IL PAPA: LA SCIENZA DEVE APRIRSI A DIO - SEVERINO: LA SCIENZA NON VA FRENATA - BONCINELLI: MATRIMONIO IMPOSSIBILE L'UNICO CRITERIO É LA SPERIMENTAZIONE - VERONESI: SENZA RICERCA NON C'è CURA - CAO: LA GENETICA HA SENSO SE E’ UTILE A TUTTI - GESSA: LA VIA LAICA ALLA BEATITUDINE - NO ALLE FINTE UNIVERSITÀ - SU CATTEDRE E IMPRESE LA LEZIONE USA - MORATTI SBLOCCA L'ITT, GRILLI AL VERTICE - GIUSTO SELEZIONARE GLI STUDENTI MIGLIORI - ATLANTIDE IL MITO E LE POLEMICHE - CRNJAR «GRAZIE ALLA SCIENZA L’ISOLA PUÒ RILANCIARE CULTURA E TRADIZIONI» - UNIVERSITÀ DI SASSARI, VIA LIBERA AL «MAIDA 4» - IL SOFTWARE APERTO È UN BUSINESS PER GLI ITALIANI - DENUNCIATO IL PROFESSORE HA COPIATO DALLO STUDENTE - MATEMATICA DI REGIME: MEGLIO SENZA OPINIONE - ======================================================= LE TRE CONDIZIONI DI UN NUOVO MODELLO EUROPEO DI WELFARE - VIAGGI DELLA SPERANZA CON MOLTI LIMITI - TRINCAS: MA LA SANITÀ NON HA COLORI POLITICI - SCUOLA D’INFERMIERI E OSTETRICI SONO SETTANTA I POSTI A CONCORSO - TRAPIANTATO UN FEMORE DA UN PAZIENTE MORTO - IBM: NASCE L'ARCHIVIO PER LE MAMMOGRAFIE - SARDINE DUE VOLTE ALLA SETTIMANA, PER PROTEGGERSI DA, INFARTO E ICTUS - MENO AMPUTAZIONI CON L'ANGIOPLASTICA - IL VINO PROTEGGE I NEURONI - MARIJUANA IN CORSIA CONTRO IL DOLORE - CELLULARI E SMOG, TIROIDE IN PERICOLO - I REUMATISMI SONO LA PRIMA CAUSA DI INVALIDITÀ - PROSTATA, GENE "MOSTRO" È LA CAUSA DEL CANCRO - IL DIFETTO NEL DNA DEL DIABETE 2 - AUTO, CD E DVD A NOLEGGIO UN RICETTACOLO DI BATTERI - LA SANITÀ IN INDIA - TERAPIA GENICA CON LA DIETA - ASPARTAME E TUMORI - COLESTEROLO LDL E ATTACCHI CARDIACI - ANCHE I TUMORI TRA I RISCHI DELL’OBESITÀ - ======================================================= _______________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25-11-2005 IL PAPA: LA SCIENZA DEVE APRIRSI A DIO monito del Pontefice all'inaugurazione dall'anno accademica. Correnti della filosofia moderna riducono la conoscenza a ciò che é dimostrabile» il Papa: «La scienza deve aprirsi a Dio» Ratzinger all'Università cattolica: «Coniugare. fede e ragione» ROMA- Le università cattoliche debbono «fare scienza nell'orizzonte di una razionalità vera, diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta al trascendente, a Dio», perché non si può ridurre l'orizzonte della conoscenza umana al «dimostrabile mediante l’esperimento», come vorrebbero «correnti importanti della filosofia moderna»: lo ha affermato ieri il Papa, aprendo l'anno accademico dell'Università cattolica del Sacro Cuore. È stato uno dei discorsi di maggiore respiro tra quanti ne abbia tenuti fino a oggi il Papa teologo, paragonabile a quello con cui il 18 aprile, da cardinale decano, puntò il dito contro la «dittatura del relativismo» e all'altro con cui, il 2 ottobre, aprì il Sinodo dei vescovi, affermando che «non è tolleranza ma mistificazione» la pretesa della società secolare di «espellere Dio dalla vita pubblica» Benedetto XVI, rispondendo al saluto del rettore Lorenzo Ornaghi e del cardinale Dionigi Tettamanzi, è partito dal compito proprio di un'università cattolica, che consisterebbe nell'elaborare «sempre nuovi percorsi di ricerca in un confronto stimolante tra fede e ragione che mira a recuperare la sintesi armonica raggiunta da Tommaso d'Aquino e dagli altri grandi del pensiero cristiano, una sintesi contestata purtroppo da correnti importanti della filosofia moderna» Secondo Papa Ratzinger, «la conseguenza di tale contestazione e stata che come criterio di razionalità è venuto affermandosi in modo sempre più esclusivo quello della dimostrabilità mediante l'esperimento: le questioni fondamentali dell'uomo, come vivere e come morire, appaiono così escluse dall'ambito della razionalità e sono lasciate alla sfera della soggettività». Per Benedetto XVI le conseguenze sono di grande portata: «Scompare, alla fine, la questione che ha dato origine all'università, la questione del vero e del bene, per essere sostituita dalla questione della fattibilità». Ritornare a porre quelle questioni «nel 2000», insistendo, contro corrente, a «coniugare fede e scienza» è «un'avventura entusiasmante perché, muovendosi all'interno di questo orizzonte di senso, si scopre l'intrinseca unità che collega i diversi rami del sapere, perché tutto è collegato». Si tratta di un'argomentazione che il cardinale Ratzinger aveva già abbozzato in una conferenza tenuta a Berlino nel 2000 e in un'altra letta a Roma nel maggio del 2004 su invito del presidente del Senato Marcello Pera. In tali occasioni aveva qualificato come «secondo illuminismo» la tendenza filosofico-scientifica che riduce la sfera del razionale alle «esperienze della produzione tecnica su basi scientifiche». Benedetto XVI ha pure accennato alla questione della contraccezione, affermando di avere particolarmente «a cuore» l'Istituto scientifico internazionale Paolo VI di «ricerca sulla fertilità e infertilità umana per una procreazione responsabile» che opera all’interno dell'Università cattolica: Un istituto, ha detto, «nato per rispondere all'appello lanciato dal Papa Paolo VI nell'enciclica Humanae Vitae e che si propone di dare una base scientifica sicura sia alla regolazione naturale della fertilità umana che all'impegno di superare in modo naturale l'eventuale infertilità». Il Papa ha pure ringraziato con parole commosse il personale del Gemelli (il policlinico dell'Università cattolica) per le cure prestate a Giovanni Paolo II: «In quei giorni verso il Gemelli era rivolto da ogni parte del mondo il pensiero dei cattolici, e non solo. Dalle sue stanze di ospedale il Papa ha impartito a tutti un insegnamento impareggiabile sul senso cristiano della vita e della sofferenza, testimoniando in prima persona la verità del messaggio cristiano». Luigi Accattoli ___________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25-11-2005 SEVERINO: LA SCIENZA NON VA FRENATA di EMANUELE SEVERINO La celebrazione della «Giornata per la ricerca sul cancro» ha come sfondo i grandi problemi della salute e della salvezza, del dolore e della morte. La malattia e la perdizione - tanto del «corpo» quanto dell'«anima» - sono forme di impotenza. Appunto per questo, da sempre, l'uomo tenta di allearsi alle forze che ai suoi occhi appaiono come le potenze supreme. L'uomo antico e l'uomo della tradizione pensano che la potenza suprema sia il divino. L'uomo del nostro tempo pensa invece di essere egli stesso il costruttore dell'unica forma possibile della potenza suprema: si allarga sempre di più sulla Terra la convinzione che la capacità di «muovere le montagne», cioè di liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla morte, competa alla tecnica guidata dalla scienza moderna. Certo, tra l'uomo vecchio e quello nuovo c'è un contrasto radicale. Che però non si deve tentare di nascondere, soprattutto ai giovani. Il senso fondamentale del nostro tempo è appunto il contrasto tra l'antico e il nuovo modo di pensare e mirare alla potenza salvifica: il contrasto, da un lato, tra l'alleanza con la potenza divina, da parte dell'uomo metafisico-religioso-artistico, e, dall'altro lato, l'alleanza con la potenza della tecnica guidata dalla scienza moderna e sensibile alla critica a cui il divino è stato sottoposto da parte del pensiero filosofico degli ultimi due secoli. Ma se il contrasto che ci sta dinanzi non è anche dialogo tra l'antico e il nuovo, allora ogni potenza, salvezza, salute, ogni essere bene e ogni benessere abbandonano sia l'uomo antico sia il nuovo. Scienza e tecnica, in,fatti, non possono ignorare che la loro forma di potenza si trova dinanzi agli stessi problemi affrontati dalla potenza che è propria del sapere religioso, metafisico, artistico del passato. Le forme sociali e culturali che ereditano i valori del passato umanistico e religioso intendono servirsi della scienza e della tecnica come uno strumento, di un mezzo il cui unico compito sia quello di perpetuare tali valori. Tuttavia queste forze debbono riconoscere che, proprio per far vivere i valori del passato, lo strumento con cui si fa vivere non può essere indebolito, frenato, legato. Si aggiunga che; rispetto alta continua innovazione prodotta dal sapere scientifico-tecnologico, anche forme sociali come la democrazia, il capitalismo e, ieri, il socialismo reale, sono da considerare come appartenenti al passato e dunque coinvolti nel rapporto conflittuale con la scienza e la tecnica. Le quali hanno anch'esse, di per sé stesse, uno scopo: la crescita indefinita della potenza capace di liberare il più possibile l'uomo dal dolore e dalla morte. E ciò va sottolineato, aggiungendo che non si deve perdere di vista la destinazione tra l'apparato scientifico-tecnologico e la gestione ideologica di tale apparato. E' quest'ultima la vera responsabile delle diffidenze che spesso si nutrono nei confronti della scienza e della tecnica e della loro libertà. Nessuna potenza è possibile senza giustizia sociale. Un sistema sociale ingiusto provoca conflitto; il conflitto rende impotente il sistema. La potenza autentica della scienza e della tecnica è inseparabile dalla giustizia. ____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25-11-2005 BONCINELLI: MATRIMONIO IMPOSSIBILE L'UNICO CRITERIO É LA SPERIMENTAZIONE «La scienza si basa sulla razionalità e sulla verificabilità sperimentale. Questi, e non altri, sono i due cardini della scienza, come la conosciamo da quasi 400 anni». Edoardo Boncinelli, biologo e genetista «non credente», una cattedra di Genetica e antropologia all'Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, è lapidario. Nessuna apertura alla trascendenza, nessun criterio alternativo alla dimostrabilità sperimentale. «Alla razionalità, caratteristica di matematica e filosofia, le scienze uniscono la sperimentazione. Due concetti che non possono essere separati». Ratzinger ha anche invitato a riscoprire «la questione del vero e del bene», ormai sostituita, ha detto il Pontefice, da quella sulla fattibilità. «La scienza cerca a modo suo, ponendosi domande alle quali è possibile rispondere. Di certo non riguarda la scienza il bene, che è un concetto estraneo alla ricerca, se non nelle applicazioni. Lo stesso vale per il trascendente: un ambito che per definizione non fa parte della scienza, poiché non è un'ipotesi necessaria. Quindi la scienza, quando è seria (e purtroppo non sempre lo è), non se ne occupa». Nessuna sintesi tra fede e ragione, dunque. «A livello professionale, questo matrimonio tra scienza e fede non lo vedo. Poi è chiaro che, a livello personale, uno può essere scienziato quando fa ricerca e uomo di fede quando si interroga, parla con se stesso. Se si mescolano le due sfere, il risultato è salo una grande confusione». Va detto che quello del Papa, per quanto rivolto ai ricercatori cattolici, è un intervento forte. «Oggi dire che la razionalità scientifica non è l'unica va di moda; è un attacco che non viene solo dalla Chiesa, ma anche da alcune forze laiche, in maniera più sotterranea e contorta. Il punto è che finora nessuno è stato in grado di proporre alternative». Gabriela Jacomella _______________________________________________________________________ Repubblica 26 nov. ’05 VERONESI: SENZA RICERCA NON C'è CURA TUTTO è concesso ali 'uso della scienza per l’AAOIL10, tutto è negato all'uso dell'uomo per la scienza. In questa frase - che apre lo Statuto del primo Comitato etico d'ospedale in Italia, che ho costituto personalmente nel `72 con Giulio Maccacaro - c'è il senso più profondo della giornata nazionale per la ricerca contro il cancro, che l’Airc promuove oggi in tutto il Paese, dedicandola alla «ricerca che cura». Uno slogan che fa riflettere sul delicato legame fra i progressi scientifici e tecnologici e le loro applicazioni sui i malati, fra la scienza e l’uomo. Io vi leggo almeno dite significati. Il primo è che è cambiato il modo di curare il cancro perché oggi la ricerca è parte della cura. Da quando la medicina molecolare è in grado, attraverso l'analisi del profilo genetico di una cellula normale, di leggere in questa cellula la sua capacità di crescita e di diffusione e contemporaneamente la sua possibile risposta alle terapie mediche, l'atto terapeutico è anche un atto di ricerca. Per il paziente questo significa terapie personalizzate, e quindi meno tossiche, e terapie innovative, perché è più rapido il trasferimento dei risultati della ricerca alla clinica. Siamo quindi nell'era di una medicina più scientifica, certamente più efficace, m che corre inevitabilmente il rischio di perdere la sua umanità. Ecco perché il cammino dal laboratorio al letto del malato va percorso anche in senso inverso. E qui sta il secondo significa io. Il ricercatore ha imparato - o imparerà- ad andare in cor sia e guardare negli occhi i inala ti, perché quanto più si va verso una medicina tecnica e tecnologica, tanto più bisogna alimentare la medicina empatica, quella del dialogo, della coniugazione, dell'attenzione alla di menzione psicologica e soggettiva della malattia. Per il medico il malato è un corpo da guarire per il ricercatore è un corpo da studiare. Ma i due atteggiamenti devono coesistere. Guai alla scienza se si cura senza ricerca, guai alla medicina se l'ansia di ricerca e innovazione le fa trascurare i suo impegno umano. Il sottile equilibrio fra il curare e il prendersi cura diventa il punto discriminante. E per noi che siamo medici e ricercatori è molto chiaro che questo equilibrio non è sempre facile da rispettare e non possiamo nascondere che nel passato abbiamo vissuto degli abusi nei riguardi del inalato. Ma quando il paziente è l'ago della bilancia, i risultati ci sono. Riduzione della mortalità globale per cancro, aumento delle curve di guaribilità e migliore qualità di vita per tutti i malati oncologici, grazie alla lotta di chiarata al dolore fisico, che og gi viene trattato come un sintomo, e psicologico, con la fine delle T1laAtilazioTli inutili del proprio corpo. A questo punto una riflessione si presenta con forza. Se la ricerca è vincente, nel pensiero e nei fatti, perché è così poco considerata nel nostro Paese? Alla ricerca contro il cancro vengono dedicati ogni anno non più di 130 milioni di euro (40% dei quali provengono da Airc). E' molto poco per un paese civilizzato e soprattutto per i malati di cancro (250mila l'anno) che potrebbero avere più rapidamente cure migliori. Del resto il problema è ancora più ampio: l'Italia investe in ricerca scientifica circa l'uno per cento del suo prodotto interno lordo, una fra le percentuali più basse in Europa: Perché? Io credo che le ragioni siano da ricercare più nella nostra cultura che nella nostra economia. La questione è molto semplice nella sua drammaticità: è tramontata la fiducia nella scienza. Si è diffuso in Italia un sottile a scetticismo nelle capacità della scienza di migliorare la nostra vita sui pianeta, che non va sottovalutato perché può essere pericoloso per il futuro. Lo vediamo nei nostri giovani, che sono appunto il nostro futuro e che - si stanno allontanando dalla scienza. Le facoltà scientifiche - sono quasi deserte. Oggi abbia- mo in piena attività una classe forte di ricercatori, che ci garantisce l'avanzamento della scienza, ma domani cosa succederà - in assenza di un ricambio generazionale? I ricercatori sono stati poco considerati: per anni non ci si è impegnati abbastanza per procurare percorsi di carriera e sbocchi professionali adeguati. Il risultato è la rinuncia o la migrazione all'estero, per chi ha i mezzi per farlo. Già, perché la scienza non si ferina nel resto del mondo. È urgente quindi creare le condizioni perché i nostri i giovani si ravvicinino alla scienza. Questo è l'appello che rivolgiamo oggi al Paese: alle istituzioni ma anche ai suoi pensatori, filosofi, teologi, econoIL11St1, giuristi, giornalisti e chiunque abbia un ruolo sociale nel paese. È importante riconciliare la scienza con l'uomo, puntando concretamente sulle nuove generazioni, se vogliano continuare a migliorare la nostra vita, cominciando dal nostro bene più prezioso: la salute. _______________________________________________________________________ UNIONE SARDA 20 nov. ’05 CAO: LA GENETICA HA SENSO SE E’ UTILE A TUTTI Lo scienziato Cao e Mario Pirastu, direttore di Shardna, a confronto su "Sardegna terra di genetisti" Se esiste un criterio cui ispirarsi per orientarsi nella selva degli studi genetici e della loro utilizzazione, può essere questo: la genetica dev'essere utile a tutti, ad ogni latitudine. In altre parole, secondo Antonio Cao, genetista sardo di notorietà internazionale, «la genetica, per rispondere ai principi dell'etica, deve avere la capacità di distribuire equamente i suoi servizi a qualunque persona, in qualunque parte del mondo risieda». La premessa non ò da poco se si tiene conto dei dilemmi morali posti dalle più recenti conquiste della ricerca scientifica e tecnologica in relazione a identificazione, mappatura e sequenziamento dei geni umani, nonché all'individuazione della funzione specifica dei singoli geni (Progetto Genoma). A cominciare, per esempio, dall'origine e dalla ripartizione dei finanziamenti. Il Progetto Genoma richiede considerevoli risorse e allora, come utilizzarle e a chi chiederle? Di vile denaro si ò parlato non poco al secondo seminario, Sardegna: terra di genetisti, del ciclo "I giovedì della salute", organizzati dall'assessorato regionale alla Sanità e all'Assistenza sociale, in programma fino al 23 marzo nella sala conferenze del Banco di Sardegna. Se Antonio Cao, illustre pediatra, professore emerito dell'Università di Cagliari e direttore dell'Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del Cnr, ha illustrato oltre trent'anni di attività scientifica nel campo delle malattie più diffuse tra i sardi come la talassemia e il diabete, Mario Pirastu, direttore del progetto scientifico "Shardna", ha insistito sulla necessità di considerare la ricerca un fruttuoso investimento per l'isola. A sostenere che è bene tenere separate libertà della scienza e utilità pratica delle scoperte, il farmacologo e consigliere regionale Gian Luigi Gessa. Ha moderato il dibattito, che non ha risparmiato polemiche, il giornalista Giorgio Greco. A proposito della ricerca genetica può dirsi ciò che riguarda in generale le questioni di salute. Esiste un divario enorme tra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo. Le somme di denaro che si spendono per investire nella cosiddetta medicina personalizzata, terapie e farmaci su misura del singolo ammalato, non sono neppure paragonabili a quelle che si spendono, per esempio, per la ricerca di farmaci antimalarici. Eppure, rammenta il professor Cao, un numero enorme di persone muore di malaria perché nessuno pensa a loro. Allo stesso modo, in questa parte del mondo, i ragazzi affetti da talassemia sono curati, dall'altra parte muoiono. «Il nostro compito» spiega Cao, «ò quello di adoperarci in modo che le disparità vengano a sparire». Lo scienziato ha la possibilità di intervenire nelle scelte di chi finanzia le ricerche? «Noi abbiamo la responsabilità morale di sviluppare qualcosa che serva per tutti. In questo senso possiamo condizionare le scelte etiche e politiche di chi mette i soldi per finanziare la ricerca, agitando problemi quali, per esempio, l'enormità del divario che andrà sempre aumentando tra noi e gli altri». L'omogeneità genetica dei sardi é una risorsa. Che vantaggi possiamo trarne? «Vari, in termini di salute e prospettive di cura, e in termini economici. Intanto, poiché i geni delle malattie complesse divergono tra le varie popolazioni, ò possibile trovare un gene che sia implicato in una malattia complessa come l'arteriosclerosi nei sardi e che sia diverso da quello di altre popolazioni. Ebbene questo gene potrebbe aiutare a scoprire una medicina che ò propria per i sardi. Inoltre, sapendo che quell'individuo svilupperà l'arteriosclerosi potremo dargli dei consigli per evitarla». E da un punto di vista economico? «Bisogna fare contratti per i quali la popolazione che fornisce il Dna deve avere una compartecipazione agli utili delle ricerche». Per questo motivo alcune amministrazioni coinvolte nei progetti di ricerca hanno investito somme ingenti in questo campo? «Non lo so, però sono convinto che i comuni non debbano usare le loro magre risorse per questo. A meno che nel contratto pattuito con i ricercatori non ci sia scritto che ne avranno un vantaggio». I progetti di indagine sul patrimonio genetico sardo sono numerosi. Esiste un vaglio scientifico di queste iniziative? In un articolo di qualche anno fa lei ribadiva la necessità di istituire un'Authority... «I progetti dovrebbero essere valutati in base a queste caratteristiche: l'originalità, il percorso intellettuale passato e presente di chi lo propone, le risorse tecniche ed economiche per portarlo avanti, il confronto con analoghi progetti internazionali e, infine, la presenza di indagini preliminari che diano qualche speranza di successo. Criteri finora non sempre utilizzati. Ultimamente, la Regione si sta muovendo in questa direzione». FRANCA RITA PORCU _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’05 GESSA: LA VIA LAICA ALLA BEATITUDINE Gianluigi Gessa: «Alcune pratiche religiose fanno bene, ma non sono l’unico percorso possibile» I meccanismi neurologici coinvolti nella meditazione La preghiera rinforza i neurotrasmettitori del benessere psico-fisico ROBERTO PARACCHINI Quasi un guanto di sfida. «Oggi c’è bisogno di serenità e loro, i mistici di religioni vecchie e nuove, la vendono al posto dell’immaginetta o delle acque sante. Offrono anche competenze e conoscenze per raggiungerla: tecniche di meditazione e di preghiera (“volete imparare i nostri metodi? Fanno bene”), ma il concetto non cambia, bisogna pagare: «E’ un business» afferma tra il divertito e il preoccupato Gian Luigi Gessa, già fondatore e presidente della Società italiana di neuroscienze. Gli strali dell’animatore di una delle scuole di eccellenza nazionali (quella di neurofarmacologia di Cagliari) prendono spunto dalle affermazioni di chi «vorrebbe dimostrare scientificamente che bisogna meditare e pregare perchè fa bene». La meditazione - affermano alcuni scienziati - sviluppa una parte del cervello che stimola la concentrazione. La preghiera - precisano altri - rinforza una serie di neurotrasmettitori interessati al benessere psico-fisico. E non si tratta di parole al vento, ma di risultati di ricerche pubblicate su riviste considerate autorevoli come il British Medical Journal, Lancet, gli Annales of Internal Medicine e il Jounal of he American Medical Association. «Come dire, in una boutade, prega che ti passa», commenta Gessa. - Lei non è d’accordo? Eppure Tenzin Gyatzo, il quattordicesimo Dalai Lama (la massima espressione del buddismo tibetano) è intevenuto nei giorni scorsi al meeting annuale della Società di neuroscienze, a Washington. Nella sua relazione (pubblicata da la Repubblica lunedì scorso) Gyatzo ha citato una ricerca di un neurologo dell’università del Wisconsin, Richard Davidson, affermando che questo scienziato «ha scoperto che durante la meditazione alcune aree cerebrali che si ritiene siano da mettere in relazione alla sensazione di felicità aumentano la loro attività e ha altersì scoperto che tanto più a lungo una persona si è dedicata alla meditazione, tanto più intensa è l’attività che interessa quelle aree». Che cosa ne pensa? «Ricordo, alcuni anni fa in India, a un convengo di fisiologi, tra le offerte a pagamento c’era anche quella di un corso intensivo di meditazione trascendentale. Mi dissero che permetteva di rallentare la frequenza cardiaca e di diminuire la pressione arteriosa. Ma non l’ho seguito perchè iniziava alle sei di mattina...». - Però alcune ricerche dicono che sia la meditazione che la preghiera fanno bene... «Sì, lo so. Le cose che hanno dimostrato sono abbastanza convincenti, benchè molto limitate per il numero di persone esaminate. Ma il discorso è un altro, sono tante le attività che fanno bene: dallo jogging a infinite altre forme di movimento o di esercizio intellettuale. Leggere un libro, ad esempio, ti può cambiare la vita. E questo perchè in alcune aree del cervello può produrre degli effetti permanenti, molto maggiori della preghiera. Il problema non è tanto quello di negare alcuni risultati benefici di quest’ultima, bensì quello di nasconderne tanti altri, molto più importanti». - Insomma il gioco del Sudoku, tanto per fare un esempio, o le parole incrociate o altro ancora, possono avere un effetto salutare per il nostro cervello, forse maggiore della preghiera? «Esatto e senza forse. Il problema è, semmai, quello di capire che cosa capita nella nostra mente quando si fanno con una certa assiduità cose che stimolano i nostri neuroni creando sollievo o piacere, intellettuale o meno». - Ce lo spieghi. «Il cervello, contrariamente a quello che si pensava, produce un fenomeno che si chiama plasticità. In altri termini: il numero dei nosri neuroni è relativamente stabile alla nascita, circa cento miliardi. E questo numero ce lo portiamo dietro sino a quando queste cellule cominceranno a morire. Ma quello che si è scoperto è che questi neuroni non sono immobili, statici, ma parlano tra di loro. E anche molto e lo fanno in modo chimico, costruendo di continuo un’infinta rete di ramificazioni, innumervoli strade di comunicazione. Ed è questa la plasticità neuronale, che cresce e si sviluppa a seconda degli stimoli esterni. Oppure, se questi diminuiscono, si riduce». - E se una persona di ferma, che cosa capita? «Allora le strade vengono piano piano sbaraccate. Se vai in pensione, ad esempio, e smetti la tua attività intellettuale o anche pratica, rallenti le interazioni: blocchi il dialogo tra i vari neuroni». - Ma come si dimostra che alcune attività sviluppano la così detta plasticità neuronale? «Oggi vi sono sofisticati strumenti, come la risonanza magnetica per immagini, che permettono di vedere tridimensionalmente in aree anche piccolissime, come una capocchia di spillo, del nostro cervello. In questo modo è possibile verificare il livello di plasticità neuronale, che produce una sorta di ispessimento. Così abbiamo che se alcune attività, come la lettura di un libro o lo studio, ad esempio, vengono fatte in maniera continua, si ha un ispessimento maggiore». - E questo capita anche per la preghiera? «Certo, ma in maniera molto minore che nella lettura di un bel libro. Chi ha scoperto il fenomeno della plasticità neuronale, Erich Kandel, è partito da una particolare lumaca, l’Aplysia, scelta per il numero limitato di neuroni. E per questi studi ha avuto il premio Nobel. Poi le ricerche sono passate ad animali più complessi, come i topi. Infine all’uomo. Il dogma dell’immobilità delle cellule neuronali è stato infranto, sia in positivo che in negativo. Se a esempio uso sempre una calcolatrice per fare i calcoli, alla fine - non utilizzandola - avrò atrofizzata la mia parte del cervello che serve per questa funzione. Uno studio pubblicato su l’autorevole Scienze mostra come i tassisti di New York abbiano l’ippocampo (un’area del cervello preposta alla memoria visiva) più sviluppata degli altri. Quindi pregare va bene, ma leggere un libro è meglio». - Ma lei crede in Dio? «Grazie a Dio sono ateo. Ricordo che l’ex arcivescono di Cagliari, Ottorino Alberti, sapendo della mia riluttanza mistica a rischio d’inferno, mi disse, quasi a confortarmi, di non preoccuparmi: che probabilmente ci sarebbe stato un paradiso anche per me. Allarmato gli risposi: e sei poi vi trovo Baget Bozzo? “Non si preoccupi”, fu la risposta. Però preferisco sempre leggere un bel libro». _______________________________________________________________________ Corriere della Sera 22 nov. ’05 NO ALLE FINTE UNIVERSITÀ LE PROPOSTE DELLA MARGHERITA Un'agenzia nazionale valuterà i singoli atenei I giovani migliori se ne vanno alt estero. Quelli più po, veri non si laureano. Abbiamo troppo pochi laureati in materie scientifiche (soprattutto donne) e troppi in discipline poco spendibili sul mercato del lavoro. La ricerca tecnologica è troppo lenta, quella scientifica senza soldi. Non è reticente l’analisi dell’università italiana dell’Osservatorio della Margherita, coordinato da Franta Bimbi, che ieri ha presentato i primi risultati. Una diagnosi fredda e senza sconti sugli anni del centrodestra al governce la preoccupante arretratezza del sistema italiano. Ma anche un contributo per la futura riforma del centrosinistra. Per i Dl la parola chiave dell'università del futuro è merito. «È necessario riconoscere e valorizzare il merito, le competenze, la professionalità di molti, penalizzando e lasciando da parte la cooptazione per fedeltà, le promozioni per anzianità, il familismo amorale, lo spoil system». L’obiettivo è «più laureati, più laureati in tempo, più laureati di qualità, più dottori di ricerca, professori più giovani». Si, ma come fare? La Margherita non sconfessa la riforma del 3+2 anzi la rilancia. Ma a maggiore autonomia dovrà corrispondere più responsabilità. Per esempio si dice un no secco alle «finte università», alla proliferazione degli atenei sotto casa (oggi siamo a 77 con molte sedi distaccate), preoccupati di attrarre studenti a colpi di corsi di laurea molto appealing, ma poco utili per il sistema-paese. Ma il vero nodo sarà quello della valutazione. Non più università tutte uguali ma un sistema che riconosca l’eccellenza. Come? Attraverso la creazione di un’agenzia nazionale e indipendente per la valutazione del sistema universitario e della ricerca. «Una Autorità indipendente, sottratta alla vigilanza del governo» sottolinea nella sua relazione introduttiva Lucio Bianco. Un tema assente dalla riforma Moratti che il ministro sembra stia tentando di recuperare in extremis attraverso un decreto legge (anche se lei parla di comitato nazionale), e che invece è centrale nel progetto di riforma del centrosinistra, dove la valutazione diventerà uno dei criteri fondamentali in base al quale assegnare anche i finanziamenti pubblici. Non sono ancora definiti i meccanismi, ma nel documento dell’Osservatorio Dl si legge: «Per far sviluppare l’eccellenza occorre premiare le buone pratiche e introdurre maggiori incentivi per gli atenei, le strutture, i gruppi di ricerca e le persone che meritano di più in base all'innovazione scientifica, alla qualità della didattica, alle capacità di gestione». E ancora: «dovranno essere rivisti i criteri di allocazione del Fondo universitario dell'università dando migliori premialità ai finanziamenti». E le tasse? Il documento parla di un "patto con gli studenti" in base al quale chi s'iscrive possa definire anche la quantità e la durata del suo impegno, prevedendone le scansioni e i costi, ma possa anche contare su strutture adeguate e soprattutto su borse di studio e prestiti d'onore anche per chi ha redditi medio-alti. «Inoltre alle tasse pagate devono corrispondere effettivi servizi di qualità. Ma occorre anche che chi più può contribuisca di più: far pesare troppo l'istruzione superiore sulla tassazione generale non aiuta a risalire quella persistent inequality che affligge tutti i sistemi d'istruzione dei sistemi più avanzati». Si guarda più al modello del nord Europa che a quello continentale e non si considera più un tabù l’aumento delle tasse universitarie per i ceti più abbienti. Il merito diventa il motore anche della carriera accademica. «Tutti i docenti e ricercatori devono sempre considerarsi in formazione». La loro preparazione scientifica e didattica sarà oggetto del sistema di valutazione d'ateneo e di quello nazionale. Di qui l’idea di un’anagrafe della ricerca e della valutazione ex-post della produzione scientifica dei nuovi assunti. Infine la ricerca e i suoî finanziamenti. «Si dovrà considerare la ricerca come missione fondamentale del sistema universitario» scrive la Bimbi. E Bianco parla di impegni finanziari notevoli e a lungo termine, almeno 10 anni. Un arco temporale che va oltre i normali tempi di una legislatura é che quindi richiederà «un impegno bipartisan per sottrarlo alla dialettica tra governo ed opposizione pro-tempore». Il governo di centrosinistra dovrà creare le condizioni favorevoli e un sistema di incentivi più efficaci di quelli utilizzati fino ad oggi, con una copertura dei rischi per un arco temporale più lungo. Ma anche le aziende, ancora troppo timide negli investimenti in ricerca& sviluppo, dovranno «far emergere strutture di ricerca formalmente costituite e strutturalmente legate al core business». Borse di studio e prestiti d'onore. Si guarda al modella del nord Europa _______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 nov. ’05 SU CATTEDRE E IMPRESE LA LEZIONE USA Può sembrare ironico che Larry Page e Sergey Brin, i due fondatori di Google, abbiano avviato la loro impresa in un ufficio dell'Università di Stanford denominato Gates 360, perché situato in un edificio costruito grazie a una donazione di 6 milioni di dollari di Bill Gates. Ovvero dell'uomo considerato, oggi, il loro più acerrimo rivale. Eppure, leggendo Google Story, il libro di David Vise e Mark Malseed di prossima pubblicazione anche in Italia, ritroviamo il presidente di Google, Eric Schmidt, tenere nel maggio di quest'anno una lezione alla University of Washington di Seattle, nel Paul G. Allen Center far Computer Science & Engineering, così chiamato perché finanziato da Paul Allen, co-fondatore di Microsoft. Schmidt, invitato e introdotto da Ed Lazowska, titolare della Cattedra Bill & Melinda Gates, utilizza quel prestigioso palcoscenico per fare opera di evangelizzazione tra i giovani, brillanti studenti magnificando le prospettive di lavoro di Google, in implicita contrapposizione a Microsoft. Il fatto che i vertici di un'impresa possano insinuarsi in un'università pesantemente sponsorizzata dai concorrenti e situata a pochi chilometri di distanza dal loro quartiere generale, alla ricerca di giovani menti da ingaggiare nella lotta contro i rivali, testimonia il buon funzionamento delle Università americane, non la debolezza di uno dei due contendenti. In un mercato ben funzionante la sponsorizzazione di una cattedra, di un edificio, di un centro di ricerca non può pregiudicare l'indipendenza dell'istituzione e dei suoi professori. Un segnale importante da cogliere, in Italia, nel momento in cui la riforma universitaria introduce meccanismi di finanziamento simili a quelli americani. L'espressione chiave, per una corretta interpretazione del fenomeno, è "mercato ben funzionante". Negli Stati Uniti le imprese hanno un ampio ventaglio di università dalle caratteristiche diverse tra di loro, tra le quali scegliere quali cattedre e iniziative sponsorizzare. Grandi istituti polivalenti convivono accanto a piccole boutique della formazione; le università pubbliche rivaleggiano con quelle private; alcune traggono tutto il loro prestigio dalla qualità della ricerca, altre dall'efficacia della didattica. Le stesse università sono in grado di scegliere quali offerte accettare e quali rifiutare, anche in base alla cultura aziendale di chi le contatta. Il che non significa che le imprese sponsor non traggano vantaggio dalla vicinanza agli istituti di formazione: ne ricavano un accesso privilegiato alle migliori risorse umane e alla ricerca più avanzata. Ma, per quanto ricche e potenti, non possono condizionarli. Come in ogni mercato, non mancano gli abusi, ma il sistema stesso vigila e denuncia i perpetratori. L'auspicio è che anche in Italia l'introduzione di forme alternative di finanziamento delle università sia un passo verso la formazione di quel mercato ben funzionante che dà modo agli studenti, ai professori e alle imprese di scegliere dove studiare, per chi lavorare, a chi legare la propria immagine e a chi rivolgersi per selezionare il personale migliore. L'esempio americano ci suggerisce che vale la pena di provarci. * Rettore Università Bocconi DI ANGELO PROVASOLI * _______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 nov. ’05 MORATTI SBLOCCA L'ITT, GRILLI AL VERTICE L'Istituto italiano di tecnologia di Genova / Tra i saggi Gianfelice Rocca e Gabriele Galateri di Genola GENOVA Incomincia a delinearsi la testa dell'Istituto italiano di tecnologia, il Mit in versione tricolore, che avrà sede a Genova. Una settimana dopo la scadenza della prorogatio della gestione iniziale, affidata al commissario unico, il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, è arrivata la firma del ministro del Miur, Letizia Moratti, sul decreto che sblocca definitivamente la nomina del cda dell'istituto. Del nuovo organo di governo dell'Iit faranno parte lo stesso Grilli, Gianfelice Rocca, presidente del gruppo Techint e vicepresidente di Confindustria per l’education, Gabriele Galateri di Genola, presidente di Mediobanca. Spetterà a questo "nocciolo duro" di tre consiglieri cooptare gli altri dodici membri che andranno a completare il consiglio di amministrazione dell'istituto. Le cariche di presidente e direttore scientifico dell'Iit dovrebbero andare, rispettivamente, agli artefici della fase di rodaggio, Vittorio Grilli e Roberto Cingolani, quest'ultimo riconfermato nel ruolo. L'avvio del nuovo cda dell'Iit apre finalmente le porte, dopo due anni di gestazione, al decollo operativo dell'istituto. È infatti pronta da tempo la short list dalla quale scaturiranno i tre senior scientist che guideranno le piattaforme di ricerca: la robotica, le nanobiotecnologie e le neuroscienze. Soddisfatto il presidente della Giunta regionale ligure, Claudio Burlando, reduce da un asfissiante pressing sulle più alte cariche dello Stato per disincagliare il decreto che, dopo essere stato firmato da Berlusconi e da Tremonti, stazionava sul tavolo della titolare del Miur. «L'amministrazione regionale - spiega Burlando - ha messo a disposizione un edificio a Morego, una sede di cui l’Iit ha le chiavi fin dallo scorso luglio e nella quale abbiamo investito 22 milioni. Se avessimo perseguito la scelta dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, indicato dalla precedente Giunta - ha concluso Burlando - avremmo dovuto aspettare tre anni con il risultato di ancorare a Genova solo la piattaforma della robotica e vedere le altre due spiccare il volo verso altri lidi». Per consolidare la «genovesità» dell'Iit ora il presidente ligure si accinge a chiedere un'adeguata rappresentanza di esponenti locali in seno al cda. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 nov. ’05 GIUSTO SELEZIONARE GLI STUDENTI MIGLIORI BOCCONI Il rettore della Bocconi ha presentato il nuovo assetto didattico della sua Università che entrerà in vigore dal prossimo anno accademico sia per lauree triennali, sia per quelle di cinque anni. È un progetto che guarda con coraggio al futuro. UNIVERSITÀ BOCCONI Selezioni più severe per aiutare gli studenti SEGUE DA PAGINA 1 Test d' ingresso più rigidi e sbarramenti al primo anno Il nuovo sistema che entrerà in vigore nel 2006 Ha spiegato Angelo Provasoli che, tenendo conto dello scarso bagaglio culturale degli studenti usciti dalle scuole superiori, si vuole nella sostanza «promuovere» apertamente «la cultura del merito», soprattutto «responsabilizzando lo studente nelle sue scelte». Dunque all' inizio più severità nei test d' ingresso, con una riduzione dei giovani ammessi a frequentare i corsi, poi un giusto sbarramento al primo anno in base agli esami sostenuti dagli studenti e ai relativi crediti acquisiti. Quindi riduzione (da nove a sei) e riqualificazione delle proposte didattiche con curricula che avranno insegnamenti di base comuni pressoché a tutte, per favorire una preparazione necessaria e omogenea nelle materie più importanti. È un riassetto dei corsi di laurea che parte dalla considerazione di una realtà di fatto e aiuta gli studenti nella loro effettiva formazione, stroncando sul nascere «avventure» che altrimenti si trasformerebbero se non sempre in completi fallimenti, in dannosi prolungamenti degli anni di studio. Il che consentirà ai docenti una programmazione didattica più ordinata ed efficiente, che si risolverà in un sicuro vantaggio per i giovani. Naturalmente la nuova impostazione prevede anche altro. Un corso triennale in lingua inglese, scambi (di studenti e professori) con facoltà europee ed americane, sostituzione di seminari, laboratori e simulazioni alle lezioni cattedratiche. Ma tutto ciò forse se lo può permettere soltanto la «Bocconi», grazie al suo prestigio. Per le altre Università rimane però l' indicazione di un buon modello da seguire, dopo questi primi di sbandamento in tante avventurose (se non velleitarie) proposte didattiche offerte agli studenti nella prima applicazione della riforma del «tre più due». Le direttive sono lineari. Un' attenzione (o una severità) meno convenzionale nei test di accesso, che dia modo ai giovani di saggiare il proprio grado di preparazione in funzione dei futuri studi. Una verifica precoce della personale attitudine, rispetto alla scelta comunque fatta, da parte degli studenti. Ma soprattutto una logica riduzione delle troppe attuali offerte didattiche in base alla reale possibilità dei docenti di assumersene il carico e di mantenere così le promesse fatti ai propri allievi. Giorgio De Rienzo De Rienzo Giorgio _______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 nov. ’05 ATLANTIDE IL MITO E LE POLEMICHE Sono stanco - sbuffa Sergio Frau - e al giornale ci passo sempre meno». Tutta colpa di quella gigantesca onda che ricacciò negli abissi l'isola di Atlantide. Al giornalista-scrittore di "Repubblica" finora ò andata meglio del letterato- scienziato Galileo Galilei che invece di una scomunica scientifica e dei malumori di una redazione, fu condannato al carcere a vita. Fatte le debite proporzioni, entrambi hanno messo in dubbio certezze scolpite nei secoli. Galileo voleva cambiare la scienza, allora prescritta dalla Bibbia: s'era messo in testa che fosse la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa. Frau sta più semplicemente provando a risolvere uno dei più grandi misteri del Mediterraneo. Nel suo caso, lo steccato da superare ò la teoria di Eratostene (circa 284-192 a.C.), il geografo - anche se veniva accusato di essere "soltanto" il direttore della biblioteca di Alessandria d'Egitto - che collocò le Colonne d'Ercole nello Stretto di Gibilterra, cancello dei confini del mondo antico. Nel 2002 Frau ha ribaltato le certezze del bibliotecario spostando le Colonne verso est, nel Canale di Sicilia. Secondo il giornalista, il continente oltre il finis terrae raccontato da Platone sarebbe la Sardegna. Insomma, un insulto coi fiocchi al secolare copyright della mitologia. Oppure uno straordinario slancio capace di liberare la storia dalla morsa della geografia? Per scardinare la concezione tolemaica e sospingere il sapere verso quella copernicana, Galileo pubblicò «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo». Il libro non piacque alla Chiesa che, dopo averlo costretto a ritrattare pubblicamente, nel giugno del 1633 lo condannò all'ergastolo per eresia. La riabilitazione del Vaticano è arrivata soltanto nell'ottobre del 1992. Anche Frau sceglie la via del libro e così pubblica Le Colonne d'Ercole, un'inchiesta. UNA TEORIA IN MOSTRA. Area Partenze dell'aeroporto di Cagliari, 2 luglio 2004. h la prima assoluta di Atlantikà Sardegna Isola-Mito: la novella ipotesi tradotta in una mostra fotografica allestita sempre dall'autore. Tra gli interventi, quello di Efisio Serrenti, all'epoca presidente del Consiglio regionale. «Mesi fa Frau venne da me per parlarmi della sua ricerca. Abbiamo discusso per un'ora. Se è vero che Atlantide era quest'isola, allora abbiamo trovato un prodotto da vendere e nessuno può farci concorrenza». Parigi, 11 aprile 2005. La mostra vola alla Maison dell'Unesco che benedice la teoria. L'aria che si respira a Place de Fontenoy profuma di reinterpretazione dei testi antichi con revisione della storia del Mediterraneo a partire dalla prima età del bronzo, terzo millennio a.C. COME NASCE UN MITO. Teorie, dubbi, secoli da riscrivere: ma chi è l'artefice? Padre di Cagliari e mamma bergamasca, Sergio Frau, 55 anni, vive a Roma. Entrato a 26 anni a Repubblica, oggi è inviato per la Cultura. Aspetto da cronista retrò, baffoni, occhiali e voce incattivita dalla nicotina racconta con passione le sue tesi. Le Colonne d'Ercole - un'inchiesta, (anno 2002, Nur-Neon editore, 672 pagine, 30 euro) ha venduto circa 30mila copie - di cui 10mila in Sardegna - ed è arrivato alla sesta ristampa. L'idea dell’archeogiallo imbevuto d'ironia prende corpo alla fine degli anni Novanta quando Frau s'imbatte in una cartina geografica di Vittorio Castellani, ordinario di Fisica stellare a Pisa. Il documento riporta una ricostruzione digitale di com'era il Mediterraneo oltre 2500 anni fa: le coste della Sicilia e della Tunisia sono separate da un doppio tratto di mare. Quasi si toccano. A dividerle, una via d'acqua dove le navi s'incagliavano a causa di banchi di sabbia in continuo movimento. Eratostene aveva collocato i Pilastri d'Ercole nello Stretto di Gibilterra secondo delle indicazioni dei soldati al seguito di Alessandro Magno incaricati di misurare le distanze percorse. Conteggi che, secondo Frau, terminerebbero al Canale di Sicilia e non a Gibilterra. Una svista secolare, dunque. Oltre quel naviglio, fioriva Atlantide. Isola-paradiso dove gli uomini vivevano fino a quando ne avevano voglia, le montagne erano ricche di sorgenti e metalli preziosi, il clima mite e i raccolti sempre abbondanti. Un continente vegliato da migliaia di torri-grattacielo, i nuraghi. È la Sardegna, stessa forma rettangolare descritta da Platone nel Timeo, stesse coincidenze che Frau chiarisce con dovizia di particolari. L; Eden sarebbe durato fino al 1200 a.C. quando l’omerico schiaffo di Poseidone sconvolse il Mediterraneo: un'onda gigantesca si abbatté sul Golfo di Cagliari inondando il Campidano e le Giare. I sopravissuti di una civiltà andata distrutta si spinsero quindi fin sulle coste orientali del Mediterraneo, in fuga da un empireo ormai ridotto a paludi. A cavalcare la teoria della grande onda è Mario Tozzi, geo logo del Cnr (Consiglio nazionale ricerche) e conduttore di Gaia, il programma scientifico della Rai. «La teoria di Frau porterà alla riscrittura dei libri di storia: tra gli Egiziani e i Greci, c'erano i Sardi. E forse, anche gli Etruschi erano Sardi». Poi aggiunge che ci sono testimonianze di maremoti con onde alte anche cinquecento metri. «Un mega-tsunami lascia paludi, fango, e insinua nella gente la paura del mare. E il fango che si nota nelle immagini di Barumini del 1938? Da qualche parte deve pur arrivare». LA SCOMUNICA SCIENTIFICA. Se Galileo dovette fare i conti coi trattamenti della Santa Inquisizione, per Frau l'anatema ò arrivato cordialmente, via internet. h un appello firmato da 303 tra archeologi, geologi, storici, filologi, glottologi, antropologi e professionisti di varie discipline impegnati nello studio delle antiche civiltà del Mediterraneo e in particolare della Sardegna: un dietro-front intimato alla fine del 2004 e sostenuto dall'Istituto italiano di preistoria e protostoria (Iipp). In 21 punti richiamano all'ordine il giornalista. Senza mai nominarlo. Ecco una sintesi: l'Atlantide di Platone non ha riferimenti spazio/tempo ed ò una costruzione poetica e utopistica. La moderna scienza archeologica e storica evita il ricorso a cataclismi, invasioni e migrazioni come spiegazione dei cambiamenti culturali. In circa 200 anni di ricerca si può affermare che in Sardegna non esistono indizi di un'inondazione provocata da un fenomeno geologico verificatosi intorno all'anno 1175 a.C. Così come non esiste alcuna traccia dei cadaveri umani e animali, vittime del presunto cataclisma. Roma, 10 dicembre 2004. «E un'ingorda difesa corporativa firmata perlopiù da dipendenti di Sovrintendenza: la vostra scomunica non mi spaventa», replica Frau in una lettera di undici pagine indirizzata ad Anna Maria Sestieri, presidente dell'Istituto di preistoria. In allegato, saggi e articoli sulla presunta inerzia e inadeguatezza professionale delle Sovrintendenze archeologiche regionali. Firenze, 20 dicembre 2004. La risposta della Sestrieri: «Nessuno storico può disporre quando crede di una cassa di risonanza come "Repubblica". La storia contemporanea ci insegna che un uso scorretto dell'informazione archeologica può fornire il pretesto per rivendicazioni di superiorità etnica culturale e aspirazioni autonomiste. Mi sembra che molte delle sue tesi - seppur non intenzionalmente - si prestino ad alimentare manifestazioni del genere». GLI ALTRI DUBBI. La riscrittura della storia antica può sganciarsi dai sistemi istituzionali per essere svolta e divulgata da un giornalista? La storia/favola di Atlantide è ostaggio di un drappello di studiosi oscurantisti, oppure ò finita dentro un'operazione mediatica, magari per ingrassare l'offerta turistica isolana? EMILIANO FARINA _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 nov. ’05 CRNJAR «GRAZIE ALLA SCIENZA L’ISOLA PUÒ RILANCIARE CULTURA E TRADIZIONI» Roberto Crnjar analizza le prospettive ancora possibili per uno sviluppo che armonizzi la modernità con il passato Uno dei temi più intricati e intriganti del dibattito contemporaneo riguarda il rapporto tra modernità e tradizione. Come armonizzare la storia del proprio passato e la difesa dell’ambiente con quello che viene detto lo sviluppo e, in generale, i prodotti della tecnica? Secondo lo scienziato Roberto Crnjar è un falso problema perché sarà grazie alla ricerca scientifica più hard (dalla matematica alla fisica, dalla chimica alla biologia) che la Sardegna potrà imboccare la strada dello sviluppo sostenibile salvando la sua storia. Ieri sera Crnjar, preside della facoltà di Scienza nell’università di Cagliari e docente di fisiologia generale, ha tenuto nel capoluogo di regione una conferenza su «Quale scienza in Sardegna». La relazione, interna a un ciclo di dibattiti organizzato dall’associazione Scienza, società, scienza, ha ripercorso la situazione e il ruolo che ai laboratori di ricerca viene riservato nel mondo, in Italia e in Sardegna. Gli antichi pregiudizi, figli di una cultura idealistica, gentiliana e crociana, che davano alle scienze un valore esclusivamente pratico hanno creato un muro di incomprensione di cui oggi si colgono i frutti velenosi. In Italia, infatti, lo Stato spende solo lo 0,25 per cento del prodotto interno lordo nella ricerca scientifica universitaria, la media europea è dello 0,48 per cento. In campo nazionale si arriva all’1 per cento scarso con gli investimenti statali in ricerca e sviluppo nelle industrie, mentre la maggior parte dei Paesi dell’Unione europea raggiunge il 2-3 per cento. Ma i danni dei pregiudizi antiscientifici sono notevoli e duraturi, come quelli sulla matematica (che pervade tutte le scienze) considerata, quando va bene sulla scia del filosofo Edmund Husserl, come un qualcosa che produce una razionalità fredda, priva di umanità e incapace di capire la complessità. Mentre vi sono interi settori di questa disciplina che se ne occupano (dallo studio del caos a quello delle catastrofi, alla matematica dei frattali che indaga le regolarità nel casuale). Ma i pregiudizi sono lenti a morire, basta considerare, a esempio che vi sono persone che si vantano di non sapere niente di matematica o di fisica. Mentre si vergognerebbero come matti se colti in errore su una poesia di Leopardi; senza sapere, tra l’altro, che il poeta di Recanati era un copernicano convinto che scrisse anche un’erudita e ampia storia dell’astronomia. Cnrjar ha ripercorso anche la crisi delle facoltà scientifiche, particolarmente acuta negli anni Novanta, «in tutto il mondo». Ma mentre gli Usa hanno saputo utilizzare le competenze scientifiche di immigrati provenienti dalla Cina, dall’India e dal Pakistan, l’Europa è rimasta indietro, e l’Italia al palo. In Sardegna, invece, proprio in quegli anni è iniziato il discorso del parco scientifico e tecnologico e del Crs4, il centro di calcolo avanzato presieduto dal Nobel per la fisica Carlo Rubbia. Probabilmente senza questo centro di eccellenza (in cui lavorano anche ricercatori di provenienza europea ed extra europea) non vi sarebbe stato Video on line e, soprattutto, Tiscali una delle più importanti realtà internazionali del settore telematico. Polaris è il nome del parco scientifico e tecnologico sardo che sta cercando di sviluppare i settori delle biotecnologie, dell’informatica e della neuro farmacologia. Ma secondo Cnrjar molto deve essere ancora fatto. Sebbene le iscrizioni nelle facoltà scientifiche stiano aumentando in questi ultimi due anni, si è ancora a un livello bassissimo, di poco superiore al tre per cento di matricole annue sul totale degli iscritti. In Cina, Giappone, a Singapore, in Iran, Turchia e nei Paesi dell’est Europeo, invece, la ricerca è particolarmente seguita. Eppure, ha sottolineato il preside della facoltà di Scienze, lo studente che si preoccupa del proprio futuro dovrebbe tenere presente che, secondo una recente indagine, a tre anni dalla laurea il 65,2 per cento di chi aveva scelto un ramo scientifico ha trovato lavoro, contro il 21,4 dei medici e il 31,5 dei giuristi. Contrariamente alla Lombardia o al nord est, la Sardegna - sostiene Crnjar - ha una grande possibilità: quella di sviluppare la sua economia nel massimo rispetto della tradizione, proprio grazie alla scienza. L’agricoltura, ad esempio, non fa progressi senza ricerca, come dimostrato di recente dalle punte di eccellenza raggiunte nel settore enologico. Stesso discorso per la pastorizia e per il settore agro-alimentare (dai formaggi ai salumi). Ma anche nei graniti è indispensabile la ricerca (si fanno, ad esempio, studi sulle microfratture delle lastre). Stesso discorso per la pesca (dalla maricoltura ai nuovi metodi di raccolta ittica), e per il turismo solo con una conoscenza precisa e approfondita è possibile valorizzare l’archeologia mineraria o puntare al ripristino ambientale. Poi vi sono i settori che vanno dall’hi-tech alle biotecnologie, sino alle nanotecnologie con lo studio dei nuovi materiali «che rappresentano i settori forti del futuro a medio termine». Il futuro, insomma, è nella ricerca, ma è necessario crederci maggiormente e, soprattutto, nei fatti anche nelle scelte politiche. La scienza è bella e rigorosa, e alla fine paga in tutti i sensi. Roberto Paracchini _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 nov. ’05 UNIVERSITÀ DI SASSARI, VIA LIBERA AL «MAIDA 4» Modificato lo statuto per permettere la ricandidatura SASSARI. Il senato accademico modifica lo statuto dell’ateneo di Sassari e sigla il via libera alla possibilità di un quarto governo Maida. Un voto a maggioranza che ha visto dodici componenti a favore, un contrario e tre astenuti, compreso il rettore in carica. Alessandro Maida, già al suo terzo mandato, il prossimo anno avrebbe dovuto abbandonare per sempre la massima carica dell’Ateneo dopo nove anni consecutivi. Lo Statuto dell’ateneo escludeva la possibilità di una sua ricandidatura, imponendo un limite di rieleggibilità a tre volte. La modifica dell’articolo 76 dello statuto, messa nero su bianco a luglio, nei giorni scorsi ha incassato il sì definitivo del Senato accademico con un largo consenso. Astenuti i presidi di Giurisprudenza ed Economia. Unico contrario il preside di veterinaria, il professor Sergio Coda: «Perchè ho votato no? Perchè ritengo che due mandati consecutivi siano più che sufficienti, sia per il rettore, sia per i presidi di facoltà». «Il parere della facoltà che rappresento su questa riforma statutaria è negativo - ha aggiunto il preside di Giurisprudenza, Giovanni Lobrano -. Ci siamo espressi in forma di astensione, ma rimaniamo convinti dell’importanza di mantenere i limiti alla rieleggibilità. Per ragioni che esulano da considerazioni di tipo personale sui ri-candidati». (a.re.) MAIDA PRONTO A RICOMINCIARE DA QUATTRO Il senato accademico cambia la norma che impediva la rielezione La modifica statutaria passa con dodici sì, un no e tre astensioni SASSARI. Il senato accademico modifica lo statuto dell’ateneo e sigla il via libera alla possibilità di un quarto governo Maida. Un voto a maggioranza che ha visto dodici componenti a favore, un contrario e tre astenuti, compreso il rettore in carica. Alessandro Maida (nella foto), già al suo terzo mandato, il prossimo anno avrebbe dovuto abbandonare la massima carica dell’Ateneo dopo nove anni consecutivi. Lo Statuto escludeva la possibilità di una sua ricandidatura, imponendo un limite di rieleggibilità a tre volte. La modifica dell’articolo 76 dello statuto, messa nero su bianco a luglio, nei giorni scorsi ha incassato il sì definitivo del Senato accademico con un largo consenso. Permangono alcuni giudizi critici. Voto contrario del preside della facoltà di Veterinaria Sergio Coda, astensione per quelli di Giurisprudenza ed Economia. Quasi tutti d’accordo, dunque, per votare la rieleggibilità del rettore, ma anche la propria dato che la revisione statutaria prevede la cancellazione del limite di mandati consecutivi per tutti gli organi elettivi. «Il parere della facoltà che rappresento su questa riforma statutaria è negativo - afferma il preside di Giurisprudenza, Giovanni Lobrano -. Ci siamo espressi in forma di astensione, ma rimaniamo convinti dell’importanza di mantenere i limiti alla rieleggibilità. Per ragioni che esulano da considerazioni di tipo personale sui ri-candidati». La riforma ripropone un analogo intervento del 2002, alla scadenza del secondo mandato Maida. Allora l’art. 76 limitava la possibilità di rielezione dopo un incarico e la soglia venne innalzata a due volte consecutive. Ora l’ulteriore salto con la prospettiva di cancellare qualunque limite. «Riteniamo che la limitazione dei mandati alle cariche elettive - aggiunge Lobrano - sia alla base del metodo democratico e vada salvaguardato per evitare situazioni di accentramento e sedimentazione del potere, pericolose e nocive per l’ateneo». Sì del senato accademico anche alla riforma dell’articolo 80 che disciplina le procedure di revisione dello statuto. Due, fino ad ora, i passaggi al voto da parte del Senato accademico, intervallate dal parere delle facoltà e delle altre componenti organizzative dell’ateneo. Dopo la modifica, invece, il processo decisionale dell’ateneo si articolerà in una sola deliberazione del senato accademico, che decide in una composizione «allargata». Viene infatti ampliato da sedici a 66 il numero dei rappresentanti: per ciascuna facoltà parteciperà il preside, un rappresentante degli studenti, uno dei professori associati e uno dei ricercatori. Forti perplessità anche per questa innovazione. «C’è un processo di accentramento al vertice - afferma il preside di Giurisprudenza -. Prima su sedici componenti votanti del senato, undici erano presidi di facoltà. Con 66 membri il potere decisionale viene frantumato. A questo si aggiunge la cancellazione di tutti i passaggi e i pareri precedenti a quello definitivo di un Senato che, per giunta, non può proporre modifiche, ma solo deliberare». Angela Recino “NO” DEL PRESIDE DI VETERINARIA CONTRARIO SASSARI. «Perchè ho votato no? Perchè ho ritenuto che sarebbe più giusto che due mandati consecutivi fossero più che sufficienti, sia per il rettore, sia per i presidi di facoltà». Il professor Sergio Coda, preside della facoltà di Veterinaria, è stato l’unico a votare contro la decisione del Senato accademico di modificare lo Statuto dell’Ateneo turritano che ha dato il via libera alla possibilità di un quarto mandato da rettore per il professor Alessandro Maida. «Sì, ho votato no per una questione di principio - ha continuato il professor Coda -. Non mi sembra giusto che gli incarichi di un certo tipo debbano superare i due mandati. Nulla di personale nei confronti del rettore, che in questi nove anni (tre mandati, ndr) ha lavorato in maniera proficua, ma resto convinto del fatto che non era il caso di modificare lo statuto». Il preside della facolta di Veterinaria non ha aggiunto altro, anche perchè non vuole assolutamente fare polemiche. Resta però il fatto che è stato l’unico a votare contro la modifica, mentre si sono astenuti i suoi colleghi presidi di Economia e di Giurisprudenza. (plp) _______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 nov. ’05 IL SOFTWARE APERTO È UN BUSINESS PER GLI ITALIANI INNOVAZIONI IN AZIENDA La Silicon Valley italiana sperimenta l'Open source. Cresce infatti il numero di software house che affiancano l'offerta di soluzioni "libere" alle proprietarie. È quanto emerge dalla ricerca Eliss II (European libre software survey), coordinata dall'Università di Pisa e svolta nell'ambito del network of excellence Prime della Comunità europea, su un campione di oltre 9oo imprese di cinque Paesi (Finlandia, Germania, Italia, Spagna e Portogallo). In particolare, in Italia più della metà delle imprese hi-tech offre anche servizi basati su soluzioni Open source (Oss). Si tratta prevalentemente di realtà giovani, nate a partire dal 2000, che in sette casi su dieci non hanno più di cinque dipendenti. La mappa del "software libero" evidenzia però una forte spaccatura tra le regioni. Il numero più alto di imprese Oss è concentrato in Lombardia (25,2%) e Toscana (i3%). Seguono Emilia Romagna (9%) e Piemonte (8%). Attardato il Lazio che con la Campania occupa il settimo gradino di questa classifica (6,2%). La più "libera" del Sud è la Sicilia (4,C%). «Il modello di business prevalente è di tipo ibrido essendo piuttosto ridotto il numero delle società (13,5%, ndr) che si affidano esclusivamente a soluzioni aperte - sottolinea Andrea Bonaccorsi, docente presso la facoltà di Ingegneria dell'Università di Pisa e autore insieme a Cristina Rossi della ricerca -. Rispetto alle rilevazioni effettuate due anni fa abbiamo riscontrato un forte consolidamento del settore e la conferma della sostenibilità del modello». Dando uno sguardo alle previsioni, lo studio evidenzia ulteriori margini di crescita per il comparto. Il 15% delle imprese oggi estranee all'universo Open source dichiara di voler integrare nuove soluzioni nei prossimi anni mentre due su dieci non escludono un matrimonio a breve con il "software libero". Dati positivi anche sul fronte del fatturato. Rispetto al 2000, quando il software Open source generava una percentuale di ricavi inferiore al 10% per circa la metà delle imprese Oss, i dati sul 2003 indicano che per un'impresa su quattro il business complessivo deriva per il 7o% da questo tipo di software. Tra gli altri fattori che spiegano la crescente affezione verso il mondo del codice aperto rientra la possibilità di adottare migliori strategie di prezzo per le vendite e di ridurre i costi di sviluppo. Un vantaggio che si traduce in un potenziamento dei prodotti e servizi offerti al pubblico. Se quindi le imprese non Oss presidiano un insieme più ristretto di applicazioni (la grande maggioranza è presente nel segmento del software gestionale) le società che affiancano soluzioni Open source a quelle "chiuse" sono molto attive anche nelle applicazioni legate a Internet, quali web server, firewall, antispam, antivirus, client di posta elettronica, content management system e soluzioni per e- commerce. Pacchetti più completi e costi ridotti spiegano anche il forte interesse della Pubblica amministrazione verso le soluzioni aperte. Le software house Oss, infatti, hanno recentemente sottoscritto un numero più alto di contratti con gli enti pubblici rispetto alle imprese "proprietarie" (22,8% contro 5,3%). Risulta inoltre molto forte il legame tra società Oss e la comunità degli sviluppatori Open source. Le prime in fatti non si limitano a utilizzare il codice prodotto dalla comunità e a riadattarlo alle esigenze dei loro clienti, ma partecipano attivamente ai progetti Oss. I contributi più importanti offerti alla comunità consistono nell'individuazione di errori nel software (debugging) e nell'assistenza agli utenti nelle mailing list. Molto rara, invece, la collaborazione nell'elaborazione del codice sorgente. «Le imprese sono motivate a partecipare ai progetti Open source perché è una valida opportunità per acquisire nuove competenze - prosegue Bonaccorsi. A questo elemento va aggiunta la forte spinta etica e in particolare la convinzione comune che lo sviluppo di codice aperto vada a beneficio dell'intera società». Nonostante i vantaggi riscontrati rimane molto alta comunque la percentuale delle software house che non intendono percorrere la nuova strada (63,7%). Determinante in questo senso sono gli alti investimenti nel training del personale necessari per permettere di acquisire le competenze per lavorare con standard aperti. Le imprese che prediligono soluzioni proprietarie inoltre non riscontrano una domanda specifica per i software aperti. Un dato che è confermato dalla ricerca Eliss II che evidenza come la maggior parte dei clienti delle imprese Oss sia indifferente tra soluzioni Open source e soluzioni proprietarie ma ponga più che altro attenzione al fatto che il prodotto offerto abbia le caratteristiche richieste. Differenze tra le due tipologie di imprese emergono anche sul versante del sistema operativo utilizzato. Windows la fa da padrone nelle imprese non Oss (oltre il 30% utilizza anche Linux). Per contro, quasi tutte le imprese Oss utilizzano come prima scelta Unix (92%) mentre una su due si affida anche Linux. Ma non solo. Windows è fortemente radicato (85,5%) anche nelle imprese Oss, utilizzato per rispondere alle richieste dei clienti e per fronteggiare eventuali problemi di compatibilità con alcuni applicativi. Su un punto invece le software house italiane sembrano andare d'accordo. Sette su dieci, sia che siano "apocalittiche" o "integrate" preferiscono ai brevetti (ritenuti costosi e scarsamente informativi sulle innovazioni) le licenze (considerate un modo più efficace per il controllo dei prodotti offerti). VITO LOPS MICROSOFT 0 IL PINGUINO L'ANALISI DI GARTNER MA LINUX DA SCRIVANIA RESTA ANCORA DELUDENTe Quella di Linux e dell'Open source non è sempre una marcia trionfale. Anche il Pinguino deve segnare, a volte, qualche insuccesso. In particolare sul fronte dei pc sulle scrivanie, nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche. Il caso più emblematico è quello del Comune di Monaco di Baviera. Due anni fa varava un piano di massiccia migrazione dei suoi r3mila desktop da Windows in ambiente Linux. A un anno di distanza però sono emerse le vere difficoltà. Buona parte dei posti di lavoro si sono rivelati oggettivamemte dipendenti da applicazioni Windows non replicabili su Linux. Con la necessità di montare sui pc dei pesanti software di emulazione (che riproducono Windows dentro Linux) con conseguenti costi aggiuntivi di potenziamento dell'hardware. Risultato: «a tutt'oggi non sono chiari i veri risultati economici dell'operazione», dice Brian Gammage, analista del Gartner. Ed è stato proprio il Gartner, nel corso del suo ultimo Symposio tenutosi a Cannes, a suonare un campanello d'allarme sui facili entusiasmi in tema di Linux sulle scrivanie. «Esperienze come quelle di Monaco confermano che la barriera della migrazione tra Windows e Linux è ancora altissima, in particolare per posti di lavoro che usano un portafoglio ampio di applicazioni. Qui i costi si dimostrano ancora troppo alti - rileva Gammage - mentre laddove i pc si basano su un applicativo prevalente, come avviene nelle banche e nella finanza, le iniziative di migrazione presentano indici ben più favorevoli. Ma si tratta di una quota ancora limitata del mercato». Windows è un mondo così forte da rendere spesso troppo costosa la migrazione È un'analisi che ha spinto il Gartner a retrocedere notevolmente la sua valutazione sul grado di maturità di Linux sui desktop. «Intendiamoci, Linux è un ambiente che negli ultimi anni, anche sui pc desktop, ha fatto grandi progressi. Ma c'è stato un eccesso di entusiasmo e sono stati presi erroneamente come referenti dei progetti, come quello di Monaco, politicamente motivati. Invece la migrazione è una scelta di investimento, va valutata a mente fredda e con sottomano le cifre realistiche dei ritorni. Altrimenti non si supererà lo scetticismo che comincia a montare su questo tema». La questione si concentra, per molte imprese, nemmeno sul bivio tra Linux e Windows ma sulla sfida tra Office e OpenOffice, i due veri rivali nei software di produttività. «Il secondo è di sicuro molto più evoluto, oggi. Ma, per esempio, OpenOffice manca di un database interno come Access, che molte aziende usano a piene mani. E deve continuamente rincorrere Microsoft sul piano della compatibilità dei file. Office è poi un software diffuso da vent'anni, e che ha creato una sua cultura di massa. Molti utenti hanno sviluppato centinaia di macro che non riescono riversare su OpenOffice. Sono problemi concreti, che fanno ancora da barriera». Come superarla? II Gartner vede all'orizzonte una soluzione. Ovvero il trend verso la «virtualizzazione» dei grandi ambienti su pc. «Uno dei progetti più interessanti in corso nel mondo Open source è a Cambridge (inglese) e si chiama Zen. È uno strato software di base che consente di far lavorare assieme su un pc un ambiente Windows Xp insieme a un ambiente Linux, ambedue chiusi dentro "scatole virtuali" sicure. In questo modo potremmo avere pc bilingue, in grado di far coesistere le applicazioni dei due mondi. Un vantaggio enorme per chi vuole avviare 'una migrazione a rischi e costi molto più bassi». GIUSEPPE CARAVITA _____________________________________________________________ LA STAMPA 24-11-2005 DENUNCIATO IL PROFESSORE HA COPIATO DALLO STUDENTE, IL GASO RINVIATO A GIUDIZIO: VIOLATA LA LEGGE SUL DIRITTO D'AUTORE Il giovane ha scoperto su Internet due capitoli della sua tesi firmati però dall'ex docente Giorgio Ballario Casa fare se il «copione» non è lo studente ma il professore? Non potendolo bocciare, l'unica alternativa è denunciarlo per violazione della legge sui diritti d'autore. È quello che è capitato a Gilberto Borzini, 50 anni, di Mombello Monferrato , noto professionista nel campo del marketing turistica, già consulente della giunta Ghigo e docente a contratto della Scuola universitaria di management d'impresa di Pinerolo, che fa parte della facoltà di Economia dell'università di Torino. Il professor Borzini è finito davanti al giudice Giuseppe Casalbore con un'accusa precisa: si sarebbe impossessato di un paio di capitoli della tesi di laurea di Roberto Francini, un giovane di Grugliasco che qualche anno fa si è laureato in Economia del Turismo con una tesi di ricerca sull'ottimizzazione dei ricavi nell'azienda alberghiera». Nell'autunno del 2002, mentre navigava su internet, Francini si è accorto che sul sito wcvw.jobintourism.it uno dei più noti del settore - veniva trattato propria l'argomento della sua tesi di laurea. Incuriosito, il neo-dottore in economia del turismo ha dato un'occhiata ed ha scoperto con rabbia e stupore che era stato pubblicato un intero capitolo del suo lavoro di ricerca. Non solo, l'articolo era stato firmato da Gilberto Borzini, uno dei suoi docenti alla scuola universitaria di Pinerolo. Continuando nella ricerca, Francini ha ancora accertato che il sito internet - che stampa anche un importante giornale inviato in migliaia di copie a tutti gli alberghi italiani - già il mese prima aveva pubblicato un altra capitolo della sua tesi, sempre a nome di Gilberto Borzini. A quel punto il laureato non ci ha più visto e si è rivolto all'avvocato Davide De Bartolo per sporgere denuncia in Procura. «La mia paternità dell'opera è stata usurpata - ha segnalato Francini nel sua esposto - e inoltre stralci della ricerca sono stati pubblicati su una delle più importanti riviste italiane di turismo e sul sito internet senza neppure chiedere il permesso». Il fascicolo è finito sulla scrivania del pm Andrea Bascheri, che esaminati gli atti ha disposto il rinvio a giudizio per violazione dell'articolo 171 della legge 633 del 1941, quella che tutela i diritti d'autore e punisce chi si impossessa delle opere altrui. L'avvocato casalese Andrea Rossignoli, che assiste Gilberto Borzini, respinge le accuse della Procura: «Il giovane che ha sporto denuncia era consapevole che parte della sua ricerca sarebbe stata pubblicata su quella rivista. Del resto una tesi di laurea non si compra in libreria, quindi se il mio cliente ne era in possesso significa che qualcuno gliel'ha data, spontaneamente». _______________________________________________________________________ l’Unità 22 nov. ’05 MATEMATICA DI REGIME: MEGLIO SENZA OPINIONE SCIENZA E FASCISMO Un libro ricostruisce la parabola discendente della scuola matematica italiana durante il Ventennio. Dal giuramento di fedeltà alle leggi razziali, alla normalizzazione che escluse gli scienziati dal dibattito politico e culturale di Pietro Greco C’é, nella storia italiana, una strana coincidenza. La fine della «primavera dei numeri», negli anni '20 del secolo scorso, si consuma mentre il fascismo conquista il potere. Il declino della «potenza matematica» del paese coincide col declino della democrazia. C'è una corrispondenza tra l'evento culturale e quello politico? É il regime di Mussolini la causa che determina il tramonto di una delle stagioni più felici della cultura scientifica italiana? A queste domande - che, come vedremo, hanno una loro straordinaria attualità - rispondono Angelo Guerraggio, dell'università Bocconi di Milano, e Pietro Nastasi, dell'università statale di Palermo, nel libro che hanno appena pubblicato per i tipi della Bruno Mondadori (Matematica in camicia nera, il regime e gli scienziati, pagg. 280, euro 26,00). Un libro di estremo interesse. In primo luogo perché ricorda a un paese non sempre cosciente della sua storia che tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo l'Italia era, appunto, una «potenza della matematica». La comunità dei matematici italiani, nata dopo l'unità, non aveva nulla da invidiare a quella francese e tedesca. Dalla geometria all'analisi, dalla logica alla fisica matematica: non c'è settore ove i matematici italiani non siano trai primi assoluti. Qualche nome? Giuseppe Peano e Vito Volterra in analisi. Il triumvirato composto da Federigo Enriques, Guido Castelnuovo e Francesco Severi che lavora a Roma e fa della capitale d'Italia il maggiore centro al mondo nel campo della geometria algebrica. Vito Volterra (ancora), Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita in fisica matematica. Questi ultimi due daranno un contributo decisivo all'elaborazione della relatività generale da parte di Einstein. Il valore dei matematici italiani é riconosciuto all'estero. Non a caso Roma nel 1908 e Bologna nel 1928 sono scelte per ospitare due congressi mondiali di matematica. E nel 1908 il francese Henri Poincaré indica nel Circolo di Palermo la più importante organizzazione matematica del mondo. Poi viene la guerra, la Prima guerra mondiale. E viene il fascismo. Nulla é più come prima. I matematici si schierano. E, come spesso accade, il ventaglio delle posizioni é vasto. C'è chi, come Vito Volterra (e Renato Caccioppoli) é per un'opposizione irriducibile al regime di Mussolini. C'è chi, come Enriques, pur avversando il fascismo pensa che la matematica debba restare fuori dalla politica. E c'è, infine, chi come Francesco Severi e Mauro Picone vestono con disinvoltura e persino con entusiasmo la camicia nera. In questo passaggio la grandezza assoluta della matematica italiana subisce un'erosione. É il fascismo la causa del declino? Il regime può essere accusato di molte colpe gravissime. In primo luogo di aver imposto agli accademici italiani, nel 1931, un giuramento di fedeltà. Cui solo Vito Volterra tra i matematici (e solo 12 tra l'intero corpo docente) si sottrae. Poi, colpa ancora più grave, di aver varato nel 19381e leggi razziali, che deprivano l'università di grandi intelligenze. Il fascismo può essere accusato di aver occupato, con sistematica protervia, tutti i gangli del potere, compresi i gangli del potere culturale: Vito Volterra (ancora lui) viene cacciato da quel Cnr che aveva fondato, a vantaggio di Guglielmo Marconi. Infine il regime può essere accusato di non aver avuto un progetto scientifico, di non aver coltivato l'eccellenza e di aver lesinato i fondi per la ricerca (motivi per cui il fisico Enrico Fermi lascia l'Italia). Alcuni matematici, primo fra tutti il grande Francesco Severi, possono essere accusati a ragione di aver cavalcato la tigre di Mussolini per fini di carriera. E di averlo fatto talvolta con eccesso di zelo: Severi, per esempio, ha messo pesantemente lo zampino nella vicenda del giuramento di fedeltà al regime. Tuttavia, come notano Guerraggio e Nastasi, il regime non tentò - non in maniera sistematica, almeno - di «fascistizzare la scienza». E nessuno in Italia cercò di proporre una «matematica italiana», a differenza di quanto accadde in Germania, dove molti scienziati nazisti cercarono di imporre una fantomatica «matematica tedesca» o una fantomatica«fisicatedesca». Per tutti questi motivi, sostengono Guerraggio e Nastasi, non é possibile affermare che, nell'immediato, il fascismo abbia prodotto il declino della matematica italiana. Che era iniziato già prima dell'avvento di Mussolini al potere e le cui cause vanno ricercate nell'incapacità del paese di «credere» nella scienza. Ottant'anni fa, come oggi. Tuttavia il regime non é passato senza produrre danni profondi. Il principale, sostengono Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi, é quello di aver