MAGGIORE STABILITÀ PER I RICERCATORI - UNIVERSITÀ NUOVO SITO PER LA MAPPA DEGLI STUDENTI - FACOLTÀ DI COLLOCAMENTO - LA FABBRICA DEL MENTALE - L'ASPIRANTE MEDICO E LA COSTITUZIONE - ELOGIO DEL FUORI CORSO - ARCHITETTURA, SENZA RISORSE A CAUSA DEL POLICLINICO - NON C'È STATO DI DIRITTO SENZA LIBERTÀ DI RICERCA - PSICOLOGIA - LA BUROCRAZIA ROVINA LA FESTA - PRESIDI CONTRO LA PRIVACY: «COSTRETTI A FARE I MEDICI» - "DISTRETTI TECNOLOGICI, LA SARDEGNA PUNTI SUI FARMACI" - UNIVERSITÀ: TRIONFO PER LA SINISTRA - ======================================================= FINANZIARIA: RICETTE ON LINE PER I MEDICI DI BASE - DAL TAR LA CONFERMA: «IL CAMBIO DI ASTE È STATO LEGITTIMO» - L'ORDINE DEI MEDICI AL VOTO: IBBA VERSO LA RICONFERMA - ICTUS E INFARTO AL PRIMO POSTO TRA LE CAUSE DI MORTE NELL'ISOLA - MISURANDO L'OSSIGENO SI SALVA IL PIEDE DIABETICO - SOMATOSTATINA UTILE, MA SOLO IN POCHI TUMORI - UNA CREMA CONTRO LE RUGHE CHE COPIA IL VELENO DEI SERPENTI - DEPRESSIONE ED EPILESSIA - QUANDO IL CAFFÈ SALVA IL FEGATO - IL RUOLO DI CRF NELL'ASTINENZA - LAUREA BREVE, PRIMO TEST PER PARAMEDICI E INGEGNERI - PER LE AZIENDE SONO SUPERDIPLOMATI POCO ADATTI ALLA CARRIERA» - TUMORI, NON SEMPRE GIOVA L'INTERVENTO PRECOCE - «NON È VERO CHE L' ALCOL PUÒ FAR BENE» - LE CENTO FACCE DELL' AUTISMO - APPELLO DEGLI ONCOLOGI: «ATTENTI A QUEL NEO» - ======================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Dic. ‘05 MAGGIORE STABILITÀ PER I RICERCATORI E crescono le opportunità professionali con i concorsi interni per fare carriera MILANO A contarli sono solo poche unità, 20miIa circa, il loro è però un ruolo strategico. Gestiscono, coordinano, progettano la ricerca nazionale. I ricercatori alla dipendenze degli Enti pubblici hanno ottenuto sabato scorso, dopo quattro anni di attesa, il rinnovo del contratto nazionale. A1 di là degli aumenti (390 curo medi mensili), la svolta dell'intesa è però l'intervento su una delle questioni più articolate e controverse: la stabilizzazione del personale precario. Su una pianta organica di 10mila ricercatori (il resto è costituito da tecnici di laboratorio e da personale amministrativo), la metà circa sono contratti di collaborazione, partite Iva, e contratti a tempo determinato. Almeno per questi ultimi, un migliaio circa, il contratto tenta di fare ordine, garantendo un percorso sicuro per l'inserimento stabile. Se in passato cioè per ottenere un'assunzione era necessario aspettare e superare due corsi nazionali, uno per il primo contratto a termine e un altro per quello a tempo indeterminato, ora basterà il superamento di un primo concorso. A un ricercatore, vincitore di concorso, per essere assunto definitivamente dall'ente di ricerca presso cui ha lavorato, sarà così sufficiente la presentazione dei propri titoli e la valutazione del presidente dell'ente. Ma è sui percorsi di carriera che il rinnovo tenta di introdurre una vera e propria innovazione. Per i ricercatori sono infatti tre i livelli professionali: dirigente di ricerca. primo ricercatore e ricercatore semplice. La mobilità tra questi livelli è stata finora regolata dai pochi e rari concorsi nazionali. Un sistema questo che ha di fatto paralizzato i passaggi di qualifica, «Abbiamo separato - spiega Marco Broccati della Cgil - la fase del reclutamento (attraverso concorso interno, ndr) dalla crescita professionale, vincolata appunto a concorsi interni». Una svolta anche se lo stesso sindacato non nasconde le difficoltà di attuazione. Resta infatti da definire come questi concorsi si dovranno svolgere, chi li organizzerà, come assicurare condizioni di equità. Ma soprattutto la creazione di nuovi posti, quindi di nuovi incarichi, dipenderà dall'incremento o meno delle risorse finanziarie. Intanto, dopo il sindacato, il contratto viene promosso anche da chi in sostanza dovrà spingere per la sua piena applicazione. Per la Conferenza dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca l'intesa «rappresenta uno strumento importante per il rilancio dea ricerca e con essa il rilancio del sistema produttivo e sociale». S.u. ______________________________________________________________ ItaliaOggi 6 Dic. ‘05 UNIVERSITÀ NUOVO SITO PER LA MAPPA DEGLI STUDENTI È da ieri disponibile nel portale del ministero dell'istruzione il nuovo sito dell'anagrafe degli studenti, anagrafe.miur.it, che ha preso avvio nel 2004 con l'intento di accogliere in un'unica banca dati tutti gli eventi di carriera di uno studente, dal suo ingresso all'università sino alla laurea. L'obiettivo che il sito si prefigge, spiega, una nota del Miur, è quello di fornire, non solo agli addetti ai lavori, ma a chiunque abbia interesse ad ave;re elementi di conoscenza e valutazione del sistema universitario italiano, uno strumento rapido e 'semplice da consultare in grado di offrire, mediante continui aggiornamenti dei dati, una dettagliata panoramica sull'orientamento degli studenti rispetto al gran numero di corsi di laurea triennale e specialistica messia disposizione dagli atenei italiani. Rispetto al sito sino a ora disponibile, sono state realizzate nuove funzionalità di ricerca che consentono di prendere visione dei dati suddivisi per ateneo, area e classi, tipologia e voto di diploma, età, cittadinanza e residenza. È stata inoltre introdotta una modalità di ricerca avanzata che consente di visualizzare le informazioni con aggregazioni diverse a seconda dei criteri scelti dall'utente. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Dic. ‘05 FACOLTÀ DI COLLOCAMENTO LEGGE BIAGI - Ancora poche le università che istituiscono servizi per l'ingresso nel mondo del lavoro Atenei, chi aiuta i laureati a trovare un'occupazione In Italia il raccordo tra università e mercato I del lavoro esiste. Sulla carta. La realtà, piuttosto, rimanda un'immagine sbiadita di quella attività che la legge Biagi autorizza ope legis: la possibilità di fare intermediazione al pari di altri soggetti attivi nel collocamento. Solo un ateneo su due ha istituito al proprio interno uno sportello di Job placement. Tra questi, poi, quelli che effettivamente svolgono l'attività di mediazione, come previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo 276/2003, a patto che l'attività sia senza scopo di lucro e che i dati siano conferiti in Borsa lavoro, si contano sulle dita di una mano. Eccetto pochi casi di eccellenza, le università non forniscono statistiche sulle operazioni effettuate. E i numeri tornano ad essere quelli di sempre, dell'Istat e di Alma Laura secondo cui, nel corso del 2003, 60 laureati su cento hanno trovato lavoro grazie all'iniziativa personale. Oppure che, a tre anni dalla laurea, il 25% dei giovani non ha ancora un'occupazione. «Ogni anno – afferma Michele Tiraboschi, responsabile del Centro studi Marco Biagi - escono dalle università italiane oltre 200mi1a studenti, ma solo un quarto trova lavoro. Il placement è necessario per giocare d'anficípo:'è un’aiuto a progettare e a calibrare meglio il percorso di studio in modo che sia più compatibile al mondo delle imprese, progettando corsi su misura. L'esperienza giapponese insegna: lì le imprese, ogni aprile, entrano nelle università e reclutano gli studenti prima ancora della fine dell'anno accademico». «I dati sono ancora più indicativi - aggiunge Piero Tosi, presidente della Conferenza dei rettori (Crui) - se si pensa che il nostro Paese ha un basso numero di laureati. Il tema è relativamente nuovo, gli atenei stanno recuperando il tempo perduto. Tuttavia va rivisto il metodo, il tempo dell'università autoreferenziale è finito: sono necessari rapporti stretti con il territorio e con il mondo del lavoro sia per l'orientamento in uscita ma anche per il concepimento e la realizzazione dei percorsi di studio». Aprirsi al mercato non significa, continua Tiraboschi, «piegarsi alle logiche dell'impresa, ma interagire con essa per evitare che il sistema formativo sia concentrato su di se e poco permeabile al mondo del lavoro». Pioniere in questo percorso l'università Bocconi di Milano. La struttura lombarda, la prima a essere istituita sul territorio italiano, vanta oggi una ventina d'anni d'esperienza. L' attività si dipana in percorsi diversi che hanno l'unica finalità di aiutare gli studenti ad avere un approccio maturo e consapevole con il mondo del lavoro. I numeri fanno chiarezza: l'80% degli studenti utilizza il placement interno e di questi il 50% ha trovato un'occupazione grazie al servizio. La cerniera con il mondo del lavoro, tuttavia, non è scontata. «In Italia non lo è mai stata e non lo è tuttora - afferma Isabelle Lhuillier, responsabile Sop in Bocconi (Servizio stage, orientamento professionale e placement)- Siamo convinti, come accade nel mondo anglosassone, che la relazione tra studente e università non si concluda con la laurea». Secondo l'ultimo monitoraggio Eurisko sulla Bocconi, che si riferisce alle lauree della sessione di giugno dell'anno accademico 2002-03, dal totale della popolazione intervistata (1.524 studenti) risulta che il 94% dei giovani lavora, il 3% è ancora in cerca di occupazione, mentre la rimanente percentuale fa riferimento a chi l'occupazione non la sta cercando. Singolare poi il fatto che, tra gli occupati, la maggior parte risponde di avere trovato un posto dopo due mesi dalla laurea. Tra i primi in Italia a strutturare un ufficio di placement anche l'università di Padova. Da anni impegnato nella gestione di uno sportello stage, l'ateneo si connetterà alla Borsa lavoro con una massa consistente di dati: le aziende contattate dal 1997 sono oltre 9mila. «Uno spazio online aperto a imprese e laureati c'è sempre stato - spiega Gilda Rota, coordinatrice della task force universitaria che si occupa dei contatti con il mondo del lavoro - Ma ricerca e offerta fluttuavano in modo passivo senza intermediazione. In questi ultimi mesi abbiamo messo a punto un software in grado di incrociare i curriculum e le richieste delle imprese». Anche l'Università di Modena e Reggio Emilia attraverso la Fondazione Marco Biagi ha allestito un servizio analogo, che si aggancerà alla Borsa a settembre. «L'operazione - spiega Paola Gelmini, direttore della Fondazione Marco Biagi - punta ad allargare la cerchia del job placement ad altri servizi che le agenzie non possono fornire, come l'alto apprendistato oppure la certificazione dei contratti. La nostra filosofia è quella di uscire dal contesto regionale e aiutare gli studenti ad aprirsi alla internazionalizzazione». Le imprese con cui sono state avviate convenzioni, tra tirocini e primi inserimenti, sono quasi 500; tra questi anche 15 laureati in alto apprendistato». Intanto, ministero del Welfare e Crui, la conferenza dei rettori, si sono incontrati mercoledì per approfondire le modalità attraverso cui gli atenei potranno agganciarsi a Borsa del lavoro. In cantiere c'è un progetto pilota per una quindicina di atenei che verranno supportati nell'attività di intere connessione. Secondo il calendario la prima a connettersi dovrebbe essere, entro il 31 dicembre, la facoltà di Economia della Sapienza (Roma); dovrebbero seguire Padova, Verona e Torino. CRISTIANA GAMBA ____________________________________________________ Il Manifesto 8 dic. ’05 LA FABBRICA DEL MENTALE ENZO MODUGNO Le recenti mobilitazioni degli studenti hanno sottratto l'istruzione al monopolio dei pedagogisti del Ministero, facendone ancora una volta un importante terreno di scontro sociale. È in gioco la felicità di conoscere, che già Lutero e Bacone considerarono con sospetto e che Berlinguer, Zecchino e Moratti vorrebbero, anche loro, costringere sulla stretta via che porta al mercato del lavoro precario. Si è discusso anche di questo nell'aula occupata della Facoltà di Lettere e Filosofia a Bari, gremita di studenti, ricercatori in esubero, un paio di docenti. I gruppi giovanili dei partiti di sinistra avrebbero voluto occupare per pochi giorni e affidare poi le loro sorti alla prossima riforma. Ma gli occupanti hanno continuato contro tutte le riforme, non solo contro la Moratti, per impedire la normalità di un'istituzione che produce e disciplina i nuovi lavoratori mentali dequalificati e senza diritti richiesti dal nuovo modo di produrre. Risolvendo così praticamente un groviglio di questioni che la sinistra non è stata in grado di affrontare e spesso nemmeno di vedere. Prima di tutto: ma perchè i ministri, Berlinguer e Moratti, continuano a fare riforme che immiseriscono l'istruzione proprio quando le conoscenze sono diventate la parte più importante della produzione? Può sembrare infatti che si stiano sbagliando, ma non è così: al contrario, stabilendo un nesso tra questa importanza crescente delle conoscenze e la qualità decrescente dell'istruzione, hanno posto una questione teorica e metodologica decisiva per il buon andamento dell'economia. Questo teorema dei ministri esprime l'essenza stessa delle trasformazioni del modo di produrre, e costituisce un tentativo di razionalizzazione capitalistica dell'istruzione. Il compito assegnato dal sistema produttivo all'istruzione infatti non è quello di produrre conoscenze, bensì quello capitalisticamente più urgente di produrre lavoratori mentali dequalificati, i «piccoli» scienziati - come li chiama la letteratura manageriale - che non raggiungono il livello dei veri scienziati, ma a differenza di questi hanno un enorme vantaggio: sono tanti. Sono questi i lavoratori richiesti dalle tecnologie informatiche: istruiti più degli operai, ma meno dei vecchi laureati. Un immiserimento simile si verificò quando gli artigiani, ridotti ad operai con l'affermarsi del capitale industriale, perdettero la loro virtuosità, che passò nelle prime macchine «per» filare senza dita. O quando la residua virtuosità degli operai di mestiere passò nelle macchine della catena di montaggio fordista che li ridussero ad operai-massa. Questa volta la macchina per pensare senza cervello incorpora il sapere accumulato della società, che prima esisteva nel cervello dell'intellettuale, e lo riduce al lavoratore mentale dequalificato delle ultime riforme. La produzione di conoscenze è diventata invece un settore produttivo come gli altri. Le conoscenze, come qualsiasi altra merce, si comprano e si vendono sui mercati internazionali. Centinaia di miliardi di documenti che raddoppiano ogni due anni sul web profondo sono ormai la merce più venduta, il valore di scambio del capitalismo informazionale. Nel 1944 Theodor W. Adorno poteva già scrivere: «Il pensiero si reifica in un processo automatico che si svolge per conto proprio, gareggiando con la macchina che esso stesso produce perché lo possa finalmente sostituire». Questa precoce descrizione delle nuove forme della produzione capitalistica ormai universalmente affermate, può farci capire in quale tritacarne siano finiti gli studenti. Con le lotte degli studenti, la critica del sapere diventa una critica di massa - è stata questa la quarta ondata, dopo il `68, il `77 e il '90. E sempre più questa critica del sapere diventa, tout court, una critica radicale della produzione capitalistica, ora che il capitale, come il sofista di Platone, «produce» e vende cognizioni come qualsiasi mercante che venda cibi e bevande. Quando il capitale si impossessa di quest'«arte» di vendere cognizioni, nata nella piazza del mercato di Atene, le conoscenze abbandonano l'ambito ristretto del lavoro intellettuale e cominciano a circolare sul mercato mondiale. Queste cognizioni, «avvisi» utili dati al genere umano, come dice Giambattista Vico, oggi diventano la merce più venduta: come mezzo di produzione, ratio calcolante, e come mezzo di godimento, «valanga» di informazioni minute e divertimenti addomesticati. Ma questo va di pari passo col completo svuotamento, con l'alienazione, con la separazione del lavoratore mentale da questa universalità delle conoscenze, divenuta la nuova ricchezza sociale che egli cerca di far sua e dalla quale invece viene ingoiato. Questo processo storico - che le riforme dei ministri ratificano post festum riducendo tutta l'istruzione a un'enorme scuola di avviamento al lavoro - non sarà rovesciato da un ritorno alla scuola pubblica fordista, ma dalle lotte per la riappropriazione di questa nuova ricchezza sociale. ____________________________________________________ Scuola Oggi 5 dic. ’05 LA MORATTI LASCIA. A BERLUSCONI L’INTERIM. La notizia era già nell’aria .Il 20 dicembre la ministra Moratti lascerà, dopo quattro anni, il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per candidarsi ufficialmente a sindaco di Milano per il centrodestra. L’interim del suo ministero verrà assunto direttamente dal presidente del consiglio Berlusconi. La gestione effettiva del ministero passerà nelle mani della sottosegretaria Valentina Aprea. A dare l’annuncio è stato il segretario nazionale della FLC-CGIL, Enrico Panini, nella giornata del 2 dicembre, intervenendo a Milano a conclusione dei lavori del 1° congresso provinciale della nuova federazione dei lavoratori della conoscenza. Con l’annuncio anche una calda raccomandazione ai delegati al congresso: tallonare la campagna elettorale della Moratti, passo dopo passo, di quartiere in quartiere per far conoscere a tutti i cittadini milanesi i risultati negativi realizzati in questi quattro anni di governo. La lista è talmente lunga che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dalle liste d’attesa nella scuola dell’infanzia allo smantellamento del tempo pieno e prolungato, dalla divisione classista della “sua riforma” nelle superiori alla dispersione scolastica, più alta in Lombardia rispetto alla media nazionale; dai tagli agli organici dei docenti e del personale ATA ai tagli alle risorse finanziarie nelle scuole pubbliche e nelle università; dalla riduzione dei fondi per alunni stranieri e handicappati ai tagli sulle spese di funzionamento, sulle supplenze, sulla formazione , sulla sicurezza, sull’edilizia scolastica e via tagliando… 125milioni di euro in meno sul 2005 col decreto fiscale Tremonti, di cui alla Lombardia 8milioni e 288mila euro in meno e a Milano oltre 3 milioni di euro in meno a fine anno; e ancora, 1 miliardo di euro in meno con la finanziaria del 2006 per rimanere ai più recenti provvedimenti. Di contro, regali alle scuole private a piene mani e in particolare a quelle religiose e assunzioni a più non posso di insegnanti di religione cattolica, un insegnamento quest’ultimo che viene ricollocato nel decreto della secondaria tra gli insegnamenti obbligatori… Come avvio di campagna elettorale non c’è male signora Moratti…e si ricordi che le scuole milanesi hanno scioperato più volte contro la “sua riforma” e che proprio qui a Milano è nato spontaneamente un forte movimento di protesta che ha portato in piazza, contro i tagli alla scuola pubblica e a difesa del tempo pieno e prolungato, migliaia di cittadini milanesi. Proprio quegli stessi cittadini milanesi, chiamati domani a scegliere il sindaco di una città, più volte delusa dai suoi interventi come ministro e che oggi sentono la loro scuola e le loro università, decisamente più povere e più precarie di ieri. Pippo Frisone ____________________________________________________ L’Unione Sarda 7 dic. ’05 L'ASPIRANTE MEDICO E LA COSTITUZIONE Chi passa i test d'accesso è solo fortunato? Vorrei ancora parlare dell'ormai chiacchieratissimo test di ammissione a Medicina e Chirurgia. Più che di passione per la medicina, nel mio caso parlerei piuttosto di vocazione. La professione medica richiede un amore smisurato per gli altri. Purtroppo, di medici con queste caratteristiche ne sono rimasti ben pochi. Da quando ho coscienza di me stessa, mi rendeva felice il pensiero che un giorno sarei diventata un bravo medico. Ma mi sono scontrata con il test di ammissione. È un test che sminuisce l'intelligenza delle persone; basato su domande stupide che niente hanno a che fare con la Medicina... Cultura generale: «L'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana risale al... Cinque opzioni». Credete davvero che un paziente che sta perdendo la vita sia interessato al fatto che il suo medico conosca la risposta a questa domanda? Per quanto riguarda le altre materie (Biologia, Chimica, Fisica e Matematica), i quesiti proposti non hanno niente a che vedere con la preparazione acquisita al liceo. Mi trovo d'accordo con il medico che afferma che questi test siano degni di un programma televisivo. Non vedo perché uno che aspira a diventare avvocato possa realizzare il suo sogno e chi aspira a diventare medico no! Sono confusa; non desidero fare nulla di diverso, ma non sono sicura di poter realizzare il mio progetto di vita. È giusto che a 20 anni mi senta frustrata già prima di cominciare a vivere? Tutto per uno stupido test che, con un po' di fortuna, passerebbe anche un bambino! Si tratta dopotutto di tracciare 80 crocette dentro i quadratini, come alla scuola materna. È giusto che una ragazza a 20 anni pensi di aver bisogno di antidepressivi per una delusione tanto grande? In una facoltà complicata come Medicina e Chirurgia la selezione avverrebbe naturalmente; che senso ha un test tanto rigido? A chi pensa che il numero programmato sia una cosa giusta, auguro di vivere una sola giornata come io vivo ogni santa giornata. Chi sta dentro non è il più bravo, ma solo il più fortunato! S. A. - Cagliari Se hai questa grande passione per la Medicina, ti consiglio caldamente di non rinunciare al tuo sogno. Preparati per il test in maniera più mirata. Studia le prove passate e approfondisci le materie d'esame. Ma anche i fondamentali di Storia ed Educazione civica. Non è scandaloso che a un'aspirante matricola venga chiesto in quale anno sia entrata in vigore la Costituzione italiana. È invece - molto - sconcertante che qualcuno sbagli la risposta. Non si può fare il medico restando avulsi dalla realtà in cui si vive, ignorando le fondamenta e le regole della società che richiede e finanzia i servizi sanitari. Il numero programmato non è la soluzione di tutti i mali, ma garantisce almeno un rapporto umano (in tutti i sensi) fra docenti e studenti. Le migliori università del mondo selezionano rigorosamente gli iscritti. Cara S. A., non farti abbattere. Puoi passare la prossima prova d'ammissione e diventare un ottimo medico. Ma anche una persona migliore, perché avrai imparato a mettere a frutto una sconfitta. Daniela Pinna ______________________________________________________________ Libero 11 Dic. ‘05 ELOGIO DEL FUORI CORSO Solo il 69% degli iscritti si laurea nel tempo stabilito La storia di uno studente Usa rilancia un mito dell'università Fuori corso, fuori sincrono, fuori di testa. Immaginate la scena: Witewater, solida università del Wisconsin, un urlo lacera il brusio claustrale degli esaminandi:« Oddio, ancora lei:'! ... ». L'aria si fa di piombo, il registro si spalanca sull'abisso, gli sguardi si spengono nell'aria, perfino i pettirossi alla finestra deglutiscono. E il prof è inviperito, un mantice che sbuffa sul candidato Johnnv Lechner impalato lì di fronte. Johnm se ne sta ancora lì, all'ennesimo esame. Non importa cosa dica o faccia, il suo volto è sorridente e convesso come il deretano d'un venditore d'auto usate. Questa scena è usuale. Ogni volta che il trentenne Johnmr Lechner si materializza in una qualsiasi delle sessioni d'esame d'una qualunque delle facoltà in cui è ripetutamente iscritto da dodici anni (pedagogia, comunicazione, teatro ecc..), il tempo cessa d'esser galantuomo. Johnny Leehner, nel suo piccolo, è una leggenda vivente. Dodici lunghissimi anni da eterno studente, da fuori corso assoluto, non solo gli hanno procurato le ospitate al "Late Show" di David Letterman, o i contratti da testimonial per bibite energetiche e le serate da cantautore improvvisato nei localini di provincia, 01'attenzione ammirata della stampa nazionale. Non solo, insomma, la sua pertinace resistenza agli studi l'ha glassato di vera gloria. 141a oggi la sua storia, esaltata dal New York Times, sta rilanciando la professione dell'eterno studente. l NUOVI SOCRATE Perchè a ben vedere, i Movimentisti d'aula magna sono necessari. I Socrate dello statino, quelli che strusciano tra la biblioteca e la Macchinetta del caffè, i fancazzisti accademici, insomma, posseggono una dignità letteraria. Certo. non sostiene codesta tesi il fatto che, da una recente statistica Istat soltanto in Italia sul 10% della popolazione con "titolo di studio accademico" oltre il 69% dei 222.208 laureati dell'ultimo anno è fuori corso (il 93% in Legge come chi scrive-, il 22.5% in medicina); secondo il vecchio ordinamento solo 16% conquista il pezzo di carta in tempo umanamente -e giuridicamente- consono, mentre secondo il nuovo (quello delle lauree triennali) lo fa il 77,5%. Ciò significa, al di là delle crude cifre, che l'aggrovigliata riforma Moratti sforna sì laureati a buon ritmo (sulla cui preparazione generalista, però, potremmo aprire un capitolo a parte...); ma che si scatena, soprattutto, in un'ossessiva caccia al fuoricorso. Il che non è necessariamente un bene, si badi. Il Talmud stabilisce che l'uomo veramente saggio non smette mai d'imparare qualcosa ogni giorno trascorso sulla Terra. E la conoscenza, si sa, non richiede fretta. Sociologicamente la condizione di studente perpetuo è un topos, lo stimolo di condottieri moderni come Ernesto Guevara che prima di diventare W' Che", chiuse volutamente i libri di medicina per scorrazzare lungo il Sud america in sella a una motocicletta e a un mucchio di sogni. O di artisti multiformi, come Pier Vittorio Tondelli v il caravaggesco Andrea Pazienza, i quali senza i fuori corso -essendo essi stessi o fuori corso - non avrebbe potuto raccontare i viassanottO, Bifo e Radio Alice, l'atmosfera turnida dei "masticatori della notte" e la controrivoluzione culturale. Non avrebbe potuto, Pazienza descrivere i movimenti giovanili della Bologna del' 77, senza i suoi eroi a fumetti: Massimo Zanardi e la sua cricca di fottuti ornarini privi di speranze e di morale, Penthotal, o Enrico Fiabeschi, lo studente che si fa mantenere dalla fidanzata spendendosi in un solo esame all'anno per evitare il militare. Bologna con la Padova degli anni 60, è stata la culla metafisica dei fuoriscorso. LA CULLA BOLOGNESE È di Bologna Guccini che completò tutti gli esami di Lettere moderne ma si fermò, riottosamente, alla soglia della laurea, opponendo filosofici dinieghi: «Io, Francesco Guccini, eterno studente/perché la materia di studio sarebbe infinita soprattutto perché so di non sapere niente», cantava parafrasando spudoratamente Socrate. Mentre a Napoli, negli arrabbiati anni 70, Edoardo Bennato, studente fuoricorso d'architettura cantava la sua condizione nell'Lp "L'isola che non c'è" identificandosi con Spugna, il nostromo di Capitan Uncino («Dopo il liceo che potevamo fare non c'era che l'università, ma poi il seguito era vergogna ero fuori corso qui in facoltà e me lo voglio dimenticar e bevo, bevo senza ritegno(; ma, alla fine, dieci anni dopo, riusciva a laurearsi con una tesi sulle "scalinatelle", il progetto sulle futuribili scale mobili dei vicoli napoletani. Senza i fuoricorso non esisterebbe, peraltro, una fetta consistente della letteratura moderna. Cosa sarebbe Niek Horbv senza i suoi ineguagliati passeggiatori di pub e universitari part time? E senza Zeno Cosini, consegnato all'arrendevolezza d'una vita passata a migrare da un'università all'altra senza mai giungere alla laurea, Italo Svevo sarebbe stato lo stesso ` E Frank Court immigrato irlandese dai denti marci ex cameriere e fuoricorso alla Columbia University• e poi insegnante di inglese in tarda età, avrebbe scritto "Le ceneri di Angela", il più struggente best seller degli anni 90 ~ Nel cinema Leonardo Pieraccioni -terza media- scopri il successo descrivendo i suoi falsi "Laureati" sulle rive dell'Arno e sulle orme dei fancazzisti del "Sorpasso"; Cedric Klaudisch divenne fenomeno di costume giran "L'appartamento spagnolo sulle verità dell'Erasmus. L'inesorabile slittamento della data dell'esame come quello della tettonica a zolla nella deriva dei continenti; il sesso promiscuo e le feste che riempiono le giornate in attesa d'un'evento che non arriva mai; il parcheggio delle coscienze spesso nascosta sotto la dicitura di "studente lavoratore": tutto è avvolto da un indescrivibile olezzo di romanticismo. "C'è un tempo e un luogo per tutto", scrive Johnnv Lechner nel suo sito. Basta non esagerare Francesco ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 dic. ’05 ARCHITETTURA, UNA BOLLA DI SAPONE Crescono le attese degli studenti mentre nell’ateneo si affievolisce la spinta sulla nuova facoltà Il policlinico universitario assorbe troppe risorse CAGLIARI. Nel marzo 2005 la facoltà di architettura di Cagliari era un sogno da realizzare a tutti i costi, in giugno una realtà sulla quale il rettore si sbilanciava fino a chiedere una sede definita quale la manifattura tabacchi dismessa, in settembre ci si domandava già quando sarebbero cominciate le lezioni: ieri mattina il consiglio di amministrazione dell’ateneo ancora metteva all’ordine del giorno un parere sulla facoltà di architettura. Il fervore dei primi mesi del 2005 risulta perduto, i docenti universitari sono impegnatissimi in assistenze morali e materiali sui piani paesistici, a marzo, poi, cominceranno i corsi per preparare i funzionari regionali a una migliore tutela del valore ambientale, insomma si teme che si sia rallentata la spinta ad aprire il nuovo corso di studi. Non mancherebbero altre ragioni: economiche e anche culturali. Le ragioni economiche. Sono semplici: l’università non nuota nel denaro, i patti elettorali contratti dal rettore per modificare ancora una volta lo statuto dell’ateneo e ricandidarsi non gli permettono di togliere nulla al completamento del policlinico universitario (opera necessaria, per altro verso, se si considera l’urgenza didattica e assistenziale di costituire l’azienda mista). Inoltre, la facoltà di architettura pur nella foga primaverile nasceva già con un forte handicap: nello schema pensato per rendere più semplice la fase di partenza, questa era una gemmazione della facoltà di ingegneria, in particolare delle materie legate alla composizione e all’architettura tecnica, corsi già attivi quindi attrezzati dei materiali didattici necessari, riconoscibili negli spazi assegnati e tenuti da docenti inseriti nell’organico con regolare stipendio. Naturalmente, per formare un architetto devono essere previste molte altre materie, ma il nocciolo della preparazione, al momento, poteva risultare contenuto in alcuni insegnamenti non di nuova istituzione. Secondo i più, l’handicap connesso con una situazione di questa natura aveva e ha due facce. Da un lato l’impostazione culturale: la formazione di un ingegnere e quella di un architetto secondo un dibattito molto acceso non devono portare allo stesso risultato e devono tenere ben distinte le radici. Dall’altro l’organizzazione didattica: i professori di ingegneria che verranno chiamati a tenere le lezioni (e che già le tengono nel dipartimento di architettura) sono quasi tutti prossimi alla pensione, non è facile immaginare che queste cattedre a metà tra una facoltà e l’altra richiameranno l’attenzione di docenti di alta qualificazione e magari famosi quindi c’è il rischio che, se il presente è certo e onesto, il futuro rischia di macchiarsi di un grave difetto: la mediocrità didattica. La vicenda della possibile sede di Architettura, fino all’estate scorsa l’ex manifattura tabacchi, è anche questa imparentata con le ristrettezze economiche: sul tema edilizia universitaria al momento non ci sono fondi da dirottare sulla facoltà di architettura. Anzi: tutti gli insegnamenti che faranno capo al policlinico universitario non vedono di buon occhio il fatto che fondi ulteriori eventualmente reperibili siano destinati a edifici diversi da quelli legati a Medicina e alle facoltà collegate. Di recente la Regione ha manifestato l’intenzione di allargare gli uffici del consiglio regionale con la manifattura tabacchi, ma l’università non ha fatto seguire atti o richieste affinché Regione e Comune accettassero di valutare altre soluzioni per dare spazio alla nascente facoltà. Insomma, è tutto fermo. Forse è questo il motivo per cui riaffiora un ricordo, vecchio di qualche anno, di una possibile via d’uscita per gli atenei sardi decisi a migliorare il livello culturale dei progettisti: l’idea era quella di dare vita a un politecnico universitario che raggruppasse la facoltà di ingegneria di Cagliari e quella di architettura di Alghero-Sassari. Si trattava di costituire un organismo universitario autonomo rispetto ai due atenei che avrebbe avuto il pregio di non duplicare facoltà e di mettere assieme il meglio dell’offerta didattica della Sardegna. Sassari sostenne l’idea per un po’, Cagliari mai (la spiegazione è che il potere nell’ateneo cagliaritano ha due fonti storiche, Medicina e Ingegneria). Con questo antefatto, e visti gli stenti in cui oggi viene lasciata Architettura nella fase della gestazione, la nuova facoltà somiglia di più a un contentino di fine mandato (del rettore) piuttosto che al progetto di promuovere il salto culturale delle prossime generazioni di progettisti. Alessandra Sallemi ______________________________________________________ Corriere della Sera 9 dic. ’05 LAUREA BREVE, PRIMO TEST PER PARAMEDICI E INGEGNERI Dopo 18 mesi l' 88,6% trova un impiego Nei corsi di studio scientifici il biennio di specializzazione è ancora un requisito per la carriera La rilevazione del Cilea nelle università lombarde e di Pisa Il debutto dei laureati triennali nel mercato del lavoro è migliore del previsto. Lo sostiene un' indagine condotta tra il 2003 e il 2004 dal Cilea, il consorzio delle maggiori università lombarde, su un campione di 3.500 laureati in otto atenei, sei lombardi più l' università di Pisa e la Scuola Superiore Sant' Anna di Pisa. È la prima indagine in questo ambito, perché il numero di chi entra nel mondo del lavoro con una laurea breve è diventato significativo solo dal 2004. AL LAVORO PRIMA - Un primo campione statistico, dunque, ma significativo. Infatti la comparazione tra i livelli occupazionali dei laureati del vecchio e del nuovo ordinamento di uno stesso gruppo di università, consente di misurare l' attrattiva esercitata dai nuovi percorsi brevi. Il primo risultato è tutt' altro che scontato: a 18 mesi dal conseguimento del titolo di studio l' 87,3% dei laureati del vecchio ordinamento ha un lavoro e il 12,7% lo cerca. Le corrispondenti percentuali, per i «triennalisti», diventano 88,6% e 11,4%. Ciò significa un tasso di assorbimento da parte del mondo del lavoro lievemente superiore per i laureati triennali. Se dal quadro generale si passa ai diversi corsi di laurea, l' area con i migliori risultati risulta essere quella sanitaria, dove la percentuale di occupati «triennalisti» è addirittura del 97,3% . Di poco inferiore, cioè, alla sostanziale piena occupazione (98,4%) dei laureati con il vecchio ordinamento nella stessa area di studi. IL REBUS SPECIALIZZAZIONE - Ben diversa e molto deludente, invece, è la performance degli ingegneri triennali, occupati per il 75,3% contro un tasso di occupazione del 92,6% dei loro fratelli maggiori laureati nel vecchio ordinamento. Una debacle del tutto analoga a quella dei laureati nell' area scientifica: 69,4% per i triennali, 87,1% per i «tradizionali». I due risultati estremi, tuttavia, erano in qualche modo attesi. Per gli infermieri, infatti, il percorso di studi era articolato in partenza sui tre anni, senz' altra possibilità che l' inserimento lavorativo. Diverso il caso di ingegneri e scientifici in genere. Qui la laurea breve langue e spesso si trasforma in quinquennio perché la specializzazione è percepita come un fattore decisivo per le prospettive occupazionali future. Indicativo il fatto, ad esempio, che nell' indagine non sia stato compreso il Politecnico di Milano. PIU' SODDISFATTI - Interessante infine il punto di vista dei laureati che stanno lavorando. Chi esce dal triennio esprime giudizi mediamente più ottimistici circa la coerenza tra il percorso di studi seguito e l' occupazione effettivamente trovata: il 60,7% di soddisfatti contro il modesto 46,4% dei colleghi del vecchio ordinamento. Thomas Mackinson 97,3% E' la quota di laureati brevi nel settore sanitario già al lavoro contro il 75,3% di ingegneria 60,7% La quota di «triennalisti» soddisfatta del percorso di studi in relazione all' impiego Mackinson Thomas ______________________________________________________ Corriere della Sera 9 dic. ’05 PER LE AZIENDE SONO SUPERDIPLOMATI POCO ADATTI ALLA CARRIERA» L' ESPERTO L' indagine Cilea promuove con voti quasi pieni le lauree brevi: servono a trovare rapidamente lavoro e lasciano soddisfatti gli studenti. Gli operatori più esperti del mercato del lavoro segnalano però ancora qualche incertezza e scetticismo da parte degli imprenditori. I quali tuttora prevedono di offrire le migliori prospettive di carriera prevalentemente a chi ha una formazione universitaria «piena». Lo sostiene Paolo Citterio (foto) - presidente del Gidp, l' associazione dei direttori del personale, un network di 1.300 tra direttori e dirigenti di imprese medie e grandi - che chiarisce quale sia l' attuale orientamento delle aziende. «È corretta - sostiene - l' idea di sollevare una parte della popolazione universitaria dall' accumulo dei saperi riducendo il corso di studi, ma era fondamentale coinvolgere nella definizione dei percorsi formativi e delle competenze gli imprenditori e le associazioni manageriali. Allo stato attuale le competenze che interessano le imprese restano tutte concentrate nel biennio specialistico che segue la laurea triennale. E chi assume un giovane vuole portare in azienda le conoscenze più evolute, quelle che si trasmettono nelle migliori università ma che certo non si sviluppano negli insegnamenti del triennio di base. Per questo chi ha una laurea breve rischia oggi di essere trattato come nient' altro che un superdiplomato e quindi di rimanere al palo nelle speranze di carriera». ______________________________________________________________ L’Unità 4 Dic. ‘05 NON C'È STATO DI DIRITTO SENZA LIBERTÀ DI RICERCA Questo appello di un nutrito gruppo di scienziati italiani a favore di libertà di ricerca e cura su cellule staminali, fecondazione assistita, Ru486, cannabis terapeutica ed eutanasia, è stato lanciato nel corso del V Congresso dell'associazione Luca Coscioni, in corso a Orvieto. «La libertà di ricerca scientifica é obiettivo irrinunciabile di uno stato di diritto democratico e laico. In Italia, purtroppo, tale libertà viene costantemente violata e condizionata attraverso leggi e scelte politiche ispirate da pregiudizi ideologici e dogmi religiosi. Ci rivolgiamo ai responsabili politici e istituzionali di ogni partito e schieramento, e in particolare a coloro che in occasione delle imminenti elezioni politiche 2006 si candideranno a governare il nostro Paese, affinché si impegnino da subito davanti alle elettrici e elettori italiani per: - consentire, attraverso limiti e regole stringenti sul modello della Gran Bretagna, la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali finalizzata alla comprensione e alla cura di malattie che colpiscono centinaia di milioni di persone nel mondo; - consentire l'accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie affette da malattie genetiche, oltre alla fecondazione assistita con seme esterno alla coppia; - garantire la libertà terapeutica, affidata al rapporto tra medico e paziente, nella effettiva somministrazione di farmaci ampiamente testati e autorizzati in tutti i Paesi civili, ma ostacolati (e in alcuni casi proibiti) nel nostro Paese, quali: pillola abortiva RU486, cannabis terapeutica,trattamenti farmacologici per i cittadini tossicodipendenti e oppioidi per il trattamento del dolore; - consentire autonomia e responsabilità individuale nelle scelte relative alla fine della vita, innanzitutto per abbattere il fenomeno dell'eutanasia clandestina attraverso il rispetto della volontà individuale liberamente e inequivocabilmente espressa, anche attraverso il riconoscimento delle direttive anticipate di trattamento e forme di regolamentazione dell' eutanasia sul modello olandese, belga, svizzero o secondo l'orientamento che sta assumendo anche il parlamento britannico. La rimozione di divieti irragionevoli é la premessa per politiche di investimento nella ricerca e nella formazione come elemento irrinunciabile di ogni strategia di sviluppo economico, civile e democratico. Lo stesso metodo scientifico - basato sull' analisi empirica e non su pregiudizi ideologici puó e deve essere adottato dalla politica, dalle democrazie liberali, come metodo laico per scegliere soluzioni di governo ai problemi della nostra epoca, relativi all'essere umano e al suo rapporto con la società e l'ambiente» Tra i firmatari: Mauro Barni, Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini, Giulio Cossu, Carlo Flamigni, Antonino Forabosco, Luca Gianaroli, Demetrio Neri, Piergiorgio Strata, Adolfo Allegra, Carlo Bernardini, Corrado Bohm, Calogero Caruso, Carlo Cercignan, Nicolò Cesa Bianchi, Orio Ciferri, Marcello Crivellino, Daniele Cusi, Romano Dallai. Elisabetta Dejana, Umberto Di Porzio, Arturo Falaschi, Anna Pia Ferraretti, Francesco Fiorentino, Cesare Galli, Giovanna Grimaldi, Piero Leporini, Fabio Macciardi, Fabio Marazzi, Paolo Stefano Marcato, David Modiano, Mario Molinaro, Guido Ragni, Carlo Alberto Redi, Giuseppe Remuzzi, Carla Rossi, Romano Scozzafava. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 dic. ’05 PSICOLOGIA - LA BUROCRAZIA ROVINA LA FESTA Neolaureati costretti a rinviare la specializzazione CAGLIARI. Ventitrè anni e una laurea di primo livello in tasca, ma di farla andare avanti la burocrazia universitaria non ne ha per nulla intenzione. Quello che detto così potrebbe sembrare uno scherzo è invece la realtà amara con cui s’è trovata a fare i conti Francesca (‹‹non voglio essere riconosciuta››, dice), e insieme a lei un centinaio di coetanei che tra il 17 e il 23 novembre hanno discusso la loro tesi, laureandosi in Psicologia, un ramo della facoltà di Scienze della formazione. Finita la festa, i neo dottori, desiderosi di non perdere tempo e di darci subito sotto per arrivare alla laurea specialistica, si son trovati davanti a un muro: le iscrizioni sono scadute il 31 ottobre, e sino a marzo non ne saranno aperte delle altre. ‹‹Un classico caso di pessima organizzazione universitaria - si sfoga Francesca - Per venti giorni, ho perso un’opportunità››. E dire che il corso di laurea specialistica in Psicologia è partito solo il primo dicembre: ‹‹Prevede 120 posti - va avanti Francesca - ma secondo voci di corridoio gli iscritti sono molti meno. Perché allora non prorogare le iscrizioni, almeno sino ad arrivare al massimo di studenti ammissibili?››. In difesa degli studenti, increduli davanti all’impossibilità di anticipare la sessione di laurea o di prorogare i termini per le iscrizioni, si schiera Fabiola Nucifora, rappresentante degli universitari nel Senato accademico. ‹‹Da tutta la vicenda - dice - quel che emerge è l’assoluta mancanza d’organizzazione e l’incapacità di comunicare. Se le cose fossero state pensate in modo più ordinato non si sarebbe arrivati a questo punto››. Per Fabiola Nucifora si sarebbe potuto pensare, ad esempio, ad inserire una sessione di laurea tra settembre e ottobre, e comunque prima della scadenza delle iscrizioni: ‹‹Altre facoltà, come Giurisprudenza - dice - l’hanno fatto››. A Psicologia invece, dopo le lauree di luglio, s’è passati direttamente a quelle di poche settimane fa, ‹‹disattendendo - dice Nucifora - le aspettative degli studenti››. Che ora chiedono almeno di poter frequentare, e formalizzare l’iscrizione a marzo. ‹‹Anche se - dice Francesca - sarebbe una magra consolazione: per chi vorrebbe fare domanda per la borsa di studio significherebbe avere solo pochi mesi di tempo per dare gli esami necessari ad entrare in graduatoria››. Ma non è detta l’ultima parola: la speranza è che ci sia un intervento del rettore che tolga i giovani dottori dalla spiacevole situazione. S.Z. _______________________________________________________ Corriere della Sera 5 dic. ’05 PRESIDI CONTRO LA PRIVACY: «COSTRETTI A FARE I MEDICI» SANITÀ Abolito il certificato dopo cinque giorni di assenza, meno presente il dottore a scuola. I sindacati: «Subito un tavolo di confronto» I capi d’istituto devono diagnosticare i casi di malattie infettive ma senza rivelare i nomi degli alunni «Non siamo dottori». Devono organizzare corsi e piani dell’offerta formativa, controllare la sicurezza degli edifici scolastici e mantenere l’ordine. Ma sulla salute no, non vogliono deleghe. Presidi e medicina scolastica. Costretti a fare diagnosi, a scoprire allergie e intolleranze, a mandare i bambini a casa, ma senza rivelare il nome dell’alunno o il tipo di morbo: «C’è la privacy». Le norme regionali parlano chiaro: al capo di istituto viene chiesto di allontanare da scuola gli alunni «con sintomi che giustifichino il sospetto di malattie infettive», in particolare se si tratta di febbre e malessere, diarrea, esantema e congiuntivite purulenta. «Noi non abbiamo le competenze per riconoscere le malattie e curarle - spiega Gianni Gandola, a capo dell’elementare Mugello Mezzofanti -, ma di fatto il medico scolastico non c’è più. Se va bene lo vediamo una volta alla settimana, dato che ha lo stesso incarico in decine di edifici». La protesta è tornata a montare dopo la mini-epidemia di salmonellosi che si è diffusa in alcune scuole del Lorenteggio, con presidi e insegnanti a difendere Anna Sandi, la dirigente dell’elementare di via Soderini (la scuola più colpita, con 11 casi), dalle accuse di non essere intervenuta in tempo. E a volere subito un incontro sul tema. «È stato richiesto al provveditore Antonio Zenga - commenta Rita Frigerio, responsabile milanese della Cisl scuola - un tavolo di confronto tra dirigenti scolastici, amministrazione provinciale e Asl per definire le competenze sui problemi relativi alla salute dei bambini». Aboliti i certificati medici per le riammissioni in classe, resta il malumore dei docenti cui sono state richieste «prestazioni speciali» in caso di diabete o allergie. «In alcune scuole - continua Rita Frigerio - vengono delegate alle maestre mansioni come la misurazione della glicemia, la predisposizione di un ambiente idoneo alla somministrazione dell’insulina. È vero che sono previsti corsi di formazione, ma anche questo è un modo per dare ai docenti compiti che loro non spettano». È d’accordo Pietro Calascibetta, preside della scuola media Rinascita: «Finché va tutto bene non ci sono problemi. Ma quando c’è un’emergenza, le cose cambiano. Siamo completamente scoperti». Altro problema, la privacy. «Anche in caso di malattie infettive - continua Calascibetta - noi dobbiamo fare una comunicazione generica dicendo: "Si è verificato un caso di...". Nessuno sa chi ha contratto il virus, chi ha mangiato cosa, in quale famiglia ci siano certi problemi. Siamo tra l’incudine e il martello: siamo capi di istituto e responsabili della sicurezza, ma non abbiamo il potere di mettere in atto certe misure o chiedere interventi. Spesso ci si dimentica che la scuola è una comunità». Annachiara Sacchi ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 dic. ’05 "DISTRETTI TECNOLOGICI, LA SARDEGNA PUNTI SUI FARMACI" L'intervista - Liberatore (Farmindustria) Il futuro del settore farmaceutico è nei piccoli laboratori, dove è possibile lavorare per l'innovazione. Su questo deve puntare la Sardegna, che non rientra nelle grandi regioni che producono farmaci, ma che ha le carte in regola per fare ricerca e sperimentazione in diversi rami della farmaceutica. L'esempio arriva da Polaris, il parco scientifico e tecnologico della Sardegna, con sede a Pula, dove si sta lavorando e crescendo, grazie alla collaborazione tra pubblico e privato. Proprio la sinergia tra enti pubblici e industrie private, nel settore farmaceutico, è stato il tema dell'incontro con gli studenti, organizzato dalla Società italiana di Farmacologia (Sif), presieduta da Giovanni Biggio, docente di Neuropsicofarmacia all'Università di Cagliari, e da Farmindustria, tenutosi nell'aula magna della Cittadella di Monserrato, gremita con oltre 500 studenti universitari. Presente anche il numero due dell'associazione, e amministratore delegato della Schering spa, Sergio Liberatore, che ha tracciato le linee guida per lo sviluppo dello studio dei farmaci anche nell'isola. Industria e ricerca: la farmacologia segue questi due binari? "Da una parte abbiamo le Regioni che producono farmaci, e che negli anni sono diventate le potenze industriali di questo settore, grazie agli investimenti. Parlo di Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana. Ci sono poi territori che potranno dare molto nella ricerca e nella sperimentazione. Il futuro per la farmacologia sono infatti i distretti tecnologici: anche piccoli laboratori dove cercare l'innovazione e trovare nuove idee di farmaco. In questa direzione la Sardegna è partita bene, con Polaris. Si deve proseguire, e l'Università deve giocare le sue carte. Ricordo che il 72% del personale che lavora in questo settore ha un'istruzione universitaria". Impossibile sperare in uno slancio industriale nel campo del farmaco? "È difficile. Le realtà che ho citato prima sono figlie dell'industria del passato, che ha ottenuto grandi finanziamenti. In Sardegna, secondo gli ultimi dati, le realtà industriali si contano sulle dita di una mano, i dipendenti non arrivano a 40. Le percentuali sull'indotto nazionale sono molto vicine allo zero. Per far capire le differenze che si sono create negli anni, la stessa situazione l'abbiamo in quasi tutte le altre regioni". Ma anche per fare ricerca servono soldi. "Ci sono. Lo Stato mette a disposizione investimenti rilevanti: l'ultimo prevede 500 milioni di euro per finanziare 21 progetti di ricerca. Si deve trovare il giusto binomio tra pubblico e privato. L'attenzione verso la Sardegna da parte delle multinazionali c'è proprio per le potenzialità che si possono raggiungere nell'innovazione e nella ricerca". Per questo Farmindustria ha firmato un accordo con la Sif? "Abbiamo stipulato un protocollo di collaborazione: la produzione e la commercializzazione dei farmaci non possono prescindere dalle nuove idee e dalla sperimentazione. Il futuro di un settore che ha 241 industrie in tutta Italia, 73 mila lavoratori diretti, che con l'indotto arriva a 220 mila, e che ha permesso al mercato italiano di diventare il terzo in Europa e il quinto nel mondo, con un valore di 18 miliardi di euro, dieci dei quali in esportazione, è fortemente legato alla ricerca. Le industrie farmaceutiche investono circa 900 milioni all'anno, e altri 800 proprio in ricerca. Senza dimenticare che lo sviluppo delle tecnologie e dell'innovazione, nel campo farmaceutico, significa ottenere più risultati nel sistema sanitario. Non per niente l'ultimo spot di Farmindustria è stato chiamato "ricerca e vita"". Matteo Vercelli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 dic. ’05 UNIVERSITÀ: TRIONFO PER LA SINISTRA Secondo i dati ancora ufficiosi a picco gli studenti di centrodestra CAGLIARI. Tutto rimandato a martedì. Quasi tre giorni dopo la chiusura delle urne per le elezioni dei rappresentanti studenteschi, di risultati ufficiali non si ha neppure l’ombra. Così se nel segno del caos si era partiti, nel caos le ultime votazioni continuano a trascinarsi. Ma mentre dall’ufficio elettorale dell’Università fanno sapere che le cose sono ancora in alto mare e che bisognerà attendere, i gruppi studenteschi quattro conti se li sono già fatti. Dati non ufficiali, ma da cui emerge un primo spaccato della situazione: un trionfo per la lista Università per gli studenti, capeggiata da Giuseppe Frau, e di un balzo indietro per le liste di centrodestra, che rispetto alle elezioni di tre anni e mezzo fa hanno perso circa 1.200 voti. Sono numeri saltati fuori durante le operazioni di scrutinio nei 44 seggi sparsi tra la città e le sedi staccate dell’ateneo e che ora aspettano d’essere controllati, vagliati, di ottenere i crismi dell’ufficialità che solo in Rettorato potranno dare. Se le cose dovessero essere confermate questa sarà la situazione: delle cinque poltrone spettanti agli studenti nel consiglio d’amministrazione dell’Ateneo, nel Senato accademico e nel Senato accademico allargato, due saranno del gruppo Ichnusa (una formazione di centro-destra che raggruppa tutte le sigle da An all’Uds) e due andranno ad Università per gli studenti (formazione apartitica). Resta il problema dell’unico seggio rimanente, il quinto, una vera incognita che potrebbe andare a Ichnusa, a Università per gli studenti o magari anche al gruppo Sinistra Universitaria, coordinato dall’attuale presidente del consiglio degli studenti, Gianluigi Piras. Vediamo anche come sono andati a distribuirsi i voti degli studenti (gli aventi diritto erano 35 mila). Appurato ormai che s’è trattato di una tornata elettorale flop - qualcuno dice che s’è recato alle urne il dieci per cento degli universitari, qualcun altro parla di poco meno di cinque mila - i dati ufficiosi dicono che alla lista Ichnusa sono andati 1.800 voti. Se confermati si tratterebbe d’un crollo clamoroso, perché nelle passate elezioni il centro destra (la lista vedeva insieme Comunione e Liberazione e Udc) di voti ne aveva incassati 3.000. Bene, benissimo invece per Università per gli studenti: 1.500 voti per una lista che tre anni e mezzo fa, presentandosi insieme ad altre come Sinistra universitaria, aveva raccolto 2000 preferenze. Sinistra universitaria avrebbe preso 750 voti («un buon risultato anche per noi», commenta Gianluigi Piras) mentre Studenti a sinistra, la lista guidata dall’attuale rappresentante degli studenti nel Cda dell’Ersu, Matteo Murgia, avrebbe registrato appena 500 voti. E insieme a Ichnusa, forse è proprio la lista di Murgia l’altra perdente di queste elezioni: «Colpa della disorganizzazione dell’ateneo - dice Matteo Murgia - molti aventi diritto non figuravano negli elenchi». Il rettore Pasquale Mistretta si difende: «Ho fatto tutto quello che era possibile per venire incontro agli studenti e garantire le elezioni». Sabrina Zedda ======================================================= RICETTE ON LINE. Medici di base e pediatri dovranno trasferire su un circuito informatico on-line almeno il 90% delle prescrizioni farmaceutiche e specialistiche, altrimenti perderanno l'indennità informatica prevista dal contratto e saranno 'multati'. Per ogni ricetta non comunicata in via informatica i medici saranno puniti con una multa da 2 euro, mentre se manca il codice fiscale dell'assistito l'Asl non liquiderà il rimborso. _________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 8 dic. ’05 DAL TAR LA CONFERMA: «IL CAMBIO DI ASTE È STATO LEGITTIMO» Il licenziamento del manager della Asl 8 Efisio Aste è stato un atto legittimo. Lo ha stabilito il Tar della Sardegna, che ha confermato il provvedimento di decadenza assunto dalla Regione nei confronti dell’ex Direttore generale. Con una sentenza depositata lunedì, il Tar ha riconosciuto l’esclusiva giurisdizione del Tribunale del Lavoro, che lo scorso 24 ottobre aveva rigettato il provvedimento d’urgenza presentato dall’ex manager che chiedeva la reintegrazione alla guida della Asl. Per il Tar Aste non ha alcun diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro - ha spiegato in una nota l’Assessorato regionale della sanità - e la sua decadenza è dunque definitiva. Aste era stato rimosso lo scorso 11 aprile a conclusione di una formale contestazione d'addebito relativa al project financing per la costruzione e la gestione di nuovi servizi negli ospedali Microcitemico e Businco. Un progetto ritenuto oneroso per la pubblica amministrazione e che è stato ricontrattato dalla nuova dirigenza con le stesse imprese e a condizioni più favorevoli. Mentre con riferimento alla delibera della Giunta Soru che aveva nominato Gino Gumirato al posto di Aste, il Tar ha respinto le censure mosse nei confronti del provvedimento, accogliendo parzialmente il ricorso per “una motivazione insufficiente” in ragione della quale la Giunta dovrà provvedere ad adottare un nuovo atto di nomina di Gumirato con ulteriori motivazioni _________________________________________________ Il Giornale di Sardenga 8 dic. ’05 L'ORDINE DEI MEDICI AL VOTO: IBBA VERSO LA RICONFERMA Una preferenza è andata anche a Ippocrate Lunedì sarà nominato il nuovo direttivo Un voto l’ha avuto anche Ippocrate. Alle elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Cagliari per il trienno 2006-2008, che si sono svolte dal 3 al 5 dicembre in via dei Carroz, si è raggiunto il quorum (2000 votanti) anche se con qualche nostalgico passo indietro nel tempo. E in effetti il voto al padre della medicina a cui si deve il primo testo deontologico della professione, a Ippocrate, sembra quasi una provocazione (sebbene sia consentito votare un qualsiasi medico iscritto all’albo), visto che a vincere è sempre la stessa squadra dal 1981. Raimondo Ibba in testa, presidente uscente, ma di sicuro anche entrante dopo 25 anni e otto incarichi consecutivi, e poi Alberto Puddu e tutti gli altri. Solo sette nuovi nomi fra quelli già noti nell’unica lista in cui la categoria medica si presentava “unita e compatta ai seggi” come precisava il programma pre elettorale, contrastando lo spauracchio delle elezioni di tre anni fa in cui si presentarono altre liste creando tra i medici una «spaccatura profonda e lacerante». Tre anni fa i dissidenti persero. Quest’anno nessun colpo di scena. Tutto come da copione. «Merito dei nostri colleghi, che non hanno creato capziose e aprioristiche contrapposizioni», aveva comunicato Ibba nel programma in vista delle elezioni, «è merito nostro che abbiamo superato gli effetti dello scontro di allora e lavorato pensando al futuro e alle cose che dovremo fare. La categoria ha profondo bisogno di unità: che fa crescere e andare avanti». E tra lunedì e martedì, quando si assegneranno le cariche, è molto probabile che il nome di Raimondo Ibba risulterà di nuovo al vertice delle preferenze. Proprio in nome di questa unità. E con lui si riproporranno gli incarichi al vicepresidente Alberto Puddu, la segretaria Susanna Tronci e il tesoriere Giuseppe Chessa. Tra i consiglieri uscenti restano Maurizio Locci, Silvio Piras, Alfonso Spagnesi e Paolo Valle, mentre tra le new entry, tutti giovani medici, ci sono Anna Rita Ecca, Davide Matta, Emilio Montaldo, Cesare Moretti, Vincenzo Nissardi e Sebastiano Patti. Per il collegio dei revisori tre i nomi già noti: Pier Giorgio Castaldi, Anna Desogus e Francesco Sanna, è nuovo invece Thomas Geremia Manca. Per i componenti della commissione degli odontoiatri Christian Carrus, Foddis Sandro, Maurizio Muscas, Mario Nieddu e Franco Vinci _________________________________________________ Il Giornale di Sardenga 9 dic. ’05 ICTUS E INFARTO AL PRIMO POSTO TRA LE CAUSE DI MORTE NELL'ISOLA I controlli sono l'unico modo per prevenire i disturbi: la città ospita due giorni di congresso Va un poco meglio rispetto al resto d'Italia, ma la sostanza resta uguale: anche nell'Isola la prima causa di morte è rappresentata dalle malattie cardiovascolari, cioè dai problemi alla circolazione. Prima ancora degli incidenti stradali e di altre disgrazie, dunque, vengono l'ictus e l'infarto, e con loro tutta una serie di guai (come la diffusissima angina pectoris) che possono compromettere diverse funzioni del corpo. LA MEDIA ANNUALE è questa: ogni 10mila abitanti in Sardegna muoiono 39 uomini e 26 donne, contro i 43 uomini e le 28 donne delle statistiche nazionali. Un dato lievemente inferiore ma che conferma l'ampiezza del problema (l’incidenza di malattie cardiovascolari è pari a 6,7 per cento negli uomini e 6,1 nelle donne) e soprattutto della prevenzione. Ecco perché la città ospita un congresso regionale sul tema, “Angiologia e Patologia Vascolare in Sardegna”, che si terrà venerdì 16 e sabato 17 dicembre nella sala convegni T Hotel. L'obiettivo è proprio mettere a punto un sistema di prevenzione efficace della malattie cardiovascolari e il responsabile del convegno, il professor Ferdinando Binaghi, presente presenterà un progetto per ridurre il rischio dall'età giovanile a quella geriatrica. IL DISTURBO PIÙ DIFFUSO nell'Isola è l'angina pectoris, quel dolore che si presenta nella zona del cuore ed è dovuto a un parziale arresto della circolazione nelle arterie coronarie. Tra tutti i sardi che soffrono di malattie alla circolazione, infatti, il 3,2 per cento degli uomini e soprattutto il 4,5 delle donne hanno questo problema. Sempre tra le donne è frequente anche l'incidenza della “claudicatio intermittens”, un disturbo che consiste nell'ostruzione delle arterie delle gambe, e ha per conseguenza lo zoppicamento. Ne soffre il 3,3 per cento. Più lieve la diffusione di patologie come l'ictus e l'infarto, che spesso però possono essere letali. Più del 30 per cento dei decessi dovuti alle malattie cardiovascolari è da attribuire agli accidenti cerebrovascolari, che quando non uccidono sono comunque responsabili di invalidità permanenti e complete. Considerando gli anni potenziali di vita perduti (quelli che ciascun deceduto avrebbe vissuto se fosse morto a una età pari a quella della sua speranza di vita), queste malattie in Italia tolgono ogni anno oltre 300 mila anni di vita nelle persone di età inferiore ai 65 anni, 240 mila negli uomini e 68 mila nelle donne ______________________________________________________________ MF 9 Dic. ‘05 MISURANDO L'OSSIGENO SI SALVA IL PIEDE DIABETICO E Ricerca In Usa nuovo metodo diagnostico di Galeazzo santini Ogni anno migliaia di diabetici devono essere sottoposti all'amputazione di parte dei loro arti inferiori a causa di ulcere nei piedi, una complicanza molto comune in questo tipo di malattia. Un gruppo di ricercatori americani ha però realizzato un nuovo strumento diagnostico in grado di identificare i mutamenti nell'epidermide del piede del diabetico e quindi di intervenire prima che sia troppo tardi. L’aumento del rischio di ulcere nei diabetici si manifesta con il progredire della malattia quando si verifica un danno ai nervi delle gambe e dei piedi. La pelle diventa meno sensibile e disturbi di minima entità come piccole lesioni o bolle non vengono notate fino a quando non diventano gravi. Il nuovo metodo, basato su immagini iperspettrali, consente di controllare in che modo e quantità l'ossigeno arriva, alla pelle. Con questo screening i medici possono quindi rilevare se i diabetici soffrono di danni ai nervi e intervenire se l'afflusso di ossigeno risulta adeguato. ______________________________________________________________ Repubblica 8 Dic. ‘05 SOMATOSTATINA UTILE, MA SOLO IN POCHI TUMORI IL MINISTRO della Saluto ha invitato Il Cons19Ho Superiore di Sanità (Css) a continuare nella valutazione delle ricerche sui farmaci del metodo DI Bella, dopo un'esplicita richiesta dei Sibor-Mdb (la Società che detiene la cura), il Css, nelle sue procedure di accertamento, in effetti, aveva richiesto cartelle e dati sui singoli pazienti, ma la Sfbor, "impossibilitata a sostenere i costi” , ha ottenuto dal ministro «la revisione della più recente letteratura scientifica sulle azioni dei farmaci utilizzati, per valutare se emergano nuove acquisizioni che possano far riconsiderare N razionate e le basi scientifiche del Metodo Bella, come scrive Storace al presidente dei Css, chiedendo una relazione «in tempi udii per potere da parte mia assumere le conseguenti decisioni-. Soddisfatto Giuseppe Di Bella: «Ciò comporterà l'esame di studi clinici nei linfomi, come quello di Todisco e altri del 2001, che riporta una risposta positiva nei linfomi non Nodgtdn con sopravvivenza dell'80%, di cui il 70% dei pazienti per regressione». Di Bella annuncia poi la pubblica (a febbraio) di uno studio sui MDB con risultati positivi per carcinomi e tumori a piccole cellule polmonari. Qui di seguito, il direttore di Oncologìa molecolare ~ dell’ist di Genova fa il punto sugli studi internazionali su somatostatina e altri singoli farmaci alla base della cura. di Adriana Albini Una delle armi più interessanti nella lotta contro il cancro è costituita dai farmaci che puntano a un "bersaglio molecolare" sulla cellula cancerosa e lo colpiscono selettivamente. Tra i bersagli vi sono i recettori ormonali e i geni del cancro 0 oncogeni. Numerosissimi sono ì prodotti che inibiscono i recettori per i fattori di crescita, ovvero gli "interruttori» che sulla cellula scatenano la proliferazione neoplastica. Il recettore di EGF, EGFr è il bersaglia di svariati farmaci (cetuximab, gefitinib ed eriotinib), ma esistono anche molecole come il sorafenib, un inibitore orale "multichinasico", che hanno uno spettro di azione più ampio perché riescono a intercettare l'azione di più recettori. Si lavora molto anche per colpire il terreno dove la neoplasia si sviluppa, le cellule circostanti che talvolta invece di bloccarla la alimentano. Da queste ricerche sono emerse sostanze entrate in studi clinici prima e poi in terapie, ad esempio i farmaci anti-angiogenià e anti-infiammatori, usati in combinazione con i tradizionali chemioterapici e la radioterapia. La "terapia a bersaglio" richiede un approfondimento di diagnostica molecolare, poiché sì è visto che la presenza o meno del bersaglio e le sue eventuali mutazioni, influenzano l'efficacia della cura. La scelta di usare una molecola tra le decine di migliaia che forniscono in laboratorio buone prove sperimentali contro il cancro è motivata solo se essa presenta mi netto vantaggio rispetto alle altre. Le cure oncologiche diventano sempre più personalizzate: riproporre a distanza di anni, per una vasta gamma di tumori, sic et simpliciter, una "Terapia Di Bella", basata su una mistura dì sostanze - di cui alcune con qualche parziale efficacia sperimentale - mescolate su base essenzialmente empirica. Talvolta contenenti chemioterapici a basse dosi, non è accettabile. Eventuali risultati clinici sporadici come quello risalente al 2001 di M. Todisco e altri su una rivista di modesta rilevanza internazionale e su un particolare tipo di tumore {venti pazienti di linfoma non Hodgkin a basso grado} non sono a mio parere sufficienti a riproporre il "cocktail" come terapia antitumorale a vasto raggio. I passi da gigante compiuti nei metodi di ricerca non possono essere ignorati: ogni sostanza candidata per una terapia va studiata in opportune, razionali, specifiche e ben congegnate combinazionì, spesso diversificate a seconda della patologia. L'aumenta di sopravvivenza raggiunto per certe neoplasie è notevole. E' uri grave errore, in questo momento di grandi, progressi, il voler contrapporre il cosiddetto "Metodo di Bella", che - secondo le definizioni correnti - non si può definire un metodo, alle terapie di consenso internazionale. In particolare, il possibile ruolo della somatostatina (SST), una delle componenti del cocktail, in tumori diversi da quelli di origine neuroendocrina resta ancora da essere confermato. La somatostatina, e il sua analogo octreatide, sono "farmaci a target", che agiscono attraversa una classe di recettori, chiamati SSTr, presenti solo su determinate cellule e su alcuni tipi di cancro. E' stata individuata, nel laboratorio di cui sono responsabile, la presenza di particolari recettori per SST sulle cellule endoteliali, quelle dei vasi sanguigni. Gli studi sono preliminari e fin ora solo pre-clinici, e la funzione di SST sull'endotelio non è ancora chiara. Pertanto, di fronte ai successi terapeutici certi, ad esempio, dell'anticorpo anti-VEGF, il bevacizumab, diretto a "soffocare i tumori e convalidato in studi con molte centinaia di pazienti. i recettori della somatostatina non si possono ancora considerare un bersaglio alternativa di terapia antiangiogenica. ______________________________________________________ Repubblica 8 dic. ’05 UNA CREMA CONTRO LE RUGHE CHE COPIA IL VELENO DEI SERPENTI E' stata brevettata da un gruppo di ricercatori dell'università di Padova Partendo dalle tossine determinano la paralisi muscolare dopo il morso dei rettili I risultati della ricerca pubblicati sulla rivista "Nature" ROMA - Il lifting fatto in casa, per le donne e per gli uomini, a costi ridotti, senza bisogno del medico né di sottoporsi a interventi bensì con una crema antirughe atossica e applicabile anche più volte al giorno. Un sogni di molti che potrebbe avverarsi grazie al veleno dei serpenti e a una equipe di ricercatori italiani, guidata dal professor Cesare Montecucco dell'Università di Padova, che ha capito come funziona la tossina responsabile della paralisi muscolare provocata dal morso dei rettili. La scoperta e le sue possibili applicazioni, rese note sulla prestigiosa rivista Science, sono state già brevettate dai ricercatori italiani. Stiano pur tranquilli coloro ai quali fa impressione l'idea di cospargersi il volto con la "saliva" di un serpente: la crema non conterrà il veleno ma sarà a base di due molecole innocue ma che hanno lo stesso effetto delle tossine del veleno. La composizione. Usando come principio attivo le due molecole, un lisofosfolipide e un acido grasso, i ricercatori hanno già formulato la futura composizione della crema antirughe. Il veleno dei serpenti è costituito da alcune neurotossine, ovvero molecole tossiche per i neuroni, dette SPAN (da Snake Presynaptic Phospholipase A2 Neurotoxins). L'effetto del morso è quello di bloccare la comunicazione nervosa provocando la paralisi muscolare. Ma finora era rimasto un mistero il meccanismo molecolare alla base di questi devastanti effetti. La scoperta. Gli scienziati italiani hanno ricostruito il meccanismo servendosi di uno strumento di ultimissima generazione disponibile da non più di sei mesi solo in Inghilterra, un sofisticatissimo "spettrometro di massa". Inoltre, sono riusciti a riprodurre gli effetti del veleno di serpente con due molecole non tossiche, in assenza completa delle tossine. L'azione. Il veleno agisce a livello delle sinapsi dei neuroni, zone attraverso le quali avviene il rilascio dei neurotrasmettitori. Queste sono le molecole con cui i neuroni comunicano tra loro e con le fibre muscolari per permettere al muscolo di contrarsi. Gli esperti hanno scoperto che le neurotossine SPAN determinano la paralisi muscolare attraverso la produzione, a partire dalle molecole grasse che rivestono le membrane di tutte le cellule (fosfolipidi), di due molecole, un lisofosfolipide e un acido grasso. Questi due composti, da soli, sono in grado di ottenere lo stesso effetto delle SPAN, quindi di spegnere la comunicazione tra neuroni e muscoli. Ma a differenza delle tossine sono innocue. L'applicazione. "Noi abbiamo brevettato le possibili applicazioni cosmetiche di questa scoperta" ha riferito Montecucco, da cui potrebbe derivare la prima crema anti-età da applicare più volte al giorno per rilassare la muscolatura sottocutanea e distendere le rughe. Una crema di questo tipo, i cui principi attivi sono le due molecole lipidiche, non ha effetti tossici e, a differenza della tossina botulinica che oggi viene usata per lo stesso scopo, non dovrebbe essere usata in centri medici qualificati ma potrebbe essere utilizzata a casa, con costi notevolmente ridotti e senza pericolo. I ricercatori pensano di utilizzare il prodotto del loro studio anche contro la ipersudorazione, condizione che può essere molto fastidiosa e che riguarda spesso giovani di sesso maschile. ______________________________________________________ Le Scienze 12 dic. ’05 DEPRESSIONE ED EPILESSIA Dopo un'operazione chirurgica migliora anche la salute mentale Ansia e depressione sono problemi comuni per i pazienti la cui epilessia non può essere controllata con i farmaci. Uno studio pubblicato sul numero del 13 dicembre della rivista "Neurology", però, rivela che dopo un'operazione chirurgica si riscontrano miglioramenti significativi. Il neurologo Orrin Devinsky dell'Università di New York e colleghi hanno scoperto che i tassi di ansia e depressione possono calare di oltre il 50 per cento nei due anni successivi all'intervento chirurgico. I pazienti che non hanno più avuto attacchi epilettici dopo l'operazione avevano probabilità ancora maggiori di non essere più soggetti ad ansia e depressione. "Sono risultati molto importanti, - commenta Devinsky - perché la depressione e l'ansia possono avere un impatto significativo sulla qualità della vita. Molti studi hanno dimostrato che nei pazienti che soffrono delle forme più ostiche di epilessia la depressione ha un effetto maggiore sulla qualità della vita rispetto agli attacchi veri e propri". Lo studio ha coinvolto 360 volontari in sette centri di epilessia negli Stati Uniti. I pazienti si sono sottoposti a interventi chirurgici per rimuovere l'area del cervello che produceva gli attacchi. Questo tipo di operazione è riservata di solito a coloro i cui attacchi non possono essere controllati con i farmaci. I ricercatori hanno valutato la salute mentale e gli eventuali sintomi di depressione e di ansia prima degli interventi chirurgici e nei due anni successivi, scoprendo che i tassi di questi disturbi sono sostanzialmente calati. ______________________________________________________ Le Scienze 9 dic. ’05 QUANDO IL CAFFÈ SALVA IL FEGATO L'azione protettiva dipenderebbe dalla caffeina Il caffè e il tè possono ridurre il rischio di gravi danni al fegato nelle persone che bevono troppo alcol, sono sovrappeso o hanno troppo ferro nel sangue. Lo rivela uno studio condotto presso il National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases e pubblicato sulla rivista "Gastroenterology". La ricerca, basata su quasi 10.000 volontari, ha mostrato che coloro che bevevano più di due tazze di caffè o di tè al giorno sviluppavano malattie croniche del fegato a un tasso pari a quasi la metà rispetto a coloro che bevevano meno di una tazza al giorno. La caffeina, però, non forniva protezione ai pazienti a rischio di malattie del fegato per altre cause, per esempio per infezioni virali. "Anche se è ancora presto per incoraggiare i pazienti ad aumentare il proprio consumo di caffè e di tè, - afferma Constance Ruhl, una delle autrici dello studio - i nostri risultati possono suggerire alle persone a maggior rischio di malattie croniche al fegato un modo per tentare di ridurre questo rischio. Speriamo inoltre che possano essere utili ai ricercatori che studiano la progressione di queste malattie". ______________________________________________________ Le Scienze 6 dic. ’05 IL RUOLO DI CRF NELL'ASTINENZA Potrebbe essere un possibile target per future terapie contro la dipendenza Secondo uno studio presentato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences", le terapie per trattare la dipendenza da oppiacei potrebbero comprendere in futuro il blocco del meccanismo neurologico alla base dei sintomi dell'astinenza. Angelo Contarino e Francesco Papaleo dell'Università di Bordeaux hanno scoperto che i topi privi di uno specifico recettore non esibiscono i comportamenti caratteristici delle prime fasi dell'astinenza. I ricercatori hanno studiato il ruolo della via del fattore di rilascio della corticotropina (CRF), un ormone liberato dal corpo durante lo stress ma anche in seguito all'astinenza da farmaci che creano dipendenza. Per esercitare la propria azione, CRF si lega a due differenti recettori, CRF1 e CRF2. Gli scienziati hanno usato topi geneticamente modificati e privi del recettore CRF1 per determinare il ruolo dell'ormone nei primi sintomi dell'astinenza. Quando la fonte di oppiacei è stata rimossa, i topi geneticamente modificati - a differenza di un gruppo di controllo - non hanno mostrato i comportamenti negativi tipici dell'astinenza da droghe. Il cervello degli animali studiati, inoltre, non presentava un aumento della risposta alla sostanza chimica dinorfina. Questi risultati indicano che CRF svolge un ruolo fondamentale nel mediare i sintomi negativi dell'astinenza e suggeriscono possibili target terapeutici per il futuro trattamento delle tossicodipendenze. Angelo Contarino Francesco Papaleo, "The corticotropin-releasing factor receptor-1 pathway mediates the negative affective states of opiate withdrawal". Proceedings of the National Academy of Sciences (2005). ______________________________________________________________ Libero 11 Dic. ‘05 TUMORI, NON SEMPRE GIOVA L'INTERVENTO PRECOCE GLI EFFETTI DI ALCUNE TERAPIE SONO PIU’ PERICOLOSI DELLA PATOLOGIA La "sovradiagnosi" può causare gravi problemi WASHINGTON Un problema in più nell'ambito della lotta ai tumori arriva dalla cosiddetta "sovradiagnosi". Il termine si riferisce «alle diagnosi precoci di lesioni tumorali che, seppure confermate istologicamente, non sarebbero mai state diagnosticate se l'interessato non si fosse sottoposto a1 controllo preventivo». A quanto riferiscono esperti dell'American Cancer Society, Institute of Cancer Research britannico e Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (CSO), struttura di riferimento dell'Istituto Toscano Tumori. Il problema, secondo gli studiosi, è che troppi tumori vengono curati senza una reale necessità. Non un fatto da poco se si pensa che, ad esempio, per debellare un cancro alla prostata non letale, c'è chi rischia di diventare impotente o di soffrire perennemente di incontinenza urinaria. T ricercatori affermano che prima di intecenire andrebbe "letto" correttamente il significato della massa neoplastica scoperta. In un incontro tenutosi recentemente a Firenze è emerso che l'incidenza della sovradiagnosi è assai alto. Per il tumore alla mammella le stime sono contenute: 5-10%. Ma per quello alla prostata sono altissime, addirittura 25 - 50%. Ciò significa che da un quarto alla metà dei casi di cancro alla prostata verrebbero curati senza un effettivo bisogno, dal momento che non arriverebbero mai a manifestarsi in forme aggressive tali da portare alla morte del paziente. Screening a tappeto quindi sì, ma con discrezione. Lo screening per la cervice uterina e quello per il tumore della mammella rappresentano ormai esperienze ben consolidate, organizzate su base nazionale in molti paesi europei, e si stanno diffondendo anche in Italia. ______________________________________________________ Corriere della Sera 4 dic. ’05 «NON È VERO CHE L' ALCOL PUÒ FAR BENE» Alimentazione Nuovo studio mette in discussione l' azione protettiva sul cuore a basse dosi Molti studi, pubblicati soprattutto negli anni 70 e 80, suggeriscono che un consumo moderato di alcol abbia un effetto protettivo nei confronti dell' infarto, beneficio che comunque supera i possibili effetti negativi. Conclusione che viene criticata, dalle pagine della rivista scientifica Lancet, da un' équipe dell' Università di Auckland, in Nuova Zelanda, diretta dal professor Rod Jackson. I neozelandesi sostengono che gli studi vengono fatti su gruppi selezionati e che ogni associazione positiva con il consumo di alcol potrebbe essere dovuta ad altri fattori che non vengono considerati. «Gli effetti benefici dell' alcol a basse dosi sono di tipo biochimico - sottolinea il professor Cesare Sirtori, direttore del Centro universitario delle Dislipidemie dell' Ospedale Niguarda di Milano -. Provoca un lieve aumento del colesterolo buono (HDL), ha un' azione vasodilatatrice, legata anche al fatto che per esempio, nel vino ci sono le proantocianidine e inoltre un' attività antiossidante legata ai polifenoli. Andando a vedere casistiche che sembrano ben documentate, appare evidente che gli eventi cardiovascolari sono più bassi nei bevitori moderati rispetto a quelli che non bevono affatto. Si tratta sempre, come affermano i ricercatori neozelandesi di popolazioni che vengono seguite, che sanno di essere monitorizzate, e questo rimane un elemento di dubbio. Del resto i danni dell' alcol sono ben conosciuti da tutti». Guido Tanganelli Tanganelli Guido ______________________________________________________ Corriere della Sera 4 dic. ’05 LE CENTO FACCE DELL' AUTISMO L' ultima scoperta: il cervello ha aree che non comunicano Per l' autismo, qualsiasi terapia si voglia adottare, è determinante che la diagnosi sia precoce: oggi è possibile già a 2 anni Un ragazzo autistico può ricordare mille termini letti sulle etichette dei cibi, ma non capire una storia per bambini PSICHE Neurologia Nuove ipotesi e più ampi criteri di diagnosi Cercavamo l' indirizzo di casa dell' autismo, in che gene cerebrale "abita", invece il problema sta nell' architettura complessiva del cervello. Così sintetizza Martha Herbert, neuropediatra di Harvard, la svolta radicale impressa dalle ultime ricerche. Non ancora certezze, ma pesanti indizi. Accumulatisi negli ultimi tre anni. Con le indagini di imaging, che mostrano il cervello in movimento, si è visto che nei malati di autismo varie zone non sono collegate tra di loro. Quanto recepito e/o elaborato dall' una, non si connette con le nozioni o emozioni percepite dall' altra; dunque la complessità non è possibile. Per esempio, cita Science, che dà notizia di questa svolta nelle indagini sull' autismo, Benjamin, 14 anni, è capace di imparare a memoria i mille ingredienti letti sulle etichette dei cibi, ma non capisce il senso di una semplice storia per bambini. Ma prima di chiedere lumi a un esperto della ancora misteriosa malattia accenniamo alle altre novità, made in Usa. C' è un movimento costituito da giovani con forme lievi di autismo che rivendicano il proprio stato come una neurodiversità, non una malattia. Abbiamo la faccia bloccata, inespressiva, stiamo ognuno per proprio conto, alcuni presi solo dal computer o solo dalla matematica, c' è chi non tollera il tocco di una mano, la luce del neon o lo squillo di un cellulare, e reagisce? Ebbene, si tratta di pure caratteristiche individuali, dicono Amy Roberts, 35 anni, e Gareth Nelson, diciassettenne, tra i fondatori dell' associazione. Difficile immaginare come abbiano potuto organizzare, il 18 giugno scorso, il primo "Giorno dell' orgoglio autistico" persone che sono incapaci di interagire socialmente. Il professor Filippo Muratori, neuropsichiatra infantile all' Università di Pisa e impegnato nella ricerca sull' autismo presso l' istituto scientifico "Stella Maris", non è invece negativo. Sulla base di un' altra, per così dire, novità. «Oggi - spiega - si parla di "spettro" dell' autismo e si parte da una diagnosi più larga che comprende nel disturbo chi ha solo alcuni, pochi, sintomi. Questa è gente che può anche organizzarsi. E che può avere alcune capacità di eccellenza portate al massimo da un' applicazione totale e ininterrotta». Alcuni hanno arruolato tra questi tipi ("figli di Asperger", si veda il box) geni come Einstein, Michelangelo, Andy Warhol. In conseguenza della svolta diagnostica, se fino a ieri si parlava di 3-4 autistici su diecimila bambini (erano i casi più gravi, spesso associati a ritardo mentale), oggi si parla di uno su 250. Nessun aumento reale, sottolinea Muratori, solo un arruolamento più ampio. E le terapie? «La nuova visione, diciamo "architettonica", dell' autismo potrebbe indicare nuovi metodi di terapia. Da applicare al più presto - perciò è tanto importante la diagnosi precoce, ormai possibile anche quando il bimbo ha solo 2 anni -. Oggi si fa solo terapia comportamentale (vere cure farmacologiche non esistono), mentre si potrebbero adottare tecniche che inducono la creazione di nuovi circuiti cerebrali. Sì, sì, è possibile, specie in età precoce». «Parliamo di aggiungere circuiti - continua Muratori - ma ancor più occorre "potare. Pruning, si dice, potatura. All' inizio il cervello crea un sacco di connessioni in più, ma, come la pianta va privata di alcuni rami per meglio svilupparsi, così via via, continuando la sua formazione dopo la nascita del bimbo, il cervello "pota" i suoi rami in eccedenza. Evidentemente nei bambini autistici è il meccanismo di selezione che non va, forse "pota" connessioni in realtà utili». Serena Zoli I sintomi I disturbi in tre aspetti di relazione I sintomi dell' autismo possono essere presenti solo in parte come numero e in forme più o meno attenuate. Come per tante malattie psichiatriche, oggi si parla di "spettro" dell' autismo, la diagnosi contempla un continuum che va dalle forme più lievi a quelle più gravi e invalidanti. I sintomi dell' autismo sono raggruppabili principalmente in tre aree DISTURBO SOCIALE Non essere teso a - e capace di - condividere le normali esperienze con gli altri DISTURBI DEL LINGUAGGIO A volte questi ragazzi non parlano affatto o parlano in modo peculiare; possono ripetere tale e quale quel che gli si dice (ecolalia); incapaci di usare il pronome io, parlano di sé in terza persona RIPETITIVITÀ DEGLI INTERESSI In genere estremamente limitati. Un bimbo grave può far oscillare un oggetto in mano senza cercarne mai altri e senza tentare di utilizzarlo in alcun modo «neurodiversità» non malattia Ora c' è anche il Giorno dell' orgoglio "Accettare, non curare" è stato lo slogan del primo Autistic Pride day, celebrato il 18 giugno scorso a Brasilia per iniziativa dell' associazione, fondata da Amy Roberts e Gareth Nelson, che rivendica la neurodiversità degli autistici. L' iniziativa trova spazio tra i soggetti con una scarsa capacità di relazionarsi, ma dovrà tenere conto di una dimensione più ampia del problema, che coinvolge persone con pesanti difficolta di rapporti col mondo. Zoli Serena _________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 8 dic. ’05 APPELLO DEGLI ONCOLOGI: «ATTENTI A QUEL NEO» Secondo gli esperti le categorie a rischio sono i giovani sotto i trent'anni di età ? Occhio a quel neo. È il motto della campagna di sensibilizzazione sul melanoma promossa dai medici dell'ospedale Oncologico Businco. Hanno girato per diverse scuole, ieri hanno tenuto un corso di aggiornamento per i colleghi e il prossimo incontro sarà con i medici di base. La campagna è stata ideata per convincere tutti, soprattutto i giovani, a farsi controllare per ogni minimo segnale che possa indicare un melanoma. «Per ogni neo particolare, venite subito a farvi controllare», è l’appello del dermatologo Patrizio Mulas, «così sarete subito al sicuro: scoprirete se è tutto a posto oppure se si sta sviluppando un melanoma. E scoprirlo in tempo può risolvere il problema del tutto. Ma se si perde tempo può degenerare». Gli inviti dei medici del Businco sono rivolti anche spiegare ai giovani quale deve essere la giusta esposizione al sole e, soprattutto, ai raggi dei lettini solari. Il messaggio è rivolto ai giovani perché la prima fase di rischio è subito dopo la pubertà. «Quello è il periodo dove insorgono i problemi di melanoma», spiega l’oncologo Alberto Desogus, «i soggetti più a rischio sono quelli pelle e capelli chiari, magari con efelidi, che hanno di solito difficoltà ad abbronzarsi: è meglio farsi controllare in tempo». Un altro invito per i giovani riguarda i tatuaggi, secondo la dermatologa Alessandra Orrù: «Bisogna sempre far controllare prima il punto di pelle dove si decide di fare un tatuaggio, perché poi è difficile riconoscere in tempo un melanoma MARCELLO ZASSO