UNIVERSITÀ SOTTO TUTELA: È IL RITORNO DEL DIRIGISMO - IL MINISTRO: BASTA CON I DIPLOMIFICI - ASSEDIO ALLA LAUREA - I NUOVI CAMPIONI DELLA RICERCA ITALIANA - EUROPA BATTE ITALIA 42 A 6 - RICERCA: L’ITALIA NON PERDE IL TRENO - RICERCA SCIENTIFICA: LA LISTA NON C'È - RICERCA, BUROCRAZIA E REFEREE - PER I REDDITI BASSI L'UNIVERSITÀ DIVENTA UTOPIA - MISTRETTA: MAGNIFICO MA TROPPO VECCHIO - BOCCIATI I PARCHI HITECH - SORU SOTTO ATTACCO VENDE CON LO SCONTO SHAR-DNA - E CROCE FUSTIGO’ IL MALCOSTUME ACCADEMICO - ======================================================= LE NUOVE RICETTE SONO UN CALVARIO PER IL MALATO - CENTRI PER DISABILI, PROTESTE CONTRO I TAGLI - UDEUR CONTRO LA DIRINDIN: «UNA POLITICA SPARTITORIA» - L'ATTESA CONTINUA: INCHIESTA SUI CUP - VISITA ALLA TIROIDE? TORNI NEL 2007 - TRE ANNI DI ANGOSCIA ASPETTANDO IL TRAPIANTO DI RENE - DOPO LA TESSERA SANITARIA ARRIVA IL FASCICOLO TELEMATICO - FISIOTERAPISTI ANCHE CON LA LAUREA IN SCIENZE MOTORIE - SI POTRÀ DIVENTARE FISIOTERAPISTI PER LEGGE. - SINDROME DI CRISPONI: RARA TERRIBILE E ESCLUSIVAMENTE SARDA - DALLA LIQUIRIZIA UN AIUTO ANTICARIE - UN ANTI-ASMA COME SCUDO - LE FIBRE OTTICHE MIGLIORANO L'ARTROSCOPIA - UN VIRUS HIV CURERÀ LE ANEMIE EREDITARIE - PROSTATA, LO SCREENING NON RIDUCE LA MORTALITÀ - GLI ANTI-INFIAMMATORI PROTEGGONO DAL CANCRO DEL SENO? - L'OBESITÀ PUÒ ESSERE CONTAGIOSA? - ======================================================= _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 feb. ’06 UNIVERSITÀ SOTTO TUTELA: È IL RITORNO DEL DIRIGISMO Una fitta rete di controlli soffoca l'autonomia Troppi vincoli condizionano i concorsi, la gestione e le stesse strutture didattiche Di ALessarroo MORTI* Un giudizio non positivo sulla capacità degli atenei statali di assicurare un impiego oculato delle risorse pubbliche appare sotteso ai recenti provvedimenti legislativi che chiedono all'Esecutivo di disporte un'avvolgente rete di controlli preventivi e successivi sull'attività universitaria, Direttive, indirizzi, criteri, parametri sono gli strumenti posti a disposizione del ministro dell'Istruzione per imbrigliare l'azione degli atenei e scongiurare impegni ritenuti incompatibili con le decisioni politiche e i fondi stanziati dal Governo. All' affermarsi di una logica neodirigistîca, motivata dalla ristrettezza del bilancio dello Stato e da qualche sbavatura nella spesa universitaria, non sono estranei i vertici dei ministeri dell'Economia e della Funzione pubblica, desiderosi di recuperare ambiti di controllo burocratico perduti dall'attribuzione di crescenti responsabilità decisionali agli atenei. Indicative sono le disposizioni che introducono condizionamenti rilevanti nella conduzione delle strutture didattiche. In un primo tempo limitati al blocco delle assunzioni di professori e ricercatori (rimosso nel 2005), tali condizionamenti investono ora la programmazione dei corsi di studio e delle assunzioni di tutto il personale, docente e non docente, che dovrà attenersi a specifici indirizzi del Governa ed essere inoltre sottoposta a monitoraggi e valutazioni sulla base di criteri e parametri stabiliti dal ministro (art.l ter della legge 31 marzo 2005, n.43), i quali si aggiungono a quelli introdotti con le direttive sui «Requisiti minimi di risorse per l'attivazione dei corsi di studio», emanate nel 2002 e rese poi più stringenti. Un giudizio non positivo, anzi una palese sfiducia, sulla capacità delle università di selezionare i docenti in grado di fronteggiare le esigenze didattiche e di ricerca, è alla base della legge 4 novembre 2005 n.230, che autorizza il Governo a dare attuazione alla soppressione dei meccanismi di reclutamento dei professori a livello d'ateneo introdotti nel '98, rei di prevedere commissioni nazionali ma con un rappresentante (su 8) designato dalla facoltà che chiede il concorso. Si torna così ai bandi ministeriali (ma con un macchinoso intreccio di prove nazionali e locali) e al nulla osta del ministro per la chiamata degli «studiosi di chiara fama». Nella stessa direzione si muove la legge 18 del 2006 di riordino del Consiglio universiiario nazionale, che ripristina il parere obbligatorio del Cun sugli atti delle commissioni per il reclutamento dei professori e ricercato r i, a suo tempo abolito per gli effetti di «cogestione" dei concorsi rilevati dal Consiglia di Stato. Ma è l'introduzione del principio secondo il quale la gestione degli atenei deve svolgersi «nel quadro di indirizzi fissati con decreto dal ministro dell'Istruzione» (articolo 1 della legge 230/OS) che riassume l'obiettivo della politica per l'istruzione universitaria in questa legislatura. La sede scelta per la sua esplicitazione ancora una volta non è stata un organica disegno di riforma da sottoporre a un ampio dibattito parlamentare; il Governo ha utilizzato decreti legge riferiti a un insieme eterogeneo di materie o proposte di legge destinate a intervenire su aspetti specifici della vita universitaria. Una nuova versione della "legislazione a mosaico" del Governo Arodi-Berlinguer. L'intento di porre "sotto tutela" gli atenei, perseguito in modo poco trasparente, non sarà indolore. Depotenziando il decentramento delle prerogative dello Stato, avviato alla fine degli anni 80 in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, si interrompe la ricerca di un difficile equilibrio istituzionale necessario a garantire responsabilità e operatività del sistema universitario. Una politica poco meditata nelle sue negative implicazioni sul processo decisionale degli atenei, dunque, che va a scapito delle iniziative innovative e della stessa funzionalità minima delle strutture e finirà per aggravare, non alleviare, la finanza pubblica. *Università di Camerino _______________________________________________________ Il TEMPO 3 Feb. 05 IL MINISTRO: BASTA CON I DIPLOMIFICI Passa il decreto università 2000 nuovi contratti di ricerca QUASI allo scadere della legislatura è diventato legge il decreto sulle misure urgenti per l'università e per la scuola fortemente voluto dal ministro Letizia Moratti. La notizia più importante è l'approvazione di duemila nuovi contratti di ricerca per i giovani. Così ha commentato la Moratti: «Un altro risultato a favore della ricerca e dei giovani» Nel decreto anche norme più severe per evitare il ripetersi di casi di diplomifici e 726 assunzioni nelle Accademie e nei Conservatori musicali. Un incremento di oltre 32 milioni di euro al Fondo per il sostegno dei giovani: è la principale misura in materia di università prevista dal decreto-legge convertito in legge ieri dopo l'approvazione definitiva da parte del Parlamento. «Il consistente stanziamento - ha commentato il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Letizia Moratti - permetterà di attivare nelle università 2.000 assegni biennali per giovani ricercatori in settori strategici per il Paese». «Con questo provvedimento - ha aggiunto il Ministro - abbiamo voluto dare un altro segnale forte nell'attuazione della politica a favore della ricerca e dei giovani universitari. Voglio ricordare soltanto altri quattro risultati raggiunti dal Governo nel corso della legislatura che si sta concludendo: l'aumento dei dottorati e degli assegni di ricerca da 3.000 a 8.000, che ci ha consentito di arrivare ai livelli di Paesi quali la Germania e la Francia; l'incremento di 48 milioni di euro per borse di studio; l'istituzione di un Fondo per la concessione di prestiti fiduciari e la realizzazione di 16.000 nuove residenze universitarie». La nuova legge contiene altre importanti misure. Viene data attuazione alla legge 62/2000 adeguando la disciplina sulle scuole non statali alle disposizioni sulla parità scolastica. In particolare è escluso che le scuole paritarie possano svolgere esami di idoneità per alunni che abbiano frequentato scuole non paritarie dipendenti dallo stesso gestore, al fine di evitare il ripetersi di casi di diplomifici» periodicamente riportati dalle cronache. Un'altra misura riguarda il settore dell'Alta formazione artistica e musicale. Le Accademie di Belle Arti, i Conservatori musicali, l'Accademia nazionale di Danza, l'Accademia nazionale di Arte drammatica, gli Isia, Istituti superiori per l'industria artistica, possono assumere a tempo indeterminato un contingente di personale amministrativa per il profilo di coadiutore nel limite complessivo di 476 unità e un contingente di personale tecnico-amministrativo di 250 unità appartenente ad altri profili, per un totale di 726 unità. Infine, viene chiarito che il trattamento economico spettante agli insegnanti di religione assunti per effetto della legge 186/2004 non subirà decurtazioni ma conserverà il livello di progressione economica raggiunto. _______________________________________________________ Corriere della Sera 4 feb. ’06 ASSEDIO ALLA LAUREA di Cristina Lacava Abolire il valore legale del titolo servirebbe davvero a migliorare la qualità e la concorrenza tra le diverse università? Mentre la discussione si infiamma, arriva un nuovo certificato. Che sul curriculum degli studi dice qualcosa di più a laurea è sotto accusa. Molti sostengono oggi che nelle dimensioni elefantiache dell'università italiana non abbia senso attribuire lo stesso valore a tutti i diplomi. Ed equiparare, almeno ai fini di un concorso, il pezzo di carta ottenuto in un ateneo prestigioso con quello frettolosamente raggiunto in una sede meno rigorosa. Altri ribattono: il "pezzo di carta" resta comunque una garanzia-pur minima- di qualità, e abolirlo non sarebbe senza conseguenze. Insomma, il dibattito è acceso e il mondo accademico diviso. Tra i favorevoli all'abolizione del valore legale c'è l'economista Francesco Giavazzi, che qualche tempo fa sul Corriere l'ha addirittura inserita tra le cinque priorità che il nuovo governo dovrebbe attuare nei primi cento giorni. D'accordo Pietro Reichlin, professore di Macroeconomia alla Luiss, che aggiunge: «Le università godono di una rendita di posizione che ne abbassa il livello. Per aumentare la qualità bisogna sviluppare la concorrenza, come succede nei paesi anglosassoni dove il valore legale della laurea non esiste». II modello di riferimento è quello inglese, prevalentemente pubblico, con tasse d'iscrizione piuttosto alte (fino a 4.500 euro), che lo Stato però anticipa con la formula dei prestiti d'onore, e che gli studenti restituiscono a rate, quando poi cominciano a lavorare. «Gli atenei dovrebbero essere autonomi, finanziati soprattutto dagli studenti e non, come oggi, da tutti i contribuenti. I ragazzi dovrebbero sentirsi liberi di studiare dove preferiscono». Libertà è la parola chiave per Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano, che cita Luigi Einaudi: «Diceva: le università non saranno mai libere finché ci sarà il valore legale del titolo di studio. Anch'io credo che il valore legale sia una forma di controllo dello Stato sulla qualità della formazione. Ed è sbagliato, perché deresponsabilizza». Due nodi delicati Ma quali sarebbero le conseguenze dell'abolizione in due delicatissimi settori, cioè i concorsi pubblici e l'accesso agli albi professionali? «Basta con l'automatismo dei punteggi nei concorsi» sostiene Reichlin. «Nel pubblico si dovrebbe fare come nel privato, dove per le assunzioni si guarda al curriculum e alla persona, più che al titolo». Aggiunge Ballio: «Spesso si cercano laureati per posti dove invece funzionerebbe meglio un diplomato; la selezione del personale andrebbe fatta in modo più oculato». In quanto all'accesso agli albi il modello è ancora l'Inghilterra, «dove spetta a questi istituti il controllo dei requisiti minimi, con una forte selezione all'ingresso. Per chiedere di iscriversi all'albo degli ingegneri, per esempio, bisogna dimostrare di aver fatto sul serio "bottega" per qualche anno». In mancanza di un titolo ufficiale, dunque, sarebbe proprio l'iscrizione a un albo a garantire la professionalità di un architetto o di un medico. Ed è questo uno dei punti più contestati da chi, invece, difende il valore legale della laurea. «Se venisse eliminato» spiega infatti Guido Fabiani, rettore di Roma Tre, «si finirebbe per dare troppo spazio alle corporazioni. Affidare le verifiche agli ordini professionali e non agli atenei sarebbe un passo indietro». Un problema di qualità della formazione esiste, ma non si risolverebbe con un colpo di spugna: «Porterebbe allo sconquasso» conclude Fabiani. «Non è realistico abolire i concorsi nel pubblico impiego: che facciamo, assumiamo solo diplomati?». Dello stesso parere è Patrizio Bianchi, rettore dell'università di Ferrara: «La laurea resta un requisito minimo, l'unico possibile. L'abolizione del valore legale avrebbe senso solo nel lungo periodo, con una riforma generale del mercato del lavoro, degli ordini professionali e della dirigenza pubblica. Secondo me è un falso problema. Sarebbe più utile, invece, concedere maggiore autonomia finanziaria agli atenei». Una proposta concreta arriva da Fabiani: «Invece di togliere il valore legale, bisognerebbe aumentarlo, o meglio aggiungerci qualcosa, specificare cosa si è studiato e come. Un po' come si sta facendo con il diploma supplemento. Un bollino di qualità Si tratta di una novità, obbligatoria da quest'anno: un certificato integrativo richiesto dall'Unione europea che affianca la vecchia laurea e che - in versione bilingue, italiano e inglese -fornisce qualche informazione in più: gli esami superati e in quanto tempo, i laboratori seguiti... Continua Fabiani: «Soprattutto servirebbe creare un sistema di valutazione che assegni un "bollino di qualità" alle università più meritevoli. Così nascerebbe una concorrenza virtuosa che dovrebbe premiare, anche con maggiori finanziamenti, gli atenei migliori». A dir la verità, oggi questo compito è già affidato al Cnsvu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema di qualità) ma è un organo del ministero dell'istruzione: «Così non va bene» è il parere di Fabiani. «II controllo dovrebbe essere compito di un'agenzia indipendente sia dagli atenei, sia dal ministero». Più valore alla laurea, dunque, ma solo se ha il bollino, a per non perdere la bussola _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Feb. 05 I NUOVI CAMPIONI DELLA RICERCA ITALIANA RAPPORTO MIUR SOTTO ANAUSI 75 Atenei e 25 enti di ricerca Le università del Sud si confermano meno competitive, ma non nel campo della fisica. E Bari vince il primo posto Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr) ha comunicato il rapporto relativo al triennio zoor-zoo3: l'analisi, che ha coinvolto 77 atenei e 25 enti di ricerca (oltre 64Mila ricercatori in totale) attivi in 20 aree tematiche, è stata condotta da un cospicuo panel di esperti italiani e stranieri, che 1?a adottato il criterio del peer reviewing e valutato qualità, rilevanza, innovativa e potenziale competitivo di 17.329 prodotti. Nel rapporto del Civr l'Italia si conferma un Paese a due velocità, in cui gli atenei meridionali risultano meno competitivi «anche per la nascita relativamente recente di molte strutture», come ha commentato il vice-ministro per la Ricerca Guido Possa. In questo panorama emerge però un dato in controtendenza, ancor più significativo in quanto riferito al settare scientifico più spinto, che è quello della fisica: la palma d'oro di quest'area va a una struttura universitaria del profondo Sud, e più precisamente alla Fisica di Bari che, tra i dipartimenti medio-grandi di tutta Italia, conquista il punteggio più alto (0,97), collocandosi davanti a Padova (0,95), Milano Bicocca (0,95), Torino (0,95), Milano Statale (0,94.), Pisa (0,94) e Roma La Sapienza (0,93). Tra le ragioni di questo primato, la cinquantennale tradizione della struttura barese, la presenza di un'importante sezione dell'Infm e di una dell'Infm, e la sua natura inter-universitaria (unico caso in Italia, il dipartimento afferisce all'Università e al Politecnico di Bari) che favorisce l'integrazione fra interessi di natura scientifi.ca e applicativa. IL dipartimento vanta gruppi teorici e sperimentali di livello internazionale, attivi nella fisica del nucleo, delle particelle, delle scienze spaziali, dell'astrofisica particellare, della struttura della materia, e presenti nei p1ù importanti esperimenti internazionali, al Cern di Ginevra, allo Stanford lineas- accelerator center, al Mit, ai Bell laboratories, ai Laboratori del Gran Sasso. La fisica barese ha offerto contributi determinanti alla fisica del neutrino, delle particelle e dello spazio: si tratta di ricerche che oggi zichiedoz~o soluzioni tecnologiche sempre più spinte ad esempio nel campo dei rivelatori, della sensoristica, del calcolo e delle reti) e favoriscono una sempre maggiore integrazione col mondo industriale. A stretto contatto con l'industria operano a Bari i laboratori di Tecnologie per il telerilevamento spaziale, di Tecnologie innovative per la rivelazione ed elaborazione dei segnali (Tires) e il Laser innovation teclnnoloy transfer and Training (Lit3) che lavora nel campo delle sorgenti e dei sensori laser innovativi. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Feb. 05 EUROPA BATTE ITALIA 42 A 6 RICCARDO VIALE Oggi in Italia non si fa che parlare di priorità tecnologiche. Da più parti si proclama che non ci possiamo permettere di sostenere tutte le aree di ricerca tecnologica presenti a livello internazionale, Le scarse risorse finanziarie devono. invece, essere concentrate su pochi settori in cui è forte la capacità di ricerca e prevedibile il suo utilizzo industriale. Da molti anni Paesi con molte più risorse del nostro sono passati dalle parole ai fatti nel fare scelte strategiche nella ricerca industriale. Gli Usa da più di qo anni sono un esempio. Si pensi al programma di finanziamento di Clinton sulle nanotecnologie e all'ultimo studio prospettico della National science foundation sul futuro della convergenza fra le principali tecnologie critiche nano-bio-info- e cognitive. O al successo parziale del programma sul computer della V generazione lanciato dal Miti giapponese. Anche la Commissione europea sta lavorando sodo sulle analisi prospettiche per individuare le linee di ricerca più proficue per il futuro dell'industria europea. L'attività dell’Ipts di Siviglia e il programma Nest sono un esempio. E in Italia cosa si sta facendo di concreto? II seminario di Cotec - Fondazione per l’innovazione tecnologica, organizzato a Roma la scorsa settimana, ha illustrato quelle che dovrebbero essere le scelte future del Paese. Innanzitutto la mappa degli investimenti sulla ricerca & sviluppo industriale realizzata dalla Commissione - europea ha messo in luce come i settori a più alta intensità di ricerca, come farmaceutica, salute, telecomunicazioni e informatica eccetera, siano in Italia finanziati solo per il 6,5% rispetto al 42% della media europea. Questa anomalia è ancora più stridente per la concentrazione dell'investimento in soli due settori, quello dell'aerospazio-difesa e dell'automobile e in due aziende, Finmeccanica e Ifil, che da sole copro no il 75% dell'intero campione delle prime 25 imprese italiane, analizzato dalla Commissione. Questo dato si conferma nell'analisi realizzata dalla Cotec sulla partecipazione italiana al 6 Programma quadro della Commissione. Finmeccanica e Centro ricerche Fiat sono, tra le imprese, di gran lunga i nostri campioni nazionali per quanto riguarda il numero di progetti vinti. Anche nelle aree tematiche viene confermato il quadro della mappa. Nell'area salute si confema una scarsa partecipazione industriale - solo il 21% di cui la maggior parte Pmi - rispetto a una forte presenza della ricerca pubblica, il 78 per cento. L'Italia rimane, però, creditrice rispetto al finanziamento dato dalla Commissione, soprattutto nella sottoarea strategica delle biotecnologie. Le imprese sono quasi assenti nel settore nanotecnologie e i. pochi progetti sono appannaggio della ricerca pubblica. Anche nelle principali sub aree del settore Ict siamo creditori e vediamo una debole presenza industriale. Nel software, nel computing e nella nano-elettronica la partecipazione italiana è salvata soprattutto dalla ricerca pubblica. Inoltre a parte una discreta partecipazione di Telecom Italia e di Centro ricerche Fiat il resto è appannaggio di imprese straniere, con laboratori in. Italia, come Siemens e Hewlett-Packard. La parte del leone della partecipazione italiana la fa l’area'Trasporto soprattutto trasporto di superficie e sistema Galileo - e quella della Sicurezza e Spazio. In queste aree siamo debitori verso la Commissione e si ha prevalenza della ricerca industriale. su quella pubblica, con la maggioranza assoluta dei progetti al gruppo Finmeccanica. Molto scarsa la partecipazione industriale italiana alla ricerca ambientale e a quella s1.all'energia, mentre risulta buona quella sui materiali e sui sistemi di produzione. Questi dati ci confermano il quadro di una ricerca industriale in grave crisi. A parte pochi gruppi, grandi e: medi, il ventre molle dell'impresa italiana non fa ricerca. Ciò si riflette in un dato drammatico: il tasso di crescita del personale di ricerca nell'industria nazionale è 10 volte inferirore alla media europea. Che fare? Secondo il Rapporto sulle priorità della Ricerca industriale della Fondazione Rosselli individua le principali scelte strategiche. In sintesi, bisogna stimolare la nascita di imprese, nei settori dove la ricerca pubblica è forte. Ad esempio nelle applicazioni informatiche all’ambient intelligence, salute, mobilità ed educazione; nelle applicazioni della scienza delle comunicazioni mobili, del signal processing, e dell'elaborazione multimediale; nella ricerca biotecnolngica dei bersagli molecolari, dei biopolimeri, della fermentazione e cultura cellulare e nella bici i informatica. Al contrario bisogna rafforzare la ricerca tecnologica pubblica e privata dove l'impresa è forte. Un esempio fra tutti: nell'area della componentistica microelettronica, dove è presente ST Microelectrics, e opportuno il sostegno, alla ricerca sulle tecnologie micro-nano-optoelettroniche e sullo sviluppo di micorsistemi In conclusione il seminario Cotec non dà spazio all'ottimismo, ma almeno delinea il percorso da seguire se si vuole mantenere il Paese nel gruppo delle nazioni più industrializzate. Purtroppo non sembra che finora questo approccio sia stato fatto proprio dal Governo. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Feb. 05 RICERCA: L’ITALIA NON PERDE IL TRENO IL MONITOR DELLA TECNOLOGIA Quante volte anche autorevoli esperti hanno affermato: questa frontiera di ricerca e di innovazione è ormai irrimediabilmente persa, il treno è partito, dobbiamo cercarcene altri! Le cose stanno davvero così? Se si guarda all'innovazione, alla ricerca applicata, alle nuove imprese tutto ciò è sempre meno vero- I treni si possono riprendere, ma ci vogliono automobili veloci, o persino agili aereoplani superleggeri. Un recente volume del Mit, How we compete, basato su una ricerca durata cinque anni da parte dell'industrial performance center, conferma in pieno questa tesi. Il mondo industriale di oggi è molto più fluido rispetto al passato, sia in entrata che in uscita. Nulla è garantito, tutti possono chiudere o trasformarsi. Ma, anche, non esistono sconfitte ineluttabili, o porte per sempre chiuse. Intendiamoci. È e resta vero che in settori ad alta intensità di capitale, come la microelettronica o la produzione farmaceutica su grandi volumi, le barriere all'ingresso esistono e restano elevate (se non crescenti) con conseguente concentrazione su pochi grandi nomi. Ma questo, ormai, non esaurisce affatto il panorama. Sia nella microelettronica, infatti, che nella farmaceutica e da circa dieci anni si sono formati assetti duali. Accanto a pochi big interi ecosistemi di piccole e spesso piccolissime imprese, nate per l'innovazione, il nuovo prodotto, l'architettura avanzata, la nicchia di punta, la rivendita di proprietà intellettuale. E proprio verso quei grandi che tendono ad approvvigionarsi di innovazione proprio acquisendo queste micro-aziende, o prendendone in licenza brevetti e conoscenze. Massimo esempio è stata la Cisco, che, nel 1998-2000, ha viaggiato al ritmo di quasi un'acquisizione al mese, fino a coprire con mîriadi di nuovi prodotti tutto lo spazio del networking. Ma anche la Arm inglese, azienda nata e cresciuta sulle architetture di microprocessori, che non produce nemmeno una piastrina di silicio ma solo proprietà intellettuale per i suoi partner. Ed è oggi una delle stelle nell'High tech europeo. Tutto questo ha una fondamentale implicazione per l'Italia. Molte culture industriali e tecnologiche, date erroneamente per perse, possono trova-re oggi, dentro questi ecosistemi di aziende innovative (in particolare nate da cervelli giovani e preparati) un loro rilancio. Anche significativo. Ovviamente costruire questi ecosistemi significa investire in conoscenze, in Università, in strutture di incubazionale efficienti, in società finanziario- industriali effettivamente orientate alla crescita delle nuove iniziative. Ma questo è possibile, in alcuni casi anche con un limitato esborso di capitale. Vale qui l'esempio del software, dove l'Open Source si sta dimostrando un degno rivale della grande Microsoft sulla base dei tanti cervelli che vi si dedicano (perchè tutti vi guadagnano qualcosa) usando un semplice pc e una connessione (nemmeno a larga banda) in rete. E non mancano anche esempi italiani di programmatori di successo che lavorano esattamente così. Mai dire mai, quindi. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Gen. 05 RICERCA SCIENTIFICA: LA LISTA NON C'È Con il nuovo modello di dichiarazione dei redditi, nel 2006 i cittadini italiani potranno decidere di finanziare anche le università o gli enti impegnati nella ricerca scientifica. Un tema chiave per il Paese, perché non c'è convegno o dibattito sullo sviluppo che non ponga l'accento sulla necessità di incrementare le risorse destinate all'attività di ricerca. togliendo l'Italia dalle posizioni di coda che ricopre storicamente nelle classifiche che misurano l’impegno in questo campo prodotto dai Paesi più sviluppati. Da questo punto di vista il problema non è solo quello, arcinoto, dell'esiguità della spesa in rapporto al Pil (poco sopra l'1%, in Italia, contro l’1,93%, dell'Europa dei 15, il 2,69% degli Stati Uniti e il 2,98% del Giappone). ma anche dello scarso apporto da parte dei privati. In Italia, secondo il terzo rapporto Ue sugli indicatori della scienza e tecnologia (dati 2003), il settore pubblico si accolla da solo il 50,8% delle spese complessive in ricerca, mentre questa quota scende al 34,2% nella media europea e crolla, rispettivamente al 28,8% e al 19,6%, ne-li Stati Uniti e in Giappone. Certo, non è alle tasche dei contribuenti italiani. soprattutto con uno strumento limitato e sperimentale come il 5 per mille, che si può chiedere di sanare questi squilibri e di far partire il Paese alla rincorsa dei concorrenti più sviluppati. Ma anche senza pretendere troppo, qualche dubbio si addensa sull'efficacia dello strumento e soprattutto sui settori che andrà a favorire. II prossimo 10 febbraio, secondo il calendario dettato dall'articolo 2 del decreto attuativo, il ministero dell'Università e della ricerca dovrà inviare all'Agenzia delle Entrate ]'elenco «dei soggetti che effettuano ricerca scientifica e delle università» che potranno beneficiare dell'aiuto dei contribuenti. Alla scadenza mancano 11 giorni, ma a oggi negli uffici di viale Trastevere di questo elenco non c'è traccia, e soprattutto non pare che il lavoro di preparazione abbia raggiunto uno stadio molto avanzato. Per le università, ovviamente, non c'è problema, perché non c'è dubbio che tutti agli 83 atenei riconosciuti dal Miur (la lista è consultabile al sito http:/sito.cineca.it/strutture/struttura.html) entreranno nell'elenco. Rimane ancora da capire, invece, quali «soggetti che effettuano ricerca scientifica» saranno indicati dal ministero, e con quali criteri saranno scelti. Per chi vive di ricerca l'argomento è cruciale, come mostrano gli appelli nel forum dell'Adi (l'associazione dei dottorandi e dei dottori italiani) a «dibattere vivacemente» il tema. Un appello, al momento, caduto nel vuoto. GIANNI TROVATI _______________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Gen. 05 RICERCA, BUROCRAZIA E REFEREE Di Aldo RomANo * L’articolo pubblicato sul II Sole-24 Ore del 22 gennaio dal titolo "Se la ricerca non ha referee" necessita di alcuni fondamentali chiarimenti per evitare che il Firb, Fondo Investimento Ricerca di Base, punta di diamante della ricerca nazionale, venga screditato da affermazioni non corrispondenti al vero. Il nostro paese con la Finanziaria 2001 si è dotato di un importante strumento finanziario, il Firb appunto, con strumento quale sostenere programmi di ricerca di base finalizzati allo sviluppo di tecnologie di frontiera, prevalentemente nei settori delle nanoscienze, bioscienze e infoscienze. In attuazione degli indirizzi delle linee guida della politica scientifica e tecnologica avviata dal Ministro Letizia Moratti, tale strumento è finalizzato a sostenere le concentrazioni multidisciplinari di competenze eccellenti, lo sviluppo di laboratori congiunti pubblico privato, l'integrazione del sistema scientifico nazionale nelle reti di centri di eccellenza internazionali, il coinvolgimento di giovani talenti nei progetti di ricerca di base, con una varietà di forme che vanno dal dottorato di ricerca agli assegni di ricerca ai contratti di ricerca. Finora gli interventi del Firb hanno finanziato progetti per un importo di circa 670 euro. Il 51% degli interventi ha riguardato l'arca delle scienze della vita (post-genoma, neuroscienze, nuova ingegneria medica, chimica farmaceutica), il 14% l'area delle nanotetnologie e delle microtecnologie, il 15% l'arca delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il7% le scienze sociali economiche e umane e la parte restante le aree scientifiche afferenti alla agrobiologia e all'ambiente. Gli interventi finanziati dal Firb sono oggetto di bando pubblico nel quale sono esplicitati anche i parametri e i punteggi della valutazione, in ossequio al criterio di trasparenza. Ci si avvale di panels internazionali scelti con modalità di anonimato, ai quali si chiede la valutazione comparativa sulla originalità e innovatività delle proposte. sulla qualità dei responsabili scientifici e dei gruppi di ricerca coinvolti e sul potenziale di brevettabilita dei risultati attesi. Con questa rigorosa procedura allo stato attuale sono stati selezionati un numero di progetti "Top Class" che rappresentano il20% delle proposte valutate. Il regolamento Firb prevede che . vengano reclutati giovani con contratti triennali con costi non inferiori al 10% dei costo totale dei progetti. Sono stati selezionati progetti eccellenti nei quali l'apporto medio delle Università è pari al 45%, degli Enti pubblici di ricerca a3 20%, delle Imprese al 24% e di altre istituzioni di ricerca all' 11%. Inoltre nei progetti selezionati sono stati reclutati circa 1- 500 giovani con contratti di ricerca oltre ai borsisti e agli assegnisti. II ministro, nel 2()042005, ha firmato numerosi accordi internazionali per la realizzazione di "7oint Research l.ab" e "Joint Research ProjecN`. Per i progetti di cooperazione internazionale, soprattutto con i Paesi avanzati, si é richiesto il rispetto del criterio di pariteticità degli apporti finanziari delle istituzioni afferenti ai Paesi coinvolti; ciò al fine di salvaguardare il principio del reciproco riconoscimento del valore aggiunto generato dai soggetti eccellenti cooperanti. AL Firb è stato attribuito anche l'onere di selezionare e finanziare i progetti di ricerca afferenti agli accordi internazionali. La Commissione scientifica Firb ha inviato ai referee internazionali soltanto i progetti che rispettavano il criterio di pariteticità degli apporti finanziari e la prescrizione del coinvolgimento dei giovani ricercatori. La modulistica richiedeva esplicitamente di indicare gli apporti finanziari delle istituzioni partner e i costi dei contratti triennali per i giovani ricercatori, Appare pertanto singolare che, i docenti e i ricercatori citati nell' articolo non fossero a conoscenza di tali prescrizioni ben evidenziate nel bando e nella modulistica di progetto. Il Professor Meldolesi, titolare di un progetto Firb, dovrebbe conoscere bene la prescrizione del coinvolgimento dei giovani ricercatori. che non ha affatto carattere formale, ma sostanziale. in quanto volta a favorire l’inserimento dei giovani ricercatori nel mondo della ricerca e a evitare la fuga dei migliori cervelli all'estero. L'eccellenza è una condizione necessaria e non sufficiente per acquisire un progetto che deve essere predisposto e formulato secondo criteri chiaramente noti. È questa una "best practice" internazionale. Va infine sottolineato che i progetti "eccellenti" relativi agli accordi con Israele Q con Harvard Medical School (Usa) che hanno rispettato le regole, esplicitate nel bando. sono stati selezionati dai referee internazionali e rappresentano il 20% delle proposte presentate. Siamo pertanto di fronte non a un «caso italiano di umiliazione» della ricerca biomedica, che supera allo stato attuale il 51°ia dei finanziamenti del Firb, bensì a una politica che finalmente premia, ricorrendo al referaggio internazionale, la vera eccellenza. Altro che provincialismo! * Direttore Scuola Superiore Isufi -Presidente commissione scientifica Firb Ringrazio il Prof. Aldo Romano per la sua replica, che parò non tocca la questione che preoccupa il mondo della ricerca relativamente al finanziamento Firb internazionale. Il punto sollevato dal mio articolo di domenica scorsa era molto semplice, ma, a quanto pare, deve essere ribadito. Risulta, e Romano lo conferma, che il 50-60 per cento delle domande di finanziamento siano state scartate per irregolarità formali nella compilazione dei moduli. Poiché vi erano alcuni punii poro chiari nel bando, molti ricercatori avevano chiesto delucidazioni ai funzionari del ministero. Hanno poi seguito le loro indicazioni, ma proprio alcune di quelle sono stare ritenute improprie e dunque le domande sono state scartate. Tutto ciò é denunciato da un numero crescente di autorevoli scienziati, abituati da molti anni a inoltrare simili richieste di finanziamento. Possibile che questi illustri studiosi, le cui ricerche sono apprezzate in ogni parte del mondo, siano diventati netti di colpo analfabeti Al punto da non saper più compilare un modulo? E come mai la lettera di Jacapo Meldolesi, spedita il 9 gennaio in qualità di presidente della Fisv (pressoché l'intera ricerca biomedica italiana), non ha ancora ricevuto risposta dal ministro per la Ricerca, Letizia Moratti, cui è indirizzata? E ancora, perché, dopo che con l'articolo di domenica scorsa il contenuto della lettera è stato reso pubblico, non è giunta una puntale replica da parte dei funzionari del ministero, che vi appaiono come i principali responsabili? Risponde invece il Prof. Romano, il quale, come presidente della Commissione non si è dovuto occupare della selezione precedente delle domande, eseguita sui soli aspetti formali. Lo ringrazio ancora. Ci aiuta suo malgrado a chiarire uno dei motivi delle difficoltà del nostra Paese a stare ll passo con il mondo civilizzato: la fuga dalle responsabilità. ARMANDO MASSARENTI _______________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Feb. 05 PER I REDDITI BASSI L'UNIVERSITÀ DIVENTA UTOPIA Nonostante l'aumento degli aiuti federali, anche il costo di molte istituzioni pubbliche è ormai inaccessibile Sono tredici milioni e mezzo (più mezzo milione abbondante di stranieri) gli studenti universitari americani iscritti nel secondo semestre 2005-2006 a oltre 2mila istituzioni di vario tipo, un centinaio almeno salite dalla fine della Seconda guerra mondiale ai vertici della classifica mondiale dell'eccellenza accademica, private e pubbliche. Fino a 20 anni fa la famiglia media americana era aiutata dai bassi costi (per i residenti locali soprattutto) delle molte buone Università pubbliche statali - cioè degli Stati, non esiste una Università federale - a volte inferiori ai mille dollari di oggi, e pari quindi grossomodo a quanto paga adesso in Italia chi non ha esenzioni varie. Oggi però, dopo anni di aumenti, spesso anche le scuole pubbliche sono diventate care, anche se costano una frazione delle più care fra le priva te. E il costo della formazione universitaria è spesso proibitivo in un Paese che pure è, con 20,358 dollari a studente all'anno, ai vertici assoluti della spesa per l'Università (media Ocse di 9,509 dati 2004), oltre a essere ai vertici mondiali per le donazioni private e dotato di un sistema più che sviluppato di borse di studio di ogni genere. Anche in rapporto al Pil, Washington è con il Canada in vetta alla spesa mondiale. II risultato però con l'esplosione dei costi è che l'accesso all'Università risente più che in Europa delle condizioni economiche della famiglia. Fra i diplomati delle high school si iscrive (dati 2004, fonte US Census Bureau) l’80% dei figli delle famiglie nella fascia del 20% più alto dei redditi, il65% dei figli del quintile successivo, ma solo il49% dei ragazzi figli del 40% delle famiglie più basse, i due quintili alla base della scala dei redditi. Rispetto alla Germania, dove l'Università è ancora gratuita salvo che per i fuoricorso, negli Usa i residenti nello Stato che si iscrivono all'Università statale riescono a cavarsela pagando dai 3 ai 6mila dollari di tasse all'anno nel 60% dei casi, da 6 a 9mila nel 31 % dei casi e fino a 12mila nel 5 per cento. Sono spiccioli - dicono le statistiche 2005 del College Board, la più grossa associazione fra scuole e Università con 5mila aderenti - a confronto degli oltre 30mila dollari di sole tasse, più il mantenimento, chiesti ormai da oltre una ventina di istituzioni private, tra cui quasi tutte quelle della Ivy League (Brown, Harvard, Yale, Columbia, Comell, Dattmouth, Princeton e la University of Pennsylvania). C'è anche chi ha doppiato i 40mila dollari. Che è quasi il reddito mediano della famiglia americana, quasi metà delle famiglie cioè guadagnano all'anno meno di questa cifra. Eppure gli aiuti all'istruzione superiore sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi 30 anni e lo stesso Governo Bush ha incrementato, fino al bilancio 2005-2006, la spesa federale, arrivata vicina ai 100 miliardi di dollari all'anno; per tagliare quest'anno la voce prestiti agli studenti, che coprono quasi i due terzi del totale. Fra Pell Grants - i prestiti agli studenti introdotti nel 1973 dal senatore Claibome Pell - prestiti di altro tipo, aiuti di ogni genere, borse di studio private aumentate del 198% in 10 anni, gli studenti hanno ricevuto aiuti per 142 miliardi di dollari nel 2004-2005. La fonte: federale per il 32%, dalle stesse Università e da altre istituzioni per il 42%, privata per il 15%, e per VI 1% dagli Stati. Ci sono poi i programmi speciali delle varie università, inaugurati negli anni '30 dall'Harvard National Scholarship, creato per portare all'Est giovani brillanti e poveri del Midwaat (arrivarono fra gli altri il futuro Nobel James Tobin e Caspar Weinberger, futuro capo del Pentagono). Ancora a fine anni '80 aiutava di più l'Università la Fondazione Ford del Governo federale. Fu il rapporto Seaborg del '60 a definire l'istruzione come investimento e a dare il via a finanziamenti che solo in quel decennio e in dollari di allora raggiunsero gli 800 milioni. Fu una stagione di vasta democratizzazione degli studi superiori. Erosa gradatamente, nonostante tutto, da costi che negli ultimi 30 anni sono stati sempre in ascesa. Ancora il 5,9% in più nel 2005-2006 per le scuole private, e il 7,1% di aumento per quelle pubbliche. MARIO MARGIOCCO _______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 4 feb. ’06 MISTRETTA: MAGNIFICO MA TROPPO VECCHIO Mistretta non è più eleggibile Università . Possono ricoprire l'incarico solo i professori di ruolo: l'ingegnere ha superato i limiti di età. Le modifiche sul limite dei mandati non hanno scalfito quello dei settantadue anni ? Pasquale Mistretta è troppo vecchio per fare il rettore dell'Università. A meno che non si candidi per quella della terza età. Va per i 74 anni, che compirà il prossimo 4 settembre. Troppi, secondo lo statuto dell'ateneo, per essere ancora Magnifico. È scritto all'articolo 12, quello che prevedeva il limite dei tre mandati per la massima carica dell'Ateneo, già modificato lo scorso luglio. Ecco il vecchio testo: «Il Rettore è eletto tra professori di ruolo di prima fascia a tempo pieno. Dura in carica tre anni accademici e non è eleggibile per più di tre mandati consecutivi». La seconda parte della norma è già caduta: alle elezioni del prossimo maggio Mistretta si presenterebbe per la sesta volta al voto del senato accademico allargato. L'intoppo sta nel primo comma dell'articolo: l'aspirante rettore deve essere un professore di ruolo. E l'ingegnere non lo è più: non ha l'età. IL LIMITE MASSIMO è settant'anni, più due, come previsto dal decreto legislativo del 30 dicembre 1992: chi vuole può rimanerein servizio ventiquattro mesi oltre la scadenza del rapporto. Il Magnifico si è abbondantemente sacrificato per la causa. Nonostante la sue veneranda età non ha lasciato, anzi: ha chiesto e ottenuto di poter sestuplicare. «Nessun altro è in grado di fare ciò che ho fatto io», aveva detto. La modifica dello statuto passò grazie al voto della maggioranza del senato allargato. Lo stesso organo che è stato convocato per il nove febbraio. Una riunione senza ordine del giorno, per il momento, ma tutti sanno: tra i docenti si mormora e si sorride. Nessuno si scandalizza, nemmeno i più accaniti oppositori. La carta fondamentale dell'ateneo è già stata piegata, con un regolare voto democratico, al volere del Magnifico. I numeri finora sono stati dalla sua parte. E sembra che non abbia la minima intenzione di passare i prossimi anni davanti al caminetto con un plaid sulle gambe. ? _______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 4 feb. ’06 IL VERTICE INOSSIDABILE RESTA SENZA AVVERSARI Inossidabile e inaffondabile. Ci hanno provato a scalzare Pasquale Mistretta dalla poltrona di Magnifico rettore. Ma l'opposizione è stata troppo debole. Le “nuove” leve, quelle del cambio ai vertici dell'università cagliaritana non sono state all'altezza. O forse non ci hanno davvero creduto: tra i suoi rivali per le prossime elezioni si parlava del preside di Scienze politiche Raffaele Paci. Un nome che era spuntato anche per la corsa delle primarie per il centrosinistra. Non è comparso in nessuna delle due competizioni, lasciando Mistretta nella sua magnifica solitudine. Ingegnere, socialista, battuto da Emilio Floris alle scorse elezioni amministrative, il rettore ha fatto i suoi calcoli. Giusti: gli studenti si sono schierati dalla sua parte, i docenti hanno dato il loro appoggio, qualcuno si è astenuto. La modifica dello statuto, che prevedeva l'ineleggibilità, è passata con 27 sì, 12 no e 6 astenuti. Da allora l'uomosempre considerato accentratore si è circondato di prorettori: uno generale, Maria delZompo, più altri cinque, tre dei quali sono donne. Il governo rosa del mondo accademico: dove la politica arranca ci pensa il mondo accademico. Ma non c'è stata rinuncia al potere: «Non è una diminuzione dei miei poteri - specificò in chiusura di conferenza stampa l'uomo che da diciotto anni guida l'Ateneo, «chi mi conosce sa bene che non farei mai una cosa simile». E infatti non molla, nemmeno alla sua veneranda età di 73 anni, 74 a settembre, classe 1932. Vuole andare avanti, dopo «aver tenuto le tasse più basse in Italia», e «aver raddoppiato il numero di laureati in cinque anni». Solo per citare due dichiarazioni. Più una terza: «Nessuno sa fare quello che ho fatto io» _______________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Feb. 05 BOCCIATI I PARCHI HITECH Secondo le imprese i poli scientifici sono troppi e non riescono a fare sistemi In Veneto tre strutture, ma due hanno bilanci in perdita - Da oggi a Udine la rassegna «Innovaction» IL recupero della competitività e lo sviluppo dell'innovazione può attendere. Almeno in Veneto. È ancora nella fase embrionale il Nest, la rete regionale dei parchi scientifici. II primo banco di prova del network sarà la fiera Innovaction di Udine (dal 9 all' 11 febbraio), o almeno lo sarà sul fronte della promozione. Infatti, al capitolo integrazione di attività e progetti, i Pst sono ancora nell'iperuranio delle idee. I Parchi Scientifici e tecnologici sono aree che ospitano o prestano servizi alle imprese. Fungono da collegamento tra ricerca e industria, svolgono attività di laboratorio, di certificazione, controllo di qualità, documentazione e informazione tecnico scientifica e brevettale. Sono l'epicentro delle istanze innovative locali ma non ancora il baricentro di un sistema regionale in grado di calamitare finanziamenti importanti. I numeri parlano chiaro. Tre parchi nell'arco di un centinaio di chilometri: Star a Verona, Galileo a Padova, Vega a Venezia. L'unico con caratteristiche classiche e una forte dimensione fisico-strutturale è il Vega. AL suo interno sono organizzate 150-160 tra aziende, enti, centri servizi, laboratori, università e impiegati circa 1500 addetti. Gli altri due hanno ' una capacità patrimoniale pari a un decimo ed un'estensione fisica neppure paragonabile. L'unico comune denominatore che parifica le tre realtà è sicuramente l'aspetto dei conti. Ad eccezione di Galileo, che ha chiuso il bilancio 2004 con un utile di esercizio pari a 54.729 euro e un patrimonio netto pari a 2.257.143 euro. Vega e Star si sono portati a casa rispettivamente una perdita di 77mila euro, con un'incidenza sulla produzione del 2,2%, e di 414mila curo, con un'incidenza del 78% del valore di produzione realizzato. Le cifre evidenziano non solo la reale difficoltà di sostentamento delle strutture, ma un impedimento a realizzare redditività sull'investimento in ricerca. Il Vega con un patrimonio totale attivo di 33 milioni e ricavi complessivi per 3 milioni realizza indici di redditività quasi tutti passivi. Il Roe (return on equity), indicatore immediato della redditività aziendale, è negativo (-0,6%). Idem per il Roi (Return on investment) che indica una capacità di generare reddito dall'attività caratteristica pari al -3,6 per cento. Questo è il risultato della politica = è la sensazione delle imprese - ogni campanile un'università, un centro di ricerca, un parco scientifico. Poca remunerazione per l'investimento in innovazione (anche considerando un arco temporale di 4 anni), dovuta alla polverizzazione degli investimenti disponibili. L'imprenditoria è in parte disorientata dall'eterogeneità dell'offerta, in parte ostaggio di un sistema di ricerca localistico che, almeno un po', ha contribuito a creare. Antonio Vendraminelli, delegato per l'innovazione di Unindustria Padova osserva: « Ci sono una pluralità di sigle che si occupano a vario titolo di trasferimento tecnologico. È necessario condensare questa attività in un unico ente, che faccia da riferimento». Vendraminelli fa anche autocritica: «Noi abbiamo le nostre pecche: non siamo ancora riusciti a fare il benedetto salto di qualità per creare servizi a livello regionale». Eppure quando l'attività dei centri è coordinata i risultati sono tangibili. Il distretto sulle nanoteenologie (Nanotech) è sintomatico dei risultati ottenibili da un azione coordinata. Il contributo dei tre parchi è valso per le nanotecnologie un finanziamento complessivo di 52 milioni dal 2003 al 2006, diviso tra Miur, Regioni ed enti privati e pubblici. Tuttavia ad oggi le iniziative di collaborazioni tra le strutture sono lungi dal trovare una razionalizzazione. Per stessa ammissione di Massimo Malaguti, direttore del Galileo park «si collabora dove ci sono gli spazi. Oggi sul territorio ci sono tanti diversi attori che si occupan,o di trasferimento di tecnologia e innovazione secondo le loro specializzazioni». E da circa un anno la grande famiglia dei "traghettatori" dell'R&S si è ampliata con l'aggiunta di Trastec, a Vicenza. Esito: un'intersezione complicata di partecipazioni incrociate. Il Galileo Park è partecipato sia dal Vega che dalla Camera di commercio di Vicenza, con quote di minoranza. L'ente camerale berico è presente anche nell'azionariato di Trastec. Così come Padova Ricerche e l’Università di Padova. E così via. Le responsabilità di questa Babilonia sono biunivoche per Vendraminelli: «Non solo dell'università che ha fatto Trastec a Vicenza ma anche di chi, avendo un parco a Verona, uno a Padova e uno a Venezia, ha voluto il proprio Sottocasa». Le imprese si interrogano: «Anziché disseminare a pioggia i finanziamenti, non sarebbe meglio concentrarli?». ROBERTA PAOLINI _______________________________________________________ Corriere della Sera 3 Feb. 05 SORU SOTTO ATTACCO VENDE CON LO SCONTO SHAR-DNA Mezzo milione dalla Regione al suo istituto. L' opposizione: c' è conflitto IL PREZZO «Ho investito 10 miliardi. La vendo a meno a un ente pubblico» CONFLITTI D' INTERESSE Soru sott' attacco vende con lo sconto «AAA. Causa sospetti conflitto interessi vendesi società di ricerca sconto 30% vero affare». L' annuncio è del governatore della Sardegna, Renato Soru. Il quale, messo sotto accusa dalle opposizioni per mezzo milione di euro finiti a una società di cui è il socio di riferimento, spiega d' aver deciso di tagliar corto: vende. Subito: «Misi i soldi in quella società, sapendo che non ne avrei ricavato una lira, per dare una mano a un amico scienziato. Avrei potuto comprarmi una barca, preferii investire sulla ricerca scientifica. Ma non tollero ombre: fine». Al centro delle polemiche, che dopo esser scoppiate in consiglio regionale intorno a un finanziamento di mezzo milione di euro rischiavano nei prossimi giorni di divampare per altri bandi, c' è la società «Shardna S.p.A» che risulta avere come soci con l' 82% Renato Soru, col 13% il Banco di Sardegna, con l' 1% la Casa di Cura Tommasini, col 2% il Centro Nazionale Ricerche e con l' ultimo 2% la Sfirs, cioè la finanziaria regionale. Fondata nel 2000 dal creatore di Tiscali, non ancora entrato in politica, e da Mario Pirastu, direttore dell' Istituto di Genetica delle Popolazioni del Cnr (uno che secondo Soru «solo a parlare di ricerca è capace di commuoversi»), la «Shardna» si vanta di essere «la prima società italiana di ricerca nel settore della genomica nata dall' incontro tra pubblico e privato». Obiettivo principale: studiare l' Ogliastra, una zona «abitata da popolazioni che sono state isolate per secoli e che costituiscono quindi un modello ideale in termini genetici, demografici ed ambientali per l' identificazione delle cause genetiche delle malattie multifattoriali comuni e dei fattori di rischio ad esse associati». Il tutto per saperne di più di «malattie endemiche della Sardegna come l' anemia mediterranea, la sclerosi multipla, il diabete». Fin qui, applausi. Quello che non va, accusano le opposizioni di destra e in particolare il consigliere udc Franco Ignazio Cuccu, è il fatto che la società del governatore partecipa alle gare per i finanziamenti regionali. E le vince. Com' è successo per quella che stanziava 500 mila euro in «Progetti di Ricerca scientifica nel settore delle Biotecnologie applicate alla Medicina con particolare riferimento alle iniziative in campo genetico». Dice Soru: il bando era stato indetto quando al governo dell' Isola c' era la destra. Dicono i nemici: vero, ma la graduatoria finale è stata fatta da commissari nominati nell' «era Soru». Per carità, nessuna riserva sulla loro statura scientifica, però... Per non dire d' un dettaglio improvvido: la riunione del consiglio d' amministrazione della società per deliberare l' accettazione del risultato della gara (che aveva visto la «Shardna» imporsi su «Neuroscienze», «Bioanalisi Centro Sud» e «Biotecne») e il finanziamento regionale fu fatta «in località Sa Illetta, presso gli uffici gentilmente concessi in uso dalla società Tiscali spa». La società del governatore. Della quale il consigliere di «Shardna» Massimo Cristofori è direttore finanziario. «Tutto vero», ha risposto Renato Soru al «question time». Di più: «La creazione della "Shardna" è una delle cose più buone che io abbia fatto. La ricerca scientifica è fondamentale per la Sardegna e questa società non produce un euro di utile». E il conflitto d' interessi? «Non scherziamo», ha spiegato alla Nuova Sardegna, «con dieci miliardi di vecchie lire, è meglio comprarsi una barca da 50 metri oppure investire quella cifra sulla ricerca per debellare le malattie che colpiscono i sardi?». Ma era solo l' inizio. Dopo quel primo bando, la «Shardna» risulta aver concorso con successo infatti almeno ad altri due, indetti quando già l' inventore di Tiscali era al timone dell' isola. Il primo era per la «Creazione di un polo di eccellenza delle tecnologie bio- informatiche applicate alla medicina personalizzata» indetto da Polaris, il Parco Scientifico e tecnologico creato e gestito dal «Consorzio 21», l' Ente regionale alla cui guida c' è Giuliano Murgia, che sotto il profilo scientifico ammette sul suo stesso sito d' avere interrotto presto gli studi ma era tra i fondatori di «Progetto Sardegna», la lista di Soru. Somma sul piatto: tre milioni di euro. Vincitori: una cordata trainata dalla «Pharmaness» e una guidata dalla «Shardna». La quale comprendeva la «Parco Genos», che ha come direttore scientifico quel Pirastu che conduce gli studi sull' Ogliastra e come amministratore delegato Giuseppe Serra, uno dei punti di riferimento del «Consorzio 21», cioè l' ente appaltante. Quanto al secondo bando (del 19 agosto 2005), si tratta di una fetta dei 16,8 milioni di euro che il Cipe ha destinato alla costruzione di «laboratori tecnologici del distretto della biomedicina e delle tecnologie per la salute». Anche qui, la «Shardna» era alla guida di una delle cinque cordate. Tutte accettate, per quanto se ne sa, dai commissari sardi e oggi all' esame di una seconda valutazione a Roma. «Quindi, se ho capito bene, all' esame di qualcuno nominato da Letizia Moratti o che comunque risponde al governo di quel centro-destra al quale abbiamo strappato la Sardegna», ironizza Soru. È seccatissimo, il governatore, con chi gli ricorda l' indignazione della sinistra per gli affari fatti in questi anni dal Cavaliere: «Non vorremo fare paragoni! Abbiamo fatto bandi per oltre 100 milioni di euro sul versante delle tecnologie e Tiscali non ha mai (dico: mai) partecipato. Di più: ci ha fatto il regalo di mettere in aspettativa e di prestarci un genio di queste cose che, venendo a guadagnare meno di quello che prendeva di là, ha messo su a costo zero, con le forze interne, una serie di siti che le altre Regioni se li sognano pur avendo speso, loro, milioni di euro. E mi dovrei sentire in imbarazzo per la "Shardna"?». Comunque, chiuso: «Avevo messo 10 miliardi di lire, prima d' entrar in politica, in quella ricerca dove nessuno mette un soldo perché non c' è da guadagnarci. Era una cosa utile. I bandi! Non sapevo neppure, di questi bandi. Comunque, ripeto, fine. Qualcuno ha dei dubbi? Benissimo: da domattina "Shardna" è in vendita. Per gli stessi soldi che misi io, senza manco tener conto dell' avviamento. Purché chi compra s' impegni a tenerla in Sardegna e portare avanti i progetti iniziati. Anzi, se si fa avanti un ente pubblico, sconto del 30%. Meglio perderci che accettare che si metta in dubbio il fatto che sono una persona perbene». Gian Antonio Stella * LE TRE GARE 1 L' appalto da 500 mila euro Shardna ha vinto un appalto da 500 mila euro per «Ricerche nelle Biotecnologie» 2 La commessa del polo bioinformatico Si è co-aggiudicata il bando da 3 milioni per creare un polo bioinformatico 3 Cinque cordate per 16,8 milioni di euro Shardna guida una delle 5 cordate in gara per una fetta dei 16,8 milioni di euro stanziati dal Cipe Stella Gian Antonio _______________________________________________________ Corriere della Sera 3 Feb. 05 E CROCE FUSTIGO’ IL MALCOSTUME ACCADEMICO Importanti lettere del filosofo in un carteggio recuperato a Lecce Lettere di Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Giustino Fortunato. C' è un pezzo importante della storia culturale italiana, e soprattutto di Napoli, agli inizi del Novecento nel carteggio recuperato dalla Guardia di finanza nell' abitazione di un collezionista di Cavallino, in provincia di Lecce. Si tratta di carte appartenute allo studioso salentino Michelangelo Schipa (vissuto dal 1854 al 1939), che insegnava Storia moderna nell' università partenopea: il furto era stato denunciato dai legittimi proprietari alcuni mesi fa. L' epistolario, che include 262 manoscritti, testimonia dei rapporti fra Schipa e Croce, e in particolare di come collaborarono nel realizzare la rivista Napoli Nobilissima, cui partecipavano anche Salvatore Di Giacomo, Giuseppe Ceci, Luigi Conforti, Riccardo Carafa, Vittorio Spinazzola. In particolare tra queste carte si trova lo statuto, datato 1° dicembre 1891, di un' associazione culturale dalla quale scaturì presumibilmente la rivista, il cui primo numero è appunto del gennaio 1892. «Napoli Nobilissima - spiega Paolo Bonetti, studioso da tempo al lavoro su una vasta biografia di Croce - si occupava soprattutto di salvaguardare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale partenopeo: pubblicava scritti sui monumenti, le tradizioni, la topografia della città. La prima serie, quella cui partecipò il filosofo, durò fino al 1906. Appartiene al periodo in cui Croce si dedicava soprattutto agli studi eruditi sulla storia di Napoli, che peraltro non abbandonò mai completamente, prima di concentrare la maggior parte delle sue energie sui temi filosofici». Nell' epistolario c' è traccia anche di un episodio importante del sodalizio fra Croce e Gentile, da cui proprio in quegli anni nacque una rivista di ben altro rilievo, La Critica. Croce chiese a Schipa di interessarsi a favore di Gentile, che cercava di ottenere una cattedra a Napoli. Ma, ricorda Bonetti (autore per Laterza dei saggi Introduzione a Croce e L' etica di Croce), non ci fu nulla da fare: «Al filosofo siciliano venne preferito uno studioso con titoli scientifici di gran lunga inferiori. Sulla vicenda Croce scrisse nel 1909 un polemico libretto, intitolato Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana, nel quale fustigava le cattive abitudini, purtroppo tuttora in gran voga, della nostra accademia. Bisogna aggiungere che l' attacco di Croce non riguardava solo il malcostume dilagante, ma aveva anche un contenuto di natura filosofica, poiché si scagliava contro l' eclettismo venato di positivismo allora dominante negli atenei italiani, di cui Filippo Masci, potente barone napoletano, era un esponente molto in vista. Fu una tappa della reazione idealista contro il positivismo, di cui Croce e Gentile furono all' epoca i protagonisti». Antonio Carioti Carioti Antonio ======================================================= _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 feb. ’06 LE NUOVE RICETTE SONO UN CALVARIO PER IL MALATO BRACCIO DI FERRO TRA MEDICI La formula nata per controllare la spesa pubblica crea gravi disagi agli utenti CAGLIARI. Si temeva, è successo: l’ultimo caso di paziente sballottato tra medico di base e specialista perché nessuno dei due vuole prescrivere esami o farmaci è di questi giorni e si manifesta a Cagliari al policlinico universitario. Ma il Tribunale del malato ha raccolto testimonianze di pazienti con tumori oppure diabetici e altri che, ovunque nell’isola, sono vittime della nuova ricetta rosa. Da qui la denuncia contro un sistema che in troppi casi ha moltiplicato le file dal medico e i tempi di attesa per un’analisi di laboratorio o, addirittura, solo per comprare una medicina in farmacia. L’idea della ricetta di formulazione uguale sia per il medico di base sia per lo specialista di ambulatorio o il professionista ospedaliero nasce dalla rivoluzione sollecitata dall’apparato finanziario dello Stato in cerca di un modo per mettere sotto controllo la spesa pubblica. Con la nuova ricetta si è allargato il numero dei medici tenuti a prescrivere farmaci e prestazioni secondo regole generali, con un’evidente assunzione di responsabilità rispetto all’appropriatezza della medicina o dell’esame, alla frequenza delle prescrizioni, alla scelta di analisi e tipi di farmaci. Quindi dovevano finire i fogliettini bianchi col nome del «dottore» che il medico di base trasformava in ricetta per il servizio sanitario nazionale. Invece, lo specialista continua a scrivere sul foglietto bianco e a rinviare il paziente dal medico di famiglia. Il quale, da qualche mese, spesso si rifiuta di fare la ricetta. Il braccio di ferro tra medici e medici nasce da una diversa interpretazione sulla prescrizione, per esempio, dei controlli di routine necessario a un malato cronico oppure dei farmaci per i quali la legge impone l’erogazione sull’indicazione da parte di un medico di una struttura accreditata e con un piano terapeutico chiaramente spiegato. I primi potrebbero essere anche di competenza di un medico di base (ma non tutti i dottori di famiglia la pensano così), i secondi dovrebbero arrivare soltanto dagli specialista (ma non tutti questi colleghi evidentemente sono d’accordo). La coordinatrice regionale del Tribunale per i diritti del malato, Franca Pretta Sagredin, mercoledì ha spedito una lettera ad assessore, direttori generali, Ordini dei medici per segnalare che il risultato di questo «conflitto tra medici di base e medici specialisti » è che «il povero utente scaricato dall’uno all’altro non esegue la prestazione o non assume la terapia prescritta che, si presume, sia necessaria per la sua salute». Da qui la richiesta di «voler emanare una direttiva chiarificatrice e univoca che stabilisca la competenza delle due figure professionali mediche affinché le conseguenze del contenzioso non ricadano sui cittadini colpiti, ancora una volta, oltre che dalla malattia che li affligge, anche dall’essere considerati un problema fastidioso proprio da quelle figure professionali cui affidano la propria salute». Fabio Barbarossa segretario provinciale della Fimmg (federazione medici di medicina generale) già a settembre aveva avvertito delle difficoltà che sarebbero nate dalla nuova ricetta: «Questo ricettario è stato dato anche per agevolare il paziente che dovrebbe così saltare il ritorno dal medico di base, la federazione aveva chiesto un incontro urgente con le aziende sanitarie per elaborare un vademecum sulla nuova ricetta da inviare a tutti i medici. Oristano ha già fatto una circolare, Cagliari la sta preparando ». Perché alcuni specialisti preferiscono ancora il foglietto bianco? «La mia sensazione è che oggi fare una ricetta sia diventato complesso, le note dell’Aifa, l’agenzia del farmaco, sono anche limitative, c’è forse una carenza di conoscenze ». E i medici di famiglia, perché alcuni si rifiutano di dare una mano al paziente? «Noi Fimmg raccomandiamo un occhio di riguardo, comunque, per i pazienti. Ma il nuovo sistema di controllo della spesa deve far sì che ogni medico si assuma la sua quota di prescrizioni, noi non vogliamo continuare a essere considerati induttori di spese incontrollate». _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Gen. ’06 CENTRI PER DISABILI, PROTESTE CONTRO I TAGLI Oggi manifestazione davanti alla Regione per incontrare l’assessore Dirindin CAGLIARI. I dipendenti dei CENTRI DI RIABILITAZIONE PER DISABILI, AF- FIANCATI DAI PAZIENTI E LE LORO ASSOCIAZIONI, MANIFESTERANNO OGGI POMERIGGIO DAVANTI AL PALAZZO DELLA REGIONE PER CHIEDERE CHE LA GIUNTA NON APPROVI UNA DELIBERA SUL RIORDINO DEL SETTORE. E CHIEDONO CHE L’ASSESSORE ALLA SANITÀ, NERINA DIRINDIN, NE DISCUTA PRIMA ANCHE CON LORO. LA PREOCCUPAZIONE È CHE IL RIORDINO SI TRASFORMI DA SUBITO IN TAGLI DI POSTI DI LAVORO E IN UNA NETTA RIDUZIONE DELL’ASSISTENZA. CINQUANTUNO PAGINE, È AL PUNTO SETTE DELL’ORDINE DEL GIORNO DELLA SEDUTA ODIERNA DEL GOVERNO REGIONALE PRESIEDUTO DA RENATO SORU. HA PER TITOLO: «LINEE DI INDIRIZZO ALLE AZIENDE USL SULLE ATTIVITÀ SANITARIE E SOCIOSANITARIE DI RIABILITAZIONE. REQUISITI ORGANIZZATIVI E STRUTTURALI PER L’ACCREDITAMENTO DEI PRIVATI». I DIPENDENTI E LE ASSOCIAZIONI E I FAMILIARI DEI DISABILI SONO STATI MESSI IN PREALLARME DALLA RIUNIONE, CHE SI È TENUTA VENERDÌ SCORSO, TRA L’ASSESSORE NERINA DIRINDIN E I RESPONSABILI DEI CENTRI DI RIABILITAZIONE. VENUTI IN POSSESSO DELLA BOZZA DI DELIBERA, HANNO MANIFESTATO FORTI PREOCCUPAZIONI. QUESTE LE DISPOSIZIONI CONTENUTE NEL DOCUMENTO: «PER L’INDIVIDUAZIONE DEI VOLUMI COMPLESSIVI DI PRESTAZIONI DI RIABILITAZIONE GLOBALE PER L’ANNO 2006, NECESSARIE A COPRIRE LE ESIGENZE DELLA PROPRIA POPOLAZIONE, LE AZIENDE USL TENGONO CONTO DEI SEGUENTI PARAMETRI: «A) VOLUMI DI PRESTAZIONI: 0,25 POSTI LETTO PER 1000 ABITANTI RIABILITAZIONE GLOBALE A CICLO CONTINUATIVO (SANITARIO E SOCIOSANITARIA); 280 PRESTAZIONI PER 1000 ABITANTI PER ANNO RIABILITAZIONE GLOBALE AMBULATORIALI E DOMICILIARI; 45 PRESTAZIONI PER 1000 ABITANTI PER ANNO RIABILITAZIONE A CICLO DIURNO (SANITARIA E SOCIOSANITARIA). B) SPESA PRO CAPITE: PER ABITANTE MEDIA COMPLESSIVA 22 EURO». PER DARE L’IDEA DELLA DISTANZA TRA I CONTENUTI DELLA BOZZA DI DELIBERA E L’ATTUALE SITUAZIONE, BASTA FARE RIFERIMENTO ALLE PRESTAZIONI ANNUE: 280 PER MILLE ABITANTI (BOZZA DI DELIBERA), 600 PER MILLE ABITANTI (SITUAZIONE SECONDO I DIPENDENTI DEI CENTRI). UN RIORDINO GIUDICATO TROPPO DRASTICO: E NELLA MANIFESTAZIONE DI OGGI VERRANNO DIFESI NON SOLO I POSTI DI LAVORO DEI DIPENDENTI DEI CENTRI, MA ANCHE L’ASSISTENZA DI TUTTI I DISABILI (SCLEROSI MULTIPLA, SINDROME DI DOWN, VARI ESITI DI ICTUS, EMIPARESI, PARAPARESI, ECCETERA). CI SONO ALMENO ALTRI DUE PUNTI DI CUI DIPENDENTI E ASSOCIAZIONI DEI DISABILI VOGLIONO DISCUTERE PRIMA CHE LA GIUNTA APPROVI LA DELIBERA. IL PRIMO È LA PREVISIONE DI RIDURRE L’ASSISTENZA DOMICILIARE (CI SONO MOLTI CASI DI PAZIENTI NON GRAVI CHE HANNO PERÀ GRANDI DIFFI- COLTÀ A ESSERE TRASPORTATI TUTTI I GIORNI PER LE CURE), IL SECONDO RIGUARDA I CRITERI SULL’UBICAZIONE DEI CENTRI, CHE PORTEREBBE A CHIUDERNE DIVERSI NON PERCHÉ INUTILI - DICONO I DIPENDENTI - MA PERCHÉ I CRITERI SONO TROPPO RIGIDI. ALLE 15 LA MANIFESTAZIONE (È STATO ANNUNCIATO CHE SI SVOLGERÀ ANCHE IN CASO DI PIOGGIA), ALLE 16 LA RIUNIONE DELLA GIUNTA. A QUEL PUNTO SI SAPRÀ SE CI SARÀ L’AVVIO DI UN CONFRONTO DIRETTI NON SOLO CON I RESPONSABILI DEI CENTRI MA ANCHE CON I DIPENDENTI E LE ASSOCIAZIONI DEI MALATI. CAGLIARI. I DIPENDENTI DEI CENTRI DI RIABILITAZIONE PER DISABILI, AF- FIANCATI DAI PAZIENTI E LE LORO ASSOCIAZIONI, MANIFESTERANNO OGGI POMERIGGIO DAVANTI AL PALAZZO DELLA REGIONE PER CHIEDERE CHE LA GIUNTA NON APPROVI UNA DELIBERA SUL RIORDINO DEL SETTORE. E CHIEDONO CHE L’ASSESSORE ALLA SANITÀ, NERINA DIRINDIN, NE DISCUTA PRIMA ANCHE CON LORO. LA PREOCCUPAZIONE È CHE IL RIORDINO SI TRASFORMI DA SUBITO IN TAGLI DI POSTI DI LAVORO E IN UNA netta riduzione dell’assistenza. _______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 4 feb. ’06 UDEUR CONTRO LA DIRINDIN: «UNA POLITICA SPARTITORIA» Un attacco a tutto campo alla Sanità e all'assessore Nerina Dirindin. L'Udeur con il segretario Sergio Marracini e il consigliere regionale Pietro Pittalis, partono da qui la «verifica puntuale sull'attuazione del programma di governo». E il voto che arriva è molto al di sotto della sufficienza. «L'azione di governo dell’assessore alla Sanità non è condivisibile - spiega Marracini - va bene razionalizzare la spesa purché sia finalizzato all’interesse della salute dei cittadini e non all’arricchimento di questo e quel personaggio che in Sardegna ha trovato l’America». Secondo Marracini e Pittalis, nella nomina dei direttori sanitari è prevalsa una «logica lottizzatoria, legata esclusivamente a criteri di appartenenza di partito». Contestata, inoltre, la scelta di nominare ai verticiAsl «persone della Penisola, in dispregio delle professionalità sarde. Per raccogliere segnalazioni, l’Ude ur ha messo a disposizione un sito internet all’indirizzo www.sossardegna. org. «Questo è solo l'inizio», conclude Pittalis.? ______________________________________________________________ Repubblica 2 feb. ’06 L'ATTESA CONTINUA Inchiesta - Le liste in sanità: per il quarto anno sondaggio in 10 città. Stesse strutture, medesimi esami e visite specialistiche Ancora troppi disagi. Novità dalle Regioni, la "cura" di Storace di Maurizio Paganelli Emergenza continua sul fronte delle liste d'attesa: eliminate le "punte" negative (616 giorni d'attesa a Bari per una mammografia, ora, 5 giorni), restano pur sempre dati inquietanti, soprattutto sulla mammografia priva di urgenza, in alcune strutture, non sempre d'eccellenza. L'indagine in 10 città, svolta da Salute (tra il 18 e il 24 gennaio), giunta ormai al quarto anno (stesse strutture, uguali esami e visite specialistiche), segnala ancora "febbre alta" e cure ancora insufficienti su questo fronte. Così, per una visita reumatologica, si può attendere a Milano fino a 138 giorni a Roma 122 giorni, mentre a Bologna, in Ortopedia, la forbice dei tempi segnala una variazione tra 7 e 281 giorni, 155 per Urologia (Milano) o, infine, un esame Moc (Densitometria ossea) può restare un "sogno" lungo anche 200 giorni alle Molinette di Torino. Le Regioni, da anni, dicono che si stanno attrezzando e la "cura" più comune, anche ora, ritorna su una parolina quasi magica dalla sigla brevissima: Cup, centri unici di prenotazione. Un'analisi, impietosa, dei Cup già in funzione e che spesso non dialogano tra loro, viene fatta dall'Agenzia dei Servizi Regionali (articolo nelle pagine successive), ma sembra questa la "ricetta", con l'aiuto di internet e computer (dal data-base regionale degli assistiti, alla tessera sanitaria informatizzata, che sta arrivando ora anche in Sardegna, fino alla prenotazione di visite ed esami direttamente dal medico di base o in farmacia). Molti assessori si dicono soddisfatti perché vengono rispettati gli standard di attesa ministeriali. Ma va ricordato che quei dati fissano percentuali: 80% delle richieste di indagini strumentali entro 2 mesi, l'80% delle visite specialistiche entro un mese. Esiste comunque più attenzione al problema: c'è chi affronta e recupera i casi di disdetta degli appuntamenti, una percentuale significativa con costi altissimi; c'è chi preme per maggior rigore ed appropriatezza dell'esame, coinvolgendo di più chi lo prescrive. Sul fronte governativo, l'attuale ministro Storace, che appena nominato parlò di "situazione devastante" (era in corso un'indagine dei Nas), ha utilizzato la legge di bilancio del 2006, la Finanziaria, per alcune misure "anti-coda": vietate le liste bloccate, salvo motivi tecnici e accordo delle associazioni degli utenti; fondi per i Cup; più controlli e appropriatezza sulle prestazioni; un Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa con fissasione di termini massimi; monitoraggio a cura dell'Agenzia regionale; più tecnologia. Non sembrano "ricette" così innovative: quest'estate il sottosegretario Cesare Cursi illlustrava l'informativa di Storace sul "tavolo tecnico sul problema delle liste d'attesa" con Regioni e sindacati, mentre i medici ospedalieri Anaao reagivano "all'equazione fra liste d'attesa e libera professione intramoenia" (visite private entro le mura della struttura pubblica, previste dal contratto nazionale). Dalle parole ai fatti. Intanto, com'è prassi in Italia, i giudici indagano (liste d'attesa create ad arte a Roma?) e la Commissione d'inchiesta del Senato sulla sanità nel Sud segnala, nella relazione finale, il "ritardo ventennale" dell'introduzione dei lettori ottici, il degrado del Sud sanitario (comperso il record dell'esubero di 700 infermieri alla Asl di Palmi), il colpevole disavanzo di Campania, Sicilia e Lazio (da sole fanno il 57% del deficit nazionale). La denuncia di Altroconsumo L'associazione Altroconsumo, fece una verifica in 51 strutture di 4 città: a Milano e Napoli occorrevano anche 5 mesi per un'ecografia o una visita oculistica. A Roma il Cup proponeva di percorrere 160 chilometri per fare un'ecografia (su Salutest, aprle 2005) POSTI DISDETTI E RECUPERATI Bologna Come "prima disponibilità" le prestazioni sono in gran parte garantite nei 30 giorni per le visite e nei 60 giorni per la diagnostica strumentale. Tutte le visite urgenti sono effettuate entro 24 ore e tutte le urgenze differibili entro 7 giorni. Messe in campo una serie di iniziative per ridurre le liste d'attesa, tra cui la campagna per disdire in anticipo l'esame o la visita a cui non si può andare che ha portato a recuperare in media 1400 prestazioni al mese, rimesse nel circuito di prenotazione Cup. Nel 2005 sono stati resi disponibili 3 nuovi punti di accesso diretto per i principali esami di laboratorio a Molinella, Zola Predosa e San Pietro in Casale: la sperimentazione verrà estesa quest'anno ad altri punti di accesso e completata per tutta l'azienda nel 2007. Da marzo non ci saranno più agende chiuse, ma un programma di riprenotazione se vengono superati i 6 mesi di attesa. (marina amaduzzi Calabria tra fuga nel privato e viaggi della speranza di Giuseppe Baldassarro Sono nella media nazionale le liste d'attesa per le prestazioni sanitarie in Calabria. Ma questo, per l'assessore regionale alla Sanità Doris Lo Moro, "non significa che ci si trovi di fronte a servizi efficienti". Un'analisi che trova d'accordo la presidente del Tribunale del malato di Reggio Calabria, Nella Garganese, convinta "della necessità di riorganizzare i Cup, ma ancor di più del fatto che vada potenziata la capacità di fornire risposte di qualità all'utenza". Uno studio dell'assessorato svela le ragioni per le quali Doris Lo Moro non è soddisfatta: "Non ci sono liste d'attesa lunghe perché non c'è fiducia nel sistema sanitario pubblico. Quindi i cittadini preferiscono, rivolgersi ai privati o a strutture d'altre regioni". È la storia dei viaggi della speranza che da sempre caratterizzano la realtà calabrese. Migrazioni "che hanno un costo economico altissimo sia per la gente che per l'istituzione". Secondo l'assessore il legame tra il numero di persone che ricorrono all'esterno per visite specialistiche o terapie e le file ai Cup è inscindibile. "Stiamo lavorando", spiega ancora, "per aumentare la quantità e qualità dell'offerta e per ridare credibilità al sistema. Paradossalmente, se ci riusciremo le liste d'attesa rischiano di crescere. E in quest'ottica, parallelamente, va riorganizzata la capacità dell'offerta pubblica". Obiettivo dei 5 anni della giunta. Anche per questo "l'aumento della produttività delle strutture di specialistica ambulatoriale" e "l'attivazione d'efficaci sistemi centralizzati di prenotazione", sono due dei punti principali dell'elenco delle priorità consegnato ai Direttori generali di Asl e aziende ospedaliere nominati nelle scorse settimane. Per le prenotazioni l'assessore ha annunciato che presto sarà possibile fissare gli appuntamenti tramite i medici di base e in farmacia, come già avviene in altre regioni. CASO SICILIA, MORTI E "LACUNE" di Tiziana Lenzo NONOSTANTE i dati non eclatanti sulle liste d'attesa dell'ospedale Civico di Palermo, il direttore generale dell'azienda ospedaliera Francesco Licata di Baucina sembra soddisfatto: "Abbiamo risolto parte dei problemi, grazie a progetti obiettivi che prevedono incentivi per i medici". Ma il "presunto"risultato ottenuto dal Civico viene offuscato dall' "emergenza malasanità" esplosa in Sicilia: una black list di sale operatorie da non frequentare, un preoccupante infittirsi di "eventi" fatali. Dall'agosto dello scorso anno sono 18 le morti sospette avvenute negli ospedali e dal primo rapporto della Commissione regionale viene fuori che in 4 province (Catania, Messina, Trapani, Caltanissetta) ci sono 5 sale operatorie a rischio. Che succede? "C'è senz'altro una sovraesposizione mediatica", afferma l'assessore alla Sanità, Giovanni Pistorio, "i dati statistici ci dicono che i tassi di mortalità sono stabili. C'è di contro una maggiore consapevolezza del diritto alla salute da parte dei cittadini. Non voglio dire che il sistema non mostri qualche lacuna, il quadro emerso è che c'è un mix di problemi di governance del sistema e di responsabilità individuali: nell'eventualità agiremo contro medici o direttori generali". La Sicilia (spesa sanitaria di 7,8 miliardi di euro) sconta i problemi di scarsa programmazione e carenza di controlli. "Tutte queste morti sospette", accusa Renato Costa, medico nucleare del Policlinico di Palermo e segretario Cgil medici, "non sono un caso". Uno dei grossi problemi per Costa è la mancanza di accreditamento delle strutture: "Termini scaduti e riaperti, scambio tra problemi organizzativi e carenze reali: vanno chiuse le sedi irregolari. È poi normale che sia una Commissione a dire che ci sono sale operatorie non a norma?". Sono sette le "criticità" FIRENZE A Firenze il Cup metropolitano mette sempre più prestazioni a disposizione dei cittadini. Oltre a quasi tutte le visite e gli esami dell'azienda sanitaria, sono state inserite molte agende dell'azienda ospedaliera di Careggi, che si occupa principalmente di alta specialità. Riguardo alle attese, restano abbastanza problematiche quelle per la mammografia ma si tratta di esami su donne asintomatiche. Quando c'è un nodulo o un dolore la mammografia è assicurato in una settimana. Inoltre 40 mila fiorentine tra i 50 e i 70 anni ogni due anni vengono convocate per lo screening contro il tumore alla mammella. Per quanto riguarda le visite la Regione ne ha identificate 7 critiche (ortopedia, otorino, oculistica, dermatolofica, cardiologia, ginecologia, neurologica) che vanno assicurate entro 15 giorni. Il risultato è raggiunto quasi ovunque. (michele bocci) Tempi duri per l'ospedale GENOVA Quasi 3 mesi di attesa, esattamente 114 giorni per poter fare una mammografia bilaterale all'ospedale San Martino. I tempi sforano i limiti previsti dalle leggi nazionale e regionale, che stabiliscono 90 giorni. "L'importante, però, è che nell'ambito metropolitano l'utente possa avere le prestazioni entri i limiti stabiliti", dice Gaetano Cosenza, direttore generale dell'Azienda Ospedaliera- Universitaria, "comunque, le urgenze sono risolte in giornata". Ancora: 58 giorni di attesa per una visita reumatologica al "San Martino", contro i 5 in una struttura della Asl3 genovese. Nonostante le promesse, le attese sono ancora lunghe. Novità, invece, per quanto riguarda i ticket sanitari: la Regione ha deciso di eliminare il contributo in esami e visite per persone con patologie croniche, allergici, malattie rare. (giuseppe filetto) MEDICI E WEB IN AIUTO Prenotazioni esami e visite, le ricette del cambiamento I Cup di Carlo Liva * Un'indagine svolta dal ministero della Salute nel 2003 ha evidenziato la presenza nel nostro paese di 181 Centri Unificati di Prenotazione (Cup), dei quali 43 erano definiti sovra-aziendali, 79 aziendali e 63 sub-aziendali. Un dato sorprendente dell'indagine era costituito dal fatto che, sul totale dei Cup, 46 erano aperti solo per meno di 7 ore al giorno e per almeno 5 giorni alla settimana, 44 per almeno 7 ore, ma per meno di 5 giorni alla settimana e 3 addirittura per meno di 7 ore al giorno e per meno di 5 giorni alla settimana. Questi risultati hanno posto in evidenza una concezione quanto meno limitata del Cup, che viene visto ancora forse più come modalità di accentramento di alcune attività di prenotazione in luoghi definiti, magari per semplici motivi logistici, piuttosto che come un diverso modo di rappresentare e gestire l'offerta. Nell'ambito del progetto ministeriale "I Mattoni del Nuovo Sistema Informativo Sanitario", in accordo con le Regioni, all'inizio del 2005 l'Agenzia per i servizi sanitari regionali ha svolto una serie di indagini sul tema delle liste di attesa. Si è confermato come i Cup si stiano diffondendo in tutte le Regioni, ma contestualmente si è riscontrato come spesso non vi sia una rappresentazione all'utenza dell'intera offerta disponibile in quel territorio. Un dato particolarmente critico è stato la constatazione che nella maggioranza delle Regioni i Cup delle diverse aziende non sono in grado di comunicare tra di loro, arrivando frequentemente al punto di ritenere "normale" che il Cup ospedaliero non comunichi con il Cup della Asl nel cui territorio è collocato. Il collegamento tra i diversi Cup sarebbe invece importante non solo per una rappresentazione più efficace e corretta dell'offerta, ma anche per ottimizzare la sua gestione, rappresentare i tempi migliori o le più idonee modalità di accesso; inoltre, esso potrebbe favorire i controlli incrociati tra le diverse agende ed aziende per ridurre il malcostume delle prenotazioni multiple, che comportano livelli di mancata presentazione degli utenti prenotati, un fenomeno che raggiunge anche il 30-40% delle prenotazioni. In effetti, come è emerso in una rassegna di esperienze pubblicata recentemente sulla rivista dell'Agenzia (Assr), "Monitor", ai nuovi modelli di Cup si richiede la capacità di fornire soluzioni ai nuovi problemi che emergono, garantendo equità nell'accesso, con tempi differenziati secondo il bisogno clinico del cittadino, e favorendo la continuità assistenziale e la gestione secondo percorsi diagnostico-terapeutici predefiniti. Nello stesso numero di "Monitor", Stefano Inglese di "Cittadinanzattiva", ha sottolineato l'importanza dei Cup per una serie di aspetti, quali: la semplificazione delle procedure, il contributo alla riduzione dei tempi di attesa, la promozione di una maggiore omogeneità e trasparenza nell'accesso alle prestazioni, non senza rilevare, peraltro, alcune criticità della situazione presente, tra cui la difficoltà dei Cup ad assicurarsi il trasferimento di tutte le agende di prenotazione esistenti e lo sbilanciamento dei servizi di prenotazione, che riguardano quasi esclusivamente le prestazioni ospedaliere e poco la medicina del territorio. In altri contributi sulla stessa rivista, abbiamo evidenziato alcune esperienze di eccellenz: provincie di Bologna, Parma, Trento, regioni Veneto e Lazio. In questi casi si sono evidenziate le nuove soluzioni, tecnologiche ed organizzative, già poste in atto, quali: accesso alla prenotazione, attraverso le farmacie, i medici di famiglia ecc.; la possibilità per i pazienti di prenotare alcune prestazioni via internet; l'uso del Cup per analizzare e governare la domanda di prestazioni, le risorse disponibili, le liste di attesa; la possibilità di gestire i problemi dei pazienti che hanno necessità di prestazioni multiple, correlate e con intervalli temporali definiti. * Coordinatore "Tempi di attesa" Assr - Agenzia per i servizi sanitari regionali Riorganizzazione targata Dirindin SASSARI di Carla Etzo Il nuovo assessore alla Sanità della Sardegna, Nerina Dirindin si è insediato nel 2004 con il difficile compito di riorganizzare un sistema sanitario regionale di non semplice gestione. Razionalizzare le strutture e arginare gli sprechi, queste le parole d'ordine dell'assessore. Un progetto che va avanti non senza difficoltà e polemiche, soprattutto da parte di chi contesta i tagli alle aree più disagiate dell'isola. Con la Dirindin è cambiata anche la gestione della Asl numero 1 di Sassari, affidata al direttore generale, Bruno Zanaroli. Il nuovo manager ha tra i suoi obiettivi proprio quello della riorganizzazione delle liste d'attesa: per questo è stato creato un ufficio apposito per una gestione più rapida delle prenotazioni. "L'azienda sanitaria è impegnata in un articolato processo di razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse e dei percorsi", fanno sapere dalla Asl, "soprattutto nel superamento di "rigidità" organizzative che tendono a rallentare l'attività, tra queste un esempio è la mancanza di integrazione e coordinamento tra le strutture radiologiche, che riduce in maniera significativa la risposta complessiva nel settore". C'è da dire che rispetto allo scorso anno si registrano ancora dei disservizi come nel caso della Risonanza magnetica, non c'è il macchinario per questo esame chi avesse bisogno di farla infatti è costretto a spostarsi a Nuoro. Comunque per quanto riguarda le consulenze vanno registrati alcuni miglioramenti. Per esempio si sono sbloccate le liste di attesa per la neurologia. Per l'ecografia, invece, si è passati da 150 giorni a 21 giorni di attesa. Peggiora la situazione per la reumatologia all'ospedale Civile "Santissima Annunziata" dove la media di attesa arriva a 84 giorni ma alle cliniche universitarie l'attesa si riduce a un mese circa. Quasi invariata la mammografia dove si aspetta almeno 130 giorni. L'attesa però si riduce a 70 giorni se ci si rivolge al poliambulatorio territoriale (ma i dati ufficiali parlano di attese che vanno da 178,44 giorni all'ospedale Civile, mentre nei poliambulatori si va da 44 a 186 giorni). Chi telefona per un appuntamento per fare una Moc, si sente rispondere che è possibile tra 48 e 70 giorni, anche se, in questo caso, i dati ufficiali parlano di 7-10 giorni presso l'ospedale Civile. Le prenotazioni chieste via fax TORINO di Vera Schiavazzi La Regione Piemonte si è dotata di un proprio sistema indipendente per rilevare le liste d'attesa in tutti gli ospedali. I dati regionali si riferiscono a dicembre 2005, mentre, le nostre stime sono state fatte parlando direttamente con i singoli reparti delle Molinette, l'ospedale più grande del Piemonte. Il Cup aziendale è praticamente impossibile da raggiungere: il suo numero telefonico, 011/6332220, operativo dal lunedì al venerdì, dalle 11 alle 15,30, è perennemente occupato, il consiglio che viene fornito ai pazienti è quello di inviare un fax (011/6335838) allegando la fotocopia dell'impegnativa e un recapito al quale si desidera essere richiamati. Le nostre rilevazioni non si basano quindi sulle risposte del Cup. Comunque, per l'elettrocardiogramma le prenotazioni sono sospese dal Cup; per una mammografia la rilevazione ufficiale della Regione parla di 120 giorni, mentre per altri esami e visite i dati ufficiali sono si discostano dai nostri. Nelle strutture private convenzionate, per gli esami indicati, non esistono liste d'attesa, o non superano i 7 giorni. Il neo assessore Mario Valpreda riassume così i suoi piani per abbattere le attese: "La prima cosa da fare è razionalizzare l'uso di tutte le strutture e le apparecchiature disponibili. Non sono rari i casi nei quali si segnala, ad esempio, un uso parziale delle camere operatorie. Stiamo poi lavorando ad un sistema di prenotazioni in rete che integri le strutture pubbliche e quelle private convenzionate: a Torino questo avviene già, lo estenderemo a tutta la regione. Ma la cosa più importante sono prescrizioni adeguate: oggi la domanda di prestazioni è superiore alle reali necessità, in modo a volte inutile e qualche volta addirittura dannoso". Ma che cos'altro prevede il nuovo piano sanitario regionale? "Interventi su reddito, istruzione, alimentazione e ambiente, che incidono per l'80% sullo stato di salute della popolazione: quindi più prevenzione, ma anche una rete di servizi di base e cure a domicilio più estesa. Per organizzare meglio i servizi, infine, il piano propone la diminuzione delle Asl dalle attuali 30 a 20 e la revisione della rete ospedaliera". ________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 2 feb. ’06 VISITA ALLA TIROIDE? TORNI NEL 2007 e per l'ecografia si slitta ad aprile In cardiologia pediatrica impossibile avere un appuntamento prima di ottobre, in urologia si attende luglio Il manager Selis: «Si tratta di casi limite, ma non devono restare nascosti: lavoriamo per accorciare i tempi» Il caso limite è quello di un paziente che si è già sottoposto a una prima visita endocrinologica all’ospedale Brotzu di Cagliari. Se ieri avesse dovuto prenotare un nuovo controllo, ai problemi di tiroide o altre ghiandole si sarebbe forse aggiunta la depressione: la prossima visita al Brotzu sarebbe stata fissata per il 10 gennaio del 2007. «È un caso limite ma, come tutte le disfunzioni, è giusto che non resti nascosto», commenta Mario Selis, direttore generale dell’azienda Brotzu, «come le visite di cardiologia pediatrica, possibili solo dal 17 o tt o b r e » . TRE MESI in meno, ma sempre cinque mesi di attesa per una Tac al Brotzu, 11 luglio, pochi giorni dopo la prima visita urologia possibile, il 3 luglio. Per tante altre prestazioni offerte dall’azienda di via Peretti bisogna aspettare almeno la fine di aprile. Il Cup, centro di prenotazione unificata, della Asl 8 è attivo dal 2002 e tra poco comprenderà anche l’ospedale di Isili, ma non comprende il Brotzu e il Policlinico universitario diMonserrato: non esiste ancora un centro unico che distribuisca le prenotazioni in tutte le strutture della provincia. «Poco tempo fa abbiamo cominciato a parlare di un Cup metropolitano», precisa il manager Selis, «ne riparleremo nei prossimi incontri e mi auguro che sia un traguardo raggiungibile in breve tempo». Anche perché non c’è bisogno di inventarselo, il Cup di Monte Claro è una struttura già avviata che riceve 25 mila richieste di prenotazione all’anno e sta per crescere ancora perché la Asl 8 vuole renderlo la porta unica per l’accesso alle strutture sanitarie, estendendo il servizio anche alle cliniche private accre- Il fatto del giorno ditate. L’aumento degli ambulatori accessibili porterà a un abbattimento dei tempi d’att e - sa, considerato che chi telefona per prenotare una visita dietologica al Santissima Trinità, l’unica struttura collegata al Cup che la offre, deve aspettare fino a settembre e chi ha bisogno di una visita oculistica a Cagliari deve continuare a strizzare gli occhi ancora per cinque mesi: i giorni di attesa sono 150. Tornando ai tempi di attesa del Brotzu, azienda autonoma separata dalla Asl 8, per una visita cardiologica pediatrica non c'è posto prima del 17 ottobre. Va meglio per una Tac, ma non è che sia domani: bisogna pazientare fino all'11 luglio, mentre per farsi visitare in urologia il 3 di luglio è il primo giorno utile, perché prima è già tutto pieno. Il 15 giugno, invece, si fissa l'incontro con lo specialista per un ecodoppler in chirurgia vascolare, mentre l'appuntamento per una mammografia non viene concesso prima del 19 aprile. Tempi lunghi o “normali”? Qualche confronto. A Sassari, nel 2005, l'attesa per una ecografia era di 150 giorni, mentre attualmente la media di Milano è di 98 giorni e quella di Roma di 65. Una mammografia nella capitale dei lumbard è un sogno più che una realtà: bisogna aspettare 298 giorni.Un'eternità, eppure nulla a paragone di Bari dove per lo stesso esame l'appuntamento viene fissato per 616 giorni dopo: quasi tre anni, c'è tempo per morire.?M.Z. Per prenotare al telefono meglio scegliere l'ora giusta Un solo numero ?? Gli operatori del centro unico di prenotazione della asl 8 rispondono al telefono dalle 7 alle 20, ma chi deve prenotare una visita è meglio che non chiami tra le dieci e mezzogiorno: le ore di punta con i telefoni incandescenti e linee occupate. Negli altri orari è semplice prenotare una visita di controllo in quasi tutte le strutture della provincia di Cagliari. Da l l ’inizio del 2006 il bacino di utenza dell’azienda sanitaria di via Peretti corrisponde con i confini geografici della nuova Provincia di Cagliari, anche se nell’elenco di strutture raggiungibili dal Cup non sono compresi il Brotzu e il Policlinico. All’interno della stessa Asl ci sono quindi liste d’attesa parallele anche per gli stessi servizi, un nodo da sciogliere che porterebbe a uno smaltimento delle code. Nei prossimi piani dell’azienda è previsto un miglior collegamento, anche telematico. ________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 2 feb. ’06 TRE ANNI DI ANGOSCIA ASPETTANDO IL TRAPIANTO DI RENE per il fegato 18 mesi In Sardegna il numero di espianti è nella media nazionale, ma cala rispetto al 2004 3Tempi lunghi anche per i trapianti ?L’Italia mantiene il secondo posto fra le grandi nazioni europee per numero di donatori. Quest'anno, secondo i dati del Centro nazionale trapianti, i donatori effettivi nel nostro Paese sono stati 21 per milione di persone, come nel 2004. Inoltre per la qualità dei trapianti siamo al primo posto in Europa per qualità degli interventi. I pazienti trapiantati in Italia stanno meglio di quelli di altri Paesi. DONAZIONI. A livello regionale, si nota un incremento nel centro- nord e una diminuzione nel centro-sud. Fra le Regioni in testa alla graduatoria dei donatori per milione di persone troviamo Liguria (40,7 pmp) ed Emilia Romagna (36,4 pmp). Entrambe in crescita: nel 2004 il dato era, rispettivamente di 34,4 e 30,1. Seguono il Piemonte- Valle d’Aosta con 34,1 donatori (29,3 nel 2004), il Veneto (32 donatori contro i 28,3 del 2004), la Toscana (31,7 donatori nel 2005 contro i 36,3 del 2004). E ancora, il Friuli Venezia Giulia (31,3 nel 2005, come nel 2004), le Marche con 30,6 donatori contro i 36 dell’anno precedente, la Provincia Autonoma di Bolzano con 30,2 donatori (34,6 nel 2004). In linea con la media nazionale, dice il Cnt, si collocano la Lombardia che registra 20,4 donatori effettivi per milione di persone (contro il 21,3 del 2004), l’A b r u z z o - Mo - lise (20,2 donatori nel 2005 contro i 17,1 del 2004) e la Sardegna che, nel 2005, si assesta su 20,2 donatori per milione di persone (22,7 del 2004). Nel 2005 sono stati effettuati, compresi i com- binati, 3166 interventi (1663 direne, 1049 di fegato, 345 di cuore, 97 di polmone, 85 di pancreas, 5 di intestino, 2 multiviscerale) a fronte di un numero complessivo di pazienti in lista d’attesa pari a 8883 (6.362 per il trapianto di rene, 1568 per il fegato, 658 per il cuore, 197 per il pancreas e 253 per il polmone). Come le donazioni, anche per l’attività di trapianto negli ultimi anni si è registrato un aumento costante (si è passati da 2386 nel 2000 ai 3217 del 2004) ma mai sufficiente a soddisfare la crescente domanda dei pazienti in attesa, effetto dovuto alla crescita dell’offer ta. LISTE DI ATTESA. C'è una percentuale bassa di mortalità in lista d’attesa (1,52 % per il rene, 6,78% per il fegato, 10,03% per il cuore, 2,02 per il pancreas e 18,22 per il polmone) ma rimane la necessità di un impegno forte per aumentare gli interventi e accorciare i tempi medi di attesa: 2,99 anni per il rene, 1,53 anni per il fegato, 2,14 per il cuore, 2,41 per il pancreas, 1,84 per il polmone.? GDS ________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 2 feb. ’06 DOPO LA TESSERA SANITARIA ARRIVA IL FASCICOLO TELEMATICO I sardi saranno inseriti in una banca dati in cui verranno registrati tutti i loro malanni Tutti in fila Il fatto del giorno 3L'assessore Dirindin con la tessera sanitaria EPOLIS Alessandro Zorco alessandro.zo rco@epolis.sm ? Per ora è destinata a sostituire il codice fiscale ma sarà bene tenerla da subito nel portafoglio. La tessera sanitaria, che entro la fine del mese (stando alle previsioni della Regione) sarà ricevuta da tutti i sardi, è destinata a diventare tra breve il passepartout per accedere ai servizi del Servizio sanitario nazionale. Tra non molto anche in Sardegna sarà possibile consultare il medico di base direttamente dal computer di casa, così come prenotare visite e esami di laboratorio. Una rivoluzione telematica che consentirà - tra l'altro - di monitorare in maniera più efficace la spesa sanitaria isolana. L'INIZIATIVA, patrocinata dai ministeri dell’Economia, della Salute e dell’Innovazione tecnologica e presentata nei giorni scorsi solennemente a Cagliari dal governatore Soru e dall'assessore Dirindin, è partita nell'Isola con qualche mese di ritardo rispetto al resto della Penisola. La sperimentazione (il costo complessivo del progetto è di 150 milioni di euro), coordinata dall’Agenzia delle Entrate sulla base di una convenzione con la Ragioneria generale dello Stato e realizzata dalla Sogei, dovrebbe letteralmente rivoluzionare l'assistenza sanitaria. Un'operazione che - secondo lo stesso Soru - porterà a un risparmio immediato del 3 per cento della spesa sanitaria. Pari addirittura a 70 milioni di euro. L'incrocio dei dati dell'anagrafe tributaria con quelli dei Comuni e delle Asl sarde ha infatti consentito di individuare quanti sono i cittadini sardi effettivamente assistiti dal Ssn ed evitare spiacevoli inconvenienti come persone defunte ancora a carico del Ssn o pazienti assistiti da più Asl. La fase successiva - ma bisognerà attendere ancora un po' - sarà la messa in rete dell'intero sistema sanitario. I soldi ci sono: 8 milioni di euro dell'accordo di programma quadro sulla Società dell'Informazione. Morale: in un prossimo futuro i medici sardi - ferma restando, si spera, la tutela della privacy - potranno accedere a una banca dati che conterrà la vita sanitaria di ogni cittadino. Che avrà un fascicolo sanitario telematico, accessibile in presenza della carta sanitaria dell'assistito e di quella del medico, in cui saranno segnati tutti i suoi malanni. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 3 feb. ’06 FISIOTERAPISTI ANCHE CON LA LAUREA IN SCIENZE MOTORIE di Nicoletta Cottone Si potrà diventare fisioterapisti per legge. Ha avuto oggi il via libera definititivo dalla Camera il decreto legge 250/2005 che consente l'equipollenza della laurea in Scienze motorie, nata dalla trasformazione dell'Isef, a quella in fisioterapia. Una professione non sanitaria, dunque, sarà trasformata in sanitaria grazie all'attestato di frequenza di un corso su paziente. «Un'autentica follia», sottolinea l'onorevole Tiziana Valpiana di Rifondazione comunista. Protestano i fisioterapisti che hanno organizzato per domani alle 10,30 davanti a Palazzo Chigi un presidio di protesta e di informazione alla cittadinanza sui rischi per la salute collegati alla norma approvata. Peraltro nel decreto legislativo che ha istituito la laurea in Scienze motorie è chiaramente precisato che il diploma di laurea non abilita all'esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione. L’Associazione italiana fisioterapisti ritiene la nuova norma un dispositivo assurdo e inaccettabile. «Una professione sanitaria delicata - dice Daniele Tosarelli, segretario regionale Aifi Emilia Romagna - che si occupa di riabilitazione di pazienti con patologie di varia complessità e gravità, come per esempio quelli oncologici, non può essere affidata a soggetti formati per svolgere ben altra attività». L’Associazione, in una lettera inviata al premier Silvio Berlusconi, a ministri e deputati era stata chiara: «Vogliono regalare la laurea in fisioterapia ai laureati in Scienze motorie». Ora il dono per gli studenti di Scienze motorie è arrivato, insieme al carbone per i fisioterapisti. È legge l’articolo 1-septies, introdotto da un emendamento del senatore Giuseppe Firrarello di Forza Italia, nel decreto legge 250/2005, che recita così: «Il diploma di laurea in scienze motorie è equipollente al diploma di laurea in fisioterapia, se il diplomato abbia conseguito attestato di frequenza ad un corso su paziente, da istituirsi con decreto ministeriale, presso le università». La spiegazione fornita dal senatore Firrarello è legata alla carenza di lavoro per i laureati in Scienze motorie. «L'emendamento - dice Firrarello - è nato dalla segnalazione della facoltà di Scienze motorie di Catania sulla disoccupazione dei laureati in Scienze motorie. Ha mai sentito parlare di fisioterapisti disoccupati? Con un'integrazione rispetto alle materie di base si potrebbe conseguire il titolo di studio in fisioterapia e potrebbe essere ritagliato uno spazio nel settore della prevenzione». Un emendamento sfuggito all’attenzione di molti deputati che riempie di rabbia i fisioterapisti. «Non siamo riusciti a impedire - spiega Daniele Tosarelli, segretario regionale Aifi Emilia Romagna - lo scippo del nostro titolo di studio. Ma è solo una battaglia: di certo non finisce qui». Fra le altre la norma sembra sollevare anche dubbi di costituzionalità in quanto la disciplina delle professioni è oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L'articolo approvato, inoltre, non indica quale dicastero abbia la competenza per stabilire le modalità di accesso ai corsi per trasformarsi in fisioterapisti. L'articolo è passato senza che molti parlamentari si rendessero conto della portata del provvedimento, tanto che a Montecitorio non sono stati presentati emendamenti sul punto. Anzi, l’unico emendamento presentato dall’onorevole Francesco Paolo Lucchese dell’Udc e ritirato per «motivi di opportunità», è stato trasformato in un ordine del giorno, anche quello ritirato. «Io sono favorevole all’articolo - spiega l’onorevole Lucchese - ma ritengo che sia necessario istituire un percorso particolare per accedere dal diploma di laurea in scienze motorie a quello in fisioterapia». Tanto che nell’ordine del giorno proposto chiedeva al Governo di «effettuare un attento monitoraggio per evitare criticità». Tiziana Valpiana e Titti De Simone di Rifondazione comunista che speravano in una riapertura dei termini per presentare un emendamento al provvedimento, hanno presentato un ordine del giorno che chiede al Governo di adottare le opportune iniziative per fare in modo che il corso su paziente, da istituire presso le università, abbia identica durata, piano di studi e curriculum della laurea in scienze motorie. Il provvedimento, secondo le due parlamentari, trascura gli ordinamenti universitari, umilia migliaia di professionisti, vanifica la legge sulle professioni sanitarie approvata la scorsa settimana, mette in pericolo la salute dei cittadini, affidandone la cura a personale non sanitario. «Il problema - dice l’onorevole Tiziana Valpiana - è che nella fretta di questi giorni nessuno ha colto la gravità dell’emendamento per la salute dei cittadini. Il danno è stato compiuto per favorire una categoria, ma la ricaduta porterà conseguenze incalcolabili sui cittadini e sui pazienti. La realtà è che chi ha fatto Scienze motorie non ha la preparazione sanitaria per fare il fisioterapista». Alla fine il Governo si è impegnato sull'ordine del giorno proposto da Giorgio Conti (An): prevede che nel decreto ministeriale siano rese obbligatorie almeno 1.500 ore di tirocinio e «il conseguimento delle competenze professionali, al fine di accedere all'esame di Stato abilitante alla professione di fisioterapista». Peccato che l'esame non esista. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 feb. ’06 SI POTRÀ DIVENTARE FISIOTERAPISTI PER LEGGE. Ha avuto oggi il via libera definititivo dalla Camera il decreto legge 250/2005 che consente l'equipollenza della laurea in Scienze motorie, nata dalla trasformazione dell'Isef, a quella in fisioterapia. Una professione non sanitaria, dunque, sarà trasformata in sanitaria grazie all'attestato di frequenza di un corso su paziente. «Un'autentica follia», sottolinea l'onorevole Tiziana Valpiana di Rifondazione comunista. Protestano i fisioterapisti che hanno organizzato per domani alle 10,30 davanti a Palazzo Chigi un presidio di protesta e di informazione alla cittadinanza sui rischi per la salute collegati alla norma approvata. Peraltro nel decreto legislativo che ha istituito la laurea in Scienze motorie è chiaramente precisato che il diploma di laurea non abilita all'esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione. L’Associazione italiana fisioterapisti ritiene la nuova norma un dispositivo assurdo e inaccettabile. «Una professione sanitaria delicata - dice Daniele Tosarelli, segretario regionale Aifi Emilia Romagna - che si occupa di riabilitazione di pazienti con patologie di varia complessità e gravità, come per esempio quelli oncologici, non può essere affidata a soggetti formati per svolgere ben altra attività». L’Associazione, in una lettera inviata al premier Silvio Berlusconi, a ministri e deputati era stata chiara: «Vogliono regalare la laurea in fisioterapia ai laureati in Scienze motorie». Ora il dono per gli studenti di Scienze motorie è arrivato, insieme al carbone per i fisioterapisti. È legge l’articolo 1-septies, introdotto da un emendamento del senatore Giuseppe Firrarello di Forza Italia, nel decreto legge 250/2005, che recita così: «Il diploma di laurea in scienze motorie è equipollente al diploma di laurea in fisioterapia, se il diplomato abbia conseguito attestato di frequenza ad un corso su paziente, da istituirsi con decreto ministeriale, presso le università». La spiegazione fornita dal senatore Firrarello è legata alla carenza di lavoro per i laureati in Scienze motorie. «L'emendamento - dice Firrarello - è nato dalla segnalazione della facoltà di Scienze motorie di Catania sulla disoccupazione dei laureati in Scienze motorie. Ha mai sentito parlare di fisioterapisti disoccupati? Con un'integrazione rispetto alle materie di base si potrebbe conseguire il titolo di studio in fisioterapia e potrebbe essere ritagliato uno spazio nel settore della prevenzione». Un emendamento sfuggito all’attenzione di molti deputati che riempie di rabbia i fisioterapisti. «Non siamo riusciti a impedire - spiega Daniele Tosarelli, segretario regionale Aifi Emilia Romagna - lo scippo del nostro titolo di studio. Ma è solo una battaglia: di certo non finisce qui». Fra le altre la norma sembra sollevare anche dubbi di costituzionalità in quanto la disciplina delle professioni è oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L'articolo approvato, inoltre, non indica quale dicastero abbia la competenza per stabilire le modalità di accesso ai corsi per trasformarsi in fisioterapisti. L'articolo è passato senza che molti parlamentari si rendessero conto della portata del provvedimento, tanto che a Montecitorio non sono stati presentati emendamenti sul punto. Anzi, l’unico emendamento presentato dall’onorevole Francesco Paolo Lucchese dell’Udc e ritirato per «motivi di opportunità», è stato trasformato in un ordine del giorno, anche quello ritirato. «Io sono favorevole all’articolo - spiega l’onorevole Lucchese - ma ritengo che sia necessario istituire un percorso particolare per accedere dal diploma di laurea in scienze motorie a quello in fisioterapia». Tanto che nell’ordine del giorno proposto chiedeva al Governo di «effettuare un attento monitoraggio per evitare criticità». Tiziana Valpiana e Titti De Simone di Rifondazione comunista che speravano in una riapertura dei termini per presentare un emendamento al provvedimento, hanno presentato un ordine del giorno che chiede al Governo di adottare le opportune iniziative per fare in modo che il corso su paziente, da istituire presso le università, abbia identica durata, piano di studi e curriculum della laurea in scienze motorie. Il provvedimento, secondo le due parlamentari, trascura gli ordinamenti universitari, umilia migliaia di professionisti, vanifica la legge sulle professioni sanitarie approvata la scorsa settimana, mette in pericolo la salute dei cittadini, affidandone la cura a personale non sanitario. «Il problema - dice l’onorevole Tiziana Valpiana - è che nella fretta di questi giorni nessuno ha colto la gravità dell’emendamento per la salute dei cittadini. Il danno è stato compiuto per favorire una categoria, ma la ricaduta porterà conseguenze incalcolabili sui cittadini e sui pazienti. La realtà è che chi ha fatto Scienze motorie non ha la preparazione sanitaria per fare il fisioterapista». Alla fine il Governo si è impegnato sull'ordine del giorno proposto da Giorgio Conti (An): prevede che nel decreto ministeriale siano rese obbligatorie almeno 1.500 ore di tirocinio e «il conseguimento delle competenze professionali, al fine di accedere all'esame di Stato abilitante alla professione di fisioterapista». Peccato che l'esame non esista. Inizio modulo _______________________________________________________ L’Unione Sarda 29 Gen. 05 SINDROME DI CRISPONI: RARA TERRIBILE E ESCLUSIVAMENTE SARDA Sembra una favola moderna, con un mostro terribile e alcuni eroi coraggiosi, in attesa del lieto fine. Racconta di una malattia, la Sindrome di Crisponi, che colpisce i bambini appena nati. Gli eroi che conducono una dura lotta per sconfiggerla sono i genitori delle piccole vittime e i genetisti del CNR di Cagliari. I primi devono fronteggiare ogni giorno mille difficoltà, per questo hanno costituito un'associazione - con sede a Oristano e portale internet sindromedicrisponi.it- dedicata all'informazione e alla raccolta di fondi da destinare alla ricerca. I secondi hanno effettuato prelievi in tutte le famiglie sarde colpite dalla malattia e prima della fine dell'anno contano di riuscire a isolare il gene responsabile. Già, perché questa malattia rara colpisce quasi esclusivamente in Sardegna. Ed ecco perché dieci fa toccò a un medico cagliaritano ora in pensione, Giangiorgio Crisponi, individuarla e segnalarla alla comunità mondiale, distinguendola dal tetano del neonato, per il quale era stata scambiata. E a scrivere il lieto ime sarà la figlia dello scopritore, Laura Crisponi, genetista del gruppo di Antonio Cao e allieva di un altro eroe: Giuseppe Pilia, uno dei più brillanti scienziati che la Sardegna abbia mai avuto, scomparso meno di un anno fa appena 43enne. Pilia, è bene ricordarlo, cinque anni fa ebbe il merito di individuare, primo al mondo, un gene importante per la cura della sterilità, aprendo di fatto la possibilità di sostenere diagnosi precoce e trattamento terapeutico. Le ricerche sul gene FOXL2, associato alla insufficienza ovarica precoce, finanziate da Telethon, partirono dallo studio di alcune famiglie affette da un'altra rara sindrome genetica denominata BPES (Sindrome Blefarofimosi-Ptosi ed Epicanto inverso) di tipo uno. Questo dimostra che studiare le malattie rare può portare molto più avanti. «Ora stiamo studiando alcune malattie ereditarie monogeniche, quelle causate dall'alterazione di un unico gene, tra le quali la sindrome scoperta da mio padre», spiega Laura Crisponi. Purtroppo tra l'individuazione delle cause genetiche e la realizzazione di una cura trascorre molto tempo. Ma soprattutto senza armi i nostri guerrieri non possono sconfiggere il mostro. Ed ecco che oggi il presidente dell'associazione, consegnerà a Laura Crisponi il primo frutto della mobilitazione per la raccolta di fondi a sostegno della ricerca sulle malattie rare: un primo assegno di seimila euro. L; associazione ha anche il merito di far circolare le informazioni su patologie che per la loro scarsa diffusione toccano poche persone. Nel caso della Sindrome di Crisponi, innanzitutto, questo consiste nel conoscere i sintomi: alla nascita crisi respiratorie, contrazione dei muscoli facciali. Entro i primi due mesi gli attacchi febbrili, fino a 42 C°, possono portare alla morte. Negli anni successivi alla febbre quasi quotidiana si accompagna abbondante sudorazione e cifoscoliosi. Dei 20 casi finora diagnosticati in tutto il mondo, la sindrome ha lasciato in vita solo 5 persone, tutte in Sardegna, la più grande ha 25 anni. «Il primo desiderio ò trovare cure per i nostri bambini -racconta Emanuela Serra - ma vorremmo anche sistemi in grado di aiutare a non perdere la scuola. E quando la ricerca sulla sindrome di Crisponi darà i suoi frutti ci dedicheremo alle altre malattie rare». ANDREA MAMELI _______________________________________________________ Panorama 2 Feb. 05 DALLA LIQUIRIZIA UN AIUTO ANTICARIE Una sostanza isolata dalla liquirizia potrebbe prevenire la carie. Lo suggeriscono ricercatori dell'Università della California, Los Angeles. In test in vitro, l'estratto della radice di liquirizia ha inibito lo sviluppo dello Streptococco mutans, causa delle carie. Se in futuro i risultati venissero confermati, il composto potrebbe essere inserito nei dentifrici. _______________________________________________________ Corriere della Sera 4 Feb. 05 UN ANTI-ASMA COME SCUDO Il medicinale eviterebbe il tumore al polmone. Parte allo Ieo con finanziamenti Usa: è farmacoprevenzione MILANO — Una Tac spirale l'anno e, se funziona, un farmaco anti-asma allergico come prevenzione. L'adenocarcinoma al polmone nei fumatori potrebbe essere ad una svolta storica. Tra un anno, o poco più, i risultati della sperimentazione sull'uomo che partirà tra un mese circa all'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano potrebbe avviare un nuovo modo di affrontare il tumore che allo stato attuale è il più diffuso (il 70% dei cancri al polmone è di questo tipo) e temuto: non dà sintomi ed è duro da combattere se si scopre quando ha superato i 3 centimetri. Duecento tra fumatori ed ex fumatori sani, un terzo donne, faranno da «cavie». Selezione rigidissima tra gli inclusi nel progetto di diagnosi precoce con Tac spirale per forti fumatori (studio Cosmos), avviato dallo Ieo nel 2004 su 5.200 «over 50», a rischio per età, per i vent'anni passati al ritmo di un pacchetto di sigarette al giorno e per la presenza di uno o più noduli periferici «sospetti». A 100 di loro sarà somministrato (due dosi al giorno) l'anti- infiammatorio spray che ha mostrato una certa efficacia in uno studio effettuato negli Stati Uniti sui nodulini periferici del polmone di fumatori. Nodulini anche di pochi millimetri («Rilevabili proprio dalla Tac spirale e dalla Pet», dice Massimo Bellomi, direttore della Radiologia) che non sono tumori (adenocarcinomi) ma che hanno molte probabilità di diventarlo. Il cortisonico spray, il budesonide, sembra in grado di farli regredire o sparire. Ad altri 100 volontari sarà somministrato un placebo (sostanza non efficace). E alla fine si farà il confronto. Precisa Giulia Veronesi, vicedirettore della Chirurgia toracica: «Dopo un anno sapremo se il cortisonico porta a una riduzione del volume dei noduli o alla scomparsa dei più piccoli. Se questo avverrà estenderemo la sperimentazione a un gruppo più ampio di volontari». E Bernardo Bonanni, condirettore della farmacoprevenzione: «Per la prima volta si punta alla prevenzione degli adenocarcinomi polmonari sfruttando un farmaco di uso comune e ben conosciuto, che si diffonde nei polmoni e non nell'organismo». Conclude Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo: «Si tratta di una ricerca unica al mondo di farmacoprevenzione contro un big killer che colpisce ogni anno 35 mila italiani e ne uccide 30 mila. Uno studio finanziato dal National cancer institute, emanazione del governo Usa, con 850 mila dollari. Prova che gli Stati Uniti sono convinti della bontà di questo lavoro». Mario Pappagallo _______________________________________________________ Il Giornale 4 feb. ’06 LE FIBRE OTTICHE MIGLIORANO L'ARTROSCOPIA *Una chirurgia il più possibile conservativa, che risparmi le strutture articolari importanti: è questo l'obiettivo della, tecnologia degli anni 2000 in campo ortopedico. «Per tradizione, la chirurgia ortopedica.è sempre stata considerata aggressiva e demolitiva», commenta il professor Ferdinando Priano, responsabile ortopedico del dipartimento piemontese del «Progess», presso la clinica «S.Gaudenzio» di Novara. «In effetti, fino ad una decina di anni fa, intervenire su una lesione grave a un'articolazione comportava inevitabilmente delle compromissioni piuttosto pesanti a carico dell'integrità e della funzionalità, della stessa. A maggior ragione se l'articolazione coinvolta era quella del ginocchio, particolarmente delicata e complessa. L'integrità e la perfezione dei legamenti, dei menischi, del tessuto sinoviale e della cartilagine è, infatti, indispensabile per la qualità della funzione di questa struttura articolare, destinata a, sopportare numerose sollecitazioni, sia in carico sia in torsione». Grazie alle significative innovazioni tecnologiche di questi ultimi anni, si stanno ottenendo risultati fino a ieri insperati: «Esistono - e sono ormai ben consolidate - diverse tecniche chirurgiche che consentono di ricreare i legamenti crociati e la cartilagine, di suturare o trapiantare i menischi, in maniera molto soddisfacente», sottolinea il professor Priano. «Tutto questo permette di garantire al paziente l'immediata funzionalità dell'articolazione, la possibilità di "caricarla" senza problemi, e quindi di riprendere immediatamente la vita normale, con le abituali attività lavorative, di relazione e, al più presto, anche di sport». La svolta fondamentale che ha consentito questo passaggio di qualità è stata data dall'artroscopia, una tecnica in uso in tutto il mondo ormai da circa 30 anni, che proprio grazie all'applicazione tecnologica ha avuto uno sviluppo eccezionale. Oggi sono in uso nuove tecniche che potrebbero, in futuro, far definire l’artroscopia tradizionale una metodica superata: «La tecnologia dei microchips, ovvero delle mini-ottiche e delle microtelecamere, ha fornito gli ortopedici di una nuova arma. Si tratta di un'apparecchiatura chiamata innervue ed è costituita da una fibra ottica che, collegata con un ago di dimensioni ridottissime, permette di arrivare alle zone interne dell'articolazione del ginocchio senza praticare tagli con il bisturi. A questo punto, attraverso una semplice introduzione di liquido sterile, l'articolazione viene dilatata». Il trattamento viene eseguito in regime ambulatoriale, con un uso di medicinali bassissimo (la dose di anestetico è più o meno la stessa di quella utilizzata per un intervento dentistico). Il paziente è in grado di uscire dall'ospedale camminando correttamente. «L'applicabilità di questo sistema è già oggi possibile nei nostri centri chirurgici», afferma il professor Priano. «Lo stiamo sperimentando ora, anche in patologie di altre articolazioni, più piccole e meno accessibili del ginocchio, come il polso, il gomito, la caviglia e le articolazioni della mano e del piede. Da qualche tempo abbiamo praticato con successo procedure simili a quelle del ginocchio nella chirurgia ricostruttiva della spalla. Ed è nostra intenzione iniziare nel 2006 un programma educativo di insegnamento di questa tecnica agli ortopedici e ai reumatologi italiani e stranieri». In particolare, lo stesso Priano organizzerà, il giorno 11 maggio a Genova, la Prima conferenza internazionale sul Risparmio articolare. Felicita Donalisio ______________________________________________________________ Repubblica 2 feb. ’06 UN VIRUS HIV CURERÀ LE ANEMIE EREDITARIE Nuova tecnica di ingegneria genetica messa a punto da ricercatori di Palermo e New York di Tina Simoniello Il virus Hiv-1, un parente innocuo del virus dell'Aids, sostituisce nelle staminali midollari il gene mutato dell'emoglobina (hb) con una versione sana, e potrebbe consentire a chi soffre di anemia falciforme di fabbricare da sé la proteina giusta evitando le gravi crisi d'organo. Non solo: la stessa tecnica - illustrata qui sotto, pubblicata di recente su "Nature Biotecnology on line" - potrebbe curare la talassemia, l'emoglobinopatia più diffusa che costringe a trasfusioni frequentissime e cure impegnative per tutta la vita 6 mila persone in Italia. Questa tecnica di terapia genica, la cui sperimentazione sull'uomo partirà in estate, è stata messa a punto da ricercatori del Memorial Sloan- Kettering di New York, coordinati da Michel Sadelain, che si sono avvalsi anche della collaborazione di medici siciliani. Abbiamo sentito uno di loro, Aurelio Maggio, responsabile dell'Ematologia II-Talassemia dell'ospedale palermitano Cervello, dove proprio destinato alle emoglobinopatie sarà costruito un padiglione, in parte finanziato da Enel-cuore onlus. Professor Maggio ci spieghi la nuova tecnica. "Abbiamo inserito nell'Hiv-1, il gene per l'emoglobina fetale, una proteina buona, molto stabile, al contrario di quella dell'anemia falciforme, la hb di tipo S, che tende a precipitare, ad ammassarsi nei globuli rossi. Nella Rna del vettore virale è stata inserita pure una sequenza di Dna che inibisce il gene beta, quello che nella falciforme è mutato e che produce l'emoglobina difettosa. Quindi abbiamo prelevato le cellule staminali del midollo osseo dei pazienti, le abbiamo messe in coltura qui a Palermo e le abbiamo infettate con il virus, cioè abbiamo fatto in modo che Hiv-1 trasferisse sui loro cromosomi i geni buoni". Tutto ciò in laboratorio. Quale protocollo utilizzerete sui pazienti? "Probabilmente questo: tratteremo in laboratorio con il lentivirus Hiv-1, carico delle nuove sequenze, le staminali prelevate dai pazienti. Una volta capaci di costruire da sé una hb stabile, e di inibire la sintesi di quella anomala, queste cellule verranno reinoculate nel midollo per diventare globuli rossi sani. Prima del reinoculo è previsto qualche ciclo di chemioterapia per liberare il midollo delle cellule difettose". La talassemia costringe a 2 trasfusioni al mese, e all'assunzione di agenti chelanti. Potranno i pazienti avvalersi della nuova tecnica? "I talassemici hanno una mutazione a carico del gene beta della emoglobina che rende la proteina incapace di trasportare ossigeno. Per questo necessitano di trasfusioni, e dei farmaci che impediscano l'accumulo di ferro che da quelle deriva. Con la stessa tecnica utilizzata per la falciforme, inseriamo nel lentivirus Hiv-1 il gene beta corretto, e lo trasferiamo nelle staminali prelevate dai pazienti. Il lavoro sulla talassemia sarà pubblicato a breve". La terapia genica sarà una cura definitiva? Questa metodica dovrebbe portare alla guarigione sia della falciforme che dalla talassemia. Verificheremo con la sperimentazione sull'uomo". L'uso di un vettore derivato dal virus dell'Aids comporta rischi? "Il lentivirus Hiv-1 è un virus a Rna come un altro, solo che è derivato dell'Hiv, di cui però non possiede alcuna patogenicità. Viene utilizzato regolarmente come vettore, addirittura sui malati di Aids, per trasferire nelle staminali della linea linfocitaria i geni per la produzione di anticorpi". ______________________________________________________________ Repubblica 2 feb. ’06 PROSTATA, LO SCREENING NON RIDUCE LA MORTALITÀ Test del Psa utile solo per anticipare la diagnosi di tumore ma ininfluente sulla sopravvivenza di Aldo Franco De Rose * Ancora una conferma. Lo screening di massa non riduce la mortalità per tumore della prostata. Gli autori di uno studio pubblicato su Archives of Internal Medicine affermano, infatti, che gli screening per il tumore della prostata possono anticipare ed eventualmente aumentare le diagnosi di cancro ma non influenzare la sopravvvivenza, nemmeno se si tratta di soggetti giovani. John Concat, dell'università di Yale (USA), e coordinatore dello studio, ha esaminato 72000 soggetti. Tra questi ha selezionato 501 uomini con cancro prostatico diagnosticato tra il 1991 e il 1995 e morti entro il 1999 e 501 uomini con cancro prostatico ma viventi. I dati relativi ai due gruppi sono stati paragonati per capire se entrambi erano stati screenati. Il risultato è stato molto esplicativo: il 14 per cento dei morti e il 13 dei viventi erano stati "screenati" per il cancro con il PSA. Se lo screening prevenisse la mortalità, hanno giustamente osservato gli autori, la percentuale degli uomini morti sarebbe dovuta essere più bassa rispetto a quelli dei viventi, invece è risultata sovrapponibile. Inoltre, lo screening non si è dimostrato efficace nel ridurre la mortalità nemmeno nei soggetti più giovani e se associato alla Esplorazione Rettale (DRE). No dunque al test a tappeto del Psa (antigene prostatico specifico) su tutti gli uomini che hanno superato i 50 anni, ma che non manifestano sintomi particolari. Il test aumenta sì le diagnosi, anche precoci di malattia, ma questo non è sufficiente a far diminuire la mortalità una volta che i pazienti vengano trattati, in quanto non sappiamo quanti di quei tumori sarebbero rimasti silenti per tutta la vita. Dello stesso avviso, non molto tempo addietro, era stato un documento del Consiglio nazionale delle ricerche, messo a punto da un gruppo di esperti italiani, coordinati dall'oncologo genovese Francesco Boccardo, Presidente eletto dell'AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). "Purtroppo", spiega il professor Francesco Boccardo, "ancora oggi non esiste dimostrazione da parte di studi clinici controllati, che lo screening sistematico della popolazione maschile con il PSA possa essere "efficace", cioè possa ridurre la mortalità, così come è stato invece dimostrato per lo screening del cancro della mammella e della cervice uterina e, in alcuni gruppi a rischio di individui, per il cancro del grosso intestino". Per questo motivo, conclude il professor Boccardo, "la maggior parte delle società scientifiche ha ritenuto di non potere ancora consigliare lo screening di popolazione per il carcinoma prostatico e raccomanda invece che i soggetti che chiedono spontaneamente di sottoporsi al test siano adeguatamente informati sui potenziali benefici ma anche sui potenziali rischi dei trattamenti". * Specialista Urologo e Andrologo, Ospedale San Martino, Genova ______________________________________________________________ Le Scienze 30 Gen. ’06 GLI ANTI-INFIAMMATORI PROTEGGONO DAL CANCRO DEL SENO? Lo studio è stato condotto su 972 soggetti L’uso regolare di alcuni anti-infiammatori, gli inibitori della ciclossigenasi-2 (COX-2), ridurrebbe significativamente il rischio di cancro al seno. Da uno studio pubblicato oggi online sulla rivista BMC Cancer, risulta che l'assunzione quotidiana di inibitori della COX-2 – ivi inclusi i farmaci che tempo addiettro erano stati travolti dalle polemiche per i loro i loro possibili gravi effetti colleaterali a livello cardiovascolare, il celecoxib e il rofecoxib – è associato a una diminuzione media del 71 per cento del rischio di questo tipo di tumore. In particolare, una dose giornaliera di 200 mg di celecoxib ridurrebbe il rischio dell’83 per cento, una dose giornaliera di 25 mg di rofecoxib lo ridurrebbe invece del 64%. L’uso regolare di inibitori non selettivi della COX-2 – come l’acido acetilsalicilico (325 mg), l’ibuprofen (200 mg) o il naprossene sodico (250 mg) – sortirebbe anch’esso una diminuzione del rischio, ma meno marcata rispetto agli inibitori selettivi della COX-2. Non sarebbe stato invece evidenziato alcun effetto protettivo da parte del paracetamolo. Alcuni ricercatori, come Raymond DuBois della Vanderbilt University, sottolineano però che è presto per trarre conclusioni definitive, dato che lo studio – che ha confrontato i dati relativi a 323 pazienti affette da tumore con quelli di 649 soggetti di controllo – avrebbe una base statistica ancora insufficiente. ______________________________________________________________ Le Scienze 30 Gen. ’06 L'OBESITÀ PUÒ ESSERE CONTAGIOSA? È tuttavia ancora presto per pensare allo sviluppo di un vaccino Ci sono molti consigli che si possono dare a chi voglia evitare di diventare obeso: “Non mangiare molto”, “Evita la vita sedentaria”... Forse bisognerà però aggiungerne uno decisamente inaspettato: “Lavati le mani”. Secondo quanto riferisce uno studio apparso sull’ultimo numero dell’American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, pubblicato dalla American Physiological Society, si stanno accumulando sempre più prove a sostegno dell'ipotesi secondo cui alcuni virus sarebbero in grado di indurre l’organismo a sviluppare l’obesità. I ricercatori dell’ Università del Wisconsin a Madison hanno infatti dapprima dimostrato che l’adenovirus umano Ad-37 provoca l’obesità nei polli, e che lo stesso fanno Ad-36 e Ad-5 in altri animali, mentre Ad-2 Ad-31 non hanno mostrato alcun effetto sulla tendenza dell’organismo ad accumulare grassi. Passando quindi agli studi sull’uomo, sono riusciti a stabilire che Ad-36 è associato all’obesità umana, mentre per Ad-37 le prove non sarebbero ancora conclusive. Se gli adenovirus si rivelassero responsabili, o quanto meno corresponsabili, di un numero elevato di casi di obesità umana, si potrebbe pensare allo sviluppo di un vaccino, anche se – osservano i ricercatori – per l’individuazione di tutti i sierotipi coinvolti potrebbe essere necessario ancora molto lavoro, dato che si conoscono oltre 50 tipi di adenovirus umani. I primi studi in questa direzione nacquero in seguito all'osservazione che l'andamento della diffusione della "epidemia" di obesità in alcuni paesi mostrava alcune caratteristiche simili a quelle delle malattie infettive. I meccanismi attraverso cui questi virus stimolerebbero gli adipociti a un abnorme accumulo di grassi sono peraltro ancora del tutto ignoti.