ATENEI, FONDI SOLO AI CORSI AD ALTA QUALITÀ - Modica:PROFESSORI UNIVERSITARI, CARRIERE PER MERITO - DUE MILIONI DI EURO PUBBLICI E LA SCUOLA DI PERA È UNIVERSITÀ - PERA: ITALIA E USA FORMATORI DI TALENTI - BABY LAUREATI, POSSIBILITÀ DI LAVORO A RISCHIO - ATENEI A LEZIONE DAI MIGLIORI - L 'AVVENTURA DEI GENI DELL'UOMO - CREAZIONISMO EVOLUZIONISMO: UN PROGETTO DA CUI DIFENDERSI - BOCCONI, GIRO DI VITE ALL´AMERICANA - ORA DI RELIGIONE? DI FATTO UN OBBLIGO» MA IL MINISTERO NEGA - FINANZIAMENTI DELL'UNIVERSITÀ DI CAGLIARI - ERASMUS? L´HA UCCISO IL 3+2 - SEI MILIONI DI ANALFABETI» ITALIA IN FONDO AI PAESI OCSE - IN ITALIA SEI MILIONI DI ANALFABETI RISCHIO IGNORANZA PER IL 66% - STUDENTI MEDI, UNO SU 4 NON SA LEGGERE NÉ SCRIVERE - NOVE SARDI SU CENTO NON SANNO LEGGERE - CAGLIARI: DICIOTTO ISCRITTI ALL'UNIVERSITÀ PER OGNI DOCENTE STIPENDIATO - SCIENZE POLITICHE VOLA MA MANCANO I PROF - SARDI, FATE BALLARE LE VOSTRE CINQUANTA LINGUE - SCOPERTO IL PANE DEI NURAGICI - ======================================================= IL SAN GIOVANNI DELLE EMERGENZE - NUOVO LABORATORIO, MEDICINA LEGALE FA UN PASSO AVANTI - SANITÀ TAGLI AL POLICLINICO, DENUNCIA DELLA CISL - MONSERRATO: CINQUE MEDICI PALESTINESI - FINANZIARIA-STOP AI RICOVERI FUORI REGIONE - INDIVIDUATA L'AREA CEREBRALE CHE ELABORA LE IMMAGINI - IL VIAGRA CURA LE DONNE DALL’IPERTENSIONE POLMONARE - LA NUOVA TAC SI SDOPPIA - DALLA CHIRURGIA LASER ALLE STATMINALI: UN CONVEGNO SU11E CURE OCULISTICHE - TUMORI, SI RITORNA ALLA TERAPIA DI BELLA - CROMATOGRAFIA GASSOSA: BASTA UN RESPIRO, E IL TUO CUORE È SALVO - PROCESSO AI NUOVI ANTIRUGHE - L'EPATITE B E LE DONNE MANCANTI - VINO CONTRO L'ALZHEIMER - STATINE CONTRO LA NEUROFIBROMATOSI - MAL DI TESTA E VERTIGNI? FORSE SONO I DENTI - IPERTENSIONE: MINACCIA SILENZIOSA - IN SPERIMENTAZIONE IL VACCINO ANTIPERTENSIONE - ASCENSORI LENTI E CORRIDOI ECCO LE CASE PER DIMAGRIRE - GLAUCOMA, ARRIVA UNA PILLOLA CHE DIFENDE LA VISTA - CONTRORDINE DAI MEDICI: IL DECAFFEINATO FA MALE AL CUORE - TROPPI ERRORI IN OSPEDALE: ARRIVA IL MANAGER ANTIRISCHI - ======================================================= _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 nov. ’05 ATENEI, FONDI SOLO AI CORSI AD ALTA QUALITÀ. Università, fondi pubblici solo ai corsi con il "bollino" di qualità . Solamente i percorsi di laurea che risponderanno ai parametri di efficienza e trasparenza fissati dal Miur potranno ottenere l'accreditamento e accedere, così, ai finanziamenti pubblici. In caso di "bocciatura", gli atenei potranno comunque mantenere in vita il corso - senza il sostegno dello Stato - ma dovranno informare gli studenti della mancata certificazione. Sono i paletti fissati dal ministro Letizia Moratti, che ha affidato al Cnvsu - il Comitato di valutazione del sistema universitario - il compito di elaborare uno schema per l'accreditamento dei corsi. Si tratta di un'evoluzione dell'attuale sistema dei requisiti minimi, che potrebbe condurre fino all'obbligo della certificazione Iso 9000 per i corsi di laurea. Il Cnvsu ha già definito - in collabora zione con la Crui, la conferenza dei rettori - le linee generali del modello e sta lavorando alla definizione degli indicatori per la "misurazione" della qualità della didattica. Sarà compito degli atenei fornire le informazioni necessarie alla certificazione a un organismo di valutazione esterno e indipendente. Una volta verificato il rispetto dei requisiti, il Miur assegnerà il "bollino" di qualità, necessario per l'accesso ai finanziamenti statali. «La competenza del ministero ad accreditare i corsi di studio - spiega Giacomo Elias del Cnvsu - deriva dal fatto che la legge gli attribuisce la vigilanza sulla loro conformità ai requisiti richiesti per il riconoscimento dei titoli rilasciati». Per ottenere la certificazione, i corsi dovranno soddisfare requisiti di efficienza, efficacia e trasparenza. L'efficienza sarà misurata in base alla disponibilità di aule, biblioteche e laboratori, al numero dei docenti e all'esistenza di servizi di tutorato didattico. Per dimostrare l'efficacia dei percorsi, sarà necessario valutare se e quanto gli studenti - una volta conquistata la laurea - siano in possesso di competenze utili per l'inserimento nel mercato del lavoro. Un giudizio, quest'ultimo, che arriverà solo dopo la conclusione degli studi, in un periodo compreso fra i tre e i cinque anni dal conseguimento del titolo. Il requisito di trasparenza dovrà misurare la capacità di ogni ateneo di informare gli utenti sulle opportunità offerte dai propri corsi: obiettivi didattici, sbocchi professionali e il tipo di preparazione scolastica più adeguata a1 percorso scelto. Il Cnvsu suggerisce alle università di raccogliere tutte queste informazioni in un "manifesto degli studi", una sorta di "biglietto da visita" dell'offerta formativa. ALESSIA TRIPODI _________________________________________________________________ Europa 19 nov. ’05 Modica:PROFESSORI UNIVERSITARI, CARRIERE PER MERITO Perché un sistema che premi il merito funzioni a nessun ateneo deve poter convenire reclutare un professore di scarsa qualità La pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della legge Moratti avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo sulla spinosa questione dello stato giuridico dei docenti universitari Paradossalmente sembra invece che abbia data la stura ad un nuovo dibattito. Piovono dubbi e critiche sul testo su cui il governo pose frettolosamente la fiducia dopo averlo strappato all’esame della commissione cultura del senato. È un peccato che il ministro non abbia ritenuto di prendere in considerazione le preoccupazioni espresse da tutto il mondo universitario e le proposte avanzate dall’opposizione di centrosinistra, così com’è un peccato che non si siano potute leggere per tempo le sacrosante osservazioni di Dario Antiseri sul Sole24ore del 12 novembre a proposito del localismo risorgente e irrigidito del nuovo sistema concorsuale e del fallimento annunciato dell’ennesimo tentativo di dare spazio sicuro e garantito al merito. Del , resto la legge si limita semplicemente a reintrodurre il sistema che aveva funzionato identico da1 ‘80 al '98 generando anche allora feroci critiche di localismo e di nepotismo, accademico e non. Conviene però guardare al prossimo futuro anche se, come dice lo stesso Antiseri, un’occasione è stata perduta- Il futuro parrà inevitabilmente attraverso le prossime elezioni politiche e quindi è interessante analizzare quali proposte vengono avanzate sul tema della carriera dei docenti universitari dalle coalizioni per, il prossimo quinquennio. È certamente un tema tecnico, ma non lo è se si pensa al fatto che il futuro del Paese in una società della conoscenza dipende dalla qualità del suo sistema di formazione superiore e di ricerca e, a sua volta, questa dipende fortemente dal buon funzionamento delle regole di selezione dei professori universitari che sono insieme docenti e ricercatori. Per quanto riguarda l’Unione é al lavoro un tavolo di confronto e proposte su scuola, università e ricerca coordinato da Franca Bimbi. I Ds (ma non solo loro) hanno già avanzato le loro proposte, in particolare quelle su università e ricerca discusse con grande passione in un Forum che si è tenuto a Roma i19 novembre. In tali proposte si evidenzia con dimezza che non solo si ritiene necessario e urgente varare nuove regole veramente innovative, sostituendo al più presto la legge Moratti, ma anche quali queste possano essere in tema di reclutamento dei professori universitari. Nessuna regola può trascurare i due interessi legittimi che si confrontano in ogni procedura valutativa universitaria: quello della comunità disciplinare in cui il nuovo professore viene cooptato e quello dell’università (e della facoltà/dipartimento) per cui egli presterà la sua attività didattica e di ricerca. In linea di principio e in prospettiva i due interessi devono essere esercitati in modo separato. La persona che vuol percorrere la carriera universitaria dovrà dapprima conseguire un’abilitazione nazionale (europea?) sottoponendosi al giudizio di una commissione eletta dai professori del settore, scegliendo liberamente il momento in cui chiedere il giudizio e senza dover competere con altri. Quella che, nel gergo accademico, viene chiamata l'idoneità a lista aperte, aperte, Gli abilitati, e solo loro, potranno poi affrontare le selezioni, queste sì comparative, che i singoli atenei bandiranno per reclutare un nuovo professore, can regole di selezione lasciate alla loro autonomia. Perché questo sistema funzioni in termini di premio del merito, serve naturalmente che a nessun ateneo possa convenire reclutare un professore di scarsa qualità, quindi serve un sistema di valutazione nazionale ben funzionante. Ecco dunque la proposta di dotare l'Italia di un’autorità o di un’agenzia nazionale indipendente per la valutazione della qualità delle attività universitarie. È però piuttosto difficile, per non dire impossibile, che un sistema nazionale di valutazione entri a regime e funzioni bene in pochi mesi. Inoltre la valutazione è un farmaco a rilascio differito, non da pronto soccorso. Nonostante che talora si ecceda in critiche rispetto all’effettivo peso statistico degli eterni fenomeni degenerativi dei concorsi universitari, è innegabile che l’accademia italiana non possiede un codice deontologico sicuro e condiviso. È quindi fondato il rischio che un’abilitazione nazionale a numero aperto e un’immediata e completa autonomia delle università nel reclutamento possa generare nel breve periodo un’infornata di personale di dubbia qualità che peserebbe enormemente e a lungo su tutto il sistema Sembra quindi saggio prevedere un periodo di transizione in cui avere concorsi di reclutamento locali ma con commissioni nazionali Per evitare che le commissioni debbano essere elette caso per caso, come nella legge Berlinguer appena abrogata, favorendo una, serie infinita di pastette accademiche per "guidare" la composizione delle commissioni elette, si potrebbe invece far sì che le commissioni di ciascun concorso locale si ottengano semplicemente sorteggiando i commissari tra coloro che fanno parte del gruppo degli esperti nazionali eletti ogni due o tre anni dai professori del settore. Inoltre, per sostenere e premiare il talento come nei migliori sistemi stranieri, la commissione di concorso non sarebbe incaricata di effettuare in proprio la valutazione comparativa dei candidati quanto piuttosto, uscendo dalle strettoie di procedure amministrative incompatibili con il mondo universitario internazionale, di fornire e garantire alt ateneo interessatole valutazioni comparative effettuate sui candidati, in modo anonimo, dai migliori esperti del settore e dei singoli temi disponibili in Italia e all’estero, anche se la scelta finale del vincitore rimarrebbe comunque nella responsabilità dell’università che recluta - Ogni programma politico è una rete di idee che si sostengono a vicenda e che quindi soffre ad essere esposta solo parzialmente. Sullo stato giuridico dei docenti universitari ci sono altri punti irrinunciabili fare spazio ai giovani, veri grandi assenti nell’università e nella ricerca italiane; mettere a punto un sistema di promozione per merito dei professori separato dal reclutamento; rendere gradualmente obbligatorio il possesso del dottorato di ricerca per accedere alla camera universitaria; trasformare il ruolo dei ricercatori in terza fascia docente per non ingombrare il nuovo stato giuridico con i problemi incancreniti del vecchio. Manon bisogna nemmeno correre il rischio di rinunciare a scommettersi decisamente su alcune proposte innovative in attesa di avere un quadro organico pronto nei minimi dettagli. _________________________________________________________________ L’Unità 20 nov. ’05 DUE MILIONI DI EURO PUBBLICI E LA SCUOLA DI PERA È UNIVERSITÀ FINANZIATA DAL MINISTERO di Valeria Giglioli Lucca UNA FIRMA e via. Mentre l'Università affonda, strangolata dai tagli della Finanziaria, la Moratti sottoscrive l'istituzionalizzazione della Scuola di Alti Studi Imt di Lucca, nata nel 2004 dall'ingegno di Marcello Pera. Da scuola di dottorato a research university, autonoma e finanziata dallo Stato. Il decreto è stato firmato venerdì. Grazie al pronto intervento della ministra, il presidente del Senato mette una pezza alla situazione nel suo collegio elettorale, dopo un mese e mezzo di polemiche sul suo presunto intervento nella compravendita di azioni di una partecipata del Comune. Una settimana fa era arrivato l'inserimento di lint nel provvidenziale emendamento alla legge di bilancio, che ha dotato la creatura di Pera di finanziamenti stabili per circa 2 milioni di euro all'anno, in totale controtendenza rispetto alle drastiche riduzioni imposte agli atenei e alla ricerca italiana. A dirigere il Consorzio interuniversitario che ha dato vita a Imt c'è Gaetano Quagliarello, consigliere per gli affari culturali della seconda carica dello Stato e l'istituto annovera tra i docenti un plotone di aderenti alla Fondazione Magna Carta, di cui Pera è presidente d'onore. Ma venerdì la Scuola ha incassato una «consacrazione» assai discussa. Che arriva ancora prima che i fondatori abbiano sottoscritto uno statuto: ad oggi esiste solo una bozza, su cui enti locali, fondazioni bancarie e atenei stanno discutendo. E che non tiene conto del parere del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (organo del Ministero), che nella relazione del settembre 2005 definiva «prematuro» l'accreditamento. Oltre a sottolineare alcune anomalie: dalla mancanza di «una comunità scientifica consolidata» e di «un adeguato organico di docenza» per «un' iniziativa di formazione universitaria del livello più qualificato», alle perplessità sulle modalità di rilascio del titolo. L'ipotesi di istituzionalizzazione aveva già suscitato le reazioni della Scuola Sant'Anna di Pisa, uno dei quattro atenei fondatori, che potrebbe decidere di uscire da Imt assestando un duro colpo alla credibilità scientifica dell'istituto lucchese. L'ateneo pisano aveva espresso «serie perplessità», dopo aver segnalato in una delibera del cda «l'impossibilità di discutere al fine di riconfermare la collaborazione». _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 nov. ’05 PERA: ITALIA E USA FORMATORI DI TALENTI SETTIMANA INTERNAZIGNALE DELL'ISTRUZIONE 16mila: E Gli studenti italiani che hanno studiato all'estero con Erasmus (2003- 04) 1.000: E II numero degli italiani iscritti a corsi di specializzazione in America 7mila: Gli scienziati e i ricercatori italiani chE operano a vari livelli negli Stati Uniti 17mila: I giovani americani che ogni anno vengono a studiare in Italia 110: Le istituzioni accademiche nordamericane (Aacupi) in Italia 565mi1a: Gli studenti internazionali iscritti alle università Usa nel 2004-05 DI MARCELLO PERA* E RONALD P. SPOGLI** r a chiusa la Settimana internazionale dell'istruzione ( Intemational Education Wcek). Dal suo inizio nel ?000. la Settimana internazionale dell'istruzione è cresciuta per importanza e per intenti ed è celebrata in più di 100 Paesi in tutto il monda. Volta a promuovere la politica dell'istruzione internazionale, questa importante iniziativa intende stimolare tra i nastri giovani una maggiore comprensione del mondo. delle sue lingue e culture. Fattori questi che devono essere tenuti in gran considerazione se si vuole continuare a competere con successo nell'economia globale, sostenere un ruolo di leadership mondiale e al contempo accrescere la sicurezza nazionale, Nelle nostre diverse responsabilità e competenze, siamo entrambi forti sostenitori degli scambi culturali poiché ne abbiamo personalmente beneficiata e ne abbiamo compreso a fondo il valore. Entrambi abbiamo avuto importanti esperienze formative, di studio, di ricerca e di insegnamento in Paesi diversi dal nostro: l'uno venendo dagli Stati Uniti in Italia. l'altro facendo il percorso nell'altra direzione. Non z stato soltanto un importante arricchimento personale ma anche un contributo al miglior rapporto tra i nastri due Paesi. Gli studenti italiani sono sempre più attratti da una esperienza di formazione all'estero è testimonianza il programma europeo Erasmus che, partita alla fine degli anni 80 con qualche centinaio di partecipanti, nel solo anno accademico 200i-2004 ha consentito a oltre I6mila studenti italiani di fare corsi di studio in altri Paesi europei. Negli Usa sono oltre mille gli studenti italiani iscritti a corsi di specializzazione (master o PhD), mentre la Ue valuta intorno ai 7mila gli scienziati e i ricercatori italiani che a vari livelli operano negli Usa. Solo presso i Nih (National Institutes of Health) d Bethesda, ogni anno vi sono 130- 150 post-docs italiani. Gli studenti americani s recano a studiare all'estero in numero sempre maggiore di. mostrando casi una crescente consapevolezza dell'importanza di acquisire, nel proprio bagaglio culturale, anche un'esperienza internazionale. Il rapporto Open Door: 2005 (disponibile sul sito web dell'ambasciata americana, italy r.usembassy.aov) rileva che nel 2003-04 il numero di studenti americani iscritti presso istituti universitari all'estero è cresciuto del 9,6%, sulla base di un aumento dell'8,5% dell'anno precedente_ Il 61% di tutti gli studenti americani all'estero studia in Europa, di cui il 46% ha scelto di studiare in quattro Paesi dell'Europa occidentale, che sono Regno Unito, Italia. Spagna e Francia. Ogni anno più di 77mila allievi, fra studenti universitari (under graduates), laureati (graduaies) e borsisti post-la urea, arrivano in Italia dagli Stati Uniti per proseguire gli studi presso le circa 110 istituzioni accademiche nordamericane appartenenti all'Aacupi (American Association of College and Universiiy Programs in Italy ). Fondata nel 1978. l’Aacupi è una libera associazione legalmente riconosciuta sia in Italia che negli Stati Uniti il cui scopo principale è quello di offrire consulenza in materia legislativa, ammministrativa e accademica ai propri memori. In aenerale, il numera d studenti stranieri che arrivano: negli Stati Uniti è cresciuto: costantemente dal 1954-55 L'anno ?003-04 ha segnato per la prima volta in più di 3( anni, un dato negativo nel numero di studenti internazionali con un -2,4 per cento. Una serie di fattori ha portato a questo calo, come le nuove disposizioni di sicurezza per i1 rilascio dei visti dopo i tragici aventi dell' 1 i settembre 2001 che hanno generato all'estero la percezione che gli Stati Uniti volessero chiudere le proprie porte agli studenti internazionali; l'aumento dei costi dell'istruzione universitaria negli Stati Uniti; le accresciute capacità dei Paesi di origine di offrire un'istruzione superiore di qualità, e la competizione di altri Paesi. Secondo il rapporto Open Doors 2005, nel 2004-OS il numero degli studenti internazionali iscritti presso istituti universitari negli Stati Uniti è rimasto sostanzialmente stabile con 565.039 unità, circa l’1%n in meno rispetto all'anno precedente. Un dato certamente positivo è che sempre più università italiane stipulano accordi bilaterali di cooperazione con università americane. Nel 2001, ad esempio. è stato firmato il protocollo di scambio culturale e accademico tra ]'Università di Roma Tre e l'Università dell'Arkansas. Per la prima volta l'accordo di collaborazione tra le due università prevede, oltre alle scambio di studenti, professori e ricercatori, anche lo scambio di corsi e crediti e la possibilità di rilasciare congiuntamente titoli accademici. Questo accordo ha costituito un modello per altre convenzioni tra università italiane e americane. Per citare un esempio recente, nel maggio 2005, l'Università di Palermo ha stipulato con l'Università di Pittsburgh il primo accordo accademico di cooperazione per incentivare la ricerca in tutte le discipline di studia offerte dalle due università e incrementare la formazione del personale che vi lavora. Da segnalare per la sua importanza il programma di scambio di studenti con il Mit, sponsorizzato dalle Fondazioni Rocca e Tronchetti Provera che permette a molti dottorandi italiani di fare ricerca fino a un anno e mezzo al Mit. Sempre in vista di rafforzare lo scambio culturale tra i due mondi accademici, quello italiano e quello americano, sarebbe utile incentivare borse post- dottorali, aperte a tutti, da poter usufruire per metà tempo in centri di eccellenza italiani e per l'altra metà in istituti equivalenti in America. Mai conte oggi è importante che i governi di tutti i Paesi favoriscano la formazione interculturale dei giovani e preparino i propri cittadini alle nuove dimensioni della globalizzazione e al confronto fra le varie tradizioni, culture e civiltà. Attraverso la Settimana internazionale dell'istruzione, gli Stati Uniti e l'Italia vogliono aprire un dialogo, creare un legame con coloro che, nei rispettivi Paesi, guideranno lo sviluppo politico, culturale ed economico nel prossimo futuro. È questa la sfida con cui dobbiamo confrontarci oggi. * Presidente del Senato ** Ambasciatore degli Stati uniti in Italia. _________________________________________________________________ Il Messaggero 16 nov. ’05 BABY LAUREATI, POSSIBILITÀ DI LAVORO A RISCHIO Dottori triennali/ Polese, del consiglio degli ingegneri: «Dal Dpr del 2001 solo indicazioni generiche. Gli ordini professionali: «Per le nuove abilitazioni norme vaghe e confuse» di ANNA MARIA SERSALE ROMA - 1 baby laureati non hanno vita facile. Le ragioni sono tre. Anzi, quattro. Le norme che li riguardano non sono chiare; l'utilizzo di titoli e competenze rimpalla tra il ministero dell'Università e gli Ordini professionali; il mercato del lavoro non si mostra preparato ad accoglierli; i giovani, vista la situazione di incertezza, hanno paura c non si fermano al titolo di junior. «Quando un ente deve conferire un incarico non sa a chi darlo-sostengono gli Ordini professionali - Se non si corre ai ripari si rischia il Ilop delle lauree brevi. E per l'Italia, che ha solo il 7,5 della popolazione laureata, sarebbe un vero boomerang». Dunque, il nodo fondamentale è quello delle competenze. «Non sono affatto chiare - sostiene Sergio Polese, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri - Il Dpr 328 del 2001 non le ha disciplinate, ha dato solo indicazioni generiche. Per i laureati di primo livello, infatti, si limita ad enunciare che possono fare progetti semplici, con metodi standardizzati. Che cosa significa? Se per chi completa il quinquennio è tutto chiaro, non si può dire altrettanto per gli altri. Non basta dividere l'Albo in due sezioni. Occorre una puntuale definizione. Il mercato, intanto, non accoglie come dovrebbe i "triennalisti". Non li valorizza perché la situazione è troppo confusa. Risultato: il 70'% dei ragazzi prosegue, optando per il biennio specialistico». Le facoltà di Ingegneria, le uniche in grado di fare dei raffronti perché rispetto alle altre anticiparono la riforma, hanno un primo dato su cui riflettere. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha fatto una rilevazione e si è scoperta che «diminuiscono i candidati all'esame di Stato con titolo triennale». Alla sezione dell'Albo si è passati dai, 2.004 iscritti del 2002 ai 1.661 del 2004. E complessivamente gli ingegneri junior sono 2.202, poco più dcll' l% dei colleghi senior. Questi numeri spingono il Consiglio a considerare un «fallimento la laurea triennale come canale di accesso alla professione». E nelle altre facoltà? E' presto per dare giudizi. La prima sfornata di dottori junior è del giugno dell'anno scorso, quando 175.000 universitari arrivarono al conseguimento del titolo di primo livello. Comunque, dai primi dati ufficiosi che escono dalle facoltà scientifiche, risulta che molti "triennalisti" decidono di proseguire gli studi puntando alla laurea magistrale_ «Le difficoltà occupazionali - dicono gli universitari - sono tante. Non vogliamo rischiare». Eppure il bisogno di figure nuove, dì livello intermedio tra il dìplomato e il laureato, esiste davvero. Figure che gli atenei hanno formato, con buoni livelli di successo, tanto che a giudizio quasi unanime dei docenti universitari la riforma delle lauree ha funzionato. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 nov. ’05 ATENEI A LEZIONE DAI MIGLIORI L' indagine condotta dal Comitato per la valutazione indica luoghi d'eccellenza e metodi per realizzarla L'autonomia consente di introdurre competitività, ma DI GIOVANNI AZZONE* dibattiti sulla qualità del sistema universitario italiano scontano un vizio di fondo. Le posizioni espresse spesso non partono da dati di fatto, ma utilizzano dati obsoleti, che non sono quindi in grado di cogliere le dinamiche in corso, o, infine, tendono a trattare il sistema universitario sulla base di valori medi. Quest'ultimo punto è in particolare molto critico. Infatti, si rischia di proporre soluzioni che sono "mediamente" corrette ma in realtà inadeguate per tutti. I dati ricavabili dall'ultimo rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu) permettono di chiarire meglio questo punto, analizzando i risultati dei singoli atenei statali rispetto a tre critiche che spesso vengono rivolte alle università italiane: Q le università non sono in grado di interagire con il sistema delle imprese e di acquisire contratti in ambito internazionale; © le università utilizzano le risorse pubbliche prevalentemente per acquisire e promuovere personale; Q le università non dedicano sufficiente attenzione agli studenti, che impiegano quindi tempi superiori alla media europea per conseguire un titolo di studio. L'acquisizione di risorse. Un indicatore, pur grossolano, del rapporto tra le università e il sistema economico e istituzionale è la percentuale di entrate che provengono da convenzioni e contratti con imprese e istituzioni, nazionali e internazionali. La media delle università statali è il 12%; tuttavia, i valori relativi ai singoli atenei oscillano dal 3 al 24%, con un rapporto di 8 a 1 tra i migliori e i peggiori. Si noti anche che, contrariamente a quanto sostiene in modo pretestuoso qualche commentatore, tra gli atenei maggiormente in grado di acquisire risorse vi sono sia università centro settentrionali che atenei del Mezzogiorno, come Bari o l’Università della Calabria. L'uso delle risorse. Complessivamente, il 60% delle spese del sistema universitario italiano è relativo agli oneri di personale. Anche in questo caso, tuttavia, le oscillazioni sono molto elevate; si va dal 43 al 78%, con un rapporto quasi 2 a 1 tra migliori e peggiori. Anche qui, i risultati non dipendono solo da aspetti strutturali dei singoli atenei, ma anche da scelte gestionali, se si pensa che i due atenei dove i costi del personale hanno un'incidenza inferiore sono l'Università di Catanzaro e il Politecnico di Milano: l'una piccola, nuova, generalista e localizzata nel Sud, l'altra medio-grande, "antica", specialistica e localizzata in Lombardia. La regolarità degli studenti. L'indicatore dove forse le differenze tra i diversi atenei appaiono più clamorose è quello della regolarità degli studi, misurata dal numero di crediti mediamente acquisiti da uno studente in un anno. L'analisi del Cnvsu ha sottolineato che essa appare anche correlata all'occupabilità degli studenti, rassicurando così sul rischio che alcune università avessero "aumentato" la regolarità degli studi semplicemente rendendo più facili gli esami. Ebbene, mediamente gli studenti hanno acquisito il 50% dei crediti che avrebbero dovuto acquisire; tuttavia, la percentuale oscilla da meno di un terzo a quasi l'80%, con un rapporto di 2,5 a 1 tra i migliori e i peggiori. Come si vede, quindi, parlare di un"'università media", trattare allo stesso modo gli atenei che sono molto sopra la media i tutti e tre questi indicatori e quelli che vanno sempre peggio, non ha molto senso. Tre implicazioni mi sembrano in particolare importanti. La prima è che se queste differenze si ottengono tra atenei che operano nello stesso sistema di regole, significa che è possibile migliorare "senza" modificare necessariamente le norme alla base del sistema. Se tutte le università riuscissero ad avvicinarsi alle prestazioni migliori, l'impatto sui risultati complessivi sarebbe enorme. La seconda è che occorre modificare il peso che si attribuisce oggi alle diverse problematiche del sistema universitario. Occorre, in particolare, dedicare più attenzione alle "buone pratiche", comprenderne i modelli di governance e di funzionamento, verificare se e come questi siano adattabili alle altre realtà del sistema, prima di proporre riforme più o meno probabili, a volte senza neppure anticipare gli effetti negativi che esse sono destinati a generare. e La terza, infine, è che bisogna prendere atto che una conseguenza naturale dell'autonomia è il passaggio a un sistema a "diverse" velocità. Chi vuole, può usare l'autonomia in modo positivo, per migliorare le proprie performance; chi invece fa un uso autorefernziale dell'autonomia continuerà a peggiorare. È essenziale che le riforme mettano tutti gli atenei in condizione di scegliere il proprio destino; è altrettanto essenziale, però, più per il Paese che per le singole università, che chi sta operando bene non sia "frenato" da riforme mal progettate o da vincoli ridondanti, sia che nascano dalle forze politiche che dalle resistenze del sistema universitario. * Vicepresidente Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’05 L 'AVVENTURA DEI GENI DELL'UOMO CAVALLI-SFORZA Perché la scienza è un'affermazione. Vietato leggerla come una domanda. 501o chi fosse ormai del tutto assuefatto al clima di sospetto e di svilimento che in Italia circonda i saperi scientifici, fomentato anche dalla recente riforma dei programmi scolastici, sentirebbe esigenza di pronunciare questo titolo come se terminasse con un punto interrogativo. Il ricerca)re di cui qui si raccontano le avventure non ma le questioni inutili o futili, o metafisiche e grandiose, oggi tanto di moda: quelle che insinuano dubbi sull'intera impresa scientifica, senza considerare che la scienza è in grado di produrre conoscenza in maniera tanto efficace proprio perché è l'unica attività umana che, sul dubbio e u]lo sviluppo delle capacità critiche. ha eretto i suoi metodi. E che in ciò consiste il suo valore. Luca Cavalli-Sforza, uno dei più eminenti genetisti di popolazioni al mondo, ha scritto questo libro insieme al figlio Francesco non certo per giustificare la scienza di fronte ad altre forme di sapere. Del resto, la sua stessa ricerca sì avvale di contributi di discipline diverse: oltre alla genetica, la statistica, la demografia, la linguistica, l'archeologia e la paleoantropologia, non esiti ad affiancare all'evoluzione biologica e idea di un'evoluzione "culturale", In ogni pagina vi si legge piuttosto l’intenzione a motivare alla scienza, in un discorso rivolto soprattutto ai giovani, attraverso le vicende concrete di una vita straordinariamente ricca di scoperte e di avventure, da 'orino all'Inghilterra, con le ricerche rivoluzionarie sulla sessualità dei batteri, e poi a Stanford, ove è tuttora professore emerito. passando per i soggiorni in Africa e in tutto il mondo a caccia ci geni dell'uomo. La più entusiasmante delle avventure è appunto quella che ha portato Luca Cavalli-Sforza a scrivere, a partire dai geni, l'intera storia dell'umanità moderna, Una storia di 10Omila anni, che affonda le sue radici nei 4 miliardi di anni di vita sulla terra, e che ci ha permesso di capire meglio Chi siamo (per dirla con un altro libro senza punto di domanda). E anche. per fare solo un esempio del valore civile che può avere i scienza, di mostrarci la completa infondatezza -i pregiudizi razziali. Come in ogni libro di avventure che si rispetti le disavventure non mancano. Manco a dirlo. esse riguardano le enormi difficoltà che incontra in Italia chi ha una vera vocazione per la vera ricerca. Luca e Francesco Cavalli-Sforza, «perché la scienza. L'avventura di un ricercatore, Mondadori, Milano Z005, pagg. 394,9 18,50. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’05 CREAZIONISMO EVOLUZIONISMO: UN PROGETTO DA CUI DIFENDERSI A Milano convegno dl Carlo Erba. A New York, grande mostra su Darwin DI ANTONIO LAZCANO L’origine della vita sul pianeta non potrà mai essere conosciuta in ogni minimo dettaglio, perciò non sorprende che sia diventata il bersaglio dei fautori di un "progetto intelligente". I dati geologici e chimici sono scarsi e difficili da interpretare, un fatto che i creazionisti usano come pretesto per attaccare le ricerche sull'evoluzione prebiotica del vivente. A loro giudizio, più che da una selezione naturale priva di direzione, tale evoluzione sarebbe da attribuire a una causa intelligente. Esiste, è vero, un'enorme lacuna nelle descrizioni attuali della transizione evolutiva che ha portato dalla sintesi prebiotica dì composti biochimici all'antenato comune di tutti ali esseri viventi. Nel 1981, mentre cercavano tutt'altro, le équipe di Thomas Cech e di Sidney Altman hanno trovato i ribozimi: sono tnolecole di Rna catalitico che potremmo descrivere come acidi nucleici dotati al contempo delle caratteristiche del Dita e degli enzimi. L'origine della sintesi delle proteine, invece, è ancora poco chiara. La conservazione di sequenze polipeptidiche molto diffuse e collegate al metabolismo dell'Rna ha portato il mio gruppo di ricerca e altri a ipotizzare un mondo dì Rnalproteine risultante dall'interazione tra ribozimi e acidi nucleici, il quale avrebbe preceduto il mondo a noi familiare di Dna/Rna/proteine. Esistono, è vero, importanti questioni tuttora senza riposta riguardo alle prime tappe dell'evoluzione. Per la comunità scientifica rappresentano una sfida intellettuale, non la necessità di ricorrere a spiegazioni metafisiche. Noi scienziati di altri Paesi potremmo cercare le risposte in tutta serenità, rassicurati dal pensiero che il movimento creazionista è rimasto finora entro i confini degli Stati Uniti. Io, per esempio, trovo incoraggiante che la maggioranza degli studenti messicani non invochi argomenti religiosi per supplire alla carenza di dati convincenti sugli inizi della vita, né sostituisca la teoria dell'evoluzione con una "progettazione intelligente". In generale, anche ali insegnanti messicani considerano quest'ultima come il malcelato tentativo di introdurre nelle scuole preconcetti religiosi. In alcuni scritti. Darwin espresse l'intenzione di visitare il Messico. Non gli riuscì, ma i messicani hanno ricambiato la cortesia adottandone le idee. A Pachuca, per esempio, piccola città nello stato di Hidalgo, una scuola elementare sì chiama «Evoluciòn» e ogni 12 febbraio i bambini festeggiano l'anniversario di Darwin dipingendo murales ispirati alla sua vita e alla sua teoria. È confortante. eppure sarebbe poco saggio limitarci a osservare con ironia o con incredulità i colleghi americani presi di mira dal creazionismo e da simili ideologie: esse rappresentano una minaccia da non sottovalutare Per l'educazione scientifica m Messico, in altri Paesi latinoamericani e anche in Italia. La popolazione "ispanica" è il 14% di quella statunitense , una percentuale che non si riflette nella demografia dei ricercatori americani. Le scuole locali hanno avviato alla carriera scientifica ben pochi "latinos", molti dei quali vivono nella "Bible Beli" dove le Chiese evangeliste si sforzano di reclutarli. Nel frattempo, missionari mormoni e pentacostali vanno all'estero in cerca di adesioni e ne trovano tra i migranti che attraversano legalmente o meno il Rio Grande. attratti dal sogno americano. L'attivismo di queste Chiese, presenti anche in Europa e per le quali la Bibbia contiene verità letterali da insegnare persino nelle scuole statali, laiche, segnala il rischio di un'estensione del conflitto tra creazionisti ed evoluzionisti. Il creazionismo mette in pericolo l'educazione scientifica e sarebbe opportuno reagire dandoci strategie comuni per promuovere un insegnamento aggiornato ed efficace della biologia (.anche se altre discipline potrebbero comparire nel mirino creazionista, forse la prossima sarà l'astrofisica che si occupa delle origini dell'universo). «Niente in biologia ha senso a1 di fuori dell'evoluzione». diceva Theodosius Dobzhanslcv. un'evoluzione evidente nelle forme di vita presenti oggi sul pianeta. Su questo siamo d'accordo sebbene. com'è nostra abitudine, litighiamo e litigheremo ancora a lungo sull'importanza rispettiva, nel processo di selezione naturale, di geni e ambiente, di nicchie e catastrofi o di altri meccanismi. 5e. malgrado i dissensi che sono il sale e il motore del nostro lavoro, adottassimo strategie condivise, ne trarremmo numerosi vantaggi. Tra l'altro quello di praticare il rispetto della libertà religiosa di ciascuno, dando a Cesare quel che è di Cesare. a Dio quel che è di Dio e a Dawìn quel che è di Darwin. Al Museo americano di storia naturale, a New York, si è aperta poche ore fa la più grande mostra mai allestita su Darwin (il corrispondente museo di Londra già promette una mostra «Darwin II - La vendetta»). Sul mensile «PIoS-Biology» uscito il 15 novembre, il suo curatore Niles Eldredge passa in rassegna, con l'affetto spazientito che si riserva alle vecchie conoscenze, i manoscritti di Darwin pubblicati dopo la sua morte e che ora vengono messi a disposizione di tutti nella Biblioteca digitale dell'evoluzione, sul sito web del Museo. A proposito del «Quaderno Rosso», in realtà una serie di quaderni, Eldredge scrive che «temi, idee, e addirittura brani dell'Origine delle specie sono frammisti in maniera quasi caotica a osservazioni geologiche e biologiche, note di lettura, c'è da impazzire>. L'ultimo numero «Nature» dedica le pagine della cultura a saggi evoluzionisti e a Darwin nella letteratura e al cinema. Pare proprio che la campagna americana a favore del Progetta intelligente sia servita innanzitutto a mobilitare gli scienziati. Tra loro c'è Antonio Lazzano Araujo, il celebre astrofisico e professore di biochimica all'università nazionale autonoma del Messico. È anche presidente dell'Associazione internazionale per lo studio delle origini della Ata e, come tale, bersaglio prediletto dei creazionisti. li 25 novembre parteciperà a «Scienza e società: nuove interazioni etiche», la conferenza biennale organizzata dalla fondazione Carlo Erba, all'università di Milano. (S. Co.) ________________________________________________________________ La Repubblica 19 nov. ’05 BOCCONI, GIRO DI VITE ALL´AMERICANA "Più rigore per avere solo i migliori" L´università milanese rende più difficili le selezioni per non perdere la sfida con l´Europa. Corsi ridotti da 9 a 6 Bocconi, giro di vite all´americana "Più rigore per avere solo i migliori" 7,6% 10.006 1.000 8.683 euro La Business school cambia: così rischia il 10% degli studenti Il rettore: ci deve essere più partecipazione e sradicare la cattiva abitudine di studiare solo per superare l´esame Il nuovo regolamento entrerà in vigore per le prossime matricole, il primo test specialistico ci sarà nel 2009 TERESA MONESTIROLI MILANO - La Bocconi diventa ancora più severa. Maggiore selezione e internazionalizzazione: l´università dei manager scommette sul modello americano. Al suo secondo anno a capo della business school più famosa d´Italia - dove il 55 per cento degli studenti non risiede in Lombardia - il rettore Angelo Provasoli stravolge l´offerta formativa e spinge l´ateneo verso una maggior scrematura degli studenti per «attrarre sempre più giovani motivati e di qualità». E cambia il metodo pedagogico: «Bisogna rendere più attiva la partecipazione degli studenti - spiega - affiancando alla lezione frontale anche lavori di gruppo e simulazioni di casi, per sradicare la cattiva abitudine di studiare solo per superare l´esame». Alla prima delle due giornate di orientamento - la seconda è oggi dalle 9.30 alle 14 al Velodromo in piazza Sraffa - , il Magnifico racconta la Bocconi del futuro. Un ateneo che punta tutto sulla selezione degli studenti (in ingresso e in itinere) e sulla loro formazione internazionale (due lingue obbligatorie). Con una diminuzione dei posti per le matricole (l´anno prossimo saranno 2.510, 400 meno rispetto a quest´anno) che «spesso hanno una preparazione molto scarsa, non solo in inglese», e una valutazione degli studenti anche alla fine del primo anno di corso. A maggio, infatti, per continuare a studiare nelle aule di via Sarfatti, i giovani dovranno aver conseguito almeno il 40 per cento dei crediti previsti nel primo anno. Altrimenti dovranno ripetere l´anno «o andare altrove - specifica il rettore - . Abbiamo fatto un calcolo approssimativo: se dovessimo inserire questa regola oggi, solo il 10 per cento delle nostre matricole sarebbero costrette a fermarsi. Immagino che una volta avvisati, gli studenti saranno più motivati a raggiungere gli obbiettivi fissati e i ripetenti saranno meno». Ma la selezione non sarà solo all´ingresso. Terminato il triennio chi vorrà proseguire con le lauree specialistiche dovrà superare un altro test: un esame a cui tutti i bocconiani dovranno sottoporsi, insieme ai concorrenti che provengono dalle altre università, per accaparrarsi un posto. Il regolamento entrerà in vigore per le prossime matricole, il primo test specialistico sarà nel 2009. Novità anche sul fronte della didattica. In controtendenza con tutte le università italiane, che con l´introduzione del 3 più 2 hanno moltiplicato il corsi triennali, la Bocconi riduce l´offerta formativa passando da 9 corsi di primo livello a 6. «L´intento è quello di offrire ai giovani una buona base di metodologia e di principi di economia per prepararli meglio al mondo delle professioni. Per questo i tre corsi di laurea in economia (aziendale, finanza e scienze sociali) avranno i primi tre semestri in comune in modo da garantire una forte formazione di base. Terminato questo periodo, gli studenti avranno 14 percorsi, chiamati "majors", per proseguire. In questo modo gli daremo più responsabilità». Infine il rettore torna sul tema dell´internazionalizzazione, fiore all´occhiello della facoltà di economia, perché «il contesto culturale nel quale bisogna svilupparsi non è più l´Italia, ma l´Europa». E ricorda un piccolo, ma gratificante risultato: «Per la prima volta quest´anno abbiamo due studenti di Harvard che trascorrono sei mesi da noi». A partire dall´anno venturo, tutti i bocconiani dovranno conseguire almeno due esami in lingua inglese - per chi vuole c´è anche un intero corso in inglese che riserva il 35% dei posti agli italiani - mentre non saranno obbligati, ma caldamente invitati a passare un semestre di studio in una delle 140 università nel mondo partner della Bocconi. Un network su cui l´università ha investito molto negli ultimi anni allacciando rapporti stabili con atenei non solo europei, ma anche negli Stati Uniti e in Asia. ________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’05 ORA DI RELIGIONE? DI FATTO UN OBBLIGO» MA IL MINISTERO NEGA L'ACCUSA DELLA CGIL ROMA - È polemica sull’«ora di niente». Che poi sarebbe quell’ora in cui chi non si avvale dell’ora di religione o dell’ora alternativa passeggia nei corridoi. Nella contabilità degli studenti pesa per 33 ore l’anno. Secondo Enrico Panini, leader della Cgil scuola, con la riforma Moratti l’«ora di niente», con l’aggiunta di un po’ di assenze, potrebbe provocare la bocciatura. «Perché - spiega il leader della Cgil scuola - non frequentare religione o attività alternativa, possibilità prevista dalle norme di legge in materia, implica una penalità di 33 ore di assenza. Peccato che nel nuovo ordinamento superare il tetto del 25 per cento del monte ore comporti una bocciatura». «Non è così - rassicurano al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - . Non è vero che "ciò che è facoltativo diventa obbligatorio". Nulla è cambiato, infatti, per quanto riguarda l’insegnamento della religione cattolica e delle attività alternative. L’insegnamento della religione cattolica diventa, però, obbligatorio nel momento in cui lo studente abbia operato la scelta in tale direzione, come accadeva prima della riforma. Il tetto delle assenze si calcola solo sulle materie scelte dallo studente». ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 nov. ’05 FINANZIAMENTI DELL'UNIVERSITÀ DI CAGLIARI Attività culturali, contributi ai progetti L'università di Cagliari ha stanziato 80 mila euro per favorire la realizzazione di iniziative e attività culturali e sociali. Per questo motivo è stato istituito, per l'anno accademico in corso, un bando per l'assegnazione dei contributi alle associazioni studentesche dell'Ateneo come previsto dalla legge 429 del 1985. Le categorie che possono presentare la richiesta di finanziamento sono le associazioni studentesche che hanno rappresentanza nei consigli di facoltà e le associazioni studentesche e gruppi che abbiano come associati almeno 50 studenti regolarmente iscritti e che siano in corso oppure fuori corso da non più di un anno. Le iniziative che potranno usufruire del contributo dovranno essere destinate agli studenti universitari e, in alcuni casi, allargate a persone qualificate. Comunque la partecipazione alle iniziative dovrà essere gratuita. Le attività culturali e sociali che godranno del finanziamento dovranno svolgersi in un arco di tempo limitato e dovranno concludersi entro il 30 giugno dell'anno prossimo. Ci sono tre tipi di iniziative che non rientrano nei finanziamenti e sono: la pubblicazione di guide, notiziari e bollettini istituzionali; gli acquisti non direttamente connessi con lo svolgimento dell'iniziativa finanziata e le attività istituzionali. La commissione che assegnerà il contributo utilizzerà tre criteri: il 20 per cento del finanziamento totale sarà distribuito in parti uguali fra tutte le associazioni e gruppi che abbiano presentato iniziative ritenute meritevoli di finanziamento; il 70 per cento del finanziamento sarà distribuito tra le iniziative valutate dal punto di vista dell'interesse per gli studenti in base a parametri prestabiliti; il restante 10 per cento sarà infine destinato al finanziamento dei progetti valutati particolarmente interessanti, originali e idonei per gli studenti. Quest'ultima quota dovrà essere destinata a non più di sei progetti e sarà assegnata dopo la verifica dell'effettiva corrispondenza fra attività svolte e progetti presentati. La richiesta di finanziamento dovrà essere indirizzata al Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Cagliari, segreteria del Rettore, via Università 40, 09124 Cagliari, e dovrà essere consegnata in busta chiusa all'Ufficio protocollo dell'Ateneo oppure spedita con raccomandata con avviso di ricevimento. Il termine per la presentazione delle domande è stato fissato per il 15 dicembre prossimo. Tutte le informazioni e il modulo per compilare la domanda sono reperibili sul sito internet della facoltà www.unica.it. Eugenia Rinaldi ________________________________________________________________ La Repubblica 16 nov. ’05 ERASMUS? L´HA UCCISO IL 3+2 Pochi soldi e esami a raffica: in calo gli studenti all´estero Netto calo delle borse: i 120 euro al mese più le integrazioni per i viaggi non bastano più Anche gli Atenei europei sono più severi: vogliono solo ricercatori motivati Chi viene in Italia continua a preferire Lettere e Economia TIZIANA CATENAZZO Gli studenti Erasmus sono destinati ad estinguersi? La tanto declamata internazionalizzazione degli studi, e la mobilità dei libretti universitari, che fino a poco tempo fa si riempivano anche dei voti ottenuti all´estero, con le firme dei professori francesi, spagnoli e tedeschi, hanno vita breve? Il coro delle preoccupazioni è alto, a Torino: dal 2004 al 2005, le borse sono calate da 689 a 661. «L´importo è ormai troppo basso, non più sufficiente a mantenere ‘in vita´ gli studenti all´estero, e quindi in molti rinunciano – spiega Mariangela Nasi Marengo, responsabile della Mobilità internazionale di via Sant´Ottavio, dove il prossimo 1 dicembre sarà emesso il nuovo bando Erasmus – ma anche la politica, dall´alto, è cambiata: prima si incentivavano molto i progetti, si badava forse più alla quantità che alla qualità, ora le università straniere avanzano richieste più alte, richiedendo la reale (e non approssimativa) certificazione della conoscenza linguistica e guardano attentamente al curriculum di studi dello studente. Insomma, si vuole che il periodo trascorso all´estero sia di vera formazione. Anche perché poi, a ben guardare, ora gli studenti all´estero ci vanno lo stesso, con le proprie risorse e magari per interessi propri: gli atenei, quindi, alzano il livello, cercano gente motivata, che già alla partenza offra un minimo di garanzie di riuscita. A parte questo, c´è sicuramente il discorso economico: i 120 euro mensili dell´Agenzia nazionale Erasmus, seppure integrate dall´Università con circa 300 euro per il viaggio e un altro piccolo ‘aiuto´ disposto in base alle fasce di reddito, non bastano più, evidentemente, né negli anni ci sono stati aumenti proporzionati all´accresciuto costo della vita». I tre, sei o dodici mesi trascorsi a studiare all´estero, quindi, diventano cosa dubbia. E solo in parte sembrano c´entrare, come ha di recente rilevato Almalaurea, le angosce degli studenti recentemente afflitti dagli stringenti percorsi didattici imposti dal ‘nuovo´ ordinamento del 3+2: tempi brevi e troppi esami, con una scarsa possibilità di personalizzare il proprio ‘carico didattico´, sembra questione di minor conto, alla fin fine, rispetto al portafoglio. Non solo degli studenti, ma anche delle facoltà. Se da una parte sono infatti i docenti ad assicurarsi, mediante rapporti e interessi accademici, i contratti di scambio con le altre università europee, anche le facoltà giocano un ruolo non meno importante, nell´intessere rapporti di questo tipo, e anche, magari, nel costituire una sorta di ‘fondo integrativo´ che per ogni studente Erasmus si traduce in media in 100 euro in più al mese. Meglio di niente. Ma ecco i numeri relativi alle singole facoltà: il calo di borse, per la mobilità in uscita, le accomuna quasi tutte: economia passa da 111 a 97, psicologia da 24 a 20, scienze da 38 a 33, scienze politiche da 93 a 84. Le eccezioni si registrano a Lettere (da 121 a 143), lingue (da 107 a 116), mentre pare da precipizio la ‘caduta´ registrata dalla Scuola di amministrazione aziendale - da 33 borse in uscita, nel 2004, alle 9 dell´anno scorso – dovuta probabilmente al passaggio dal corso biennale di diploma, al corso di laurea triennale. Se ci si iscrive all´università con l´idea (anche) di fare un´esperienza di studio all´estero, meglio prima guardare alle borse Erasmus ‘allocate´ dalle singole facoltà. Rischiano ad esempio di non partire gli studenti di Agraria, Veterinaria e di Farmacia. Quali invece le facoltà più attraenti, per gli stranieri? Calano, negli indici di gradimento, Medicina (da 27 a 19) e Agraria (da 15 a 7), mentre crescono sensibilmente, nella graduatorie di gradimento all´estero, sia Lettere che Scienze politiche ed Economia ________________________________________________________________ Corriere della Sera 15 nov. ’05 SEI MILIONI DI ANALFABETI» ITALIA IN FONDO AI PAESI OCSE LA RICERCA ROMA - C’è ancora molto da combattere sul fronte dell’analfabetismo. Sono 5.981.579, pari a circa il 12 per cento della popolazione, gli italiani che non sanno né leggere né scrivere o senza alcun titolo di studio. È il dato più allarmante che emerge dalla ricerca «La Croce del Sud. Arretratezza e squilibri educativi nell’Italia di oggi», pubblicata dall’Università di Castel Sant’Angelo. Lo studio, condotto sui dati dell’ultimo censimento, è stato presentato da Saverio Avveduto, presidente dell’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo. I risultati preoccupano, anche se si riferiscono a una popolazione con molti anziani (non tutti hanno goduto delle riforme che hanno allargato le basi dell’istruzione) e a titoli di studio a volte datati. Così come preoccupa la collocazione dell’Italia al terz’ultimo posto (seguita solo da Portogallo e Messico) fra i 30 Paesi Ocse più istruiti. Ecco le cifre. I laureati rappresentano il 7,5 per cento della popolazione, in cifre circa 4 milioni. Gli italiani che hanno frequentato le superiori sono il 25,85 per cento. Quelli con la licenza media sono un altro 30,12. Mentre il 36,52 della popolazione risulta privo di qualunque titolo di studio o in possesso della sola licenza elementare: circa 20 milioni su 53 censiti. ________________________________________________________________ La Repubblica 15 nov. ’05 IN ITALIA SEI MILIONI DI ANALFABETI RISCHIO IGNORANZA PER IL 66% Studio dell´Unione anti-analfabetismo: la grande maggioranza arriva appena alla licenza media In Italia sei milioni di analfabeti rischio ignoranza per il 66% Secondo l´Ocse siamo terzultimi tra i paesi più istruiti Fra le regioni condizioni critiche in Basilicata e Calabria: ma quest´ultima ha anche il maggior numero di laureati CATERINA PASOLINI ROMA - Altro che popolo di poeti, santi e navigatori. La realtà è che siamo un popolo a rischio di analfabetismo: 12 italiani su 100, ovvero 6 milioni di persone, non riescono a leggere e a far di conto. E agli altri non è che le cose vadano meglio: se si somma chi ha la licenza elementare e chi quella media, del tutto inadeguate a vivere e lavorare nel mondo di oggi, arriviamo a 36 milioni di concittadini qualificati come ana-alfabeti. Il 66 % degli italiani è infatti considerato un analfabeta di ritorno, con gravi difficoltà a gestire lettere e numeri. A raccontare un´Italia agli ultimi posti nel mondo come livelli di istruzione - (secondo l´Ocse sui 30 paesi più istruiti siamo in coda, davanti solo a Portogallo e Messico) - è una ricerca dell´università di Castel Sant´Angelo diffusa dall´Unione nazionale per la lotta contro l´analfabetismo, che analizza gli ultimi dati Istat del 2001. Lo studio è stato presentato ieri in un convegno con l´ex ministro alla pubblica istruzione e linguista Tullio de Mauro che ha lanciato l´allarme segnalando come «il 25 per cento dei ragazzi che escono dalle medie non sappia né leggere né scrivere come dovrebbe», mentre il giornalista Sergio Zavoli. auspicando una maggior sinergia tra scuola e tv, ha ironicamente commentato questi dati desolanti usando le parole di Flaiano:. «Tutto quello che non so l´ho imparato a scuola». La ricerca racconta un´Italia dove la piramide educativa vede al vertice il 7,51 % di laureati, seguito da un 25,85 che ha la maturità, un 30,12 che ha il titolo di scuola media e infine un 36 per cento con la sola licenza elementare o neppure quella. tra cui appunto quei circa 6 milioni considerati analfabeti. «Un quadro preoccupante perché l´analfabetismo incrina la coesione sociale», ha detto Saltini della Cgil. Disaggregando i dati nazionali emergono situazioni inquietanti: nove regioni italiane superano il limite che gli studiosi considerano di allarme, per quantità di popolazione senza titolo di studio. La regione più analfabeta è la Basilicata, 13,8%, seguita dalla Calabria, 13,2%. Ma l´Italia è terra di contraddizioni: allo stesso tempo la Calabria è anche quella che ha più laureati della Lombardia. Che fare in un paese all´ultimo posto per addetti alla produzione di merci e servizi laureati, e allo stesso tempo terra dal quale fuggono cervelli come quei 6000 laureati che nel solo 2003 sono emigrati in Usa, come ha ricordato il preside dell´università Saverio Avveduto? Secondo l´ex ministro Tullio De Mauro bisogna soprattutto puntare sull´istruzione, non solo per i ragazzi, ma a lungo termine, riacciuffando quel 66 per cento di italiani che non legge più un libro, che non sa più far di conto, regredita fino alla soglia dell´analfabetismo. Si chiede insomma, come prevedeva la legge Berlinguer del ‘99, di puntare sull´educazione permanente degli adulti, «un investimento che dà risultati immediati», con corsi di formazione e più biblioteche pubbliche. ________________________________________________________________ La Repubblica 15 nov. ’05 STUDENTI MEDI, UNO SU 4 NON SA LEGGERE NÉ SCRIVERE Il linguista Tullio De Mauro: figli d´un paese analfabeta 25% "Studenti medi, uno su 4 non sa leggere né scrivere" Bisogna tornare alla legge Berlinguer del ´99, che prevede corsi di educazione ricorrenti per adulti ROMA - Professor Tullio De Mauro, lei dice che il 25% degli studenti esce dalle medie semi analfabeta. «È vero, un quarto degli alunni non sa leggere né scrivere correttamente, ma non è colpa della scuola, quella pubblica fa miracoli e gli insegnanti pure. Nonostante gli sforzi la Moratti non è ancora riuscita a decapitare la classe docente», dice l´ex ministro alla pubblica istruzione e ora docente di linguistica all´università La Sapienza di Roma. Se non della scuola, di chi è la colpa? «Bisogna rendersi conto che questi ragazzi con lacune profonde sono figli di quel 66 % di italiani ormai analfabeti di ritorno. La colpa è nostra che facciamo poco o nulla per rimuovere l´analfabetismo tra gli adulti. Senza contare che gli imprenditori sono riottosi ad utilizzare i laureati». Che fare allora? Investire nell´istruzione? «Sì, sia nella scuola dei giovani, che porta risultati dopo diversi anni, che nell´educazione degli adulti che dà risultati immediati». Come? «La via c´è da tempo: è la legge Berlinguer del ‘99 che prevedeva centri territoriali di educazione permanente per adulti, una legge ormai congelata in un paese dove non esiste un piano razionale sull´argomento. Fare corsi di educazione ricorrenti per adulti, magari concordati anche con le aziende, servirebbe». E poi? «Ci vorrebbero più biblioteche pubbliche. Lo standard europeo prevede una biblioteca lontana al massimo 600 metri dalla propria casa, mentre in Italia tutto questo non c´è. Certo i figli di papà, chi è già colto e istruito legge sempre di più, ma gli altri - e sono la maggioranza - non hanno quasi mai preso un libro in mano e nemmeno un giornale». Qualche problema la scuola però ce l´ha. «Sì, c´è uno scollamento tra elementari e medie. A 10 anni i nostri alunni sono tra i più bravi e preparati a livello internazionale, tre anni dopo, alle fine delle medie, scendono in classifica. Segno inequivocabile che la scuola dell´obbligo non ha fruttato». ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 nov. ’05 NOVE SARDI SU CENTO NON SANNO LEGGERE Analfabetismo: l’isola all’ottavo posto anche se la dispersione scolastica è in calo Sono 4.132 i ragazzi che hanno lasciato gli studi durante il percorso formativo CAGLIARI. Anche se in Sardegna la fuga dalla scuola cala di 7 punti percentuali l’isola si attesta all’ottavo posto nella classifica delle regioni con il più alto tasso di analfabetizzazione con il 9,1% di analfabeti. I dati emergono da una rilevazione dalla Direzione scolastica regionale che ha promosso un monitoraggio sull’istruzione nell’isola e dallo studio dell’Unla, l’Unione nazionale lotta all’analfabetismo. Secondo i dati acquisiti la dispersione scolastica, intesa scientificamente come numero di ragazzi assenti all’ultimo anno degli istituti superiori rispetto a quelli che hanno iniziato la scuola 13 anni prima, si attesta per l’anno 2004/2005 al 23,5%. Nell’anno 1992/1993 gli alunni iscritti alla prima classe elementare erano 17.578, mentre all’ultimo anno (2004/2005) della scuola secondaria di secondo grado sono risultati essere 13.446. Complessivamente mancano all’appello 4.132 ragazzi che si sono persi durante l’arco del percorso scolastico. «Se rapportato ai dati negativi del 2000 che ponevano la Sardegna tra le regioni d’Italia in cui questo fenomeno emergeva catastroficamente con un buon 30%», spiega il direttore scolastico regionale della Sardegna, Armando Pietrella, «si è fatto un grande balzo in avanti. Siamo anche in linea rispetto alla media nazionale, 21%, e quella europea, 20%». In testa nella graduatoria di questa fuga dalla scuola, è la provincia di Nuoro con il tasso di 29,31 % (850 studenti in meno), seguita da quella di Cagliari con il 24,29% e 1.938 studenti in meno in classe, poi Sassari con il 23,64% (1.169 studenti che mancano all’appello) e infine Oristano con l’8,97% e 150 studenti ritirati nei 13 anni presi in considerazione. Su questo pesa un altro dato preoccupante: l’analfabetismo, male condiviso da molte regioni, che colloca l’isola nel banco degli «asini», all’ottavo posto. Il dato è emerso da uno studio nazionale presentato ieri durante un convegno che si è svolto a Roma e che mette in evidenza che l’Italia conta 6 milioni di analfabeti, dunque quasi 12 italiani su cento, e che sono 36 milioni quelli del tutto analfabeti o appena alfabeti: il 66% della popolazione. Numeri e considerazioni sul sistema scuola-società nell’Italia dei nostri giorni è stato fatto da Saverio Avveduto, presidente dell’Università di Castel Sant’Angelo dell’Unla, che ha presentato lo studio «La croce del Sud. Arretratezza e squilibri educativi nell’Italia di oggi». Basandosi sui dati Istat relativi al censimento del 2001, la ricerca mostra come i cittadini italiani, quanto a scolarità, formano una piramide appuntita: al vertice, 7,5% di laureati, pari a circa 4 milioni; subito sotto 25,85% degli italiani che hanno frequentato le scuole secondarie superiori; segue il 30,12% con il titolo di scuola media; mentre è pari al 36,52% la percentuale di italiani senza alcun titolo di studio o in possesso della sola licenza elementare: circa 20 milioni su 53 censiti. Disaggregando i dati nazionali regione per regione, emergono situazioni preoccupanti: sono infatti nove le regioni italiane oltre il limite che gli studiosi considerano di allarme per popolazione senza titolo di studio, pari all’8%. La regione più analfabeta è la Basilicata, con il 13,8%, seguita dalla Calabria (13,2%), dal Molise (12,2%), dalla Sicilia (11,3%), dalla Puglia (10,8%), dall’Abruzzo (9,8%), dalla Campania (9,3%), dalla Sardegna (9,1%) e dall’Umbria (8,4%). Sorprendentemente, alcune di queste regioni hanno un alto tasso di laureati: la Calabria, per esempio, ha più laureati della Lombardia, del Piemonte, dell’Emilia Romagna e del Veneto. Altra sorpresa, la distribuzione di quelli che Avveduto chiama gli ana-alfabeti per grandi Comuni (oltre i 250 mila abitanti): Catania con l’8,4% e la grande città più analfabeta d’Italia seguita da Palermo (7,4), Bari (6,7) e Napoli (6,2). Lo studio mostra inoltre come negli ultimi 10 anni la situazione non sia mutata di molto: lo stesso è rimasto il numero dei laureati con un aumento appena dell’1,19% degli italiani raggiunti dalla scuola: l’offerta educativa, secondo i relatori dello studio, è stata dunque sostanzialmente ferma. La ricerca mostra anche la collocazione dell’Italia tra i Paesi più istruiti secondo i dati Ocse 2004, che vede l’Italia al terz’ultimo posto tra i 30 concorrenti: ci seguono solo Portogallo e Messico. Su richiesta dell’Università di Castel Sant’Angelo, l’Ocse ha poi fornito i dati che accertano il possesso di un titolo d’istruzione superiore nella forza lavoro compresa tra i 25 e i 64 anni: su 11 Paesi considerati, il nostro Paese è all’ultimo posto per addetti alla produzione di merci e servizi in possesso di qualifica universitaria e oltre. In ragione di tutte queste considerazioni, Avveduto ritiene indispensabile una inversione di rotta e propone un colpo di reni: un’imposta di scopo per il sistema scuola e ricerca, passando «dalla scuola dello Stato a quella della società». ________________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 16 nov. ’05 CAGLIARI: DICIOTTO ISCRITTI ALL'UNIVERSITÀ PER OGNI DOCENTE STIPENDIATO La classifica. L'ateneo cagliaritano è al nono posto in Italia Il rapporto del Comitato di valutazione del sistema accademico parla chiaro e fa i conti in tasca alle facoltà: quella messa meglio in città è Medicina, con 5,6 studenti per professore. L'ultima posizione a Scienze della Formazione con 34,7 alunni La medianazionale è di 24,6 immatricolati per ogni cattedratico: a Cagliari prese in esame 10 diverse realtà Scienze politiche. Facoltà aperte a tutti o anche a numero chiuso: ed è proprio questo che fa la differenza. Il primo posto della classifica in città è proprio Medicina, facoltà che accetta ogni anno non più di trecento iscritti. A Cagliari il rapporto è di 5,6 studenti per ogni docente. L'ultimo posto spetta a Scienze della Formazione: lì ogni professore deve portare fino alla laurea 34,7 studenti. In mezzo ci sono ovviamente tutte le altre. Come Scienze Matematiche e Fisiche: alla Cittadella di Monserrato studiano 8,5 universitari con ogni insegnante. E la medaglia d'argento in citta per rapporto tra discenti e professori. Dietro questa, a ruota, ci sono Farmacia (11,8), Ingegneria (12,8), Lettere e Filosofia (18,7) e Lingue straniere (19,6). Un salto ben piu grande e quello fatto invece dalle altre facolta: che tra l'altro superano la media italiana dei 24,6 studenti per professore. In Giurisprudenza il rapporto e di 25,9 a 1, in Economia di 26,5. Maglia grigia poi per Scienze Politiche: per un cattedratico in viale Fra' Ignazio ci sono 29,8 studenti. GIACOMO BASSI ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 nov. ’05 SCIENZE POLITICHE VOLA MA MANCANO I PROF Il preside Paci: «Fondamentale l’organizzazione», gli studenti «Più aule» CAGLIARI. Le immatricolazioni sono in aumento anno dopo anno, gli universitari arrivano prima alla laurea, il numero dei fuori corso è tra i più bassi in Sardegna. La facoltà di Scienze politiche è sempre più allettante e continua a scalare le classifiche nazionali. Nonostante i successi, i problemi non mancano: poche aule, basso il numero dei docenti. Da anni preside della facoltà, Raffaele Paci siede dietro una scrivania zeppa di carte e raccoglitori: potrebbero scoppiargli tra le mani tanto sono gonfi. - Quali le virtù? ‹‹L’essenza sta nell’organizzazione. A cominciare dal calendario delle lezioni pensato in semestri, le date degli esami decise per tutto l’anno, stimoli continui agli studenti perché si sentano subito protagonisti». - Orgoglio di preside. «Sono soddisfatto». Gli esempi non mancano. Le lezioni sono cominciate da un mese, ma si sa quando saranno sospese per lasciar spazio agli esami. - Le matricole aspettano il momento del debutto. ‹‹Niente di traumatico, il primo contatto sarà con i pre-esami. E in questo modo sono stimolati ad organizzarsi e capiranno subito che bisogna darci dentro, prendere il ritmo». E i risultati si vedono. Parola degli studenti: ‹‹Non c’è che dire - è la pagella di Nicola Meleddu, rappresentante nel Consiglio di facoltà - L’organizzazione è ottima. Ragion per cui riesci ad andare avanti seppur con tutte le carenze di cui la facoltà soffre ancora. Devi fare lo slalom, ma arrivi al traguardo senza il fiatone››. Un problema su tutti: il numero d’insegnanti in rapporto a quello degli studenti. Il rapporto è basso, ha sentenziato nei giorni scorsi anche il Sole 24ore. ‹‹Cinquantaquattro docenti per più di tre mila ragazzi - allarga le braccia Paci - E’ vero: troppo pochi. Per essere a posto avremmo bisogno di almeno ottanta professori››. Ma in tempi di vacche magre, come quelli attraversati ora, la cosa non è pensabile. Così, ecco che bisogna pensare a una soluzione. Raffaele Paci pensa al numero chiuso. Inevitabile quando non ci sono soldi per ingaggiare nuovi docenti. Quando la coperta è corta, bisogna tirare limidall’altra parte, ma gli studenti non vogliono sapere del numero chiuso: ‹‹È antidemocratico››, taglia corto Nicola Meleddu. Un altro problema sentito è quello delle lauree specialistiche: ‹‹Spesso sono una ripetizione del primo livello››, dicono gli studenti. Paci non nega, ma puntualizza: ‹‹Questo - dice - dipende dal fatto che la riforma, intesa come tre+due, non è ancora percepita come si dovrebbe. Siamo ancora ancorati alla logica dei cinque anni››. Ma Paci è ottimista: il tempo sistemerà anche questo. Finita? No, dagli universitari arriva un altro appunto: ‹‹Gli impiegati delle segreterie studenti non bastano a far fronte alle le nostre richieste. Prima eravamo pochi e un impiegato poteva bastare. Adesso siamo tremila, e non abbiamo il tempo per stare in fila». Chi passeggia è fuori, qui si corre... verso la laurea. Sabrina Zedda ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 nov. ’05 SARDI, FATE BALLARE LE VOSTRE CINQUANTA LINGUE Università. Pubblichiamo la seconda parte della lectio magistralis del grande linguista tedesco L'affettuoso richiamo di Harald Weinrich: la diversità è una formidabile risorsa da sfruttare L'8 novembre si è svolta nell'Aula Magna dell'Università di Cagliari la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in lingue e letterature moderne euroamericane all'insigne filologo, linguista e letterato Harald Weinrich, 78 anni, professore emerito a Monaco e al Collège de France. L'evento prevedeva la discussione di una tesi dal titolo "Quante lingue per l'Europa?" nella quale il prof. Weinrich ha svolto delle considerazioni sulla lingua sarda in una prospettiva europea. Pubblichiamo un estratto dell'ultima parte. Vorrei illustrare da una prospettiva europea alcuni problemi della lingua sarda. Ho detto illustrare, non studiare, analizzare o esaminare. Io so bene che con tutto il mio profondo interesse per la cultura linguistica della Sardegna, non posso considerarmi un vero sardologo. Così, pur avendo letto non pochi libri, saggi e articoli sulla situazione linguistica di quest'isola, mi accorgo ancora di troppi buchi neri nelle mie conoscenze per poter arrischiarmi nel campo della cosiddetta questione della lingua in quanto applicata alla lingua sarda. Comunque, dal punto di vista europeo, mi pare che il livello europeo della cultura linguistica si distingua notevolmente dagli altri livelli più presenti nella nostra cultura linguistica abituale. Scelgo come esempio la nota triade di valori frequentemente applicata alla lingua sarda: purezza, arcaicità e correttezza. Io non contesto la legittimità. Mi domando però se a livello europeo essi siano davvero tanto validi quanto lo sono a livello locale, regionale e nazionale. La purezza, ad esempio. Come si potrebbe ragionare in termini di cultura linguistica senza avere un certo senso di purezza per una lingua data? A livello europeo però, la meno pura di tutte le lingue germaniche è proprio l'inglese. Le vicende storiche hanno fatto dell'inglese una lingua mista al massimo, mescolata in particolare di elementi germanici e romanzi, ossia neolatini. Mi pare che proprio questa mescolanza sia stata una delle condizioni del successo mondiale da registrare per questa lingua "franca". Poi l'arcaicità. È ben noto che uno dei valori più applicati alla lingua sarda in generale è proprio la sua arcaicità, misurata a partire dai tempi di Wagner in termini di affinità con il latino. Nei suoi scritti e in non poche pubblicazioni di altri autori, l'arcaicità è divenuta quasi un titolo nobiliare del sardo. D'accordo a livello locale, regionale e nazionale ? ma chi rispetta davvero a livello europeo un tale valore! Lì si ricorda innanzitutto il fatto che tra tutte le lingue romanze, l'italiano e il sardo compresi, la lingua meno arcaica nelle sue strutture fonetiche, morfologiche e sintattiche è proprio il francese il quale, nella sua brillante storia, non ha mai sofferto della sua non arcaicità. Finalmente la correttezza. È senz'altro un valore linguistico. Io, ad esempio, non avrei mai potuto scrivere due grammatiche, una del francese e un'altra del tedesco, senza rispettare ad ogni momento il valore della correttezza. Ultimamente però, sono divenuto un poco vacillante. Mi sia permesso di raccontare un fatto aneddotico, quasi una barzelletta. Per farmi capire, devo però spiegare prima che la lingua tedesca più corretta ossia la lingua standard si è costituita all'alba dell'epoca moderna ed esattamente all'epoca di Lutero, nella regione sassone. La Sassonia è la nostra Toscana. Ne risulta che le regioni più lontane dalla Sassonia hanno conservato forme dialettali assai divergenti dal cosiddetto "alto tedesco" (Hochdeutsch). Ora, quale è stata per me la sorpresa, qualche tempo fa, nel vedere alla televisione uno spot a favore del Land Baden-Württemberg (la regione di Stoccarda) che diceva: "Noi siamo competenti in tutto, tranne che in tedesco standard" (Wir können alles, außer Hochdeutsch). L'impresa pubblicitaria è divenuta famosa con questo slogan ? uno schiaffo però per l'idea di correttezza grammaticale. Voglio dire con questi tre esempi che i valori linguistici visti dalla prospettiva europea sono forse assai diversi dai livelli locali, regionali e nazionali. Mi domando allora se non ci sono altri valori più riconosciuti, magari persino una nuova triade alternativa: diversità, vitalità, mobilità. La diversità, ad esempio. Mi sembra un valore particolarmente adatto alla situazione della Sardegna. Mi pare possibile e raccomandabile vedere nella diversità della lingua sarda e delle sue varietà una ricchezza culturale che merita di essere sfruttata. Ci vuole però una certa competenza nella gestione di tale ricchezza, una facoltà che non si acquista senza sforzi. Immagino un insegnamento scolastico puntato proprio verso questo valore, un insegnamento cioè della diversità nonché la ricerca comune, maestri e alunni, dell'identità sarda nella sua diversità. Posso persino immaginare uno "spot" al servizio forse del turismo, che dice: "Noi siamo l'isola delle cinquanta lingue ? siamo quindi un'immagine dell'Europa." Due brevi accenni ancora. Il primo: parlando di cinquanta lingue ho forse esagerato un tantino. Volevo lasciare un po' di spazio al gioco dell'immaginazione, giacché nel regno delle lingue, il plurale è sempre più interessante del singolare. Esiste effettivamente, mi pare, una certa affinità tra la verità linguistica e la "ludicità" della natura umana. Il nostro Schiller l'ha espressa così: "L'uomo non è interamente uomo fuorché quando gioca" (Der Mensch ist nur ganz Mensch, wenn er spielt). C'entra senz'altro anche il linguaggio, visto che Wittgenstein ha denominato l'atto comunicativo, da cui nasce tutta la scienza del linguaggio: Sprachspiel, gioco linguistico. Nello stesso senso voglio intendere un'idea espressa da Eduardo Blasco Ferrer in un suo articolo scritto per l'Unione Sarda, dove parla del "gioco a scacchi" delle lingue e della sarda in particolare. Questa tendenza potrebbe esprimersi in una terza triade, questa volta con i valori soggettivi di promozione, animazione e motivazione a favore della lingua sarda. Proprio in questo senso mi auguro e vi auguro in tutte le considerazioni e pianificazioni a favore della lingua sarda, che sia presente una certa dose "ludica", quasi un elisir di "serenità". Tutto questo non può che aiutare in modo formidabile a far bella figura in Europa. Ora il secondo accenno. In tutto il mio gioco linguistico, vale a dire nella mia lezione, ho cercato accuratamente di evitare la voce "dialetto". Ho detto sempre "lingua" o "lingue". Non conosco forse la differenza tra lingua e dialetto? La conosco, forse troppo bene per crederci. L'unica definizione differente che mi convince è questa: una lingua è un dialetto con armata. In questo senso, l'italiano sarebbe dunque una lingua, il sardo con tutte le sue varietà, un dialetto? No davvero. Infatti, io vi auguro che anche il sardo abbia un'armata di "tifosi" i quali amano le loro lingue e in particolare la loro bella diversità e che così, quando fanno uso del sardo e ne fanno la lode in Europa, riescano ? per dirla in termini nietzschiani ? a far ballare le idee. Harald Weinrich Il ricordo del professore «La Sardegna è una piccola Europa di idiomi diversi» Professor Weinrich, lei è stato in Sardegna agli inizi della Sua carriera, negli anni '50. Che cosa ricorda di quell'esperienza a distanza di quasi mezzo secolo? «Sono venuto in Sardegna nel 1958 da giovane libero docente, spinto da una grande curiosità verso la lingua sarda, o meglio le lingue sarde. Mi ero proposto con quel viaggio di effettuare delle registrazioni sul campo delle parlate locali in Ogliastra, nella zona di Lanusei e Tortolì; non so più per quale motivo avessi scelto proprio quella zona, probabilmente per restare fuori dall'area linguistica del logudorese e del campidanese seguendo l'ipotesi che l'Ogliastra formasse, rispetto alle altre due grandi varianti del sardo, una terza zona. Avevo infatti già acquisito una certa esperienza nella tecnica delle registrazioni nell'Italia del nord e in Toscana per la mia tesi di abilitazione sulla fonologia delle lingue romanze, i Phonologische Studien. L'anno dopo, nel 1959, ricevetti la mia prima chiamata come professore ordinario all'università di Kiel. Quegli anni coincisero con il fenomeno delle università di massa e io mi trovai da subito a dover fare lezione anche a 1000 studenti, che desideravano studiare la letteratura francese. Ho così dovuto interrompere le mie ricerche. Il tempo è passato, il tempo con cui tutti dobbiamo combattere, quasi mezzo secolo è passato e oggi sono felice di riprendere i contatti con la Sardegna, non come dialettologo, ma come amico delle lingue e politico delle lingue in un certo senso». Se dovesse dare una risposta di politica linguistica, può dirci per quale motivo i sardi devono conservare la/le loro lingua/e? «Comincio dall'Europa. L'Europa nella sua forma attuale, cioè nella forma dell'Unione Europea è un'unione basata sulla diversità; ci sono 25 paesi e quasi tutti hanno la loro lingua. Da linguista sono interessato a mantenere e rispettare questa diversità e non voglio che questa venga annullata a favore dell'inglese. L'Europa è per me un continente che ha bisogno della sua diversità, quella linguistica compresa, perché la diversità è una forma della cultura europea e della ricchezza culturale di questo piccolo continente. Quando guardiamo la Sardegna, troviamo pressappoco la stessa diversità ma in un modello ridotto; in questo senso la Sardegna con le sue lingue (o dialetti) può considerarsi un'immagine dell'Europa». Lei crede nell'insegnamento del sardo nella scuola? «Mi pare interessante quest'idea, cioè davvero cercare una soluzione scolastica del sardo ma non nel senso dell'insegnare la grammatica e il parlare corretto del sardo, ma insegnare la diversità, non tanto la conoscenza quanto l'arte del riconoscimento, cioè che gli alunni siano capaci di riconoscere i dialetti sardi e di ritrovarsi nella diversità. Il mio senso è piuttosto quello di un insegnamento scolastico dove gli alunni, anche i giovanissimi, siano piccoli ricercatori loro stessi. Ci vuole una grande immaginazione per concepire un insegnamento non solo scolastico e infatti io preferisco parlare di un insegnamento ludico del sardo per interessare i giovani. Del resto la parola ludus in latino vuol dire insegnamento e gioco». Franca Ortu docente di lingua tedesca all'Università di Cagliari. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 nov. ’05 SCOPERTO IL PANE DEI NURAGICI di Barbara Cuccu VILLANOVAFORRU. Sorprendenti i risultati delle analisi condotte dal dottor Philippe Marinval, antropologo di fama internazionale, sui reperti rinvenuti nell'antico villaggio nuragico di Genna Maria. Scoperti i resti carbonizzati di numerose specie vegetali: nella zona di nord ovest semi di vite, in quella di nord est frammenti di pane miracolosamente conservati. Le ricerche sono il frutto della collaborazione tra la soprintendenza ai beni archeologici delle province di Cagliari e Oristano, il Museo di Villanovaforru e il Cnrs di Tolosa, l'equivalente francese del nostro Cnr. Gli esami condotti in laboratorio con il microscopio binoculare sui frammenti paleo botanici recuperati durante gli scavi condotti dal 1969, hanno messo in luce la presenza di numerose specie vegetali. Si tratta di grano, orzo vestito, favino (leguminosa simile alla fava) e vite. Ma anche ghiande e corbezzolo. Questi residui sono probabilmente rimasti coinvolti in uno dei numerosi incendi che nell'VIII secolo distrussero le capanne di Genna Maria: sono, infatti, quasi del tutto carbonizzati. Condizione che ne ha mantenuto intatta la morfologia e ha permesso l'analisi scientifica. Sulla base della forma dei semi, allungata nella parte superiore, si è potuto stabilire che si trattava di una specie di vite coltivata. Ma c'è di più. Il fatto che questi resti siano associabili a particolari anfore conservate nel Museo di Villanovaforru e databili nello stesso periodo, fanno pensare che la vite non era coltivata al fine di mangiare il frutto, ma piuttosto per ricavarne il vino. Il dottor Marinval è anche convinto che questa specie di vite sia la conseguenza del processo di addomesticamento di una varietà selvatica locale. Tuttavia, ciò che più ha sorpreso il ricercatore è stato il ritrovamento di due piccolissimi frammenti, che lo studio in laboratorio ha permesso di classificare come pane. L'esame microscopico ha evidenziato delle bolle di gas, evidenti residui di un processo di fermentazione. Dalla loro struttura si è dedotto che si tratta di un pane semi lievitato, fatto con una farina ben setacciata. E, Marinval, che ha esaminato residui simili rinvenuti in altre parti d'Europa, sostiene che quello di Villanovaforru ha una caratteristica peculiare: la pasta ha conservato la sua elasticità. Si auspica ora una collaborazione con l'università: i resti necessiterebbero di essere esaminati con il microscopio elettronico. Lo strumento consentirebbe, infatti, di individuare i grani d'amido e di risalire al tipo di farina utilizzata. Tutte le ipotesi restano per ora aperte: potrebbe essere stata ricavata dal grano, dall'orzo o persino dalle ghiande. Intanto a Genna Maria sono stati trovati anche dei particolari vasi, che potrebbero essere stati usati per la cottura del pane. Hanno superfici annerite, conservano tracce di cenere e sono stati rinvenuti presso i focolai. Venivano utilizzati capovolti, poggiati sopra superfici piane, e ricoperti di brace ardente. ======================================================= ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 nov. ’05 IL SAN GIOVANNI DELLE EMERGENZE Il vecchio ospedale entrerà nella nascente azienda Regione-Università con una connotazione precisa Dipartimento nel centro città con il polo materno-infantile Mentre si studia la rete dei presìdi destinati alle urgenze qualificate ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Il San Giovanni di Dio ha finalmente un destino: sarà una delle due gambe su cui si reggerà la nascente azienda Regione-Università, e questo si sapeva, ma con una connotazione precisa che sembra nascere da uno studio sulle necessità della popolazione anziché soltanto e sempre sulle richieste di gruppi ristretti di professionisti della sanità. Dunque per il San Giovanni c’è un futuro di dipartimento di emergenza, con un fronte tutto dedicato a neonatologia, puericultura e pediatria. Nell’elenco dei reparti utili in un centro di emergenze resistono due vuoti: neurochirurgia e ortopedia. Ma il rimedio è allo studio. Continueranno i trasferimenti verso il policlinico di Monserrato e quel che resta non sarà «sanità residuale», con reparti che vivacchiano su poche prestazioni, ma servizi organizzati «per rispondere alla domanda di salute dei cittadini». La frase slogan, in questo caso, vuol dire che nella riorganizzazione della rete ospedaliera del capoluogo di regione si è preso in considerazione il pronto soccorso e quindi le cure spesso salvavita da prestare in emergenza e si è deciso che il miglior riuso possibile di un ospedale nel centro storico era quello di installarci un dipartimento di emergenza. Perché una terapia anche importante programmabile nel tempo non risente troppo di distanze, tipo di strade, quantità di traffico, mentre un sistema di emergenza è studiato anche sui tempi necessari per portare un paziente fino al primo centro di cura utile ed ecco che il San Giovanni di Dio ha trovato una nuova funzione. Probabilmente lo affiancherà il Santissima Trinità di Is Mirrionis, nel quale è in corso il potenziamento del pronto soccorso, ma questo sarà tema per un tavolo in particolare, che è quello della «messa in rete» dei presìdi destinati ad accogliere le emergenze. L’idea della messa in rete non nasce per caso ma risponde all’invito chiaro e ultimo dell’assessore regionale alla sanità affinché si cancellino i doppioni nelle prestazioni ospedalieri: costosi, disorientanti, inutili. Tornando al San Giovanni, è recente la sostituzione del direttore della clinica di pediatria, Carlo Pintor (andato in pensione) con Stefano De Virgilis, proveniente dall’ospedale Microcitemico. Risulta che la maretta delle pediatrie cagliaritane non si sia ancora quietata, ma il riserbo, stavolta, è fitto e, d’altronde, riguarda poltrone e organici e non l’ospedale in cui i reparti devono funzionare. Nel San Giovanni di Dio pertanto ci saranno una rianimazione, un pronto soccorso ampliato e il pronto soccorso pediatrico, due chirurgie, l’unità coronarica. Continueranno a funzionare qui ginecologia ed ostetricia che hanno un senso in più grazie anche al collegamento con la neonatologia, ma non è chiaro se, sempre badando all’emergenza, i reparti finiranno qui o si aggiungeranno ortopedia e neurochirurgia. Quest’ultima potrebbe trovare il suo spazio anche in tempi ragionevoli. Diverso il discorso per l’ortopedia perché dipende da quel che succederà all’ospedale Marino. Dopo l’invito dell’assessore a cancellare i doppioni non si può neppure immaginare di completare i reparti pensati sull’emergenza con un bis di una specialità qualunque di ortopedia. Sul filo logico dei presìdi di emergenza che formano una rete con tutte le specialità necessarie, il Marino sarebbe un anello importante e i rapporti Asl e Università risultano migliorati al punto da rendere facile il dialogo per una collaborazione stretta. Il fatto è che la stessa Asl 8 non sa ancora bene cosa fare con l’ospedale Marino: nato per essere un albergo, la ristrutturazione non è riuscita a cancellare l’impronta e a farne un edificio con stanze e corridoi concepiti per erogare prestazioni sanitarie a pazienti spesso in condizioni difficili. Sui trasferimenti dagli ospedali della Asl verso il policlinico: le ortopedie a direzione universitaria per ora restano al Marino; dall’ospedale pneumologico Binaghi sono in viaggio per Monserrato le chirurgie dell’addome dirette da Giuseppe Casula e Alessandro Uccheddu. Sicuro che potranno lavorare: la rianimazione, indispensabile, sarà aperta (e funzionante) da gennaio. ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 nov. ’05 NUOVO LABORATORIO, MEDICINA LEGALE FA UN PASSO AVANTI Inaugurazione al Policlinico L'aula di Biologia molecolare è stata intitolata ad Alessandro Bucarelli Una targa dal doppio significato. Perché il laboratorio di genetica molecolare, intitolato ieri al professor Alessandro Bucarelli, dal '96 alla guida dell'istituto di medicina legale a Sassari e scomparso lo scorso 4 agosto quando sembrava vicino un suo ritorno a Cagliari alla guida di medicina legale al Policlinico universitario, non servirà soltanto a ricordare una persona che ha dato tanto a una materia forse troppo trascurata, ma anche a farla crescere. Con questa intenzione si è svolta la cerimonia, che ha segnato anche il passaggio di carica tra Francesco De Stefano, direttore uscente dopo sei anni di esperienza a Cagliari (andrà a dirigere l'istituto di medicina legale a Genova), e Ernesto D'Aloia, nominato nuovo direttore del servizio durante l'ultimo Consiglio di facoltà di Medicina. Professore ordinario, D'Aloia ha 45 anni, ed è stato uno degli allievi di Angelo Fiori (ex direttore di Medicina legale dell'università Cattolica di Roma). Davanti a una nutrita presenza di primari del Policlinico e a molti colleghi e allievi, il cappellano, padre Giuseppe Mario Carrucciu, ha benedetto la targa che darà il nome al nuovo laboratorio: «Un primo passo ? ha detto De Stefano ? per far crescere ulteriormente la medicina legale a Cagliari». Bucarelli era nato nel '44 a Castelletto Ticino. Trasferito a Cagliari, si è laureato con Raffaele Camba, per poi crescere nell'ateneo cagliaritano, diventando professore associato di Biologia delle razze umane, di Antropologia criminale e di Medicina legale. Nel '96 il trasferimento a Sassari, per dirigere l'istituto di Medicina legale. Alla cerimonia erano presenti anche la moglie Nuccia Vacca e la figlia Enrica: «Ringrazio l'Università ? ha detto commossa la moglie ? perché si tratta di un ricordo che durerà per sempre». Un'iniziativa che non rimarrà isolata: «Abbiamo in mente ? ha detto il preside di Medicina, Gavino Faa - altri progetti per ricordare una persona che è stata un vero esempio di umanità e professionalità. Progetti che promuoveremo d'accordo con la famiglia». Poi il simbolico passaggio di consegne tra De Stefano e D'Aloia. «Concludo una bella esperienza ? ha detto il direttore uscente ? che mi ha fatto crescere professionalmente. Ho trovato molti professionisti validi: questo potrà far cresce la Medicina legale a Cagliari. Una disciplina che spesso viene associata soltanto con l'autopsia, dimenticando anche l'aspetto sociale, quale la diagnostica della paternità e degli invalidi». (m. v.) ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 nov. ’05 SANITÀ TAGLI AL POLICLINICO, DENUNCIA DELLA CISL Aumentano i soldi a disposizione degli organi istituzionali, diminuiscono quelli per il personale. Questa la denuncia della Cisl dell'Università di Cagliari nell'analisi al documento di variazione di bilancio 2005 del Policlinico universitario, approvato di recente con delibera del Direttore generale e portato all'attenzione del Consiglio di consulenza e indirizzo. «Il capitolo relativo alle competenze agli organi istituzionali ? sottolinea in una nota il segretario della Cisl, Tomaso Demontis, - è aumentato di 647 mila euro, passando da 356 mila euro a oltre un milione. Per contro, sono stati diminuiti i compensi ai dirigenti medici, (meno 50 mila euro), non medici (329 mila) e del comparto (242 mila) ». In diminuzione anche i fondi dei compensi accessori. Tagli anche sull'acquisto di divise e biancheria: meno 12 mila euro. «In altri termini ? conclude ironico l'esponente della Cisl ? le divise ognuno se le compra con i propri soldi». (m. v.) ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 nov. ’05 MONSERRATO: CINQUE MEDICI PALESTINESI MONSERRATO. La facoltà di Medicina dell’Università di Cagliari apre agli studenti palestinesi e senegalesi con cinque posti annuali. L’importante accordo è stato stipulato nell’aula consiliare, in piazza Maria Vergine, tra Tonio Vacca, il sindaco di Qabatia Issam Nazzal, e in rappresentanza del primo cittadino di San Louis, dal vice sindaco Amadou Tourè. Presenti alla cerimonia il preside della facoltà di Medicina, Gavino Faa e il direttore del Dipartimento di medicina interna del Policlinico universitario, Francesco Marongiu. Comune e Università hanno deciso di impegnarsi per trovare nuove forme di collaborazione che consentano l’inserimento degli studenti stranieri nella comunità isolana e la formazione di personale sanitario. Previsto anche lo scambio di studenti tra l’ateneo cagliaritano e le facoltà universitarie palestinesi e senegalesi per favorire il dialogo scientifico e culturale. «È un accordo internazionale di grande rilevanza, all’insegna della pace, della cooperazione e dello sviluppo», ha detto il sindaco Tonio Vacca. (ps) ________________________________________________________________ La Repubblica 18 nov. ’05 FINANZIARIA-STOP AI RICOVERI FUORI REGIONE ,6% 976 MILA Stop ai ricoveri fuori regione Stretta della Finanziaria sulla mobilità dei pazienti verso Nord Limite al rimborso delle spese di chi si sposta: sono quasi un milione Dalle nuove norme sono escluse soltanto le cure oncologiche e i trapianti Gli ospedali della Lombardia i più richiesti, seguiti da quelli di Emilia Romagna, Lazio e Veneto. Bambin Gesù al primo posto nella classifica Dalla Campania partono ogni anno 95 mila persone, dalla Sicilia 68 mila, dalla Calabria 67 mila, dalla Puglia 66 mila ROBERTO PETRINI ROMA - La Finanziaria blocca i «viaggi della speranza». Il «comma 203» del testo approvato con il ricorso alla fiducia nei giorni scorsi dal Senato e in procinto di essere esaminato alla Camera, impone un limite alla mobilità sanitaria. In altre parole non si potrà più andare in un´altra regione a farsi curare o a fare un intervento, tranne che per prestazioni oncologiche o discipline di alta specialità come i trapianti. La norma dispone che le Regioni stabiliscano «un tetto massimo di rimborsabilità e di compensabilità» entro il quale erogare le prestazioni nelle proprie strutture sanitarie pubbliche e private accreditate. L´effetto della norma sarà quello di costringere le regioni più ricche e del Nord, dove approda la maggior parte della «migrazione sanitaria», a respingere le richieste di cure. Il principio, che dovrà inevitabilmente essere sancito anche attraverso accordi interregionali, sarà quello che le risorse andranno prima ai residenti e, solo se ci sarà spazio, agli altri cittadini italiani che vivono tuttavia in altre regioni. Non è escluso, secondo alcuni esperti, che la norma - una sorta di primo passo verso la devolution - leda il principio della libera scelta da parte dei cittadini per l´accesso alle strutture sanitarie. Secondo i dati relativi al 2004 dell´Agenzia per i servizi sanitari regionali circa un milione di pazienti lasciano ogni anno la propria casa, la città e la regione dove vivono e vengono ricoverati in ospedali lontani centinaia di chilometri. Le mete dei «viaggi della speranza» sono la Lombardia, l´Emilia- Romagna, il Lazio, il Veneto e la Toscana. I pazienti sono costretti ad abbandonare soprattutto le regioni del Sud: Campania, Sicilia e Calabria. Il record dei pazienti da fuori regione spetta alla Lombardia, dove nel 2003 sono arrivate per farsi curare 197 mila persone. Il Lazio ne ha richiamate invece 115 mila, l´Emilia Romagna 111 mila, il Veneto 81 mila, la Toscana 75 mila. Da dove vengono questi pazienti? Soprattutto dalla regioni meridionali: dalla Campania nello stesso anno sono partite alla volta di ospedali del Centro-Nord 95 mila persone, dalla Sicilia 68 mila, dalla Calabria 67 mila, dalla Puglia 66 mila. Ciascuno in Italia sa quali possono essere, in caso di necessità, le opzioni da esercitare. Il Bambin Gesù di Roma, ad esempio, dove arrivano ogni anno dalle tutte le regioni d´Italia circa 22 mila pazienti. Oppure il Gaslini di Genova, il San Matteo di Pavia o il San Raffaele di Milano. Pensate che la cosa migliore per farvi riparare una difficile frattura sia quella di recarvi al rinomato Rizzoli di Bologna? Se la Camera approverà la norma in questione, paradossalmente passata inosservata fino ad oggi, non si potrà più. Bisognerà accontentarsi dell´ortopedico di casa propria. Ma non si tratta di semplici vezzi o manie: in realtà le strutture ospedaliere del Sud non sempre sono in grado di soddisfare le richieste e spesso non ne hanno neppure la possibilità. E´ vero che il tema delle «migrazioni sanitarie» è all´ordine del giorno da tempo e che spesso si è pensato di limitare le prestazioni. Ma guardando i dati ci si accorge che la gente non si sposta per turismo ma per cercare di tutelare al meglio la propria salute o quella dei propri cari. Cambiano regione il 46,5 per cento dei pazienti che attendono trapianti di fegato, il 30,8% di chi deve operarsi per ustioni estese, il 29,1 per cento dei malati che vanno a Roma o al Nord per interventi cardiovascolari. Sarà questa la strada, come reclama il governo proponendo la norma, per arginare il fenomeno della «dilatazione dell´offerta sanitaria» e per avere uno «sfruttamento ottimale»? Oppure, ci si chiede, lo Stato dovrebbe essere in grado di garantire buone prestazioni dovunque? _________________________________________________________________ Libero 15 nov. ’05 INDIVIDUATA L'AREA CEREBRALE CHE ELABORA LE IMMAGINI È SITUATA ALLA BASE DEL CRANIO 1 HANOVER Scoperta l’area cerebrale in cui gli stimoli provenienti dalla retina sono elaborati in percezione visiva. La superficie sensibile dell'occhio è rappresentata dai fotorecettori (i bastoncelli ed i coni), il cui compito è quello di trasformare in impulsi elettrici le informazioni ricevute dalle reazioni fotochimiche che vengono attivate dai raggi luminosi e di inviare questi segnali ai neuroni retinici, che sono variamente connessi fra di loro ed effettuano una prima elaborazione del segnale visivo. A questo punto il messaggio recepito dalla retina viene inviato al cervello, dove viene ulteriormente elaborato e soprattutto trasformato in esperienza cosciente. Fino a oggi non si era al corrente del punto anatomico preciso dell'organo cerebrale preposto a una simile attività, mentre ora si è potuto fare luce sul suo mistero grazie alla scoperta di Peter Tse del Darmouth College di Hanover (Usa). Lo studioso ha individuato il punto del cervello in cui gli stimoli che arrivano alla retina vengono elaborati in percezione visiva in una regione circoscritta della corteccia cerebrale, posizionata alla base del capo. A ciò lo scienziato è giunto sfruttando il fenomeno del "mascheramento visivo". Ai vari volontari coinvolti nel test sono state mostrate immagini in rapida successione. Si è visto che la comparsa istantanea di un oggetto non viene elaborata dalla mente; anche se gli occhi la vedono, il cervello non la registra, e l'immagine risulta sostanzialmente "invisibile". Infine fotografando con tecniche sofisticate l'attività cerebrale i ricercatori sono riusciti a isolare le aree che si attivano solo quando l'immagine, oltre a raggiungere concretamente la strato di coni e bastoncelli, viene consapevolmente percepita dal cervello. Secondo Tse il risultato delle sue ricerche contribuirà notevolmente all'approfondimento di patologie legate ai difetti visivi, ma anche concernenti rami della psicologia e delle neuroscienze. _________________________________________________________________ Il Giornale 18 nov. ’05 IL VIAGRA CURA LE DONNE DALL’IPERTENSIONE POLMONARE La grave patologia colpisce tra i 30 e i 50 anni e, fino ad ora te cure erano limitate. La pillala blu invece riduce i sintomi del 42°l e la mortalità del 30% Il Viagra fa bene anche alle donne, almeno a quelle colpite da ipertensione arteriosa polmonare, malattia. rara ma estremamente invalidante: chi ne soffre, fatica pure a fare cento passi. La pillola blu non guarisce, ma riduce l'affanno, uno dei sintomi principali, e di pari passo aumenta, la qualità della vita. È questo il risultato di uno studio mondiale, coordinato da Nazzareno Galiè, responsabile del Centro ipertensione polmonare presso l'Istituto di cardiologia dell'università di Bologna, e, pubblicato ieri sul NewEngland Journal of medicine, una, della riviste scientifiche più prestigiose. Non hanno neanche cinquant'anni, ma salire una rampa di scale o fare due passi per loro è una grande fatica. Sono i pazienti più gravi tra i 200 mila italiani che soffrono dì ipertensione polmonare, una patologia caratterizzata da un incremento della pressione nei polmoni che comporta un superlavoro per il cuore con difficoltà respiratorie, affaticamento e l'impossibilità di svolgere i piccoli gesti della vita quotidiana.. Può sorgere senza una causa specifica, oppure essere secondaria ad altri malanni come quelli del tessuto connettivo, oppure all'infezione da Hiv, alla cirrosi o ad alcune cardiopatie congenite. Nella sua forma più grave (3-5 per cento dei casi), l'ipertensione arteriosa polmonare colpisce soprattutto giovani donne tra 130 e ì 50 anni: per loro le cure finora erano bon poche e l’aspettative di vita limitata a due anni e mezzo. Oggi, grazie allo studio condotto su 278 pazienti sparsi in tutto il mondo, è stato dimostrato che il farina: co ha ridotto nel 42% dei casi i sintomi della malattia e aumentato del 15% la capacità di compiere attività fisica. La «pillola blu» è riuscita, infatti, ad alleggerire il peso sui polmoni e sul cuore, riducendo la pressione dei polmoni del 10% e restituendo vigore a cuore grazie a un incremento del 20% della capacità di pompare il sangue in circolo. «La cura può anche aumentare le speranze di sopravvivenza dei pazienti: confrontando i nostri dati con quelli di un registro statunitense pubblicato negli anni Novanta - ha sottolineato Galiè - la mortalità risulta diminuita, del 30 per cento». _________________________________________________________________ Milano Finanza 18 nov. ’05 LA NUOVA TAC SI SDOPPIA Il nuovo dispositivo a doppia sorgente rad2ogena fotografa il cuore anche durante un attacco cardiaco Nuove possibilità cliniche per uno dei più significativi sviluppi tecnologici. Così è stata fotografata la nuova Tac a sorgente radiogena doppia, dotata cioè di due sorgenti di radiazioni anziché una sola. La rivoluzionaria apparecchiatura si chiama Somatom definition ed è stata presentata in questi giorni a New York da Siemens, l'azienda produttrice. Questa Tac al momento è l'unica apparecchiatura di questo tipo presente sul mercato e potrebbe rivoluzionare la diagnostica per immagini soprattutto per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Utilizzando due sorgenti radiogene e due detettori in contemporanea, è la Tac più veloce in assoluto: le immagini di un elettrocardiogramma, per esempio, possono essere acquisite in tempi molto brevi indipendentemente dalla frequenza cardiaca, sono del tutto ferme e prive di artefatti dovuti a spostamenti. In meno di sei secondi, infatti, la macchina riesce a fornire tutti i parametri clinici utili alla diagnosi. Questo strumento di nuova generazione riesce a fotografare il cuore in qualsiasi condizione (anche durante un attacco cardiaco) e non occorre rallentarne il battito con farmaci appositi. É applicabile nei casi di pazienti con frequenza cardiaca elevata o irregolare, con aritmie o con placche aterosclerotiche che, occludendo le arterie, rappresentano uno dei principali sintomi precoci di malattie cardiovascolari. Alla maggiore velocità, la nuova Tac abbina anche l'utilizzo di una dose dimezzata di radiazioni rispetto a quella tradizionale, perché l'immagine è acquisita in metà tempo. Un altro valore aggiunto è la possibilità di trattare subito e in continuo qualsiasi tipo di paziente, anche quelli traumatizzati, con dolori al torace o addominali. Anche in caso di primo intervento lo strumento sembra adattarsi alle specifiche condizioni del paziente, che può essere esaminato anche se è già stato intubato mantenendo comunque elevata la qualità delle immagini. Non ultimo, la doppia sorgente radiogena consente di effettuare esami sempre più specifici e indipendenti l'uno dall'altro. Nello stesso istante si possono acquisire informazioni che prima si ottenevano solo con due esami separati: basti pensare che è possibile fotografare contemporaneamente vasi sanguigni e ossa. Le due immagini sono poi estratte in modo automatico dall'apparecchiatura, che distingue le diverse strutture del corpo senza richiedere l'intervento manuale del medico. La prima Tac a doppia sorgente è stata installata lo scorso ottobre presso l'università di Erlangen, in Germania, dove è già in uso sia nell'ambito della ricerca sia in quello clinico. Le prime esperienze sembrano positive e rilevanti soprattutto nei casi di pazienti che si presentano con forti dolori al torace e con un sospetto di malattie cardìovascolari, ma l'auspicio è quello di estendere l'utilizzo anche alle situazioni più critiche come quelle del pronto soccorso. All'inizio del 2006 è prevista l'installazione di Somatom definition in tre istituzioni sanitarie statunitensi tra le più importanti al mondo. (riproduzione riservata) di Silvia Fabiole Nicoletto _________________________________________________________________ Libero 20 nov. ’05 DALLA CHIRURGIA LASER ALLE STATMINALI: UN CONVEGNO SU11E CURE OCULISTICHE Dagli occhiali alla chirurgia laser,' dalle lenti contatto alle cellule staminali una speranza concreta contro malattie della cornea un tempo giudicate incurabili. Si aprirà mercoledì prossimo alla Fiera di Milano l'85esìmo Congresso nazionale della Società olftalmologia italiana (Soi), che dal 23 al 26 novembre riunirà all'ombra della Madonnina 35U0specialisti di tutta la penisola, Numerosi i temi in agenda; per insegnare la prevenzione ai 14 milioni di connazionali poco attenti alla salute degli occhi e per assicurare terapie sempre migliori agli abitanti del Belpaese con problemi di vista. In particolare, a quel milione e 6Ó0 mila dì cittadini colpiti da difetti gravi. _________________________________________________________________ Libero 20 nov. ’05 TUMORI, SI RITORNA ALLA TERAPIA DI BELLA In continuo aumento il numero dei pazienti trattati col metodo dello scienziato modenese "La samatostatina è stato il primo farmaco intelligente utilizzato in questo genere di cura" MILANO Si torna a parlare della terapia Di Bella. E questa volta non per denigrare il lavoro del professore modenese scomparso pochi anni fa, ma per affermare che le sue intuizioni sull'attività antitumorale di alcune molecole e sulla necessità di inibire i fattori di crescita neoplastici per vincere i tumori erano fondate. Non a caso nel corso del convegno "Somatostatina e melatonina in oncoterapia" organizzato dalla Società Italiana di Bioterapia Oncologica Metodo Di Bella che si è svolto ieri a Milano, il capo della segreteria tecnica del Ministero della Salute, Vincenzo Saraceni, è intervenuto annunciando: «Alla luce dei molti lavori c delle positive ricerche che negli ultimi anni sono stati fatti nella direzione indicata da Luigi Di Bella, il ministro Storace ha deciso di riconsiderare la base della sua terapia». Una terapia che, nonostante sia stata ostacolata (in un passato abbastanza recente) da ministri c politici e considerata alla stregua di una pratica sciamanica da buona parte della comunità scientifica, continua ad essere utilizzata da numerosi ammalati e prescritta da un gruppo di medici non proprio esiguo. Secondo il figlio di Luigi Di Bella, Giuseppe, sarebbero 15 mila i malati di tumore che si curano seguendo le indicazioni del padre, e oltre cento gli specialisti che, anche all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, utilizzano sui propri pazienti somatostatina, melatonina e retinoidi, i tre principali elementi del metodo ideato dal clinico-fisiologo modenese. «Che la somatostatina agisca inibendo i fattori di crescita tumorali è un fatto accertato: esistono oltre 20 mila studi che ne documentano l'efficacia. E’ stato il primo farmaco intelligente, come vengono chiamati ora i medicinali che inducono l’apoptosi, cioè la morte cellulare -ha spiegato Maurizio Pianezza, chirurgo all'Università degli Studi di Genova. L’oncologiasta però cominciando a modificare le sue prospettive. Sinora il cancro è stato considerato un'unità morfologica da estirpare chirurgicamente e da azzerare con la chemioterapia, mentre oggi cominciamo finalmente a guardare ai farmaci come a qualcosa in grado di agire sulle strutture biomolecolari, cioè sui suoi fattori di crescita. Questo è il valore delle scoperte di Di Bella, che ha indicato una nuova via per aggredire i tumori. Se anziché sfidare la comunità scientifica avesse lavorato dal suo interno, forse Di Bella avrebbe ottenuto migliori riconoscimenti». Modificare il terreno biologico che consente l'insorgenza della malattia anziché aggredire il prodotto del processo neoplastico come accade con la chemioterapia, può dunque essere una via per sconfiggere il cancro: i medici intervenuti ieri hanno portato dati al riguardo. Il pneumologo Achille Norsa che all'ospedale Maggiore di Verona ha sperimentato la terapia Di Bella, ha parlato di casi di regressione e anche di remissione nei tumori polmonari al primo e al secondo stadio. E ha affermato: «In casi al terzo e quarto stadio, a pazienti che non avevano speranza di sopravvivenza con le terapie convenzionali, la somatostatina e la melatonina hanno garantito anche più di 20 mesi di sopravvivenza. Due anni di vita per chi pensa di non avere nemmeno un giorno in più, sono un grandissimo regalo». E Giuseppe Maria Pigliucci, docente di chirurgia oncologica all'università romana Tor Vergata, ha parlato di una media generale di guarigioni che se arriva al 33 per cento con la radioterapia, sfiora il 60-70 per cento quando si associano altre terapie, come l'ipertermia (il riscaldamento delle cellule con onde elettromagnetiche), la somministrazione di somatostatina, la chemioterapia a basso dosaggio. «Quando Di Bella cominciò a parlare di terapia metronomica, cioè dosaggi ridotti di chemio associati ad altre terapie, venne definitivamente crocefisso -ha ricordato Pigliucci- Oggi invece sappiamo che trattare il paziente da più fronti, cioè in maniera multidisciplinare dà maggiori possibilità di guarigione. Proprio per questo la classe medica dovrebbe iniziare a riflettere sui protocolli che stabiliscono dosi e metodi ma non considerano gli effetti collaterali: se continueremo rigidamente ad affidarci a norme standardizzate per pazienti che sono tutti uno diverso dall'altro continueremo a domandarci perché uno muore in sette mesi e un altro vive ancora tre anni». Anna Tagliacarne _________________________________________________________________ Libero 18 nov. ’05 CROMATOGRAFIA GASSOSA: BASTA UN RESPIRO, E IL TUO CUORE È SALVO Si chiama cromatografia gassosa, è indolore, e in due minuti verifica se c'è il rischio del rigetto Si progettano a breve termine anche applicazioni per le diagnosi precoci del tumore al polmone NEW YORK Un esame dell'alito in grado di predire il rischio di rigetto in chi ha appena subito un trapianto di cuore, e di diagnosticare con largo anticipo lo sviluppo di un tumore ai polmoni. È stato approvato dalla Food and Drug Administration (Fda),l’ente Usa che promuove e protegge la salute pubblica. A inventarlo è stato Miehael I'hillips, professore di medicina interna al New York Medieal di Valhalla, nello Stato di New York. I1 test, chiamato esattamente "hearts breath test" (vale a dire "esame del respiro cardiaco"), è simile a quello che viene utilizzato dalle forze dell'ordine per stanare i guidatori in stato di ebbrezza, ma è «miliardi di volte più potente», assicurano gli esperti. Ma come si svolge questo esame? A1 paziente è semplicemente richiesto di respirare in modo normale in un tubo per due minuti. In seguito, tramite due sofisticate tecniche utilizzate dalla medicina moderna - la prima chiamata cromatografia gassosa e la seconda spettrografia di massa - è possibile risalire alla composizione chimica specifica dell'alito, che suggerisce, con ampi margini di sicurezza, se esiste un rischio di rigetto oppure no. Si tratta di un traguardo importante se si pensa che in media un paziente al quale è stato trapiantato il cuore deve sottoporsi a dodici biopsie. Senza contare che questo sistema promette notevoli vantaggi anche dal punto di vista economico. Mark B1ackowski è il quarantasettenne statunitense al quale hanno trapiantato il cuore al lieth Israel Medical Center di New York. h del test dice: «Entri, ti tappano il naso, ti chiedono di respirare in un tubo per un paio di minuti, ed è tutto finito». In questo momento Michael Phillips e la sua equipe stanno studiando un metodo per applicare l’heartbreath test anche a coloro che soffrono di patologie polmonari. In particolare l'invenzione dello scienziato Newyorchese potrebbe essere molto utile per la diagnosi precoce del tumore al polmone. Visto che oggi per verificare l'ipotesi di neoplasia dell'apparato respiratorio è necessario sottoporsi a scansioni Ct e biopsie: le prime particolarmente dannose poiché sviluppano radiazioni; le seconde perché fastidiose, a volte dolorose, comunque costose e non sempre ben tollerate da tutti i pazienti. Dunque anche in questo caso il test approvato dalla FDA risulterebbe molto utile. Attualmente in medicina si utilizza il test dell'alito per combattere la sindrome del colon irritabile. Per la valutazione dell'intolleranza al lattosio, così come per il rilevamento del tempo di transito del cibo in aree specifiche dell'organo digestivo e della presenza di batteri, si esegue l’ H2 Breath test Si tratta di un'indagine non invasiva e ben tollerata dal paziente, che prevede l'utilizzo di uno strumento portatile il cui funzionamento è basato sulla misura della percentuale di H2 nell'espirato ________________________________________________________________ L’Espresso 19 nov. ’05 PROCESSO AI NUOVI ANTIRUGHE Se il filler è un killer Collagene. Acido ialuronico. Botox. I nuovi antirughe non sono sostanze innocue, e sempre più spesso fanno disastri. Gli specialisti lanciano l'allarme di Agnese Ferrara Li chiamano fillers: dispositivi medici che, iniettati con una semplice siringa, ringiovaniscono il viso e rimpolpano bocca e zigomi. Sono lo strumentario del lifting senza lifting, quello che si esegue a colpi di iniezioni, senza camera operatoria e anestesie, negli studi dei medici estetici, dei dermatologi. Sono loro, i fillers, la passione dilagante dell'esercito dei forzati dell'eterna giovinezza. Una soluzione rapida, che non dà la sensazione di fare ricorso alla chirurgia plastica, che non richiede l'apparato medico di un intervento vero e proprio (test preparatori, ospedalizzazione, anestesia). E soprattutto che promette di agire come una bacchetta magica, cancellando i segni del tempo senza lasciare cicatrici. Ma sarà vero? Non proprio, stando a diversi studi che saranno presentati al cinquantaquattresimo congresso della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (previsto a Genova dal 21 al 24 ottobre) e che raccontano i come e i perché di molti disastri da filler. Eccoli. Contemporaneamente al grande successo dei fillers si contano dunque le prime reazioni avverse, dovute anche alle sostanze ritenute più innocue. Una prima statistica arriva dall'Ambulatorio sui danni da fillers allestito presso il dipartimento di chirurgia plastica dell'università La Sapienza di Roma. Qui gli specialisti hanno raccolto gli effetti avversi dell'ultimo anno: 46 pazienti con edema, eritema, noduli o indurimento sottocutaneo a seguito di infiltrazione di filler riassorbibili fra i più impiegati, come acido ialuronico e collagene, ritenuti i più innocui e sicuri; 32 con noduli e ascessi a seguito di filler non riassorbibili, come poliacrilammide e acrilati; 15 soggetti con infiltrazioni, ascessi e perdita della normale motilità della bocca e ulcere cutanee a seguito di infiltrazioni di silicone. Infine otto casi di noduli, ascessi e flogosi non riconducibili ad un materiale specifico perché i pazienti non erano a conoscenza di cosa gli fosse stato iniettato. In uno di questi casi gli specialisti hanno ritrovato tracce di paraffina liquida. Sono gocce nell'oceano, ma casi molto indicativi di quali disastri possano combinare le punturine cancella rughe. Infatti, all'ambulatorio romano si rivolgono i pazienti più gravi. C'è una signora di 41 anni dal volto deformato a causa di iniezioni di silicone in zigomi e labbra eseguite da un medico estetico in Abruzzo nel 1995. Da allora è un incubo senza fine: la prima reazione negativa è comparsa a un anno dall'infiltrazione; poi cisti, granulomi da corpo estraneo, perdita di mobilità dei muscoli e dei tendini del viso, fortissimi i dolori. Ha subito almeno sedici interventi per recuperare l'estetica e la funzionalità, l'ultimo nel giugno scorso. Stessa sorte, quella dei pazienti che si rivolgono all'ambulatorio di Patologie cutanee del Dipartimento di chirurgia plastica della II università di Napoli. Spiega Sergio Brongo, chirurgo plastico dell'ambulatorio napoletano: "La maggioranza sono reazioni da corpo estraneo dovute a filler di lunga durata, contenenti polivinile e metacrilati. Recentemente abbiamo riscontrato venti deformazioni del volto con scivolamento di tali sostanze dagli zigomi, dove erano state infiltrate, al mento". Quasi un'epidemia. Alimentata, secondo Nicolò Scuderi, direttore dell'Ambulatorio sui danni da filler romano: "Sia da un aumento di medici che usano i filler sia, soprattutto, dal proliferare sul mercato di materiali presentati dalle aziende come miracolosi, ma non accompagnati da adeguata sperimentazione clinica e follow-up. Infine da una domanda pressante dei pazienti disposti a tutto pur di apparire belli". Il risultato di questo proliferare, secondo Maria Concetta Romano, docente di dermatologia cosmetologica alla Fondazione Fatebenefratelli di Roma, è che "la massima parte dei filler in commercio, in modo più o meno evidente, ha dato reazioni di intolleranza, da leggera a grave. Si va dagli ematomi che perdurano anche 15 giorni alle dermatiti allergiche, dagli ascessi ai granulomi alla formazione di macchie scure nell'area in cui si è iniettato il composto. I filler commercializzati non sono sempre sottoposti a studi clinici e le formule sono spesso miscele di sostanze diverse". Ma c'è di più. Come spiega la dermatologa romana:" Incredibilmente alcuni composti che sono stati vietati nelle formulazioni cosmetiche invece si possono iniettare, come i metacrilati. Spesso i medici diventano ignari sperimentatori dei prodotti nuovi". In Italia i liquidi iniettabili antirughe in commercio aumentano di mese in mese. Moltissimi i nuovi, molti scomparsi, altri ancora hanno cambiato nome e modificato le formule. I più comuni sono a base di collagene, acido ialuronico o lattico e materiali acrilici. L'ultimo arrivato, nuovo di zecca, è una versione di acido ialuronico puro, privo di additivi secondo l'azienda americana che lo produce, la Mentor, più puro ancora della precedente versione fabbricata dalla stessa ditta. Sarà presentato in Italia durante il congresso genovese, su una nave di lusso che salperà dal porto di Genova fino a Tolone ospitando i medici in questa bella crociera di aggiornamento professionale. "La maggioranza delle formule dei filler in commercio è ignota perfino agli specialisti che le iniettano perché anche sulle etichette non sempre è riportata la formula completa. Per esempio non vengono dichiarati gli addensanti che possono provocare allergie e nel tempo indurire la pelle", dichiara Nicolò Scuderi che ha eseguito un'analisi comparativa dei filler in uso presso gli ambulatori italiani: "Spesso i pazienti non si preoccupano di chiedere cosa il medico ha deciso di iniettare. Così come non tutti gli specialisti forniscono informazioni esaustive sulla procedura. Oggi però è bene essere molto più attenti". Già, ma che fare se il sospirato ringiovanimento si trasforma in una galleria degli orrori? L'ultima speranza è di trovare gli antidoti, ai veleni antirughe come il botulino e alle over-correzioni da fillers. Appena scoperto un possibile rimedio alle esagerazioni da punture di acido ialuronico, il più popolare fra i fillers. Di fronte a un labbro a papera non gradito o a uno zigomo esagerato l'unico rimedio fino a oggi è stato quello di restare chiusi in casa. A breve invece i medici potrebbero avere a disposizione l'antidoto all'errore. È l'enzima ialuronidasi, da iniettare nella pelle laddove c'è il filler, in grado di metabolizzare il composto e in qualche giorno eliminare il gonfiore: l'hanno scoperto i ricercatori della University of Southern California di Los Angeles, che hanno pubblicato lo studio è sulla rivista 'Archives of Plastic Surgery' di agosto. Senza nascondere l'unico neo del potente rimedio: contiene un conservante che dà problemi di allergie nel 25 per cento dei casi e le dosi vanno ancora sperimentate. In attesa del nuovo enzima, tuttavia, qualche rimedio contro gli effetti indesiderati del filler c'è: contro le palpebre calate e gli occhi socchiusi che può causare uno sbagliato uso del botox, i medici hanno sperimentato l'impiego di un collirio a base di apraclonidina, da ripetere nel tempo: la palpebra si rialza. Alla apraclonidina però i tossicologi associano un'alta capacità di provocare allergie oculari. Invece per eliminare i residui di silicone che migrano in giro per il corpo si prova con la liposuzione ad ultrasuoni, come sperimentato al dipartimento di chirurgia plastica dell'università La Sapienza di Roma, in uno studio pubblicato sul 'Journal of Plastic and Reconstructive Surgery and Hand Surgery'. Gli ultrasuoni permettono di estrarre con più facilità i grumi di silicone disciolti nel grasso sottocutaneo, impresa altrimenti quasi impossibile col bisturi. Per attenuare gonfiori, labbra sproporzionate, indurimenti da protesi e residui di fillers di vario genere il passa parola fra colleghi si moltiplica e, oltre alle terapie antibiotiche, agli antinfiammatori non steroidei e al cortisone topico, prescritti in caso di infezioni e allergie, adesso si prova ad accelerare il riassorbimento dei fillers dall'effetto esagerato con fisioterapia ad hoc, che va dai massaggi specifici anche eseguiti con macchinari ad uso estetico (come l'endermologie), alla prescrizione di saune a ripetizione (il calore facilita il riassorbimento dei fillers a base di acido ialuronico e collagene) e agli impacchi caldi da applicare anche a casa per qualche giorno. In presenza di infiammazioni invece è ora sperimentato l'uso dell'agopuntura, con posizionamento degli aghi al padiglione auricolare o nei punti dei meridiani corrispondenti al punto del viso in cui è stata iniettata la sostanza: per un labbro infiammato ad esempio gli aghi si inseriscono sulle gambe. In caso di granulomi e indurimento del tessuto dovuto ai filler sintetici è sempre più diffuso l'impiego dell'omeopatia. Come spiega Claudio Latini, chirurgo plastico ed esperto di omotossicologia al San Giovanni di Roma: "Ottimi risultati si ottengono con gocce sublinguali e pomate locali di arnica e belladonna, così come con la somministrazione di tintura madre da aconitum e gelsenium in granuli". A sentire tutto ciò viene da chiedersi: ma ne valeva la pena? La risposta, a sentire gli specialisti, sta tutta nella scelta del buon medico che deve sapere cosa maneggia e come maneggiarlo. Ma a fronte della cautela invocata dagli specialisti, ci sono le pressioni del mercato. E l'ultima moda viene dagli Stati Uniti dettata dai guru del bisturi estetico, dalla dermatologa Patricia Wexler a Manhattan al chirurgo plastico Babak Azizzedeh a Beverly Hills: i cosmetics cocktail e il botox plus, multi-punture di filler riempitivi più tossina botulinica iniettati sullo stesso volto, anche mescolati per gonfiare e stirare nei punti giusti in una sola seduta. GIOVINEZZA NELLA SIRINGA Botulino Unico prodotto iniettivo a uso estetico registrato come farmaco. Contiene neurotossina botulinica di tipo A e albumina. Agisce per denervazione chimica, blocca gli impulsi neuromuscolari. Indicato per stendere le rughe della fronte, attualmente viene usato anche per tutte le altre rughe di viso e collo. Controindicato agli allergici al latte e alle uova, la durata dell'effetto tensore va dai 3 ai 6 mesi. Collagene Di estrazione bovina, suina o ricavato da colture cellulari umane. L'ultimo tipo in vendita negli Stati Uniti è ricavato da fasci muscolari umani. Indicato per riempire rughe sottili, labbra e cicatrici (nella foto a destra: cellule di collagene). Il risultato dura in media 3-4 mesi e nella versione cosiddetta 'cross-linkata' è più duraturo. Può contenere lidocaina, anestetico. È necessaria una prova allergica. Acido ialuronico È il filler più impiegato in Italia, idoneo per riempire rughe e labbra. Le formulazioni contengono ialuronato di sodio (polisaccaride) di origine sintetica, da fermentazione microbica o aviaria, anche miscelato con emulsionanti, anestetici e altre sostanze. L'acido ialuronico (foto a destra) non provoca allergie, gli altri ingredienti invece sì. L'effetto dipende dalla concentrazione del composto e si mantiene da 2 a 6 mesi. Agarosio Nuovo filler a base di agarosio, estratto dalle alghe (agar-agar). Indicato per rughe superficiali e, nella versione più densa, per solchi profondi e labbra. A oggi non sembra provocare reazioni avverse. L'effetto è prolungato per il lento assorbimento della sostanza da parte dell'organismo. Acido polilattico Gel a base di polimeri sintetici, dichiarato dalle ditte produttrici biodegradabile e riassorbibile. Buona la tollerabilità. Indicato per rughe fini, solchi e per la 'ristrutturazione' della pelle perché sembra indurre un lento ispessimento e un aumento del tono. Le iniezioni possono essere abbastanza dolorose. Tra gli effetti collaterali: noduli e granulomi da corpo estraneo. Idrossiapatite di calcio Microsfere di idrossiapatite di calcio disciolte in un gel polisaccaridico. Il gel si riassorbe, le microsfere no. L'effetto dichiarato è 'semipermanente' e va da 2 a 5 anni. In caso di reazioni avverse il prodotto non è rimovibile facilmente. Possono permanere residui. Polimeri sintetici Moltissime le tipologie in commercio. Si va dal gel di poliacrilamide, a microsfere di polimetilmetacrilato (foto in basso) o polimeri di vario genere (incluso il silicone in granuli) in soluzioni acquose oppure in miscela con collagene, acido ialuronico e lidocaina. Sono filler dall'effetto permanente usati per i solchi profondi e per le labbra. Alcuni di questi prodotti non devono essere iniettati laddove sono stati usati altri filler con i quali sono incompatibili. Non sono rare le reazioni granulomatose e le infezioni, il cui unico rimedio è l'incisione e la spremitura. Nelle labbra si è può verificare la cosiddetta gommizzazione a 3-5 anni dall'impianto. Ok, il seno è salvo Una nuova terapia risolve i problemi delle protesi al silicone Nel corso del 2004 in Italia ben 32mila donne l'anno si sono sottoposte a un intevento per aumentare le dimensioni del seno con l'inserimento di protesi di silicone. Intervento molto amato dalle italiane e ben collaudato. Che, però, talvolta, presenta un problema: l'indurimento del seno. Ora, però, è possibile porre rimedio a questo effetto collaterale grazie a una terapia messa a punto dai chirurghi plastici dell'università La Sapienza di Roma, in attesa di pubblicazione su 'Lancet'. A 40 donne operate al seno e affette dalla cosiddetta contrattura capsulare, così si chiama l'indurimento del tessuto accompagnato da dolore, gli specialisti hanno somministrato un farmaco, impiegato di routine per il trattamento dell'asma (il zafirlukast). "Il composto sembra essere molto efficace nella diminuzione della contrattura capsulare, anche quando già formata. Si tratta comunque di una prima fase di sperimentazione che necessita ulteriori approfondimenti", spiega Nicolò Scuderi che ha diretto la ricerca. Tenendo conto che fino al 30 per cento di tali interventi va incontro al rischio della contrattura capsulare, vero cruccio per gli specialisti, la nuova scoperta affiancherà le altre strategie adottate fino ad oggi, come cure antibiotiche, massaggi, creme, esercizi specifici e assunzione di vitamina E. ________________________________________________________________ Le Scienze 19 nov. ’05 L'EPATITE B E LE DONNE MANCANTI I portatori del virus hanno maggiori probabilità di dare alla luce un figlio maschio In uno studio che susciterà sicuramente molte controversie, l'economista Emily Oster dell'Harvard University ipotizza che l'eccessiva mortalità femminile - per esempio dovuta a infanticidio - possa non essere la sola causa della proporzione insolitamente alta fra maschi e femmine in molti paesi asiatici. Da tempo è stato osservato che il numero relativo di maschi in alcune nazioni dell'Asia è superiore a quello in Occidente, dove la proporzione è vicina all'unità. Alcuni autori sostengono che questo squilibrio sia dovuto alla negligenza nei confronti delle figlie femmine e alle scarse condizioni delle donne. Come risultato, è stato affermato, in Asia "mancherebbero" almeno 100 milioni di donne. Tuttavia, in un articolo pubblicato sulla rivista "Journal of Political Economy", Oster propone un'altra spiegazione per alcuni casi di rappresentanza maschile in eccesso: il virus dell'epatite B. La ricercatrice ha scoperto nuove prove, consistenti con la letteratura scientifica esistente, secondo le quali i portatori del virus dell'epatite B hanno 1,5 volte più probabilità di dare alla luce un figlio maschio. Le prove comprendono analisi e sperimentazioni naturali basate su recenti campagne di vaccinazione. Inoltre l'epatite B è diffusa in molti paesi asiatici, in particolare in Cina, dove il 10-15 per cento della popolazione risulta infetta. Usando dati sulla prevalenza virale nei diversi paesi e stime sugli effetti dell'epatite sul sesso dei nascituri, Oster conclude che l'epatite B può essere responsabile per circa il 45 per cento delle "donne mancanti". Più specificatamente, per almeno il 50 per cento in Egitto e in Asia occidentale; per meno del 20 per cento in Bangladesh, India, Pakistan e Nepal; e per circa il 75 per cento in Cina. ________________________________________________________________ Le Scienze 19 nov. ’05 VINO CONTRO L'ALZHEIMER Un composto presente nell'uva abbassa i livelli di peptidi beta-amiloidi Uno studio pubblicato sul numero dell'11 novembre della rivista "Journal of Biological Chemistry" indica che il resveratrolo, un composto che si trova nell'uva e nel vino rosso, abbassa i livelli dei peptidi beta-amiloidi che causano le cosiddette placche senili del morbo di Alzheimer. "Il resveratrolo - spiega l'autore dello studio Philippe Marambaud - è un polifenolo naturale che si trova in abbondanza in numerose piante, fra cui l'uva, le bacche e le noccioline. Il composto è presente ad alte concentrazioni nel vino rosso. Le concentrazioni maggiori sono state individuate nei vini preparati da uve di Pinot Nero. In generale, il vino bianco contiene soltanto dall'1 al 5 per cento del resveratrolo presente nella maggior parte dei vini rossi". Una delle caratteristiche del morbo di Alzheimer è la deposizione di peptidi beta-amiloidi nel cervello. Marambaud e colleghi del North Shore-Long Island Jewish Institute for Medical Research di Manhasset, New York, hanno somministrato resveratrolo a cellule umane che producono beta-amiloidi e hanno valutato l'efficacia del composto monitorando i livelli di beta-amiloidi all'interno e all'esterno delle cellule. I ricercatori hanno scoperto che i livelli nelle cellule trattate erano molto inferiori a quelli nelle cellule non trattate. Gli scienziati ritengono che il composto agisca stimolando la degradazione dei peptidi beta-amiloidi da parte del proteasoma, un complesso multiproteinico che può digerire specificatamente le proteine in brevi polipeptidi e amminoacidi. Tuttavia, è presto per affermare che l'uva e il vino rosso costituiscano una cura per l'Alzheimer. "È difficile dire se l'effetto anti-amiloidogenico del resveratrolo osservato nelle culture cellulari possa corrispondere a un effetto benefico di diete specifiche nei pazienti", sostiene Marambaud. "Il resveratrolo nell'uva potrebbe non raggiungere le concentrazioni necessarie per ottenere questi effetti. Inoltre, l'uva e il vino contengono oltre 600 differenti componenti, fra cui molecole antiossidanti ben note. Non possiamo escludere la possibilità che diversi composti lavorino in sinergia con piccole quantità di resveratrolo per rallentare la progressione del processo neurodegenerativo negli esseri umani". Philippe Marambaud, Haitian Zhao, Peter Davies, "Resveratrol Promotes Clearance of Alzheimer's Disease Amyloid-beta Peptides". J. Biol. Chem. 2005 280: 37377- 37382 (11 novembre 2005). ________________________________________________________________ Le Scienze 19 nov. ’05 STATINE CONTRO LA NEUROFIBROMATOSI Uno studio sui topi fornisce speranze per un trattamento contro il ritardo mentale Secondo un articolo pubblicato sul numero dell'8 novembre della rivista "Current Biology", una statina può invertire gli effetti del deficit di attenzione associato alla principale causa genetica di disturbi dell'apprendimento. Lo studio è stato condotto da ricercatori dell'Università della California di Los Angeles (UCLA) in topi modificati geneticamente per sviluppare la malattia, chiamata neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) I risultati sono stati così promettenti che la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha approvato l'utilizzo del farmaco in tre trial clinici attualmente allo studio per sperimentare gli effetti delle statine su bambini e adulti con NF1 congenita. "I disturbi dell'apprendimento e il ritardo mentale - commenta il neurobiologo e psichiatra Alcino Silva dell'UCLA - colpiscono il cinque per cento della popolazione mondiale. Attualmente non esistono opzioni relative al trattamento. Per questo motivo, i nostri risultati sono importanti dal punto di vista clinico". In uno studio precedente, Silva e colleghi avevano associato i problemi di apprendimento della NF1 a una proteina, chiamata Ras, che regola la comunicazione fra le cellule cerebrali. La mutazione di NF1 dà origine a una Ras iperattiva, che disturba la normale conversazione fra i neuroni e impedisce il processo di apprendimento. Gli scienziati hanno cominciato a cercare un farmaco che riducesse l'iperattività della proteina Ras senza causare effetti collaterali dannosi per il suo utilizzo a lungo termine. È stato Steve Kushner, studente di medicina nel laboratorio di Silva, a identificare una statina già approvata dalla FDA e ad associarla con la NF1. Le statine abbassano il colesterolo bloccando gli effetti di determinati grassi. Poiché Ras ha bisogno di grassi per funzionare, un calo di grassi corrisponde a una minor attività della proteina. Gli esperimenti sui topi con la mutazione di NF1 (e con gli stessi sintomi degli esseri umani: deficit di attenzione, problemi di apprendimento e scarsa coordinazione fisica) hanno confermato che il farmaco consente agli animali di raggiungere prestazioni simili a quelle dei normali soggetti di controllo. Li, et al., "The HMG-CoA reductase inhibitor, lovastatin, reverses the learning and attention deficits in a mouse model of Neurofibromatosis ________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’05 MAL DI TESTA E VERTIGNI? FORSE SONO I DENTI I disturbi dell'articolazione della mandibola possono essere il motivo di disturbi altrimenti «incomprensibili» ROMA - Uno stato di ieccessiva attenzione, una forte emozione, un'attività sportiva intensa, possono aumentare la tensione muscolare e causare mal di testa, vertigini, prurito, rumore o dolore alle orecchie, sensazioni fastidiose agli occhi, disturbi dolorosi a livello del rachide. Sono tutti sintomi che accompagnano le disfunzioni «ATM», le patologie dell'Articolazione temporo mandibolare, che saranno al centro del convegno nazionale della Società italiana di odontostomatologia e chirurgia maxillo- facciale (SIOCMF), in programma da giovedì 17 novembre a sabato 19 novembre 2005 presso il Centro Congressi dell'Università Cattolica di Roma. DONNE PIU' COLPITE - L'articolazione temporo mandibolare mette in rapporto la mandibola con il cranio ed è l'unico segmento mobile del complesso cranio facciale. «L' ATM - aggiunge il professor Pelo - è una parte del sistema scheletrico e come tale può soffrire di tutte le patologie a esso correlate, tumori, traumi, malattie infettive e infiammatorie, malattie degenerative, ma la patologia più frequente è rappresentata dal DTM, Disordine temporo-mandibolare, che ha avuto un notevole aumento di incidenza negli ultimi anni soprattutto nel sesso femminile. È perciò necessario che chi, per esempio, accusi disturbi alla testa o al collo o alla mandibola sia valutato dal suo medico nella sua globalità: un consulto medico-dentistico può evitare ai nostri denti di pagare un "caro prezzo". "Stringere i dentì", invito tipico di una società competitiva come la nostra, può pertanto essere fisicamente pericoloso perchè i denti possono perdere il loro equilibrio e procurare danni all'organismo con riflessi significativi sulla qualità della vita delle persone». STRESS - «La tensione muscolare è fisiologica - spiega il professor Sandro Pelo, associato presso la Clinica odontoiatrica della Cattolica di Roma -, corrisponde sempre a una situazione di "massimo impegno". Un individuo costretto a vivere troppo spesso questo tipo di tensione o che vive in modo estremamente stressante situazioni considerate normali è facile che abbia sintomatologia dolorosa dei muscoli masticatori, avvertendo una limitazione della masticazione che spesso non trova soluzione dall'otorinolaringoiatra, dal neurologo o dall'ortopedico, ma può trovare risposte in ambiente odontoiatrico». CAUSE E RIMEDI - Il «disordine temporo-mandibolare» è una patologia caratterizzata da dolore alle orecchie, allo zigomo, alla tempia, all'area occipitale. Può essere causato da problemi locali o generali. Quelli locali sono: alterazioni delle ossa mascellari con cattiva occlusione dentale, alterazioni neuromuscolari, alterazioni della postura (posizione del capo, del collo, della spalla). Tra le cause di carattere generale ci sono: alterazioni ormonali, vascolari, del sistema nervoso centrale e periferico, disturbi psicologici. «Il corpo umano - continua il professor Pelo - come una macchina, ha bisogno di controlli e revisioni: se i denti per esempio sono consumati, se ne manca qualcuno, se sono presenti protesi incongrue possono nascere squilibri che «si fanno sentirè anche lontano dalla bocca; l'input causale risiede a distanza, ma la soluzione è nella bocca stessa, può essere fornita dall'applicazione di un semplice apparecchio per i denti». ________________________________________________________________ Corriere della Sera 14 nov. ’05 IPERTENSIONE: MINACCIA SILENZIOSA La pressione alta è una condizione che riguarderebbe 13 milioni di italiani, ma solo il 20 per cento si cura adeguatamente DALLAS - È un'epidemia silenziosa, perché quasi sempre non procura alcun sintomo, e colpisce 13 milioni di italiani e ben 600-800 milioni di persone nel mondo. Sono dati diffusi durante il Congresso dell'Associazione americana di cardiologia, in corso a Dallas (Texas). L'ipertensione è una patologia subdola da tenere sotto controllo e da non sottovalutare, perchè è uno dei principali fattori di rischio per il cuore, essendo infatti responsabile del 13% di tutti i decessi nel mondo (dati Oms 2003). Però, in molti casi, è diagnosticata tardi e non adeguatamente trattata: solo poco più di 2 italiani su 10, ipertesi, si curano e sono sotto controllo, mentre si stima che tra il 50 e l'80% degli ipertesi nel mondo non segua le terapie consigliate. CHE COS'È E LE SUE CAUSE - L'ipertensione arteriosa è una condizione che si verifica quando la pressione nelle arterie aumenta, superando i livelli normali. Risulta essere il principale fattore di rischio per lo sviluppo di malattie del sistema cardiocircolatorio quali infarto, ictus, ipertrofia ventricolare o insufficienza renale. E' una condizione che colpisce circa il 30% della popolazione adulta, scatenata da più fattori: ambientali e nutrizionali (come l'eccessivo consumo di sale o l'obesità) ma anche genetici. 500 MILA MALATTIE GRAVI IN MENO - Curare l'ipertensione, tenendo sotto controllo la pressione, significa evitare ogni anno in Italia almeno 500.000 casi di gravi malattie cardiovascolari. In altri termini, si preverrebbero almeno 220.000 ictus, 184.000 casi di scompenso cardiaco e 90.000 infarti. Sono le piu recenti stime degli esperti, che sottolineano come questa patologia sia in crescita nel nostro Paese: fino a quattro anni fa, gli ipertesi erano circa il 21% della popolazione, mentre oggi sfiorano il 38%, contro il 44% della media europea, il 54% della Germania e il 30% degli Stati Uniti. Un quadro aggravato ulteriormente dal fatto che l'ipertensione non e quasi mai una malattia solitaria e spesso si accompagna ad altri fattori di rischio cardiovascolari come diabete o alti livelli di colesterolo. La terapia, in questi casi, è fondamentale: la riduzione dei valori pressori abbassa, infatti, del 40% il rischio di sviluppare ictus e del 25% quello di sviluppare infarto. Il vero problema, concludono gli esperti, e che non sempre i pazienti seguono la terapia. ANCHE I BAMBINI A RISCHIO - L'ipertensione rappresenta una seria minaccia per gli adulti, ma può esserlo anche per i bambini. Spesso, infatti, sovrappeso ed eccessivo consumo di sale possono mettere a rischio la pressione arteriosa dei più piccoli. Per questo, i cardiologi raccomandano controlli periodici, soprattutto dai 20 anni in poi. ________________________________________________________________ Corriere della Sera 14 nov. ’05 IN SPERIMENTAZIONE IL VACCINO ANTIPERTENSIONE Dai presentati a Dallas, al congresso dell'American Heart Association IN SPERIMENTAZIONE IL VACCINO ANTIPERTENSIONE Agisce neutralizzando l'enzima angiotensina II. Lo stesso contro cui sono diretti alcuni dei più comunu farmaci contro la pressone alta. E' stato testato con buoni risultati su 72 volontari DALLAS - Sono positivi i primi risultati della sperimentazione del primo vaccino terapeutico contro l ipertensione, una delle principali cause delle malattie cardiovascolari. I risultati relativi alla fase I di sperimentazione del vaccino che, nel prossimo futuro, potrebbe tentare di risolvere il problema della pressione arteriosa alta che affligge milioni di persone nel mondo, sono stati presentati oggi al Congresso dell Associazione americana di cardiologia, a Dallas. Il vaccino, il primo del genere, è stato messo a punto dai ricercatori della Cytos Biotecnology: «I risultati della sperimentazione di fase uno su 16 volontari sani - ha affermato l'immunologo e direttore scientifico della Cytos Biotecnology, Martin Bachmann - sono positivi e hanno dimostrato la tollerabilità e la non tossicità del vaccino. Sono risultati preliminari ha commentato che lasciano ben sperarè. Attualmente, ha spiegato Bachmann, «è già stata avviata la sperimentazione di fase II del vaccino su un campione di 72 volontari ipertesi, ma i dati presentati oggi sono relativi alla fase I su un campione di 16 volontari sani e riguardano la sicurezza e la tollerabilità del vaccino, nonchè la risposta immunitaria nei volontari a seguito della vaccinazione». Ma come funziona e qual è l'effetto del primo candidato vaccino anti-pressione alta? Il vaccino, in pratica, «neutralizza l'angiotensina II, uno dei principali fattori che regolano la pressione arteriosa. Si tratta di una sostanza ha spiegato Bachmann colpevole del restringimento dei vasi sanguigni e, di conseguenza, dell'ipertensione». Neutralizzata l'angiotensina II, dunque, l effetto è quello di una normalizzazione della pressione sanguigna. ________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 nov. ’05 ASCENSORI LENTI E CORRIDOI ECCO LE CASE PER DIMAGRIRE La svolta degli architetti Usa. «Ora arriverà in Europa» Ridisegnate università e aziende: anche specchi che snelliscono per dare fiducia DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - «Quanto tempo hai trascorso in attesa?», chiede l' impertinente adesivo sulle porte degli ascensori. E un secondo cartello: «Non sarebbe molto meglio imboccare i gradini?». All' ingresso dello stesso palazzo di sette piani qualcuno ha stampato impronte di scarpe sul pavimento che conducono alle scale. Non solo: su ogni pianerottolo specchi dimagranti corteggiano chi ha deciso di bruciare qualche caloria. «L' idea è di farti sembrare più in forma rispetto allo specchio dell' ascensore», spiega entusiasta uno degli inquilini della cosiddetta casa per dimagrire. L' esperimento è andato avanti per un anno sia nell' edificio pilota sia in un altro stabile, identico ma senza gli incentivi al movimento. Risultato: nel palazzo «per dimagrire» la gente ha fatto le scale molto di più rispetto all' altro complesso, sgravandosi notevolmente del soprappeso accumulato per colpa di una vita troppo sedentaria. Il trend sta prendendo piede in un' America vessata dalla piaga dell' obesità, che costa 75 miliardi di dollari all' anno in spese sanitarie ed affligge il 65% della popolazione. «La soluzione è dietro l' angolo», spiega James Sallis, docente di psicologia alla San Diego State University. «Due minuti di scale al giorno si traducono in 5.800 calorie extra bruciate ogni anno, pari a mezzo chilo di grasso buttato a mare». Fino ad oggi gli architetti progettavano edifici che minimizzassero gli sforzi per andare da un posto all' altro. «Oggi è vero il contrario - scrive il Wall Street Journal - , per combattere i chili di troppo, università e grandi aziende hanno abbracciato l' idea che è meglio far muovere i dipendenti, non tenerli inchiodati otto ore alla scrivania». E così a partire dal luglio 2007 i tremila studenti di business della Virginia Commonwealth University raggiungeranno le aule della nuova struttura usando le scale, visto che gli ascensori saranno ultra-lenti e verranno installati in un angolo remoto del grande ingresso, dove al contrario faranno bella mostra i gradini - 26 per il primo piano, 76 fino al quarto - destinati a tenere in forma allievi e professori. Nel nuovo quartier generale del Dipartimento dei Trasporti della California gli ascensori si fermano ogni due piani: un incentivo ad usare le scale, mentre l' ascensore tradizionale sarà solo per i disabili. Nel campus del gigante delle comunicazioni Sprint Nextel a Overland Park, in Kansas, passaggi pedonali coperti nel giardino incoraggiano i dipendenti a spostarsi a piedi anche in mezzo alle intemperie. Che cosa dicono gli impiegati di questa ginnastica forzata? «È meglio di qualsiasi palestra e dieta dimagrante - commenta Barbara Hansen, una 51enne che lavora al campus della Sprint Nextel e pesava 116 chili nel marzo del 2004 -. Il mio lavoro richiede che io rimanga seduta per ore di fronte ad un computer, ma oggi peso 89 chili, 27 di meno e non ho più la pressione alta né il colesterolo». «I nostri clienti fanno una scelta consapevole per promuovere l' attività fisica sul luogo di lavoro - incalza Philip Dordai, architetto dell' Hiller Architecture di Princeton, in New Jersey, leader nel settore -; è inevitabile che, prima o poi, il trend arrivi anche da voi in Europa». Alessandra Farkas I DATI DELL' ISTAT 9 PER CENTO Sono gli italiani maggiorenni obesi secondo l' indagine Istat sugli stili di vita (su dati del 2003) 33,6 PER CENTO Sono i maggiorenni in sovrappeso. Nel rilevamento precedente (2000) erano il 33,9% 50,4 PER CENTO Tra gli uomini con un basso titolo di studio il sovrappeso è più diffuso: oltre il 50 per cento dei casi 43,2 PER CENTO Nelle casalinghe l' eccesso di peso è molto più diffuso che tra le occupate: 43,2% contro 22,9% Farkas Alessandra ________________________________________________________________ Corriere della Sera 13 nov. ’05 GLAUCOMA, ARRIVA UNA PILLOLA CHE DIFENDE LA VISTA Protegge il nervo ottico Una compressa in grado di difendere le cellule del nervo ottico dalla degenerazione provocata dal glaucoma. Autorizzata in Italia quest' anno, è in vendita da ottobre. La molecola è l' epigallocatechingallato. «Si suppone abbia un effetto protettivo sulle cellule ganglionari della retina che vengono danneggiate nel glaucoma», spiega Carlo Enrico Traverso, Clinica oculistica dell' Università di Genova, Azienda ospedaliera San Martino. Ma cos' è il glaucoma? «Una malattia degenerativa del nervo ottico in grado di provocare un progressivo restringimento del campo visivo che può evolvere fino alla cecità (15 casi su cento). E' subdolo e progredisce in modo silente. Ne viene colpito il 2% delle persone che hanno superato i 40 anni (oltre 600 mila in Italia) ma il pericolo di ammalarsi riguarda tutta la popolazione». Il maggiore fattore di rischio è l' elevata tensione intraoculare (la pressione interna all' occhio). Però non è l' unico: infatti molte persone con alta pressione intraoculare non sviluppano il glaucoma mentre invece altre, con pressione normale, ne sono affette. La pressione elevata provoca sul nervo ottico lesioni che innescano un processo degenerativo a catena che colpisce, nel tempo, tutti i neuroni che costituiscono il nervo. Altro fattore di rischio è la scarsa ossigenazione delle cellule retiniche, dovuta al ridotto apporto di sangue al tessuto. «La metà delle persone affette da glaucoma non sospetta di avere la malattia - dice Traverso -. Perciò non si rende conto di avere una pressione intraoculare elevata e che il campo visivo si sta restringendo». Generalmente, la prima cura consiste nella somministrazione di collirî che abbassano la pressione nell' occhio. Non sempre però ciò è sufficiente a preservare il nervo ottico. E questo sembra proprio il ruolo della nuova molecola, l' epigallocatechingallato, un neuroprotettivo attualmente in sperimentazione anche per l' Alzheimer e il Parkinson. M. Pap. Pappagallo Mario ________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’05 CONTRORDINE DAI MEDICI: IL DECAFFEINATO FA MALE AL CUORE Nuovo studio: rivalutato il caffè classico, l' altro alza il colesterolo cattivo I ricercatori hanno analizzato poco meno di duecento volontari Tre mesi di monitoraggio, poi la bocciatura della versione salutista L' indagine è stata presentata al convegno dei cardiologi americani: gli effetti negativi con 4-6 tazze al giorno, con dosi minori non ci sono rischi Dimagrante, antitumorale, protettore delle cellule nervose, adiuvante della fertilità maschile, scudo per il fegato. La scienza ha di recente rivalutato il caffè sotto molti aspetti. Con le sue oltre 600 sostanze attive, la bevanda, tanto amata dagli italiani, sarebbe una sorta di elisir di lunga vita, se non fosse per la caffeina e il cuore. Ma anche questo pericolo, ieri, è stato smentito dal congresso dell' Associazione americana di cardiologia a Dallas. Secondo uno studio della Fuqua Heart Center and Piedmont Mercer Center for Health di Atlanta, sarebbe il caffè decaffeinato a rappresentare un pericolo per il cuore. Di conseguenza: la caffeina c' entra poco. Brutto colpo per i salutisti acritici. La differenza verrebbe dal tipo di colesterolo che si alza quando si bevono 4-6 tazze di caffè americano al giorno: se è decaffeinato, a salire è il cosiddetto colesterolo cattivo, o Ldl. La ricerca ha coinvolto per tre mesi 187 volontari divisi in tre gruppi: il primo ha consumato 4-6 tazze di caffè normale al giorno; il secondo 3-6 tazze di decaffeinato al giorno, mentre il terzo gruppo non ha consumato caffè. I ricercatori hanno quindi misurato il livello di caffeina nel sangue dei partecipanti, così come gli indicatori chiave della salute del cuore (come, ad esempio, la pressione arteriosa) prima e dopo il periodo di studio. I risultati? Dopo tre mesi, il gruppo di pazienti che aveva bevuto solo caffè decaffeinato presentava un aumento del livello degli acidi grassi, che nel sangue favoriscono la produzione del colesterolo «cattivo» o Ldl. «È la prima volta - ha affermato il cardiologo Robert Superko, responsabile dello studio - che si hanno risultati così sorprendenti. C' è una differenza sostanziale tra caffè normale e decaffeinato e, contrariamente a ciò che la gente ha sempre pensato, crediamo che non sia il classico caffè, bensì proprio quello decaffeinato, a poter fare aumentare i fattori di rischio per le malattie cardiache». Una domanda, a questo punto, è d' obbligo: non sarà che lo studio è stato finanziato dai produttori di caffè? La risposta è che i finanziamenti sono tutti pubblici, federali. L' obiettivo era proprio quello di valutare l' efficacia del decaffeinato. Ma come mai questo contrordine della scienza sul caffè? «E' emerso che parecchi studi del passato avevano difetti di metodo. In genere fumo e caffè si abbinano e molti dei problemi attribuiti alla caffeina in realtà venivano proprio dalle sigarette» spiega Carlo La Vecchia, epidemiologo dell' Università di Milano. Ed ecco allora che il caffè è diventato «buono»: si può bere in gravidanza, non favorisce alcun tumore (proteggerebbe anzi da quello al colon), non coadiuva l' osteoporosi nelle donne. Ricchissimo in antiossidanti, sarebbe addirittura più potente della vitamina C e del tè verde come elisir di giovinezza. Non solo: aumenterebbe la vivacità degli spermatozoi (maschi più fertili). Senza contare gli effetti sulla regolazione termica dell' organismo: fa bruciare calorie. L' azione della caffeina sul cervello è nota: a piccole dosi favorisce il rilascio dei neuro trasmettitori eccitatori. Bastano due tazze abbondanti al giorno per avere benessere, energia e capacità di concentrazione. Mentre dosi elevate (400-800 milligrammi) generano nervosismo, ansia, aggressività e insonnia. Da vasocostrittore, la caffeina allevia il mal di testa e, attraverso meccanismi ancora sconosciuti, potenzia i farmaci antidolorifici. Ed è un neuroprotettore. Secondo la Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) i consumatori moderati di caffè hanno il 50% di probabilità in meno di contrarre il morbo di Parkinson. Mario Pappagallo La ricerca di Atlanta Sono stati i ricercatori della Fuqua Heart Center and Piedmont Mercer Center for Health di Atlanta a rivelare che il decaffeinato può danneggiare il cuore. Lo studio, durato 3 mesi, si è basato sul monitoraggio di 187 volontari divisi in 3 gruppi in base alla quantità e al tipo di caffè consumato ogni giorno: da 4 a 6 caffè normali il primo gruppo, da 3 a 6 decaffeinati il secondo, nessuna tazzina il terzo. Pregi e difetti Non solo il decaffeinato danneggia il cuore, ma pare anche che il caffè normale faccia bene. Secondo gli scienziati proteggerebbe dal tumore al colon e funzionerebbe come elisir di giovinezza. E non basta. Pare che aiuti a bruciare calorie e che aumenti persino la vivacità degli spermatozoi. Ma attenzione a non abusarne: si andrebbe incontro a nervosismo, aggressività e insonnia. Pappagallo Mario ________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’05 TROPPI ERRORI IN OSPEDALE: ARRIVA IL MANAGER ANTIRISCHI Danni da «eventi avversi» a 320 mila ricoverati ogni anno L' Oms: il 75% dei 52 mila casi critici sarebbe evitabile con una diversa e migliore organizzazione Un nuovo percorso di carriera che si apre anche ai neolaureati Dici pronto soccorso e pensi a «E.R.», la popolare serie tv che racconta di medici e infermieri al limite dell' eroico, dove, se qualcosa va storto, significa che non c' era proprio nulla da fare. La cronaca italiana - ultimo caso noto un uomo siciliano deceduto dopo un' operazione di ernia - scrive invece di storie diverse. Le ultime statistiche disponibili fotografano un 4% di ricoverati italiani, oltre 320 mila persone, che subisce danni evitabili (fonte: Rischio Sanità del 2001) con un costo che l' Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani stima sui 2,5 miliardi. Invertire questa tendenza - e non solo a livello d' immagine - è compito dell' «Hospital risk manager», una figura presa dalla gestione aziendale e trapiantata, con le dovute differenze, in ambito medico. A lui spetta identificare le potenziali criticità del sistema e dei processi operativi, per ridurli e, quando possibile, eliminarli. UN NUOVO PROFESSIONISTA - L' Hospital Risk manager ha a che fare con il rischio clinico legato a diagnosi, interventi e terapie, ma anche con i problemi di gestione informativa dei dati personali, con la comunicazione in caso di crisi e persino con la manutenzione delle apparecchiature sanitarie. Ecco perché far parte dell' Unità di gestione del rischio di un' azienda ospedaliera può essere un obiettivo percorribile non solo per i seguaci di Ippocrate, ma anche per chi proviene da facoltà economico-giuridiche o da neoingegneri. SE È COLPA DEL SISTEMA - Diversa formazione, diversi ruoli, ma tutti accomunati da un unico obiettivo: individuare, prevenire e ridurre gli errori o, per usare un termine tecnico, gli «eventi avversi». Il presupposto è che il pericolo si annidi più nell' organizzazione che nelle capacità del singolo operatore, spesso ultimo e inconsapevole anello di una catena di disfunzioni. Lo conferma Quirino Piacevoli, presidente della Società scientifica di Clinical risk e uno dei cinque membri della World Safety Commission della Oms: «Uno studio ha evidenziato come, su oltre 52 mila eventi avversi occorsi in Italia, il 70-75% sia stato generato da cause organizzative e solo il 6% dalle capacità del professionista. Questo perché l' ospedale è sempre più una organizzazione complessa, multiprofessionale e multidimensionale basata sulla tecnologia». IL RATING - Negli Usa il problema si è posto trent' anni fa: in un sistema dove le assicurazioni giocano un ruolo preponderante, l' impennata dei costi delle richieste di risarcimento e, di conseguenza, dei premi assicurativi, ha reso indispensabile creare quella figura. Un percorso per molti versi riproducibile anche in Italia, come attestano diversi segnali. Il contratto nazionale dei medici, siglato recentemente, fa esplicito riferimento a un Risk manager per ciascuna struttura ospedaliera. Ministero della Salute e Regioni si stanno attivando: la Lombardia, ad esempio, punta a ottenere un rating di affidabilità per ogni singolo reparto, sul modello di quelli utilizzati per i titoli scambiati in Borsa, entro il 2007. MENO «PAZIENTI» - Ma non saranno solo i fattori economici a imporre queste nuove professionalità. Adolfo Bertani, presidente del Consorzio universitario Cineas, conferma il ruolo decisivo svolto dalla mutata sensibilità dei cittadini: «Oggi non si parla più di pazienti, ma di consumatori razionali. Il consenso informato ha creato una maggior consapevolezza e impone alle strutture ospedaliere di fornire risposte precise». Quello del Clinical risk manager diventa quindi un ruolo appetibile per neolaureati disposti a investire in formazione specifica, magari mentre già si lavora per una struttura sanitaria. Maria Cristina Confortini, Risk manager degli «Spedali civili di Brescia» e membro del gruppo che in Lombardia redige le linee guida sul rischio clinico: «In Lombardia sono già stati nominati cinquanta esperti del rischio, ma la richiesta è destinata ad aumentare, tanto che si moltiplicano anche le offerte formative». Ai corsi Cineas, attivi ormai da tre edizioni, si affiancheranno presto master a Roma e Padova e già si sono mosse anche l' Università di Pisa, Urbino, delle Marche e di Torino, senza contare le proposte delle scuole manageriali. A quali sbocchi possano puntare gli aspiranti risk manager della sanità lo spiega Paolo Moreni, Clinical risk manager dell' Azienda ospedaliera di Padova. «Accanto alla collocazione nelle aziende ospedaliere si apre la strada nelle assicurazioni come consulenti e periti». Vanna Toninelli Toninelli Vanna