: la presentazione dei nuovi uffici di Morego è stata annullata. La Regione, come ha dichiarato la diessina Roberta Pinotti (eletta nel collegio che include Morego), «non sa con chi firmare» la messa a disposizione dei locali, perché sul fronte Iit «non esiste un elemento decisionale che possa assumersi tale responsabilità». Per la Pinotti il ritornello è lo stesso anche quando dai piani dei vertici gestionali si scende a quelli della direzione scientifica. «A settembre», spiega il deputato, «sono stati convocati 20 scienziati di calibro internazionale per valutare un loro inserimento nell’istituto; ma oggi nessuno è in grado di dare una risposta sull’esito dei colloqui ai 20 candidati». E la storia dell’istituto, seppur ancora breve, è già costellata di una serie di contrattempi e dilazioni che alimentano lo scetticismo di molti in Liguria. Nato con la finanziaria del 2003, all’Iit è stato destinato uno stanziamento di fondi di 50 milioni di euro per il 2004 e di 100 milioni negli anni successivi fino al 2014. Ma, ad oggi, i soldi spesi sembrano essere solo una manciata di milioni, a testimoniare lo stato ancora iniziale dell’iniziativa. Ci sono poi voluti quasi due anni perché, il 31 luglio, venisse approvato lo statuto dell’Iit. Infine, c’è stato anche un «cambio di location» della sede candidata a ospitare gli scienziati: prima di Morego tutti davano per vincente l’ex ospedale psichiatrico di Quarto, a Levante, poi abbandonato perché richiedeva troppo tempo (e risorse) per i lavori di restauro. Ma che cosa sta bloccando oggi le nomine dei nuovi vertici, in primis del presidente dell’istituto, una poltrona che sostituirà quella del commissario Vittorio Grilli? La designazione del presidente e dei primi tre componenti del board spetta al premier, al ministro dell’Economia e a quello dell’Istruzione, università e ricerca. Se sembra che i primi due abbiano già firmato da tempo la nuova lista, «il decreto è fermo sul tavolo di Letizia Moratti», afferma Burlando. Tuttavia il ministro, anche lei di origini genovesi, «firmerà la lista entro i termini della prorogatio». Così almeno dichiarano fonti interne del dicastero, che aggiungono di essere «perfettamente regolari sulla tempistica delle nomine perché le proroghe non sono ancora scadute; in altre parole, non c’è alcun vuoto di potere». A completare il poker di sangue ligure dopo Burlando, Pinotti e Moratti c’è il ministro delle attività produttive Claudio Scajola. Per il politico di Imperia l’Iit avrà presto un consiglio di amministrazione che consentirà di procedere all’avvio dei piani operativi, sancendo il passaggio definitivo dalla fase di start up alla gestione ordinaria. Alle preoccupazione dell’asse Burlando-Pinotti, quindi, rispondono le assicurazioni del duo Moratti-Scajola. Una doppia coppia dove i primi aspettano che le promesse dei secondi diventino realtà. Entro il 15 novembre, altrimenti non resterebbe che la prorogatio della prorogatio. Giovanni Stringa ___________________________________________________________ Corriere della Sera25 ott. ’05 BILL GATES:L'ITALIA? E' UNA SORPRESA TECNOLOGICA Bill Gates: l'era del computer è solo all'inizio, ne faremo uno che vede e ascolta Bill Gates non veste blu manager ma marrone intellettuale. Da intervistato, ha una straordinaria capacità di centrare il punto della questione, e di ricondurla a se stesso e al suo business, due cose che spesso - ma non sempre - coincidono. E' arrivato a Milano alle 2 del pomeriggio, per lo Smau. E' passato in tv: Bonolis e la Buonamici. Ora è nella sua suite. Alle 9 di sera ha l'aereo per Parigi. Bill Gates, Microsoft ha trent'anni, e lei ne compie cinquanta venerdì prossimo. E' considerato da sempre un uomo del futuro. Si volti indietro. Come guarda se stesso? Il manager e la persona? "E' anche il ventesimo compleanno di Windows e di Microsoft Italia… in effetti ho sempre guardato in avanti, mai al passato. E' una necessità: in un settore che si muove così rapidamente, anche tu devi cambiare di continuo. C'è così tanto da fare. Il sogno del personal computer non è ancora realtà: il pc non riconosce il parlato, né la scrittura manuale; il pc non vede. L'era del computer è solo all'inizio. In alcune aree, come i tablet-pc, siamo abbastanza soli; in altre, come la musica e i motori di ricerca, abbiamo una forte concorrenza. Ci piacciono entrambe le cose. Mi sono sempre sentito un pioniere; se gli altri avanzano, lo farò anch'io. Nei prossimi dieci anni ci attendono progressi fenomenali. Useremo i pc in modo finora impensabile". Quali cambiamenti ci attendono nei prossimi 3 o 4 anni? Quale impatto avranno sulla vita della gente? E sull'economia? "Ogni anno la tecnologia diventa meno costosa e più affidabile. Per usarla la gente non ha più bisogno di conoscere i dettagli, che so, i processori a 64 bit. Il futuro è il riconoscimento visivo e del parlato: potremo parlare con il cellulare senza digitare alcunché, fotografare con il telefonino un codice a barre e conoscere attraverso Internet il prezzo di quel prodotto e dei concorrenti, oppure fotografare un testo e farlo tradurre nella nostra lingua. Oggi il software non sa ancora riprodurre tutte le capacità naturali dell'uomo. Presto gli studenti, grazie al tablet-pc che sostituirà i libri di testo…". In che modo? Come funziona il tablet-pc? "E' una sorta di lavagnetta digitale. Costerà sempre di meno, e consentirà agli allievi di registrare la lezione del professore senza più prendere appunti. L'interfaccia naturale con il computer crescerà di anno in anno". L'Europa e in particolare l'Italia non sono in ritardo? L'economia italiana si regge su piccole aziende, quindi non pare in condizione ideale per lo sviluppo della tecnologia e della ricerca. Come vede il nostro futuro? Cosa dovremmo fare? E cosa può fare Microsoft? "Quando i computer erano grandi e costosi, aiutavano solo le grandi aziende. Oggi i pc danno vantaggi enormi alle piccole aziende, che possono collaborare con i partner da lontano, aprire un sito web, ricevere ordini 24 ore al giorno anche quando non c'è nessuno in ufficio. Le tecnologie prossime venture saranno preziose per le aziende italiane, ad esempio per quelle di moda, che disegneranno sempre meglio i loro prodotti in digitale, simulando soluzioni sempre nuove prima di passare alla produzione. Le piccole aziende ci interessano molto, rappresentano buona parte del nostro lavoro". Ogni volta che lei viene in Italia passa da Milano. La città di Leonardo, di cui lei è estimatore. La capitale della cultura scientifica italiana. Ora, sembra, anche della crisi italiana. "Crisi? Quale crisi?". Lei non ha questa percezione? "No. Innanzitutto a me piace molto Milano, che trovo bellissima, come mi piacciono Roma e altre città che conosco anche come turista. Lei parla di crisi. Molti paesi, non solo l'Italia, devono cogliere l'occasione al volo, muoversi con grande rapidità, cambiare. Se non lo fa Milano, il resto d'Italia non lo farà. I business-leader sono qui, tocca a loro progettare le riforme, il futuro. Io sono convinto che i business-leader italiani siano ottimi. Ho appena incontrato gli uomini di Capitalia, lavoro con Telecom, con cui stiamo testando nuove tecnologie. E non considero affatto l'Italia un Paese tecnologicamente arretrato. L'anno scorso l'uso privato della banda larga è cresciuto del 35%: è una cifra record, che si può ancora migliorare; sogno che nei prossimi tre o quattro anni si arrivi al 50. Non vedo un'Italia rimasta indietro. Certo, c'è molto da fare. Abbracciare senza perdere tempo la tecnologia, il cambiamento, il nuovo". Parliamo di Internet. Il simbolo della libertà e della diffusione della democrazia; almeno, così pareva sino a poco tempo fa. Non crede che da una parte la valanga di informazioni inutili, dall'altra il controllo legato alla necessità della sicurezza minaccino il futuro di Internet? "Tutto il settore, e Microsoft in particolare, devono considerare con la massima attenzione questi abusi. Lo spam - la posta indesiderata - e il furto di identità possono essere eliminati con il progresso. Internet resta uno strumento di democrazia, in particolare per i Paesi poveri. Sopprimere l'informazione libera è impossibile. Anche in Russia, anche nei Paesi dove c'è una tradizione di controllo dei giornali non è più possibile nascondere le notizie che arrivano via Internet, per posta elettronica. Questo per me è un'ottima cosa. Certo, esistono anche i "bad guys", i cattivi. Servono leggi per fermarli. Dobbiamo sviluppare un buon rapporto con la polizia, fare in modo che conosca la tecnologia, migliorare l'"intelligence" dei computer, anche del sistema Windows". Alcuni Paesi, non solo la Cina, hanno introdotto restrizioni. Questa politica minaccia il libero sviluppo di Internet? Deve cambiare in futuro? "Restrizioni ci sono sempre state. La stampa non può riprodurre il lavoro altrui. In Germania è vietata la propaganda nazista. Nella maggior parte dei Paesi ci sono divieti in tema di pornografia e pedofilia. Tutti hanno un certo livello di restrizione, anche gli Stati Uniti, dove siamo piuttosto liberali ma abbiamo limiti, magari anche salutari. Il nuovo sistema operativo Windows Vista, ad esempio, consentirà ai genitori di inibire ai figli l'accesso ad alcuni siti web". Alcuni Paesi europei considerano l'America troppo potente anche nel campo di Internet, e spingono per affidarne la supervisione all'Onu. Lei che ne pensa? "Spero che resti un problema non molto importante. Non credo ci siano posizioni di dominio o di controllo. C'è stato probabilmente qualche favoritismo nei confronti delle aziende americane nell'assegnazione dei nomi dei domini. Lo si può correggere. Che l'agenzia di controllo sia Icann, o una nuova agenzia in ambito Onu, o la Itu che già si occupa di telecomunicazioni in seno alle Nazioni Unite, in ogni caso credo saprà cosa fare". Non crede che la politica estera Usa in questi ultimi quattro anni abbia scavato un solco tra l'America e l'Europa? "Certo. E' così. Ma Europa e Usa hanno anche tante cose in comune. Vivono in un'economia globale, vogliono aprirla ai Paesi in via di sviluppo, lavorano per la stabilità mondiale, lottano contro il terrorismo; che non minaccia solo l'America ma tutti i Paesi. L'America ha fatto alcune scelte in modo autonomo, anche se non del tutto unilaterale; c'erano pur sempre alcuni partner. Questo ha creato problemi; anche in certi rapporti di lavoro. E' possibile migliorare. In nome dei valori comuni, credo che le distanze si ridurranno". Vede antiamericanismo in Europa, in Italia? "Anche in America c'è un sacco di gente a cui l'America non piace. E' un sentimento diffuso un po' ovunque, ma in misura inferiore rispetto ad altri passaggi della storia. Alcune politiche americane dispiacciono in Europa, in particolare quella ambientale e quella palestinese. Questo però non sfocia nel rigetto di tutto quanto è americano; nessuno mi ha mai detto che non usa i pc perché prodotti in America; anche perché in un mondo sempre più piccolo è difficile individuare lo specifico culturale di un Paese, dire cosa è americano e cosa non lo è. L'America ad esempio ha ottime università, e gli europei lo sanno. Sanno di non poter dare un giudizio globale sull'America". Lei non ama parlare di politica. Però alle elezioni di un anno fa ha appoggiato Bush, mentre alcuni suoi manager hanno appoggiato Kerry. "E' vero. La Microsoft non è mai partigiana; non lo è in America, non lo è in Italia, dove so che i miei hanno idee politiche diverse tra loro. L'azienda non fa politica, anche se dedichiamo molto tempo ai politici; ad esempio per discutere le restrizioni a Internet di cui parlavo prima". Da giovane aveva una passione politica? "Ho sempre trovato la politica affascinante. E la seguo. Vado a votare. Ma non ho mai trovato il partito perfetto, quello che mette le aziende in condizione di redistribuire la ricchezza. Mi concentro sulle cose su cui posso incidere. La tecnologia. La Fondazione Bill e Melinda Gates". Che si occupa in particolare di vaccini, ad esempio di quello per la malaria. Lei personalmente è preoccupato per i ritardi nella ricerca di un vaccino per l'influenza aviaria? "Noi ci occupiamo di malattie che uccidono già oggi milioni di persone: l'Aids, appunto la malaria. Di questo dovrebbe preoccuparsi la gente. Se poi emergeranno nuove malattie, il mondo ricco potrà contare sulle aziende farmaceutiche, che le combatteranno. Pure la malaria si potrebbe combattere; ma siccome dal mondo ricco è scomparsa, non c'è mercato per il vaccino. La gente muore, e noi lo ignoriamo. La Fondazione raccoglie denaro per creare il mercato, e salvare milioni di persone". Quale futuro vede per Microsoft? Davvero il successo di Google la preoccupa tanto? "Abbiamo sempre badato molto alla concorrenza, anche a quella di sigle oggi non più così note, come Novelle, Web Perfect, Os2 di Ibm. Google è solo l'ultimo concorrente. Non ci dispiace. La gente sottostima quel che faremo nel settore, e questo mi diverte". Quindi non è vero che lei vuole distruggere Google? "No. Dai concorrenti si impara. Rispetto il loro lavoro. Ci impegneremo nell'innovazione, e i clienti decideranno. Passare da un motore di ricerca all'altro è la cosa più facile del mondo, basta scrivere una parola nell'apposito spazio anziché un'altra. Chieda a qualcuno se è soddisfatto dei motori di ricerca; le risponderà di sì in confronto al passato, ma che ogni ricerca resta una caccia al tesoro, visto che richiede almeno 5 minuti per trovare quanto interessa. Noi vogliamo fare qualcosa di meglio. Il vero vincitore sarà il consumatore". E' sempre pessimista sul futuro dei libri e dei giornali? Dovranno cambiare ancora? "Tutto deve cambiare. Le auto, la tv, persino i musei. E' evidente che la carta è destinata a perdere la sua posizione dominante. Se i suoi figli le chiedono un'enciclopedia, lei dà loro un libro o un computer? Però ci sarà sempre bisogno di buone enciclopedie, e di buoni articoli. Con il tablet-pc li scriverete ancora meglio". Lei legge i giornali americani? "New York Times", "Washington Post"? Le piacciono? "Sì. Leggo tantissimo. Più on-line che su carta, però". La tv la guarda? "Vado moltissimo al cinema. La tv non rientra nel programma della giornata. Non ho abbastanza tempo. Vedo solo una trasmissione che si chiama 24, al mattino presto, mentre faccio ginnastica". Aldo Cazzullo ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 30 ott. ’05 PACI CANDIDATO, LA RIVOLTA DEI PICCOLI Verso il voto. Nonostante le smentite, il nome del preside di Scienze politiche è il più gettonato nelle riunioni informali «Ds e Margherita hanno già deciso, così non ci stiamo» «Hanno già il nome in tasca e lo vogliono imporre prima ancora di parlare di programmi», hanno detto con toni, tempi e sfumature diverse i leader di Psd'Az, Prc, Verdi, Udeur, Lista per Cagliari. Il segretario cittadino dei Ds, Ignazio Angioni, lo ha giurato anche ieri: «Non c'è mai stato incontro tra i partiti dove si sia parlato di nomi». Eppure è da dieci giorni, da quando il suo omologo della Margherita Roberto Murru ha parlato di proporre una «candidatura unitaria della Fed», che partiti, partitini e movimenti della galassia Unionista si agitano e sbraitano. «Hanno già il nome in tasca e lo vogliono imporre prima ancora di parlare di programmi», hanno detto con toni, tempi e sfumature diverse i leader di Psd'Az, Prc, Verdi, Udeur, Per Cagliari. Del pericolo, da ultimo, ha parlato il candidato indipendente alle Primarie, Gianni Loy, presentando la filosofia del suo programma. Il nome misteriosoMa chi è il candidato misterioso, qual è il nome che tutti fanno nei salotti e nei bar, quello che «te lo dico ma non dirlo a nessuno», colui al quale tutti si riferiscono quando affermano con certezza assoluta che quelli della Fed (cioè Ds, Margherita e Sdi) «hanno già scelto?» Concreta o no, la candidatura dei chiacchiericci è quella di Raffaele Paci, preside di Scienze Politiche, presidente del Crenos, il Centro ricerche economiche nord sud. É lui che vince le primarie dei salotti, le consultazioni senza urna, la competizione verbale con Gian Mario Selis, Paolo Fadda, Antonello Cabras, Tonino Serra, Paolo Frau, Marco Espa, Antonio Cao. «Difficile», sostengono alcuni. «Perché Paci è vicino a Soru e Soru ha già la Regione, non può dominare anche a Cagliari». «Ragionamento da vecchia politica», replicano altri. Lista per cagliariDi sicuro i piccoli sono nervosi. Tre giorni fa si sono riuniti e hanno fatto il punto. «Ci auguriamo che Ds e Margherita non avanzino una candidatura bloccata perché sarebbe contraria alla filosofia delle primarie e altererebbe lo spirito del gioco», ammonisce, sereno, Sergio Ravaioli (Lista Per Cagliari). «Così si produrrebbe l'effetto Mistretta, la cui candidatura nel 2000 fece allontanare altri concorrenti. Paci? Andrebbe benissimo, ma non deve essere il candidato unico di Ds e Margherita». Federazione dei verdiAnche i Verdi manifestano diffidenza: «La strategia dei grandi partiti già alle provinciali del 2005 è stata quella di imporre i loro candidati», ricorda Pino Zarbo, numero uno provinciale. «E credo che per questa loro incapacità di tenere unita la coalizione pagheremo un prezzo. Noi, ad oggi, siamo fuori dalla coalizione, se in futuro condivideremo i programmi si vedrà». La tranquillità dei dsPer Ignazio Angioni, segretario cittadino dei Ds «si tratta di preoccupazioni prive di fondamento. Noi non abbiamo proposto un nome ma stiamo cercando assieme agli altri di capire se ci sono le condizioni per fare una sintesi su un nome a partire dalla Fed. Questo», aggiunge, «non significa che sia stato trovato il candidato. Sia chiaro: alle primarie tutti giocano alla pari». E Paci è un'ipotesi in campo? «Abbiamo uno spettro molto vasto dal quale attingere. La questione la affronteremo nelle prossime settimane». MargheritaMurru aggiunge che «il livello di partecipazione dei cittadini ormai è tale che nessuno può egemonizzare questo processo. Detto questo non si capisce perché se Ds, Margherita e Sdi hanno idee comuni non possano presentare un candidato comune. Che sia quello vincente, poi, è tutto da dimostrare, visto che in Puglia e al Comune di Chieti non hanno prevalso i candidati indicati da noi». E se il ragionamento non è bastato a convincere Rifondazione e Sardisti, due pezzi ritenuti fondamentali per la coalizione, figurarsi l'Udeur, strenui sostenitori dell'ortodossia democristiana e allergici alle primarie. l'allergia dell'Udeur«Devono essere un'eccezione, non la regola, perché tolgono peso ai partiti», argomenta Simone Paini, leader dei giovani. Non si capisce come faccia l'Udeur a pensare di stare nella coalizione. Paini accusa: «Qui si fanno solo nomi senza parlare di programmi» e non si capisce che «se siamo uniti vinciamo, se manca anche solo un pezzo la partita è complicata». L'italia dei valoriStefano Marras (Italia dei Valori) sdrammatizza: «In questa fase non è il caso di drammatizzare posizioni che vengono assunte dai partiti maggiori», dice. «Le primarie sono uno strumento dei cittadini, ben vengano più candidature. L'importante è proseguire serenamente un ragionamento al tavolo della coalizione». Già, serenamente.(f. ma.) ___________________________________________________________ Corriere della Sera29 ott. ’05 L’ATENEO FAI-DA-TE (INTITOLATO AL NONNO) La singolare storia della «F. Ranieri» di Villa San Giovanni: il quasi via libera del ministero, lo stop della Corte dei Conti, le sanzioni dell’Antitrust In sei anni in Italia sono raddoppiate le università: da 41 a 80 Il Comm. Uff. Cav. Dott. Prof. Rett. Francesco Ranieri non molla: l’università che ha fondato a Villa San Giovanni intestandola al caro nonno «Francesco Ranieri» per strappare i cervelli alla Bocconi o alla Cattolica, s’ha da fare. Certo, ha qualche intoppo. Ma, anche se ha tutti i rettori contro, è convinto che lassù qualcuno (come dimostra lo sbalorditivo «via libera» ministeriale poi bloccato dalla Corte dei Conti) lo ami. E confida dunque, col figlio amministratore e la figlia segretaria, che il suo ateneo europeo-familiare possa infine nascere. Passerà alla storia, l’«Università degli studi Europea F. Ranieri», sistemata in una palazzina vicino all’imbarco dei traghetti per la Sicilia. Perché è difficile trovare un esempio più accecante dell’andazzo che hanno preso le cose. Per carità: forse i vecchi atenei erano a volte torri inespugnabili dominate da vecchi baroni e chiuse a ogni riforma e ogni innesto di giovani talenti. Forse davvero erano troppo pochi. Forse era indispensabile l’introduzione di un po’ di concorrenza. Ma se già nel 1999 pareva stupefacente la moltiplicazione delle università salite allora a 41, il dato di oggi appare mostruoso: in sei anni sono diventate 80. Il doppio. Basta sfogliare il sito Internet del ministero. E ci trovi l’Università «Kore» di Enna, che è stata fortissimamente voluta dal ras diessino Mirello Crisafulli e si è data come rettore, reduce dalle grane giudiziarie, l’ex ministro Salvo Andò. E l’Università Telematica Tel.Ma dove il sito rimanda a una serie di negozi di articoli ortopedici. E poi l’astronomica Uninettuno. Per non dire delle sedi distaccate, delle facoltà decentrate o dei corsi di laurea breve sparpagliati ovunque. Con l’Ingegneria logistica a Crotone e l’Igiene dentale a Tricase e l’Economia dell’Azienda Moderna a Casamassima e le Tecnologie Agrarie Tropicali e Subtropicali a Ragusa e via così col coinvolgimento di borghi e contrade. «Sa cosa sogno?», ride da anni il costituzionalista Augusto Barbera, tra i critici più duri di questa proliferazione che avrebbe portato le «città universitarie» a sfondare la barriera del mezzo migliaio, «Sogno di trovare all’ingresso dei paesi il cartello "comune de-universitarizzato"». Mica facile: ormai non c’è sindaco, da Vipiteno a Lampedusa, che non sia stato infettato dal virus dell’«universitarite». Basti ricordare alcune delle ultime 17 richieste di nuove università. Tra le quali spiccava la «Libera università umanitaria euromediterranea "Mater vitae et veritatis"» a Mirabella Eclano e Gesualdo. Ci sarebbe da ridere se il livello dei docenti, via via che queste «università» nate spesso intorno a una cattedra (esistono professori di materie tipo «Operatori per la pace» o «Tappeti erbosi»), non andasse automaticamente in senso inverso: più sono le cattedre, più bassa è la preparazione di chi insegna. Ovvio. Col risultato che i ragazzi, adescati soprattutto nel Mezzogiorno (ma non solo) col miraggio di un pezzo di carta da prendere senza faticosi e sofferti traslochi nelle città più grandi, si ritrovano alle prese con docenti improvvisati di cui non sanno nulla. Il Comm. Uff. Cav. Dott. Prof. Rett. Francesco Ranieri, che sul suo sito Internet si presenta grondando onorificenze da tutti i pennacchi, ha spiegato che l’ateneo di cui si è fatto eleggere rettore, non avrà questi problemi: «Il comitato scientifico sarà composto da 15 professori di ruolo provenienti da diverse prestigiose università italiane». Quali? Milano! Milano! «Posso anticipare che si tratta di 6 docenti della Bocconi, 5 cattedratici della Luiss, 2 della Cattolica e altrettanti del San Raffaele». Perché dunque, ha spiegato a Repubblica , uno dovrebbe «andare a studiare alla Bocconi quando con 15 euro al giorno può ottenere una laurea a casa nostra?». «Una sciocchezza», risponde il rettore dell’Università di Reggio Alessandro Bianchi, segretario generale della Crui, «appena la disse, scrissi a tutti i colleghi chiedendo se qualche loro docente (così dicono le regole) avesse chiesto l’autorizzazione e la risposta fu unanime: mai sentito niente del genere». Ma lui, Ranieri, che decise di metter su il suo ateneo dopo aver fatto per anni «il professore e il preside delle scuole medie di 1° e 2° grado», non vuol neanche sentir parlare delle critiche del «collega»: «Ha fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote». Certo, i professori non li ha ma «appena tutto sarà in ordine, arriveranno anche quelli». Gli studenti, intanto, aspettano. E pagano. Sono anni, ha scritto uno alla Procura, «che ci illudono facendo circolare voci fasulle» circa «l’imminente riconoscimento». E denunciando la richiesta di 6 mila euro per l’iscrizione, ha allegato dei bollettini dove sta scritto «Contributo volontario 2° rata». Lui, l’auto-rettore, fa spallucce: «Si risolverà tutto». Non ha forse annunciato lo stesso Berlusconi, in visita a Reggio, che la sua «università» sarebbe stata aperta? Certo, i rettori degli atenei calabresi avevano votato «no». E «no» aveva votato in un primo tempo, come ricordò sul Sole 24 ore il direttore della Normale di Pisa Salvatore Settis (il primo a sollevare lo scandalo), il Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, che mesi dopo, invitato dall’alto a riesaminare il caso, si sarebbe rimangiato il giudizio consentendo al ministro di dare «quasi» il via libera. Un «quasi» bloccato dalla Corte dei Conti. Accompagnato da due sanzioni dell’Antritrust (l’ultima è di questi giorni) per pubblicità ingannevole. E seguito pochi mesi fa da una diffida dello stesso Ministero che ricordava come la sua delibera «non prevede l’istituzione del Corso di Laurea magistrale in Odontoiatria» e «non istituisce l’Università» visto che questa «con l’autorizzazione al rilascio dei titoli di studio universitari aventi valore legale, per i suddetti corsi di laurea in Economia e commercio e Giurisprudenza, viene attuata con successivo decreto». Pochi giorni e tocca alla prossima puntata: una nuova riunione dei rettori calabresi e siciliani. Il «no» appare scontato. Ma basterà a bloccare l’apertura di questa che la pubblicità vanta, parole d’oro, come una «università a misura d’uomo»? Gian Antonio Stella ======================================================= ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 ott. ’05 CAGLIARI: MEDICINA, QUASI UNA FACOLTÀ MODELLO L’unico vero problema sono i trasporti Il preside: «Offriamo sempre nuovi stimoli» «Non abbiamo studenti che si perdono per strada» CAGLIARI.Il disagio più esasperante? Non sta nella didattica, ma nei trasporti: ogni giorno un supplizio da Cagliari alla Cittadella di Monserrato, perché i pullman viaggiano lenti, e il più delle volte al limite della capienza. Ma per il resto, è tutto okay. Parola di studenti. E parola anche di Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina. Una facoltà che vede il numero dei laureati crescere di anno in anno, e che da marzo, probabilmente non avrà più bisogno di far girovagare gli universitari. «Qualcuno si lamenta dei servizi della facoltà - sorride Gavino Faa - Nella maggior parte dei casi credo che questo sia dovuto però alla brutta abitudine di volersi sempre piangere addosso››. I fatti, sembrano dargli ragione. ‹‹Non abbiamo studenti che si perdono per strada - dice Faa - seguiamo i nostri ragazzi, prendendoli per mano, dal primo sino al sesto anno. E soprattutto cerchiamo d’offrire sempre nuovi stimoli››. Un esempio? I corsi professionalizzanti, dice il preside: ‹‹L’esborso di denaro è notevole, ma ne vale la pena››. E poi ci sono le ultimissime novità. Come un manichino per le simulazioni di pronto soccorso, d’ultima generazione, che sta per entrare nelle aule. Il costo? Centocinquantamila euro. ‹‹Lo abbiamo acquistato da una ditta svedese - dice soddisfatto Faa - secondo quel che mi è stato detto, siamo la prima facoltà di medicina in Italia ad averlo››. Insomma, un bel pezzo di tecnologia per avvicinarsi ancor di più alla realtà di tutti i giorni. Una novità che per i ragazzi del sesto anno va ad aggiungersi a un’altra: i tirocini negli ambulatori di medici di base e di pediatri. ‹‹Abbiamo chiamato diversi medici - racconta Faa - chiedendogli se fossero disponibili. Con nostra sorpresa la maggior parte ha accettato volentieri››. Insomma, la facoltà di Medicina sembra una macchina ben collaudata, anche se non mancano i problemi. Il più grave per gli studenti è quello dei trasporti: ‹‹Sono di Carbonia, per arrivare a Cagliari impiego un’ora - dice Lorenzo Espa, uno dei loro rappresentanti - Ma da Cagliari per arrivare in facoltà mi ci vuole un’altra ora: è scandaloso››. E giù con le proposte, come quella di pensare a una linea diretta Cagliari - Cittadella universitaria: ‹‹Un po’ come si fa d’estate, quando i bagnanti possono contare su un pullman diretto al Poetto››, dice Espa. Eppure il problema potrebbe trovare un’altra soluzione: ‹‹Entro marzo - dice Gavino Faa - avremo pronta probabilmente la nuova spina didattica: dieci mila metri quadri nuovi di zecca, interamente per la nostra facoltà››. Per gli studenti significherebbe cambiare vita: ‹‹Sarebbe una manna dal cielo - dice Lorenzo Espa - perché vorrebbe dire che non dovremo più dividerci tra i diversi corpi della facoltà: potremmo arrivare alla Cittadella al mattino e andarcene tranquillamente la sera››. Sistema anche questa, resta aperta un’altra ferita: i soldi sono sempre meno, e a risentirne sono ancora una volta gli studenti. Come quelli che vorrebbero specializzarsi ma che non riescono ad entrare in scuola di specializzazione. Una questione spinosa che ha sollevato un vespaio di polemiche: ‹‹La verità vera - dice Gavino Faa - è che quest’anno ci sono state tagliate 50 borse: 30 dalla Regione, 20 dal Ministero. Significa che per mancanza di fondi non abbiamo potuto far accedere ai nostri corsi cinquanta dottori››. Con la conseguenza che mentre qualcuno dovrà aspettare una nuova occasione, chi ha potuto permetterselo è fuggito fuori dall’isola. Sabrina Zedda I NUMERI Molti iscritti e finanziamenti esigui CAGLIARI. Centosettanta matricole, un numero totale d’iscritti pari a 1.381. Sono questi i primi numeri del corso di Laurea in Medicina e chirurgia, quarantadue corsi integrati, con relativo esame, per un totale di 360 crediti formativi (maturato ciascuno con un lavoro dello studente di 25 ore). All’interno della facoltà troviamo anche il corso di Odontoiatria e Protesi dentaria: dura cinque anni, per un totale di 37 corsi integrati. Una laurea che piace a molti, ma che non è per tutti: attualmente il numero totale degli iscritti è di 103. Ci sono poi i corsi di laurea triennali. Di questi si è parlato e riparlato, soprattutto perché qualche tempo fa, in seguito alle vicende legate alla costituzione dell’azienda mista università - regione, molti di essi non erano partiti. Le conseguenze si sentono ancora: sebbene gli anni di corso sono tre ne risultano attivati solo due. Di quali corsi si tratta? Di quelli legati alle professioni sanitarie - infermieristiche e quelli riguardanti la professione ostetrica - sanitaria. E dopo le vicende del passato, arrivano nuove grane. Come l’esiguità dei fondi: ‹‹Per le lauree sanitarie - denuncia il preside Gavino Faa - il budget è enormemente basso››. Così basso, che Faa quasi si vergogna di dire con quanti soldi i corsi stanno andando avanti quest’anno. Ma i fatti parlano chiaro: solo per i corsi riguardanti le professioni infermieristiche, mentre l’anno scorso era stato possibile far iscrivere settanta aspiranti infermieri, quest’anno si è stati costretti a non accettare più di trenta immatricolazioni.Un fatto che stride con l’urgenza d’infermieri gridata invece pressoché in tutti gli ospedali: nei giorni scorsi, durante un sopralluogo della commissione regionale Sanità, era stato proprio questo un problema segnalato tra i più urgenti. (s.z.) ___________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 29 ott. ’05 ANATOMIA PATOLOGICA PARTE IL SERVIZIO SANTA CRUZ HA VINTO Policlinico. Il rettore accetta le richieste Arrivano le attrezzature necessarie per attivare il reparto al centro di tante polemiche Giuseppe Santa Cruz ha vinto la sua guerra: lunedì partirà il servizio di Anatomia patologica. Il reparto fantasma del Policlinico di Monserrato, di cui era direttore già da tempo. «Il momento è arrivato», commenta compiaciuto, «sono grato al rettore Pasquale Mistretta perché ha accolto le mie richieste e adesso abbiamo in dotazione apparecchiature moderne e personale esterno di ottimo livello, in attesa che gli interni siano preparati». La guerra di Santa Cruz, senza esclusione di colpi, è stata lunga e difficile. Tra le battaglie c'è quella per la cattedra di Anatomia patologica divisa con il preside di Medicina Gavino Faa, in netto contrasto con lui. Ricorso al Tar, al Consiglio nazionale dell'Ordine, carabinieri intervenuti durante un esame, urla in corsia durante un sopralluogo: Santa Cruz è un vulcano di idee e trovate polemiche. Tutte per legate alla mancata apertura del suo servizio. La pace siglata con il rettore segna un notevole passo avanti, determinante per l'attivazione del reparto. Ma non basta per cambiare i pessimi rapporti con il preside Faa. «Non ho ancora intenzione di andare all'Università», aggiunge Santa Cruz, «con il rettore è tutto a posto, tanto che mercoledì verrà nel reparto per congratularsi della partenza del servizio, ma con il preside niente è cambiato». Continua la guerra fredda, che spesso si è scaldata. Ma passa in secondo piano perché il servizio di Anatomia patologica, di cui Santa Cruz era già direttore senza che fosse mai entrato in funzione, sta per partire. E il docente, specialista di Medicina legale, potrà utilizzare i laboratori del reparto, anche questi al centro di polemiche, incomprensioni e ripicche. Torna il sereno sul Policlinico e i pazienti avranno un nuovo servizio. Senza inutili trasferte per le biopsie. ? M. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 28 ott. ’05 MONSERRATO COMITATO IN RIVOLTA CONTRO IL MAXI PONTE Lettera a prefetto, Regione, Provincia e Anas: il percorso non è sicuro Mille firme per una rotatoria: «Pronti a bloccare la 554» Secondo un comitato spontaneo il grande ponte per la Cittadella universitaria non è sicuro e dalla circonvallazione 554 il traffico non sparirà. Lettera al prefetto: «Meglio costruire una rotatoria» «Il maxi ponte sulla 554, quello per la Cittadella universitaria, non è sicuro». L'allarme è lanciato da un comitato spontaneo, che ha promosso una petizione con mille firme. Un consigliere comunale, fautore del gruppo di protesta, va ancora oltre: «Cerchiamo il dialogo, attendiamo un confronto con Provincia e Comune, perché qui si sta per compiere un danno enorme, quasi come quello del Poetto». Carlo Sanvido, consigliere del Gruppo misto, non esclude clamorose iniziative di lotta: «Se nessuno ci ascolterà potremmo imitare i cagliaritani che si sono opposti al parcheggio di via Manzoni. Ma bloccare la 554 è l'ultima cartuccia che intendiamo sparare. Anche se, alla luce dei precedenti, la protesta oggi sembra essere l'unico modo per far valere diritti e ragioni». Il documentoA giorni la Provincia consegnerà il cantiere all'impresa. Ma il Comitato anti- ponte ha formulato una controproposta. In una lettera a prefetto, Regione, Provincia, Anas e Comune ricorda che - spendendo molto meno - il collegamento tra Monserrato-San Fulgenzio e il Policlinico potrebbe essere garantito da una rotatoria a valle di una sopraelevata, sull'esempio del piano che Cagliari sta attuando per rendere più fluida la viabilità da e per via Peretti. Non basta: «La scelta di andare avanti con il ponte», scrivono a nome del comitato Ignazio Zuddas ed Efisio Sanna, «è motivata dalla circostanza che, essendo il progetto esecutivo già stato approvato e grosse somme già spese in progettazioni e consulenze, se non si desse avvio alle opere la Regione potrebbe chiedere i danni alla Provincia». SicurezzaMa perché il ponte è avversato dal comitato? La risposta è di Efisio Sanna, ingegnere: «Lo svincolo a quadrifoglio realizzato quarant'anni fa tra la 554 e la 131, con i criteri del tempo ma oggi carente, interessa circa 20 ettari e ha raccordi del raggio di 60 metri», dice l'esponente del comitato. «Quello per la Cittadella è un quadrifoglio che si è voluto mantenere in dimensioni elevate per il territorio in cui si inserisce, ma incompatibili con la funzionalità dell'opera, circa sei ettari. Prevede solo curve strette, di 35 metri, e in più punti, in successione destra-sinistra- destra, corsie di accelerazione e decelerazione brevi, assieme a pendenze elevate dei raccordi e delle rampe. Sono elementi che creeranno pericoloso il transito e critiche le condizioni di traffico». I punti critici«È stato curato molto l'aspetto spettacolare, prevedendo che il ponte sia appeso con cavi di acciaio a un altissimo pilone. Ma il viadotto avrà una sola corsia per senso di marcia: così il tappo nella 554 non sparirà». La conclusione: «La valutazione di impatto ambientale allegata al progetto approvato evidenzia un grave paradosso: prevede di scavalcare la 554 con il ponte strallato di oltre ottanta metri e altissimi costi. Risulterà però impossibile allargare la carreggiata della circonvallazione, oggi di 14 metri, a causa della vicinanza dei raccordi circolari. Infine, non si capisce come si potrà mettere in sicurezza la 554 senza la possibilità di realizzare la corsia di emergenza e senza adeguare lo spartitraffico centrale». Lorenzo Piras __________________________________________________ La Voce 23 ott. ’05 OSSA SU MISURA DI CERAMICA E STAMINALI Vedi alla voce: ceramica, Non si tratta di vasi Ming, ma... di ossa "su misura" di bioceramica e staminali Una volta la rivoluzione era nelle camere di combustione dei motori a scoppio, adesso è la volta della medicina. Fratture e traumi ossei perfettamente guaribili senza crisi di rigetto, grazie ad un materiale ceramico biointegrabile messo a punto dall'Istituto di scienza e tecnologie dei materiali ceramici {Istec} del Cnr di Faenza. "Il composto è già distribuito per l'utilizzo in campo neurologico", spiega la dr.ssa Anna Tampieri, coordinatore del Dipartimento bioceramici dell'Istec del Cnr, "dove nel caso di traumi cranici l’0percolo asportato dal chirurgo difficilmente può essere riutilizzato per chiudere il difetto poiché subisce un processo di riassorbimento tale da non consentire più una perfetta chiusura del foro. Per risolvere il problema si ricorreva all'utilizzo di resine acriliche responsabili non solo del rigetto, nel 25% dei casi, ma anche della necrosi delle cellule cerebrali a contatto diretto. Ora invece il chirurgo invia la tac del cranio con il difetto da riparare a Finceramica che, su questa immagine tridimensionale, costruisce il 'pezzo osseo custom made, ossia fatto su misura, perfettamente compatibile". Il passaggio del materiale innovativo dai laboratori Cnr all'applicazione nelle sale operatorie è stato reso possibile grazie ad un'impresa spin-off della ricerca, Finceramica, che ha ottenuto la certificazione europea per impiantare il materiale high tech sui pazienti. Il risultato è stato illustrato oggi, a Firenze, nel corso della tavola rotonda "Le nuove frontiere della ricerca e le innovazioni terapeutiche in ortopedia: un modello di sinergia pubblico-privato tutto italiano" moderata dalla giornalista cui ha partecipato, tra gli altri, Lucio Stanca, Ministro per l'innovazione e le tecnologie. Il composto poroso ottenuto ricalca perfettamente, mimandola, la componente minerale dell'osso, in particolare il tessuto spongioso, dove avviene la rigenerazione delle cellule ossee in caso di fratture, e nel caso di impianto non genera crisi di rigetto. Il prossimo passo dei ricercatori sarà l’ingegnerizzazione della struttura ossea nella sua complessività, comprendente l'elemento minerale e quello polimerico naturale (il collagene). "Gli sforzi sono indirizzati a coltivare questi impianti artificiali insieme con cellule staminali o del paziente stesso in un bioreattore, così da originare un osso quasi autologo, cioè personalizzato, sfruttando la capacità dei materiali di laboratorio di indurre una differenziazione cellulare in grado di riparare anche contemporaneamente più tessuti come nel caso dei siti articolari dove occorre ripristinare la cartilagine e, nei casi gravi, anche l'osso", Lo studio è oggetto di un progetto attivato nell'ambito del Sesto Programma quadro dell'Unione Europea. "Importanti risultati emergono anche sul fronte del drug delivery poiché questi materiali, oltre a svolgere la loro primaria funzione di rigenerazione ossea, sono in grado di fissare o rilasciare in modo mirato farmaci antibiotici, antitumorali e fattori di crescita a seconda« della richiesta terapeutica o fungere da `carrier' virali per la terapia genica". Positivo il commento del prof Luigi Donato- coordinatore del Dipartimento di Medicina del Cnr - alla collaborazione Cnr - Finceramica: "una sinergia che si traduce in prodotti industriali applicabili in rilevanti problematiche sanitarie. Esempi di questo genere mettono in evidenza le peculiarità e le potenzialità più significative della rete scientifica del Cnr." ____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 28-10-2005 CHI LAVORA A 65 ANNI VIVE DI PIÙ PAROLA DEI TEXANI Se il ministro del Welfare Roberto Maroni avesse letto the Times di lunedì sorso, avrebbe un argomento in più per convincere i lavoratori ad accettare il o,vuherbonus» c rimandare l'età della pensione. Il quotidiano londinese cita infatti un'indagine pubblicata dal 13rilislt AlcdJr«l.lmumnl che porta ad una conclusione rassicurante: lavorare 1,t bene alla salute. La ricerca è stata condotta dalla Sbell nell'arco di ben 26 anni, durante i quali ha nu>nitorato la longevità di 4 mila lavoratori texani che si sono ritirati dal lavoro rispettivamente a 55. 60 e (5 anni. 11 risultalo è andato a netto sfavore dei «baby» pensionati. Più precisamente i lavoratori che hanno abbandonato la lori> attività a 55 anni hanno avuto, nei primi dicci anni seguiti al loro pensionamento, un lasso di mortalità quasi doppio di duello registrato tra i loro colleghi che, a 65 anni, continuavano ancora a lavorare alla Shcll. Delle due l'una ironizza giustamente 77rr Timr,c a questo punto o le condizioni