APPRODA IN GAZZETTA UFFICIALE LA LEGGE SUI DOCENTI UNIVERSITARI - LE NUOVE VIE ALLA CATTEDRA, PIÙ PROBLEMI CHE SOLUZIONI - IL MERITO CONTRO IL PRIVILEGIO - PRODI AI PROF: «BISOGNA METTERSI ALLA CARRETTA» - TREMONTI AFFOSSA SCUOLA E UNIVERSITÀ: 400ML IN MENO - CONFIDUSTRIA: NIENTE TAGLI ALL'UNIVERSITÀ. - RIFORMA BOOMERANG PER I DOCENTI A RISCHIO OLTRE 42MILA CATTEDRE - FINANZIARIA: STOP AI FONDI ANTI-SCLEROSI IN SARDEGNA - CERITIFICAZIONE: IN AULA MAGNA. CON IL «BOLLINO BLU» - DIPLOMI - LAUREE L EQUIPARAZIONE KO - DOPO LA RIFORMA, LAUREA BREVE, LUNGA O INUTILE? - UNIVERSITÀ D'EUROPA UNITEVI - RUINI: UN SISTEMA UNIVERSITARIO INTEGRATO PER UNA CULTURA SENZA BARRIERE - ATENEO. ELEZIONE DEGLI STUDENTI: PRESENTATE 191 LISTE - CAGLIARI: LA MONARCHIA ALL'UNIVERSITÀ - SASSARI: PROCESSO A CIRIELLI: UNA LEGGE PER I RICCHI E CONTRO I POVERI - TASSE UNIVERSITARIE, È SILENZIO L'ATENEO NON AFFIDA IL SERVIZIO - SIBAR: REVOCATO L’INCARICO AD AYMERICH - SILENZIO, L’FBI TI ASCOLTA» TUTTI SORVEGLIATI NEGLI USA - ======================================================= SANITÀ, ECCO IL NUOVO PIANO REGIONALE - OSPEDALI, SARÀ L’ANNO DELLE RIVOLUZIONI - MANAGER ASL AL RUSH FINALE - FRANCO MELONI LASCIA L’AZIENDA BROTZU - DIFENDERE LA SALUTE PER DIFENDERE LA LIBERTÀ - GLI STENT AIUTANO LE CORONARIE - ELETTRODI NEL CERVELLO PER FERMARE I TIC - QUANDO L'IPERATTIVITÀ È UNA MALATTIA - QUEI BRUCIORI ALL'APPARATO GENITALE - MEDICI E MALATI, SCARSO IMPEGNO - LA "BANCA" DELLE OSSA - UNA CURA PER L'AMAUROSI CONGENITA - LO STOMACO COME MACCHINA DELLA VERITÀ - CANNABIS CONTRO IL DOLORE PER 80 MALATI DI CANCRO - «SFERETTE» A PROTEZIONE DEL SORRISO TROPPO SENSIBILE - PROTEOMICA: L'ULTIMA FRONTIERA CONTRO I TUMORI - ERNIA DEL DISCO: TROPPE INCISIONI SU QUEI DISCHI - ======================================================= Il Sole24Ore 6 nov. ’05 APPRODA IN GAZZETTA UFFICIALE LA LEGGE SUI DOCENTI UNIVERSITARI LE RIFORMA DEL SISTEMA ISTRUZIONE Cambiano le modalità per la selezione dei professori ROMA Più vicina la piccola rivoluzione che cambierà lo stato giuridico dei professori universitari. I1 20 novembre entrerà in vigore la legge n. ?30 del 4 novembre 2005, che riscrive la disciplina su docenti e ricercatori e delega il Governo a riordinare il meccanismo di reclutamento dei professori. Il provvedimento è stato. infatti, pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» n. 258 di ieri. La riforma Moratti sostituisce gli attuali concorsi banditi dagli atenei a livello locale con un nuovo sistema dì reclutamento, che prevede una lista di idoneità nazionale come base per la successiva chiamata da parte delle università. L'ateneo, per chiamata diretta, può dare posti di ordinario o associato a professori stranieri o italiani impegnati all'estero. Gli atenei. poi, potranno stipulare convenzioni con le imprese. Questo significa che potranno ottenere incarichi temporanei professori stipendiati da imprese o enti esterni. Un cambiamento radicale attende i ricercatori. che saranno arruolati con contratti a tempo determinato della durata massima di sei anni, a partire dal 2013. Fino ad allora sarà possibile bandire concorsi per la copertura di posti di ricercatore a tempo indeterminato. 1 ricercatori che insegnano da almeno tre anni potranno ottenere il titolo di professori "aggregati". Fra i prossimi obiettivi del ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, c'è anche la creazione di un'Agenzia indipendente per la valutazione delle università. Il progetto è seguire l'esempio di Paesi come Regno Unito, Francia, Germania e Svizzera. In Italia, oggi, è il Comitato di valutazione del sistema universitario (Cmrsu) a svolgere attività di valutazione a sostegno delle politiche del ministero, soprattutto per quanto riguarda la definizione di requisiti minimi e la nascita di nuove università. Mentre negli atenei il compito è affidato ai Nuclei di valutazione, che collaborano con il Cnvsu ma sono nominati dai rettori. Il ministro è tornato, ieri, a difendere il provvedimento. Riferendosi alle proteste dei rettori. che hanno affiancato gli studenti. Moratti ha affermato che «sono eletti dal corpo docente e a questo devono rispondere. E noi abbiamo toccato i privilegi, abbiamo inserito elementi di competitività e di maggiore impegno». Potrebbe, invece, finire domani l'occupazione dell'università Statale di Milano. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 12 nov. ’05 LE NUOVE VIE ALLA CATTEDRA, PIÙ PROBLEMI CHE SOLUZIONI LO STATO GIURIDICO DEI DOCENTI UNIVERSITARI II localismo non viene sconfitto, si rischia anzi di irrigidirlo La riforma non aiuterà a premiare il merito DI DARIO ANTISERI Se fosse vero che le «nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari» rappresentano una «riforma meravigliosa», ne conseguirebbe che tutti quei rettori, presidi e docenti che hanno dato vita a una protesta senza precedenti sono o incompetenti o disonesti. O tutt'e due le cose insieme. Non credo affatto che le cose stiano così e ciò, innanzitutto, per la ragione che l'attuale riforma della docenza ha volutamente ignorato la proposta più ragionevole, meno macchinosa e più trasparente: quella della lista aperta di idonei per professore ordinario e professore associato. In cosa consiste? A scadenza prefissata, le diverse commissioni elette dai colleghi dei rispettivi raggruppamenti scientifico-disciplinari dichiarano idonei a occupare cattedre di prima e seconda fascia (da ordinario o da associato) candidati che hanno dato buona prova nella ricerca scientifica. Saranno poi le diverse Facoltà a chiamare gli idonei considerati più adatti sia per gli sviluppi della ricerca che per le necessità didattiche. In questo modo, le commissioni non si vedrebbero costrette ad arzigogolare cavilli per escludere candidati degni almeno tanto quanto quelli dichiarati idonei per ogni posto messo a concorso (prima tre, poi due e oggi, in base alla nuova normativa, il doppio dei posti messi a concorso nelle prime due tornate di idoneità per professori ordinari e nelle prime quattro tornate per professori associati e, a regime, con l'aumento di un massimo del 40% dei posti messi a concorso). Per il momento, pertanto, siamo rimasti al sistema della "bina". E l'idea della lista aperta è stata scartata. Eppure, una simile misura - inizialmente avanzata dal ministro Berlinguer, appoggiata al Senato dall'opposizione di allora sotto le indicazioni e le argomentazioni del senatore Pera, fatta propria da moltissimi illustri docenti, a cominciare da Umberto Eco - venne successivamente stravolta alla Camera dove si fissò per tre anni il numero di tre idonei per ogni posto messo a concorso, e di due idonei per ogni posto messo a concorso nelle tornate successive. Dunque: la lista aperta fu bocciata dalla sinistra ed è stata ignorata dalla destra. Che senso ha mettere un limite alle idoneità? Che ne sa il legislatore di quanti sono gli studiosi validi in questo 0 quel settore? Se in un settore scientifico- disciplinare ci sono, su cento candidati, venti studiosi degni di idoneità, perché mai una commissione dovrebbe essere costretta a promuoverne solo sei, qualora, per esempio, i posti a concorso fossero tre? E, allora, in base a quali ragioni si è avallato un sistema che costringe a umiliare, magari per anni e anni, studiosi ben preparati? La grande stampa ha esaltato il concorso nazionale, finalmente nazionale! Chiedo: e la proposta della lista aperta che cosa è se non la forma più chiara e trasparente di concorso nazionale? In ogni caso, la reiterata obiezione contro la proposta della lista aperta di idonei è stata ed è che le liste aperte si sarebbero dilatate in maniera tale da inglobare bravi e meno bravi. Qui, però, non si vede la ragione per cui i membri delle commissioni giudicatrici sarebbero irresponsabili se estensori di liste aperte e responsabili, invece, se estensori di liste chiuse. Chi ci dice che nella lista chiusa passerebbero soltanto i migliori, e non anche i meno bravi o addirittura soltanto i meno bravi? E la cosa di maggior rilievo, purtroppo sempre sottovalutata, è che proprio con la lista aperta i bravi non verrebbero esclusi, con la conseguenza di un'ampia libertà da parte delle Facoltà all'atto delle chiamate. Con le «nuove disposizioni» si è inteso ergere una diga contro il "localismo", vale a dire contro i concorsi banditi dai singoli atenei con l’auspicio della riuscita del candidato locale. Ebbene, a parte i fatto che si sono avuti concorsi con bocciature di candidati locali, e a parte il fatto che se una Facoltà bandisce un poste pensando a un candidato locale, lo fa perché, in linea generale, quel candidato ha dato buona prova di sé, le «nuove disposizioni» comportano quale conseguenza inintenzionale, non l'eliminazione del localismo quanto piuttosto il suo irrigidimento. Supponiamo, infatti, che un professore associato si senta pronto per il passaggio a ordinario, va da sé che costui. prima di chiedere alla Facoltà di bandire il posto, s'informerà, per quanto possibile, sull'eventuale consenso di cui gode pressò i docenti di ruolo del suo settore scientifico-disciplinare e sul consenso della Facoltà per l'eventuale chiamata, e se non avrà ragionevoli assicurazioni, quel posto, con ogni verosimiglianza, non sarà messo al bando. Quindi: il prevedibilissimo esito del tanto sbandierato «nuovo concorso nazionale» sarà il localismo più ferreo o la sostanziale paralisi dei concorsi. Esiti, questi, la cui prevedibilità è rafforzata dalla proposta per cui i commissari non saranno più eletti d"ai membri dei vari settori scientifico- disciplinari ma pescati a sorte. Quasi che le commissioni sorteggiate - proprio perché sorteggiate e non elette - sarebbero immuni dalle reiterate, anzi eterne, bassezze di cui si sarebbero mostrate capaci le commissioni elette dai colleghi. Disoneste per definizione le commissioni elette; trasparenti e probe, per decreto legislativo, le commissioni con membri sorteggiati! E qui più d'uno, nei giorni trascorsi, ha reclamato la par condicio: quel che vien fatto valere per gli universitari dovrebbe valere pure per i nostri parlamentari: si aboliscano i sistemi elettorali e si sorteggino, tra le elettrici e gli elettori, i nostri parlamentari. Non è da oggi che i nostri ricercatori sono sotto tiro. Quel che si è voluto e si vuole far credere è che gran parte dei guai, se non tutti, dell'Università dipendono dai ricercatori. Ecco il ritornello: è un male che il posto da ricercatore sia un posto di ruolo; il posto di ruolo alimenta la fannulloneria; occorrono, quindi, anni di precariato per stimolare lo spirito di ricerca, eccetera eccetera. Va qui subito detto che questi non sono argomenti, ma autentiche sciocchezze, purtroppo cariche di conseguenze nefaste. Ma poi: questi ricercatori di chi sono allievi? Chi li ha guidati? Chi li ha promossi? Se un ricercatore ha smesso di fare ricerca, la colpa è sempre sua? E da quali pulpiti viene spesso la predica! Non esistono ordinari che da anni non fanno ricerca, più intenti a far soldi nei loro studi privati o indaffarati a fungere da strofinacci nella cucina di questo o quel partito? Ed è di una gravità enorme che a migliaia di ricercatori siano stati affidati, all'interno dei vari corsi di laurea, insegnamenti anche fondamentali, e che la nuova legge non abbia riconosciuto la terza fascia di docenza. Sa di ridicolo il titolo di professore "aggregato" per gli attuali ricercatori con un triennio di insegnamento e per i nuovi ricercatori reclutati da qui al 2013 a tempo indeterminato, escludendo da questo titolo gli attuali ricercatori con meno di tre anni di insegnamento. Ed è illiberale, perché in contraddizione con i più elementari principi meritocratici, aver stabilito quote riservate sia per i concorsi da ordinario che da associato. Un Paese privo di un buon sistema formativo non ha molte speranze per il futuro. E non basta dire di aver fatto una riforma perché la riforma sia ipso facto anche una buona riforma. E questa del reclutamento della docenza universitaria è stata un'occasione perduta, al pari della riforma dell'esame di maturità, ormai ridotto a una sostanziale farsa. _____________________________________________________ Avanti 7 nov. ’05 IL MERITO CONTRO IL PRIVILEGIO La riforma dell'università e della ricerca elaborata dal ministro Letizia Moratti ALBERTO CAVICCHI Nei giorni scorsi, durante l'approvazione alla Camera dei deputati dell'ultimo tassello (disegno di legge sul la modifica dello stato giuridico degli insegnanti universitari) della riforma dell'università predisposta dal ministro, Letizia Moratti, si è scatenato il finimondo tanto in aula, quanto fuori. All'ostruzionismo del centro-sinistra che, in spregio al molo e alle funzioni del Parlamento, si è astenuto dalle votazioni, si è aggiunta la caciara inscenata degli studenti che assediavano piazza Montecitorio. Mentre l'opposizione - mossa da un senso di rivalsa tanto masochista quanto infantile - tentava di ritardare i lavori parlamentari, all'esterno, la sinistra giovanile, antagonista e girotondina, anziché accettare l'invito del ministro a un pacato confronto sui contenuti della riforma si abbandonava ai soliti riti tribali e al berciamento più bieco, rinunciando - ancora una volta - alla discussione sul futuro dell'università, preferendo ad essa le verbose contumelie e le gratuite volgarità. Comportamenti tristemente protervi, già sperimentati nelle recenti visite all'ateneo senese del cardinale Ruini, presidente della Conferenza episcopale e da Marcello Pera, presidente del Senato. Nonostante l’indecorosa canea dei parlamentari della "sinistra di lotta e di governo" e dei loro nipotini (ex, post e cripto cattocomunisti, no global e "incappucciati"), la Camera ha approvato il disegno di legge che riordina l'assetto e il funzionamento del sistema universitario, allineandoli a quelli dei maggiori paesi europei. Riforma fondamentale, che si pone al semizio dello sviluppo sociale e della crescita economica, creando le condizioni affinché vi sia un avvicinamento e un'interazione costante e crescente tra sistema educativo (chiamato a fomare professionalità richieste dal mercato del lavoro) e mondo della produzione (bisognoso di nuove professionalità). Rifonna - sia detto per inciso - alla quale si sono opposti, platealmente, rettori inconsapevoli (?) del loro ruolo istituzionale che, trascinati da indecorose polemiche, si sono lasciati prendere dalle peggiori trivialità. Rettori che, a difesa di privilegi e prebende, non si peritano di aizzare contro la Moratti il becero vaniloquio di quella minoranza d'insegnanti, ricercatori e studenti che considerano l'università loro esclusivo donúnio. Cittadella da presidiare affinché siano perpetrati e difesi lo status quo, l'immobilismo e le rendite parassitarie. Pilastri sui quali si è retto per decenni il potere delle baronie e dei loro vassalli. Capaci - gli uni e gli altri - di camuffare, dietro il paravento dell'interesse generale e dell'autonomia, inconfessabili particolarismi e corporative difese del privilegio. Diversamente, non potremmo capire la pregiudiziale ostilità nei confronti di una riforma che pone all'indice la scandalosa inefficienza (costosità) ed inefficacia (incapacità di formare adeguatamente) dell'attuale sistema universitario e della ricerca scientifica. Attualmente in Italia gli atenei sono 77 e assai differenti tra loro per profilo professionale e adeguatezza funzionale. Luoghi di studi superiori che, a fronte di 1.800.000 iscritti sanno "produrre" un modestissimo 23`/( di laureati (a fronte di una media dei paesi dell'Ocse, organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, che supera i132%). Un sistema universitario che, dunque, espelle prima della laurea quasi i 2/3 degli iscritti al primo anno. Una dispersione di intelligenze enorme che vanifica gli ingenti investimenti pubblici necessari per il funzionamento di una struttura didattica elefantiaca. Per non parlare dei sacrifici - anche finanziari - sostenuti dalle famiglie e dagli studenti, destinati ad accrescere ulterionnente la spesa improduttiva. Il tutto per mantenere una struttura universitaria pletorica e autoreferenziale, che occupa oltre 55mila docenti a tempo indeterminato (dato che è inferiore solo alla Gran Bretagna) e che solo per la ricerca spende più di 5 milioni di euro all'anno (lOmila miliardi di vecchie lire). Un'università, quindi, che spreca risorse finanziarie pubbliche e private senza avviare quella "rivoluzione cognitiva" indispensabile affinché l'Italia possa mantenersi nel novero dei paesi ad alto tasso di sviluppo sociale ed economico. Gli alti! paesi sviluppati possono contare su tassi investimenti, in ricerca e sviluppo, più alti di quelli italiani solo perché quelli privati superano abbondantemente quelli promossi dalle imprese italiane. Evero che alcuni paesi europei (Francia e Spagna) hanno un corpo docente universitario doppio di quello italiano e altri (Germania e Gran Bretagna) quasi triplo, ma è altrettanto vero che, mentre in Italia i docenti con contratto a tempo determinato non esistono, gli altri quattro maggiori paesi europei ne hanno complessivamente 243n-ila (in Germania i docenti a tempo deternúnato sono il triplo di quelli a tempo indeterminato e in Gran Bretagna i primi sono, anche se di poco, superiori ai secondi). La riforma dell'università predisposta dalla Moratti ha preso atto di questa situazione e delle sue ab normi storture, definendo un obiettivo strategico (avvio dell'indispensabile "rivoluzione cognitiva") e una serie di coerenti azioni tattiche (efficienza della macchina burocratica ed efficacia dell'azione didattica). Partendo dalla constatazione che l'efficacia dell'azione formativa (capacità di qualificare - attraverso l'ultimazione del ciclo di studi - un numero ampio di studenti) richiede docenti d'eccellenza la riforma Moratti ha posto in rilievo la necessità di modificare i meccanismi di selezione de-_11 insegnanti. Superando la logica dei tradizionali concorsi (avvolti spesso dall'alone gngiasti-o del privilegio e del favore e, quindi incapaci di garantire l'equità nella selezione) la riforma ha posto l'attenzione sui processi di reclutamento del personale docente, prevedendo l'esaurii-si, in tempi medi, dell'attuale figura del ricercatore "garantito" (2 1 mila addetti, molti dei quali prossinù al pensionamento), sostituita da nuovi profili professionali soggetti a rapporti di lavoro temporaneo (tre anni, rinnovabili). Allo scopo di rinvigorire il ruolo di ricercatore, attraverso l'iniezione di nuove energie, in grado di sperimentare e innovare. AL fine, poi, di evitare il malcostume degli sprechi (il caso del rettore di Teramo, Luciano Russi è emblematico) e, degli "accomodamenti" dei concorsi (prassi non certo eccezionale) la riforma prevede di sostituire i concorsi locali - ora banditi dalle singole università - con il concorso unico per l’idoneità nazionale. Graduatoria alla quale le università dovi-anno accedere all'atto dell'assunzione dei docenti necessari alle loro esigenze didattiche. Concorsi che - avendo carattere nazionale - necessitano di commissioni giudicanti composte di commissari (membri della lista nazionale di materia, aggiornata ogni due anni) scelti con il criterio della selezione per sorteggio. Modalità e strumenti di selezione che sappiano, dunque, evitare le discriminazioni e i favoritismi che il precedente sistema dei concorsi non garantiva. AL fine, poi, di superare fattuale struttura occupazionale - costruita sulla netta separazione tra contratti a tempo indeterminato (ordinari, associati e ricercatori) e a tempo determinato (dottorati, borsisti e assegnasti) - che alimenta il precariato, la riforma ha inteso ridisegnare il profilo del ricercatore, prevedendo che gli attuali ricercatori possano accedere alla posizione di docente associato, dopo aver ottenuto l'idoneità nazionale. Favorendo, così, l'accesso al ruolo di ricercatore di giovani capaci di dare nuova dinamicità all'approfondimento e all'innovazione. Allo scopo, poi, di richiamare nelle nostre università i "cervelli in fuga" e incentivare l'arrivo di docenti stranieri, la riforma rende possibile l'assunzione -per "chiamata diretta" - al molo di docente ordinario e associato di insegnanti italiani e stranieri che abbiano conseguito all'estero idoneità accademiche coerenti con le necessità di ateneo. AL contenimento e alla qualificazione della spesa corrente (stipendi), la riforma abbina, inoltre, una più oculata ecrr figurazione di quella in conto capitale (investimenti). Destinando i risparmi derivati dal contenimento della spesa corrente (2,6 miliardi di curo per l'uscita, nei prossimi otto anni, di 20mila pensionati e dimissionari) alla difesa e sviluppo delle politiche a favore degli studenti. Un trasferimento di risorse finanziarie che si aggiunge al rifinanziamento del fondo Erasmus, per 78 milioni di curo da destinare a borse di studio per studenti impegnati in attività didattiche all'estero e ad altri 400 milioni di curo per migliorare i servizi offerti agli studenti. Risorse finanziarie pubbliche che potranno essere integrate da contribuzioni private, attraverso la stipula di convenzioni di ricerca tra università, enti e imprese che garantiscano compensi aggiuntivi ai docenti che partecipino a progetti specifici. Avviando, così, una nuova politica retributiva, incentrata sulla disponibilità e sul merito, la riforma sancisce "l’obbligo didattico". Ai docenti a tempo pieno è richiesta un'attività didattica di almeno 350 ore annuali (120 d'aula), mentre per quelli con contratto a tempo definito l'obbligo si riduce a 250 ore (80 d'aula). A riconoscimento dell'impegno e dei risultati conseguiti, i docenti a tempo indeterminato avranno un compenso aggiuntivo - compatibile con il bilancio d'ateneo -per le attività di ricerca che abbiano accresciuto il valore e l'immagine della sede universitaria. E' rinviata, invece, a un prossimo disegno di legge l'istituzione dell'agenzia nazionale di valutazione dei singoli atenei, che avrà il compito di misurare l'efficienza e l'efficacia delle attività didattiche, determinando, quindi, le entità dei trasferimenti finanziari. ____________________________________________________ La Stampa 6 nov. ’05 PRODI AI PROF: «BISOGNA METTERSI ALLA CARRETTA» inviato a BOLOGNA TEMPI duri per i docenti universitari, anche in caso di cambio di governo, se cioè l’Ulivo vince le prossime elezioni. O meglio, diciamo, tempi duri per chi si nasconde dietro qualche paravento per proteggere le proprie comodità baronali. Lo ha annunciato un po’ a sopresa, fra le altre cose, proprio Romano Prodi concludendo ieri a Bologna la tre giorni «Semi d’Ulivo», il seminario di intellettuali ed esperti legato alla «Fabbrica del programma» che ha lavorato, diviso in commissioni, sui maggiori nodi che attendono il centro- sinistra qualora prevalga nelle urne, dalla scuola all’informazione, dalla giustizia al fisco. Nel suo discorso conclusivo, dove ha invocato un «riformismo profondo» che arrivi a «cambiare il funzionamento dello Stato», evitando «un pezzetto di riforma legislativa qua e là», il leader dell’opposizione ha toccato anche il tema dell’università, e con impeto. «Bisogna cambiare - ha detto - il modo in cui i professori lavorano». Come? Con una ricetta senza concessioni. Ce lo ha spiegato alla colazione immediatamente successiva al suo intervento, che ha visto tutti i partecipanti in fila al buffet allestito a Palazzo Isolani: «Ho parlato di Università, ma avrei potuto fare anche altri esempi, come la giustizia o il funzionamento dello Stato. Io comunque, che in università ci ho vissuto, e gli studenti ho sempre cercato di incontrarli, potevo permettermelo». In che senso, professore? «Nel senso che anche qui è necessaria una riforma radicale». Prodi aveva insistito, nel suo discorso, sul fatto che in questo momento «non possiamo permetterci mediazioni», anche se, ci ribadisce, «mediazione è una parola seria. Bisogna sempre mediare, ma nell’ambito di un riformismo profondo». Se questo principio vale per tutti, a maggior ragione vale per l’università. «Che Italia è - si infervora Prodi - quella dove gli studenti vanno a lezione e non trovano i professori, perché impegnati da qualche altra parte? Qui dobbiamo metterci tutti alla carretta. Il vero problema è coinvolgere il Paese, avere migliaia di persone che lavorano insieme». Accademici compresi. Il centro-sinistra è assai critico - ma con varie sfumature - sulla riforma Moratti (della scuola e dell’università). E i partecipanti a «Semi d’Ulivo» sono a loro volta, nella stragrande maggioranza, professori. Ma per la vasta e complessa corporazione accademica che ha contestato anche con durezza le ultime decisioni dell’attuale ministro, il segnale sembra davvero inequivocabile: comunque vada, non sarà una pacchia. _____________________________________________________ il manifesto 12 nov. ’05 TREMONTI AFFOSSA SCUOLA E UNIVERSITÀ: 400ML IN MENO Manovra Tagli al pubblico, sostegno alle private. A rischio 42 mila cattedre GIOVANNA FERRARA Scuola e università. Sono questi due dei «capitoli» sotto i quali il governo va in cerca di soldi per fronteggiare il varo della finanziaria 2006. E che, al contempo, risultano i destinatari di riforme che penalizzano l'istruzione attraverso la decurtazione dei fondi per la ricerca, la mortificazione del personale precario, la cancellazione di cattedre, le agevolazioni al sistema privato a discapito di quello pubblico. Enrico Panini, segretario della Cgil scuola stigmatizza la situazione relativa al maxi emendamento passato ieri al senato: «Non ci sono i fondi per il rinnovo contrattuale, vengono ridefiniti quelli per la contrattazione integrativa. Si prevede lo stanziamento di un bonus da 120 euro per chi iscrive i propri figli negli asili privati. E la situazione sembra destinata ad aggravarsi, visto che all'orizzonte sembrano esserci ulteriori tagli, che entreranno nella manovra con il passaggio alla camera». Sempre nel quadro di una disincentivazione del pubblico vanno ascritti poi i 157 milioni che serviranno a rifinanziare le leggi a sostegno delle scuole non statali. E a proposito di dati: il decreto approvato lo scorso 14 ottobre dal consiglio dei ministri mette a rischio, per effetto dei nuovi quadri orario degli otto licei, circa 42 mila cattedre. Dal calcolo sono esclusi gli istituti professionali, di competenza delle regioni che, intanto, sono destinatarie di tagli pari al 3,8 per cento. Argomenti che i sindacati di categoria della Cgil, della Cisl e della Uil intendono rivendicare con la manifestazione indetta il 25 novembre nell'ambito dello sciopero generale «dedicato» alla finanziaria. Per quanto riguarda l'università il maxi emendamento riduce di 400 milioni di euro le risorse e taglia del 15% i fondi per la ricerca di base. Senza eufemismi il presidente della conferenza dei rettori Piero Tosi traduce le cifre in effetti: «La finanziaria affossa l'università. Il testo approvato riduce il fondo di finanziamento ordinario, lascia a carico dei bilanci degli atenei gli oneri derivanti dagli adeguamenti stipendiali fissati dal governo per il personale docente, taglia ulteriormente il fondo per l'edilizia universitaria». Allo sconforto si è unita persino la Confindustria: «L'Italia sta rinunciando a investire sul proprio futuro». _____________________________________________________ Il Sole24Ore 12 nov. ’05 CONFIDUSTRIA: NIENTE TAGLI ALL'UNIVERSITÀ. Confidustria: fondi ridotti per 400 milioni, grave rischio ' ROMA a Con i tagli per 400 milioni 0'Università contenuti nella legge Finanziaria «l'Italia sta rinunciando a investire sul proprio futuro». È il commento di Gianfelice Rocca, vicepresidente della Confindustria per l’Education, dopo il via libera del Senato alla fiducia sul maxi-emendamento. II mondo imprenditoriale, insieme a quello accademico - per voce della conferenza dei rettori - lancia l’allarme: «Confindustria è consapevole delle attuali difficoltà di bilancio, ma anche nei momenti difficili occorre trovare le risorse per Io sviluppo. I tagli all'università - aggiunge Rocca - avvengono invece nel momento in cui le amministrazioni, in particolare quelle locali, impegnano fondi consistenti per il mantenimento di una forte presenza pubblica nell'economia e per attività non essenziali o improprie». II vicepresidente degli industriali sottolinea come la spesa pubblica destinata all'università in Italia sia «nettamente inferiore» alla media degli altri Paesi dell'Unione europea. Ma non si tratta solo di investire. Confindustria chiede che tutte le assegnazioni di risorse pubbliche aggiuntive per l'università siano legate a rigorosi criteri di concorrenza e di meritocrazia. Secondo Rocca, l'attuale testo della Finanziaria prevede tre meccanismi il cui effetto è la riduzione di circa 400 milioni di finanziamenti per l’ università: il primo, in particolare, stabilisce che le università versino allo Stato i fondi accantonati con il decreto taglia-spese del 2002 (circa 60 milioni di euro); il secondo fa gravare sui bilanci delle università gli aumenti contrattuali decisi dal centro (circa 190 milioni di euro); il terzo impone un taglio di 55 milioni di euro al finanziamento ordinario e di 60 milioni di euro all'edilizia universitaria. E soprattutto le preoccupazioni degli industriali sono legate al fatto che «non esiste nelle politiche governative una previsione tendenziale degli incrementi nei prossimi anni». Alle dichiarazioni del vicepresidente di Confindustria si è aggiunta anche la denuncia del presidente della Conferenza dei rettori, Piero Tosi: «Risulta completamente ignorato il ruolo dell'università come motore di crescita e anello insostituibile della filiera di ricerca, innovazione e sviluppo - sostiene Tosi -. La legge, oltre a negare agli atenei i finanziamenti necessari per il mantenimento dei fondi per la ricerca, mantiene l’Irap all'8,5% senza alcuna riduzione dell'imponibile, in particolare di quello delle spese per la ricerca». R.R. ____________________________________________________ La Repubblica 11 nov. ’05 RIFORMA BOOMERANG PER I DOCENTI A RISCHIO OLTRE 42MILA CATTEDRE La stima calcolata per difetto. La riduzione a causa del calo delle ore di lezione nei licei "riformati" e il passaggio dell'istruzione professionale alle Regioni E il 25 novembre la scuola si ferma: "Bloccati gli aumenti del contratto" di SALVO INTRAVAIA Saranno almeno 42 mila le cattedre che la riforma Moratti taglierà nei prossimi anni. Per ottenere questo numero basta sommare i 6 mila posti derivanti dal calo delle ore di lezione nei gli otto licei "riformati", il passaggio - con tutto quello che ne deriva - dell'istruzione professionale (Ipsia e alberghieri) alle regioni e le cattedre che viale Trastevere racimolerà dall'ex scuola elementare, ora primaria. Mancano all'appello le centinaia di sperimentazioni avviate al superiore in questi anni - con un numero maggiore di ore rispetto agli ordinamenti tradizionali -, che saranno ovviamente cancellate, e i posti che il ministero dell'Istruzione conta di tagliare alla scuola media (ora secondaria di primo grado) attraverso il giochetto delle ore obbligatorie e facoltative. 200mila insegnanti di troppo. La stima è calcolata, ovviamente, per difetto, e già si stanno manifestando i primi malumori fra gli insegnanti. Intanto, la versione ufficiale del decreto approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 14 ottobre riserva qualche sorpresa inaspettata. Rispetto alla versione finora conosciuta, l'orario complessivo dei licei economici e di quelli tecnologici (il grosso dell'attuale istruzione superiore) è stato rosicchiato di un'altra manciata di ore. Del resto, pochi mesi dopo l'insediamento del governo Berlusconi, il senatore Franco Asciutti - presidente della VII commissione Istruzione pubblica e Cultura - ebbe a dire che nella scuola italiana ci sono 200 mila insegnanti di troppo. Le ore tagliate. Ma andiamo per ordine. Solo al superiore, in base ai nuovi quadri orario degli otto licei, salteranno non meno di 6 mila cattedre e altre 13 mila saranno tagliate nell'attuale istruzione professionale che, come appare ormai certo, sarà affidata alle regioni. Le quali avranno il compito di organizzare l'offerta formativa, i percorsi e l'orario annuale degli stessi. "Dal quadro tracciato dal decreto mancano completamente gli istituti professionali: il decreto non li regolamenta e rimanda alle regioni. Ci si domanda che fine faranno questi istituti? Quali sono i compiti dello Stato e quali quelli delle Regioni? Ci sono garanzie di stabilità e professionali per tutto il personale?", si chiede il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna. Per averne una idea basta fare pochi conti. Nel comunicato stampa del governo dopo l'approvazione del decreto sulla scuola superiore, a proposito del sistema dell'Istruzione e formazione professionale, si legge che: "livelli essenziali di prestazioni (saranno) garantiti dallo Stato e assicurati dalle Regioni". Si parla di percorsi triennali e quadriennali (con monte ore annuale minimo di 990 ore: pari a 30 ore settimanali) che al termine rilasceranno "il certificato di qualifica professionale" (per i percorsi triennali) o "il diploma professionale" (per quelli quadriennali). Gli stessi titoli attualmente rilasciati dagli istituti professionali, ma con l'accorciamento del percorso massimo da 5 a 4 anni. Nell'attuale ordinamento l'istruzione professionale prevede un triennio con 40 ore settimanali (pari a 120 ore) e un biennio con 15 ore l'anno (altre 30 ore) più 350/450 ore di area professionalizzante. Tralasciando quest'ultima, i nuovi percorsi quadriennali perderanno, rispetto all'assetto attuale, 30 ore settimanali e quelli triennali addirittura 60 ore. Il passaggio "graduale". Così, nel secondo segmento della scuola superiore per numero di alunni - 26.035 classi di Ipsia e alberghieri - dopo l'area tecnica - che occupa 52.427 prof e 545.872 studenti - si perderebbero più di 13 mila cattedre. Passando agli otto licei si capisce che le cose non cambiano di molto. Allo scopo di calcolare l'impatto sugli organici della Riforma, nell'ultimo numero di Scuola e Formazione - mensile della Cisl Scuola - viene effettuata una comparazione fra i quadri orari degli attuali istituti superiori e quelli degli otto licei partoriti dalla Moratti: "In tutti i licei, il tempo scuola/alunni viene ridotto rispetto all'attuale", scrivono Piera Formilli e Laura De Lazzari. Secondo la Cisl, le ore di lezione obbligatorie si ridurranno da un massimo del 12 per cento a un minimo del 6 per cento. Calo che colpirà maggiormente gli istituti tecnici, che con 892.008 alunni iscritti oggi rappresentano di classi il 37 per cento del totale. Se le scuole non saranno abbastanza convincenti nei confronti di alunni e famiglie per ciò che concerne le ore opzionali, tale riduzione oraria porterà alla cancellazione di almeno 6 mila cattedre. Il Ministero. La Riforma si abbatte pesantemente sugli istituti tecnici e professionali che, oggi, costituiscono il 60 per cento del "patrimonio scolastico di secondo grado". Per svelare l'intenzione di decimare gli organici della scuola, basta leggere le norme finali e transitorie del Decreto che, in una prima versione, era davvero chiaro. "Gli interventi di riconversione del personale docente, eventualmente necessari, anche al fine di trasferimenti in altri comparti della pubblica amministrazione, saranno programmati dal ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, di concerto con il ministro per la Funzione Pubblica", era scritto a chiare lettere. Norma un po' troppo impopolare, che nella versione finale diffusa da viale Trastevere è stata addolcita nel seguente modo: "Al fine di assicurare il passaggio graduale al nuovo ordinamento, fino alla messa a regime del sistema dei licei, la consistenza numerica della dotazione dell'organico di diritto del personale docente resta confermata nella quantità complessivamente determinata per l'anno scolastico 2005/2006". "Temiamo di essere di fronte a una intenzionalità politica finalizzata ad un esodo del personale, anche fuori dal comparto scuola", scrive la Formilli. Il quadro nebuloso disegnato dalla riforma del sistema di istruzione e formazione nazionale si completa con la recente nota ministeriale che, a ulteriore conferma, chiede alle scuole elementari di segnalare le classi che funzionano soltanto con l'orario obbligatorio (27: tre in meno rispetto al "vecchio corso"), quelle che funzionano con 30 ore 30 (27 più 3 facoltative) e, infine, il numero di classi che tengono a scuola gli alunni per 37 o 40 ore (una minoranza). La protesta. "Appare con evidenza come la rilevazione sia costruita con un solo intento: ridurre ulteriormente le risorse e tagliare ancora il numero dei posti in tutte quelle situazioni in cui si è ridotto il servizio a 27 ore come si voleva con la legge Moratti", dicono dalla Flc Cgil. Un taglio previsto del 10/14 per cento, pari almeno 23 mila unità di personale. In totale, fra scuola elementare e superiore, 42 mila posti che potrebbero nel corso dei prossimi anni letteralmente volatilizzarsi. Scuola in sciopero. Intanto tutti i sindacati hanno indetto uno sciopero del personale della scuola per l'intera giornata il 25 novembre per rivendicare il diritto ad avere in busta paga gli aumenti contrattuali concordati. Il contratto della scuola è stato siglato il 22 settembre all'Aran, ma dopo 50 giorni - fanno notare i sindacati - è ancora bloccato dall'inspiegabile comportamento del Ministero dell'Economia". ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 nov. ’05 FINANZIARIA: STOP AI FONDI ANTI-SCLEROSI IN SARDEGNA Il centro regionale dal Binaghi al San Giovanni Coi tagli del governo inflitti alla scienza gli studi sulla malattia sono destinati a finire CAGLIARI. Il centro regionale di sclerosi multipla potrebbe essere trasferito dall’ospedale Binaghi al San Giovanni di Dio: è un’ipotesi nata dopo il sopralluogo di giovedì scorso al Binaghi da parte della commissione sanità del consiglio regionale. In seguito a quest’operazione l’ospedale a ridosso di Monte Urpinu si occuperebbe solo di malattie respiratorie: «Quest’ipotesi - ha spiegato Gino Gumirato, direttore generale dell’Asl 8 - nasce perché l’attuale responsabile del centro di sclerosi multipla, la professoressa Marisa Marrosu, è anche primario della clinica neurologica del San Giovanni di Dio». Il centro del Binaghi è ancora giovane: è stato inaugurato nel 2000 dopo anni di attesa e si è dimostrato subito in grado di andare incontro alle esigenze dei malati. Per abbandonare il centro di eccellenza ci dovrebbero essere condizioni sufficienti a non provocare disagi ai pazienti. Il reparto di chirurgia dell’ospedale Civile passerebbe al Policlinico universitario di Monserrato, dove ci sono sei sale operatorie, di cui solo una viene utilizzata: «A quel punto - ha proseguito Gumirato - ci sarebbero ampi spazi per ospitare il centro di sclerosi multipla. Entro la fine dell’anno queste ipotesi saranno messe nero su bianco. Poi si avvierà un iter per chiedere il parere di tutti gli interessati, a partire dalle associazioni che assistono i malati». A storcere il naso per l’ipotesi di trasferimento è Paolo Kalb, presidente dell’associazione Volontariato sclerosi multipla. Al San Giovanni di Dio mancano i parcheggi davanti all’ingresso: «Il problema principale - ha detto Kalb - sono gli spazi di percorribilità. Chi è affetto da sclerosi multipla fa una fatica immane anche per fare 200 metri in più». Al San Giovanni di Dio bisogna andare in due: uno rimane in auto, mentre il paziente va a fare le visite di controllo. «Al Binaghi invece - ha proseguito il presidente del Vosm - ci sentiamo autosufficienti. Possiamo parcheggiare e prendere l’ascensore». E Paolo Kalb parla anche dei tagli previsti dall’assessorato alla Sanità per la ricerca scientifica. I fondi probabilmente saranno disponibili solo fino a febbraio 2006: «Posso assicurare - ha detto Kalb - che i medici del Binaghi lavorano sodo, soprattutto per la ricerca. E’ da loro che attendiamo di sapere come mai la sclerosi multipla si accanisca tanto contro noi sardi e perché colpisca fratello e sorella e madre e figlia». L’incidenza della malattia nell’isola è il doppio rispetto alla media nazionale e al momento sono circa 2500 i malati in Sardegna. Nel sito dell’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) si legge che finora la ricerca scientifica ha fatto molti passi avanti per individuare la causa e trovare la terapia definitiva contro la malattia. Ma finora non sono emerse risposte. L’ipotesi dominante è che esista una predisposizione genetica, con la quale interagiscono fattori esterni, forse virali, che scatenano l’esordio della malattia: «I medici passano le loro giornate - ha proseguito Kalb - a confrontare il Dna dei pazienti e dei loro familiari, raccolti in una banca dati. Questo progetto di ricerca a febbraio dovrà cessare per economizzare la spesa sanitaria». E il presidente del Vosm ricorda che le persone colpite da sclerosi multipla in Sardegna, anche dopo quella data, continueranno a convivere con la malattia, ma avranno molte speranze in meno. E questo per Paolo Kalb è inaccettabile. Carla Piras _____________________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. ’05 CERITIFICAZIONE: IN AULA MAGNA. CON IL «BOLLINO BLU» Nelle Università è in crescita l'impegno per la certificazione Apripista, nel maggio 2004, l'Università di Perugia, che ha ottenuto la certificazione del Sistema di gestione della Qualità come ateneo dopo aver imboccato una strada finora poco frequentata: affiancare alla "classica" certificazione dei laboratori anche quella dei servizi agli utenti. Non solo le singole strutture o un corso di laurea, quindi, ma puntare a un "bollino qualità" per l’intero ateneo, portato a casa in 14 mesi. Approccio diverso e più impegnativo rispetto ad altre esperienze, spiega il Presidente del Comitato per la certificazione della qualità dell'ateneo (Cqap), Paolo Fantozzi, «che responsabilizza in primis il Rettore e non solo i vertici delle singole strutture a mantenere le garanzie di affidabilità certificata secondo la norma Iso 9001:2000». Ai pilastri iniziali della certificazione di Perugia si sono poi aggiunti altri laboratori e strutture, con un'evoluzione a rete in cui ogni soggetto, una volta presa la decisione di entrare nel sistema, è obbligato a contribuire (e a garantire) la qualità complessiva dell'Università. Non sono mancate le difficoltà, dovute all'iniziale diffidenza della comunità universitaria. Ma i problemi, conclude Fantozzi, «sono stati superati, e oggi siamo convinti che puntare alla qualità globale sia scelta complessa ma anche vantaggiosa, perché permette all'ateneo di essere più competitivo nel settore della ricerca e garantire realmente i suoi servizi ai diversi committenti». Assai più frequente, nel panorama universitario italiano, la certificazione di qualità per singole realtà (essenzialmente come laboratori, meno come corsi di laurea), anche se manca un censimento delle esperienze avviate e dei risultati raggiunti. Molte comunque le sedi che negli ultimi anni hanno iniziato a ragionare in termini di qualità. A spingerle. l'accresciuta attenzione l'aula del dottorato presso l'Università di Perugina agli studenti, ma anche il fatto che la certificazione sì avvia a rientrare tra i (molti) requisiti di efficienza ché verranno chiesti agli atenei ai fini dell'accreditamento dei Corsi di studio (Cds) presso il ministero dell'Università. L'accreditamento, spiega Giacomo Elias, presidente dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (Invalsi) «rientra infatti nella politica di qualità formativa del Governo, e ha l'obiettivo dì verificare la conformità dei Cds ai requisiti stabiliti dal ministero accreditante». In pratica, il finanziamento pubblico per i Cds arriverà solo agli atenei accreditati, dopo valutazione esterna della loro efficacia, efficienza e trasparenza, eseguita da un organismo indipendente, che attesterà la capacità di svolgere il compito formativo. Gli esclusi, nella loro autonomia, potranno attivare lo stesso i corsi, ma senza fondi statali. AL momento, spiega Elias, «l'Invalsi ha steso i requisiti per l’ accreditamento in termini di efficienza, il livello di organizzazione e congruità delle risorse messe a disposizione. compreso il parametro "qualità certificata", con l'appoggio della Conferenza dei Rettori». Più controverso il passaggio successivo, la definizione dei requisiti di efficacia (capacità di centrare gli obiettivi formativi) che l’Invalsi conta comunque dì fissare entro la primavera. A breve, forse fin dal prossimo anno accademico, infine, l'introduzione di stringenti parametri di trasparenza. Quindi più informazioni agli studenti sin da quando scelgono la facoltà. Per esempio, spiegando a chiare lettere le conoscenze base date per acquisite prima di iniziare le lezioni, Per evitare delusioni, abbandoni e l'inceppamento del sistema formativo. PAGINA A CURA UI Vittorio Nuti ____________________________________________________ Italia Oggi 10 nov. ’05 DIPLOMI - LAUREE L EQUIPARAZIONE KO A Roma il convegno sugli scenari futuri DI STEFANO SANSONETTI Porte sbarrate, almeno nell'immediato, all'equiparazione tra i diplomi universitari nati nel '90 e le nuove lauree di primo livello. Con tutte le conseguenze che ne derivano soprattutto in materia di accesso ai concorsi pubblici in cui è richiesto come requisito il possesso di una laurea triennale: soltanto i soggetti che hanno ottenuto quest'ultimo titolo potranno parteciparvi, mentre rimarranno esclusi dall'accesso i titolari di diploma universitario di cui alla legge 341/90. Un diploma, quindi, che di fatto continuerà a essere considerato di serie B. E una chiusura netta quella che il sottosegretario al ministero dell'istruzione, Maria Grazia Siliquini, ha opposto alle richieste provenienti sul punto dal Cup 3, il Coordinamento universitari e professionisti triennali. Dell'argomento si è parlato ieri alla camera nel corso di un convegno dedicato al tema «I giovani e le professioni: quali scenari». Ma sull'equiparazione il Cup 3 può guardare al futuro non immediato con una certa fiducia, dal momento che alcuni rappresentati del centro-sinistra intervenuti ieri hanno manifestato più di un'apertura sull'argomento. E questo nonostante lo stesso centro-sinistra, con una circolare dell'allora ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini, avesse già escluso questa soluzione. Ma l'incontro ha rappresentato anche l'occasione per fare il punto sulla ricetta che in tema di riforma generale delle professioni l’attuale opposizione sta mettendo in cantiere, nella speranza di potere salire in sella dopo le elezioni del 2006. La sensazione, però, è che le idee siano piuttosto confuse. La posizione integralista assunta nei giorni scorsi dal segretario Sdi, Enrico Boselli, é dal leader storico dei radicali, Marco Pannella, che hanno espresso giudizi molto negativi nei confronti degli ordini, è andata ieri a cozzare contro le tesi esposte dal responsabile Ds delle professioni, Giovanni Battafarano. Il quale, anticipando la posizione che sarà assunta dal segretario della Quercia, Piero Fassino, in un convegno nazionale i121 novembre prossimo, ha di fatto rispolverato i principi del testo messo a punto dall'allora ministro della giustizia. Tutto questo, in sostanza, significa che l'attuale opposizione salvaguarderà gli ordini, ma senza crearne altri e favorendo un sistema duale che punti a riconoscere le nuove professioni (quelle rappresentate dalle associazioni). Aperture anche sul fronte delle società tra professionisti e delle società di servizi, evitando però che l'ingresso di capitali esterni possa sconvolgere eventuali riserve esistenti. In più via libera alla pubblicità, a patto che sia informativa e non comparativa, e al riconoscimento di un equo compenso ai praticanti. Dal canto suo il presidente del Cup3, Antonio Picardi, non è riuscito a trovare risposte confortanti alle esigenze da tempo manifestate dai professionisti rappresentati dal Coordinamento. Ma ha incassato dal centro-sinistra un'apertura di credito sull'equiparazione tra i diplomi universitari ante-riforma del '99 e le attuali lauree triennali. Bisognerà però aspettare l'eventuale vittoria alle elezioni dell'attuale opposizione. (riproduzione riservata) Maria Grazia Siliquini _____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 11 nov. ’05 DOPO LA RIFORMA, LAUREA BREVE, LUNGA O INUTILE? di ANTONIO DE LILLO È ormai luogo comune lamentarsi dello scarso numero di laureati in Italia, specie se messo a confronto con gli Usa o con gli altri Paesi europei. La riforma universitaria conosciuta come «3 + 2» aveva proprio lo scopo di accelerare le carriere degli studenti e di aumentare il tasso di laureati: secondo recenti stime dell'Istituto Iard, quasi un quinto dei giovani tra i 25 e i 34 anni è oggi in possesso di una laurea. Ma il mercato del lavoro è in grado di assorbire questi laureati o è disponibile a farlo? E in che misura la laurea è apprezzata rispetto al diploma di scuola superiore? Quanto «rende» cioè l'investimento in istruzione a un neolaureato? Qualche risposta viene dall'indagine Excelsion di Unioncamere sulle previsioni di assunzioni nel settore privato. Su 650.000 assunzioni previste dalle imprese per i12005, solo l’8,8% riguarda i laureali. Inoltre la metà di questa domandasi riferisce a laureati che abbiano già esperienze nei .settori. E ancor più ridotta è la richiesta della nuova laurea triennale.' un sesto della domanda di laureati, cioè l'1,5"a del totale delle richieste, contro il 34% riguardante i diplomati. Un dato che spiega guanto dura sia l'entrata nel lavoro di un neolaureato. A ciò si aggiunga che, al 36% degli assunti, verranno offerti contratti a tempo determinato o altri tipi di rapporti precari. Anche l'ultima indagine 7stat (2004) sull'inserimento dei laureati mostra, oltre alla diminuzione della quota di laureati occupati rispetto agli anni precedenti, anche un notevole incremento delle posizioni precarie, occasionali o stagionali. Così il giovane deve accontentarsi di lavori per i quali la laurea non è certo necessaria. E un terzo degli occupati si trova in questa situazione a tre anni dalla laurea. Le politiche pubbliche, i mass media e i centri di orientamento hanno spinto molto, in questi anni, per accrescere il numero di laureati. Famiglie e studenti stanno rispondendo a queste spinte, ma le difficoltà occupazionali, la forte precarietà iniziale, le basse retribuzioni, le incerte prospettive di carriera rischiano di provocare un movimento di riflusso, con la conseguenza di abbassare i tassi di passaggio all'università. E' opportuno, da parte delle imprese e del sistema produttivo, un ripensamento sul ruolo che i laureati possono svolgere. Ma anche le università dovrebbero chiedersi se la formazione offérta è adeguata ai bisogni di sviluppo del Paese. Su 650 mila assunzioni nel 2005, solo l'8,8% riguarda i laureati _____________________________________________________ Avanti 11 nov. ’05 UNIVERSITÀ D'EUROPA UNITEVI Si è svolta ieri a Roma la conferenza Eadtu sull'alta formazione a distanza L’Eadtu (European assaciation of distance teaching universities) ha presentato ieri la Conferenza annuale 2005, promossa dal Nettuno (Network per l'università ovunque) e ospitata dal Consiglio nazionale delle ricerche. La Conferenza, che per la prima volta si è svolta in Italia, è stata allo stesso tempo un incontro di lavoro rivolto a presidenti, rettori, decani e personale esperto di tutte le università a distanza d'Europa. i:iniziativa, mirata all'individuazione di contenuti innovativi e all'incremento delle opportunità per la collaborazione istituzionale nell'area dell'alta formazione aperta e flessibile, in linea con gli obiettivi di Lisbona 2010, ha dato la possibilità agli intervenuti di condividere esperienze e promuovere la collaborazione su aree di interesse comune. La Conferenza Eadtu 2005 trae sostegno dalla collaborazione tra i Paesi europei e i Paesi mediterranei nell'arca dell'alta formazione a distanza, che sta iniziando a mettere in rete pratiche didattiche ed esperienze di ricerca. All'evento hanno inoltre partecipato il vice ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca, Giovanni Ricevuto, il presidente del Cnr, Fabio Pastella, il direttore generale del Nettuno e presidente della Uninettuno, Maria Amata Garito e il direttore generale per i sistemi informativi al Miur, Alessandro Musumeci. "L’adesione delle numerose università straniere a questo importante appuntamento", ha affermato Ricevuto, "mi sembra una prova tangibile del successo e dell'interesse che questo progetto sta avendo, un progetto comune che intendiamo portare avanti nei prossimi anni, consapevoli che la cooperazione tra i sistemi dell'istruzione superiore dei Paesi europei può fornire un contributo decisivo al processo di crescita delle nostre società". "Lo sviluppo delle risorse umane e la comprensione tra le nostre culture", ha proseguito il vice ministro, "sono condizioni indispensabili per il benessere e la coesione sociale e per una coesistenza pacifica basata sul rispetto delle reciproche diversità che permetta a tutti di studiare e lavorare in un contesto multietnico, multilingue e multiculturale di pari opportunità e dignità". "È per questo", ha proseguito Ricevuto, "che una strategia di cooperazione culturale, tecnica e scientifica non solo in Europa, ma in tutta, l'arca curo- mediterranea, fondata sul riconoscimento dell'esistenza di un patrimonio comune di valori, è condizione necessaria per affrontare i problemi dello sviluppo sostenibile, delle risorse umane e dell'occupazione, dei cambiamenti demografici e sociali, delle migrazioni, dei diritti umani, della lotta alla criminalità e al terrorismo". "In questa visione", ha sostenuto il vice ministro, "che tutti noi, credo, condividiamo, l'università svolge da sempre un ruolo di grande importanza. Oggi la maturazione dell'università nei nostri Paesi implica un rafforzamento del suo ruolo internazionale e l'assunzione di nuovi compiti e nuove responsabilità per facilitare la circolazione e l'alimentazione dei saperi e delle professionalità che le nostre società richiedono e per migliorare la mobilità occupazionale; per adeguare metodologie didattiche e sistemi di formazione in modo da agevolare l'integrazione dei mercati del lavoro, potenziando la formazione continua e l’acquisizione di competenze culturali e scientifiche, migliorando i sistemi per il riconosci mento delle qualifiche". "Le azioni promosse dal ministero dell’Istruzione, dell'università e della ricerca", ha ricordato Ricevuto, "vanno in questa direzione: nel 2003 a Catania, nell'ambito del semestre di presidenza italiana dell'Ue è stato infatti avviato il processo per la costruzione dello spazio euro-mediterraneo di alta formazione e ricerca, pienamente coerente con le indicazioni della Dichiarazione di Barcellona del 1995 e della riunione dei ministri degli Esteri Ue tenutasi il 31 maggio scorso a Lussemburgo". "In quella sede - ha ribadito il vice ministro, "insieme a Letizia Moratti c'erano i ministri e i rappresentanti del mondo accademico di ben 20 Paesi di quest'area, dalla Siria al Marocco, dall’Egitto alla Tunisia all'Autorità palestinese, dalla Giordania a Cipro e Malta. In quel contesto è stato riaffermato il concetto che la nuova politica dell'istruzione e della ricerca si alimenti prima di tutto dei saperi e delle competenze che si formano nell'insostituibile laboratorio di cultura e di scienza rappresentato dagli atenei di questi Paesi, in un sistema unico e indivisibile, in cui si incrociano e si integrano culture e popoli diversi. Questa premessa condivisa e soprattutto i risultati concreti che ne sono seguiti hanno fatto si che oggi, grazie al contributo dei Paesi partecipanti alla prima e alla seconda Conferenza di Catania, svoltasi nel gennaio di quest'anno, e grazie al forte impegno delle università che hanno voluto aderire con entusiasmo a questo processo, possiamo affermare che la cooperazione interuniversitaria nell'area euro-meditenanea è una realtà". "Il network euro mediterraneo di alta formazione, ricerca ed e-learning", ha affermato Ricevuto, "comprende già 58 università ed enti di ricerca - 32 italiani e 26 dei Paesi del Mediterraneo - collegati in un nuovo grande partenariato che sta iniziando a mettere in rete pratiche didattiche ed esperienze di ricerca. Altre istituzioni accademiche mostrano sempre più il loro concreto sostegno a questo grande progetto, il ministro Moratti nel mese di maggio ha sottoscritto infatti importanti accordi con i ministri dell'Istruzione e della ricerca di Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania, insieme a quelli siglati nello stesso periodo con Francia, Spagna e Portogallo. I settori prescelti per sviluppare la cooperazione scientifica sono di assoluto rilievo e rispondono alle esigenze e alle vocazioni di ciascuno dei Paesi interessati: dalle nanotecnoiogie all'agroalimentare, dall'e-business management allo sviluppo sostenibile, dall'archeologia e i beni culturali allo studio dei rischi sismici". "Ai grande rilievo", ha ricordato Ricevuto, "è pertanto il nuovo sistema di università curo-mediterranea a distanza, per capitalizzare ed estendere i risultati già ottenuti ed il consenso politico-istituzionale generato dal progetto `Med Net U-Meditenanean network of universities ; coordinato dal Consorzio Nettuno. Questo sistema rappresenta l'unico ambiente di apprendimento a distanza nel mondo che comprenda anche la lingua araba, oltre all'italiano, all'inglese, al francese e allo spagnolo. Ritengo che questo fatto assuma, prima di tutto, l'importante valenza di grande partenariato culturale, il modello favorirà infatti l'accesso all'istruzione e alla formazione da parte di tutti i cittadini dell'area euromediterranea". _____________________________________________________ OSSERVATORE ROMANO 11 nov. ’05 RUINI: UN SISTEMA UNIVERSITARIO INTEGRATO PER UNA CULTURA SENZA BARRIERE Sillata alla presenza del Cardinale Ruini l'intesa con gli atenei statali Promuovere e facilitare la cooperazione sul piano scientifico, didattico e organizzativo tra le università statali del Lazio e le Pontificie università romane: queste le importanti finalità del protocollo d'intesa siglato ieri sera, mercoledì, nell'Aula Magna della Pontificia Università Lateranense nel corso dell'ormai tradizionale incontro dei docenti universitari romani con il Cardinale Vicario Camillo Ruini, Presidente della Cei. Un incontro che ha assunto un ulteriore significata poiché si è svolto in prossimità delle celebrazioni del quarantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, avvenimento che, tra l'altro, diede proprio rinnovato slancio al dialogo e al confronto tra le culture. Dopo la relazione del Porporato, che ha parlato appunto della rilevanza del Concilio Vaticano II, delle attuali sfide culturali e dell'impegno dei docenti, è stato firmato il protocollo d'intesa tra la Conferenza dei rettori delle università del Lazio (CRUL) e quella dei rettori delle Università pontificie romane (CRUPR). A firmare il documento sono stati i presidenti delle due conferenze, Marca Mancini (CRUL) e Mons. Mariano Fazio~ (CRUPR). AL termine Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha illustrato il cammino dei docenti universitari in preparazione dell'incontro europeo in programma dal 21 al 24 giugno 2007, promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (CCEE). Per l'occasione Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione, ha inviato una lettera in cui ha manifestato soddisfazione per «la creazione di un sistema universitario integrato» definendolo «un traguardo di grande valore simbolico e prospettico». L'intesa assicurerà, infatti, l'accesso ai laboratori, alle biblioteche ed alle strutture didattiche agli studenti e ai docenti di entrambi i sistemi universitari. Verranno inoltre favorite «l’integrazione e la cooperazione scientifica, anche mediante progetti integrati dì ricerca, la costituzione di centri interdipartimentali o interuniversitari». Sono intervenuti alla cerimonia. il Vescovo Ausiliare Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense; Mons. Lorenzo Leuzzi, Direttore dell'ufficio diocesano per la Pastorale universitaria; Renato Guarini, rettore dell'Università «La Sapienza». II Rettore Guarini ha ricordato che fu la Chiesa di Roma nel 1992 a sollecitare gli atenei romani a costituire un sistema universitario integrato. «II protocollo di intesa che questa sera viene firmato - ha sottolineato - può essere annoverato tra i frutti del Concilio, la collaborazione tra Università pontificie e pubbliche è il riconoscimento che la cultura universitaria non crea barriere ma apre prospettive di ricerca e di impegno educativo. Il protocollo facilita l'accesso alle biblioteche per ricercatori e studenti, consente la collaborazione didattica, la mutazione di corsi, gli scambi di docenti con particolare attenzione per i docenti stranieri, apre la strada al reciproco riconoscimento dei titoli». Il Cardinale Ruini, all'inizio della sua relazione, ha richiamato l’attenzione dei docenti universitari sul senso profondo del Concilio Vaticano II che, partendo dalla meditazione del mistero di Cristo e della Chiesa, opera «un'apertura di grande respiro, dialogica e insieme missionaria, all'umanità del nostra tempo». Da questo evento importante per la storia della Chiesa derivano tre ricadute culturali: la connotazione antropologica (cioè il porre l'uomo al centro), l'autonomia delle cose terrene, il tema della libertà (in particolare quella religiosa). «II Concilio tenta in grande stile - ha commentato il Cardinale - un recupero cristiano della centralità del soggetto umano, fondata a sua volta su un'altra centralità, non concorrente e non alternativa cioè la centralità di Cristo». Si afferma rigorosamente l'autonomia delle realtà temporali ma «nello stesso tempo si fonda e si garantisce, attraverso la dipendenza di tutte queste realtà da Dio Creatore, la "creaturalità" di esse, che proprio perché create sono autenticamente distinte da Dio e consistenti in se stesse, autonome». Infine, si fonda la libertà religiosa «sulla dignità e in ultima istanza sull'essenza della persona umana, indipendentemente dalla verità o dall'errore delle singole persane». II Porporato ha, quindi, parlato della recezione del Concilio Vaticano II, «travagliata ma anche molto fruttuosa», sì tratta di «un processo non concluso, che ha un bilancio attivo molto più grande del bilancio passivo, che pure esiste». II Cardinale Ruini ha, poi, accennato ai cambiamenti intervenuti durante i quarant'anni che sono seguiti al Vaticano II: il Sessantotto sia per il cambiamento dei costumi sia per la protesta verso istituzioni e autorità; la caduta della cortina di ferro nel 1989, con conseguente mutamento dell'impostazione geopolitica e culturale; la rivoluzione informatica, che ha modificato modi di vivere, di comunicare e in certa misura dì pensare; i processi della globalizzazione; i grandi fenomeni dell'immigrazione «connessi con il persistere e tante volte con l'aggravarsi della tragedia del sottosviluppo e della fame in vaste aree della terra, ma anche con la crescita rapida e tumultuosa di grandi nazioni, di antica civiltà che si pongono ormai come nuove protagoniste sulla scena mondiale»; la nuova emergenza del terrorismo internazionale, «una pratica deriva del risveglio identitario dei popoli islamici, un risveglio senz'altro legittimo»; le nuove frontiere delle biotecnologie, che già comportano straordinarie possibilità e interrogativi altrettanto profondi. Il Cardinale Vicario ha, quindi, esaminato le sfide attuali. Innanzitutto la valorizzazione positiva delle minacce esterne, provenienti da «civilizzazioni non cristiane», così come di quelle interne. Esse, infatti, «favoriscono il risveglio identitario dei cristiani e rendono anche più attenta la popolazione, e gli uomini dì cultura, a interpretare in senso positivo le novità che si stanno aprendo». Accanto al risveglio della identità occorre, però, che ci sia un'elaborazione culturale per evitare il rischio di avere un fondamentalismo di tipo cristiano. Un'elaborazione culturale soprattutto nel vasto ambito dell'antropologia, intesa nel suo significato più ampio, comprese le varie discipline scientifiche che hanno a che fare con l'uomo. Un'altra grande prospettiva è quella del dialogo con la cultura cosiddetta laica, che in un Paese come l'Italia è estremamente importante e che oggi può avere una fase nuova. A tal proposito il Cardinale ha citato le parole pronunciate a Subiaco poco prima di entrare in Conclave dall'allora Cardinale Ratzinger, che contrapponevano alla formula «come se Dio non esistesse» quella «come se Dio ci fosse» invitando quindi anche i non credenti a muoversi in questa prospettiva. Muoversi così non danneggia nessuno e garantisce tanti valori che altrimenti sono in pericolo. In concreto questo significa «un dialogo che non punta soltanto a marcare differenze e sapere convivere nelle diversità ma cerca soprattutto punti di consenso per lo sviluppo della civiltà», il che rappresenta una delle principali sfide dei nostri tempi. Infine, un richiamo alle parole dei grande Papa Giovanni Paolo II che, a conclusione del Giubileo del Duemila firmò la Novo Millennio neunte, in cui sono contenuti pensieri che non riguardano direttamente la cultura ma che so no fermento e humus per lo sviluppo di una cultura cristianamente ispirata. «Anzitutto - ha osservato il Cardinale Ruini - la contemplazione del volto di Cristo e nel Suo volto la contemplazione del volto di Dio e di quello dell'uomo, come dice la Gaudium et spes (al numero 22), e poi la santità come misura alta della vita cristiana ordinaria, che è la chiamata per tutti noi non soltanto per qualcuno, e su queste basi la spinta verso la Missione ma anche verso la Comunione». A tal riguardo il Porporato ha notato notevoli progressi in Italia negli ultimi anni sia nella comunione tra le diverse espressioni del cattolicesimo sia nella dinamica missionaria. PIER VINCENZO ROSIELLO ____________________________________________________ L’Unione Sarda 11 nov. ’05 ATENEO. ELEZIONE DEGLI STUDENTI: PRESENTATE 191 LISTE Università verso il voto: la carica dei quarantamila Si è conclusa ieri la fase di presentazione delle liste dei candidati per i 66 organi collegiali dell'Università. Presentate 191 liste per le elezioni studentesche. Si vota il 29 e il 30 novembre. Sono sette le liste dei rappresentanti degli studenti che si daranno battaglia per conquistare i cinque posti nel Consiglio d'amministrazione dell'Università e i due nel Cus. Una lista in meno per le cariche (sempre cinque) in palio nel Senato accademico e in quello allargato. Ma la battaglia che porterà al voto i circa 40 mila studenti universitari, il 29 e 30 novembre, non si ferma qui: all'ufficio elettorale dell'ateneo sono arrivate una valanga di candidature per rappresentare gli studenti nei Consigli delle dieci facoltà, e nei Consigli dei corsi di laurea e di classe. Circa sei mila nomi, che dopo una scrematura (l'ufficio ha tempo fino a sette giorni prima delle elezioni per ufficializzare l'elenco dei candidati e delle liste) porteranno a un numero di potenziali candidati che si avvicina a duemila: seicento in tutto i posti a disposizione. La sfida più importante riguarda gli organi centrali, quelli delle decisioni, accanto a presidi di facoltà e al cospetto del rettore. Rispetto alle quattro liste presentate nell'ultima tornata, c'è stato un netto incremento, con sette raggruppamenti in lotta nel Cda. La sinistra si presenta con due liste (Sinistra in movimento più sindacato studentesco, e Sinistra Universitaria). Il centrodestra si è compattato attorno al nome Ichnusa, che racchiude vari partiti: da Comunione e Liberazione a Forza Italia, da Alleanza Nazionale all'Udc, fino ai Riformatori. Una piccola scissione all'interno di An ha portato a Università ideale. Ci sono poi le liste centriste che comprendono diverse anime politiche (Università per studenti e Lista terranova ? Federazione universitari). Chiude il quadro Mi consenta ma io voto a sinistra, vera sorpresa dell'ultima ora: i candidati sono subito andati a caccia dei promotori, per capire se si tratti di una lista civetta. Stessi nomi per il Senato accademico e allargato (tranne il raggruppamento dell'inconsueto Mi consenta che vota a sinistra), e per il Cus, dove fa la sua comparsa Bionda Sardegna, altra lista sospettata di essere uno specchietto per le allodole, visto l'accostamento con Ichnusa. Scorrendo le liste pubblicate dall'ufficio elettorale, guidato dal responsabile Sebastiano Caria (avranno il difficile compito di controllare le firme che hanno appoggiato i candidati e di valutare tutti gli eventuali ricorsi), i due raggruppamenti presenti in quasi tutti i duelli sono Ichnusa e Università per gli studenti. L'obiettivo di partenza sembra già centrato: sconfiggere l'astensionismo. E l'aumento del numero delle liste (in tutto 191 per i 66 organismi dove si devono eleggere i rappresentanti, circa il 30 per cento in più di quattro anni fa) in ogni collegio sembra un chiaro segnale che il 29 e 30 novembre saranno in molti gli studenti che andranno a votare. Matteo Vercelli ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 12 nov. ’05 CAGLIARI: LA MONARCHIA ALL'UNIVERSITÀ il programma C'è anche Alleanza Monarchica tra le sigle che sostengono Ichnusa, l'effervescente lista universitaria di centrodestra. Nel quadro di una corretta informazione come previsto dalla legge sulla bar condicio presentiamo per primo il programma politico dei suoi candidati: a) il rettore Pasquale Mistretta e i suoi discendenti maschi non dovranno sottoporsi all'odioso rito delle elezioni. Si tratta di una perdita di tempo introdotta da quei bighelloni fanatici della democrazia e per giunta repubblicani; b) durante le sedute degli organi amministrativi dell'Ateneo ma anche prima e dopo l'inizio delle lezioni, tutti dovranno osservare un minuto di silenzio in memoria dei caduti della famiglia reale, ritti davanti alla bandiera di casa Mistretta. Si rammenta che l'insegna raffigura una poltrona in pelle circondata da uno stuolo di mancati rettori, affranti; c) in caso di vittoria di Alleanza Monarchica il cineteatro Nanni Loy di via Trentino verrà raso al suolo e al suo posto verrà edificato un mausoleo per dare finalmente una degna sepoltura alle spoglie di Re Tore, caduto nel corso di una battaglia a gavettoni alla Casa dello Studente. Ps: il programma di AM giunge in redazione a mezzo fax. Potrebbe trattarsi di un ignobile complotto contro la folta rappresentanza di giovani monarchici. __________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 12 nov. ’05 SASSARI: PROCESSO A CIRIELLI: UNA LEGGE PER I RICCHI E CONTRO I POVERI Il dibattito. A Sassari un infuocato convegno sul contestato provvedimento Riuniti ieri all'Università magistrati, avvocati e professori di diritto per discutere del provvedimento che accorcia i tempi della prescrizione e modifica la reci d i va Un provvedimento mal pensato e mal scritto, un'amnistia mascherata, l'ennesima furbizia della maggioranza uoco incrociato sulla legge ex Cirielli. La norma approvata due giorni fa dalla Camera, che modifica la prescrizione e la recidiva, non piace a nessuno. Anzi, secondo i magistrati, gli avvocati, i professori di diritto, riuniti ieri nell'aula magna dell'Università di Sassari, è «mal pensata e mal scritta», «un'amnistia mascherata », «una furbizia della maggioranza ». In sintesi - come ha riassunto, «sconvolto e indignato » il penalista Luigi Concas al termine di un pirotecnico intervento, «è da stracciare» e «ci si dovrebbe vergognare - ha aggiunto rivolgendosi al deputato di An Carmelo Porcu seduto in prima fila e anche lui firmatario del provvedimento, «di operare in un Parlamento che dà il via libera a una legge così grossolana che, di sicuro, arriverà alla Corte costituzionale Sul “banco degli imputati” c'era anche Edmondo Cirielli, il deputato di Alleanza nazionale che dà il nome al testo, unico nella storia della Repubblica ad avere anche un “ex” davanti. Ha avuto non poche difficoltà l'onorevole salernitano a difendere quella che è stata ribattezzata prima salva-Previti, poi, dopo l'emendamento dell'Udc che ha escluso i processi in appello e in cassazione, salva- Berlusconi. Perché lui stesso rimane contrario a mettere insieme i due istituti - quello della recidiva (di ispirazione rigorista) e quello della riduzione dei termini di prescrizione (garantista). Gliel'hanno smontata pezzo a pezzo, senza concedergli neppure le attenuanti alle quali comunque è sembrato contrario. «Questa legge avrà conseguenze pratiche devastanti», ha detto Michele Incani, dell'associazione nazionale magistrati, «reati gravissimi potrebbero andare prescritti mentre reati meno gravi potrebbero essere puniti più pesantemente perché commessi da recidivi». Inoltre - hanno spiegato gli esperti - si crea un doppio binario: chi ha una posizione economica e sociale può avere vantaggi, chi invece è un emarginato sociale, un tossicodipendente, un piccolissimo criminale, soccombe. Mauro Mura, procuratore aggiunto a Cagliari, l'ha definita «una normativa davvero pasticciata e contorta e il fatto che si possano colpire i recidivi non per il reato ma per il numero di volte che è stato commesso comporta inevitabilmente un aumento della popolazione carceraria». Dello stesso avviso l'avvocato Agostinangelo Marras, che ha focalizzato l'attenzione sul rischio di ridurre i principi della rieducazione, dei permessi, della semilibertà: «È una legge estremante pericolosa, viola la Costituzione e ci riporta indietro nel tempo. A periodi molto bui, quando le carceri esplodevano per le sommosse dei detenuti» _____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 9 nov. ’05 TASSE UNIVERSITARIE, È SILENZIO L'ATENEO NON AFFIDA IL SERVIZIO Riscossione. La scelta tra Banco di Sardegna e Poste doveva avvenire entro la fine di settem b re Un mese e mezzo fa l'ultima seduta dedicata all'incarico: il cda aveva promesso la redazione di una bozza di convenzione, ma i tempi non sono stati rispettati doveva essere tutto pronto per fine settembre: l'appalto per la riscossione delle tasse aggiudicato, scritta e discussa la convenzione tra Università e azienda vincitrice. E invece il cda dell'Ateneo non ne ha più parlato. Nè lo farà nelle prossime sedute: l'argomento non risulta all'ordine del giorno. Dunque, da metà settembre a oggi nemmeno una riunione per portare avanti l'istruttoria o consultare i rappresentanti sulla bozza della convenzione. Sarà il Banco di Sardegna o le Poste Italiane a riscuotere le tasse studentesche per conto dell'Università di Cagliari? Sull'affidamento del servizio è calato un profondo silenzio nonostante la questione, per i tanti disagi subiti in questi anni, tocchi molto da vicino i quasi 40 mila studenti che frequentano l'Ateneo. Proprio per questo si era parlato di convenzione: era stata nominata una commissione col compito di preparare una bozza. Dai contenuti molto importanti: mettere finalmente in chiaro tutti gli aspetti del rapporto tra Ateneo e azienda incaricata della riscossione, con un occhio di attenzione ai diritti e ai problemi degli studenti, fino a oggi spesso dimenticati. Disservizi, errori di calcolo sull'importo da pagare, avviso di scadenza delle rate. La convenzione doveva servire a mettere molti paletti. Era metà settembre e il cda aveva annunciato di rinviare la decisione a fine mese per valutare meglio la controproposta delle Poste: quella del Banco di Sardegna appariva più vantaggiosa, così si è dato alla concorrente il tempo di studiare soluzioni più comode per il pagamento degli studenti. Si conosceva anche il valore delle offerte: 70.680 oppure 134.880 euro quella del Banco (la più cara prevedeva l'invio a domicilio dell'avviso di pagamento via e-mail o sms), 101.550 euro quella delle Poste, compreso l'invio a domicilio dei bollettini di pagamento premarcati. Si tratta, insomma, di un servizio non solo fondamentale per il corretto funzionamento dell'Università, ma anche sostanzioso dal punto di vista monetario. A seguito di alcune lacune nella loro proposta, le Poste hanno rilanciato e chiesto di studiare meglio i contenuti. In particolare le modalità di pagamento per evitare le file davanti agli sportelli. Da allora, lavorato su questa convenzione, che per la prima volta avrebbe disciplinato - con un vero accordo giuridico, finora inesistente - il rapporto tra Ateneo e aggiudicatario. Gli studenti che fanno parte della commissione incaricata dal cda sono Giorgio Todde, del gruppo Uniti e liberi, e Giuseppe Frau di Universita degli studenti ____________________________________________________ Sassari Sera 6 nov. ’05 SIBAR: REVOCATO L’INCARICO AD AYMERICH GOVERNATORE AFFARISTA SCIVOLATA IMPREVISTA Bufera sulla nomina di un componente della commissione che avrebbe dovuto valutare i progetti presentati nell’ambito di una gara di appalto da 8 milioni e 375 mila euro, bandita dall’assessorato regionale agli Affari generali e Riforme per dare vita al Sibar (Sistemi informativi di base dell’amministrazione regionale).Per il consigliere regionale di Forza Italia Sergio Milia, che ha convocato una conferenza stampa consegnando ai giornalisti un serie di documenti, il componente in questione, l’ingegner Francesco Maria Aymerich, designato dall’assessorato in qualità di esperto esterno delle commissione composta da quattro funzionari regionali, “è molto vicino al presidente Soru”. Milia ha fatto notare come Aymerich figurasse come presidente della Cifra, la società consortile a responsabilità limitata che opera nel campo della ricerca in nuove tecnologie e che annovera fra le sue consorziate anche Krenesiel e Akhela, le stesse società che, nell’ambito di un’associazione temporanea di impresa di cui è capofila Ibm, hanno partecipato alla gara d’appalto. AYMERICH SOCIODI SORU, MAZZELLA E MISTRETTA Milia ha poi evidenziato come Aymerich fosse inoltre consigliere (e già presidente del comitato esecutivo) del Consorzio per gli studi universitari a distanza”, insieme a Renato Soru, Giorgio Mazzella e Pasquale Mistretta. Milia, affiancato durante la conferenza stampa dal collega di partito Mauro Pili, da Roberto Capelli (Udc) e da Silvestro Ladu (Fortza Paris), ha poi denunciato “la scarsa sensibilità di questo esperto che ha accettato l’incarico sapendo che era incompatibile con il suo ruolo nel gruppo Akhela e Krenesiel. Siamo davanti a un momento molto importante - ha detto Milia - perchè è evidente che le chiacchiere e le esternazioni di qualche noto pubblicitario sono suffragate dai fatti. EMERGENZA TRASPARENZA Secondo Pili, “le carte mostrate da Milia dimostrano che in Sardegna c’è un’emergenza trasparenza nella gestione della cosa pubblica, che sempre più si sta trasformando in una gestione privatistica, con atti che vengono sistematicamente avocati alla competenza politica”. Pili ha poi lanciato un appello all’opposizione affinchè “si faccia carico di costituire una commissione di vigilanza sul problema del conflitto di interessi”.Capelli ha poi ricordato come “non per niente, durante la revisione del regolamento consiliare, abbiamo voluto e ottenuto una commissione di vigilanza sugli atti della Giunta”. Dopo aver letto a voce alta un passo del pamphlet scritto dal pubblicitario Gavino Sanna, Capelli ha poi precisato: “noi facciamo la nostra denuncia politica, ad altri verificare se ci siano gli estremi da perseguire in altra sede”. Il professor Francesco Maria Aymerich poche ore dopo la conferenza stampa viene revocato dall’incarico di componente della commissione di valutazione della gara Sibar. La decisione viene assunta dalla direzione generale dell’assessorato agli Affari Generali e Riforma dopo aver appreso le informazioni riguardanti l’incarico di presidente del consorzio Cifra ricoperto dal docente. Pur riconoscendo l’insussistenza di cause di incolpatibilità – si scrive in una nota che fa riferimento a quanto denunciato nella conferenza stampa dal consigliere regionale di Forza Italia Sergio Milia - il provvedimento è stato adottato al solo fine di garantire l’assoluta trasparenza dell’attività dell’amministrazione regionale. CRONACA DI UNO SCOOP ANNUNCIATOE POI TROPPE VOLTE RINVIATO Per molti giorni di seguito ambienti molto informati di Cagliari sfogliano il quotidiano di Sassari. E’ in gestazione un’operazione clamorosa. I tre imprenditori sardi che formano la più autorevole trimurti degli affari stanno per acquistare il 50% di una delle cliniche più antiche della città. Un’operazione politica? Anche. Un’operazione finanziaria (dumping)? Pure. Una trovata cravattaia per finanziare un gruppo editoriale a spese di giornali solidi nel mercato? Appunto: per questo la si può definire politica, finanziaria e editoriale. Fuori i nomi. Non è difficile. Viene indicato, per gradi di nomenclatura, il nome dell’ex presidente e proprietario di Tiscali. Cioè Renato Soru, attuale governatore della Sardegna. Segue quello del geometra dott. Mazzella, presidente della Banca Cis. Il terzo concertista è Niki Grauso, ex editore di Unione Sarda e Videolina e attuale comproprietario del Giornale di Sardegna. Affiora: qualche dubbio. Niki non è uno sciacallo. Non opererebbe mai in danno della sanità e delle persone deboli di salute. L’operazione non riguarda la clinica, sebbene l’avesse resa plausibile un forte aggancio con avvenimenti del recente passato. Sfogliando a vuoto per giorni quotidiano di Sassari, avanza un’altra ipotesi. La torta informatica. Sono state aperte da qualche ora, presso l’assessorato competente, le buste per un appalto che coinvolge note società operanti in Sardegna. Super decisore un noto professionista cagliaritano che opera a titolo diverso ma in maniera intensiva dentro le società che concorrono all’appalto. Non solo: il super decisore, che in cuor suo ha già chiaro chi sarà il vincitore, avrebbe un rapporto incestuoso con la nota trimurti cagliaritana interessatissima, per via trasversale, all’appalto. Il silenzio del giornale di Sassari rende più morbosa la dietrologia. Qualche giorno di silenzio e poi un’emittente di Sassari, per bocca di un giornalista, espone a un noto uomo politico, invitato alla trasmissione “L’isola che non c’è”, alcuni particolari dell’Operazione Torta Informatica. Il giornalista impegna l’uomo politico sul suo onore ad informarsene e a rendere pubblico il plot che starebbe dietro all’appalto. Se c’è trama. Come molti non sprovveduti ritengono. Ipotesi maliziosa. Se c’è di mezzo l’informatica, il noto quotidiano di Sassari difficilmente potrà avventurarsi nello scoop. Altro è se c’è di mezzo la sanità. Ma se c’entra la sanità, non c’entra Niki: uno che non ama farsi definire, neppure da chi lo giudica antipatico, che è uno sciacallo. E allora se non c’è Niki non c’è scoop. Che ha fatto Niki Grauso al quotidiano di Sassari? Mengo Etnico ____________________________________________________ La Stampa 7 nov. ’05 SILENZIO, L’FBI TI ASCOLTA» TUTTI SORVEGLIATI NEGLI USA RIVELAZIONI IL WASHINGTON POST: «GRAZIE AL PATRIOT ACT RACCOLTI MILIARDI DI MILIARDI DI DATI » corrispondente da NEW YORK Tempesta sull'Fbi per la divulgazione da parte del «Washington Post» della pratica delle «National Security Letters» per entrare in possesso ogni anno di informazioni sulla vita privata di milioni di cittadini. Tutto è iniziato ieri mattina con la pubblicazione da parte del «Washington Post» di un'inchiesta nella quale si ricostruisce come le leggi anti-terrorismo del «Patriot Act» consentono all'Fbi di usare praticamente senza limiti un metodo adoperato per la prima volta negli Anni Settanta dal controspionaggio. Le «National Security Letters» permettono agli agenti federali di chiedere a qualsiasi «Electronic communications service provider» - gestori di comunicazioni elettroniche come sono biblioteche, compagnie telefoniche e Internet, centri studi, università, carte di credito, compagnie aeree - di ottenere le informazioni digitali di cui sono in possesso sulla clientela. Negli Anni Settanta queste «lettere» venivano usate per controllare le telefonate di singole persone sospettate di essere o meno al soldo dei servizi segreti dell'Est comunista, ma il «Patriot Act», approvato nel 2001 a seguito degli attacchi dell'11 settembre, consente ora all'Fbi di farne un uso assai più vasto. Secondo il «Washington Post» ogni anno l'Fbi spedisce trentamila «National Security Letters» ad altrettante aziende ottenendo miliardi di miliardi di informazioni digitali sui singoli cittadini che vengono immagazzinate per essere poi periodicamente incrociate con altri dati nel tentativo di scoprire possibili tracce di gruppi terroristi. La vicenda è venuta alla luce grazie al fatto che il responsabile dei sistemi informatici di una trentina di biblioteche del Connecticut, George Christian, una volta ricevuta da lettera da due agenti dell'Fbi si è rifiutato di ottemperare alla disposizione, rivolgendosi a un giudice per tutelare la riservatezza dei frequentatori delle medesime biblioteche. Si tratta tuttavia di un caso isolato perché la grande maggioranza delle aziende preferiscono non fare cause legali e consegnare all'Fbi i dati richiesti. Ma l'entità del fenomeno solleva le proteste del Congresso, i cui leader tanto repubblicani che democratici hanno reagito allarmati alle rivelazioni del quotidiani. «Dobbiamo occuparci di questa vicenda con molta attenzione» ha dichiarato in un'intervista tv Joseph Biden, senatore democratico dello Stato del Delaware e membro della commissione Giustizia, facendo notare che «se non sono abusi si tratta di qualcosa molto vicina agli abusi». Identica l'opinione di Chuck Hagel, senatore repubblicano del Nebraska e membro della commissione Intelligence, secondo cui «la prassi del passato è stata allargata dall'Fbi fino a far sorgere il rischio di un conflitto fra la sicurezza nazionale ed i diritti dei singoli cittadini americani». «Siamo arrivati ad un punto di collisione che non potrebbe essere più pericoloso» ha ammonito Hagel, uno dei più influenti leader repubblicani a Capitol Hill. «Trentamila lettere di questo tipo è un numero terribile» ha aggiunto Biden mentre i senatori Ted Kennedy, democratico del Massachusetts, e Tom Coburn, repubblicano dell'Oklahoma, hanno fatto sapere che daranno vita in tempi stretti ad un'iniziativa legislativa per ottenere la distruzione di tutte le informazioni a carico di cittadini nei confronti dei quali non è stata formulata alcuna accusa di tipo criminale. Le accuse di eccessi e abusi delle leggi anti- terrorismo sono rivolte in primo luogo al ministero della Giustizia perché fu John Ashcroft - titolare del dicastero nel 2001 - a dare luce verde all'Fbi. «Non possiamo confermare il fatto che ne vengono spedite trentamila l'anno - è stata la risposta di Brian Roehrkasse, portavoce del ministero della Giustizia, alle domande dei giornalisti - ma il loro uso è giustificato a norma di legge ed un'ispezione generale avvenuta in agosto ha attestato che non sono avvenute violazioni dei diritti civili nell'applicazione delle leggi del Patriot Act». ======================================================= ____________________________________________________ L’Unione Sarda 6 nov. ’05 SANITÀ, ECCO IL NUOVO PIANO REGIONALE Non è tutto come prima: nella proposta definitiva del piano sanitario regionale, approvata ieri dalla Giunta, ci sono diverse differenze rispetto alla bozza presentata nello scorso giugno. L'impostazione è sempre quella di un piano leggero, una cornice di obiettivi e princìpi che poi dovrà essere seguita da piani d'attuazione. Ma con diversi ritocchi, nati dal confronto dell'assessore alla Sanità Nerina Dirindin con sindacati, ordini professionali, università e così via. i contenutiSono state inserite soprattutto alcune parti su esigenze prima meno considerate: una su tutte, la medicina del dolore. Ma sono stati anche aggiornati i dati epidemiologici, e ci sono novità anche sulla definizione della figura professionale dei medici di base. Resta però l'articolazione in tre aree (obiettivi di salute, obiettivi di sistema, strumenti per il funzionamento del sistema): la prima mette al centro dell'attenzione, tra le altre cose, la lotta a malattie come diabete, sclerosi multipla, demenze, tumori, disagio psichico e altre patologie assai diffuse nell'Isola. Con un rinnovato impegno per rendere più efficiente il sistema dell'emergenza e il 118. Sulla rete ospedaliera ancora nessun dettaglio, si conferma però l'adozione del modello hub and spoke: ossia la valorizzazione dei centri periferici per la trattazione dei casi meno gravi, e il ricorso ai grande centri (hub) per quelli più complessi. Naturalmente, all'interno di un quadro in cui il contenimento del disavanzo della sanità, sarà necessario adeguare l'attuale offerta di posti letto ospedalieri ai parametri nazionali, aumentando quelli destinati alle lungodegenze. Anche il numero e i tempi dei ricoveri dovranno essere ricondotti agli standard raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità e dalle norme nazionali. le reazioniSubito critica l'opposizione, per bocca di Giorgio Oppi, segretario dell'Udc ed assessore alla Sanità nelle Giunte del centrodestra: «Ovviamente dobbiamo esaminare ancora il testo definitivo della Giunta, ma temo che non possa essere molto di più di una serie di enunciazioni di principio, come era del resto la bozza presentata alcuni mesi fa. Noto che ci hanno messo un bel po' prima di arrivare alla versione finale», prosegue Oppi, «ma mi chiedo come abbiano fatto ad approvarlo alla prima riunione di Giunta. Ciò vuol dire che non l'hanno neppure letto, oppure che è privo di contenuti». In particolare, sottolinea il leader dello scudocrociato, quello che conta realmente è la riorganizzazione della rete ospedaliera. «E comunque - conclude - prima di arrivare all'approvazione del Consiglio ci vorranno almeno altri sei mesi se non un altro anno. Considerando che l'avevano promesso per dicembre 2004, un bel risultato». Secondo Giommaria Uggias (Margherita), componente di maggioranza della commissione Sanità, è invece proprio un bel risultato: «Direi anzi un evento molto atteso, anche perché è stato più volte anticipato. Un risultato che, posso già dire, sicuramente premia il grande lavoro di fondo svolto dall'assessore Nerina Dirindin e dal suo staff, che hanno applicato una filosofia innovativa». Certamente, però, ora tocca al Consiglio (prima in commissione e poi in aula) aggiungere il proprio contributo, «e lo faremo con grande serietà. Tra la bozza preliminare e quella approvata ieri c'è stato un serio lavoro di concertazione con le parti sociali e i territori», conclude Uggias: «Ora tocca a noi consiglieri completare un percorso molto atteso». (g. m.) ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 nov. ’05 OSPEDALI, SARÀ L’ANNO DELLE RIVOLUZIONI Aperture al territorio, costi alleggeriti con sinergie tra servizi finora scollegati CAGLIARI. Comincia a diventare chiaro lo scenario sugli ospedali cagliaritani. Seguendo la commissione regionale alla sanità che ha visitato tutti gli ospedali cittadini con lo scopo di formarsi un quadro completo anche in vista della discussione del piano sanitario regionale licenziato proprio due giorni fa dalla giunta regionale, è stato possibile stabilire quale potranno essere alcune evoluzioni delle strutture attuali. Le strutture utilizzate in scarsa misura dovranno sparire. Le degenze lunghe verranno abolite ovunque a favore di attività in day hospital. Il cosiddetto territorio (ambulatori ecc.) dovrà offrire l’assistenza non strettamente ospedaliera e fare così da filtro con gli ospedali. Altro obbiettivo dichiarato è far sparire i doppioni: di reparti e di servizi. E per quanto riguarda il personale si farà un’oculata valutazione delle necessità e delle priorità. Il San Giovanni di Dio è forse il presidio al momento dal destino più complesso perché deve entrare nel corpo dell’azienda mista Regione-Università. Quest’ultima è allo studio e di recente è stata alleggerita del terzo centro, l’ospedale Microcitemico, che opportunamente resterà in forze alla Asl 8. Il sistema didattico e di assistenza che nascerà dall’accordo Regione-Università funzionerà diviso tra Monserrato e il San Giovanni di Dio. La scelta sul Microcitemico risale a un mese fa ed è il risultato del tavolo tra assessore regionale alla sanità, preside della facoltà di Medicina, direttore generale della Asl 8: i conti molti chiari mettevano in luce quanto la struttura avrebbe zavorrato la nascente azienda mista e quanto, invece, restando nella Asl, avrebbe potuto sfruttare le possibili sinergie con l’ospedale oncologico a due passi. Un passaggio ha reso più semplice lo sblocco verso questa soluzione: la Regione da un lato e soprattutto l’Università dall’altro hanno accolto ciò che è sempre stato portatore di problemi, vale a dire che la ricerca scientifica potesse essere condotta senza restrizioni e patteggiamenti anche in un ambito ospedaliero. Sbloccato questo passaggio, è parso a tutti ovvio quel che i conti suggerivano: l’ospedale Microcitemico abbinato all’Oncologico avrebbe consentito una gestione economica più fruttifera rispetto alla sua collocazione nell’azienda mista. Un’altra novità arriva da un fronte discusso: la cittadella sanitaria prevista nell’ex manicomio di Villa Clara. Probabilmente diventerà un presidio diverso da quello pensato nella precedente gestione. Impossibile finora sapere quale sarà la sua destinazione perché il direttore generale di recente ha spiegato che Villa Clara rientra nel lavoro complessivo in corso per razionalizzare i cento locali (poliambulatori, presìdi di varia natura) in cui sono sparse le attività della Asl (esclusi gli ospedali). Anche in questo caso hanno avuto notevole peso le valutazioni economiche: 30 milioni di euro doveva essere la spesa per realizzare il complesso, troppi se si pensa che troverebbero alloggio solo alcune delle 100 sedi sparse in città. Poi c’è il Binaghi. Perderà alcuni pezzi importanti (chirurgie, il centro per la sclerosi multipla), ma diventerà un ospedale completo anche per l’assistenza territoriale delle malattie polmonari e della respirazione. Forse, sarà anche centro per l’emergenza respiratoria. _____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 11 nov. ’05 MANAGER ASL AL RUSH FINALE per Olbia in corsa Posadino Caltagirone per l'azienda ospedaliera cagliaritana, ma si fanno i nomi anche di Murru e Selis La Giunta ha preso atto ufficialmente delle dimissioni di Franco Meloni da manager del Brotzu. E ora parte ufficialmente la corsa sia per l'azienda ospedaliera cagliaritana sia per le Asl di Olbia e Sanluri. MELONI, COMUNQUE, non sembra del tutto fuori dai giochi. E nonostante lui stesso qualche giorno fa abbia ironizzato sul suo futuro («adesso sono in pensione») è possibile che la Giunta gli chieda di rimanere sempre ai vertici della sanità sarda. Non al Brotzu, ovviamente, ma all'azienda ospedaliera mista Regione- Università oppure alla Asl di Sanluri. Per quanto riguarda la Asl di Olbia, invece, sembra più che mai in corsa Gianni Cherchi, fratello di Tore, sindaco di CarCarbonia, leader della minoranza Ds ed ex relatore della Finanziaria quando a governare era il centrosinistra. Ma la Margherita, o almeno una parte, pare, non gradisca un nome che potrebbe esporre la Giunta e la maggioranza alle accuse di lottizzazione da parte del centrodestra. Piuttosto una parte della maggioranza preferirebbe che al vertice del dell'azienda sanitaria gallurese arrivasse Mario Ambrogio Posadino, molto vicino, si dice all'ex presidente della Regione, Pietrino Soddu. Per il Brotzu, invece, i giochi più che mai aperti: il nome che circola con maggiore insistenza è quello di Pietro Caltagirone, che però, secondo alcuni esponenti dell'Unione avrebbe un difetto: non essere sardo, anche se ha già fatto esperienza nell'Isola come manager. Altro nome che circola è quello di Mario Selis, ex direttore della Ragioneria della Regione: una nomina che sarebbe gradita alla parte moderata della coalizione ma anche ai Ds. In corsa con le stesse possibilità di successo c'è anche Ninni Murru che in molti incasellano come di area Progetto Sardegna. Difficile capire come andrà a finire anche se, si dice, è possibile che alla fine la Giunta opti per due sardi e uno della penisola. Dunque Caltagirone al Brotzu, Meloni o Murru a Sanluri e Posadino (o Selis) in G a l l u ra . Altri nomi che circolano sono quello di Alfredo de Lorenzo, ex manager ai tempi delle Giunte di centrosinistra, che però è andato a dirigere una Asl in una regione governata dal centrodestra. La Giunta potrebbe nominare i nuovi manager in tempi molto rapidi, forse entro fine anno. Prima ci sarà un passaggio in mag gioranza. F.M ____________________________________________________ www.aob.it 9 nov. ’05 FRANCO MELONI LASCIA L’AZIENDA BROTZU La Giunta regionale ha accolto oggi le mie dimissioni e pertanto da domani non sarò più il Direttore Generale . Lascio la direzione generale del Brotzu come si lascia un'incompiuta: so che eravamo in cammino per raggiungere risultati sempre più significativi. Ma questa è la vita, le vicissitudini della pubblica amministrazione. Detesto le cerimonie degli addii ma mi preme ricordare che in questa azienda abbiamo raggiunto –tutti insieme - traguardi importanti. Non sto ad elencarvi i numeri come un bollettino della vittoria: sappiate però che questo è un ospedale col bilancio in attivo. Non solo: rispetto ai quindici- venti di assoluta eccellenza nazionale, occupa un posto immediatamente successivo. Significa che sul fronte della qualità dell'assistenza siamo riusciti a garantire standard che non hanno eguali in Sardegna (e non moltissimi nel resto del Paese). Non sto parlando soltanto della politica dei trapianti ma anche della routine quotidiana, dei tempi e dell'organizzazione di servizi che hanno funzionato. E funzionato bene. Questo è motivo, per me e voi tutti, di legittimo orgoglio e di grande piacere (oltre che di consolazione). Governando una "ditta" con quasi duemila dipendenti, ho certamente scontentato molti. Inevitabile. Agli uni e agli altri, quelli che mi vogliono bene e quelli che mi non mi amano, propongo tuttavia la stessa eredità : conti trasparenti e lo sforzo - davvero collettivo - di aver offerto un'assistenza più che dignitosa ma soprattutto di aver dimostrato che il diritto alla salute non è un bene voluttuario. Quanto al resto, chiedo venia e vi ringrazio tutti di cuore per il formidabile aiuto che mi avete offerto in questi anni. Non ho mai cercato lo scontro, mi sono sempre mosso chiedendomi quale fosse l'interesse pubblico, il rispetto dei malati e quello di chi mi ha dovuto subire. Vado via sereno e soddisfatto di risultati sui quali , al momento della mia nomina , avrei messo più di una firma.Per il resto , beh , nessuno è perfetto. Franco Meloni Direttore Generale ____________________________________________________ Il giornale di Sardegna 6 nov. ’05 DIFENDERE LA SALUTE PER DIFENDERE LA LIBERTÀ «Chi non è messo in grado di curarsi perde anche il suo ruolo nella società» Dalla bocca di un uomo di scienza escono fuori parole di libertà, dignità, equità e giustizia. La medicina legata all'etica ha un corpo piccino, occhi generosi e anima da combattente. Giovanni Berlinguer, uomo dal pensiero contundente, è stato per molti anni presidente del comitato italiano di bioetica ed ora, professore emerito nella facoltà di Scienze alla Sapienza di Roma, è un testimone parlante e pensante di come non sia un'utopia far camminare di pari passo la salute e la dignità personale. Professore, mentre assistiamo sempre alla decimazione di popolazioni condannate a morte dalla mancanza di farmaci, che senso ha parlare di etica e salute? La salute è vita, parte della vita. È uno dei principali diritti umani e un fondamento della libertà personale. La perdita della salute implica spesso, dove non c'è un sistema di assistenza adeguato, una perdita di potere e di ruolo sociale. E allora come si sposa il diritto alla salute con la privatizzazione della sanità, fenomeno nato negli Usa e che si sta estendendo a macchia d'olio fino al nostro Paese? Gli Stati Uniti d'America sono stati i primi ad affermare solennemente il diritto alla salute. Dopo la Liberazione, in Italia circolavano le Amlire: banconote sulle quali erano ritratte le quattro libertà fondamentali dell'uomo. Una di queste era proprio freedom from want: la libertà da dal bisogno, dal non subire abusi. Successivamente questo orientamento è arrivato in Europa e si è perso negli Usa per la strada che ha condotto a sperare che la congiunzione tra libero mercato e scienza provocasse benefici universali. Così non è stato: in America 44 milioni di persone non hanno diritto all'assistenza sanitaria. Corriamo anche noi lo stesso pericolo? Per ora no. Da noi c'è una norma che prevede forme di assistenza sanitaria anche per gli immigrati illegali, senza che questi vengano segnalati alle forze dell'ordine. Cosa si deve rincorrere per evitare la deriva dell'annullamento del diritto alla salute? L'equità. La crescita esponenziale delle differenze tra le varie parti del mondo è l'offesa principale al diritto alla salute. I poderosi interventi della chiesa sulle questioni politiche la preoccupano? Non poco, e non solo per l'Italia. Nel mondo non c'è un rifiorire di religioni ma una crescente acquisizione di potere delle religioni che può turbare gli equilibri internazionali e contribuire allo scontro di civiltà. La chiesa ha il diritto di avere, promuovere e glorificare le sue posizioni. Ma il fenomeno preoccupante è che in Italia come negli Stati Uniti si sta instaurando un rapporto contrattuale tra Chiesa e Stato. Bush, per esempio, ha affidato alle organizzazioni religiose più settarie l'amministrazione dei fondi pubblici destinati all'assistenza in cambio di un sostegno o della neutralità nei confronti della politica di guerra. In Italia è in atto uno scambio tra il consenso al centrodestra e l'elargizione di favori non sempre leciti. L'etica nella scienza è tornata nel dibattito italiano durante il referendum sulla fecondazione che però ha fatto tornare sulla scena discussioni sopite: per esempio l 'eutanasia . Mi sono espresso più volte contro l'attuale legge sulla fecondazione assistita che penalizza le donne e restringe la sfera delle possibilità procreative. Per non parlare della disuguaglianza sociale che introduce. Per quanto riguarda l'eutanasia sono contrario alla somministrazione deliberata della morte ma riconosco il diritto delle persone a lasciarsi morire. Lei spiegala medicina in maniera filosofica: che parole ha nei confronti della clonazione? La creazione di esseri umani geneticamente uguali per decisione dei genitori o di altri è un'offesa alla libertà. Perché la prima libertà è quella di nascere non essendo predeterminati. La nascita è un gioco spontaneo di ricombinazione di geni. Considero un abuso anche la selezione del sesso. Non salvo neanche l'introduzione di fattori genetici per migliorare la natura umana. Si migliora con la cultura e non con le alchimie di laboratorio. _____________________________________________________ il Giornale 12 nov. ’05 GLI STENT AIUTANO LE CORONARIE RICERCA I moderni stent medicati evitano a numerosi pazienti i by-pass aorto- coronarici A Torino un incontro tra i più noti cardiologi italiani e quelli americani della Mayo Clinic di Rochester Marra: Le nuove stenosi vengono superate con dispositivi a lento rilascio di farmaco» Luigi Cucchi *Una forte innovazione tecnologica sta cambiando rapidamente il modo di affrontare la sindrome coronarica acuta, una delle prime cause di morte nel mondo. Come si possa sfruttarne l'impatto sull'efficacia delle cure, utilizzando al meglio le risorse finanziarie a disposizione del sistema sanitario, è stato uno dei temi qualificanti del convegno organizzato dalla Cardiologia ospedaliera delle Molinette di Torino, che ha messo a confronto il top della medicina cardiovascolare statunitense e i più importantì specialisti italiani. Spiega il dottor Sebastiano Marra. primario della 2 divisione di cardiologia dell'ospedale torinese, promotore dell' evento. «Il confronto con l'esperienza dei colleghi americani è stato molto fertile perché la Mayo è all'avanguardia nell'applicare alla clinica l'innovazione tecnologica e questo è stato il motivo ricorrente di gran parte dei temi discussi, a cominciare dall'angioplastica coronarica.. Questo intervento mininvasivo, eseguito pervia percutanea, ha segnato una svolta nel trattamento della malattia coronarica perché ha permesso di evitare ad un grande numero di pazienti l'intervento traumatico di bypass aorto-coronarico». Un ulteriore salto di qualità si è -verificato con l' avvento degli stent che vengono introdotti nell'arteria coronarica malata. e che ripristinano la pervietà del vaso e l'afflusso di sangue al muscolo cardiaco. «Per quanto abbia rappresentato un'importante evoluzione - precisa il dottor Marra - l'impiego degli stent metallici non è però riuscito a risolvere del tutto un grave problema che riguarda. una parte ancora ti oppo elevata degli interventi di angioplastica: il fenomeno della restenosi, ovvero un nuovo restringimento dell'arteria che si produce in corrispondenza dello stent da poco applicato, dovuto ad una proliferazione di tessuto arterioso. Questa forma di ricaduta si verifica qualche mese dopo l’intervento e può colpire fino al 40% dei pazienti trattati, soprattutto se diabetici. Il costo umano. economico e sociale dei casi di restenosi è molto elevato, perché comporta nuovi rischi e disagi per il paziente, che deve essere ri operato, e un aggravio dei costi a carico del sistema sanitario». Per ovviare a questi inconvenienti, la ricerca ha prodotto lo stent a rilascio di farmaco (DES). in uso da due-tre anni. Il nuovo congegno aggiunge la proprietà di rilasciare un farmaco antiproliferaiivo (rapamicina) alla parete dell'arteria da dilatare. Conclude il dottor Marra: «Come hanno dimostxato numerosi studi internazionali, l'azione del farmaco sui tessuti endotelia.li sembra inibire la proliferazione cellulare e ridurre a livelli accettabili le percentuali di restenosi. A fronte di questi indubbi vantaggi, dobbiamo però registrare mi problema„ costituito dal costo del DES, più elevato di quello dello stent non medicato. La sfida che oggi si pone sia ai medici che agli amministratori regionali è di valutare la convenienza dell'impiego del DES, non soltanto sulla base del singolo intervento, bensì includendo nel conteggio i costi globali del suo mancato utilizzo (qualità di vita del paziente, giornate dl lavoro perdute, rischi derivanti dal reintervento, costi diretti dei trattamenti ripetuti). Due regioni con diversi profili. l'Emilia Romagna e la Sicilia, si sono già cimentate in questa valutazione, utilizzando approcci differenti. Sono giunte però alla, medesima conclusione: nonostante il costo superiore, il DES risulta ugualmente più conveniente se valutato nel lungo periodo e considerando i costi in modo complessivo». Sebastiano Marra _____________________________________________________ Libero 12 nov. ’05 ELETTRODI NEL CERVELLO PER FERMARE I TIC La tecnica è efficace sui pazienti affetti dalla Sindrome di Tourette, caratterizzata da movimenti involontari che nei casi più gravi possono pregiudicare la vita sociale BERGAMO Un impianto di elettrodi nel cervello, collegati a un pacemaker che genera impulsi elettrici - posizionato sottocute e programmabile dall'esterno - può "controllare" i più gravi tic neurologici. Dai movimenti rapidi e improvvisi a quelli lenti e sostenuti. Dalle frasi a contenuto scurrile averi e propri comportamenti ossessivo compulsivi. Tutti sintomi della Sindrome di Tourette. Che possono variare per intensità nel corso del tempo, e spesso, cambiare forma e sede a un certo tipo di tic ne succede un altro in una diversa parte del' corpo. La tecnica, messa a punto da Domenico Scrello (direttore dell'Unità di Neurochirurgia Funzionale dell'Istituto Galeazzi di Milano) e da Mauro Porta (primario del reparto di Neurologia del Policlinico San Marco di Zingonia, Bergamo), che l'hanno utilizzata in centinaia di interventi su malati di Parkinson, è stata trasferita con successo alle persone affette da Sindrome di Tourette. Che al Policlinico di Zingonia sono 500, 100 delle quali gravi. «Con la deep brain stlmolation (questo il nome della tecnica n.d.r.) - spiega Mauro Porta a Libero - abbiamo ottenuto risultati straordinari anche nei casi considerati resistenti. In un anno é mezzo abbiamo eseguito 14 interventi di questo tipo, rappresentando la più grossa casistica mondiale». Il disturbo, per il quale si suppone una componente ereditaria, colpisce soprattutto i maschi, in genere attorno ai 5-6 anni, e in molti casi si esaurisce entro i 16-18 anni. Quando invece la sindrome permane anche nell'età, adulta, può interferire con la vita sociale e danneggiarla. Le condizioni di accesso a questo trattamento, peraltro gratuito, «sono l’inefficacia dei trattamenti tradizionali o innovativi, la compromissione della sfera sociale, e l'essere adulti - aggiunge Porta -. E necessario infatti - che il quadro si sia cronicizzato e ciò avviene in genere a partire dai 25-30 anni. A questo punto è meglio non aspettare troppo tempo per intervenire perché col perdurare del disagio i soggetti affetti dalla sindrome diventano emarginati sociali, anche se sono molto intelligenti, creativi e musicali: Mozart era ritenuto un "Tourettiano"». E proprio alla qualità di vita di questi pazienti e delle persone che hanno rapporti con loro, è dedicata l'attività dell'Associazione Italiana Sindrome di Tourettee disturbi collegati, con sede a Zingonia, presieduta dallo stesso Porta. Alessandra Mori ____________________________________________________ L’Unione Sarda 11 nov. ’05 QUANDO L'IPERATTIVITÀ È UNA MALATTIA Inchiesta. Tre bambini su cento sono affetti da disturbi da deficit attentivo, l'Adhd Una patologia che si può combattere anche con i farmaci Tremila studenti troppo pigri o scalmanati soffrono di deficit attentivo e iperattività. Disturbi gravi che anche nell'Isola colpiscono tre bambini su cento, ma che molto spesso non vengono riconosciuti da genitori e insegnanti. A conti fatti un esercito di circa 3 mila ragazzini (ma c'è chi sostiene che potrebbero essere anche cinquemila), ritenuti talvolta pigri o scalmanati. Studenti che a scuola non riescono a restare attenti, disturbano o sono spesso troppo vivaci, possono nascondere quello che gli esperti definiscono un disturbo da deficit attentivo e iperattività (Attention Deficit Hiperactivity Disorder, più conosciuto come l'Adhd). Una malattia che viene combattuta con un trattamenti psico-educativi e interventi sul ragazzo (ma anche nella famiglia e a scuola), ma che in alcuni casi comprende anche l'utilizzo di psicofarmaci. Scelte terapeutiche che hanno innescato un dibattito acceso, con la nascita di associazioni e movimenti. Deficit d'attenzioneDifficoltà a concentrarsi e a mantenere l'attenzione a lungo su un compito, con una spiccata propensione al distrarsi. «Spesso nemmeno noi genitori ci rendiamo conto del disturbo che colpisce i nostri figli», dice Simona Quaglia, referente a Cagliari dell'associazione Aifa. «È capitato che gli insegnanti e persino i pediatri non riconoscessero il disturbo, riconducendo il comportamento dei bambini ad una cattiva educazione familiare. L'istinto iniziale punterebbe a diventare più rigidi, ma è proprio l'errore che non bisogna fare perché si innesca una reazione anche peggiore». IperattivitàUn'altra tendenza con cui può manifestarsi il disturbo nei bambini è quella di non riuscire a stare fermi. «La mancata diagnosi tempestiva è il dramma maggiore», spiega Laura Monni, di Quartu Sant'Elena, madre di un giovane ormai guarito. «Mio figlio era considerato irrequieto già alle elementari, poi alle scuole medie peggiorò perdendo anche alcuni anni. Per fortuna con l'età il disturbo è completamente scomparso e ora sta per laurearsi». ImpulsivitàDifficoltà a controllarsi: può capitare che il ragazzo si inserisca in modo inappropriato in un gioco o in una conversazione. «Non necessariamente i tre deficit sono presenti tutti contemporaneamente», spiega Carlo Cianchetti, direttore della Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell'Università di Cagliari. «Se vi è solo il deficit attentivo, è facile che il bambino venga definito come pigro o con la testa fra le nuvole, con conseguente ritardo nel capire la vera causa delle sue difficoltà scolastiche e nel prendere gli opportuni provvedimenti terapeutici. Ci sono casi in cui l'Adhd si associa con un disturbo oppressivo-provocatorio o con un disturbo della condotta, situazione più grave perché sono presenti elementi di reale pericolosità sociale. Le prime manifestazioni - continua Cianchetti - possono essere rilevabili dal secondo- terzo anno di vita, ma diventano evidenti con l'entrata alle scuole elementari, quando si richiede maggiore disciplina e impegno nei compiti. Colpisce dal 3 al 5 per cento della popolazione scolastica, con un rapporto di sei, otto a uno tra maschi e femmine». Nella maggior parte dei casi i disturbi scompaiono in età adolescenziale. Tra le cause, gli esperti tendono a privilegiare la componente genetica, i fattori ambientali, malnutrizione, traumi nella nascita o alterazione dei sistemi che regolano il controllo degli impulsi. DiagnosiPer diagnosticare il disturbo - osservano gli esperti - bisogna effettuare un'accurata raccolta di dati e informazioni sul bambino. Le cure, invece, prevedono quasi sempre trattamenti psico-educativi con tecniche comportamentali e cognitive, ma anche con interventi all'interno dell'ambito scolastico. Nei casi più gravi si arriva a vere e proprie terapie farmacologiche (atomoxedina) che non escludono l'uso di psicofarmaci (metilfenidato). A Cagliari, inoltre, funziona anche il Centro per lo studio delle terapia farmacologiche in Neuropsichiatria Infantile e dell'Adolescenza guidato dal professor Alessandro Zuddas. Il farmacoE proprio sul metilfenidato, conosciuto in tutto il mondo come Ritalin, è scoppiata la polemica con la nascita di associazioni e gruppi che contestano l'utilizzo di questo psicofarmaco, sino a qualche anno fa inserito nella tabella degli stupefacenti. «L'intervento farmacologico - conclude Cianchetti, - riguarda comunque un numero molto limitato di casi, quelli in pratica che richiedono l'intervento specialistico. Il resto si risolve con altre terapie». Francesco Pinna ____________________________________________________ La Repubblica 9 nov. ’05 QUEI BRUCIORI ALL'APPARATO GENITALE... di Elio Rossi * Per leucorrea si intende una fisiologica secrezione della vagina e delle ghiandole dell'apparato genitale, che può essere causata anche da agenti infettivi. Se si sospetta una forma di infezione, in presenza di sintomi quali cattivo odore, prurito, bruciore, irritazione sia della vagina che dei genitali esterni, rapporti sessuali dolorosi e malessere generale, servono accertamenti. Poi si deciderà la terapia più opportuna evitando di intervenire per sopprimere il sintomo senza migliorare le condizioni generali della paziente. Pulsatilla è un rimedio tipico delle secrezioni giallo verdastre, non irritanti, mentre Kreosotum al contrario si somministra quando le perdite sono acide, estremamente irritanti, escorianti le zone cutanee. Il secreto è abbondante, acquoso, e si può accompagnare a disturbi urinari. Hydrastis è usato è presente un'abbondante secrezione densa e collosa, giallastra, che compare spesso in coincidenza con periodi di stitichezza. Anche Aletris farinosa è utile se le perdite sono associate a stitichezza ostinata, marcata astenia e anemia. Nella leucorrea che colpisce bimbe e ragazze in fase prepuberale è indicata Calcarea phosphorica, in particolare se le perdite sono lattescenti, con bruciore e prurito. * Resp. ambulatorio Asl2 Lucca ____________________________________________________ La Repubblica 9 nov. ’05 MEDICI E MALATI, SCARSO IMPEGNO Lo studio di Giuseppe Del Bello PARIGI Tutti sanno che il colesterolo alto fa male al cuore ma pochi fanno qualcosa. E' in sintesi il risultato dell'indagine "From the heart" (dal profondo del cuore) presentata di recente a Parigi. Lo studio, illustrato da Richard Hobbs, professore di medicina generale all'università di Birmingham, è stato condotto in 10 paesi (Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Messico, Singapore, Regno Unito, Portogallo e Corea del sud) ed ha coinvolto 1.547 pazienti affetti da ipercolesterolemia (età media 60 anni, il 55% rappresentato da donne) e 750 medici di famiglia. Realizzata dall'Adelphi International Research per conto di Astra-Zeneca, l'indagine ha valutato con un questionario il grado di consapevolezza del rischio-colesterolo. Un paziente su due non conosce o ha dimenticato il proprio livello di colesterolo, 2 su 3 non sanno a quale valore dovrebbero mirare per una corretta prevenzione, mentre soltanto uno su tre ritiene di aver ridotto il suo colesterolo a un tasso accettabile. Non solo gran parte degli intervistati ignora o nasconde a se stessa la propria situazione (4 su 10 non hanno mai sentito parlare di colesterolo "buono" e "cattivo"), ma sottovaluta anche i rischi correlati. Un terzo di loro non sa, ad esempio, che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte e uccidono più del cancro, mentre il 74% del gruppo esaminato non sa spiegarsi come l'attacco possa essere conseguenza del colesterolo alto. I medici fanno abbastanza per tenerlo sotto controllo? Secondo l'inchiesta, la maggior parte dei camici bianchi cerca di aiutare i propri assistiti a raggiungere i livelli indicati dalle linee guida, anche se solo il 18 per cento di loro ritiene che ci riescano. E in Italia? I dati più recenti sono quelli riportati l'anno scorso dallo studio Easy che ha ricordato Franco Bernini, direttore del Laboratorio di Farmacologia Molecolare all'università di Parma e che ha riguardato 277 centri e 7236 pazienti con colesterolo elevato. Dati sovrapponibili dunque: nonostante il 70% dei pazienti sia in trattamento con farmaci, solo il 66% raggiunge un valore normale e ben il 72 per cento di questi con maggior rischio cardiovascolare e in terapia con statine ottiene il tasso raccomandato. Significa che i medici sottostimano il pericolo di infarto ed ictus e che i farmaci che assicurano un efficace abbassamento del livello di colesterolo sono poco utilizzati. "Eppure con le molecole di ultima generazione", aggiunge Leif Erhardt del Dipartimento cardiologico di Mälmo (Svezia), "è possibile ottenere, anche con dosaggi estremamente bassi, il livello desiderato, riducendo di molto il rischio cardiovascolare". "Le famiglie devono avere un ruolo attivo", conclude il cardiologo svedese, "mentre i medici devono spiegare ai loro pazienti quali sono le implicazioni di un alto tasso di colesterolo Ldl nel sangue". ____________________________________________________ La Repubblica 11 nov. ’05 LA "BANCA" DELLE OSSA Tumori ed incidenti stanno moltiplicando gli interventi di ricostruzione degli arti. Servono frammenti scheletrici da impiantare di Fabio Lodispoto * Si chiama LIMB SALVAGE - salvataggio degli arti: se ne è parlato al 90 congresso nazionale di ortopedia da poco concluso a Firenze. "Un tema di grande attualità", ha spiegato il professor Rodolfo Capanna presidente dell'evento insieme al professor Paolo Aglietti, "che mira alla ricostruzione di interi segmenti scheletrici degli arti come il femore, l'omero e la tibia o parte del bacino. Una necessità purtroppo sempre più frequente come accade quando un tumore osseo primitivo o una metastasi hanno richiesto, per salvare la vita del paziente, l'asportazione e il sacrificio di un segmento molto esteso di osso o di una articolazione o ancora se un trauma stradale, più spesso una caduta dalla moto, hanno prodotto fratture esposte e comminute tanto gravi da non potere più essere ricomposte. Infine, in caso di sostituzioni di protesi articolari che al secondo o terzo impianto hanno ridotto, assottigliato e generato un riassorbimento dell'osso così esteso che la protesi non trova più sostegno a meno di non essere impiantata con un contemporaneo innesto di osso". L'osso ha una capacità di rigenerarsi limitata: in caso di fratture o piccole perdite di sostanza lo sviluppo di callo osseo e il successivo processo di consolidamento permettono una completa guarigione e il pieno recupero della solidità dello scheletro. Se al contrario vengono a mancare estesi tratti di tessuto osseo o di segmenti scheletrici la natura non riesce più a rimediare da sola e necessita dell'aiuto dell'ortopedico. Questo a sua volta può rivolgersi alla banca dell'osso dove a meno 80 celsius vengono conservate ossa e articolazioni di donatore. Ogni parte viene radiografata in modo da avere in catalogo forma anatomica e dimensioni di ogni elemento scheletrico disponibile. Una disponibilità che purtroppo deve fare fronte ad una richiesta in costante aumento: mezzo milione di trapianti ossei ogni anno negli Stati Uniti colpa della chirurgia oncologica e protesica in costante aumento e di un incremento del 5% nella chirurgia ricostruttiva maxillo facciale. La Toscana, al primo posto in Europa per donazioni, è tra l'altro sede del CTO di Firenze, uno dei tre principali centri in Italia per questo genere di chirurgia ricostruttiva insieme al Gaetano Pini di Milano e al Rizzoli di Bologna. Nessun problema di rigetto: le cellule ossee e altre popolazioni di cellule vengono uccise dalla conservazione a meno 80 e questo permette di evitare i pesanti effetti collaterali delle terapie immunosoppressive. La parte da trapiantare viene scelta "su misura" in base alla forma e alle dimensioni della parete mancante. Negli ultimi tempi la sostituzione si è perfezionata trapiantando non solo l'osso, ma anche i tendini che si inseriscono alla sua superficie. In questo modo possono più facilmente essere riallacciati tendini e muscoli e il recupero è più veloce. Sono necessari tuttavia 7-8 mesi perché l'osso si possa fondere con quello del ricevente e circa due anni perché le cellule vadano a riabitare in profondità i primi 1-2 millimetri di superficie. L'osso trapiantato è infatti solo una impalcatura di calcio: uno stampo non vitale privo di cellule, vasi e nervi distrutti dalla conservazione che deve pian piano essere ripopolato e rivitalizzato. Mai del tutto: in profondità l'osso resta solo un minerale, una condizione che non permette il pieno recupero della resistenza meccanica. Per questo motivo l'osso viene "armato", come il cemento, da rinforzi in metallo. * Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport, Roma ____________________________________________________ Le Scienze 10 nov. ’05 UNA CURA PER L'AMAUROSI CONGENITA La malattia è caratterizzata da una disfunzione retinale Sperimentando con successo due nuovi trattamenti nei topi, un gruppo di ricercatori guidato dal farmacologo Krzysztof Palczewski della Case Western Reserve University di Cleveland ha compiuto i primi passi verso una cura per una malattia degli occhi che provoca una cecità congenita irreversibile. I risultati, pubblicati sulla rivista "PLoS Medicine", rivelano che i trattamenti "rappresentano un mezzo efficace e complementare per restaurare la funzione retinale nel modello animale della cecità ereditaria umana". La malattia studiata è l'amaurosi congenita di Leber (LCA), caratterizzata da una grave perdita della vista alla nascita. Le sue cause non sono ancora del tutto chiare, ma i ricercatori ritengono che possa dipendere da uno sviluppo anormale delle cellule fotorecettrici nella retina, dalla degenerazione estremamente prematura di queste cellule, o dalla mancanza di ingredienti metabolici essenziali per la vista. In un sottoinsieme di pazienti, la retina smette di funzionare a causa della perdita dell'enzima LRAT (lecitina retinolo acil-transferasi), necessario per la rigenerazione di un pigmento che serve all'occhio per rivelare la luce. La LCA può essere causata da mutazioni nel gene che codifica per RPE65, una proteina coinvolta nella produzione e nel riciclaggio di 11-cis-retinale nell'occhio. Attualmente non esistono cure, anche se studi precedenti nei topi avevano sperimentato con successo l'iniezione di un virus portatore del gene normale per RPE65 e, separatamente, la somministrazione orale di un composto simile alla vitamina A. Ora Palczewski e colleghi hanno studiato l'effetto della combinazione dei due trattamenti in topi ciechi privi di enzima LRAT. La terapia genica ha restaurato significativamente le risposte elettroretinografiche (ERG) e quelle pupillari alla luce. Anche l'intervento farmacologico, con composti somministrati per via orale, ha provocato un recupero permanente delle funzioni retinali e ha incrementato le risposte ERG. Il trattamento orale, ovviamente, è più facile da somministrare rispetto all'iniezione della terapia genica direttamente nell'occhio, ma offre lo svantaggio di una potenziale tossicità a lungo termine. Tuttavia, i dati tossicologici raccolti durante lo studio non hanno rivelato effetti dannosi per i topi. È possibile che ciascun trattamento sia più adatto per i pazienti di uno specifico gruppo di età, e pertanto che la combinazione delle due terapie possa garantire cure efficaci per un ventaglio più ampio di pazienti. Gli scienziati ipotizzano, per esempio, di cominciare durante l'infanzia il trattamento con retinoidi orali per evitare la perdita iniziale della vista e le difficoltà associate con gli interventi chirurgici nei pazienti molto giovani. ____________________________________________________ Le Scienze 8 nov. ’05 LO STOMACO COME MACCHINA DELLA VERITÀ Chi mente è soggetto a un aumento significativo di aritmia gastrica Uno studio di ricercatori del Medical Branch dell'Università del Texas, presentato al convegno annuale dell'American College of Gastroenterology, suggerisce che i cambiamenti nella fisiologia gastrica possono funzionare meglio dei normali metodi poligrafici nel determinare se una persona sta mentendo o dicendo la verità. Gli scienziati hanno individuato un legame fra l'atto del mentire e un significativo aumento di aritmia gastrica. Per mettere alla prova l'ipotesi che il tratto gastrointestinale fosse insolitamente sensibile allo stress mentale a causa della comunicazione fra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso enterico, i ricercatori hanno reclutato sedici volontari sani e li hanno sottoposti simultaneamente a elettrogastrogramma (EGG) ed elettrocardiogramma (ECG). I risultati indicano che sia mentire che dire la verità influenza i sintomi cardiaci, mentre l'atto di mentire è associato anche ai sintomi gastrici. L'EGG ha mostrato un significativo calo della percentuale di onde lente quando il soggetto stava mentendo, corrispondente a un significativo incremento nel battito cardiaco durante la stessa situazione. "Se ne conclude - afferma il medico Pankaj Pasricha - che aggiungere un EGG agli attuali metodi poligrafici può migliorare la precisione dei rivelatori di bugie. La comunicazione fra il cervello e lo stomaco è abbastanza complessa e meriterebbe ulteriori studi". ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 6 nov. ’05 CANNABIS CONTRO IL DOLORE PER 80 MALATI DI CANCRO Sperimentazione con un farmaco non registrato in Italia. LA NEUROLOGA Da verificare la doppia azione su dolore fisico e mentale A Roma e a Torino: soltanto su pazienti selezionati e ospedalizzati In due centri italiani parte la sperimentazione della cannabis sintetica per curare il dolore nei malati di cancro. E dire cannabis è come dire marijuana, che com' è noto è una droga vietata. Il problema è che è anche un farmaco potenzialmente ancora tutto da scoprire. Per la cura del dolore in primis. In realtà la cannabis in Italia si sta già sperimentando nei casi di sclerosi multipla per ridurre la spasticità muscolare, ma quando si tratta di dolore si alzano gli scudi. «Automaticamente l' opinione pubblica pensa alla droga, all' effetto euforizzante e mentre non si preoccupa per un uso clinico riguardo a un problema fisico quale la spasticità muscolare, censura l' uso del farmaco cannabis per curare il dolore. Ma noi medici soprattutto di questo ci dobbiamo occupare». È Rosanna Cerbo, neurologa dell' Università La Sapienza di Roma e responsabile del Centro per la terapia del dolore del Policlinico Umberto I, a parlare. A Milano, all' Università La Bicocca, ha presentato il protocollo della sperimentazione della cannabis sintetica (Marinol) nei malati di tumore. Uno studio multicentrico: oltre al centro diretto dalla Cerbo, la sperimentazione si farà alle Molinette di Torino. Quaranta malati per centro, selezionati e ospedalizzati: a un gruppo solo Marinol per bocca (pasticche), all' altro Marinol più morfina. «Da verificare la doppia azione sul dolore fisico e su quello mentale, emotivo, a livello cerebrale», spiega Cerbo. Una ricerca clinica che anticipa anche gli Stati Uniti, dove la cannabis è per ora usabile solo in certi Stati (California, Oregon) sotto forma di «brownie» (una specie di torta di cioccolato) per migliorare la nausea e la mancanza di appetito in pazienti con cancro. Non è ufficialmente approvata per il trattamento del dolore, anche se qualcuno la usa e vorrebbe legalizzarla (c' è una forma di cannabis in crema per il dolore superficiale neuropatico). L' uso di marijuana a scopo terapeutico è invece ammesso in Olanda e Canada, dove i cannabinoidi sono venduti in farmacia, Gran Bretagna, Spagna e Australia. Nel resto del mondo, Italia compresa, il dibattito sull' uso terapeutico della cannabis è tuttora aperto. Farmaco o droga? E un medico con in tasca una scatola di pasticche di Marinol sarà un domani perseguibile come chi gira con qualche spinello? Il problema potrebbe presto porsi. In Italia per ora il Marinol non è ancora registrato, tant' è che nel 2002 intervenne un giudice veneziano per obbligare la Usl a procurarselo in Svizzera per la cura del dolore di una malata di cancro al polmone. Problemi culturali e politici pesano sulla bilancia. Anche se il professor Antonio Mussa, l' oncologo delle Molinette di Torino dove si effettuerà parte della sperimentazione, è presidente della Consulta nazionale per la ricerca scientifica di An. Il dibattito c' è stato, ma alla fine la logica medica ha prevalso e, almeno per la sperimentazione, la cannabis farmaco è ora sdoganata. Mario Pappagallo Pappagallo Mario ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 6 nov. ’05 «SFERETTE» A PROTEZIONE DEL SORRISO TROPPO SENSIBILE Per i denti Le tecnologie lillipuziane potrebbero risolvere anche i disagi di chi ha i denti sensibili. Il ricercatore Jonathan Earl, fisico dell' Institute of Materials Research dell' Università di Leeds in Inghilterra, sta mettendo a punto, infatti, nano-sfere di un materiale ceramico, l' idrossiapatite, da utilizzare quando lo smalto dei denti è usurato e la dentina resta scoperta. La dentina è una sostanza composta da canalini pieni di fluido che si irradiano a partire dal nervo interno: caldo, freddo, o anche un semplice contatto possono smuovere il fluido, stimolare il nervo e provocare di conseguenza un dolore acuto. Secondo Jonathan Earl, chiudere i canalini della dentina con piccolissime nano-sfere di materiale compatibile potrebbe bloccare o, quanto meno, ridurre il dolore. La misura giusta, dice il fisico inglese, è di milionesimi di millimetro e l' idrossiapatite, già usata da tempo dai dentisti, sembra poter assumere tali dimensioni. Earl con il suo gruppo di studio sta ora cercando di ridurre sempre più la taglia delle sferette e associarvi fluoro, così da riempire i canalicoli della dentina e favorire la remineralizzazione del dente. _____________________________________________________ Corriere della Sera 11 nov. ’05 PROTEOMICA: L'ULTIMA FRONTIERA CONTRO I TUMORI E' una parola «nuova» che indica lo studio dell'insieme delle proteine delle cellule e del sangue. Supera e integra la gnomica FAIRFAX (VIRGINIA ) - Si chiama proteomica l’ultima frontiera della ricerca contro il cancro. La proteomica è la scienza che studia le proteine presenti all’interno delle cellule e quelle che dalle cellule vengono rilasciate e che circolano nel sangue. Dall’analisi delle loro caratteristiche e del loro comportamento, sia prese singolarmente che nel loro insieme, i ricercatori contano di ottenere informazioni decisive per mettere a punto nuove strategie di diagnosi precoce e di cura per i tumori e anche per diverse altre malattie. E nella proteomica applicata ai tumori il nostro Paese potrebbe giocare un ruolo da vero protagonista, per una volta non solo con i suoi «cervelli in fuga». Ha già preso l’avvio, infatti, una collaborazione in grande stile tra i maggiori centri di cura e ricerca oncologica in Italia, coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità e il più avanzato gruppo di ricerca in questo campo, che fa capo a Lance Liotta e Emanuel Petricoin, della George Mason University (Virginia). DIAGNOSI PRECOCE - I due studiosi sono considerati i padri della proteomica clinica (cioè dell’uscita di questa scienza dai laboratori e dell’inizio della sua applicazione ai pazienti), e ne hanno, di fatto, sancito l’inizio tre anni fa, con la pubblicazione su The Lancet di una ricerca in cui dimostravano che, grazie all’analisi proteomica del sangue è possibile scoprire con una precisione quasi nel 100% se una donna è portatrice di tumore all’ovaio. Liotta e Petricoin hanno poi proseguito le loro ricerche su altri tumori identificando oltre 140 proteine caratteristiche in tessuti provenienti tumori da mammella, prostata ed esofago. La quantità di queste proteine aumenta in modo anomalo quando le cellule da cui provengono diventano tumorali, e il loro riscontro, nei tessuti o nel sangue, permette così una diagnosi precoce del tumore in questione. NUOVE CURE - I due ricercatori americani (entrambi di origine italiana), non si sono però limitati a esplorare le possibilità diagnostiche della proteomica, ma hanno anche già dimostrato le sue potenzialità in chiave terapeutica. Per esempio, hanno focalizzato l’attenzione su un tumore infantile, il rabdomiosarcoma, in cui la risposta alla terapia è solo del 40 percento. Con sofisticati metodi di analisi Liotta e Petricoin hanno scoperto qual è il «circuito proteico» responsabile della mancata risposta alla cura e hanno anche individuato un farmaco potenzialmente capace di risolvere il problema, indirizzandosi esattamente sulle proteine in questione. La cura è stata testata su modelli animali dando ottimi risultati e ora sta per partire una sperimentazione clinica sull’uomo. METASTASI - Insieme a questa sta per prendere il via anche un’altra sperimentazione, molto più ambiziosa e che vede coinvolta direttamente l’Italia, rivolta allo studio e al trattamento delle metastasi. «I tumori che si formano nelle diverse parti dell’organismo, mammella, polmone, eccetera, sono diversi tra di loro e si devono curare in modo diverso»,spiega Lance Liotta. «Quando metastatizzano, però, spesso risulta inutile trattarli con gli stessi farmaci, perché le metastasi si comportano come tumori differenti da quelli che li hanno generati. Ciò accade perché i malfunzionamenti a livello proteico caratteristici delle metastasi possono essere diversi». «Da qui la nostra idea», riprende Petricoin, «di studiare pazienti con metastasi al fegato provenienti da qualsiasi tipo di tumore, per cercare di caratterizzare il profilo proteomico delle metastasi e per provare a curarli con farmaci di recente realizzazione indirizzati su precisi bersagli proteici». Ed è qui che entra in gioco la collaborazione con l’Italia. COLLABORAZIONE - E’ in corso, infatti, un progetto di collaborazione tra una rete dei principali ospedali oncologici italiani, coordinati dall’Istituto Superiore della Sanità, e il più avanzato gruppo di ricerca mondiale in questo campo. Scopo: lo studio della siero-proteomica per la diagnosi precoce dei tumori, e e della fosfo-proteomica per l’identificazione di nuovi bersagli terapeutici in particolari nei pazienti con metastasi. L’accordo, che è sostenuto da un’intesa tra i ministeri della salute americano e italiano, prevede una prima fase in cui gli ospedali italiani raccoglieranno campioni di tessuto e sangue di pazienti con tumore. Successivamente questo materiale biologico verrà inviato al centro di proteomica avanzata della George Mason University e ai laboratori del National Cancer Institute di Bethesda, dove un gruppo di ricercatori fra cui anche alcuni italiani ne analizzerà i proteomi. Contestualmente, anche nei centri italiani saranno avviati progetti paralleli di analisi proteomica sui campioni raccolti. I dati preliminari ed i dettagli dell’accordo saranno presentati il 17 Novembre a Roma in un meeting tra esperti italiani e americani. IL PROGETTO - Liotta, Petricoin e i ricercatori italiani, in base all’analisi dei tessuti e del sangue provenienti anche dall’Italia, cercheranno di stabilire se e in quali casi farmaci già esistenti si possano adattare al trattamento delle metastasi epatiche. E, naturalmente, cercheranno anche di individuare nuovi bersagli caratteristici delle mestatasi epatiche che possano essere bersaglio per nuovi farmaci. Gli ospedali italiani, coordinati dall’Istituto superiore di Sanità, che collaboreranno con la George Mason University per questo e altri progetti di proteomica sono Ospedale Maggiore, Ieo e Istituto dei tumori, di Milano, Istituto dei tumori di Genova, Centro di riferimento oncologico di Aviano, Istituto regina Elena di Roma, Irccs oncologico di Bari, Università di Brescia, Ospedale San Camillo di Roma e dipartimento di scienze oncologiche e chirurgiche dell’università di Padova. Luigi Ripamonti Che cos'è la proteomica e a che cosa servirà Il termine proteoma si riferisce a tutte le proteine presenti in una cellula, in un tessuto, o in un organismo. La proteomica è lo studio dei proteomi. Poiché le proteine sono coinvolte in quasi tutte le attività biologiche il proteoma è una fonte fondamentale di informazioni per comprendere la biologia cellulare e i suoi meccanismi Quali sono i suoi scopi Gli scienziati che si interessano di proteomica hanno diversi obiettivi: la determinazione della sequenza aminoacidica delle proteine (gli aminoacidi sono i “mattoni” che formano le proteine); la loro struttura tridimensionale, la loro funzione, il modo in cui interagiscono tra loro e con altre molecole. Alcuni ricercatori hanno focalizzato il loro interesse sulle proteine presenti in particolari parti della cellula come la membrana, il nucleo, il citoplasma (la regione della cellula fuori del nucleo), o la membrana nucleare; altri stanno analizzando le interazioni tra le diverse proteine in una determinata cellula o organismo; alcuni stanno studiando le differenze fra le proteine presenti nei malati rispetto a quelle sane. Geni e proteine (genoma e proteoma) Il numero totale di proteine nelle cellule umane è valutato fra le 250 - 500 mila e soltanto una piccola percentuale è stata identificata e classificata. Il proteoma completo non è ancora stato caratterizzato per alcun organismo, al contrario del genoma, l'intero insieme dei geni, che è stato caratterizzato per parecchi organismi, compreso l’uomo ( il genoma umano si ritiene contenga circa 35.000 geni). I geni sono gli “stampi” che contengono le informazioni per far fabbricare alla cellula le sue proteine. Ogni gene può far produrre da una fino a mille proteine. Tutto dipende da come le informazioni contenute sui geni (che non solo altro che una sequenza di alcuni gruppi chimici chiamati basi azotate), vengono lette, tradotte e trascritte da molecole che si chiamano Rna (acidi ribonucleici). Che cos’è la proteomica clinica? La proteomica clinica è la scienza che si prefigge di sviluppare tecnologie per la cura dei pazienti attraverso l’analisi e e lo studio dei proteomi delle diverse cellule, sane e malate. Questa nuova tecnologia di ricerca viene usata allo scopo di individuare proteine che possano essere utilizzate come marker precoci nel sangue, nell’urina, o nei tessuti malati di tumori, o che possano predire la risposta alla terapia o la probabilità della ricaduta dopo un trattamento. PROTEOMICA SERICA E TESSUTALE L'analisi del proteoma può essere seguita sia sul sangue sia sulle singole cellule. Ma per quest'ultima è necessaria molta precisione Come detto, la proteomica in chiave diagnostica può svolgersi attraverso l’analisi del sangue oppure di tessuti solidi. Nel primo caso si parla di proteomica serica, nel secondo di proteomica tessutale. PROTEOMICA SERICA - Nel caso della proteomica serica la tendenza ora non è tanto quella di andare a cercare nel sangue delle proteine che circolano liberamente, quanto quella di scovare e analizzare quali «pezzi» di proteine si attaccano alla principale proteina che circola nel sangue, cioè l’albumina. «Oggi la formazione del tumori è vista sempre di più legata all’alterazione del rapporto tra le cellule e l’ambiente circostante» spiega Claudio BelLuco. «Le cellule, infatti, scambiano continuamente messaggi con i tessuti che hanno intorno rilasciando proteine e ricevendone. E’ ovvio quindi pensare che le cellule che si ammalano, che diventano tumorali, rilascino proteine diverse, almeno in parte, da quelle normali». «Queste proteine possono finire nel sangue così come sono, ma, oppure vengono spezzate in frammenti più piccoli, detti peptidi, che circolano nel sangue attaccandosi all’albumina». In Italia, il gruppo guidato da Claudio Belluco dell’università di Padova, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, studiando la proteomica del siero è riuscito a mettere a punto un metodo ha individuato un profilo siero-proteomico per la diagnosi precoce del tumore al seno con una sensibilità del 95,4%. Il metodo deve essere ancora validato per l’applicazione clinica, ma per capire la sua importanza basti pensare che lo screening mammografico, che pure ha contribuito a ridurre significativamente la mortalità per tumore al seno, ha una sensibilità del 63- 87%. «Il significato di questi progressi si comprende meglio» sottolinea Belluco, «se si tiene conto che i risultati preliminari del nostro studio indicano che il profilo siero-proteomico è sensibile anche su donne con tumori di meno un centimetro di diametro e senza metastasi ai linfonodi e a distanza, cioè tumori che, se rimossi quando sono ancora a questi stadio, hanno una sopravvivenza a dieci anni del 98%». PROTEOMICA TISSUTALE - La proteomica tissutale invece analizza i proteomi di singole cellule prelevate dai tessuti malati (o sani). Il problema in questo caso, è disporre di strumenti in grado di analizzare con sicurezza singole cellule con certezza sane oppure malate, per non fare confusione. Ciò è possibile ancora in pochi laboratori, come quello della George Mason University, dove Liotta e Petricoin hanno messo a punto un dissettore laser, una «macchina» in grado di prendere il tessuto ottenuto da una biopsia, farne una sottilissima preparazione e poi prelevare e analizzare, una per una, le singole cellule scelte dal ricercatore. In particolare, nella proteomica tissutale, i ricercatori vanno a cercare quali proteine si legano al fosforo. Questo perché le proteine si “fosforilano” quando si attivano. Attraverso questo tipo di analisi è possibile ricostruire con precisione le catene di eventi chimici in cui sono coinvolte le diverse proteine e quindi studiare i “passaggi” malfunzionanti responsabili della malattia. UN MARKER TANTI MARKER Invece di cercare una proteina alla votla le si studiano tutte insieme La proteomica potrebbe produrre un notevole salto di qualità nella ricerca di indicatori nel sangue per diagnoi precoce dei tumori FAIRFAX (VIRGINIA) - Uno dei campi in cui la proteomica potrebbe segnare una svolta è quello dell’individuazione di nuovi marker per la diagnosi precoce dei tumori. Marker di questo tipo esistono già, ma sono per ora non soddisfacenti. Tra quelli esistenti si possono ricordare il Psa, associato al tumore alla prostata e dall’utilità ora molto discussa, oppure il Ca-125 per il tumore all’ovaio, e altri ancora. La proteomica si prefigge di capire meglio quali sono le proteine che caratterizzano le cellule tumorali rispetto a quelle sane in modo da poterle andare «a cercare» e scoprire così molto precocemente se c’è un’evoluzione tumorale in corso. Cercare le singole proteine coinvolte, però, da anni si è rivelata un’impresa difficile e frustrante. Liotta e Petricoin allora, nel 2002, hanno deciso di battere una strada rivoluzionaria: invece di cercare singole proteine hanno provato a confrontare il proteoma , cioè l’insieme delle proteine presenti nelle diverse cellule o nel sangue e di cercare di «leggere» le differenze facendosi aiutare da sofisticati sistemi di intelligenza artificiale. IL METODO - Il procedimento avviene più o meno in questo modo. I ricercatori prendono dai tessuti alcune cellule, oppure prelevano un campione di sangue, e analizzano l’insieme delle proteine presenti attraverso un apparecchio che si chiama spettrofotometro di massa. Questo strumento produce un grafico fatto di tante onde sottili, chiamate «picchi», ognuno dei quali corrisponde a una proteina. In questo modo è possibile avere per ogni cellula (o campione di sangue) un «profilo» fatto di tanti picchi diversi. Il passo successivo è confrontare i diversi “profili” per vedere se e quali differenze ci sono tra quello delle cellule tumorali e di quelle sane, oppure tra le proteine trovate nel siero di persone che hanno un certo tipo di tumore e altre che non ce l’hanno. Il problema è che effettuare tale confronto e trovare le somiglianze e le differenze tra i profili che possano davvero caratterizzare e distinguere malati da sani, è un compito molto complesso e la massa di dati da analizzare fuori della portata umana. INTELLIGENZA ARTIFICIALE - Per superare l’ostacolo Liotta e Petricoin hanno messo a punto un sistema computerizzato di algoritmi matematici che effettua questo confronto e indica quali sono le differenze sostanziali tra i diversi proteomi. Con questo metodo i due ricercatori sono stati in grado di distinguere con una sensibilità del 100% donne con tumore all’ovaio da donne sane in base a una semplice analisi del sangue. Questo procedimento benché piuttosto rapido all’atto pratico, non è ancora riproducibile su larga scala da qualsiasi laboratorio. Si sta quindi cercando, da un parte di renderlo più facile da riprodurre e dall’altra di cercare di capire, a partire da questi dati, quali sono le singole proteine, nell’ambito delle differenze trovate, che potrebbero rappresentare marker semplici da utilizzare per la diagnosi precoce. GENOMICA, PROTEOMICA, O TUTTE DUE? Lo studio dei geni non esclude quello delle proteine, ma si integra con esso. A favore di cure migliori nel futuro Negli ultimi anni si è assistito a un’impennata dei progressi, almeno in apparenza, legati alle scienze “genetiche”. Prima la sequenza del genoma umano, poi l’avvento dei Dna-chip, per la personalizzazione della terapia, poi la scoperta che il “trascrittoma” è più importante del genoma. Ora la proteomica. Ogni volta sembra che l’ultimo “grido” sopravanzi e mandi “in pensione” tutte le mirabilie annunciate la “puntata precedente” senza che, per ora, si percepiscano molto i risultati positivi sulla nostra pelle. Non è che ci stiamo fidando troppo dell’entusiasmo degli scienziati? «Una cosa non esclude certo l’altra» spiega Lance Liotta. «Anzi, ognuna di queste aree è direttamente correlata e dipende dalle altre. Bisogna solo distinguere. Quando parliamo di geni e di genoma ci occupiamo di qualcosa di statico, che contiene le informazione fondamentali per la costruzione delle proteine, che poi sono i mattoni, architettonici e funzionali del nostro organismo. Studiare il genoma è fondamentale e porterà ancora a enormi progressi, ma limitarsi a questo potendo studiare il proteoma sarebbe stupido. Il problema è che la ricerca proteomica è molto più complessa in termini metodologici perché le proteine sono sempre in movimento, una volta formate interagiscono con altre, si attivano, si disattivano, si spezzano in parti più piccole per svolgere funzioni diverse». «La faccenda è parecchio complicata» riprende Petricoin, «ma in compenso può dare risultati concreti più in fretta, perché le proteine sono i veri effettori, i protagonisti sul campo, dei comportamenti delle cellule e quindi possono essere utilizzate molto concretamente per affinare la diagnosi e la terapia, non solo dei tumori, ma di qualsiasi malattia». A proposito di tumori. Non si capisce quasi più niente. Solo un mese fa un ricercatore italiano che lavora a Boston è stato premiato per aver messo a punto un metodo per rendere più economica la produzione dei Dna-chip (particolari vetrini per lo studio del genoma). Una rivoluzione , si è scritto, che potrebbe cambiare radicalmente entro breve tempo il campo diagnostico. I dna-chip, infatti, si dice da qualche anno, sono lo strumento del futuro per personalizzare la terapia. Ora come la mettiamo: useremo metodi analoghi per analizzare il proteoma e butteremo via i Dna-chip? «Nient’affatto», interviene Claudio Belluco, «entrambi i metodi convergeranno in futuro. A un paziente con un tumore non si darà più una classificazione di gravità che corrisponde a determinate caratteristiche fisiche della biopsia, bensì, si otterrà un’analisi dell’espressione genica delle sue cellule tumorali con i dna-chip e del suo profilo proteomico, in modo da poter stabilire quali cure possono funzionare davvero nel suo caso e avere così migliori risultati e minori effetti collaterali inutili». _____________________________________________________ Corriere della Sera 7 nov. ’05 ERNIA DEL DISCO: TROPPE INCISIONI SU QUEI DISCHI Ogni anno in Italia si eseguono 30 mila interventi chirurgici per il trattamento dell'ernia del disco. Necessari solo nel 5% dei casi STRUMENTI Si usa troppo il bisturi per rimediare all'ernia del disco. Nella maggioranza dei casi la cura migliore sembra essere l'attesa, con un po' di farmaci per sopportare il mal di schiena. Un forte ridimensionamento della fiorente attività chirurgica per rimediare ai guai della schiena arriva da una nuova linea guida Pnlg (Programma Nazionale Linee Guida), realizzata da specialisti della Agenzia sanità pubblica Lazio e da neurochirurghi, ortopedici, radiologici e fisioterapisti di tutta Italia. Il documento ha preso in esame tutte le prove scientifiche a favore o contro i vari interventi di diagnosi e terapia della lombalgia e della sciatica da ernia del disco, stilando raccomandazioni molto precise che ora andranno diffuse a tutti gli ospedali italiani. ? Il grafico Il primo dato sconcertante è la variabilità nel numero di interventi fra una regione e l'altra: se la media nazionale è di circa sette interventi ogni diecimila persone, si va da appena 2,5 in Calabria a quasi 7 in Lombardia. «Queste differenze indicano chiaramente che questi tipi di operazioni dipendono molto dalla discrezionalità del medico e spesso non sono necessari» sintetizza l'epidemiologo dell'Asp del Lazio Enrico Matria, che ha coordinato la linea guida. «Ogni anno si eseguono circa trentamila interventi chirurgici in questo campo, decisamente troppi». Anche perché, come emerge dalla rassegna delle ricerche su cui si basa il documento, parrebbe che solo nel 5 per cento di coloro che hanno una discopatia ci sia veramente le necessità del bisturi. Nel restante 95 per cento, la chirurgia sarebbe inutile, sia perché non risolve stabilmente il dolore, sia perché l'ernia nel giro di non molto tempo tende a riassorbirsi. E più l'ernia è grossa, più è facile che si rimargini. Chiunque venga colpito da una lombalgia, magari accompagnata da sciatica, pensa subito a fare una Tac o una Risonanza Magnetica. Ma la faccenda non è così semplice. Meglio attendere sia per gli esami strumentali, sia per il bisturi. «Bisognerebbe aspettare dalle quattro alle sei settimane prima di eseguire una Tac o una Risonanza» spiega Gustavo Zanoli, chirurgo ortopedico dell'Università di Ferrara, altro autore della linea guida. «Anche perché molto spesso è in questo lasso di tempo che i dolori passano spontaneamente. Gli esami invece si impongono quando il medico ravvisa sintomi "allarmanti" come una perdita di sensibilità alle gambe, febbre, stanchezza cronica, dimagrimento non giustificato e ritenzione o incontinenza urinaria e fecale». Nel 95 per cento dei casi, comunque, il mal di schiena se ne va così come è venuto. E non ci si deve preoccupare del fatto che nella colonna vertebrale ci sia effettivamente un'ernia del disco: molti ce l'hanno senza avere mai dolori alla schiena. Perché, allora, così tanti interventi? Da un lato l'offerta, soprattutto da parte della Sanità privata, spiega perché l'approccio più aggressivo venga proposto soprattutto in Lombardia e in Lazio. Dall'altro, effettivamente, l'intervento di discectomia spesso fa sparire il dolore. Purtroppo, tuttavia, a distanza di tre-quattro anni in molti casi sciatica e lombalgia ritornano. Il che significa che il bisturi non è stato risolutivo. A questo limite vanno aggiunti i rischi operatori: lo 0,1 per cento di mortalità per anestesia, più un 4-5 per cento di complicazioni dovute a possibili infezioni, lesioni accidentali ai nervi e ai vasi, con conseguenti emorragie. «L'intervento va sicuramente considerato, e in fretta, quando la persona è affetta dalla cosiddetta "cauda equina", disturbo causato dalla compressione dei nervi che emergono dall'ultimo tratto di midollo spinale, e che si manifesta con mal di schiena, difficoltà motorie, perdita della sensibilità alle gambe e incontinenza» spiega Cantore. In questo caso si deve intervenire entro 24 ore e non oltre 48 ore dall'insorgenza dei sintomi, per evitare che la condizione diventi cronica. Anche un deficit motorio progressivo viene ritenuto meritevole di intervento, mentre gli esperti si dividono sull'opportunità di operare o meno chi lamenta una lombosciatalgia molto dolorosa e resistente anche anti dolorifici più forti, come gli oppiacei. «Dipende molto da quello che decide il paziente» continua Cantore. Certo è che, se il mal di schiena estremo si protrae per più di due mesi, non si placa con farmaci e fisioterapie, e gli esami confermano un'alterazione di un disco, operare diventa ragionevole. Luca Carra