LIBERTÀ DI RICERCA A RISCHIO» SCIENZIATI CONTRO IL GOVERNO - PER LA RICERCA NON C’È FUTURO - CIVR: COSÌ LA RICERCA METTE IN FILA L’UNIVERSITÀ - LAUREE, L'ALIBI SUL VALORE LEGALE - COLLABORAZIONE CON GLI ATENEI: OBIETTIVO FALLITO - LE UNIVERSITÀ PUNTANO SULLE SPECIALIZZAZIONI - PARTITA DIFFICILE SULLA RIQUALIFICAZIONE - SCUOLA, RECORD DEGLI ABBANDONI L´ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA - PRIMO: ABOLIRE LA RIFORMA MORATTI - PULA: QUEI "CERVELLI" CHE RITORNANO A CASA - ALUNNI A LEZIONE PER I TEST UNIVERSITARI - OSPITERÀ UN CORSO DI ODONTOIATRIA NELL’EX CRIES - A POLARIS DECOLLA BIOMEDICINA B12 START UP, 21 SCIENZIATI SARDI - CAGLIARI: PARTE INGEGNERIA DELLE TELECOMUNICAZIONI - MISTERIOSA BORSA DEL LAVORO NEGLI ATENEI NESSUNO SA COS'È - QUEL SITO INTERNET È ARCHEOLOGICO LE ISTITUZIONI BOCCIATE SUL WEB - TAGLI AI CORSI DI LAUREA DECENTRATI - RETTORE, VIA LIBERA PER IL MISTRETTA -VI MAGGIORANZA BULGARA PER MISTRETTA - MISTRETTA VERSO IL SESTO MANDATO - OTTO MILIONI PER L'ISOLA DIGITALE: ACCENTURE SI AGGIUDICA L'APPALTO - VIETATO SPIARE LA NAVIGAZIONE INTERNET DEL DIPENDENTE - ADDIO SCRITTURA, UCCISA DA UN MOUSE - STRANIERI: LAUREE E DIPLOMI SOLO SULLA CARTA - UNO SU CINQUE CE L'HA FATTA - ======================================================= LA SANITÀ REGIONALE, PER I MEDICI SARDI SISTEMA DA RIVEDERE - E L’ASSESSORE DIRINDIN DÀ LA RICETTA AI FARMACISTI - BRACCIA INCROCIATE AL POLICLINICO - POLICLINICO, RIESPLODE LA GUERRA - PROGETTO SANITÀ DIGITALE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA - MELONI: SELIS NON SCARICHI SU DI ME LA SUA INESPERIENZA - AVETE IL CELLULARE SPENTO? C’È CHI VI ASCOLTA LO STESSO - LE ARMI INTELLIGENTI DANNO LA CACCIA AI TUMORI - IL COMPUTER A RUOTE DEGLI ANTICHI GRECI - ANTIOSSIDANTI E TUMORI DELLA PROSTATA - RAGGIO VERDE SULLA PROSTATA - TUMORI POCHE (E COSTOSE) LE CURE A DOMICILIO - 10% DEI FARMACI È CONTRAFFATTO - ======================================================= __________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb. ’06 LIBERTÀ DI RICERCA A RISCHIO» SCIENZIATI CONTRO IL GOVERNO «Il processo a Galileo non è finito»: ne sono convinti i tanti scienziati che si sono riuniti ieri a Roma, nel congresso mondiale sulla libertà della ricerca scientifica organizzato dall'Associazione Luca Coscioni e promosso da un comitato del quale fanno parte alcuni dei ricercatori maggiori esperti italiani di cellule staminali, come Elena Cattaneo, Piergiorgio Strata e Giulio Cossu. «Ci sentiamo veramente minacciati nella nostra libertà», ha detto Piergiorgio Strata, neurofisiologo dell'università di Torino e direttore del Centro Rita Levi Montalcini per le cure del cervello. «Manca trasparenza nei finanziamenti», ha sottolineato Elena Cattaneo, direttrice del laboratorio sulle cellule staminali dell'università di Milano. Il segretario dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, ha proposto di girare ai politici italiani le numerose richieste di sollecitazioni a proseguire la ricerca sulle cellule staminali embrionali che giungono ogni giorno ai laboratori. Questo, ha aggiunto, potrebbe essere anche un aiuto a «capire che i fondi per la ricerca europea sulle cellule staminali non vanno bloccati». __________________________________________________ La Stampa 18 feb. ’06 PER LA RICERCA NON C’È FUTURO DA domani al 18 febbraio si terrà a Roma il Congresso Mondiale per la libertà di ricerca. L'evento è organizzato dall'Associazione Luca Coscioni, coadiuvata da un comitato di importanti studiosi italiani. Interverranno ricercatori, filosofi, sociologi e politici di levatura internazionale, i quali si confronteranno sia su temi generali, come i rapporti tra ricerca e società o l'etica nella ricerca scientifica, sia su problemi specifici, come lo studio delle cellule staminali o la produzione di organismi geneticamente modificati. A prima vista il grande pubblico potrebbe pensare che, almeno in Occidente, la libertà di ricerca sia un diritto fondamentale e che questo tipo di dibattito non rifletta un vero problema. In realtà, il fatto che si sia sentita la necessità di organizzare un congresso su questi temi e, soprattutto, che tanti illustri ricercatori europei e americani abbiano accettato di partecipare è sintomo di una crescente preoccupazione all'interno della comunità scientifica internazionale. In effetti negli ultimi anni si sono verificati casi sempre più numerosi di «interferenza» della politica e dell'ideologia sulla conduzione della ricerca. Naturalmente, è del tutto legittimo che la società civile, in quanto principale committente e fruitore, voglia esercitare qualche forma di influenza sui temi di studio, sulle priorità, sulle procedure e sui prodotti finali. Ed è anche vero che non sempre i ricercatori riescono a comunicare in maniera adeguata con la società, creando eccessive speranze (con terapie ipoteticamente miracolose) o timori esagerati (conme gli Ogm o il nucleare). Tuttavia, sono ben evidenti diversi casi di intrusione della società civile nella ricerca, condotti con mezzi e obiettivi che colpiscono i cardini stessi del pensiero scientifico che sta alla base della nostra civiltà. Un esempio semplice ma chiarificatore è il tentativo di equiparare il creazionismo all'evoluzione darwiniana, disconoscendo l'autorevolezza di una teoria costruita attraverso metodi e procedure condivisi dalla comunità degli scienziati. Lo stesso accade quando si cerca di dare una veste scientifica ad argomenti non scientificamente provati o, addirittura, riferibili alla pura coscienza personale, come quando si vuole dimostrare l’«umanità» di un embrione o la migliore efficacia terapeutica di un tipo di cellula staminale rispetto a un altro. Sebbene si tratti ancora di casi limitati, è particolarmente preoccupante che i governi, a volte sotto l'influenza di potenti gruppi di pressione di varia estrazione politico-religiosa, agiscano in maniera contraria all'opinione della stragrande maggioranza della comunità scientifica. Le conseguenze di un tale comportamento possono essere disastrose: è come se il governo decidesse di entrare in una guerra mondiale nonostante il parere contrario dei vertici militari. E’ quindi essenziale tenere vivo il dibattito sulle ragioni della ricerca e sulla necessità di garantire la libertà di scelta dei ricercatori, pur riconoscendo la necessità di un confronto etico e politico. L'iniziativa dell'Associazione Luca Coscioni, su temi come la libertà della carriera scientifica, le pressioni delle lobby industriali, la privatizzazione della ricerca, il ruolo dei comitati etici, la controversia sulla pillola abortiva, è particolarmente attuale e merita attenzione. Senza il giusto sostegno sociale la scienza, che è lo strumento per costruire il progresso, non ha ragione di essere. [TSCOPY]Università di Torino[/TSCOPY] Ferdinando Rossi __________________________________________________ Corriere della Sera 13 feb. ’06 CIVR: COSÌ LA RICERCA METTE IN FILA L’UNIVERSITÀ Indagine Il rapporto del Civr, comitato del ministero, sull’attività di atenei e istituti pubblici e privati. Disciplina per disciplina chi primeggia e chi è rimasto indietro La prima classifica che valuta e giudica l’attività scientifica svolta nelle facoltà italiane. Per scegliere a ragion veduta Finalmente una classifica. Un punto di riferimento, un sistema di valutazione che ci dice, in modo ufficiale e affidabile, quali sono le Università italiane che svolgono ricerca scientifica d’alto livello. E che quindi hanno buone probabilità di essere atenei da desiderare per la laurea di figli e nipoti. Non è ancora un vademecum per indicare la qualità complessiva delle università, ma misurare l’approfondimento scientifico non è un elemento da poco per indirizzare le scelte di chi deve intraprendere una carriera di studio. A lungo in Italia, soprattutto dopo la riforma che ha consegnato più autonomia ai singoli atenei, si è atteso un meccanismo di valutazione ufficiale (vale a dire di fonte ministeriale) sulla validità del nostro sistema universitario. Adesso il Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, www.civr.it), ci consegna per la prima volta un rapporto (che ha permesso di valutare ben 17.329 prodotti di ricerca relativi al triennio 2001-03 proposti da 102 strutture: 77 atenei, 12 enti pubblici di ricerca, tutti quelli controllati dal Miur più l'Enea, 13 istituzioni private, che hanno partecipato a titolo oneroso, per i quali lavorano complessivamente 64.028 ricercatori. E così possiamo vedere quali atenei investono di più in ricerca e quelli che sfornano i prodotti ritenuti eccellenti. Il risultato finale è abbastanza soddisfacente considerato che il 30% dei prodotti valutati è stato giudicato «eccellente», la fascia più ampia, pari al 46%, si è posizionata sul «buono», infine un 19% di prodotti considerati «accettabili» e soltanto il 5% di «limitati». Inoltre analizzando i dati complessivi, si rileva che, in termini di brevetti depositati nel triennio 2001-2003, le Università superano del doppio gli enti di ricerca. E così abbiamo conferme di eccellenza come quelle della Scuola superiore S. Anna di Pisa (nelle Scienze giuridiche) e della Libera università S. Raffaele di Milano (in Scienze biologiche), realtà capaci di prodotti di altissima qualità anche se in quantità troppo limitate. E poi ci sono sorprese come il primato dell’università di Chieti e Pescara nelle Scienze mediche e quello di Urbino (nelle Scienze chimiche). Il rapporto del Civr è stato condotto con il metodo internazionalmente condiviso del peer review (giudizio tra pari), in considerazione della qualità, rilevanza e originalità/innovazione dei prodotti presentati, nonché del loro potenziale competitivo internazionale. Il periodo preso in considerazione è quello che va dal 2001 al 2003 e i prodotti analizzati sono libri, articoli su riviste, brevetti, progetti, mostre ed esposizioni, manufatti e opere d’arte. I voti sono assegnati secondo una scala di valori condivisa dalla comunità scientifica internazionale e vanno da 0, il minimo a 1, il massimo. Ma chi sono gli esperti a cui è stato affidato un compito tanto delicato? La provenienza è abbastanza eterogenea: 79 (52%) dall'università; 37 (25%) da istituzioni estere; 19 (12%) da enti di ricerca italiani; 16 (11%) da imprese italiane, estere, multinazionali. Dei 6.661 esperti, 3.930 (59%) appartengono a università italiane; 1.465 (22%) a istituzioni estere; 1.132 (17%) ad enti di ricerca italiani; 134 (2%) ad imprese italiane, estere, multinazionali. Non è un caso che il Civr (nel suo documento ufficiale sulle linee guida per la valutazione della ricerca) tenga a precisare che il rapporto «non deve essere percepito come un meccanismo burocratico o censorio, ma come preziosa opportunità per mettere a fuoco aspetti nevralgici della perfomance delle strutture di ricerca». Dunque avremo la possibilità di valutare in maniera immediata (come immediata sa essere una classifica) in che modo le università italiane valorizzano elementi cardine della ricerca: la qualità della produzione scientifica, l’originalità e l’innovazione, l’internazionalizzazione e la capacità di gestire le risorse (umane, tecnologiche e finanziarie). Adesso non resta che attendere un’analoga classifica tra atenei basata sulla qualità e il prestigio internazionale dei singoli corsi di laurea offerti dalle università. Un compito sicuramente più delicato, ma di certo non meno importante. La nostra elaborazione tiene conto dei voti assegnati alle università in tutte le aree disciplinari ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 11eb. ’06 LAUREE, L'ALIBI SUL VALORE LEGALE L'attenzione va riportata sui contenuti La crescita abnorme degli ordinari rispetto agli associati e ai ricercatori é oggi uno dei fattori di confusione L’università italiana non gode di buona salute. I due poderosi shock negativi cui è stata sottoposta dalle riforme della fine degli anni 90 -l’introduzione dei concorsi locali e gli ordinamenti didattici 3+2 - hanno contributo molto all'attuale stato di malessere. Dal '94 al 2004, dopo 5 anni di concorsi locali con tre o due idoneità attribuite in ciascun concorso, il numero di professori ordinari è cresciuto del 41 %, contro un aumento dei professori associati dello 0,4% e dei ricercatori del 12 per cento. II rapporto studenti immatricolati/ docenti non ne ha beneficiato ed è rimasto sostanzialmente stazionario. I rapporti professori associati i professori ordinari e ricercatori ordinari, pari entrambi a 1,5 nel 1999, sono invece scesi nel 2004, rispettivamente, a 1 e a 1,1. Insomma, la struttura della nostra docenza universitaria è stata profondamente trasformata con una grande ope legis che ha beneficato una generazione. La casualità dì questo incremento avrà conseguenze pesanti sulle selezioni future e sulla crescita futura. Dall'altro lato, i nuovi ordinamenti didattici hanno condotto quasi ovunque a una inutile proliferazione di corsi di studio e, cosa ben più grave, a un'enorme frammentazione degli insegnamenti. 11 carattere formativo e metodologico dei corsi di studio si è largamente perso nelle lauree triennali e difficilmente sarà recuperato nelle biennali. In un quadro complesso e drasticamente peggiorato da queste due riforme non si è intravista negli anni recenti alcuna nuova politica universitaria. Né si è sviluppato un vero confronto sui mali dell'università italiana: la radicale diversità di valutazioni, talora fondate su eccessive semplificazioni, e le furbizie della politica, dentro e fuori l'università, non hanno favorito né interventi tempestivi e rilevanti di policy né un costruttivo dibattito. Come imprimere un'inversione di rotta? Uno shock positivo su cui, pur con alcuni distingua, c'è un'ampia convergenza di opinioni, è la messa in cantiere di un progetto di revisione del valore legale dei titoli di studio. Non mi sembra che siano finora emersi impegni delle parti politiche, ma l'attuazione di un progetto in questa direzione darebbe una benefica scossa al nostro sistema: una scossa peraltro ormai necessaria. Sotto questo aspetto, è bene aver chiara la sostanziale incompatibilità tra autonomia didattica degli atenei e valore legale dei titoli. In punto di principio. la prima dovrebbe escludere il secondo. e viceversa. La coerenza e l'efficienza richiedono che la scelta dell'autonomia si accompagni a una revisione del valore legale dei titoli. Di fatto, invece, la drastica attenuazione di forme di controllo degli ordinamenti didattici, conseguente alla riforma 3+2, ha creato e crea, in presenza di valore legale dei titoli di studio, il contesto mena efficace per stimolare la serietà delle scelte e l'efficienza degli atenei. La revisione del valore legale accrescerebbe fortemente il senso di responsabilità in docenti e studenti: i primi non offrirebbero una carta spendibile, su alcuni tavoli, indipendentemente dai contenuti; i secondi perderebbero il principale incentivo a non prendere seriamente l'università. Da queste considerazioni, tuttavia. non si dovrebbe giungere a ritenere l'abolizione del valore legale decisiva nel garantire la concorrenza tra atenei. Una tale impostazione semplificherebbe troppa i problemi. Il controllo sulla quali tà degli atenei non può essere esercitato solo dal mercato, ossia dalle iscrizioni degli studenti. Gli studenti hanno informazioni e risorse sufficienti per andare verso le università migliori? Sono in grado di abbandonare le università peggiori e costringerle alla chiusura? Tralasciando il problema, ancora più rilevante. delle risorse, dubito che essi abbiano informazioni e capacità di valutazione tali da votare (bene) "con i piedi". Direi che ci sono diffusi rischi che questo voto possa avere anche una valenza non motoria. Anche se non decisiva, l'abolizione del valore legale darebbe comunque un contributo importante per l'efficienza e per una maggiore sana concorrenza tra atenei: sana concorrenza di cui c'è grande bisogno. Per convincersene, basta guardare le diffuse, attuali forme di concorrenza tra gli atenei. Troppo spesso si tratta di una concorrenza di pura immagine: pubblicità, con messaggi più o mena pittoreschi e improbabili, lauree honoris causa indirizzate, egualmente, alla pubblicità per l'ateneo, inaugurazioni e altri eventi con le stesse caratteristiche. Non so se tutto questo sia eliminabile in una società in cui l'immagine conta molto, ma l'abolizione del valore legale consentirebbe di ricondurlo a più opportune dimensioni e di focalizzare meglio l'attenzione sui contenuti. DI PAOLA POTESTfO ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. ’06 COLLABORAZIONE CON GLI ATENEI: OBIETTIVO FALLITO La necessità di modelli formativi specifici sono state identificate dal legislatore, fin dall'origine, come elementi caratterizzanti del percorso intrapreso per disciplinare le attività di informazione e comunicazione delle amministrazioni pubbliche. Conformemente all'articolo 5 della 150/2000, si è profilato così un quadro metodologico chiaro e ben strutturato che - formalizzato nel Dpr 422/2001, oggetto di una prima proroga già alla fine del 2003 - ha individuato i titoli professionali da impiegare presso le Pa in questo tipo di funzioni, disciplinando inoltre la posizione e l'offerta dei soggetti, pubblici e privati, legittimati a erogare interventi formativi. In questa cornice, peculiare è lo scenario relativo al sistema universitario. Alla luce delle sostanziali difficoltà nella corretta implementazione della legge 150, si deve rilevare come gli Atenei statali, pur esplicitamente previsti dal regolamento, abbiano potuto partecipare solo residualmente alla diffusione di le sinergie distribuire a marcare lo spazio esistente tra Pa e sfera universitaria. Nonostante un'offerta formativa che nell'anno accademico 2003/2004 ha presentato a livello nazionale quasi 150 tra corsi di laurea e laurea specialistica – più i master universitari di primo e secondo livello - solo il 10% circa delle Pa attivatesi nella formazione si è rivolto alle università per l'organizzazione delle proprie attività. Una condizione questa, in linea con la quale può non stupire che, nelle Pa, tra gli addetti alle attività di comunicazione e informazione solo l'1,5% è in possesso di laurea o specializzazione in Scienze della comunicazione/relazioni pubbliche. Lo slancio dimostrato dall'amministrazione pubblica verso solidi processi d'innovazione e riforma, necessita fisiologicamente di competenze nuove e specifiche: i momenti che hanno portato a una così evidente distanza tra Pa e università, costituiscono una vistosa anomalia nei confronti del lineare e corretto sviluppo di processi senza dubbio a forte complessità. Oggi diventa quindi necessario un rinnovato impegno per promuovere e alimentare un rapporto di tipo dialogico e continuo tra Pa e Atenei, per strutturare e attivare un circuito virtuoso che renda il vasto potenziale universitario in grado di individuare razionalmente i fabbisogni nelle maglie dell'amministrazione pubblica, e costruire in base a essi modelli di formazione mirata. Questi i presupposti di un approccio dinamico e positivo che, oltre ai benefici più immediati e diretti, potrà infine distendere i suoi riflessi migliori anche valorizzando le giovani risorse formatesi nelle università ai sensi della legge 150. Risorse valide che meriterebbero anche il confronto con un percorso di accesso alla professione un po' più sano e trasparente. STEFANO PATRIARCA ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 feb. ’06 LE UNIVERSITÀ PUNTANO SULLE SPECIALIZZAZIONI I corsi / I titoli quinquennali Comunicare meglio. È questa l'esigenza delle istituzioni pubbliche, in cerca di figure professionali sempre più specializzate. Per diventare comunicatore pubblico in enti di piccole e grandi dimensioni, dai Comuni alle Regioni, dalle Province alle Asl, esistono oggi dei percorsi formativi specifici. Orientarsi tra le offerte didattiche degli Atenei italiani non è semplice. La laurea triennale in Scienze della comunicazione è il canale più immediato. Per lavorare come operatori negli uffici per le relazioni con il pubblico delle amministrazioni locali e centrali, peraltro, la laurea di primo livello può non essere sufficiente. In molti casi bisogna, ad esempio, iscriversi alle lauree specialistiche: a Perugia c'è la laurea in Comunicazione istituzionale e relazioni pubbliche; all'università La Sapienza di Roma o alla Cattolica di Milano esiste un corso specialistico in Comunicazione pubblica e organizzativa. Si tratta di specializzazioni che coniugano i metodi di gestione aziendale e di amministrazione pubblica e privata con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Per impieghi negli Urp (Uffici relazioni con il pubblico) dei Comuni o all'interno di uffici stampa di enti pubblici sono consigliati anche i corsi in Scienze della formazione con le lauree specialistiche in Comunicazione pubblica e comunicazione internazionale, presso la Bicocca di Milano, l'università Suor Orsola di Napoli, gli atenei di Perugia, Taranto, Trieste e Palermo. Ma sono da considerare anche le facoltà di Scienze Politiche con le nuove lauree specialistiche: bienni in Scienze della comunicazione e delle relazioni istituzionali, presso l'università Luiss di Roma, oppure Comunicazione e società alla Statale di Milano. Interessante è anche la facoltà di Sociologia con le specializzazioni in Comunicazione pubblica, sociale e politica presso l'ateneo Federico II di Napoli e Scienze sociali per le politiche, le risorse umane, l'organizzazione e la valutazione, presso l'università La Sapienza a Roma. Ancora oggi la scelta più naturale, per chi si orienta verso il giornalismo e la comunicazione è la laurea triennale in Lettere e filosofia. Al comunicatore pubblico in enti pubblici e privati è anche richiesta la conoscenza di almeno una lingua dell'Unione europea e dei principali strumenti informatici. Anche per il ruolo di addetto stampa può non essere sufficiente una laurea triennale. Il biennio specialistico in Progettazione e gestione degli eventi, presso l'università di Ferrara, per esempio, garantisce interessanti sbocchi. Sono da considerare poi le lauree specialistiche in Comunicazione nell'impresa e nelle organizzazioni istituzionali a Modena, in Comunicazione d'impresa e pubblica a Fisciano, in provincia di Salerno e all'università Lumsa di Roma. Si può, infine, puntare su un percorso -formativo tradizionale: una laurea triennale in Giurisprudenza con specializzazione in Politica delle relazioni internazionali oppure Organizzazioni complesse e comunicazione pubblica, presso l'università Lumsa di Roma. CRISTINA FEI I PERCORSI ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. ’06 PARTITA DIFFICILE SULLA RIQUALIFICAZIONE Iniziative carenti per gli interni, troppe quelle per chi vuole entrare Affinché le amministrazioni pubbliche assicurino risultati soddisfacenti nell'attività di comunicazione e informazione la formazione del personale è un elemento cruciale. Per il settore vale una regola generale: ogni impegnativa trasformazione nello svolgimento di una funzione da parte delle organizzazioni impone mirati processi di riqualificazione del personale, da ottenere attraverso la formazione professionale:. La legge 150/2000 dava particolare rilievo al problema, sia ponendo la formazione specifica degli addetti tra i principi generali, sia indicando l'esigenza che se ne facessero carico le maggiori istituzioni di formazione per i pubblici dipendenti, sia infine prevedendo il coinvolgimento delle università. II regolamento di attuazione ha stabilito i criteri della formazione e della qualificazione professionale mediante un percorso che può essere riassunto in tre passaggi: apertura al "mercato", costruzione di modelli di riferimento, certificazione delle attività di formazione. Alla massima estensione delle possibili[à concorrenziali si accomunava l'obbligo di adozione di modelli formativi uniformi. Ancora oggi il quadro applicativo presenta ombre consistenti, tanto nell'offerta per gli "interni" (destinata agli addetti, sia erogata dalla scuole di formazione pubbliche sia effettuata dalle università e da altri soggetti privati), quanto nell'offerta orientata a preparare aspiranti comunicatori per gli uffici pubblici. Se ne trova conferma nel rapporto redatto su commissione del dipartimento della Funzione pubblica (si veda anche a pagina 7 del dossier). Dalle risposte delle amministrazioni al questionario emerge uno scarto particolarmente vistoso tra importanza attribuita alle risorse umane impiegate nel settore e sviluppo della formazione. Per il 61,9% delle amministrazioni la possibilità di favorire il radicamento della funzione di comunicazione è legata all'incremento delle risorse umane e finanziarie. Il 58,1% lo indica nella «cultura più orientata alla trasparenza e alla condivisione» l'elemento chiave per migliorare le attività di comunicazione. Di riflesso, il reperimento di risorse umane adeguate è giudicato il principale ostacolo da un'amministrazione su cinque. I tre fattori Quasi assenti negli uffici i laureati con titoli specifici indicano univocamente che per il miglioramento delle performance delle strutture di comunicazione e informazione occorre un sufficiente numero di persone adeguatamente preparate. Un aumento dei livelli di competenza professionale è ritenuto, dunque, un fattore indispensabile. Ciò nonostante, l'azione in tal senso è stata inadeguata. Benché il regolamento fissasse l'obbligo della formazione per il personale addetto entro un termine dato (prorogato fino al 31 dicembre 2004), soltanto metà delle amministrazioni ha attivato i corsi previsti dalla legge 150. Una percentuale analoga (51%) ha inviato propri dipendenti ad altri corsi o seminari in materia di comunicazione. Le criticità emergenti da dati quantitativi sono tanto più rilevanti se si tiene conto del fatto che l'esigenza di una formazione adeguata era stata posta "a monte", collegandola, ai meccanismi di accesso ed era stata ribadita dalla direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle Pubbliche amministrazioni emanata il 13 dicembre 2001 dal ministro per la Funzione pubblica. Nemmeno sul versante della formazione del laureati da immettere nelle strutture pubbliche la situazione è rosea. Fino ad oggi - si rilevava nel Rapporto -le università italiane avevano contribuito soltanto in "minima misura" al diffondersi delle competenze professionali nel settore. Rispetto a tale difficoltà va segnalato un evidente paradosso. Benché sia particolarmente elevato il numero degli atenei che hanno attivato corsi di laurea e malgrado il proliferare dei master, è tuttora assai bassa la percentuale di laureati in discipline della comunicazione che trovano inserimento nelle strutture pubbliche. Colpa, senz'altro, delle lentezze dei concorsi; colpa dei reiterati blocchi delle assunzioni; colpa della miopia di molte amministrazioni che preferiscono affidarsi a competenze esterne. Ma prende corpo l'ipotesi di un'offerta che eccede la domanda. La domanda, si badi bene, e non l'esigenza: quest'ultima rimane molto alta, ma non si traduce in disponibilità di accesso alle funzioni riguardanti le attività di informazione e comunicazione. Risultato finale: un imbuto per gli aspiranti e un vuoto per le amministrazioni pubbliche. STEFANO SEPE __________________________________________________ Repubblica Sera 18 feb. ’06 SCUOLA, RECORD DEGLI ABBANDONI L´ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA Rapporto della Commissione sullo stato dell´istruzione. Per il 22% dei ragazzi solo un diploma inferiore DAL NOSTRO INVIATO ANDREA BONANNI BRUXELLES - Nel 2004 oltre il ventidue per cento dei ragazzi italiani tra i 18 e i 24 anni avevano solo un diploma di scuola media inferiore e non stava seguendo nessun corso di riqualificazione professionale. La media europea è molto più bassa, 15 per cento. Le punte minime di esclusione si registrano in Danimarca, con il 5 per cento, e con l´8 per cento in Svezia e Finlandia, che non a caso sono protagonisti del nuovo miracolo economico basato sull´elevato grado di scolarizzazione e di preparazione dei lavoratori. Sono preoccupanti per il nostro Paese le cifre che emergono dal rapporto della Commissione di Bruxelles sullo stato dell´istruzione nell´Unione europea. Un indicatore che è considerato cruciale non solo per misurare il grado di maturazione sociale e culturale, ma anche e soprattutto per valutare il potenziale di sviluppo economico su un mercato globale dominato dalla necessità di produzioni con un sempre più elevato valore aggiunto di conoscenza e di competenze tecniche. Del resto il ritratto preoccupante dell´Italia scolastica è confermato dal decrescente impegno del governo nell´istruzione. Nel 2002 la spesa per l´istruzione è stata da noi pari al 4,7 per cento del Pil, con una leggera flessione rispetto all´anno precedente, l´ultimo del governo di centro-sinistra. Anche in questo campo siamo al di sotto della media europea, che nel 2002 è stata del 5,22 per cento con un aumento rispetto all´anno precedente. Ancora più inquietante è il quadro che emerge da un rapporto che il Danish Technological Institute ha elaborato per conto della Commissione europea e che si può trovare sul sito delle istituzioni comunitarie (http://europa.eu.int/comm/education/doc/reports/ doc/basicskill.pdf). Tra i 26 paesi che nel 2003 hanno aderito ad un esame sul grado di apprendimento dei loro studenti, l´Italia arriva ventitreesima. Ed è forse utile ricordare che, oltre ai maggiori paesi europei, hanno aderito all´inchiesta anche Giappone, Stati Uniti, Hong Kong, Corea del Sud e Turchia. L´analisi prende in considerazione le capacità di lettura, di comprensione della matematica e di preparazione scientifica. Nel complesso, la Finlandia arriva prima, seguita da Corea e Hong Kong. Poi vengono l´Olanda, il Giappone, il Belgio, la Svezia, l´Irlanda e la Francia. L´Italia si classifica terz´ultima, prima di Grecia e Turchia, per capacità di lettura e comprensione del testo; va un po´ meglio per le scienze (ventesima) e arriva addirittura penultima in matematica: solo gli studenti turchi fanno peggio dei nostri. Nel complesso, la media Ue si attesta su un punteggio di 495 per la capacità di lettura (Italia 476), 500 per le scienze (Italia 486) e 502 per la matematica (Italia 466). Sempre secondo i dati della Commissione, l´Italia si classifica agli ultimi posti anche per quanto riguarda il conseguimento di diplomi di scuola media superiore. Nel 2004 solo il 73 per cento dei giovani italiani tra i 20 e i 24 anni aveva completato gli studi superiori, contro una media europea del 77 per cento. L´obiettivo che si sono fissati i governi europei è quello di raggiungere l´85 per cento nel 2010. Questi dati, che permettono una lettura non puramente economica delle ragioni che stanno dietro la progressiva perdita di competitività del sistema Italia sui mercati mondiali, sono confermati anche quando si guarda agli indicatori dell´"educazione permanente", cioè la riqualificazione professionale e scolastica dei lavoratori adulti. La percentuale degli italiani impegnati in corsi di qualificazione professionale era del 5,5 per cento nel 2000 ed è scesa a 4,7 nel 2003 per risalire al 6,8 nel 2004. La media europea è del 9,9 per cento. L´obiettivo fissato dalla strategia di Lisbona per la competitività è di arrivare ad una media del 15 per cento entro il 2010. Siamo a meno della metà del cammino. __________________________________________________ Il Manifesto 16 feb. ’06 PRIMO: ABOLIRE LA RIFORMA MORATTI La Flc-Cgil manda un messaggio all'Unione: in caso di vittoria riscriviamo la scuola: «Quelle scelte vanno cancellate tutte». Epifani: «E gli immigrati che nascono in Italia siano cittadini» IAIA VANTAGGIATO INVIATA A TRIESTE Prima abroghiamo la riforma Moratti e poi parliamo di tutto il resto. Enrico Panini non sembra amare le scorciatoie e di fronte ai circa mille delegati riuniti a Trieste per il primo congresso della Flc-Cgil scopre tutte le sue carte rivolgendosi a quanti - dopo il 9 di aprile - governeranno il Paese. E avverte: giù le mani dalla legge 194 e dalla sanità pubblica, attenti a non minare ulteriormente la dimensione laica di uno stato il cui vero nemico non è la religione ma l'uso politico che se ne fa, occhi aperti sui valori della Costituzione e ranghi serrati contro la guerra. Qualsiasi guerra. Iraq, Iran, Medioriente. Nel discorso di Panini tutto si tiene perché quella formuletta che sembra inventata lì per lì - Flc, Federazione dei lavoratori della conoscenza - dice in realtà molto di più di quanto non appaia. Parla, per esempio, di un sapere dei popoli da contrapporre alle derive liberiste di un'Europa mercantile, auspica pratiche di insegnamento attente e fiere delle diversità, chiede la cancellazione di qualsiasi area di esclusione sociale. E lo fa, stupendo una platea sin troppo avvezza al lessico politico, parlando in prima persona: «...Io sono arrivato alla laurea grazie ai sacrifici di un padre muratore e di una madre che lavorava a domicilio. Oggi non potrei farlo...» Non è uno sfogo privato il suo ma un modo - più che realistico, grazie a dio - per arrivare al sodo. Canalizzazione precoce, obbligo scolastico ridotto ai minimi termini, formazione professionale come ultima e definitiva chance per coloro ai quali i percorsi liceali non offriranno mai nessuna prospettiva. Le scelte di Letizia Moratti - è il commento di Panini - puntano dritte verso una privatizzazione e una banalizzazione del sapere che «mina le stesse basi solidaristiche del paese». E quelle scelte vanno cancellate tanto che quasi solenne si fa il giuramento dei delegati: «Noi, su questo, non deleghiamo». Pratiche di base che fanne bene al cuore. Soprattutto quando, interrogato sul programma dell'Unione, il segretario nazionale della Cgil Guglielmo Epifani risponde: «Ancora non l'ho letto ma di certo so che molte cose dovranno essere cambiate». Si riferisce - ci informa - alla riforma Moratti, alla Bossi-Fini e alla legge 30 sul lavoro. Sulle regole del gioco però il segretario non transige: «Occorre prevedere che le riforme elettorali si facciano esclusivamente nei primi due anni della legislatura e non in prossimità di nuove elezioni». E un'altra modifica costituzionale non da poco è quella di varare la cittadinanza secondo lo jus soli. Tutti aspetti su cui il programma firmato all'Eliseo ha preferito sorvolare. __________________________________________________ Unita’ 11 feb. ’06 IL DISASTRO DEI 5 ANNI DI BERLUSCONI» Federico Ungaro Ricerca italiana invecchiata, soffocata dalla burocrazia, senza risorse e gestita in modo maldestro. I cinque anni del governo Berlusconi lasciano anche sul fronte scientifico un'eredità molto pesante. Questo è il parere degli scienziati dell'Osservatorio sulla ricerca che hanno presentato ieri a Roma alcuni dati impressionanti. In quasi ogni settore dell'attività scientifica, l'Italia è al di sotto della media europea: investe l'1,14% del Pil contro una media dell'1,92%, ha circa 3 ricercatori ogni mille occupati contro una media di 6,1 e 0,16 dottori di ricerca per mille abitanti contro una media di 0,56. «Dal 2002 al 2005 i finanziamenti destinati agli enti pubblici sono stati ridotti del 20,1%» dice il coordinatore dell'Osservatorio, Rino Falcone. «Prima del governo Berlusconi - sostiene Lucio Bianco, ex presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche - la ricerca italiana era rispettata all'estero, per quanto sottodimensionata. Oggi rischiamo di essere tagliati fuori dall'Europa che conta, visto che il governo si è opposto alla costituzione del Consiglio europeo delle ricerche». Quello che colpisce è il fatto che il sistema educativo continua a produrre ottimi ricercatori, che però finiscono all'estero. «Lo Stato italiano spende 500mila euro per formare un giovane facendolo diventare dottore di ricerca. Negli Usa vengono concessi agli italiani 10mila visti di ricerca l'anno: facciamo una semplice operazione e vediamo che l'Italia lascia 5 miliardi di euro agli Stati Uniti perché non è in grado di sfruttare i propri ricercatori», ha ricordato Ignazio Marino, chirurgo di fama internazionale che lavora a Filadelfia. L'osservatorio ha presentato un appello (firmato da nomi prestigiosi come Tullio De Mauro, Franco Pacini e Carlo Bernardini) a sostegno della ricerca su internet (www.osservatorio-ricerca.it/). «Se arriveranno adesioni sufficienti, sarà la base con cui iniziare una discussione con tutte le forze politiche per rilanciare la ricerca in Italia», conclude Falcone. __________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’06 PULA: QUEI "CERVELLI" CHE RITORNANO A CASA Pula. Hanno lasciato Londra, Stoccolma, Canberra, Washington per Piscinamanna Al lavoro i contrattisti che hanno scelto di tornare in Sardegna sulla rotta opposta a quella che li aveva visti partire verso il resto del mondo Nel Parco tecnologico medici, fisici, chimici e biologi sardi Pula. Monica Mameli è nata 40 anni fa a Domusnovas, ma è una globe trotter dello studio e della ricerca. Laurea in Medicina e specializzazione in Psichiatria all'Università "La Sapienza" di Roma, ha studiato da stagista alla Einstein University di New York e da borsista all'Istituto Pasteur di Parigi prima del dottorato di ricerca al Karolinska institute di Stoccolma. "Ora ho scelto Polaris perché sono un'idealista- confessa- nel senso che ho voglia di dare una mano alla mia terra, alla Sardegna". Eccola dunque in quel di Pula, per l'esattezza a Piscinamanna, la località nel bosco dove da due anni e mezzo è all'opera il Parco tecnologico e scientifico della Sardegna, Polaris. Monica, la dottoressa Mameli, è una dei nove ricercatori che hanno firmato proprio ieri un contratto di ritorno della durata di due anni che inverte la sgradevole tendenza alla fuga dei cervelli. Grazie all'iniziative del Consorzio 21, medici, fisici, chimici, biologi sardi in giro per Università e centri di ricerca di tutto il mondo lavoreranno per dodici aziende del settore biotecnologico e bioferamceutico insediate nel Parco. Con i ricercatori più anziani ci saranno anche dodici borsisti che parteciperanno a ricerche che variano dal trattamento di tumori cutanei alla creazione di un cardiografo portatile, passando per malattie dell'apparato genitale femminile e composti dietetici in grado di contrastare l'invecchiamento. Si occuperà di identificazione e sviluppo di nuovi marcatori molecolari per la diagnosi precoce il cagliaritano Maurizio Olla, 35 anni, laurea in chimica a Cagliari e un'esperienza alla Austyralian national University di Canberra prima di raggiungere Milano per collaborare con la Lea biotech. Nell'aula nella quale Giuseppe Serra, uno dei responsabili dell'operazione contratti di ritorno spiega come muoversi all'interno di Polaris, c'è un clima di grande concretezza. Si spiega ai nuovi ricercatori come muoversi fra laboratori e biblioteche, e come fare a conseguire l'obiettivo di un brevetto da raggiungere. "Sinora -spiega Serra - avete lavorato a livello accademico, puntando alla pubblicazione delle vostre ricerche. Oggi dovete modificare l'approccio, pensare a come far diventare un business possibile i vostri studi. Lavorate per aziende che mirano a trasformare la ricerca in fatto industriale". In fondo, è questo il Parco scientifico e tecnologico, un luogo nel quale ricercatori e scienziati si incontrano con il mondo produttivo. __________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’06 ALUNNI A LEZIONE PER I TEST UNIVERSITARI I test d'ammissione ai corsi universitari sono ancora lontani, ma dopo i disastrosi risultati dell'anno scorso, soprattutto nella facoltà di Medicina e nel corso di Odontoiatria, scuole superiori e Università si sono attrezzate con largo anticipo. È il caso della facoltà di Economia che ha organizzato per domani alle 10, nell'aula A di viale Fra' Ignazio, un seminario di matematica per gli studenti e i docenti dell'ultimo anno delle scuole superiori. I primi ospiti sono il liceo cagliaritano Siotto e il Primo Levi di Quartu. "Un'iniziativa", spiega Luisanna Fodde della facoltà di Economia, "nata da una richiesta arrivata dalle stesse scuole superiori". Già pronti altri istituti, il Martini e il Pitagora, che porteranno i loro studenti intenzionati a iscriversi nel polo economico. "Un incontro che servirà per orientare i ragazzi ma anche per dare ai professori delle scuole secondarie gli strumenti adatti per preparare al meglio i futuri universitari". Troppo spesso nei test d'ammissione e negli esami si notano lacune dovute a metodologie di studio troppo diverse tra scuola e Università. Nel caso di Economia il seminario, che sarà tenuto da Marco Micocci, docente associato di Matematica, e dai colleghi dell'area delle discipline matematico-finanziarie della facoltà, "punta - spiega Luisanna Fodde - a dare a studenti e professori le giuste informazioni sulla preparazione necessaria per affrontare al meglio lo studio della matematica durante il primo anno di corso". Ma queste iniziative si stanno moltiplicando, come conferma il nuovo corso a pagamento (organizzato dall'associazione Dictatum Discere in collaborazione con l'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Cagliari) di preparazione ai test di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato delle facoltà di Medicina e Chirurgia e di Scienze. L'allarme sulla preparazione, o sulla metodologia d'approccio ai test, degli studenti usciti dalle scuole secondarie, è aumentato negli ultimi due anni. L'ultima prova d'ammissione a Medicina aveva evidenziato una scarsa preparazione con voti mediocri che, se raffrontati ai risultati del resto d'Italia, relegavano Cagliari all'ultimo posto nella graduatoria nazionale che calcolava la percentuale degli studenti ammessi nella facoltà cagliaritana rispetto al numero di posti disponibili: su 170 posti, sarebbero passati soltanto 74 studenti. In Odontoiatria la media era scesa al 25 per cento: cinque su venti posti. Ora Scuola e Università iniziano a comunicare tra loro per evitare altre figuracce. Matteo Vercelli __________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’06 OSPITERÀ UN CORSO DI ODONTOIATRIA NELL’EX CRIES Via libera del ministero al piano per l'ex Cries Il ministero dà il via libera al progetto per l'ex Cries. È tutto pronto: ci sono i fondi - un milione e 800 mila euro -, l'accordo con l'Università, i progetti. Ed è arrivato anche il benestare del ministero alla Pubblica istruzione. Adesso l'ex Cries, l'opera incompiuta più grande della città, che sorge al confine con Selargius tra i quartieri di Cortis e Paluna, potrà trasformarsi in una sede culturale a tutto tondo. Il rustico - del valore di circa un milione di euro, costruito alla fine degli anni Ottanta con i finanziamenti del decreto Falcucci, comprende spazi che avrebbero dovuto accogliere 50 aule, una palestra e tutto ciò che era necessario per dar vita ad una grande scuola. Peccato che non sia mai stato completato e che per questo sia diventato una seconda casa per il piccolo spaccio di stupefacenti. Ma dopo anni di attese entro l'anno si trasformerà, grazie a un accordo stipulato con l'ateneo cagliaritano, in clinica odontoiatrica, in una sede per un corso di laurea in odontoiatria, in una biblioteca scientifica e in una sala lettura, che sarà aperta anche ai monserratini. L'amministrazione avrà invece a disposizione una porzione da adibire a scuola materna, come palestra, ma anche zone per ospitare associazioni sportive e culturali. Insomma l'università entrerà a tutti gli effetti in città, favorendo l'espansione di Monserrato, e il grande casermone sede di balordi da più di vent'anni sarà finalmente trasformato in un centro culturale polifunzionale. Adesso non resta che aspettare che gli uffici mandino avanti la procedura per la realizzazione dei lavori di recupero, completamento e adeguamento del caseggiato che entro l'anno potrebbero trasformarsi in realtà. Serena Sequi __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 16 feb. ’06 A POLARIS DECOLLA BIOMEDICINA B12 START UP, 21 SCIENZIATI SARDI Il progetto. Parte l'incubatore di Consorzio 21 inaugurato l'estate scorsa Il Polo d'eccellenza sta prendendo corpo grazie ai finanziamenti di Regione e Cipe Le scienze della vita danno linfa a Polaris e il "bioinc ubatore" è pronto a far crescere dodici imprese neonate dove lavoreranno giovani appena laureati e cer velli sardi in rientro dall'estero. Nel verde del Parco tecnologico di Pula, tra i corbezzoli, il mirto e i cervi selvatici, dopo anni di silenzio assordante qualcosa si muove. Qui già operano alcune delle eccellenze di casa nostra, come Crs4, Neuroscienze, Shardna, e ora - grazie a Consorzio 21 - decolla un progetto triennale che abbraccia più obiettivi. IL PRIMO: dare l'opportunità alle aziende di testare la fattibilità tecnica ed economica delle loro mission. Si va dall'identificazione di nuovi marcatori molecolari per la diagnosi precoce ai cardiografi portatili, dalla ricerca sulle cause del morbo di Crohn alla costruzione di una piattaforma proteomica per la valutazione delle alterazioni genetiche. Per le 12 start-up a disposizione ci sono uffici, laboratori, attrezzature e un bonus di 50mila euro ciascuna. Secondo obiettivo: inserire (part time) nel mondo del lavoro 14 ragazzi che hanno terminato da poco l'Università col massimo dei voti. Formazione e primo tassello di un curriculum post laurea: per un anno, prenderanno 700 euro al mese. Terzo obiettivo: far tornare nell'Isola 9 ricercatori sardi che tempo fa avevano deciso di cercare fortuna fuori. Arrivano da centri e atenei di Londra, Stoccolma, Philadelphia, Seattle, Genova, Ginevra, Milano, Torino. Guadagneranno 27 mila euro l'anno per due anni. Ieri mattina i dottori hanno firmato i contratti con Consorzio 21 e da oggi saranno al lavoro. Mancavano soltanto le risorse umane per far partire questo bel progetto (per il quale ci sono ancora altre carte da giocare). I finanziamenti derivano dall'Accordo di programma quadro società dell'Informazione e da un bando vinto dal Consorzio (770 mila euro, più altri 264 mila messi dalla Regione) per realizzare il bioincubatore, inaugurato l'estate scorsa a Polaris. Ulteriori fondi per lo sviluppo del Polo di biomedicina (680mila euro) provengono dagli assessorati regionali agli Affari generali e all'Industria. Cristina Cossu __________________________________________________ L’Unione Sarda 14 feb. ’06 CAGLIARI: PARTE INGEGNERIA DELLE TELECOMUNICAZIONI La tecnologia I vantaggi e i limiti per l'utenza Il prossimo anno accademico l'Università di Cagliari attiverà un corso di Ingegneria delle telecomunicazioni L'ha annunciato ieri sera, al forum della Margherita sul digitale terrestre, Daniele Giusto, docente proprio di Tlc nell'ateneo cagliaritano, che ha chiarito tempi, vantaggi e svantaggi del Dtt. Le regole. Dal 16 marzo la sperimentazione prevede l'oscuramento del segnale analogico (switch-off) per 384 mila famiglie sarde su 601 mila, pari al 64% degli utenti. La seconda fase è prevista per il primo agosto. I vantaggi, ha spiegato il professor Giusto, sono legati all'ottimizzazione delle risorse: a un canale analogico ne corrispondono 5 digitali. «L'obiettivo? Liberare frequenze per la telefonia mobile». Il segnale del Dtt è ottimo, la definizione pure, «ma», ha detto Giusto, «siamo sicuri che riusciremo a trasmettere bene per tutti dai siti attuali? Sono certo che almeno il 30% degli utenti avrà difficoltà». Il decoder. I decoder sovvenzionati dallo Stato con un bonus da 90 euro, secondo Giusto, «sono un punto dolente. Sono set- top box interattivi ma con l'uscita sulla linea telefonica, ovvero a 56k. Se interagisci con il telecomando, tieni la linea occupata. Si sta pensando di inserire un modem Adsl. Ci vorrebbe un mese per farlo, ma», ha aggiunto il docente di Tlc, «per le case produttrici, oggi, non c'è mercato. Non sarebbe conveniente». In tutti i casi, aggiunge Giusto, «se non mi interessa l'interconnessione, basta uno zapper. Sono macchine che, a Taiwan, producono per poche decine di dollari». Il Dtt, per il docente, «se offre servizi di qualità, non può essere fermato, può essere un'occasione per l'Isola. Il problema è che il processo va governato, non subito. E non va fermato». __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 14 feb. ’06 MISTERIOSA BORSA DEL LAVORO NEGLI ATENEI NESSUNO SA COS'È Il caso. Tour tra i corridoi delle facoltà universitarie in Sardegna Zero promozione della piattaforma prevista dalla legge Biagi. Gli studenti ignorano l'esistenza del sito e utilizzano altri motori di ricerca Se il valore della Borsa si valuta dal volume d'affari e di scambi che genera, in Sardegna si può dire che è ancora mezza vuota. Il motivo? Quasi nessuno la conosce, probabilmente perché, per la sua promozione, non è stato fatto ancora un investimento pubblicitario forte. UNIVERSITÀ DI CAGLIARI, facoltà di Lettere e Filosofia. Dall'atrio sbuca ogni genere di locandina, da un cerco casa all 'ultimo convegno su Hegel: di Borsa nazionale del lavoro, però, non se ne parla. I ragazzi della sala lettura non l'hanno mai sentita nominare: "Io cerco lavoro, ma non so cosa sia" risponde Germano, 30 anni, un esame al titolo di dottore. E aggiunge: "Conduco le mie ricerche su Internet, soprattutto nel Canale lavoro di Tiscali. Certo, se esistesse una piattaforma digitale istituzionale che fa incontrare domanda e offerta sarei felice di utilizzarla". La piattaforma esiste, e lui annota l'indirizzo: www.borsalavoro.it. Nella facoltà di Ingegneria il discorso non cambia. Le risposte pure. "Mai sentita nominare " dice una ragazza al secondo anno di corso, che fuma una sigaretta in attesa di dare l'esame. Stessa risposta da un gruppo di studenti che ripassano Geometria. Passando dagli studenti ai professori l'antifona rimane la stessa. Patrizia Manduchi è una ricercatrice di Scienze politiche: "In facoltà se ne parla poco ma se ne parlerà sicuramente di più in futuro", dice, e aggiunge: "Certo, oggi si discute di più di programmazione ". Luisanna Fodde è ricercatrice in Economia: "I manager di facoltà e quelli di orientamento stanno lavorando nella direzione di informare gli studenti ", spiega. Ma forse non basta. In viale fra Ignazio, tra aspiranti magistrati e commercialisti in divenire, nessuno sa dire, con esattezza, di cosa si sta parlando. MA C'È UN RAGAZZO che non sgrana gli occhi alla fatidica domanda, e non abbozza risposte vaghe come fosse sotto interrogazione: si chiama Alberto, ha 22 anni, è cagliaritano. "Borsa del lavoro? Certo che so cos'è". E spiega: "È una piattaforma che permette di incontrare la domanda e l'offerta. Rientra nell'ambito della riforma del mercato del lavoro, la così dette legge Biagi, e si inserisce nell'ottica di una maggiore flessibilità". Ottimo. Continua: "Tramite la Borsa del lavoro non solo gli studenti, ma tutti i lavoratori potranno registrarsi, inserendosi nel mercato nazionale. Servirà anche agli extracomunitari che, con la Bossi-Fini, devono dimostrare di avere un lavoro prima venire in Italia". Bravo: peccato non sia studente in Sardegna. "Sono iscritto a Scienze giuridiche a Trento: lì queste cose le sanno proprio tutti". Guido Garau __________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 feb. ’06 TAGLI AI CORSI DI LAUREA DECENTRATI: dura protesta da Tempio e Olbia OLBIA. I fondi assegnati dalla finanziaria regionale alle sedi universitarie staccate di Olbia e Tempio sono insuffi- cienti: la protesta si leva forte dai due poli universitari, e anche dai politici. Due giorni fa, in consiglio regionale, erano stati presentati tre emendamenti, due a firma di Fedelle Sanciu di Forza Italia e uno di Andrea Biancareddu, Udc, per rivedere le cifre. L’aula li ha bocciati. Il risultato è che Olbia, facoltà di economia e imprese del turismo, avrà la stessa cifra dello scorso anno, mentre Tempio, corsi di laurea in tecniche erboristiche e in tossicologia, si vede ridotto il finanziamento di oltre un terzo. intanto, da Fedele Sanciu. Il consigliere regionale gallurese di Forza Italia non usa mezzi termini. «Con l’avvento della giunta regionale di centro sinistra i corsi di laurea di Tempio e Olbia — osserva l’esponente azzurro — hanno subito un drastico ridimensionamento in termini di finanziamenti. Tutto ciò rischia di compromettere delle realtà emergenti nell’ambito della formazione universitaria. Basta guardare le cifre. Nel 2004 Olbia aveva ricevuto 190mila euro, ora arriva a 129mila, Tempio due anni fa partiva da una base di 470mila euro, ridotti a 319mila lo scorso anno e ora addirittura a 86mila euro, quasi un’elemosina. Quest’ultimo corso si vede praticamente privato dell’ossigeno vitale. E Olbia? L’istituzione è nata per un motivo ben preciso: è strettamente connessa alla realtà produttiva e alla vocazione turistica della Gallura». La bocciatura degli emendamenti produce un solo risultato, secondo Sanciu: «Così si mortifica il lavoro svolto dal corpo docente, vanificando le aspettative di tanti giovani, ignorando oltrettutto le aspettative del territorio». La preoccupazione più forte arriva da Tempio, che ha visto il finanziamento drasticamente ridotto. L’argomento, ieri, è stato sollevato anche in consiglio provinciale da Luigi Pintus dell’Udc. «Il pericolo era stato già esposto a suo tempo — ha sottolineato Pintus —, quando si era saputo dell’idea di operare questi tagli. Per questo era stata coinvolta la giunta e la presidenza della provincia Gallura. Evidentemente tutto è stato inutile, visto che il taglio, poi, è stato realmente fatto, con conseguenze che si possono definire disastrose». In effetti, secondo Luigi Pintus, la riduzione potrebbe provocare ripercussioni gravissime. «E’ messa in gioco — continua l’esponente tempiese dell’Udc — la stessa sopravvivenza dei corsi di laurea. I giovani che hanno pagato la prima tranche delle tasse, ora si chiedono che senso ha continuare a frequentare i corsi, visto che potrebbe diventare realtà, dal prossimo anno accademico, la scomparsa dell’università a Tempio. I pochi soldi che dà la Regione non sono sufficienti a portare avanti l’attività, nè il Comune può sostituirsi concedendo dei fondi che non ha». L’aspetto che più ha amareggiato Luigi Pintus riguarda la votazione degli emendamenti. «Anche i consiglieri galluresi del centrosinistra erano d’accordo per pronunciarsi a favore degli emendamenti. Ma poco prima di procedere alla votazione, in aula è arrivato Renato Soru. Evidentemente quei consiglieri si sono fatti convincere dal governatore, e hanno cambiato parere. Certo, il loro voto non avrebbe spostato la decisione finale del consiglio regionale, ma almeno avrebbero dato un segnale forte a favore del territorio che li ha espressi». Amareggiato anche il sindaco di Tempio, Antonello Pintus, fratello del consigliere provinciale dell’Udc. «Le risorse finanziarie del comune non possono venire in soccorso dei corsi universitari decentrati. Fra una cosa e l’altra, la nostra amministrazione già contribuisce con una spesa che si aggira intorno ai 120mila euro. Di più non possiamo fare». Le critiche galluresi riguardano sia i tagli che il raffronto con i finanziamenti per altre sedi decentrate. «E poi — conclude Sanciu — chissà perché è passato l’emendamento per l’aumento di 100mila euro destinati alla sede di Nuoro. Forse perché è stato proposto dalla maggioranza?» __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 15 feb. ’06 QUEL SITO INTERNET È ARCHEOLOGICO LE ISTITUZIONI BOCCIATE SUL WEB Divario digitale. Abbonda il nozionismo ma le informazioni pratiche scarseggiano Ancora impossibile pagare multe e ticket In alcuni casi è difficile anche spedire un'email È senza il puntino la "i" di informatica a Cagliari. Sul manifesto del presidente del Consiglio Berlusconi - quello di inglese, imprese e appunto conoscenza del pc - i siti istituzionali del capoluogo per lo più nicchiano, e quasi mai si mettono effettivamente dalla parte dell'utente che naviga. Curiosando tra i siti, da quello della provincia alla Asl 8, dalla pagina web del Cagliari calcio all'Università e all'Euro info-centre, ci si rende conto che il momento in cui sarà possibile fare tutto o quasi dalla poltrona è ancora lontano, e anche i siti più aggiornati ignorano le comuni agevolazioni date dall'informatica. Preferiscono, invece, abbondare in nozionismi, in informazioni da manuale, nella più classica delle tradizioni italiane. Schermate intere quindi sulla storia dell'ospedale Brotzu e sull'offerta assistenziale per i pazienti che decidessero di ricoverarsi in via Peretti. Ma nessuna agevolazione pratica: impossibile prenotare una visita o pagarla online, nessuna news, concorsi e selezione tutti scaduti. I RISULTATI cambiano di poco se a collegarsi su internet è un imprenditore. Appena più che inesistente il sito dell'agenzia di promozione lavoro e impresa, Insar: ci sono solo gli indirizzi. Debole anche la pagina del Centro servizi promozionali alle imprese (un esempio: i corsi di formazione e promozione sono fermi al primo semestre 2005) e della Camera di commercio: tante informazioni ma non è data la possibilità di pagare la quota online (ci sono solo gli estremi dei bollettini), la sezione "la giunta approva" è ferma al secondo semestre del 2004 e anche quella sugli appalti e gli incarichi professionali non va oltre il 2003. Di buono c'è che moduli e documenti sono scaricabili, ma devono sempre essere consegnati a mano. Alti e bassi anche per quanto riguarda l'Europa: i siti sono aggiornati ma l'Europe direct è quasi introvabile dentro il sito della provincia, mentre l'Euro info- centre appare macchinoso, confusionario. Nel maelstrom della rete, spicca la nuova schermata dell'università, che dà la possibilità di iscriversi agli esami da casa, verificare se il libro che serve è in biblioteca, consultare se si è a posto con le tasse. E anche quello della polizia di Stato. Per fare denunce sul web. Carla Frogheri I dati Qui la multa non si paga Il sito del Comune passa il test: collegandosi infatti è possibile aggiornarsi sui lavori in corso per le strade cittadine, monitorare i prezzi, attivare il servizio di informazioni via sms, verificare se la propria auto è stata presa da carro attrezzi. Anche qui però non viene data la possibilità di pagare una multa. Arrivare in aeroporto Di buono sulla pagina web della Sogaer c'è l'infovoli molto aggiornato, utilissimo in caso di scioperi. Risultano carenti invece le informazioni su come arrivare in aeroporto. Nessuna informazione sulla homepage neppure su dove noleggiare un'auto. E anche la parte dedicata allo shopping pre-volo è molto risicata. __________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. ’06 RETTORE, VIA LIBERA PER IL MISTRETTA VI Modifica dello Statuto: sì unanime del Senato accademico Nuova vittoria di Mistretta. Il Senato accademico ha votato la modifica dello Statuto che gli consentirà di ricandidarsi alla carica di rettore. Nella corsa alla carica più alta dell'Università si candida anche Giuseppe Santa Cruz Pasquale Mistretta vince ancora. Un successo, questa volta, facile facile: il Senato accademico allargato ha approvato all'unanimità (38 i votanti) un ordine del giorno che modifica lo Statuto dell'ateneo, estendendo l'eleggibilità, a qualsiasi carica istituzionale, anche ai professori fuori ruolo. In soldoni il rettore ha ottenuto il via libera per la sua sesta ricandidatura. «Si trattata di un vizio di forma che poteva creare problemi a qualsiasi carica», ha spiegato Vinicio Demontis, docente in Ingegneria che presiede il Senato Accademico. «L'attuale formulazione delle norme relative all'elettorato passivo - ha sottolineato dopo il voto unanime - potrebbe far sorgere dei dubbi interpretativi. Per questo il Senato, prendendo atto che la normativa statale parifica i professori fuori ruolo a quelli di ruolo, per le cariche elettive, ha approvato il documento che stabilisce, per evitare future controversie «di modificare tutti gli articoli dello Statuto riguardanti l'elettorato passivo, specificando che la carica può essere attribuita anche ai professori fuori ruolo». Che potranno dunque essere senza problemi presidi, presidenti di corsi di laurea, decani. Ma soprattutto potranno correre per la carica più alta, quella di rettore, modificando anche l'articolo 12. Mistretta esce vittorioso dall'empasse burocratica che si era creata (oramai vicino ai 74 anni, il rettore non rientrava più tra i docenti di ruolo, dunque non ricandidabile), bissando quella del luglio scorso, con la modifica delle cariche consecutive (passate da tre a quattro). Un successo senza intoppi, a differenza della scorsa estate, che aveva creato una spaccatura. Ora si attende l'ufficializzazione della candidatura di Mistretta. E proprio ieri il rettore può registrare il suo primo rivale nella corsa alla più alta carica universitaria: Giuseppe Santa Cruz. Il professore ordinario di Anatomia si candida per la seconda volta, dopo l'esperienza di tre anni fa. «Spero in questo modo di stimolare altre candidature - ha spiegato Santa Cruz - che possano dimostrare la diffusa opposizione alle monarchie assolute. Sarebbe grandioso che Mistretta, che ha ben operato finora, spontaneamente si ritirasse, perché ne esistono i presupposti, e avendo molti sostenitori lascerebbe di sé un ricordo democratico e anche qualche rimpianto». A quando i prossimi avversari del Mistretta VI. (m. v.) __________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 feb. ’06 MAGGIORANZA BULGARA PER MISTRETTA A maggio il voto per il rinnovo dell’incarico Ultimo passo per poter riconfermare il “Magnifico” fuori ruolo Il senato accademico approva all’unanimità la modifica dello statuto che permette la rielezione del rettore CAGLIARI. La modifica dello statuto per permettere al docente fuori ruolo di diventare rettore, ma anche di governare dipartimenti e istituti, è stata ieri sera votata all’unanimità dai quaranta componenti del senato accademico. Come detto nei giorni scorsi, la modifica è stata fatta soprattutto per permettere all’attuale capo dell’ateneo, Pasquale Mistretta, di ricandidarsi senza nessun rischio. Secondo alcuni, però, la votazione sarebbe stata superflua anche perchè una sentenza del Tar del Lazio del novembre dello scorso anno stabilisce che i “fuori ruolo” sono decenti come gli altri e che, quindi, possono ricoprire tutte le cariche d’ateneo. La sentenza del Tar o, meglio, la scoperta che esiste questo pronunciamento ha tolto dall’imbarazzo una serie di presidi che nella votazione precedente non avevano dato parere favorevole all’aumento dei mandati per il responsabile dell’ateneo. Va chiarito, infatti, che la seduta di ieri era stata indetta soprattutto per ovviare a una dimenticanza della seduta del senato accademico allargato del luglio scorso (dove era stato deciso che il rettore poteva stare in carica sino a un massimo di quattro mandati, in precedenza erano tre). Così il Tar facendo giurisprudenza, ha tolto tutti dall’essere o non essere della scelta. Nella precedente votazione c’erano stati quattro presidi contrari all’aumento dei mandati. L’imbarazzo di ieri nasceva dal fatto che un «no» non avrebbe smosso la rete di alleanze e l’assenso complessivo alla rielezione dell’attuale rettore. Nello stesso tempo, però, avrebbe attivato situazioni considerate non piacevoli. Nel mondo universitario, si sà, si fa ricerca e didattica. Ma per essere attivi bisogna avere le strutture e i locali necessari. Nello stesso tempo non esistono dei parametri condivisi da tutti che permettano di dire che un docente è più qualificato di altri ed è, quindi, bene che venga ulteriormente valorizzato. Da qui la necessità di tessere alleanze e quella col rettore è considerata determinante. Nello stesso tempo Mistretta, pur accusato, soprattutto nel passato, di essere un centralizzatore, ha recentemente assegnato otto deleghe, con firma, su importanti problemi dell’ateneo. Decisione, questa, considerata la sua opera d’arte. In questo modo ha cucito un’alleanza che raccoglie non solo Ingegneria (la sua facoltà, il rettore è docente di urbanistica) ma anche gran parte di Medicina (altro pilastro dell’ateneo), più ampi settori delle altre facoltà. Ora re Pasquale potrà tranquillamente prepararsi al sesto mandato. Il rettore aveva infatti già guidato due governi d’ateneo quando venne approvato il nuovo statuto che, tra le altre cose, fissava a tre i regni possibili. A luglio scorso, come accennato, il tetto venne spostato a quattro, ma Mistretta ne aveva già retti due “fuori quota”, ovvero che non vengono conteggiato. Nel luglio scorso il re rettore aveva ottenuto il «sì» di sei presidi di Facoltà, con relativi entourage. In particolare si erano schierati con lui i baroni (universitari) di Scienze (Roberto Crnjar), Lingue (Ines Loi Corvetto), Lettere e filosofia (Gino Paulis) Scienze della formazione (Alberto Granese), Medicina e chirurgia (Gavino Faa) e Ingegneria (Francesco Ginesu). Mentre altri quattro ne avevano contestano l’autorità: Roberto Malavasi (Economia), Franco Sitzia (Giurisprudenza), Gaetano di Chiara (Farmacia) e Raffaele Paci (Scienze Politiche) pur con motivazioni diverse. Ma ora le vecchie alleanze sono state rinsaldate grazie alle deleghe. Poi re Pasquale è maesto nell’arte di mediare e le vecchie asperità sono in parte recuperate. E oggi pochi dicono di non essere d’accordo per il suo sesto mandato. Roberto Paracchini Lo sfidante «No alla monarchia» CAGLIARI. Il rettore Pasquale Mistretta si ripresenterà, ma avrà almeno uno sfidante. Il docente di medicina legale Giuseppe Santa Cruz si candiderà «anche allo scopo, come nelle precedenti elezioni, si stimolare altre candidature che dimostrino la diffusa opposizione alle monarchie assolute». Nello stesso tempo, Santa Cruz precisa che «il professor Mistretta ha bene operato e sarebbe grandioso e Magnifico se spontaneamente si ritirasse perchè ne esistono i presupposti e avendo molti sostenitori, lascerebbe di sè un ricordo democratico e anche qualche rimpianto». __________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 feb. ’06 MISTRETTA VERSO IL SESTO MANDATO Potrà essere scelto anche un rettore con più di 70 anni Giovedì senato accademico per una nuova modifica dello statuto d’ateneo a favore della rielezione ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. Oggi un professore può essere eletto rettore se docente ordinario. Da giovedì potrà ricoprire l’importante carica anche se “fuori ruolo”, ovvero oltre i settant’anni. Il 9 febbraio si terrà, infatti, la riunione del senato accademico allargato col compito di modificare lo statuto e inserire la nuova eleggibilità. A maggio, poi, con la prossima chiamata alle urne dei docenti universitari, tutti danno per scontata («sarà un pelebiscito») la rielezione del rettore Pasquale Mistretta. E lui, re Pasquale, inizierà il sesto mandato: alla fine avrà regnato per diciotto anni. Lui, il monarca, ha deciso di ricandidarsi e la modifica di giovedì era l’ultimo tassello. Molti saranno d’accordo per Pasquale sesto, in numero minore mugugneranno un po’, pochi diranno che non va bene e ancora meno protesterano apertamente. Tra questi c’è il patologo sperimentale Paolo Pani che sarcasticamente dichiara «vai avanti tu, che a me scappa da ridere, non si può andare avanti con le amicizie». Di fatto in tutte le istituzioni rappresentative si cerca di limitare il numero dei mandati. E questo non perchè si pensi che chi governa non sia in grado di farlo, ma perchè chi assume un posto di reponsabilità acquisisce potere e questo crea una situazione di squilibrio coi concorrenti. Ma andiamo per gradi. Nella convocazione per giovedì degli oltre quaranta componenti del senato accademico allargato (i nove presidi e i rappresentanti delle aree scientifiche, più i delegati dei docenti, degli studenti e degli amministrativi) non è indicato l’ordine del giorno, ma tutti sanno che si farà la modifica allo statuto accennata. Ma l’incontro sarà fatto per rimediare a una dimenticanza. Nel luglio scorso, infatti, vi fu la variazione dello statuto che aveva permesso la rieleggibilità di Mistretta. Sino a quel giorno, infatti, il responsabile dell’ateneo poteva rinnovare il proprio mandato per tre volte consecutive. Dopo il voto le possibilità vennero allargate a quattro, ma ci si dimenticò della differenza tra docente ordinario e “fuori ruolo”. A questo punto, però, qualcuno potrebbe dire che i conti non tornano visto che l’attuale rettore sta già finendo il quinto mandato. Il problema è che quando venne approvato lo statuto dell’ateneo che stabiliva i compiti dell’Università e poneva il limite di tre governi, re Pasquale aveva già regnato per due mandati ma questi, non avendo lo statuto valore retroattivo, non sono considerati. Se sarà rieletto, come viene già dato per scontato, Pasquale sesto inizierà il sedicesimo anno per poi terminare al diciottesimo. In questo modo entrerà nei guinness dei primati, come il reggente d’ateneo più longevo di Cagliari (dal dopo guerra, almeno). Per il momento il primato va al fisiologo Giuseppe Peretti, che regnò sull’ateneo cagliaritano per dieciasette anni. Va detto, però, che allora lo statuto non prevedeva limiti sui mandati per l’elezione. Ma perchè sia il voto di giovedì, che la rielezione vengono dati per certi? Perchè, da abile mediatore, Re Pasquale ha saputo tessere una tela molto vasta e ricca di interessi corporativi, di cui l’alleanza per il cambio dello statuto del luglio scorso ne è l’opera d’arte. Allora il monarca aveva ottenuto il «sì» di sei presidi di Facoltà, con relativi entourage. In particolare si erano schierati con lui i baroni (universitari) di Scienze (Roberto Crnjar), Lingue (Ines Loi Corvetto), Lettere e filosofia (Gino Paulis) Scienze della formazione (Alberto Granese), Medicina e chirurgia (Gavino Faa) e Ingegneria (Francesco Ginesu). Mentre altri quattro ne avevano contestano l’autorità: Roberto Malavasi (Economia), Franco Sitzia (Giurisprudenza), Gaetano di Chiara (Farmacia) e Raffaele Paci (Scienze Politiche) pur con motivazioni diverse. Ma ora le vecchie alleanze sono state rinsaldate. Pasquale sesto, infatti, ha risposto alle critiche di centralizzazione allargando il governo dell’ateneo: la farmacologa Maria Del Zompo è stata nominata pro rettore, Giovanna Ledda ha avuto la delega con firma per i problemi di Internazionalizzazione, Franco Nurzia quella dei rapporti col territorio e le istituzioni, Patrizia Mureddu per la didattica, Adolfo Lai per la ricerca scientifica, Lucia Cavallini per l’organizzazione, Vinicio Demontis per la presidenza del senato accademico allargato, Gavino Faa per il protocollo d’intesa Regione-università e Alberto Anedda per il coordinamento gestionale della Cittadella universitaria di Monserrato. Tutti contenti? Non proprio. Ma il re ha le chiavi del regno. Difficile, insomma, dirgli apertamente «no». Il potere, anche in questo caso, logora chi non ce l’ha. E’ rettore dell’università di Cagliari da 16 anni Mistretta cambia statuto e si ricandida (sesta volta) CAGLIARI. Nuova modifica dello statuto dell’ateneo di Cagliari. Il rettore dell’università, Pasquale Mistretta ha deciso di ricandidarsi. Già nel luglio scorso aveva chiesto e ottenuto che il senato accademico allargato votasse l’aumento del limite dei mandati possibili per il capo dell’ateneo, da tre a quattro. Ma allora si era dimenticato di far votare anche il cambiamento dell’articolo che stabilisce che il rettore sia un docento ordinario. Mentre Mistretta, per età, è diventato “fuori ruolo”. Con la votazione di giovedì, che viene data per scontata, il rettore di Cagliari avrà eliminato anche l’ultimo ostacolo per la ricandidatura di maggio. A questo punto, però, i conti non tornano visto che l’attuale rettore sta già finendo il quinto mandato. Il problema è che quando venne approvato lo statuto dell’ateneo, che stabiliva i compiti dell’Università e poneva il limite di tre governi (a luglio portati a quattro), Mistretta aveva già regnato per due mandati ma questi, non avendo lo statuto valore retroattivo, non sono considerati. Se sarà rieletto, come viene già dato per certo, il Magnifico inizierà il sedicesimo anno per poi terminare al diciottesimo. In questo modo entrerà nei guinness dei primati, come il reggente d’ateneo più longevo di Cagliari (dal dopo guerra, almeno). Per il momento il primato va al fisiologo Giuseppe Peretti, che regnò sull’ateneo cagliaritano per dieciasette anni. Ma come mai un regno così lungo? Tutti d’accordo? Per niente, ma il rettore uscente ha tessuto una rete di alleanze molto vasta, conquistando alla sua causa sei dei nove presidi di facoltà e distribuendo otto deleghe con firma __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 11 feb. ’06 OTTO MILIONI PER L'ISOLA DIGITALE: ACCENTURE SI AGGIUDICA L'APPALTO E-government. Battuti Kataweb e Unione editoriale, oggi la firma del contratto Si chiama Sibar: entro due anni l 'informatizzazione degli uffici regionali Maria Spigonardo m a r i a .s p i go n a rd o @ e p o l i s.s m Verrà firmato oggi il più importante contratto sull'informatizzazione della presidenza Soru. Vale 8 milioni di euro. Quaranta in meno rispetto a quelli previsti nella passata legislatura di centro destra. Ad aggiudicarsi il sostanzioso bando è stata l'Accenture, l'azienda nella quale lavora il figlio del ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu. Dalla vecchia partita organizzata dall'ex presidente Italo Masala e da Mauro Pili, però, sono stati esclusi gli altri due partner: l'Unione editoriale di Sergio Zuncheddu e il gruppo K at aw e b . IL PROGETTO Sibar (Sistemi Informativi di Base dell'Amministrazione Regionale), che prevede la digitalizzazione dei sistemi degli uffici pubblici sardi, è stato fin da subito un pallino dell'attuale governatore e dell'assessore Massimo Dadea. Al momento dell'insediamento la prima mossa di Soru è stata proprio quella di annullare il vecchio bando, considerato troppo esoso rispetto al costo da lui preventivato. La nuova gara d'appalto è stata indetta il 12 maggio dello scorso anno. Il progetto prevede che l'azienda vincitrice si occupi dell' «analisi, della progettazione e della realizzazione di sistemi informativi integrati atti a garantire l'ammodernamento tecnologi- co, funzionale ed organizzativo della struttura amministrativa regionale». In particolare l'appalto comprende: sistemi per lo svolgimento delle funzioni operative dell'amministrazione (ad esempio la firma digitale e la gestione dei documenti in forma elettronica), il sistema contabile integrato e la gestione delle risorse umane. L'Accenture, in base alle norme previste dal bando, avrà al massimo due anni di tempo per completare tutti i lavori. La modalità di finanziamento del Sibar è quella prevista negli Accordi di programma quadro previsti nella cosiddetta “Società dell'informazione”, un progetto che porta l'Isola al top dell'informatizzazione. In particolare, si mira a creare una rete telematica regionale, a implementare i sistemi informativi dell'amministrazione, della sanità e degli enti locali e infine ad estendere a tutto il territorio la copertura della banda larga per superare cosiddetto il “digital divide”, il divario fra chi ha accesso a queste tecnologie e chi ne è escluso. Co m u n a s Servizi on-line, ma Cagliari è fuori Il portale Comunas è nato per avvicinare i cittadini e le imprese alla P.a. attraverso servizi on-line che rendono più agevoli pratiche amministrative e fiscali. Ma mancano ancora molti comuni, tra cui Cagliari. Internet Nuove graduatorie per il digitale in Regione Pubblicata la graduatoria delle domande di finanziamento per realizzare Centri per l’accesso assistito dei cittadini ad Internet, ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione e ai servizi di e-learning. __________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’06 VIETATO SPIARE LA NAVIGAZIONE INTERNET DEL DIPENDENTE Il datore di lavoro non può monitorare la navigazione del dipendente su Internet: lo ha stabilito un provvedimento del Garante della privacy emesso il 2 febbraio 2006 e reso noto il 14 febbraio 2006. L’Authority ha vietato all'azienda l’uso dei dati relativi alla navigazione del dipendente che, senza esserne autorizzato, si era connesso alla rete. «Non è ammesso - sottolinea Mauro Paissan, componente dell’Authority e relatore del provvedimento - spiare l’uso dei computer e la navigazione in rete da parte dei lavoratori. Sono in gioco la libertà, la segretezza delle comunicazioni e le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori. Occorre, inoltre, tener presente che il semplice rilevamento dei siti visitati può rivelare dati delicatissimi della persona: convinzioni religiose, opinioni politiche, appartenenza a partiti, sindacati o associazioni, stato di salute, indicazioni sulla vita sessuale». Il fatto esaminato A un addetto all’accettazione e al banco referti di una clinica il datore di lavoro aveva inviato una contestazione disciplinare, che aveva portato a un licenziamento per giusta causa, per accessi non autorizzati a Internet. La comunicazione era corredata da una documentazione di file temporanei e cookie originati dalla navigazione in rete in orario di lavoro su siti di contenuto religioso, politico e pornografico. Dopo aver chiesto alla società il blocco e la cancellazione dei dati senza risultato, il dipendente si era rivolto al Garante, ritenendo illecito il trattamento dei dati. Dalle pagine di file temporanei e cookie allegate alla contestazione disciplinare, copiate direttamente dalla directory del lavoratore, risultavano, infatti, informazioni delicate (convinzioni religiose, opinioni sindacali, tendenze sessuali) che la società non poteva raccogliere senza aver informato il lavoratore. Dal canto suo l’azienda contestava l’illecito accesso a Internet dai computer aziendali, l’appropriazione indebita di carta per stampare i risultati della navigazione e il danneggiamento della rete aziendale per i virus informatici che si erano introdotti nel sistema. Il parere dell’Authority Secondo il Garante anche se i dati personali sono stati raccolti nell’ambito di controlli informatici per verificare l’esistenza di comportamenti illeciti, i dati sensibili, come le convinzioni religiose o le opinioni sindacali, potevano essere trattati dal datore di lavoro senza consenso solo se indispensabili per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria: indispensabilità che non è emersa nel corso del procedimento. All’Autorità, inoltre, è apparso illecito anche il trattamento dei dati relativi a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possibile solo per far valere o difendere in giudizio un diritto di rango pari a quello dell’interessato, dunque consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Circostanza inesistente. __________________________________________________ Repubblica Sera 14 feb. ’06 ADDIO SCRITTURA, UCCISA DA UN MOUSE Anche a scuola è richiesta sempre meno perizia nella "manualità": gli esperti dicono che ciò porta a una regressione Niente più corsivo e dettati: i bambini abbandonano carta e penna La perdita dell´esercizio influisce anche sulla capacità di organizzare i pensieri complessi MARINA CAVALLIERI ROMA - Prima la televisione, poi i computer, infine gli sms e le chat, accerchiata dai nuovi mezzi di comunicazione, aggredita dai nascenti alfabeti, la scrittura a mano scompare, indugiare con una penna su un foglio è diventato un gesto in estinzione e molte attività legate a quel gesto un tempo abituale, naturale, come scrivere una lettera, copiare un indirizzo, sono ormai obsolete o, peggio, antiche. Un articolo del quotidiano inglese "The Guardian" ripropone una questione che ciclicamente affiora, che stupisce e spaventa: l´incapacità sempre più diffusa, soprattutto tra i giovani, di scrivere a mano, la perdita dell´uso della scrittura sia come abilità manuale sia come capacità di organizzare pensieri complessi. Lavoriamo pigiando tasti di un computer, scriviamo e-mail e non più lettere, usiamo carte di credito e sempre meno assegni, inviamo sms, la materialità e la fisicità della scrittura si sta dissolvendo nelle specchio liquido di un display, la complessità del pensiero è ridotto ad un copia- incolla, così, giorno dopo giorno, assistiamo ad un passaggio epocale, ad una regressione generazionale, ad una trasformazione del pensiero. «Dal punto di vista della manualità c´è una regressione registrata da tempo, molti scrivono con lo stampatello che non è una cosa da poco, significa rinunciare al ductus, all´andamento sinuoso, flessibile della scrittura», spiega Raffaele Simone, docente di linguistica, autore di un libro molto apprezzato e discusso "La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo", edito da Laterza. «Ormai le convenzioni usuali della scrittura sono rifiutate, c´è una certa insofferenza verso la peculiarità dello scrivere, dal punto di vista del testo poi la cosa è più complessa: c´è un vero terremoto testuale, i testi elaborati come traguardo dell´educazione non interessano più le nuove generazioni». C´è un nuovo modo di scrivere semplificato di cui gli sms e le chat sono un po´ l´emblema, ma se il linguaggio rispecchia la complessità del pensiero «sembra che i ragazzi non hanno più bisogno di pensieri complessi». La scrittura a mano «serve sempre meno, solo a firmare, è una deriva inevitabile, esistono nuove forme di scrittura interessante come i graffiti ma qui il discorso si riapre, è un´insofferenza verso il catalogo delle scritture tradizionali». Ma la scrittura non è solo un esercizio manuale, è un modo per riflettere, strutturare il pensiero, organizzarlo in modo consequenziale ed analitico, caratteristiche anche queste che si stanno perdendo. «Dov´è ormai che si scrive più? Forse solo sui post it», dice Piero Floris, ispettore di scuola elementare. «Gli unici a usare carta e penna sono i bambini delle elementari ma anche a scuola è richiesta sempre meno perizia nello scrivere, gli insegnanti tendono a non fare più dettati, il tema era un po´ la riproduzione di quel modello di scrittura. In compenso c´è più libertà di esprimersi, meno vincoli». Perdere la capacità di scrittura preoccupa anche per un altro motivo: c´è il rischio che si profili una nuova società classista basata non solo sul censo ma sul possesso di alcune competenze, dove la capacità di scrivere e leggere diventerà privilegio di pochi eletti. «La capacità di utilizzare questi strumenti si sta sempre più concentrando su alcune aree della popolazione», spiega Benedetto Vertecchi, pedagogo, uno dei primi ad analizzare questo fenomeno. «Alcuni studi americani teorizzavano già anni fa che un paese poteva mantenere la sua competitività anche lasciando che le competenze alfabetiche di buon livello fossero appannaggio solo di una piccola percentuale, appena il quindici per cento della popolazione». Negli Stati Uniti ci sono gruppi di volontari che aiutano a ritrovare alcune capacità alfabetiche e matematiche, «in Italia uno studio del 1999 rivelava che circa un terzo della popolazione ha problemi nell´uso della comunicazione alfabetica». ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 feb. ’06 STRANIERI: LAUREE E DIPLOMI SOLO SULLA CARTA Indagine Welfare: il40% degli stranieri ha almeno le superiori ma manca il conoscimento Amadou è laureato in giurisprudenza. Rosaria è pedagoga a e ArdJan e u>metra Tutti e tre lavorano da anni in Italia, ma come operaio, badante e portiere d'albergo. La loro è una situazione comune tra gli stranieri arrivati nel nostro Paese negli ultimi anni, che spesso hanno titoli di studio e professionali superiori alle proprie mansioni. `° I laureati. Tra i migranti i laureati sono in media il 12,19, contro il 7,5% degli italiani, e anche la percentuale dei titoli di scuola superiore o media inferiore è leggermente superiore alla media italiana. «È una popolazione molto polarizzata - osserva Elena Besozzi, sociologa all'università Cattolica di Milano - perché riscontriamo anche più analfabeti che tra gli italiani. Ciò dipende soprattutto dalle regioni di provenienza. Chi arriva dall'Est europeo, così come dalle zone più urbanizzate dell'Africa e dell'America latina. ha spesso un diploma di scuola superiore o una laurea». In un'Italia che lamenta la fuga dei cervelli, gli stranieri potrebbero rivelarsi un'importante risorsa di sviluppo. È infatti in possesso di una laurea o di un diploma superiore quasi il 40% dei 3,3 milioni dei migranti stimati dall'indagine che sarà presentata a breve dal ministero del Welfare, ma pochi lo dichiarano apertamente. «C'è molta differenza tra l’istruzione dichiarata e quella riconosciuta - spiega Gian Carlo Blangiardo, della facoltà di scienze statistiche della Bicocca - perché spesso si tende a non dichiarare tutti i propri studi per avere più possibilità di lavoro nell'immediato, anche se meno qualificato. E un peccato, perché il numero di coloro che vedono l'Italia come un luogo residenza a lungo termine sembra in aumento». Il traguardo del riconoscimento. Sulla carta, la normativa italiana è una delle più aperte in Europa ed estende anche ai cittadini non comunitari la possibilità di ottenere il riconoscimento di studi e professioni. Rivolgendosi direttamente a un ateneo se si tratta di titoli universitari o ai ministeri competenti negli altri casi (si veda la scheda), il costo è di qualche centinaio di euro per la traduzione dei documenti, ma moltissimi rinunciano dopo i primi tentativi. Tra giugno 2004 e 2005, lo sportello attivato dalla cooperativa San Martino a Milano con il progetto «Batik» per aiutare i migranti a ottenere il riconoscimento dei propri titoli ha registrato 22 stranieri provenienti da Sri-lanka, Senegal, Albania, America latina Cina, Ucraina ed Egitto. «La maggior parte ha lasciato perdere dopo Pochi mesi per la complessità della procedura - spiega Ines Lettera, che coordina il servizio -. Le regole cambiano da paese a paese e solo un ragazzo cingalese è arrivato quasi a termine. Poi, a causa del protrarsi del tempo, anche lui ha desistito». In corsia. Anche gli infermieri, tra le figure professionali più ricercate tra gli stranieri si scontrano spesso con un percorso difficoltoso per lavorare in Italia. Il problema non è la Bossi-Fini , poiché queste figure sono fuori dalle quote programmate né la mancanza di domanda. L'Ipasvi (Infermieri professionali e vigiliatrici d'infanzia) indica intorno a 40mila le figure ancora necessarie in centri di cura pubblici e privati, senza contare l’assistenza domiciliare. «L'ostacolo maggiore è la frammentazione degli accordi con gli altri Paesi -spiega Stefania Gastaldi, dirigente dell'ufficio legale dell'Ipasvi -. con la Spagna esiste un riconoscimento, molte scuole rumene hanno modificato il proprio curriculum di studi per renderlo più simile a quello italiano. La riforma Biagi ha stimolato la nascita di molte società di reclutamento c lavoro interinale che si occupano anche dell'avvio delle pratiche di riconoscimento per gli infermieri stranieri, ma non tutte sono accreditate con l'Ordine circoli infermieri. Con quelle riconosciute abbiamo anche avviato 57 commissioni per esaminare all'estero i candidati selezionando più di 1.200 infermieri che si aggiungono ai 9míla che si diplomano ogni anno in Italia e ai comunitari c non che arrivano in Italia da soli. Ma manca ancora moltissimo personale». UNO SU CINQUE CE L'HA FATTA Perseverare e non perdersi mai d'animo» è la « P raccomandazione di Remigiusz Zielinski, veterinario a Roma dalla fine degli anni Novanta, ma laureato presso l'università di Bratislava. «Oggi faccio ciò che ho sempre voluto, dirigo uno studio per piccoli animali - spiega Zielinski - ma ottenere il riconosci mento è stata una vera "via crucis", in parte anche perché al tempo la Polonia non faceva ancora parte dell'Unione europea». Dopo la caduta del muro Zielinski ha viaggiato in Germania, Francia e Inghilterra, fino alla decisione di stabilirsi in Italia. «Per ottenere il riconoscimento della mia laurea polacca c'è voluto cir ca un anno. 11 primo passo è stato raccogliere, far tradurre e autenticare dall'ambasciata ita liana in Polonia tutti i programmi del corso di studi, circa un migliaio di pagine - racconta - poi l'Università di Camerino è stata efficientissima nel valutare la richiesta. Mi hanno ammesso all'ultimo anno di corso e per ottenere la laurea italiana mi è bastato frequentare il corso di medicina legale, e riscrivere la tesi». Altri però non sono stati così fortunati. Dei dieci che avevano pres°ntato domanda nel 1996 solo Zielinski e un'altra studentessa cubana hanno ottenuto il riconoscimento. «Le difficoltà sono arrivate dopo l'esame di Stato perché, soprattutto per mancanza di informazioni, il ministero del Lavoro non voleva rilasciarmi il permesso di lavoro» conclude. Per chi proviene da un Paese non comunitario le cose però pos sono diventare ancora molto complesse, fino a finire in tribunale. Infernúera professionista diplomata a Valona, in Albania, Anna (non il suo vero nome), è arrivata in Italia nel 2000 e ha ottenuto il riconoscimento di tutti i suoi titoli nel 2002, ini ziando subito a lavorare in un ospedale pubblico del Nord. «Il mio lavoro è apprezzato e ho avuto tre contratti a tempo determinato rinnovati senza interruzioni» spiega Anna che è tuttora impiega ta nello stesso istituto. 11 settore ospedaliero italiano è in carenza acuta di infermieri, ma quando l'anno scorso Anna, che in Italia ha anche la famiglia, ha deciso di partecipare a un concorso per un posto a tempo indctenninato è sta ta esclusa perché non cittadina comunitaria. «Ho presentato ricorso in tribunale contro quello che considero un atto discriminatorio - spiega - perché il lavoro è lo stesso, che io lo svolga con un contratto precario o stabile». PAGINA A CURA DI GUIDO ROMEO II veterinario di Bratislava ha l'ambulatorio a Roma Un'infermiera albanese in causa per un posto fisso L ======================================================= __________________________________________________ L’Unione Sarda 16 feb. ’06 LA SANITÀ REGIONALE, PER I MEDICI SARDI SISTEMA DA RIVEDERE grado, da soli, di dare le risposte che i cittadini pretendono». Allarme sanità, lanciato dai vertici sardi della categoria, che forniscono dati preoccupanti sul sistema regionale e chiedono all’assessore Nerina Dirindin di contare di più nelle scelte strategiche sulla sanità: «Etica della professione, ma anche etica delle risorse », dice il presidente cagliaritano dei medici, Raimondo Ibba, ricordando il tema dell’inaugurazione dell’Anno sanitario (sabato a Nuoro), «il medico oggi è chiamato a una doppia gestione della sua professione, non più improntata solo sulla tutela della salute ma anche legata a un utilizzo più razionale delle risorse a disposizione». Tuttavia, l’operato della giunta è giudicato complessivamente bene dai camici bianchi: «L’assessore è abbastanza svincolato da rapporti con i potentati della medicina, lavora in libertà, non sempre ci trova d’accordo su strategie e scelte ma in generale giudichiamo sufficiente la sua gestione». Ieri, alla presentazione dell’Anno sanitario, Ibba, il collega nuorese Luigi Arru e il vicepresidente regionale Bruno Lacu hanno disegnato la situazione sottolineando proprio i dati sui quali c’è disaccordo con la Dirindin: «Mancano almeno 120 medici nell’Isola», ha detto Ibba, «e un numero doppio di tecnici specializzati e infermieri, ma sugli organici noi e la Regione non parliamo la stessa lingua, per l’amministrazione dobbiamo bastarci ». LE PRIORITÀ. Sono due: la riorganizzazione del personale e quella delle risorse. Su questi punti, Ibba (consigliere regionale dello Sdi) e i suoi colleghi sono chiari: «Per quanto riguarda medici e personale sanitario, le cose funzionano solo grazie alla capacità e alla dedizione di chi va in prima linea », mentre sulle risorse si arriva al paradosso: «Prima si dovrebbe capire chi devo curare, dove e come, poi si dovrebbero destinare le risorse. Oggi avviene il contrario, noi restiamo in attesa di un’indagine accurata sui malati che la Regione avrebbe dovuto produrre». Un sistema «sgangherato», dice Ibba, che potrebbe decollare solo con un «progetto organico, magari un’Agenzia della sanità». Le emergenze si chiamano rete oncologica, la neuroriabilitazione e i servizi psichiatrici: «Parliamone insieme», dicono Ibba, Arru e Lacu, «vogliamo essere un ente ausiliario della Regione». __________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 feb. ’06 E L’ASSESSORE DIRINDIN DÀ LA RICETTA AI FARMACISTI Assemblea della Federfarma sull’accordo per la vendita dei farmaci prima reperibili solo negli ospedali ORISTANO. Dopo l’accordo, raggiunto nei giorni scorsi, ecco l’incontro chiarificatore. L’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, i rappresentanti sindacali dei farmacisti e i farmacisti stessi hanno fatto la conoscenza ravvicinata dei dettagli dell’accordo stipulato pochissimi giorni fa e che prevede che alcune categorie di farmaci siano reperibili anche nelle farmacie convenzionate, oltre che nei centri di riferimento della Asl. Rispetto al passato, anche recentissimo, cambia molto e tutto a vantaggio dei pazienti. Ma non solo, perché anche i farmacisti riacquistano un ruolo di primo piano, a dispetto di proposte che ultimamente li vedrebbero equiparati a dei negozianti di generi alimentari. La parte più importante dell’accordo, di cui già nei giorni scorsi è stata data ampia diffusione, prevede che alcune categorie di farmaci siano dispensati anche nelle farmacie, senza costi aggiuntivi e ricarichi a vantaggio di chi li vende. Sono i medicinali di cui fanno uso i cardiopatici, i pazienti con problemi psichiatrici, quelli affetti da malattie neoplastiche e anche i diabetici. Sino ad ora questi potevano essere ritirati soltanto nei centri Asl e quindi nelle farmacie ospedaliere. Ovviamente con immaginabili problemi, legati alla distanza di molti paesi dagli stessi ospedali e ai chilometri che i pazienti avrebbero dovuto percorrere. Ora la diffusione capillare di questi farmaci, va a tutto vantaggio dei malati. Ma la strada percorsa consente anche un abbattimento dei costi — la Regione risparmierà venti milioni di euro — e, come detto, la rivalutazione della professionalità dei farmacisti, punto sottolineato con soddisfazione da Federfarma. (e.c.) __________________________________________________ L’Unione Sarda 11 feb. ’06 BRACCIA INCROCIATE AL POLICLINICO «L’azienda non affronta i problemi» Dopo lo stato d’agitazione dell’ultimo mese, il personale del Policlinico universitario passa al contrattacco: il sindacato ha proclamato per il 6 marzo lo sciopero generale. Una decisione assunta all’unanimità dalle segreterie territoriali universitarie di Cgil, Cisl, Uil e Cisal a causa della «inadempienza della direzione e dell’amministrazione dell’Ateneo, e dopo i due tentativi di conciliazione andati a vuoto». Lo sciopero è stato annunciato al prefetto, alla commissione di Garanzia, per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali, come è appunto il Policlinico, e al rettore Pasquale Mistretta. «Finora - scrivono i sindacati - gli incontri hanno prodotto unicamente impegni generici alla soluzione dei gravissimi problemi tuttora in massima parte irrisolti». Tra questi la mancata applicazione dei contratti nazionali (Università e Sanità) della parte economica e di quello integrativo, progressioni orizzontali del personale ferme da otto anni, riordinamento delle carriere mai effettuato, assenza della ricostruzione dei fondi di produttività e posizione, mancata assegnazione dei locali per le organizzazioni sindacali, e inadempienze nella formazione del personale. (m. v.) __________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 feb. ’06 POLICLINICO, RIESPLODE LA GUERRA Lunedì primo sciopero, ai primi di marzo blocco totale dell’attività CAGLIARI. Mancata ricostruzione delle carriere, incarichi dirigenziali ancora in alto mare, applicazione del contratto che è solo un miraggio. Non c’è davvero pace per i lavoratori del Policlinico universitario di Monserrato, così via di nuovo con le maniere forti: lunedì sciopereranno i lavoratori della dirigenza non medica, mentre il 6 marzo sarà paralisi totale, con uno sciopero generale proclamato da Cgil, Cisl, Uil e Cisal. I rappresentanti dei sindacati ieri hanno spiegato le ragioni della loro rabbia. Una rabbia che dura da anni, al punto che ormai, dice Arturo Maullu, segretario regionale della Cisal - Università, ‹‹ogni dipendente ha in media due ricorsi pendenti contro l’amministrazione universitaria››. Così, mentre ci si prepara alla grande protesta del 6 marzo, lunedì un primo assaggio lo darà la dirigenza non medica, che ha più d’un motivo per incrociare le braccia. ‹‹A cominciare - attacca Arturo Maullu - dalla mancata applicazione del contratto e dal mancato conferimento degli incarichi di responsabile di struttura››. Un punto, quest’ultimo, che aveva alimentato più d’una speranza, soprattutto perché, dicono Cgil, Cisl, Uil e Cisal, ‹‹in un incontro di conciliazione interno, svoltosi alla fine del 2005, il rettore, Pasquale Mistretta s’era impegnato a provvedere entro gennaio 2006››. Un’altra promessa non mantenuta, perché, vanno avanti i sindacati, nonostante gennaio sia passato, dal rettorato non è arrivato alcun segnale. Ma ci sono anche altri motivi che tengono i lavoratori sulle spine. Come la mancata ricostruzione delle carriere. ‹‹La legge è chiara - spiega Arturo Maullu - il personale universitario del policlinico deve essere equiparato a quello ospedaliero di pari mansioni e funzioni››. Significa che a parità di qualifica gli stipendi tra un ospedaliero e un universitario devono essere uguali. ‹‹Invece - dicono i sindacati - qui i lavoratori sono sempre più poveri››. Se i dirigenti non medici stanno male, non va meglio per gli altri dipendenti che devono fare i conti con un fondo d’incentivazione del personale perennemente inadeguato, e con un fondo per le progressioni economiche in condizioni praticamente identiche. Questioni sollevate anche negli anni passati, ma mai risolte, che ora sono diventate ‹‹intollerabili››. Sul problema delle ricostruzioni di carriera, ad esempio, fanno sapere i sindacati, l’università cagliaritana è un caso unico in Italia: ‹‹È l’unica nel panorama nazionale che non ha mai provveduto a ricostruire le carriere del proprio personale: alcune ricostruzioni sono ferme da vent’anni››. Insomma, se come dicono Cgil, Cisl, Uil e Cisal il Policlinico è ‹‹una fabbrica sempre aperta››, ora è il tempo di mettere dei punti fermi. Sulla questione i sindacati hanno scritto anche una lettera al prefetto Efisio Orrù. (s.z.) __________________________________________________ Il Sole24Ore 14 feb. ’06 PROGETTO SANITÀ DIGITALE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA di Benito Carobene Anche il settore sanità, nella Regione Friuli – Venezia Giulia, sta cercando di sfruttare al massimo le capacità delle nuove tecnologie Ict. Infatti, un’iniziativa in corso di realizzazione ha l’obiettivo di fornire al cittadino un sistema completo di servizi che tenga conto di tutte le sue esigenze. Si tratta del progetto di e-government “Servizi integrati sanitari regionali per la continuità della cura” (Sisrcr) che prevede la realizzazione di un sistema integrato per l’Agenzia regionale della Sanità e per le Aziende per i servizi sanitari regionali. Sistema che dovrebbe offrire servizi telematici sia ai cittadini sia alle utenze specializzate (medici, farmacisti, operatori sanitari e così via). Le finalità del progetto sono quelle di mettere a disposizione di tutti servizi che tengano conto, in primo luogo, della necessità di delocalizzazione dei punti di accesso e di concentrazione delle informazioni. Cosa che permetterà, ad esempio, di evitare il ricorso a molteplici accessi per poter recuperare referti e prescrizioni. In pratica, cioè, l’obiettivo è quello di ridurre la spesa non attraverso la diminuzione delle risorse offerte, ma attraverso la razionalizzazione del loro impiego. Il progetto prevede l’attivazione di sette portali (uno per ognuna delle aziende territoriali), più un altro portale che funzioni da punto unico di accesso all’e-government della sanità regionale. Inoltre è previsto un servizio di call center per garantire una copertura costante nell’accesso ai servizi del settore (anche per chi non può collegarsi a Internet) e un sistema di smart card (già ampiamente diffuse sul territorio). Ogni portale comprende un’area Internet e un’area Intranet che i medici e le varie strutture sanitarie utilizzano per prescrivere farmaci e prestazioni di qualsiasi tipo. Oltre alla necessaria registrazione, sono utilizzate come secondo livello di sicurezza le smart card. Queste vengono impiegate per predisporre le prescrizioni farmaceutiche e d’impegnativa e per le relative erogazioni presso le farmacie convenzionate. L’uso combinato della carta del medico (dotata di firma elettronica) e della carta dei servizi consente la visibilità sui referti medici. Le farmacie sono abilitate alla consultazione delle ricette compilate dai medici e assistono il paziente nel prenotare l’impegnativa. Questa arriva al Centro unico di prenotazione direttamente dal medico o dalla farmacia convenzionata che accedono al portale. Durante le operazioni di prenotazione vengono indicati all’assistito le strutture disponibili per la prestazione prescritta in modo che questi possa scegliere quella alla quale rivolgersi. Praticamente, con la propria smart card al cittadino si offrono varie possibilità: a) Recarsi dal proprio medico e ottenere una “impegnativa elettronica” sempre esatta. Infatti tutti i dati (anagrafici del paziente e relativi alla prestazione da erogare e alle medicine da prescrivere) sono verificati tramite la smart card dell’utente e tramite l’accesso alla Intranet del portale con la carta dell’operatore. Inoltre, il medico può visualizzare direttamente i referti relativi agli esami clinici effettuati. b) Recarsi in farmacia per acquistare le medicine o prenotare direttamente le prestazioni. Il farmacista, con la smart card del cittadino può visualizzare i dati anagrafici corretti e l’impegnativa elettronica e, quindi, valutare con il paziente le liste di attesa e la dislocazione dei centri che erogano la prestazione richiesta. c) Recarsi al Centro unico di prenotazione dove l’operatore ha la stessa visibilità sui dati e sull’impegnativa che il medico ha inserito nel sistema, cosa che gli permette di assistere il paziente in tutte le operazioni da compiere. d) Chiamare il call center dichiarando il proprio numero di codice grazie al quale l’operatore viene messo immediatamente in condizioni di conoscere tutte le necessità di chi sta telefonando. Attualmente il progetto è in avanzata fase di realizzazione. Infatti, sono già quattro i portali attivi e tre in corso di avviamento, oltre novanta i medici collegati, quattro i call center in funzione e due in corso di attivazione e 750mila le carte distribuite. Il sistema Sisrcr è nato in una Regione che, oltre ad essere all’avanguardia nella realizzazione di progetti di e-government, sente anche in modo particolare la necessità di provvedere alle esigenze dei cittadini più deboli. Infatti, non va dimenticato che in Friuli Venezia Giulia, su quasi un milione e 200mila abitanti, ve ne sono circa 300 mila che hanno superato l’età di 65 anni. __________________________________________________ L’Unione Sarda 14 feb. ’06 FRANCO MELONI: SELIS NON SCARICHI SU DI ME LA SUA INESPERIENZA Meloni a Selis: «Non scarichi su di me la sua inesperienza» [Sanità] Brotzu. Polemica tra nuovo e vecchio direttore generale Dall'allarme per la mancanza di garze e altro materiale sanitario alla polemica tra il direttore generale e il suo predecessore il passo è breve. Mercoledì il numero uno del Brotzu Mario Selis, giustificando i motivi del rinvio di un intervento al cuore, aveva denunciato problemi di approvvigionamento di materiali causati dalla necessità di rivedere un sistema di acquisti con licitazione privata e «fuori gara» (10,9 milioni di euro su 25,7 di forniture nel 2005) in vigore prima del suo arrivo. Selis aveva anche denunciato l'aumento abnorme della spesa per forniture di materiali, «cresciuta del 32,5% rispetto al 2004». Ieri la replica di Franco Meloni, direttore dell'Azienda sino a fine novembre 2005. «Sono andato via dal Brotzu da diversi mesi ma qualcuno o qualcosa, ogni tanto, mi costringono ad occuparmene», scrive Meloni in una nota. «L'altro giorno sono stato processato e condannato sul giornale per la scomparsa di un busto dall'atrio dell'ospedale. Ho fatto appena in tempo a proclamare la mia innocenza con formula ampia ed ecco che ne arriva un'altra. Sull'Unione di martedì il nuovo direttore generale, dottor Selis, se la prende col passato, cioè con me, se saltano le sedute operatorie di cardiochirurgia per mancanza di garze. Dice che ci vuole una gestione «trasparente e veloce» degli acquisti. E ha ragione. Ma allora perché impiega due mesi a fare una trattativa privata che richiede al massimo due settimane?», si chiede Meloni. «Anziché fare il mea culpa, riconoscersi inesperto e chiedere le attenuanti generiche, spara sulla gestione precedente. Ma io, che non sono la Croce rossa, rispondo al fuoco. Rispetto al 2004 la spesa farmaceutica è diminuita in presenza di una crescita delle prestazioni», spiega l'ex Dg del Brotzu. «Non è affatto cresciuta del 32,5 per cento, come dice lui che forse non sa che i dati sono stati riclassificati nel 2005. Lo chieda all'apposito ufficio dell'azienda, glielo spiegheranno. Fosse stata vera un'impennata del genere, saremmo andati in bancarotta. Secondo Meloni nel 2004 sono stati spesi per consumi 26.003.923 euro e nel 2005 25.584.867. C'è stata una diminuzione, dunque, di 419.057 euro. «Ho fatto il direttore (prima sanitario poi generale) per 22 anni, non ho riportato condanne di alcun tipo e ne sono uscito con una reputazione di assoluta onestà e competenza. Ho reso pubblici i dati della mia gestione: nessuno, e sottolineo nessuno, li ha per il momento smentiti. Anche perché non sono smentibili. Dunque», conclude Franco Meloni, «si tranquillizzi il dottor Selis: ora è il suo turno, si concentri sul lavoro, studi la materia, si applichi e vedrà che i risultati arriveranno. Casomai lungostrada sbagliasse, non dia la colpa agli altri. Alzi coraggiosamente la manina e confessi: sono stato io». __________________________________________________ La Stampa 15 feb. ’06 AVETE IL CELLULARE SPENTO? C’È CHI VI ASCOLTA LO STESSO ECCO COME TELEFONI, E-MAIL E FAX SONO INTERCETTATI DA SATELLITI E MEGACOMPUTER INFORMATICI, fisici, ingegneri, linguisti e tanti matematici: è l'agenzia che ne arruola più di qualsiasi altro ente negli Usa, e probabilmente al mondo. La National Security Agency - finita di nuovo sotto i riflettori per aver illegalmente spiato numerosi cittadini americani - è una delle istituzioni più misteriose mai create. Se ne sappiamo qualcosa, è anche grazie a persone come Steve Wright: ricercatore alla Leeds Metropolitan University, in Gran Bretagna, è l'esperto che ha elaborato per conto dell’Europarlamento il primo rapporto su Echelon, la più straordinaria creatura dell’Nsa. Dottor Wright, perché questa agenzia è la più segreta al mondo? «Perché è il cervello della Presidenza Usa: non usa romantici 007 alla James Bond, ma satelliti, computer iperpotenti e una serie di tecnologie d’avanguardia per spiare un volume impressionante di comunicazioni, telefonate, email, fax: almeno 2 milioni di contatti l'ora». Quali sono le tecnologie più avanzate? «Prima di tutto quelle spaziali, con i satelliti spia del sistema “Vortex”. Poi quelle “System X” che trasformano il cellulare spento in un microfono: qualunque chiacchierata con il telefonino accanto può essere registrata e ascoltata dall’Nsa. Inoltre l’agenzia può registrare ogni spostamento di un individuo proprio grazie al telefonino e i dati vengono conservati per anni. Non credo che l’opinione pubblica se ne renda conto: è un potere impressionante. Qualunque cittadino è nel mirino». Quando ha cominciato a occuparsi di questi sistemi? «Già negli Anni '70. Fotografai alcune strane antenne vicino alla mia università: non potevo ancora saperlo, ma appartenevano a “Echelon”». Le sue ricerche, però, furono subito bloccate. E’ così? «Arrivarono alcuni agenti che mi arrestarono e l'università subì un raid. Arrestarono anche Duncan Campbell, il reporter investigativo che per primo ha scritto di “Echelon”. Ripresi a occuparmene nel ‘96, quando il Parlamento Europeo mi commissionò il rapporto “Stoa”. Comunque, cercando di bloccare più volte le nostre ricerche e di spaventarci, l’Nsa ha reso consapevole l'opinione pubblica mondiale del problema». Ma i controlli diventano sempre più invasivi e sofisticati. E’ così? «Certo. Per fare un esempio, proprio in questi giorni è stata rivelata una tecnologia sperimentale del dipartimento alla Difesa Usa: si tratta di una macchina della verità da usare a distanza senza che il soggetto se ne accorga. E’ una specie di laser da sparare contro un soggetto per misurarne i parametri come il battito cardiaco o la respirazione e rilevare le alterazioni tipiche di una persona che sta mentendo». Come potrebbe trasformarsi «Echelon» nel prossimo futuro? «Inzialmente è stato un unico insieme di tecnologie, ma tra un po’ di tempo potrebbe diventare un organismo complesso, formato da centinaia di sottosistemi. Ormai il tasso di innovazione è tale che si va verso la fusione tra le tecnologie di sorveglianza e le armi: basta pensare a come è stato ucciso il leader dei ceceni, il generale Dudayev. I russi non riuscivano a eliminarlo, perché era un “bersaglio mobile” e si nascondeva in zone difficilmente accessibili. Ma l’Nsa ha trovato la soluzione e l’ha fatto saltare in aria con un missile sintonizzato sul segnale del telefonino». Eppure Bin Laden resta imprendibile: che cosa non funziona ancora in questa rete globale che dovrebbe vedere e sentire tutto? «Al Qaeda è regredita nel tempo, alle comunicazioni primitive: messaggeri a piedi e riunioni in cima alle montagne. L’11 settembre è stato possibile perché l’Nsa ha fallito, eppure è stata premiata con un budget enorme. Perciò la vera domanda è: perché gli Usa continuano a investire una mole enorme di dollari in un sistema che il suo nemico numero uno ha dimostrato di saper aggirare? La lotta al terrorismo non sarà una cortina fumogena? Forse è un modo per sviluppare tecnologie fantascientifiche di cui non sospettiamo nemmeno l’esistenza». Stefania Maurizi __________________________________________________ La Stampa 15 feb. ’06 LE ARMI INTELLIGENTI DANNO LA CACCIA AI TUMORI ESISTONO macchine sofisticatissime che uccidono soltanto il nemico. Esistono macchine sofisticatissime che quasi prescindono dal guidatore tanto sono computerizzate. Esistono macchine sofisticatissime. E sono italiane. Perché, allora, non realizzare macchine che fanno bene alla salute? Esistono macchine sofisticatissime che possono cambiare obiettivi solo sostituendo il software. Dalla guerra, in un attimo, si passa alla salvezza. E’ ciò che ha pensato e fatto l'oncologo torinese Claudio Zanon, che si spende per far sì che la tecnologia italiana possa essere «buona» nel senso migliore del termine. «Tutto è iniziato nel ‘96, quando abbiamo inventato e brevettato un sistema per introdurre un catetere nell'arteria che irrora il fegato. Il sistema rende la chemioterapia più selettiva e, quindi, meno tossica e più efficace. Il catetere è stato prodotto da una multinazionale americana. Anni dopo, e qualche brevetto dopo, noi del “San Giovanni Antica Sede”, che fa parte del San Giovanni Battista-Molinette di Torino, ci siamo chiesti: perché non trovare fondi nostrani? Perché andare sempre all'estero per vedere riconosciute le nostre scoperte?». Zanon e il suo gruppo si sono quindi rivolti al Politecnico di Torino, che ha un corso di laurea in ingegneria biomedica, e hanno proposto una joint-venture tra chi si occupa di idee innovative nella tecnologia medica e chi invece deve realizzarle. E ora il Politecnico, con l'Istituto Boella, sta aprendo proprio presso l'ospedale «San Giovanni Antica Sede» un laboratorio di didattica e ricerca: il lavoro comune ha creato rapidamente una serie di prototipi. Come la Dat, (acronimo per Dynamic area telethermography), un termografo costruito a scopi bellici, a cui è stato applicato un software in grado di fotografare il seno per un possibile screening accuratissimo, che potrebbe rilevare cellule tumorali in anticipo sulla mammografia. E senza raggi nocivi. Sempre a Torino, presso la facoltà di Fisica, in attesa di essere collocata al «San Giovanni Antica Sede», c'è una macchina che genera neutroni e che è utile per la boroterapia, in grado cioè di iniettare la sostanza nociva solo per le cellule tumorali del fegato, che quindi vengono distrutte selettivamente. Un altro prototipo è l’elettrogastrografia, rilevatore simile all'elettrocardiogramma, che registra i movimenti gastrici e intestinali: la sperimentazione sta avvenendo con successo sui grandi obesi, che spesso hanno problemi di svuotamento accelerato dello stomaco e soffrono di conseguenza di una bulimia in forma cronica. C'è poi una macchina, ora in arrivo, che focalizza gli ultrasuoni e lavora in sinergia con la risonanza magnetica nucleare in grado di indirizzare gli ultrasuoni su un punto preciso del corpo e lì distruggere i tumori benigni e maligni. E’ una procedura già in uso a Londra, Berlino e Tel Aviv, oltre che negli Stati Uniti. «Per arrivare a tanto - prosegue Zanon - abbiamo creato una fondazione, denominata “Cir Park” (Clinical Industrial Research Park), che ha come soci fondatori la Regione Piemonte, il Politecnico, l'Università di Torino, il nostro ospedale e l'Istituto Boella con il compito di raccogliere fondi per implementare ricerche finalizzate alla produzione. Una fondazione che in pratica dovrebbe sostituire in questo sforzo le grandi case farmaceutiche italiane, ormai sparite dalla scena». Torino, in questo senso, potrebbe trasformarsi nel nuovo polo italiano dell’industria tecnologico- biomedica: «Qui possediamo un grande know how e prototipi dalle potenzialità enormi. Ora dobbiamo riuscire a creare un sistema di supporto che li trasformi in realtà». Michela Tamburrino __________________________________________________ La Stampa 15 feb. ’06 IL COMPUTER A RUOTE DEGLI ANTICHI GRECI L’INCREDIBIL E’una magnifica detective story: a dirlo con il cuore in gola è Michael Geoffrey Edmunds, astrofisico della Cardiff University, che della detective story è diventato il protagonista. Sogna di risolvere un mistero tecnologico che sconcerta gli archeologi e gli scienziati da 105 anni e che proviene dal I secolo avanti Cristo, quando i computer a manovella non avrebbero dovuto esistere. Si dice sicuro che stavolta il meccanismo di Antikythera si svelerà e si capirà a che cosa servisse un sofisticato strumento miniaturizzato di 35 centimetri con almeno 30 ruote dentate e tre quadranti, trovato nel 1901 in un relitto greco, non lontano da Creta. «Chissà se troveremo le istruzioni per l’uso!», scherza. Ma neanche troppo. Vuole indagarne le superfici con precisione microscopica e leggerle, come si è fatto per decifrare alcune tavolette babilonesi, utilizzando una tecnica d’avanguardia chiamata Ptm, Polynomial texture maps. Sequenze di foto ad altissima definizione dovranno rintracciare la presenza di scritte e numeri (qualche lettera è già stata individuata in passato) e i dati saranno combinati con altre esplorazioni, che prevedono una tomografia a raggi-x e una tecnica di ricostruzione in 3D utilizzata finora nei laboratori informatici per le ispezioni dei microchip: alla fine la macchina di Antikythera, arrivata fino a noi incompleta (e custodita al Museo di Atene), risorgerà con un grado di precisione inedito e straordinario, fino a 10 micron, spalancandosi così negli orizzonti dell’infinitamente piccolo (ogni micron corrisponde a un milionesimo di metro). «Sono sempre mancati i dati completi per poter passare davvero dalle congetture alle certezze. Tra poco, invece, sarà tutto diverso», annuncia enfaticamente Edmunds, sedotto dal giallo di una meraviglia meccanica che non avrebbe avuto rivali per un millennio, quando fu eguagliata (e poi superata) dagli orologi delle cattedrali europee. Antikythera era un orologio ante litteram? Un calendario astronomico in grado di determinare la posizione del Sole e della Luna? Uno strumento di precisione per osservare i pianeti allora conosciuti, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno? Dalle ricerche pionieristiche negli Anni ‘50 del fisico britannico Derek De Solla Price a quelle recentissime di Michael Wright, curatore al Science Museum di Londra, gli indizi si sono accumulati e incrociati, dando vita a scenari via via più sorprendenti. Ma non hanno smascherato il vero utilizzo del meccanismo. «E’ possibile che fosse utilizzato per determinare i periodi delle semine o come apparecchio didattico negli studi di astronomia o, ancora, per elaborare oroscopi», spiega Lucio Russo, professore di calcolo delle probabilità all’Università Tor Vergata e considerato uno dei massimi conoscitori della tecnologia del mondo classico (suo è il saggio «La Rivoluzione Dimenticata»). Ma - aggiunge - «sarebbe emozionante immaginare che, in realtà, non si trovasse per caso a bordo di una nave da 300 tonnellate: potrebbe essere stato uno strumento standard per la navigazione». Così si spiegherebbero le performance marinare di greci e romani, che si spinsero oltre il Mediterraneo, navigando nell’Oceano Indiano (e aprendo alcune tra le numerose rotte delle spezie) e nell’Atlantico (come testimonia la spedizione di Pitea nel Nord Europa, fino alle Shetland o, a seconda delle interpretazioni, all’Islanda). Proprio la tecnologia navale resta uno dei disturbanti buchi neri dell’antichità: «Non si è ancora riusciti a ricostruire un modello definitivo delle triremi né tantomeno delle quadriremi, pentaremi ed esaremi», spiega Russo. E ancora meno si sa delle meraviglie hi tech prodotte a Rodi alle quali alludono molti autori, Polibio e Strabone, incantati dalla Silicon Valley dell’età ellenistica. Non è affatto impossibile che il meccanismo di Antikythera fosse «made in Rodi», l’isola dove gli ingegneri erano costretti al silenzio sulle loro invenzioni. Un segreto che continua anche nell’anno 2006. __________________________________________________ Le Scienze 16 feb. ’06 ANTIOSSIDANTI E TUMORI DELLA PROSTATA Solo i fumatori hanno un minor rischio di neoplasie se assumono alte dosi di vitamina E Un consistente introito di vitamina E, beta-carotene e vitamina C non previene efficacemente il tumore della prostata. È quanto ha concluso un ampio studio su più di 29.000 volontari condotto da Richard B. Hayes, del National Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland. Durante un follow-up medio di 4,2 anni, sono stati riscontrati 1338 casi di cancro della prostata, di cui 520 con diagnosi della malattia in stadio avanzato e nell’intera coorte non è stata riscontrata alcuna correlazione statistica tra la prevalenza della patologia e l’assunzione delle sostanze considerate. Già in passato, numerose ricerche epidemiologiche si sono occupate di valutare gli effetti sanitari degli antiossidanti, in particolare di un ipotetico effetto protettivo nei confronti dei tumori, fornendo risultati contraddittori. Secondo quanto scrivono gli autori dell’articolo apparso sulla rivista “Journal of the National Cancer Institute”, il risultato “non fornisce un forte supporto alle campagne per l’integrazione della dieta su larga scala con alte dosi di antiossidanti, nonostante si sia trattato di un studio con un follow-up relativamente breve.” Le uniche correlazioni positive, sempre secondo lo studio, sarebbero le seguenti: i fumatori hanno un minor rischio di tumore della prostata se assumono alte dosi di vitamina E mentre i soggetti con una dieta povera di beta-carotene sembrano trovare giovamento da un aumento di assunzione di questa sostanza. __________________________________________________ Corriere della Sera 19 feb. ’06 RAGGIO VERDE SULLA PROSTATA Nuova tecnica di intervento, con diversi vantaggi, per l’ipertrofia In alternativa ai metodi classici un laser superpotente, che elimina con grande precisione le parti della ingrossate della ghiandola STRUMENTI Un raggio di luce verde e il tessuto di troppo svanisce in una nuvola di gas. È ciò che si ottiene con una nuova tecnica laser, approvata nel 2001 dall’ente sanitario federale americano per trattare l'ingrossamento della prostata, l'ipertrofia prostatica. Con gli stessi risultati della resezione endoscopica o Turp, ma in modo meno invasivo, con minori rischi e in tempi ridotti. Al posto del tradizionale bisturi elettrico, questa metodica, chiamata Pvp (Photoselective vaporization of the prostate) sfrutta un nuovo tipo di laser ad alta potenza introdotto con un piccolo endoscopio nell'uretra fino a raggiungere la ghiandola ingrossata. «In 30-60 minuti, il laser scalda a 500 gradi la parte da eliminare, vaporizzandola millimetro per millimetro con estrema precisione, senza provocare sanguinamento, anziché "affettarla" come fanno sia il bisturi, sia altri tipi di laser in uso» spiega Andrea Tubaro, docente di urologia dell'Università La Sapienza di Roma. L'intervento, in anestesia spinale, si può eseguire in regime di day hospital perché implica un breve ricorso al catetere dopo l'operazione: qualche ora contro le 48-72 della resezione endoscopica, che richiede perciò una degenza più lunga, di almeno 3-6 giorni. ? Dove si può fare l'intervento La maggior parte dei pazienti torna a casa il giorno stesso e al lavoro in meno di una settimana. Con un abbattimento dei costi socio-sanitari, ma non solo. «A parità di efficacia, la nuova tecnica riduce sensibilmente i rischi e le complicazioni durante e dopo l'intervento rispetto alla Turp - afferma Giancarlo Comeri, responsabile dell'Unità operativa di urologia e andrologia del Centro Multimedia di Castellanza (Varese), che ha all'attivo circa 150 interventi. La resezione endoscopica, infatti, può dare emorragie nel 12-15% dei casi e nel 5- 8% richiedere trasfusioni. Un problema superato con il laser verde che, grazie alle spiccate proprietà emostatiche, non provoca perdite di sangue e permette di eseguire l'intervento anche nei pazienti in terapia con farmaci anticoagulanti e in quelli che soffrono di malattie della coagulazione, come gli emofilici. Un altro inconveniente, pressoché costante, della Turp, è l'eiaculazione retrograda, l'emissione dello sperma in vescica anziché all'esterno, durante l'orgasmo. «Un evento che può creare un forte disagio psicologico, e che il laser verde permette di limitare al 26% dei casi» commenta Comeri. «L'intervento non presenta controindicazioni -aggiunge Lucio Miano, direttore della Clinica urologica della Seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università La Sapienza di Roma -; l'unico limite è che non lascia materiale a disposizione per l'esame istologico e va quindi eseguito solo con l'assoluta certezza che l'ipertrofia sia di natura benigna, non dovuta a un tumore». I risultati, sono duraturi e definitivi? «È troppo presto per avere risposte certe - risponde Aldo Bono, primario di urologia dell'Ospedale di Varese e presidente della Società Italiana di Urologia - ma visto che la Pvp si limita a rimuovere il tessuto in eccesso, e non agisce sulle cause a monte dell'ipertrofia, è logico aspettarsi una certa percentuale di ricadute nel tempo. Cosa che però vale anche per la tecnica tradizionale». Impiegata su oltre 100mila pazienti nel mondo, di cui mille in Italia nel 2005, la nuova metodica è disponibile nel nostro Paese in 14 centri italiani, rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. Alessandra Terzaghi _________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’06 TUMORI POCHE (E COSTOSE) LE CURE A DOMICILIO Il servizio non è garantito sull'intero territorio nazionale e spesso richiede ai pazienti spese aggiuntive per farmaci e attrezzature. STRUMENTI MILANO - Costi elevati, che gravano ancora troppo sulle spalle delle famiglie, e una distribuzione ineguale sul territorio: questi i punti deboli del sistema di assistenza domiciliare per i malati di tumore in Italia, secondo l’ultimo rapporto annuale compilato dall’organizzazione Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Essere curati a casa con un supporto professionale adeguato è (o perlomeno dovrebbe essere) un diritto dei malati oncologici: lo afferma anche il Ministero della Salute, che ha inserito i “servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi” all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza, in sigla LEA, che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini. Eppure, a detta di Cittadinanzattiva, è impossibile persino sapere quante ASL in Italia sono attrezzate in tal senso, dal momento che mancano del tutto dati ufficiali; si sa però che una larga fetta di domanda assistenziale resta senza risposta e che spesso le famiglie sono costrette ad arrangiarsi con le proprie forze. Nel rapporto annuale l’associazione ha comunque cercato di capire come lavorano le Aziende Sanitarie Locali che invece forniscono questo tipo di servizio, misurando anche il livello di soddisfazione dei destinatari. In tutto, hanno partecipato al censimento 32 ASL, e - fra queste - 17 hanno coinvolto i propri utenti nella compilazione dei questionari. I costi Anche laddove esistono, le reti di assistenza domiciliare e i meccanismi di sostegno economico e di previdenza sociale non sembrano bastare, e 4 famiglie su 10 devono integrare a proprie spese le prestazioni offerte dal servizio. Costano cari soprattutto i farmaci (oltre 100 euro al mese nel 26 per cento dei casi, ma con punte di 500 euro) e le prestazioni di persone supplementari (si spende fino a 2.000 euro al mese per una badante, che viene chiamata nel 38 per cento dei casi, e fino a 2.600 euro per un infermiere, coinvolto nel 10 per cento dei casi). Poi ci sono le attrezzature medicali che l’ASL non passa o che arrivano in ritardo e altre spese “logistiche”, come comunicazioni, spostamenti, consumi energetici. I tempi Notizie migliori, invece, riguardano i tempi d’attesa (nelle zone in cui, ovviamente, il servizio è attivo). Questi tempi risultano generalmente brevi: una volta ottenute le informazioni opportune (spesso dal medico di base, a volte dall’ospedale o dallo specialista, ma anche dal passaparola tra conoscenti) su come fare a inoltrare la richiesta, quasi sempre l’assistenza domiciliare viene attivata entro una settimana, ma restano gravi ritardi per la fornitura di ausili pratici, come letti articolati, carrozzine, sollevatori, materassi speciali per prevenire le piaghe da decubito, pannoloni, attrezzature quotidianamente necessarie, che a volte arrivano dopo un mese. Le figure professionali Sembra buono il giudizio sulle équipe assistenziali, che risultano disponibili e presenti, con un particolare apprezzamento per gli infermieri che, insieme ai medici di medicina generale, rappresentano la maggior parte dei ruoli professionali coinvolti. Nella metà dei casi censiti da Cittadinanzattiva, i malati hanno potuto contare sul supporto di uno psicologo. Molto più raro, invece, l’intervento di altre figure come nutrizionisti, fisioterapisti o assistenti sociali. La terapia del dolore Quasi tutte le ASL hanno un piano d’azione per la terapia del dolore, con medici specializzati, anche se una certa quota di pazienti (8%) incontra ancora ostacoli importanti nell’accesso ai farmaci oppioidi, pur con tutte le misure intraprese dalle istituzioni per facilitarne l’uso. Capita, ad esempio che il medico non disponga del ricettario, si sbagli a compilare la ricetta, o che il medicinale non sia presente in farmacia. Inoltre, solo nel 50% dei casi valutati da Cittadinanzattiva qualche medico si è informato regolarmente per sapere se il dolore persisteva o meno. Cosa fare La risposta alle “zone d’ombra”, secondo Cittadinanzattiva, è principalmente l’integrazione: con gli altri comparti sanitari, con il già citato sistema dei LEA, con le realtà assistenziali presenti sul territorio e con le altre ASL, in una vera “logica di rete”. Non è accettabile – denuncia il rapporto - che l’assistenza domiciliare sia sganciata dal percorso di cura, e che i pazienti vengano abbandonati a loro stessi, quando escono dall’ospedale. Donatella Barus __________________________________________________ Corriere della Sera 17 feb. ’06 10% DEI FARMACI È CONTRAFFATTO Il dato diffuso dall'Oms. Un business aumentato del 92 per cento in cinque anni. A Roma un summit con gli esperti di tutto il mondo STRUMENTI ROMA - Il 10 per cento dei farmaci nel mondo è contraffatto. Il dato proviene dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). E il fenomeno è in preoccupante crescita e interessa tutti i Paesi. Per questo, la lotta alla contraffazione è diventata prioritaria, tanto che per studiare contromisure immediate, dal 16 febbraio al 18 febbraio, l'Oms riunisce a Roma le parti interessate, tra cui anche l'Agenzia del Farmaco (Aifa) che accoglierà il summit insieme alla Cooperazione Italiana. L'obiettivo è quello di creare una task force incaricata di mettere a punto precise modalità di azione. Il gruppo di lavoro avrà infatti il compito di trovare rimedi legislativi e commerciali per contrastare la contraffazione. BUSINESS IN CRESCITA - Un rapporto del Centro sui Farmaci di Pubblico Interesse statunitense, dice che il giro di affari atteso per il 2010 è pari a 75 miliardi di dollari, con un aumento del 92% rispetto al 2005 fra 5 anni. Preoccupa non meno il fatto che nessun Paese sarebbe estraneo al commercio di medicinali contraffatti, benchè chi controlla questo mercato operi soprattutto in zone dove la regolamentazione farmaceutica lascia a desiderare. Occorre dunque intensificare le misure già intraprese, ma anche escogitare nuovi metodi, semplici e poco costosi, per identificare i falsi. Un esempio che viene gìa indicato è quello dei test colorimetrici messi a punto per smascherare l'antimalarico artemisinina contraffatto. Ma occorre anche estendere il sistema di controllo e allerta rapida in rete, sulla base del modello già collaudato per il Pacifico occidentale. In sperimentazione ci sono infine sistemi identificativi a radiofrequenza in grado di 'scortarè i farmaci lungo la catena distributiva. Il summit romano è organizzato col sostegno della Federazione Internazionale dell'industria Farmaceutica (FIIM) e del governo tedesco.