UNIVERSITÀ: CREDITI E RIFORMA: SCONTRO ATENEI-MIUR - RIFORMA ATENEI, LO STOP DEI RETTORI - PRESIDI DI FACOLTÀ, NO ALLA RIFORMA - UN' AUTONOMIA SALVA-ATENEI - L'ECCESSO DI CURE PUÒ FAR MORIRE L’UNIVERSITÀ - STUDIARE MEGLIO O PIÙ A LUNGO? RITORNO AL FUTURO DELL’UNIVERSITÀ - FACOLTA’ CREATIVE - RICERCA IL FUTURO IN VENTI SETTORI - CRUI:IL 5 PER MILLE AIUTERÀ LA RICERCA - CAGLIARI: BRAVI RICERCATORI SOLO SULLA CARTA IL MINISTERO BOCCIA L'UNIVERSITÀ - LA PRIMA VOLTA IN ANTARTIDE DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI - INGEGNERIA D’AVANGUARDIA, DAL SUPERCONDUTTORE ALLA LAUREA INTERNAZIONALE - LAUREE A DISTANZA, UNIVERSITÀ DI FIRENZE COLLEGATA CON TORTOLÌ - BIBLIOTECHE, LA GRANDE CRISI - STUDENTI IMPREPARATI, COLPA DEI GENITORI - UNIVERSITA’ DENUNCIA L’ INSUFFICIENTE PREPARAZIONE DEGLI STUDENTI SECONDARI - L' EDUCAZIONE VALE UN CAPITALE - L'ECCESSO DI CURE PUÒ FAR MORIRE L’UNIVERSITÀ - L’UOMO COSTRETTO A SCENDERE DAL PIEDISTALLO - IO RICERCATORE E SCIENZIATO COSTRETTO A VIVERE DA BARBONE - ======================================================= CAGLIARI: S’INAUGURA LA NUOVA MEDICINA - I DIPENDENTI BLOCCANO IL POLICLINICO - ENTRO GIUGNO L’AZIENDA MISTA NIENTE PIÙ REPARTI FOTOCOPIA - IL CNIPA AL LAVORO PER INTRODURRE LE TECNOLOGIE RFID NELLE PA - MEDICINA, ECCO LA RICERCA CHE VINCE - IL PIANO SANITARIO? SOLO BUONE INTENZIONI - LUCE VERDE PER IL SAN RAFFAELE SARDO - FISIOTERAPIA: STOP ALL’EQUIPOLLENZA - FISIOTERAPIA? "NON È PER TUTTI" - SEIMILA ITALIANI IN ATTESA PER UN RENE - NOMINE, IL SINDACATO ATTACCA GUMIRATO - IN ARRIVO UN TEST PER I TUMORI DEL CAVO ORALE - QUELLO CHE VOGLIAMO DAI MEDICI - ATTENTI ALLA SINDROME DI HIGHLANDER - VERONESI: CON LA RADIOTERAPIA VELOCE PER DIMEZZARE I TEMPI DI CURA - LA SCOMMESSA DEL BISTURI SU MISURA - ======================================================= __________________________________________________________ Liberazione 8 mar. ’06 UNIVERSITÀ: CREDITI E RIFORMA: SCONTRO ATENEI-MIUR Rettori preoccupati dall'attacco all'autonomia degli atenei. Ma a far tremare gli studenti universitari è l'ulteriore frammentazione e dequalificazione della produzione di saperi di Nicola Monteleone Un nuovo scontro si apre tra governo ed atenei italiani. Il campo di battaglia? Il nuovo sistema di riconoscimento crediti e l'attuazione della riforma a 'Y': In attesa del giudizio della Corte dei Conti sul decreto già approvato dalle Camere, i rettoti preparano ricorsi da inviare al Tat: Ad essere attentata, secondo i magnifici, è l'autonomia degli atenei costretti a riconoscere i credili formativi degli studenti provenienti da altri poli universitari. Unico vincolo da rispettare è l'appartenenza alle stesse classi di laurea di partenza. I crediti, inoltre, avranno stesso valore, per ciascun. esame universitario. Ma è qui che si annida il problema del mondo accademico italiano? La richiesta dell'aumento dei crediti per esame e del riconoscimento del valore legale degli esami, è stata una parola d'ordine del movimento studentesco, protagonista, nell'autunno scorso, di settimane di mobilitazioni, occupazioni, blocchi della didattica e della grande manifestazione del 25 ottobre arrivata ad assediare Montecitorio. Per questo «è inaccettabile», secondo Giulio Calella, responsabile nazionale università dei/delle Giovani Comunisti/e, «attaccare quest'ultimo decreto della Moratti, come fai] rettore Fabiani (dalle pagine di Repubblica, ndr), partendo dalla richiesta di più autonomia, Se è questo il programma dell'Unione, inizia mettendosi subito contro il movimento degli studenti. E' l'autonomia didattica e finanziaria ad aver creato l’aziendalizzazione degli atenei, la mercificazione del sapere e dunque un rafforzamento anche delle università private. Se il decreto della Moratti nasconde insidie è per l’esistenza stessa dell'autonomia e per la logica insita nel "3+2" che, con il sistema a 'Y'; sarà inasprita ancor di più. Ci piacerebbe, invece, discutere dei disastrosi dati dell'ultima indagine di Almalaurea figli di questa logica». E' la nuova riforma universitaria a "Y" il problema, perchè qui il sapere si configura come una vera e propria forma di selezione e precarizzazione per tutti gli studenti e i ricercatori dell'università e della conoscenza già omaggiati dall'indice medio della Santartchè. Cosa prevede il nuovo percorso di studi? La scelta, dopo un primo anno propedeutico comune a tutti, tra l'inseguire una laurea triennale oppure continuare a studiare per altri quattro anni. Addio "3+2". Se dovesse arrivare il nulla osta da parte della Corte dei Conti, i tempi d'attuazione della nuova riforma Moratti si ridurrebbero tanto da introdurre i nuovi meccanismi già dal prossimo anno accademico. Poco importa se l'offerta formativa è stata già preparata e le prescrizioni ai corsi universitari si sono aperte. E se queste non sono adempimenti burocratici ma strumenti d'orientamento per gli studenti, come sottolineano al Miur, appare assai difficile orientarsi in uno scenario in continua trasformazione. Sarebbe opportuno parlare di come la produzione dei saperi non è misurabile in unità di tempo e in crediti formativi. Di come il sapere vivo dovrebbe essere un processo collettivo e cooperativo radicalmente alternativo ai linguaggi e alla logica dell'università-azienda, individualista e competitiva. La parcellizzazione, la frammentazione e la dequalificazione degli studi non produce altro che precarizzazione. ll sapere non può ridursi a nozionismo ed essere rinchiuso in losanghe da annerire su moduli ottici. La vita universitaria non può essere tutta un quiz. Si parla di aumentare quantitativamente il numero dei laureati ma occorre guardare, con la stessa attenzione alla qualità dei laureati stessi. Bisogna riformare seriamente l'università ma bisogna tenere ben conto di una generazione stanca di sentirsi cavia del Miur. Di migliaia di ragazzi disagiati dallo scrutare all'orizzonte precarietà lavorativa e dal vedere sogni e aspettative tramutarsi in illusioni. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 08 mar. ’06 La Crui respinge le dimissioni di Tosi RIFORMA ATENEI, LO STOP DEI RETTORI MILANO L' assemblea generale della Conferenza dei rettori boccia gli schemi dei decreti attuativi della riforma degli ordinamenti universitari (Dm 270/2004) che la scorsa settimana hanno ottenuto il parere favorevole della commissione Cultura della Camera. Come anticipato dal Sole-24 Ore di domenica scorsa, la riunione di ieri è servita ai rettori per formalizzare il loro «no» ai provvedimenti che introducono l'obbligo di riconoscere i crediti acquisiti dagli studenti che cambiano corso o ateneo rimanendo nella stessa classe di laurea e prevedono la possibilità di far partire i nuovi ordinamenti già dal prossimo anno accademico. Nel documento varato all'unanimità, che è stato inviato a tutti gli atenei perché lo sottopongano all'approvazione dei senati accademici, la Conferenza definisce «inapplicabile» la riforma nel prossimo anno «per l'evidente mancanza dei tempi tecnici necessari ad approntare le modifiche agli ordinamenti didattici», anche perché l'offerta formativa è stata "chiusa" il 31 gennaio scorso e necessiterebbe di una revisione profonda. «Vogliamo evitare - spiega Vincenzo Milanesi, rettore di Padova ed estensore del documento - che si ripeta quanto successo sei anni fa con il decreto 509, quando la rincorsa fra gli atenei per applicare la riforma generò solo confusione». Ma non sono solo i tempi a impensierire i rettori, che nel documento si dicono «sconcertati» per alcune prescrizioni del decreto «vistosamente lesive dell'autonomia degli atenei in materia di didattica». Il riferimento è all'obbligo di riconoscere i crediti maturati all'interno di una classe di laurea, che secondo i professori (l’interconferenza dei presidi di facoltà si era espressa negli stessi termini due settimane fa) rischia di creare curricula "incontrollati". La classe di ingegneria industriale, ad esempio, abbraccia diversi percorsi (ingegneria elettrica, energetica, gestionale, meccanica, solo per citarne alcuni) e la norma potrebbe di conseguenza imporre il riconoscimento di crediti molto distanti dall'ambito del corso di laurea che accoglie lo studente trasferito. Per correggere la norma, i rettori confermano l'intenzione di «agire in ogni sede, comprese quelle giurisdizionali». Nell'assemblea di ieri, la Crui ha anche respinto all'unanimità le dimissioni del presidente Piero Tosi, presentate lo scorso 27 febbraio dopo che la Procura di Siena, che lo sta indagando per abuso d'ufficio, lo ha sospeso per due mesi dalla carica di rettore dell'ateneo cittadino. GIANNI TROVATI – __________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 mar. ’06 PRESIDI DI FACOLTÀ, NO ALLA RIFORMA Dopo il no dei rettori, anche i presidi delle facoltà insorgono contro il riordino delle classi di laurea. I presidi Mario Morcellini e Andrea Stella si sono dimessi dal Comitato tecnico scientifico per la riforma per protestare contro il decreto di accompagnamento alle nuove classi di laurea, «i cui contenuti - ha detto Marcellini - sono completamente diversi da quelli concordati in sede di comitato». La polemica riguarda soprattutto i tempi di applicazione delle nuove disposizioni; «Avevamo concordato la partenza al 1° ottobre 2007 - spiega Morcellini -- mentre il decreto anticipa la scadenza al 1° novembre 2006». L'interconferenza dei presidi ha chiesto di non applicare la riforma per il prossimo anno accademico. (A.Tri.) __________________________________________________________ Il Sole24Ore 09 mar. ’06 UN' AUTONOMIA SALVA-ATENEI Libertà, incentivi, fine del valore legale del titolo: queste le misure più urgenti per reggere i :l confronto mondiale Per vincere le prevedibili resistenze corporative meglio partire da una graduale sperimentazione C Di GIANNI TONIOLO Clinton, Bush, Blair. Merkel, Koizumi hanno posto università e ricerca in posizione preminente nei propri programmi. II primo ministro inglese ha assunto in proposito un considerevole rischio politico. Non così in Italia. La "riforma" Moratti non è né buona né cattiva: non è. Altrettanto si può dire del programma universitario dell'Unione. Malgrado queste disattenzioni, cresce nel Paese la convinzione che ricerca e formazione siano uno degli snodi decisivi per il rilancio sociale, economico e culturale dell'Italia. Le università animano l'identità culturale del Paese, formano i professionisti, i tecnici, i ricercatori, generano la ricerca scientifica di base e producono una quota non trascurabile di quella applicata. Sono veicolo di mobilità sociale e ricambio generazionale. Meritano, dunque, attenzione anche a rischio di scontentare la parte più corporativa degli accademici e quella più pigra del corpo studentesco. L'Italia è ricca di studiosi di grande valore, in talune aree del sapere è all'avanguardia internazionale, possiede dipartimenti che producono didattica e ricerca di frontiera. Nel complesso, tuttavia, il nostro sistema universitario è debole: produce un numero relativamente basso di laureati ai vari livelli; la qualità media degli studi è modesta e il valore economico dei titoli (differenziale di retribuzione tra laureati e non) è tra i più bassi dei Paesi Ocse; molta ricerca non è competitiva (sono pochi gli studiosi stranieri nei nostri atenei mentre sono numerosi gli italiani che scelgono di lavorare all'estero). Il sistema universitario italiano è un motore imballato. Può riprendere a correre purché venga liberato da quattro pesi: l'eccessiva burocratizzazione, le rendite di posizione accademiche e non un obsoleto sistema di governo degli atenei, un insieme perverso di incentivi. I sistemi, universitari più dinamici sono basati sull'autonomia piena degli atenei, in un contesto di poche, chiare norme di carattere generale. Perfino il Giappone, sino a ieri foresta pietrificata, sta realizzando una rivoluzione basata sulla totale autonomia degli atenei. Bisogna, dunque, che anche le università italiane godano di autonomia di organizzazione, di assunzione del personale (docente e non docente), dì fissazione delle remunerazioni, di formulazione dei programmi di insegnamento, di scelta dei criteri di ammissione degli studenti e, in genere, di gestione delle proprie risorse. Tolto l'equivoco del cosiddetto valore legale del titolo, gli atenei potranno liberare le proprie energie migliori e competere, su scala locale e internazionale, per i finanziamenti alla ricerca e per l'acquisizione dei migliori studenti. È compito dello Stato creare incentivi alla ricerca e alla didattica di qualità, distribuendo i finanziamenti per la ricerca solo sulla base dei risultati della stessa certificati da un'autorità indipendente e quelli per la didattica prevalentemente sotto forma di borse di studio che gli studenti possano utilizzare in qualunque ateneo. La piena autonomia delle università - accompagnata da un depotenziamento del "valore legale" e da un forte sistema di incentivi - è la sola "riforma" in grado di liberare il "Prometeo incatenato" dell'accademia italiana. Le energie più giovani e quelle migliori dei nostri atenei auspicano questa "rivoluzione". Malgrado ciò, le resistenze corporative sarebbero enormi, superabili solo dalla spinta convinta della maggioranza parlamentare. Sarebbe probabilmente necessario avviare questa riforma con gradualità. Si potrebbe partire incentivando la scelta volontaria di taluni atenei di un regime di autonomia piena. È questo il nocciolo di una proposta che da tempo andiamo facendo con Nicola Rossi e che è adesso contenuta in un disegno di legge a firma dello stesso Rossi. Un nucleo di atenei autonomi indicherebbe agli altri la strada, affinerebbe le tecniche di valutazione della ricerca, darebbe modo alle energie più giovani e dinamiche di trovare ambienti più favorevoli, offrirebbe agli studenti una gamma più vasta di alternative rispetto all'università sotto casa. Non vale forse la pena di parlarne, in vista della nuova legislatura? __________________________________________________________ Il Sole24Ore 04 mar. ’06 L'ECCESSO DI CURE PUÒ FAR MORIRE L’UNIVERSITÀ RIFORME DIFFICILI Un diluvio di leggi e decreti spesso contraddittori soffoca gli atenei italiani DI ALESSANDRO MONTI Molti Osservatori, per lo più di esperienza anglosassone, descrivono i mali dell'università italiana e suggeriscono rimedi. Spesso scambiando l'eccezione con la regola, dipingono un quadro scoraggiante: provincialismo delle sedi universitarie, modesto livello qualitativo della ricerca, scadente e mal reclutata docenza, ridotta produttività degli atenei pubblici, che ci collocherebbe nei piani bassi delle graduatorie internazionali. Le cure prospettate appaiono irrealistiche: divisione del sistema tra poche università di élite dedicate alla ricerca e le altre rivolte alla didattica, cambio di governance con cariche direttive da affidare preferibilmente a non accademici attraverso meccanismi non elettivi, libertà di reclutamento e retribuzione dei docenti, drastici aumenti delle tasse e riduzioni dei finanziamenti pubblici, eliminazione del valore legale del titolo di studio. Nessun osservatore però include tra le ricette l'eliminazione dei vincoli e delle condizioni di precarietà normativa nelle quali sono costretti a operare gli atenei italiani. Eppure l'origine e l’aggravarsi delle difficoltà del sistema universitario sono principalmente ricollegabili al bombardamento legislativo e amministrativo di cui è stato oggetto negli ultimi tre lustri. Accade di frequente che Governo e maggioranza parlamentare, sensibili alle proposte dei consiglieri di turno, annuncino cure incisive sul corpo del malata, creando aspettative e al tempo stesso timori diffusi. Poi, ostacolati o favoriti dalla "pressione di ristrette ma potenti lobby accademiche", si limitano a misure estemporanee e incoerenti, diverse sia da quelle invocate dagli osservatori sia da quelle annunciate dall'Esecutivo. Provvedimenti spesso non solo inutili ma controproducenti rispetto alla funzionalità minima degli atenei. È lo schema ricorrente del processo normativo alla base delle riforme e controriforme varate in questi ultimi anni "a favore" dell'università. Un'alluvionale legislazione prodotta da nove Governi succedutisi dal 1990, di orientamento politico variegato, tutti accumunati però dal desiderio irrefrenabile di lasciare sull'università una traccia indelebile del loro passaggio. Così alle "tracce normative" lasciate dai Governi della 1 Repubblica Andreolti-Ruberti, Amato Fontana, Ciampi-Colonibo, BerluscouiF Podestà, Dini- Salvini (autonomia organizzativa, programmazione delle sedi, riforma degli ordinamenti didattici) si sono sommate quelle lasciate dai Governi della Il Repubblica di Prodi-Berlinguer, D'Alema-Zecchino, Amato-Zecchino e Berlusconi- Moratti (limitazione di accesso ai corsi di studio, riordino del Cun, procedure di reclutamento dei professori) in un intreccio perverso di modifiche, integrazioni e abrogazioni della legislazione precedente. Una spirale infinita di leggi, decreti legge, decreti legislativi. regolamenti e atti ministeriali (ordinanze, decreti dirigenziali e direttoriali, note) destinati a essere recepiti negli statuti e regolamenti d'ateneo e !a tradursi in nuovi organi accademici e in un tourbillon ' di adempimenti amministrativi e passaggi burocratici, pronti a essere modificati o sostituiti dal successivo "ciclo riformatore«. Una soffocante cappa di piombo (quasi 300 atti normativi e ministeriali solo nell'ultimo anno) ''che annienterebbe qualsiasi struttura produttiva, anche anglosassone. Come può sopravvivere la debole, vulnerabile, millenaria università italiana? E se provassimo a cessare le cure e a sospendere tutti i farmaci? _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 mar. ’06 STUDIARE MEGLIO O PIÙ A LUNGO? RITORNO AL FUTURO DELL’UNIVERSITÀ I nuovi atenei tra il dovere di allargare l’istruzione e il rischio di inflazionarla Due modelli confrontati da Marco Pitzalis, docente a Cagliari e ricercatore a Parigi Parigi, Salle des actes dell’ École Normale Supérieur de la Rue d’Ulm: convegno internazionale sull’università in Europa. Studiosi di numerosi paesi europei si confrontano sui processi di cambiamento che interessano gli atenei europei e per rispondere alla domanda: l’università ha ancora un futuro in Europa? Marco Pitzalis, docente dell’università di Cagliari, dottore di ricerca dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales è intervenuto per presentare un’analisi dei cambiamenti che stanno interessando l’università in Italia, tema peraltro di un suo libro. Lei ha studiato e insegnato in Francia, può descrivere la differenza tra l’università italiana e quella francese? «Ho condotto i miei studi in un’istituzione un po’ speciale: l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Si tratta del tempio delle scienze dell’uomo. E un tempio è aperto solo agli iniziati. L’unico livello di formazione ammesso, almeno fino agli ultimi recenti tentativi di riforma, è quello del master (Dea) e del dottorato di ricerca. Mentre ho insegnato in un’università di banlieue, a venti chilometri di Parigi, frequentata soprattutto da ragazzi delle classi popolari e da figli di immigrati». Quindi ha conosciuto i due poli del sistema universitario francese, estremamente gerarchico e meritocratico. Questa stratificazione scolastica esiste anche in Italia? «Non in questi termini. In Francia, abbiamo un sistema diviso in tre tronconi principali: le grandes écoles, le università, e gli istituti universitari di tecnologia (Iut). Le grandi scuole sono altamente selettive e aperte ad un’élite destinata a essere cooptata in quella che Pierre Bourdieu definisce la Nobiltà di Stato. Le università sono aperte a tutti e danno una formazione che ha un valore molto inferiore sul mercato del lavoro. Abbiamo poi gli Iut che danno una formazione professionale e per quanto siano nati per accogliere un pubblico non destinato agli studi universitari, grazie al numero chiuso, hanno finito per accogliere dei buoni studenti». E in Italia? «Abbiamo un sistema nominalmente ugualitario. In realtà è fortemente stratificato. La probabilità di concludere con successo studi universitari è legata alle risorse culturali ed economiche della famiglia di origine. Il sistema universitario, così come la scuola secondaria, tende a riprodurre la stratificazione sociale». Le università in Europa sono interessate a un processo di convergenza che prende il nome di "processo di Bologna", questo vuol dire che le università francesi e quelle italiane ora si assomigliano di più? «In effetti l’obiettivo dei governi europei è costruire uno spazio comune europeo dell’educazione, in modo che gli studenti possano trasferirsi facilmente da un’università all’altra». A che punto siamo? «La situazione è contraddittoria. Il processo di Bologna indicava come modello comune quello del cosiddetto 3+2 (+3), cioè una laurea breve di tre anni seguita da un corso di specializzazione di due anni, seguito dal dottorato di ricerca. In Inghilterra il 3+2 esiste già. Per questa ragione si ritiene che vi sia una convergenza verso il modello inglese e che non ci siano ragioni di cambiare ciò che già esiste. In Francia, la situazione è ancora più complicata, perché le resistenze al nuovo modello sono molto forti, soprattutto nelle Grandes écoles che temono di perdere la loro specificità, ma sono presenti in tutto il sistema universitario. L’Italia è stata uno dei paesi più solerti nell’applicazione dei principi del processo di Bologna, grazie alla riforma Berlinguer, ma si trova ora in una situazione di forte incertezza a causa della riforma Moratti». L’università italiana finora conservatrice ora è dunque all’avanguardia nel processo di cambiamento? «In parte è vero, l’università italiana è interessata da processi vorticosi di cambiamento e il mondo universitario che nel corso dei precedenti quarant’anni aveva frenato ogni riforma oggi invece tende ad accettare in maniera piuttosto passiva cambiamenti dell’organizzazione e del lavoro universitario fino a pochi anni fa impensabili». È dunque un ritorno al futuro? «Con non poche preoccupazioni. Al di là degli slogan, dobbiamo interrogarci sulla missione dell’università. Per esempio, uno degli obiettivi della riforma è portare il numero dei laureati dal 20% al 40% di ogni classe d’età. A questo proposito però sorgono alcuni dubbi. Allora, domando, cosa implica per gli studenti questo processo di formazione lungo? Offre maggiori possibilità di inserimento lavorativo? Offre maggiore cultura per tutti? È un vero dilemma che propongo a tutti i miei colleghi impegnati nell’applicazione della riforma Moratti. La domanda dunque è "a chi giova la riforma?" «Nel corso degli anni ’90, in Italia abbiamo conseguito un risultato importante: la scuola secondaria diploma oggi oltre il 70% degli studenti di ogni classe d’età. I dati delle ricerche internazionali mostrano che questo risultato ha avuto un prezzo: si è abbassato il livello della formazione. Una formazione più lunga dunque non coincide necessariamente con un sapere più approfondito». La maggior parte degli interessati afferma il contrario. «Evidentemente gli insegnanti hanno interesse a dire il contrario, perché in un periodo di calo demografico, le politiche scolastiche adottate negli anni ’90 hanno consentito di mantenere pressoché costante il numero di studenti e di posti di lavoro nella scuola. Per quanto riguarda il valore del diploma di scuola secondaria sul mercato del lavoro, il risultato è certamente devastante. Un titolo di studio inflazionato non ha alcun valore. La competizione per le occupazioni prestigiose si sposta al livello successivo. In questo processo la laurea breve diventa una sorta di nuova maturità. Quindi significa che aumentano i livelli di formazione della popolazione. Non è un dato positivo? «È questo il dilemma di cui parlavo prima. Aumenta il numero di laureati, aumenta il numero di diplomati, ma questo vuol dire che abbiamo realizzato una redistribuzione egualitaria del sapere?». Alessandra Fanari __________________________________________________________ Il Sole24Ore 09 mar. ’06 FACOLTA’ CREATIVE DI LUCA DELLO IACOVO Sul portale web di FuoriAula c'è una pagina scientifica nata dall'idea di uno studente, Roberto Montagna, che raccoglie articoli sulla nuova versione di Firefox, sull'influenza aviaria o sulla crittografia. NormaleNews, invece, è una finestra sulle iniziative della Scuola superiore pisana. «Non è un sito per soli normalisti. Il nostro pubblico ci ringrazia per la semplicità del linguaggio», racconta il direttore Massimiliano Tarantino. 11 portale, che ha 35mila contatti al giorno, è una miniera di spunti sulla ricerca scientifica italiana e straniera. Per esempio, uno degli articoli è dedicato a Starflag, un progetto europeo (cui partecipa anche il centro pisano) che si propone di spiegare le dinamiche dei mercati attraversa l'analisi del volo degli uccelli. Il portale d'informazione della Normale è anche un osservatorio privilegiato sulla ricerca: «In Italia bisogna potenziare l'interazione tra comunicazione, giovani e territorio», sostiene Tarantino. La circolazione delle idee è un ingrediente prezioso per lo sviluppo della creatività e della capacità di innovazione. Fattori in grado di produrre ricchezza. Lo dimostrano le stil del Ministero della cultura inglese: nel 2003, l’8% del valore aggiunto lordo della Gran Bretagna è stato generato proprio «dall'economia della creatività», quella capace di produrre ricchezza mettendo in poco, appunto, competenze e talenti nella moda, nel design, nella pubblicità e nei mass media. La sfida per gli studenti è di chiarire e rendere accessibili concetti e parole dell'universo-scienza. A Trieste, i trentaquattro allievi del Master in comunicazione scientifica della Sissa, la Scuola internazionale superiore di studi avanzati, si i venerdì mattina alle undici, Elena Pagliarini accende il microfono: è iniziato il suo programma su «FuoriAula network», la webradio dell'Università di Verona. Elena ha 23 anni, studia Scienze della comunicazione e crede che della tecnologia non si possa fare a meno. Per questo, due anni fa si è proposta come conduttrice della rubrica «Information technology». «A spingermi - racconta - è stata la voglia di saperne di più- Non sono proprio un'esperta in materia, tant'è che qualche volta i nostri ascoltatori, per lo più studenti di informatica, mi correggono in diretta, via chat...». Sul web o ai microfoni di una radio, parlare di scienza e tecnologia è una passione che coinvolge gli studenti (e i docenti) delle università. Da Trieste a Teramo, equazioni e algoritmi escono dalle aule coinvolgendo il pubblico con linguaggi, motivazioni e con formule differenti. A inventare la rubrica scientifica di FuoriAula, a Verona, è stato Sebastiano Ridolfi, studente di informatica. «Fin dalla nascita della radio mi sono occupato degli aspetti tecnici della messa in onda, ma anche l'idea di stare dietro al microfono mi piaceva: questo programma è nato dalla voglia di coniugare l'amore per la radio e quello per la tecnologia». Ogni settimana in studio si parla delle ultime novità nel mondo dei software gratuiti e dei sistemi operativi open source, come Linux. «Il fatto che la radio sia sul web seleziona gli ascoltatori in partenza. ma abbiamo un pubblico affezionato, come dimostra il fatto che spesso i ragazzi intervengono in diretta mettono alla prova con un giornale ozaline, «jekyll». «Non facciamo divulgazione: oggi occuparsi di scienza significa decidere in tanti campì controversi. È una materia dì discussione politica», dice Giancarlo Sturloni, responsabile del Master. Dagli aspetti problematici del protocollo di Kyoto agli interrogativi della bioetica, «jekyll» affronta questioni che consentono di mettere in luce le dimensioni economiche, etiche e sociali della ricerca scientifica. Sulla capacità di stimolare la curiosità degli studenti punta «Scienzagiovane», un sito web legato all'Università di Bologna e realizzato con la consulenza del gruppo di comunicazione del Cern. Professori e ricercatori spiegano in modo semplice questioni scientifiche di attualità, come le conseguenze dell'elettrosmog o il funzionamento delle macchine molecolari. In Italia richiamare l'attenzione degli studenti non è un obiettivo da poco: nel 2006., gli immatricolati in discipline scientifiche sono calati di un altro 2,6 per cento. Agli universitari che si occupano di scienza non manca la creatività, almeno nell'ideare titoli per i programmi: «VR, Veterinari in prima linea» e «Alimenta la radio» sono rubriche radiofoniche curate dagli allievi di Veterinaria e di Agraria a Teramo. Sulle stesse frequenze vanno in onda gli speciali prodotti dagli studenti del corso interfacoltà di Comunicazione scientifica, seguito da allie~v2 di Biotecnologie e Scienze della comunicazione: venti minuti di voci e musica per parlare di fecondazione assistita o inionTaatica applicata alla biotecnologia. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 09 mar. ’06 RICERCA IL FUTURO IN VENTI SETTORI Le rivoluzioni in arrivo DI FRANCO LOCATELLI Il mio sogno più grande è che un giorno si possano chiudere tutti gli ospedali.». Chi parla non è un inguaribile visionario ma un medico internista del Brigharn and Women's Hospital di Boston. Si chiama Vila:am Kumar ed è convinto che semplici programmi per computer portatili possano incoraggiare i pazienti a gestire malattie croniche come il diabete o l’Aids e ad aderire ai regimi terapeutici più adeguati. I suoi sistemi di software sono già largamente usati in Africa e nelle campagne dell'India. Le sue ricerche sono volte a far sì che in futuro il suo sistema di controllo, insieme a test diagnostici economici e da fare in casa che forniscono ai pazienti i dati aggiornati sulle loro condizioni fisiche, mantenga le persone con malattie croniche lontane dagli ospedali. Kumar è uno dei 100 giovani ricercatori di tutto il mondo segnalati dalla Technology Review, su indicazione de esperti del Mit, per il coraggio delle loro ricerche e per la capacità di offrire un contributo determinante alla conoscenza e alle sue applicazioni pratiche che in futuro potrebbero cambiare la vita dell'umanità. Di storie di giovani «ricercatori coraggiosi» come Kumar sono piene le pagine di «Top 20 Le tecnologie emergenti» un agile ma interessantissimo libro scritto per la collana Agorà della Luiss University Press da Alessandro Ovi, manager e consigliere indipendente di numerose società, già collaboratore di Romano Prodi all'Iri e alla Commissione europea e da anni direttore ed editore dell'edizione italiana di Tecllnology Review, la rivista per l'innovazione del Mit. Con linguaggio semplice e chiaro Ovi passa in rassegna le ao tecnologie che possono rivoluzionare il mondo e i giovani più promettenti che nei laboratori dell'intero pianeta conducono le ricerche che cercano di disegnare un futuro migliore. Dalla biomecatronica alla biologia sintetica e dalla genomica personalizzata alla metabalomica il mondo delle biotecnologie sta facendo miracoli. Ma, come si può rilevare dalle schede pubblicate accanto, molto confortanti sono anche i progressi compiuti dalla nanoternologia e dall'in tecnologia. Dalle nanocelle solari ai fili quantici e dai nanotubi per lo sviluppo della «memoria universale» alle fibre ottiche microfluidiche, il contributo che le nanotecnologie emergenti possono offrire soprattutto nel campo dell'energia e della diagnostica medica è impressionante. E non meno sorprendenti sono le novità dell'infotecnologia con le avveniristiche applicazioni del calcolo in rete, delle isaduzioxv universali sui computer portatili o sui cellulari, dell'apprendimento probabilistico. La galleria di tecnologie emergenti e di giovani «ricercatori coraggiosi» che ci propone l'ingegner Ovi è già un viaggio nel futuro. Motivo di rammarico è però il fatto che nella raccolta di tecnologie emergenti non compaiono ancora casi italiani, «forse non perché non esistano ma perché non hanno avuto l'opportunità di farsi conoscere» e che tra zoo giovani più promettenti scovati nei laboratori dell'intero mondo ci sia un solo italiano, Massimo Marchiori, uno scienziato dei computer che lavora all'Università di Venezia. «L'innovazione è indisciplinata e iconoclasta e le persone innovative sono decisamente scomode» avverte nella sua introduzione Nicholas Negroponte. Ma in Italia manca qualcosa d'altro e di più: il degrado della formazione e la marginalità della ricerca ci ricordano che l'innovazione non può fare miracoli se mancano i fondamentali. __________________________________________________________ ItaliaOggi 10 mar. ’06 CRUI:IL 5 PER MILLE AIUTERÀ LA RICERCA Appello della Conferenza dei rettori degli atenei Il 5 per mille agli atenei è una grande opportunità per i giovani e la ricerca universitaria. A sostenerlo, alla vigilia della XVI settimana della cultura scientifica, è la Conferenza dei rettori italiani (Crui). Che ieri, con una nota, ha voluto sottolineare il determinante ruolo della ricerca universitaria e la volontà unitaria del sistema di destinare, attraverso le prossime dichiarazioni dei redditi, i ricavati del 5 per mille all'erogazione di borse di studio per giovani ricercatori. «L'entusiasmo dei giovani», ha dichiarato Giuseppe Silvestri, delegato per la ricerca della Crui e rettore dell'università di Palermo, «è la risorsa più preziosa non solo per il sistema universitario, ma per ogni società che voglia crescere ed evolversi. Dare fiducia al binomio giovani e ricerca rappresenta un atto consapevole e lungimirante, che indica al paese la strada vincente per un rilancio competitivo internazionale. Senza la freschezza, la creatività e l'ingegno dei giovani la ricerca non può andare avanti». L'iniziativa rientra nel quadro di un ampio progetto promosso dalla Crui per avvicinare sempre più la scienza alla società e i cittadini ai temi della ricerca, spesso percepita come un concetto astratto, lontano dal vissuto quotidiano. Del resto i dati di riferimento nel nostro paese non sono confortanti. Il numero di ricercatori nel mercato del lavoro, secondo gli ultimi dati Istat, è pari al 2,82 per mille. Circa la metà rispetto alla media europea (Ue-15: 5,68 per mille). E, oltre che pochi, i ricercatori italiani sono mediamente meno giovani dei colleghi stranieri: in Italia più della metà dei dottori di ricerca (52,6%) consegue il titolo tra i 30-34 anni; l'età media dei ricercatori è di 46 anni e un terzo accede alla carriera dopo i 38. A peggiorare questo già «desolante quadro», sottolinea ancora la nota dei rettori, negli ultimi anni, inoltre, il numero degli addetti alla ricerca nelle università ha subito una battuta d'arresto dopo alcuni anni di lenta ma costante crescita: - 1,5% il personale e -1,9% i ricercatori. L'appello della Crui arriva alla vigilia della pubblicazione, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it, dell'elenco definitivo delle organizzazioni accreditate. Sempre che ì termini per presentare le domande non si riaprano, come richiesto da molte piccole organizzazioni che non hanno fatto in tempo a inviare l’istanza per i tempi ristretti tra il dpcrn del 20/1/06 con le istruzioni e la chiusura dei termini (il 10/2006). _____________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 6 mar. ’06 CAGLIARI: BRAVI RICERCATORI SOLO SULLA CARTA IL MINISTERO BOCCIA L'UNIVERSITÀ Ateneo. Buone posizioni nella classifica delle pubblicazioni per la varie facoltà, ma c'è un trucco Vengono indicati come cagliaritani anche lavori realizzati in gran parte nel resto d'Italia Bene gli ingegneri, così così chimici, biologi e geologi. Male, anzi malissimo, i medici. E quando hanno fatto un lavoro accettabile, nella maggior parte dei casi, il merito è dei colleghi di altre università. A prendere i brutti voti, stavolta, non sono gli studenti. Sotto torchio sono professori e ricercatori dell'ateneo cagliaritano. Chi giudica, basandosi sulla qualità e la quantità delle ricerche e delle pubblicazioni sulle riviste specializzate, è il Civr (Comitato di indirizzo di valutazione della ricerca). Non si tratta di pura accademia, basata su dati sterili: il Civr è un ente di nomina governativa. Dal suo parere dipendono i finanziamenti per le facoltà. È l'unico metro di valutazione a disposizione del ministero dell'Istruzione: se produci arrivano i soldi del ministero, decine di migliaia di euro, altrimenti picche. O almeno così dovrebbe essere. Perché anche la tabella del Civr, che vede i ricercatori cagliaritani galleggiare a metà classifica, ha una pecca: non prende in considerazione il "grado di proprietà". Non tiene conto, insomma, del loro reale contributo. Se un lavoro è firmato da dieci scienziati, e di questi solo uno è cagliaritano, l'ateneo cagliaritano se ne appropria. Risultato: una (neanche tanto) buona posizione in classifica e pochi, davvero pochi, contenuti. Per rendersene conto serve uno sguardo ai numeri ufficiali. SCIENZE MEDICHE, tra il 2001 e il 2003, ha sfornato 56 pubblicazioni. Solo 17 sono state giudicate eccellenti. Il voto, in una scala da 0 a 1, è 0,80. La facoltà si piazza al settimo posto su 15 atenei di uguali dimensioni. Nella media, sembrerebbe. Ma a vedere il grado di proprietà le cose cambiano. L'apporto dei ricercatori cagliaritani è del 38% sul totale, tutto il resto lo hanno fatto altri. Per i lavori eccellenti, poi, la percentuale si abbassa al 25%. Ma Cagliari se ne appropria lo stesso, anche se il merito è di colleghi d'oltremare. Quello delle scienze mediche è solo l'esempio più eclatante. C'è anche Fisica: i ricercatori del Policlinico hanno fatto metà del lavoro che gli viene attribuito e solo un terzo dei lavori eccellenti. Biologia si piazza bene e ha dato un grosso apporto. Meglio gli ingegneri, che possono vantare la paternità di quasi tutte le opere inviate. Insomma: i ricercatori arrancano sulla ricerca. Enrico Fresu I dati Le classifiche. Tutte le facoltà Nelle tabelle del Civr sono valutate tutte le facoltà italiane. In città, se si considerano tutti i dati, vengono bocciati i ricercatori di Fisica e Medicina. Le altre scientifiche galleggiano a mezza classifica. Padri di tutte le ricerche pubblicate sono invece i giuristi: non hanno collaborato con altri. Il questionario. Un testo mai reso noto. Nel 2004 nelle facoltà è stato distribuito tra gli studenti un questionario: si chiedeva di esprimere giudizi su facoltà, docenti e qualità delle lezioni. Mai pubblicato l'esito. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 mar. ’06 LA PRIMA VOLTA IN ANTARTIDE DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI Applicate sul pack le tecniche utilizzate per studiare il Poetto post- ripascimento La prima volta in Antartide dell’Università di Cagliari Due mesi di rilevazioni geofisiche, tra i pericoli e il fascino del continente bianco L’ingegnere ci ha provato. Si è allenato per una settimana dormendo in sacco a pelo sul ghiacciaio del Bianco, si è sottoposto ai controlli previsti per gli astronauti, ha firmato ettari di documenti. Poi è partito. Ha attraversato dodici fusi orari, si è sciroppato ventiduemila chilometri di volo e poi altri ancora in elicottero, fino a raggiungere il continente bianco. E quando ormai era già lì da giorni, chiuso nella base italiana in Antartide e circondato dal ghiaccio; quando cominciava ad abituarsi all’idea del vento che corre come una McLaren e del freddo che scende a - 80; quando iniziava a vibrargli nei timpani il silenzio limpido dell’assoluto, e la mente già concepiva la luce perenne delle 24 ore al giorno; quando sentiva di avercela fatta, è successo. Un militare della base lo ha raggiunto in cabina: «La aspettano in sala riunioni». Qualcosa di grave? Assolutamente no: «C’è un turista cagliaritano che passava di qui, ha saputo che c’era un sardo in base e vorrebbe fare due chiacchiere». Cronache da un mondo minuscolo, annotate insieme alle rilevazioni scientifiche nel diario antartico di Stefano Erriu, protagonista della prima spedizione sul Polo Sud targata Università di Cagliari. Quei cinquantacinque giorni sul pack (dal 3 dicembre 2005 al 29 gennaio) racchiudono la prima volta di uno studioso sardo nel gelo estremo. E anche l’ultima volta dell’Italia, per un bel pezzo: i tagli della Finanziaria hanno tritato via i ghiacci eterni dai nostri progetti di ricerca. Su questo ultimo treno per Yuma in versione polare sono saliti cinque passeggeri: l’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia e gli atenei di Genova, Siena, Roma 3 e Cagliari. Il compito del trentaquattrenne ingegnere cagliaritano era eseguire rilevazioni geofisiche sul suolo dell’Antartide, imprigionato sotto un mantello di ghiaccio che in milioni di anni ha raggiunto uno spessore dai due ai quattro chilometri. Dall’altra parte del mondo, a ricevere e analizzare i primi dati raccolti da Erriu (la gran parte arriverà nei prossimi giorni, insieme alla strumentazione che viaggia via mare) c’era il professor Gaetano Ranieri, il docente di Ingegneria del Territorio che ha pensato, voluto e difeso la spedizione, sobbarcandosi dosi strazianti di burocrazia e trovando (o meglio prenotando) i fondi per un’avventura inestimabile dal punto di vista della conoscenza, ma tutt’altro che astronomica come costi: spedire un ricercatore alla base Zucchelli e tenercelo quasi due mesi costa tra i venti e i trentamila euro. Meno di un biglietto per la crociera nei mari gelidi dalla quale è sbarcato, per un salutino, il turista cagliaritano. Per la sua indagine geologica Erriu ha applicato il sistema di rilevazioni già usato da Ranieri sul manto sabbioso del Poetto, per capire quanto è spesso lo strato brunastro del ripascimento. Sul bianco dimenticato della spiaggia e su quello eterno del pack, la tecnica è la stessa: si dispongono sulla superficie dei cavi elettrici fino a formare un quadrato di ottocento metri di lato (ancorato a picchetti metallici che servono da elettrodi) e si fa passare la corrente. Analizzando la risposta (che va "amplificata", visto che il ghiaccio è un potentissimo isolante) si capirà per esempio se nel ghiaccio è imprigionata la cosiddetta acqua fossile, rimasta lì dopo la glaciazione, o se su quel terreno ci sono state forme di vita, e mille altre informazioni. La seconda tecnica utilizzata misura le variazioni di campo magnetico dettate dal vento solare. Idee semplici ed eleganti, come detta il galateo della ricerca. Magari metterle in pratica è meno facile. «Durante una rilevazione, il mio compagno di escursione e io dovevamo stringere una vite allentata. Dopo mezz’ora abbiamo dovuto rinunciare: impossibile lavorare senza guanti per più di qualche secondo». Impossibile concentrarsi a lungo con il vento che gela i pensieri, impossibile lasciare esposto un centimetro quadrato di pelle. Gli indumenti triplo strato in pile e tessuti tecnici sono obbligatori. Mentre è vietatissimo avventurarsi fuori dalla base senza un partner, senza la radiotrasmittente e il gps, senza la sacca con i viveri per una settimana e la tenda d’emergenza. Morire, al Polo Sud, è una faccenda banale. Le condizioni meteo cambiano nel giro di pochi minuti, e chi si fa sorprendere in volo da una tempesta rischia grosso: le strumentazioni in quelle condizioni estreme non valgono, ci si deve affidare esclusivamente al volo a vista. Per questo le previsioni del tempo hanno un’audience assoluta nelle piccola comunità della "Zucchelli" (60 persone, al massimo dell’ospitalità). Per questo quando il pilota dice non si parte più, c’è poco da discutere: chi è in base resta a cuccia. Chi è fuori, magari a duecento chilometri, monta la tenda e ripassa mentalmente l’addestramento sul Monte Bianco. E aspetta. Peggio, molto peggio, se arriva la nebbia quando è troppo tardi per atterrare o per rinviare il decollo. Ad Erriu è successo, ed è stato il più brutto dei suoi giorni polari: si è salvato perché il pilota del Twin Otter, il piccolo aereo con i pattini che collega la base con l’esterno, d’un tratto ha intravisto un buco nella coltre di nebbia e ci si è tuffato. Altrimenti? «Saremmo atterrati lo stesso, ma senza sapere se stavamo scendendo da trenta o da trecento metri d’altezza. Schiantandoci, con ogni probabilità». È andata bene. Quella sera l’ingegnere ha assaporato più del solito i piatti dei due cuochi napoletani della base. E anche quella vita «da Grande Fratello senza le telecamere», quell’esistenza ovattata da riempire con il biliardino, il ping pong, i film in dvd. Ma soprattutto ripassando le sensazioni di una giornata on the rocks: l’invadenza mite dei pinguini che si avvicinano curiosi agli scienziati, o la pazienza feroce delle orche che costeggiano la banchina e di tanto in tanto riescono a mordere via una foca dal ghiaccio. E sopra ogni altra cosa, il respiro assoluto della natura. Un’emozione che non perdona: «Ti costringe a chiuderti in te stesso. Oppure ti fa aprire completamente e ti depura, ti lascia dentro le cose vere, profonde. Ti regala uno sguardo lungo». Dicono che solo il deserto faccia regali simili agli umani. L’ingegnere portebbe scoprirlo alla prossima spedizione, visto che il professore ha già programma un’indagine elettromagnetica sul Sahara. Nella speranza che l’Università abbia ancora voglia di avventure nel mondo. Che dalla sorte grama della ricerca italiana piova ancora qualche spicciolo da investire sul campo. E che magari da dietro una duna, a metà rilevazione, non spunti un escursionista di Cagliari o una gita scolastica di Quartu. Celestino Tabasso _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 mar. ’06 INGEGNERIA D’AVANGUARDIA, DAL SUPERCONDUTTORE ALLA LAUREA INTERNAZIONALE CAGLIARI. Un dottorato di ricerca in ingegneria e scienze ambientali per ottenere un diploma congiunto con i «bollini» delle Università di Cagliari, di Aveiro (Portogallo), Enim (Marocco) e Pushchino (Russia). Lo ha presentato ieri mattina alla facoltà di Ingegneria Giacomo Cao, direttore del Centro interdipartimentale di Ingegneria e Scienze ambientali, spiegando che si tratta dell’unico corso dell’ateneo sardo riconosciuto come «internazionalizzato» dal ministero per la Ricerca scientifica. «E’ un dottorato di estrema importanza - ha sottolineato Cao - perchè consente agli studenti che lo superano di affacciarsi al mondo del lavoro con un curriculum di tutto rispetto». Il corso, particolarmente selettivo e totalmente in lingua inglese, per ora conta sulla frequenza di nove studenti sardi e una studentessa americana. «Il coinvolgimento di atenei portoghesi e marocchini dimostra quanto l’Università di Cagliari sia sempre più orientata verso il Mediterraneo», ha aggiunto Cao. Durante la presentazione si è parlato anche del Corso di alta formazione per «Monitoraggio, bonifica e ripristino dei siti contaminati», organizzato in Sardegna dal Crs4 e dal consorzio interuniversitario «La chimica per l’ambiente». Questa mattina al THotel è prevista la cerimonia per la consegna dei primi diplomi. «I siti contaminati sono un problema nazionale - ha detto Cao - e occorre formare ingegneri specializzati nelle attività di bonifica». L’anno scorso sono state nove le aziende che hanno fatto frequentare il corso ai loro dipendenti, ora figure professionali in grado di monitorare gli interventi di bonifica. Alla fine del suo intervento Cao ha trovato il tempo anche di annunciare che il suo brevetto sul superconduttore al diboruro di magnesio (registrato in Italia nel 2004 assieme ai colleghi Antonio Mario Locci e Roberto Orrù), ha superato pure la procedura internazionale vedendosi approvate 17 rivendicazioni su 21. «Un bel passo avanti», ha detto Cao, assicurando che nel giro di un mese sarà pronto il business plan per un’azienda sarda in grado di produrre materiali innovativi per utensili da taglio e per il settore aerospaziale. Ma è solo un punto di partenza. Le altre possibili applicazioni del superconduttore - che consente il trasporto di enormi quantità di energia anche attraverso piccoli cavi - andrebbero dal campo dei trasporti ferroviari alle tecniche diagnostiche della biomedicina, passando per l’informatica. «Grazie al nostro superconduttore - ha spiegato Cao - i treni possono levitare su potenti magneti raggiungendo velocità elevate con bassissimo dispendio di energia. Per quanto riguarda la biomedicina, si possono invece sviluppare tecniche non invasive per la risonanza magnetica nucleare». Da segnalare, infine, le possibili applicazioni nella realizzazione del cosiddetto «supercomputer», un elaboratore in grado di raggiungere velocità mille volte superiori a quella del computer più veloce fino a oggi conosciuto. 5 -. La Nuova Sardegna Pagina 11 - Sardegna Cagliari: il progetto sul superconduttore al diboruro di magnesio dell’Università Cao ottiene il brevetto internazionale CAGLIARI. Il brevetto sul superconduttore al diboruro di magnesio, registrato in Italia nel 2004 dal direttore del Centro interdipartimentale di Ingegneria e Scienze ambientali, Giacomo Cao, assieme ai colleghi Antonio Mario Locci e Roberto Orrù, ha superato la procedura internazionale vedendosi approvate 17 rivendicazioni su 21. L’ha reso noto lo stesso Cao, assicurando che nel giro di un mese sarà pronto il business plan per un’azienda sarda in grado di produrre materiali innovativi per utensili da taglio e per il settore aerospaziale. Questo sarà, però, solo un punto di partenza. Le altre possibili applicazioni del superconduttore - che consente il trasporto di enormi quantità di energia anche attraverso piccoli cavi - vanno dai trasporti ferroviari alle tecniche diagnostiche della biomedicina, passando per l’informatica. «Grazie al nostro superconduttore - ha spiegato Cao - i treni possono levitare su potenti magneti raggiungendo velocità elevate con bassissimo dispendio di energia. Per quanto riguarda la biomedicina, si possono invece sviluppare tecniche non invasive per la risonanza magnetica nucleare». Da segnalare, infine, le possibili applicazioni nella realizzazione del cosiddetto «supercomputer», un elaboratore in grado di raggiungere velocità mille volte superiori a quella del computer fino a oggi conosciuto. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 mar. ’06 LAUREE A DISTANZA, UNIVERSITÀ DI FIRENZE COLLEGATA CON TORTOLÌ Caccia ai finanziamenti Tortolì e l’Ogliastra puntano sempre più sull’alta formazione universitaria. La recente firma di un protocollo d’intesa tra l’Istituto tecnico commerciale, l’Università di Firenze ed il Cisfop (consorzio di enti di formazione) ha posto le basi per la partecipazione ad un bando regionale che finanzierà l’attivazione di tre corsi universitari online, in scienze della comunicazione, dell’amministrazione e dell’architettura. Ieri mattina Paolo Orefice, pro rettore dell’ateneo fiorentino, ha visitato l’istituto per ragionieri, che già ospita le lezioni in videoconferenza del corso di laurea in Economia aziendale dell’università di Cagliari. «Abbiamo colto da parte del territorio - ha sottolineato il docente universitario - il necessario coinvolgimento e consideriamo questa un’occasione interessante». I principali obbiettivi del progetto (l’importo delle risorse finanziarie a disposizione dal bando Por ammonta complessivamente a 9 milioni di euro) sono quelli di aumentare il numero di giovani ogliastrini che hanno titoli di formazione in settori rilevanti per la crescita culturale e lo sviluppo economico dell’Isola, ridurre la dispersione universitaria e nel contempo offrire maggiori opportunità di formazione universitaria a giovani che per particolari condizioni economiche e logistiche o perché studenti lavoratori non accederebbero ai percorsi formativi tradizionali. Tutto questo con l’utilizzo delle moderne tecnologie. «Abbiamo già esperienze collaudate - spiega Aldo Secci, dirigente scolastico del Gramsci - e possiamo dire senza tema di smentita che questa formula funziona». La delegazione si è poi spostata nel palazzo municipale della cittadina dove ad attenderla c’era il sindaco Marcella Lepori. «Sosteniamo con tutte le nostre forze il progetto - ha detto il primo cittadino di Tortolì - e se la Regione, come noi auspichiamo, finanzierà i corsi, cercheremo di contribuire economicamente, nei limiti delle nostre possibilità. Questo è un ulteriore passo in avanti nel settore della cultura e della formazione universitaria». L’iniziativa riguarda anche Nuoro, dove nella stessa giornata di ieri il pro rettore fiorentino ha presentato il progetto insieme al presidente del Consorzio universitario del capoluogo barbaricino Bachisio Porru. Entrambi hanno poi incontrato il sindaco Mario Zidda. (gy.fe.) _____________________________________________________________ La Repubblica 10 mar. ’06 BIBLIOTECHE, LA GRANDE CRISI meno libri e fondi tagliati Una su dieci ha chiuso, i soldi ridotti a un terzo MARIA NOVELLA DE LUCA ROMA — Chiuse, inaccessibili, sempre più povere. Senza fondi, senza tecnologia, senza aggiornamenti. E, se continua così, senza futuro. Alcune chiudono, molte sopravvivono, poche, invece, crescono, migliorano, hanno numeri da record e pagelle di eccellenza. Parliamo di biblioteche, di un patrimonio tanto ricco quanto disomogeneo della cultura italiana, oltre 12mila istituzioni che vivono oggi una delle più gravi crisi degli ultimi decenni, flagellate da tagli che hanno messo in ginocchio non soltanto le grandi biblioteche statali, ma anche la ricca rete delle biblioteche degli enti locali, colpiti, a loro volta, dalla cancellazione globale di risorse alla cultura. Il 70% delle biblioteche italiane, secondo una proiezione dell’Aib (Associazione italiana biblioteche), ha subito negli ultimi 5 anni tagli radicali, che hanno portato ad un drastico calo di presenze e di prestiti di libri. E come può vivere una biblioteca se nessuno chiede più libri in prestito? Un dato per tutti: gli stanziamenti per i beni archivistici e librari nell’ultima Finanziaria sono scesi dai 22,757 milioni di euro del 2005, ai 7,661 milioni di euro del 2006, mentre la voce “diffusione del libro” è restata ferma a 600mila euro. «Quello che colpisce — spiega Giovanni Solimine, docente di Biblioteconomia all’università della Tuscia — è il declino di molte istituzioni storiche, statali e universitarie, costrette dalla mancanza di risorse a ridurre orari, personale, servizi al pubblico, per non parlare dell’impossibilità di aggiornare il catalogo, perché soldi per comprare libri e per creare multimedialità non ce ne sono più. Una vera condanna all’oblio se si pensa che il 70% dei frequentatori delle biblioteche è composto da giovani e da studenti universitari, il cui rapporto con il libro passa anche attraverso la tecnologia». Questo non significa però che l’istituzione biblioteca abbia perso appeal e ragion d’essere. Anzi. «A questa condizione di ripiegamento — dice Giovanni Solimine — si contrappone infatti la rete delle biblioteche comunali, la formula vincente di questi anni, una rete di strutture grandi e piccole, funzionali, moderne, di quartiere, spesso anche decentrate e periferiche, aperte ad un pubblico specializzato e non, con buone sezioni per ragazzi, con sale dove sfogliare i giornali, e una crescente presenza di postazioni internet e supporti multimediali. Un esempio riuscito è la rete delle oltre 30 biblioteche civiche di Roma, o la grande biblioteca multimediale di Pesaro». Perché le biblioteche esistono soltanto se dentro c’è la vita. Oltre ai libri, naturalmente. Funzionano se sono luoghi di incontro, se ci sono i giornali da sfogliare, internet da consultare, e gli scaffali di fiabe e avventure per i più piccoli. Vincono se sono vicine, aperte tutto il giorno, accoglienti, tecnologiche. Un universo che in Italia è difficile non soltanto da gestire ma anche da censire. Se l’Iccu, l’istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche ne enumera 15.787, l’Istat, nell’ultima capillare ricognizione che risale al 2004, ne prende in esame “soltanto” 12.676, tra statali, nazionali, comunali, ecclesiastiche, universitarie e private. E la ripartizione geografica è chiara, come spiegano gli esperti, perchè esiste un “Sud delle biblioteche” e più si scende più la situazione peggiora, basti pensare che il 51,4% delle biblioteche è al Nord, il 20,6% al Centro e il 28% è al Sud, e oltre la metà delle istituzioni del Mezzogiorno ha un patrimonio librario, dice l’Istat, “inferiore ai 5mila volumi”. Avere un libro in prestito da Roma in giù può rivelarsi davvero un compito arduo: le provincie di Latina, Siracusa, Brindisi, Taranto e Ragusa posseggono infatti meno di una biblioteca ogni 10mila abitanti. Accade anche, e siamo in Lombardia, regione del Festival della Letteratura, che il sindaco di San Giovanni del Dosso chiuda i battenti della piccola biblioteca locale. «Soltanto 4 utenti in 12 mesi, da 4 anni che non possiamo più comprare libri. Meglio aiutare le famiglie bisognose». Una scelta discutibile, ma non è facile sopravvivere se sei troppo piccolo e Rete è la parola chiave per le biblioteche del futuro. Perché anche da noi, tagli a parte, sta vincendo la formula della public library inglese. Ed è questa un po’ la chiave del successo dell’Istituzione biblioteche di Roma, presieduta da Igino Poggiali. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 4 mar. ’06 STUDENTI IMPREPARATI, COLPA DEI GENITORI Presidi e insegnanti: non li spingono a impegnarsi, la maturità ormai è una barzelletta Dopo il rettore del Politecnico, anche gli altri responsabili delle università denunciano le carenze delle matricole. «Scarsi in matematica e inglese, alcuni sono incapaci di esprimersi» L' esame di maturità? Troppo facile, tanto vale abolirlo. I genitori? Sempre pronti a schierarsi con i figli contro chi li accusa di scarso impegno. La preparazione dei ragazzi? Lacunosa, con gravi problemi nella costruzione delle frasi e nell' organizzazione dello studio. Con queste premesse il risultato è uno solo: le matricole arrivano all' università senza le nozioni necessarie per affrontare gli esami. Lo ha denunciato il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, lo ribadiscono i colleghi degli altri atenei e delle scuole superiori di Milano: «Serve più serietà negli studi, altrimenti assisteremo a un ulteriore, e disastroso, abbassamento del livello di istruzione». Rettori e presidi. Pronti a difendere il loro lavoro, ma molto lucidi quando si parla di studenti. «Sono diventati più ignoranti - ammette Michele D' Elia, a capo del liceo scientifico Vittorio Veneto -, non sono abituati all' impegno, allo sforzo mentale, hanno un vocabolario di cinquanta parole». Colpa della scuola, certo («Bisognerebbe tornare ai vecchi programmi», dice D' Elia), ma anche dell' università: «Si è troppo licealizzata». Questioni spinose che devono fare i conti con le riforme degli ultimi anni. «Questi giovani - confessa Marcello Fontanesi, rettore della Bicocca - dimostrano carenze strutturali nel parlare, nello scrivere, nella pianificazione dello studio. E rischiano di perdere la competizione con i Paesi emergenti. Perché le aziende vogliono i migliori. E non è un caso che le donne, con la loro voglia di imporsi, riescano meglio degli uomini: per studiare ci vuole forza di volontà». Una forza che spesso non è coltivata dalle famiglie dei ragazzi. «Anzi - aggiunge Teresa Capra, preside del turistico Bertarelli - i genitori hanno sempre un motivo per difendere i figli quando noi li rimproveriamo. Manca, poi, una seria prova d' esame». Come la maturità, una volta tappa fondamentale nella vita di ogni giovane, ora retrocessa al punto tale da non essere nemmeno presa in considerazione nei test di ingresso alle facoltà. «È diventata l' ultima interrogazione dell' anno - sintetizza Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm -, quasi una barzelletta. Servirebbe, invece, una selezione più seria: l' università sta diventando l' alternativa allo stato giuridico di disoccupato». Simulazioni di test, lezioni propedeutiche alle prove di ingresso, incontri con i futuri docenti: da qualche anno nelle scuole si organizzano incontri di orientamento per spiegare ai ragazzi come prepararsi all' università. Stessa cosa con gli alunni delle medie. «Ai loro genitori - aggiunge il preside del classico Berchet, Innocente Pessina - diciamo: "Non fate studiare ai vostri figli il latino, ma l' analisi logica"». Puntare sull' italiano e la matematica, ma anche sull' inglese, consigliano i docenti. «Il livello di preparazione - sospira Angelo Provasoli, a capo della Bocconi - sta scendendo. Il 70 per cento di chi si iscrive nel nostro ateneo ha risultati scarsissimi in inglese. Da parte nostra, cercheremo di stare molto attenti alla selezione, dando più peso al test e meno ai risultati scolastici». E se il preside del magistrale Agnesi, Giovanni Gaglio, auspica «collegamenti più diretti con le facoltà», il rettore della Statale, Enrico Decleva, conclude: «Va bene la collaborazione con le scuole, ma una forma di selezione è inevitabile, non si possono risolvere i problemi di tutti. I ragazzi devono capire che l' università non può essere una chioccia: chi non ce la fa, deve porsi il problema di fare un' altra scelta». Annachiara Sacchi La denuncia di Ballio Il rettore del Politecnico, Giulio Ballio (nella foto), lancia l' accusa: «I ragazzi arrivano all' università impreparati, non possiamo rispiegare da zero le materie che avrebbero dovuto studiare alle superiori. Servirebbe loro un anno di recupero» Sacchi Annachiara Maturità inutile, troppi impreparati all' università» Il rettore Ballio: escono dalle superiori senza una formazione di base, abbandoni in aumento. Serve un tutor Incontri con gli studenti e test di valutazione più severi: chi non li supera dovrà recuperare il debito. «Non possiamo rispiegare da zero la matematica» Lasciano gli studi perché hanno sbagliato scelta, hanno dimenticato le nozioni imparate a scuola, sono impreparati, non conoscono i requisiti per entrare in università e spesso, dopo la maturità, avrebbero bisogno di un anno di «ripetizioni» per diventare matricole. Studenti e orientamento, il Politecnico si prepara a una nuova sfida: azzerare il numero di abbandoni (ogni anno «lasciano» circa mille matricole, il 16 per cento del totale) e avere iscritti più motivati. Dopo la «regola del 25», appena introdotta dalla facoltà di ingegneria gestionale per convincere gli studenti a non rifiutare i voti bassi (gli esami di ogni cattedra devono avere un punteggio medio annuale non superiore ai 25 trentesimi), il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, rilancia: «Vogliamo giovani consapevoli, capaci di autovalutarsi. Non possiamo aspettare che recuperino quello che non hanno fatto alle superiori». La strategia: selezionare meglio le aspiranti matricole con sei test ripetibili da qui al prossimo luglio (oltre a quello di settembre) e far conoscere a tutti «le regole» di ingegneria (quest' anno si parte con questa facoltà). Cominciando dalle scuole, accusate di non dare una preparazione all' altezza dell' università: «Non possiamo spiegare le potenze e le equazioni di primo e secondo grado», sbuffa Ballio. In questi giorni un' équipe di docenti dell' ateneo sta incontrando i giovani di trenta istituti superiori milanesi per raccontare come si diventa bravi universitari. «Il problema - spiega Ballio - è riuscire a comunicare quello che ci aspettiamo da loro». Le colpe: «Dal momento in cui le scuole, con l' autonomia, non sono state più obbligate a seguire in toto i programmi ministeriali, hanno puntato su alcune materie anziché su altre». Maria Luisa Rossi, responsabile dell' orientamento per il Politecnico, continua: «Finora abbiamo incontrato circa mille ragazzi, proponendo simulazioni dei test». E aggiunge: «Non si può dire che questi giovani non siano preparati, ma è vero che dimenticano le nozioni degli anni passati, che non rispondono a domande elementari perché non ricordano la risposte. E questo a volte è sconcertante». Altra accusa, l' esame di maturità: «Con la commissione tutta interna - prosegue Ballio - è diventato del tutto autoreferenziale. Per questo abbiamo deciso che di non tenere conto del voto nei nostri test di ingresso». Niente voto di maturità, dunque, iscrizioni online, sei prove ripetibili al prezzo di trenta euro: ecco l' esame adottato dalla facoltà di ingegneria (sarà adottato da architettura e design industriale solo nel 2007). Quattro le sezioni: comprensione verbale, inglese (elementare), matematica, fisica. Chi non raggiunge la sufficienza in matematica o inglese, dovrà recuperare il debito durante l' anno. Altrimenti (come chi non passa) non potrà sostenere alcun esame. Il test si può sostenere già durante il quarto anno di superiori. «Con molti vantaggi - puntualizza Ballio -: chi lo passa ha un posto assicurato al Politecnico con largo anticipo. Chi non ce la fa ha tutto il tempo per mettersi in regola e prepararsi». L' idea alla base è questa: che dopo quattro anni di superiori, ce ne sia uno di «azzeramento», ovvero di preparazione all' università. Come avviene in Cina e negli Stati Uniti. «Non nascondo - prosegue il rettore - che un cambiamento del genere mi troverebbe molto favorevole». Nel frattempo, però, meglio convincere i ragazzi a scegliere con consapevolezza il percorso di studi. «Altrimenti - dice secco Ballio - rischieranno di cambiare strada e di perdere, così, tempo prezioso. In un contesto internazionale è impensabile laurearsi con tre anni di ritardo rispetto agli altri giovani europei». No all' università parcheggio e alle scelte casuali. «E i primi risultati - conclude Ballio - si vedono: dei 112 studenti che hanno fatto il test la scorsa settimana, è passato l' 80 per cento. Sono più informati e preparati». Annachiara Sacchi 16% LE MATRICOLE che ogni anno abbandonano il Politecnico. Sono circa mille su un totale di 7.500 nuovi iscritti 20.000 EURO Il costo per ogni anno fuoricorso. Diecimila euro sono a carico dello Stato, gli altri della famiglia Politecnico Problemi e soluzioni LE RICHIESTE «Noi abbiamo la responsabilità di spiegare ai ragazzi delle superiori quello che il percorso universitario richiede. E di chiedere ai loro insegnanti di fornire la preparazione necessaria per poter affrontare un certo tipo di studi» ALL' ESTERO «Non mi dispiacerebbe se, come avviene già in Cina o negli Stati Uniti, dopo quattro anni di superiori, ci fosse un anno di azzeramento, ovvero di preparazione all' università. Servirebbe per fare scelte più consapevoli» LA SCUOLA «L' autonomia ha permesso alle scuole superiori di privilegiare alcune materie e di trascurarne altre. L' esame di maturità, con la commissione tutta interna, è diventato troppo autoreferenziale. Per questo noi non ne teniamo più conto» Sacchi Annachiara _____________________________________________________________ Corriere della Sera 6 mar. ’06 UNIVERSITA’ DENUNCIA L’ INSUFFICIENTE PREPARAZIONE DEGLI STUDENTI SECONDARI gli Esami e la Selezione il tema Iniziano le prime operazioni della maturità e subito parte lo sport dello scaricabarile, con la denuncia del mondo universitario sulla (nel complesso reale) insufficiente preparazione degli studenti. Ciò che comporta un duplice discorso: sulla preparazione in generale; e sulla reale valenza dell' esame di maturità. Il quale, a dirla francamente, è impossibile da riportare alla selettività d' un tempo peraltro assai lontano, dato che è tutto il corso di studi che consegna all' esame quel determinato tipo di (im)preparazione. E la si smetta poi con la falsa nostalgia della «durezza» della maturità coi commissari esterni, essendo le percentuali stesse a dire che poco è mutato tra ieri e oggi nel numero dei promossi-bocciati. Anzi, potenzialmente dovrebbe essere proprio una commissione di interni a garantire maggior severità, per la conoscenza che i docenti hanno del percorso e della concreta e continua applicazione degli alunni. Che è quanto avveniva con le maturità antecedenti il 1968, con commissioni costituite da interni. Il fatto è che nel frattempo è mutato il rapporto docenti-studenti: con l' instaurarsi di una «familiarità» dagli indubbi aspetti positivi, ma troppo spesso tradottasi in «complicità». Ed è questo che impedisce quel distacco che consente serenità e imparzialità di giudizio. Magari invocando quel giustificazionismo da «poveretti, danno ciò che hanno ricevuto in 13 anni di scuola», che passa dalle superiori alle università il testimone della staffetta-scaricabarile. Paccagnini Ermanno __________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 mar. ’06 L' EDUCAZIONE VALE UN CAPITALE DI GIORGIO VITTADINI* L’ Unione europea, durante il vertice di Lisbona del 2000, si era prefissata di diventare «l'economia, basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo». A cinque anni di distanza, quali obiettivi sono stati raggiunti? La spesa statale per istruzione nella Ue è cresciuta negli ultimi anni, arrivando a toccare nel 2002 il 5,2% del Pil, quota simile a quella degli Usa (5,35%). Allo stesso modo, non sembra sussistere, per quanto riguarda le scuole primarie, un sostanziale gap tra Europa e Stati Uniti. Piuttosto per l'istruzione superiore negli Usa si spende per studente una quota due volte e mezzo superiore rispetto ai Paesi Ue. Inoltre tutto il sistema è basato sulla competizione e sulla diversificazione. Esistono livelli di studio (Batchelor, Master, Phd) chiaramente differenziati. A ogni livello esistono test d'ingresso per gli studenti (quale il Sat, alla fine dell'high school) tanto più selettivi quanto più è elevato il livello dei corsi. Ad esempio, per l'ammissione agli Mba (Master in Business administration) occorre superare il test nazionale Gmat (Graduate management admission test), somministrato dall'Università di Princeton, i cui punteggi sono fortemente correlati (per circa il 50°l0) con i salari di lungo periodo, a significare un forte nesso con la reale riuscita nel mondo del lavoro. Il reclutamento dei docenti avviene sulla base del merito scientifico e con retribuzioni proporzionali alla capacità; la loro assunzione a tempo indeterminato avviene solo alla fine di una lunga e rigorosa valutazione. Non esiste il valore legale del titolo di studio, le università sono differenziate sulla base delle loro qualità e valutate pubblicamente sia sul piano didattico che scientifico: per questo quelle migliori ricevono più fondi, la maggior parte dei quali di origine privata. Il gap tra Ue e Usa non riguarda la scuola, ma l'università e concerne più la qualità che la quantità: gli Stati Uniti concentrano le risorse, anche con l'ausilio dei privati, per supportare un'élite di atenei e professori e per formare una minoranza meritocratica di studenti che ricevono un'istruzione superiore e continuano, nel tempo, ad accrescere la propria formazione. Così, anche a costo dì trascurare una maggioranza di atenei e studenti che rimangono a un livello più basso, ci si preoccupa di mantenere il proprio vantaggio competitivo. La logica competitiva e meritocratica può non essere condivisa, ma ha una sua profonda razionalità: il sistema universitario americano costituisce un reale investimento in capitale umano con forti ritorni, come dimostrato dagli stipendi dei neo-laureati americani che, insieme a quelli dei loro colleghi finlandesi, sono i più elevati del mondo. Inoltre, le competenze acquisite vengono meglio utilizzate: infatti, pur essendo i1 numero di laureati in materie scientifiche più alto nella Ue che negli Usa, i ricercatori europei sono numericamente inferiori a quelli americani (per pareggiare il conto ci sarebbe bisogno di 880mila nuovi ricercatori nel 2010, essendovene 1,26 milioni ---di cui 85mila europei - oggi negli Usa contro i 1,08 milioni della Ue). Infine, anche a livello di equità e mobilità verticale si raggiungono risultati sorprendenti: in un recente studio, Daniele Checchi, Andrea Tchino e Aldo Rustichini hanno dimostra to che in Italia un padre non laureato ha una probabilità del 93% di avere un figlio ugualmente non laureato, mentre negli Usa tale probabilità è pari al 79 per cento. Quello statunitense non è però un sistema appagato dai risultati raggiunti, ma anzi un sistema in cui è scattato l'allarme per un possibile declino. Infatti, il recente rapporto del Council on Competitiveness, organismo creato dalla National academy vf sciences, dalla National academy of engineering e dall'Institute of medicine. ha lasciato intravedere possibili motivi di crisi: la concorrenza crescente di Paesi emergenti come India e Cina, le fortissime disuguaglianze esistenti tra le classi sociali e la rilevata diminuzione del rendimento degli studenti e della capacità educativa del sistema. Di fronte a questi problemi, la risposta suggerita consiste in un incremento dell'investimento in capitale umano, in particolare nell'eccellenza. Accanto a massicci e selettivi investimenti per il rilancio della ricerca, vengono chieste lOmìla borse dì studio da 20mila dollari annui per gli studenti di materie scientifiche disposti a insegnare nelle scuole primarie e secondarie, 25mila borse di studio quadriennali per studenti undergraduate (oltre a Smifa per quelli graduate) in scienze e ingegneria, nuovi sussidi da destinare a un centinaio tra le migliori università per la creazione di nuovi master o Phd scientifici che possano formare nuovi ricercatori, incentivi agli studenti che frequentano corsi di tipo scientifico e tecnologico nelle scuole secondarie, programmi di aggiornamento continuo per 250mila insegnanti e finanziamenti ai programmi di formazione permanente per gli scienziati e gli ingegneri che lavorano in aziende o in università. Questo programma diventerà presto una realtà, perché questi sono i temi su cui gli Stati Uniti ritrovano la loro unità nazionale: ne è una dimostrazione l'enfasi conferita da Bush al tema dell'educazione e dell'istruzione durante il suo ultimo discorso all'Unione. Di fronte a questa forte scelta per la creazione di una minoranza meritocratica, la Ue semplicemente continua a non scegliere, così come in tanti altri campi. _____________________________________________________________ La Stampa 8 mar. ’06 L’UOMO COSTRETTO A SCENDERE DAL PIEDISTALLO CON I MODELLI ELABORATI DALLE SCIENZE COGNITIVE ADESSO GLI ISTINTI PASSANO IN SECONDO PIANO Così, se René Descartes aveva posto un argine ben delimitato tra l'uomo e l'animale, sancendo per quest'ultimo il solo dominio delle cose misurabili, al contrario Charles Darwin nel 1872 dava alle stampe un libro, «L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali», che era destinato a suscitare un acceso dibattito. In generale si è preferito seguire le opposte sponde dell'antropocentrismo, o negando una mente animale (reificazione) o attribuendo al pensiero animale caratteri sovrapponibili a quelli dell'uomo (antropomorfizzazione): le due soluzioni non mettono in discussione la centralità dell'uomo e l'oscillazione tra questi due paradigmi ha caratterizzato le diverse proposte del XIX secolo. In particolare, se gli epigoni di Darwin, tra cui George Romanes, avevano propeso per una lettura proiettiva del comportamento animale, dispensando cognitività in ogni espressione, altri studiosi in seguito avevano preferito un atteggiamento più cauto, seguendo il cosiddetto «canone di parsimonia». Formulato da Thomas Morgan nel 1898, questo criterio stabiliva che non è corretto ritenere un comportamento come il risultato dell'esercizio di una facoltà mentale, se può essere interpretato come frutto di un processo di livello inferiore. La mente animale diveniva così una «black box» e formulare ipotesi sul pensiero delle specie non-umane assumeva i contorni del tabù. Su questa falsariga prenderanno le mosse le due più importanti scuole del Novecento, il behaviorismo, che vede nell'animale un'entità reattiva, mossa da stimoli ambientali e configurata da automatismi appresi, e l'etologia classica, che lo legge come entità pulsionale, mossa da motivazioni interne e configurata da automatismi innati (istinti). Solo dagli Anni '70, con le scienze cognitive, si è cominciato a parlare di nuovo di mente animale, grazie all'etologo Donald Griffin. Ma la vera rivoluzione è stata quella di averla trattata in modo plurale, perché molteplici e spesso non sovrapponibili sono le intelligenze delle varie specie. La mente animale, ancora oggi, resta un continente perlopiù inesplorato. r.m. __________________________________________________________ Il Messaggero 08 mar. ’06 IO RICERCATORE E SCIENZIATO COSTRETTO A VIVERE DA BARBONE Vanno indietro, ai tempi in cui collaborava con una grande azienda privata; un'auto blu lo aspettava e il conducente scendeva per aprirgli la portiera. Chiude gli occhi e si rivede. Impeccabile, la cravatta in tinta, la piega perfetta, le scarpe nere, sempre lucide. Li riapre e si ritrova oggi barbone, un clochard che da più di un anno vive per strada e dorme in un letto a castello nel tendone allestito dalla Protezione civile sotto Castel Sant'Angelo. Storia di Patrizio, ricercatore napoletano, Borsista per due anni a Pisa all'Istituto di Chimica Quantistica del Cnr; poi al Centro per la ricerca, lo sviluppo e gli studi avanzati di Cagliari presieduto dal Nobel Carlo Rubbia. Nel 1992 si trasferì in Giappone, Aveva vinto ima borsa di studio della Commissione europea. Era stato scelto tra tanti aspiranti per lavorare alla realizzazione del Supercomputer biologico. «Avevo ipotizzato che una particolare molecola potesse migliorare la memoria di silicio, renderla compatibile con i neuroni». Patrizio, che ora ha 45 anni, trentenne si trasferì a Okazakidove iniziò a lavorare nei laboratori della Nec, la Nippon electronic company e a studiare presso l'institute molecolar Science. Non aveva alternative. Per lui, legato al suo Paese ., alle sue origini, in Italia non ci sarebbe stato futuro. II Patrizio di ieri era a tutti gli effetti uno dei tanti "cervelli in fuga". Niente a che vedere con il Troisi di “Ricomincio da tre", eppure anche lui emigrato senza volerlo. Il Patrizio di oggi lotta tutti i Minuti per non fuggire dal suo cervello. Nel senso di restare integro, lievitare, non pensare, perdersi in una bolla piuttosto che ritrovarsi in questo stato: senza fissa dimora, senza nessuno, senza un lavoro. «Sto diventando un anacoreta, mi sto staccando, osservo la vita, non partecipo», diventa amaro quando è triste e s'incupisce. Perché si può essere scienziati eppure restare legati a un filo. Basta un concorso andato male quando eri sicuro di averlo vinto perché ti sentivi il migliore. Basta un affetto non ricambiato, un appiglio precario, un lutto nel momento sbagliato. E perdi la presa, precipiti. «Eppure in Giappone all'inizio andò tutto bene, conobbi Chinka, la sposai. Sette anni fa nacque Ruri, una bambina, non la vedo da quando aveva sei mesi». La terra iniziò a sprofondargli sotto i piedi quando la borsa di studio non gli fu rinnovata. E non per demeriti personali: «Ci fu uno scandalo, l’ex commissario, Ue restò coinvolto, borse di studio concesse agli amici e agli amici degli amici; si scoprì che l'aveva assegnata persino al suo dentista di fiducia». L'errore della sua vita. anche se Patrizio non lo ammetterà mai, fu. dopo una serie di tentativi sfortunati, scagliarsi a testa bassa contro certe regole di un certo mondo accademico. Spese 8 milioni per pubblicare su un'intera pagina del Manifesto, un clamoroso j'accuse «contro i baroni, contro il nepotismo e i concorsi-farsa». Propose una legge di riforma dei concorsi universitari e lanciò un appello raccogliendo via fax le firme di molti ricercatori. La rottura fu eclatante, coraggiosa. ma lo portò all'emarginazione. Fra i suoi colleghi ci fu chi ripiegò sull'insegnamento, supplenze brevi, incarichi a tempo determinato col miraggio del posto fisso e chi invece riuscì comunque a realizzarsi e ancora oggi vive all'estero studiando i meccanismi di regolazione del gene e misteri legati al dna. Patrizio decise di rimanere in Giappone Si mise a dare lezioni private di italiano. Due anni dopo iniziò la discesa: si separò dalla moglie, rimase senza la figlia e senza il permesso di soggiorno. Si ritrovò solo e disoccupato quando gli arrivò dall'Italia anche la notizia che sua madre era stata colpita da un ictus. «La vita di una persona se è ben strutturata può continuare sempre sulla stessa falsariga. ma se non è così tutto può andare molto diversamente», spiega ora Patrizio, troppo fiero e orgoglioso per chiedere e per piangersi addosso. «Durante la lunga malattia di mia madre che, è stato per me motivo di enorme sofferenza ricorda l'ex ricercatore – feci domanda per partecipare ad un quiz In tv_ Una di quelle trasmissioni alla Nino Frassica. La conduceva Luca Barbareschi. Superai le prove e fui scelto come concorrente. Azzeccai le risposte alle domande di geografia, poi mi chiesero chi era il protagonista di un certo film, non ricordo bene quale, sbagliai. La risposta giusta sarebbe stata Eddie Murphy. Persi ma vinsi comunque 8 milioni di vecchie lire». Abbastanza per pagarsi il viaggio di ritorno - In Giappone - riprende- non é come da noi che accogliamo tutti, illusi, gente che vede in tv la pubblicità del "Mulino Bianco" e crede di trovare da noi chissacchè. Li se non hai una famiglia, una casa e un lavoro, senza un permesso non puoi restare. Quando passi la frontiera ti fanno la scansione dell'iride e dei polpastrelli. Se non produci non ti vogliono, torni a casa». II problema di Patrizio è che ora vorrebbe tornare nel paese del Sol Levante. E non può. «La cosa più importante per me è rivedere mia figlia. Non sopporto l'idea che cresca lontano, senza conoscermi. Se devo fare il barbone preferisco farlo in Giappone». Da buon napoletano Patrizio conosce l'arte di arrangiarsi. Ma a modo suo, senza perdite di dignità. Vive rincorrendo le mense della Carità e dormendo tra immigrati dell'Est e barboni a due passi da San Pietro Sa bene che in queste condizioni trovare un qualsiasi lavoro non è semplice. Gli sono rimasti pochi soldi. E ha deciso di sfruttare te sue conoscenze di scienziato mancato per puntare sul Lotto. Applica al gioco delle palline sparate in un tubo da un flusso di aria compressa la teoria di Ludwig Boltzmann. un fisico austriaco tutto, radici quadrate, posizioni, appunti. Grazie alle teorie di Boltzmann ottiene, lui dice, piccole ma frequenti vincite, E campa cosi puntando ogni volta tutta quello che ha sugli "estratti determinati", l'ordine di estrazione dei numeri e le ruote, «Ma non mi faccio illusioni, per me vale il motto 'i Camillo Benso conte di Cavour: il lotto è la tassa che i fessi pagano per permettere al re [í.' di la S11,1 corIC». co noto per una formula di derivazione statistica. Le scoperte di Boltzmann furono contestate dagli scienziati dell'epoca, erano in contrasto con gli indirizzi del suo tempo. Per questo, deluso, si suicidò nel 1906. Ma il suo lavoro venne in gran parte confermato da dati sperimentati pochi anni dopo. Patrizio gira sempre con un quadernino in cui annota ======================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 mar. ’06 CAGLIARI: S’INAUGURA LA NUOVA MEDICINA Università. Cittadella Settimana scientifica La nuova struttura di Medicina, nella Cittadella universitaria di Monserrato, è pronta al varo di sabato. Alle 10,30 il rettore Pasquale Mistretta e il preside della facoltà, Gavino Faa, taglieranno il nastro dell’edificio, composto da un’aula magna da 217 posti e altri locali destinati agli studenti, per un totale di 450 posti a sedere. Quella di sabato sarà l’occasione anche per l’inaugurazione della XVI settimana della cultura scientifica,: un momento di confronto anche sullo stato di salute dell’Ateneo di Cagliari, e su quanto si è fatto, e si sta facendo, nel campo della ricerca. Il rettore, nell’ultimo numero di Unica news, il bimestrale dell’ateneo, ha ricordato come «la nuova "spina" della facoltà di Medicina faccia parte di una complessa attività edilizia, sostenuta da fondi ministeriali e regionali», e che vede la Cittadella universitaria di Monserrato avvicinarsi sempre più al concetto di campus universitario. Ne beneficerà la facoltà di Medicina che dal prossimo anno accademico troverà un’unica collocazione, passaggio che il preside Faa definisce «storico, poiché, da quando esiste, la facoltà è sempre stata sparpagliata in diversi edifici in città». L’edificio è lungo 130 metri ed è disposto su tre piani e con un seminterrato: all’interno ci sono aule, aree per gli studenti, stanze più piccole per i corsi meno numerosi, l’aula congressi da 217 posti. Senza dimenticare la vicinanza con il Policlinico, che consente un’accoppiata vincente tra didattica e pratica. Tra i progetti futuri anche quello della realizzazione di una grande biblioteca bio-medica, da sistemare in un altro edificio in fase di costruzione nella Cittadella, nel quadro di quella attività edilizia evidenziata dal rettore Mistretta. Sull’utilizzo della nuova "spina" di Medicina, gli studenti hanno delle idee che renderanno note proprio il giorno dell’inaugurazione. Dopo il taglio del nastro, l’avvio della settimana della cultura scientifica, giunta alla sua sedicesima edizione. Si terrà anche una conferenza d’ateneo per la ricerca, per presentare il bilancio sulla ricerca nell’Università di Cagliari. Anche alla luce delle nuove occasioni offerte dalla Regione, con i voucher, oltre a quelle messe a disposizione con le risorse economiche classiche. L’obiettivo è quello di migliorare la qualità della ricerca, ma anche la quantità dei ricercatori, come ha sottolineato lo stesso rettore. Matteo Vercelli _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 mar. ’06 I DIPENDENTI BLOCCANO IL POLICLINICO Le accuse: "Pochi corsi di formazione e stipendi fermi" Università. Ieri giornata di sciopero proclamata dai sindacati: garantite solo le urgenze Dipendenti del Policlinico universitario sul piede di guerra per rivendicare i loro diritti. In programma altre giornate di sciopero. Una giornata di sciopero per rivendicare i propri diritti: ieri i dipendenti del Policlinico universitario hanno disertato il posto di lavoro per protestare contro i vertici dell'azienda e contro il rettore Pasquale Mistretta. Sotto accusa la mancata progressione orizzontale (con stipendi che non tengono conto dell'anzianità di servizio), l'esclusione dai corsi di formazione, l'attesa infinita per la ricostruzione delle carriere, e per l'utilizzo smodato di lavoratori interinali che favoriscono la crescita del precariato. Una mobilitazione programmata da tutti i sindacati, Cgil, Cisl, Uil e Cisal, e che ha coinvolto molti dei 600 dipendenti infermieristici, tecnici e amministrativi. I disagi. Inevitabili i disagi agli utenti che ieri si sono recati all'ospedale universitario. Sono state garantite le urgenze, nei reparti erano presenti solo due infermieri, e non si eseguivano prelievi e campionature biologiche. "È una vertenza che va avanti da dieci anni - ricorda Pino Calledda della Cgil - e nonostante l'intervento del prefetto, e il tentativo di conciliazione, abbiamo avuto soltanto promesse e parole". Tra tanti problemi nel rapporto tra dipendenti e Policlinico (basti pensare che c'è una media di due istanze al giudice del lavoro per ogni lavoratore) c'è quello della differenza di trattamento rispetto ai colleghi degli altri ospedali. "Da noi - spiega Tomaso Demontis della Cisl - non ci sono scatti d'anzianità. Così chi lavora da vent'anni ha lo stesso stipendio di chi è entrato da dodici mesi". La protesta. La differenza in busta paga, per chi ha un'anzianità di venti anni (e prende circa 1.200 euro) e ha magari superato un concorso interno, rispetto ai colleghi della Asl, è di circa 250 euro. "Gravissimo - aggiunge Arturo Maullu della Cisal - anche l'esclusione di fatto dai corsi di formazione, e il mancato reintegro del personale infermieristico. Negli ultimi anni sono andati in pensione circa settanta persone, e molti sono part-time. La filosofia che si sta seguendo è quella dell'assunzione di lavoratori tramite agenzie interinali e a contratti di qualche mese. Questo crea precariato e non dà continuità al servizio". Un altro campo di battaglia è quello della ricostruzione delle carriere, ferma agli anni '80: "Vengono erogate pensioni provvisorie - evidenzia Calledda - perché non si conosce l'esatto ammontare di quanto dovuto". Dopo aver atteso inutilmente una risposta, i sindacati sono pronti a proclamare altre giornate di sciopero se non saranno accolte le richieste. (m. v.) IL RETTORE: "SIAMO PRONTI A TRATTARE" Sono pronti ad auto-sospendersi dalle cariche che ricoprono negli organismi di governo dell'Università. L'attacco dei dipendenti del Policlinico universitario, e dei loro rappresentanti in Senato accademico, Senato allargato e Cda, ha un doppio bersaglio: i vertici dell'ospedale, ma soprattutto Pasquale Mistretta. Il rettore non si tira indietro nel rispondere ai sindacati. Anzi critica il loro comportamento: "Ero disponibile a incontrarli - sottolinea Mistretta - e avevo indicato tre date a fine febbraio e inizio marzo. Hanno detto di no, e alla fine lo sciopero è stato fatto". Uno sciopero che crea danni a tutti: "Soprattutto ai cittadini e agli studenti. Come amministrazione abbiamo fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità per evitarlo. Per questo sono rammaricato. Avevo anche permesso un'assemblea pubblica la settimana scorsa, a conferma delle intenzioni di risolvere il problema. Ovviamente la mia porta resta aperta per una nuova interlocuzione". Fuori dal Policlinico ieri tante bandiere dei sindacati e anche alcuni striscioni di protesta: Si offrono infermieri professionisti a basso costo ad altre aziende. In un altro un attacco diretto al rettore: Fuori i soldi dei dipendenti. Oppure servono per la campagna elettorale? Insomma, lo scontro sembra appena all'inizio. (m. v.) UNA STRUTTURA OSPEDALIERA NATA DIECI ANNI FA La storia. Quasi 300 posti letto in camere con bagno autonomo e telefono Istituito nel '94, il Policlinico universitario di Cagliari ha iniziato la sua attività aziendale nel novembre del '96 negli edifici della clinica Aresu. Il trasferimento nella nuova sede di Monserrato, a due passi dalla Cittadella universitaria, è iniziato nell'aprile del '99, con l'attivazione del dipartimento di Medicina 2. Oggi è, a tutti gli effetti, un ospedale funzionale e accogliente, con assistenze specialistiche in diversi rami della Medicina, proprio per la presenza di gran parte delle strutture cliniche della facoltà e di numerosi centri di ricerca. Una struttura che serve a formare gli studenti specializzandi e il personale laureato. Accanto ai circa 600 dipendenti (tra personale infermieristico, tecnico e amministrativo), ci sono i docenti universitari. Il Policlinico universitario è organizzato in dipartimenti medici: medicina interna 1 e 2, diagnostica, medicina preventiva, del lavoro e legale, e chirurgia generale. Quattro i settori sanitari: il day hospital, l'ambulatorio per esterni, farmacia e la sterilizzazione. Per quanto riguarda la ricettività ospedaliera, sono 280 i posti disponibili, in camere che spesso hanno diversi confort, come il bagno autonomo e il telefono. Per il futuro, il Policlinico universitario entrerà a far parte dell'azienda mista, come previsto dal protocollo d'intesa Regione-Università. Un'azienda che comprenderà anche le strutture convenzionate con l'azienda sanitaria 8. In questa partita rientrerà anche il trattamento salariale dei lavoratori: oggi quelli del Policlinico ne hanno due differenti (uno universitario, l'altro della Asl). (m. v.) _____________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 4 mar. ’06 ENTRO GIUGNO L’AZIENDA MISTA NIENTE PIÙ REPARTI FOTOCOPIA Sanità. La Dirindin: «Prima riduciamo le file poi pensiamo all’eccellenza» Zanaroli promette: «Il centro ustioni dell’ospedale non chiude ma sarà riorganizzato» «Prima diminuiamo le file dei pazienti, poi penseremo all’eccellenza della sanità sassarese ». L’assessore regionale alla sanità, Nerina Dirindin, ieri, alla Camera di commercio, all’incontro "Sassari polo sanitario di eccellenza regionale", promosso dai Ds, ha gettato acqua sul fuoco delle polemiche sollevate nei giorni scorsi sul futuro della medicina turritana. «Finora qui ognuno era libero di aprire e chiudere reparti - ha spiegato Dirindin - d’ora in poi ci saranno regole e ordine per evitare che la tutela di posizioni di privilegio possa creare un danno ai cittadini». In altre parole, l’azienda mista si farà, entro l’improrogabile termine del 30 giugno prossimo: «Il protocollo d’intesa fra Regione, Asl e Università non è la Bibbia - continua l’assessore - ma su questo dobbiamo procedere». La nascita dell’azienda mista comporterà l’eliminazione dei doppioni dei due enti (Asl e Ateneo): perciò dovrebbero chiudere i reparti di urologia e chirurgia maxillofacciale del Santissima Annunziata e quelli di dermatologia e oncologia delle Cliniche. Dall’azienda ospedaliero - universitaria resterà fuori il Civile, scelta che non trova il plauso del sindaco Gianfranco Ganau: «Il processo è iniziato male e spero che non dovremo pentircene: raccomando che la diminuzione del numero di posti letto segua un percorso graduale». Perché da 1200 materassi si passerà a circa 900, come stabilito dalle leggi nazionali. Metà dei posti verrà gestito dall’Asl, il resto dalla neonata azienda con due sedi e una testa. «Abbiamo troppi letti e tanti ricoveri inappropriati - ha sottolineato Zanaroli - ora è necessario intervenire per recuperare risorse spese male. Nello stesso modo ci muoveremo per il reparto ustioni che non verrà chiuso ma razionalizzato. Perché i cittadini chiedono servizi, non etichette di eccellenza». Un protocollo mal digerito ma urgente, a parere di Giulio Rosati, preside della facoltà di medicina: «Altrimenti i nostri corsi di specializzazione non sarebbero partiti». C’è stata davvero condivisione per la firma dell’accordo? «Ora l’importante è informare su cosa produrrà questa riforma», aggiunge Agostino Sussarellu, presidente dell’Ordine dei medici. Giuseppe Marongiu _____________________________________________________________ La Stampa 9 mar. ’06 IL CNIPA AL LAVORO PER INTRODURRE LE TECNOLOGIE RFID NELLE PA Cartelle cliniche «intelligenti» che eliminano gli errori, pratiche burocratiche «autoreferenti», monumenti ed opere d'arte «dialoganti», ma anche il patrimonio immobiliare e il parco veicoli dello Stato «dinamici». A dare un nuovo colpo di acceleratore al processo di modernizzazione della Pubblica amministrazione italiana, introducendo le tecnologie Rfid (Radio Frequency Identification), è il Cnipa (Centro Nazionale per l'Informatica nella PA) che ha siglato oggi un accordo di collaborazione con il Cattid (Centro per le Applicazioni della Televisione e delle Tecniche di Istruzione a Distanza) dell'Università La Sapienza di Roma, per sperimentare e, quindi, valutare le effettive potenzialità e i reali benefici per l'Amministrazione pubblica delle nuove applicazioni Rfid, che consentono identificazione e lettura a distanza di numerose informazioni contenute in una etichetta (tag), grande quanto un francobollo, con microprocessore ed antenna. «Già a settembre il Cnipa aveva costituito un laboratorio sperimentale e successivamente un apposito gruppo di studio per esplorare le nuove frontiere aperte dalla tecnologia RFID per dare alla Pubblica amministrazione strumenti sempre più avanzati al fine di migliorarne l'efficienza e la gestione», ha detto Livio Zoffoli, presidente del Cnipa, il quale ha poi spiegato che «la sperimentazione con il Cattid è mirata alla verifica dell'efficacia degli strumenti per definire requisiti, modalità di test e applicazioni che possano poi essere suscettibili di effettiva e proficua utilizzazione all'interno della Pubblica amministrazione, cui il Cnipa fornirà anche la relativa consulenza». Gli apparati Rfid - si legge sulla nota - sono comparsi sulla scena più di dieci lustri fa e le prime applicazioni civili sono state nella logistica. Ma grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni, sono notevolmente migliorate le funzionalità, si sono ridotte drasticamente le dimensioni ma, soprattutto, si sono abbassati in modo considerevole i costi, dando così la stura ad applicazioni sempre più vaste. Una etichetta Rfid memorizza una vastità di informazioni che, via radio, vengono riversate ad un ricevitore, posto su un apparato, un palmare o su un telefonino. E, viceversa, un dispositivo portatile «dialoga» con persone e cose su cui è stata applicata la «tag». Così una infermiera entrando nella stanza di un degente potrà prelevare dal carrello solo i farmaci previsti dal «dialogo» con la cartella clinica digitale del paziente; un turista avvicinandosi ad un monumento o ad un'opera d'arte disporrà delle informazioni relative nella lingua predefinita; un veicolo del parco mezzi pubblici potrà avere accesso a determinate aree, prelevare carburante, usufruire di determinati servizi senza adempimenti e burocrazie; la gestione delle biblioteche diventerà molto più efficiente, rapida e sicura; le pratiche d'ufficio una volta etichettate saranno trattate ed archiviate in modo quasi automatico. E sono solo alcune delle innumerevoli applicazioni che possono derivare dalla tecnologia RFID. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 05 mar. ’06 MEDICINA, ECCO LA RICERCA CHE VINCE Un'analisi del Crui rivela che gli studi scientifici italiani sono tra i più prestigiosi La ricerca italiana è col fiato corto? Non quella medica dove, a sorpresa, sventola alto il tricolore italiano. Tra i cervelli più influenti e apprezzati a livello internazionale nella medicina spiccano nomi e cognomi italiani. I nostri ricercatori si guadagnano, infatti, piazzamenti da top ten nelle classifiche internazionali per produttività scientifica. A rivelarlo è un'indagine condotta dalla Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane) che ha raccolto i dati dell' «Institute for scientific information» (Isi), un organismo internazionale che cataloga tutto quello che viene pubblicato nelle Smila riviste scientifiche più prestigiose al mondo. Secondo questa indagine l’«impatto» degli studi di ricerca medica made in Italy nel quinquennio 2000-2004 - calcolato in base al rapporto tra citazioni da parte di altri colleghi e articoli pubblicati - conquista quasi sempre un posto tra i primi dieci Paesi. Sfiorando a volte il podio. Come nel caso della «medicina interna», una delle categorie più importanti perché apre le porte all'ambita pubblicazione su giornali come «Lancet» o il «New England journal of medicine»: l'Italia si guadagna addirittura il quarto posto, dopo il Belgio e prima della Svezia e soprattutto prima degli Usa che da soli sono responsabili della produzione della metà degli articoli medico-scientifici pubblicati in tutto il mondo. Per la nostra ricerca medica sembra, infatti, valere la vecchia regola del ,..poco ma buono, gli studi italiani non sono, infatti, più numerosi di altri Paesi. Ma, in molti casi, sono più apprezzati e citati dagli altri colleghi nella letteratura scientifica medica. L'Italia nella «medicina interna» vola in alto, infatti, grazie a ben oltre 22mila citazioni per 1.154 pubblicazioni, con un impatto di 19,18 ben al di sopra della media mondiale (7,02). Come dire che un articolo a firma di un ricercatore italiano, in media, è stato citato almeno venti ~ volte in cinque anni. L'Italia è tra i primissimi anche in altre 12 settori: dall'ematologia agli ~ studi sull'apparato cardiovascolare; dalla gastroenterologia all'endocrinologia; dalla medicina di laboratorio alla radiologia. E ancora: anestesiologa e rianimazione, neurotogta, psicologia clinica, chirurgia, ortopedia e infine medicina ambientale e Sanità pubblica. Non mancano però importanti punti di debolezza. Siamo sotto la media mondiale per alcune discipline cruciali come l'oncologia, l'immunologia, la pediatria e la medicina della riproduzione. «Il quadro è sorprendentemente buono. Soprattutto se si pensa alla scarsità dei finanziamenti della ricerca italiana - avverte Giovanni Fava, uno degli autori dello studio insieme a Elena Breno. Vincenzo Guardabasso e Mario Stefanelli - i dati indicano che in molte discipline la creatività e il talento di alcuni gruppi di ricercatori sopperiscono alle carenze strutturali del sistema italiano». MARZIO BARTOLONI _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 mar. ’06 IL PIANO SANITARIO? SOLO BUONE INTENZIONI Alla fine dell’anno la Giunta ha approvato la bozza di Piano sanitario, buona notizia per i sardi, pur se ora è atteso da un non facile esame in Consiglio Regionale. Tuttavia l’assessore ha fatto la sua parte, in tutta onestà bisogna dire che è un buon piano, con una logica di fondo ragionevole e una struttura organizzativa lineare e comprensibile. Detto questo, bisogna però sottolineare la serie impressionante di rimandi a successive decisioni della Giunta che trasforma il Piano quasi in una Legge-delega e che relega il Consiglio da attoreautore principale delle politiche della sanità ad un ruolo di fiacco controllore di fronte allo strapotere dell’esecutivo. Intendiamoci, condivido il fatto che al Consiglio non si possa far carico di provvedimenti di dettaglio ma insomma si poteva e doveva cercare un equilibrio migliore. Il Piano è molto puntuale sull’emergenza, poco chiaro (volutamente?) sul destino dei piccoli ospedali, non dà l’impressione di affrontare nella sua unitarietà il problema dell’invecchiamento della popolazione e ignora quasi del tutto la cardiologia pediatrica e la neuropsichiatria infantile, ma questi errori sono rimediabili nel corso dell’iter consiliare e sono certo che le forze politiche converranno che questi aspetti vanno meglio considerati. Quello che mi pare invece difficilmente rimediabile è la clamorosa sottostima delle necessità finanziarie del sistema pubblico nei prossimi anni ma su questo punto sarà meglio tornare quando saranno noti con maggior dettaglio i consuntivi di spesa del 2005, anche se già da adesso si può tranquillamente affermare che le previsioni di spesa sono insufficienti non solo a far fronte alle nuove iniziative che il Piano prevede ma addirittura a mantenere l’esistente. Comunque speriamo che venga approvato presto anche se deve essere ben chiaro ai sardi che quando esso sarà legge non sarà stato risolto alcun problema ma esisterà solo un quadro generale entro il quale questa Giunta e quelle che la seguiranno dovranno muoversi. Ad esempio, approvare il Piano non significa aprire davvero un nuovo sevizio programmato o ridurre una lista d’attesa ma bensì che quando si troveranno le risorse economiche, le volontà politiche e le competenze, ciò avverrà. È quello che è sempre successo negli ultimi 20 anni, senza Piano ma con un poco di fantasia progettuale, per cui non aspettiamoci all’improvviso grandi novità né, tanto meno, miracoli. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 mar. ’06 LUCE VERDE PER IL SAN RAFFAELE SARDO La convenzione è stata prorogata I lavori conclusi entro il 2010 Documento unanime dell’aula contro il provvedimento regionale che taglia i fondi per l’Università ENRICO GAVIANO OLBIA. Proroga della convenzione per i lavori per la costruzione del San Raffaele e unanime presa di posizione critica contro la Regione per i tagli ai finanziamenti per le sedi universitarie gemmate di Olbia e Tempio. Sono questi i due argomenti salienti che hanno caratterizzato la seduta di ieri del consiglio comunale, che ha visto anche l’ingresso di Tore Murrighile al posto del dimissionario Pierlui Caria. Aula d’accordo sul San Raffaele, la struttura sanitaria privata che dovrà affiancarsi all’Ospedale pubblico. Un’idea che aveva iniziato a prendere corpo alla fine degli anni ottanta, quando sindaco era Giampiero Scanu, e che ora dovrebbe realizzarsi entro il 2010. Proprio Scanu, leader della coalizione democratica di opposizione ha sottolineato come «la maggioranza attuale ha lavorato in maniera costruttiva per la realizzazione di quest’opera, che doterà Olbia e la Gallura di una struttura avanzata nel campo medico, della ricerca e universitario». Il sindaco Nizzi ha aggiunto che «tutte le amministrazioni che si sono succedute hanno sempre sostenuto e creduto nel progetto. Il San Raffaele sarà un valore aggiunto, non farà certo concorrenza all’ospedale pubblico, ma completerà l’offerta». In attesa di alcuni passaggi spettanti alla Regione sarda, la costruzione del San Raffaele è giunta dunque alla parte finale del cammino. Sul caso delle università gemmate è stato votato un documento unanime contrario alle decisioni della Regione e preparato dalla commissione cultura. Il suo presidente, Gesuino Satta ne ha letto i contenuti. «Su 6 milioni e mezzo di euro destinati alle sedi gemmate sarde - ha rilevato Satta -, a Olbia è andato poco meno del 2 per cento, a Tempio l’1.32 per cento. Una discriminazione pesante, che conidziona la stessa vita delle sedi gemmate. Per questo il consiglio comunale deve levare la sua protesta e chiedere che in sede di approvazione definitiva dei provvedimenti le cifre destinate alla Gallura siano riviste». Giampiero Scanu ha criticato le decisioni della Regione. «E’ una vera ingiustizia, il governo regionale ha sbagliato. Non ci interessa quanto hanno preso le altre sedi, ma portare avanti le nostre rivendicazioni. E credo sia giusto che intervenga anche il consiglio provinciale, dopo quelli comunali di Olbia e Tempio, e che vengano coinvolti nella protesta tutti i comuni della Gallura». Elena Burrai, che è anche vicepresidente del consiglio provinciale, ha aggiunto: «Olbia ha preso la stessa cifra dell’anno scorso, mentre a Tempio i soldi erano sempre stati assegnati a consauntivo, dunque non è detto che la cifra non venga ritoccato. Detto questo, però, dobbiamo batterci per avere maggiori finanziamenti, e per poter far crescere ulteriormente il livello dei corsi universitari». __________________________________________________________ ItaliaOggi 10 mar. ’06 FISIOTERAPIA: STOP ALL’EQUIPOLLENZA Tavolo tecnico al Miur sui titoli di studio DI IGNAZIO MARINO Costituito al ministero dell'istruzione un tavolo tecnico, coordinato da Mariagrazia Siliquini, per individuare una soluzione ai problemi generati dall'equipollenza del diploma di laurea in scienze motorie a quello in fisioterapia, prevista dalla legge 27/2006 sull'università. Una modifica che l'Associazione italiana fisioterapisti aveva duramente criticato (si veda ItaliaOggi del 4/3/2005), spiegando che i due percorsi formativi sono completamente diversi. Da ieri l’Aifi ha dalla sua parte anche il sottosegretario al Miur. Che con una nota ha fatto sapere che con l'equipollenza «non sono garantite né l'adeguata preparazione professionale, né le competenze del professionista fisioterapista e, sopratutto, la salute dei cittadini». E se da un lato l’Anlism (una delle associazioni che rappresenta i laureati in scienze motorie) ha esultato per una norma che li riconosce come operatori sanitari, dall'altro i fisioterapisti sono pronti a battagliare. Per i121 marzo a Roma hanno organizzato una manifestazione per sensibilizzare i candidati al parlamento. Intanto, però, la Siliquini ha deciso di portarsi avanti, facendo incontrare a viale Trasteverele associazioni interessate al problema, i rappresentanti del Miur, della Salute, della Crui, del Cun e delle Conferenze dei presidi delle facoltà di medicina e di scienze motorie. L'obiettivo è quello di cercare una soluzione. «L'equipollenza», ha dichiarato la senatrice di Aia, «è stata una risposta sbagliata a un problema reale. Infatti, vanno assicurati ai laureati in scienze motorie degli adeguati sbocchi professionali, ora carenti, ma ben distinti da quello dei laureati in fisioterapia. Con la modifica delle Classi», conclude la Siliquini, «abbiamo voluto sanare quanto c'era di errato nell'impostazione del passato: individuato, chiarito e distinto adeguatamente gli sbocchi professionali dei laureati in scienze motorie e fisioterapia. Riteniamo, in ogni caso, non sostenibile a nessun livello l'equipollenza delle due figure professionali, che hanno percorsi formativi e responsabilità ben differenziate, soprattutto nei confronti dei cittadini e della tutela della loro salute». (riproduzione riservata) _____________________________________________________________ La Repubblica 8 mar. ’06 FISIOTERAPIA? "NON È PER TUTTI" La legge equipara gli operatori ai laureati in Scienze motorie. è polemica di Maria Gullo Nuova polemica per le categorie sanitarie non mediche: pomo della discordia una recente norma che stabilisce l'equipollenza tra i fisioterapisti e i laureati in Scienze motorie - definiti nel decreto del 1998, che istituiva lo specifico corso di laurea, professione non sanitaria - previa una sorta di tirocinio su paziente ancora da decidere. "Fallito per ora il tentativo di correggere la norma grazie a un emendamento del governo", specifica Vincenzo Manigrasso, presidente dell'Associazione Fisioterapisti (Aifi) -, aspettiamo la prossima legislatura ma sostanzialmente la norma è delegittimata, è anticostituzionale: ogni corso di laurea porta alla formazione di una figura professionale diversa dalle altre e un semplice corso non sostituisce anni di studi". Secondo i fisioterapisti, la legge incrementerà i rischi per la sicurezza dei cittadini, già compromessa dall'abusivismo dilagante. Che sia diversa la formazione tra le due professioni lo dimostrerebbe il fatto che nell'eventuale passaggio da Scienze motorie a Fisioterapia i crediti riconosciuti sono ben pochi. Si tratterebbe di occuparsi, senza preparazione, tra l'altro di malati di Parkinson, Alzheimer . "Anche nei controlli delle strutture pubbliche o accreditate sulle qualifiche si creano spesso dei buchi, figuriamoci nel privato, specie al Centro-sud. Più volte abbiamo segnalato ai Nas che laureati in Scienze motorie si occupavano di riabilitazione magari per patologie neurologiche cui non sono preposti: possono solo occuparsi dell'organismo sano". Intanto arriverà a breve il decalogo antiabusivismo elaborato da Aifi e Tdm. Il Tdm ha denunciato che negli ultimi anni si sono triplicati i reclami per disservizi e scarsa professionalità proprio nella riabilitazione e prevenzione della disabilità. Maggior controllo formale sulla qualità e sugli aspetti deontologici verrà anche dalla istituzione dell'Ordine professionale, che il governo ha delega di istituire già dal 24 gennaio. Il fisioterapista "generalista" è pronto a fine triennio, quando già possiede, precisa l'Aifi "gli strumenti per la valutazione delle patologie e le competenze per strutturare specifici percorsi terapeutici, affrontando tutte le patologie e i campi, dal neurologico all'ortopedico al viscerale, al cardiocircolatorio". Poi con master ed Ecm ci si specializza, in pediatria piuttosto che in terapia manuale, fatto salvo che la specializzazione universitaria biennale è più orientata al management. "Continueremo la nostra protesta, ricorreremo agli organismi europei, ma", assicurano, "senza farne pagare lo scotto ai cittadini". _____________________________________________________________ La Repubblica 3 mar. ’06 SEIMILA ITALIANI IN ATTESA PER UN RENE è allarme per le spese sanitarie Quarantacinquemila pazienti riescono a vivere solo grazie alla dialisi, ed ogni anno, in Italia, altri 8 mila devono sottoporsi alla depurazione ciclica del sangue. Ogni malato costa al Servizio sanitario nazionale 40 mila euro ogni anno e se il trend verrà confermato, nel prossimo futuro il sistema pubblico rischierà il collasso. Non che negli altri paesi la situazione sia migliore. Nel mondo un milione e 600mila persone sopravvivono grazie alla dialisi. Più della metà viene curata in cinque Paesi: Usa, Giappone, Brasile, Italia e Germania. Negli Stati Uniti, secondo le stime della U. S. Renal Data System, il numero dei malati è destinato a crescere dell’85 per cento entro il 2015, toccando così quota 700 mila. Ma la dialisi, che purifica il sangue attraverso un rene artificiale, non risolve il problema, permette solo agli ammalati di continuare a vivere. L’unica soluzione è il trapianto: in Italia 16 mila e 500 persone campano grazie ad un rene trapiantato, più di 6 mila quelli iscritte nelle liste d’attesa, mentre 1.663 sono i pazienti trapiantati nel 2005. Sono i preoccupanti dati presentati ieri, nella sala del Carroccio in Campidoglio, dall’Associazione nazionale emodializzati, in vista della “prima giornata mondiale del rene” fissata per il 9 marzo del 2007. «Nessun Paese, nemmeno il più industrializzato — precisa il professor Giuseppe D’Amico, presidente della Fondazione D’Amico per la ricerca sulle malattie renali — riuscirà a sopportare la crescita esponenziale prevista per i prossimi anni, dei costi per i malati. Ecco perché diventa indispensabile aumentare i fondi per la ricerca e avviare programmi efficaci di monitoraggio sulla popolazione». Ma un altro punto centrale è la prevenzione. «È rimasta sempre sulla carta, mentre è necessario creare una rete tra medici di base, i distretti sul territorio, i centri diabete e le unità di nefrologia — afferma Franca Pellini Gabardini presidente dell’Aned — il 30 per cento dei pazienti arriva alla dialisi senza alcun percorso formativo, tra le molte campagne ministeriali non ne esiste ancora nessuna sulle patologie renali». Ultimo nodo, quello dei trapianti. Un settore dove l’Italia, in dieci anni, ha raggiunto i vertici europei, alle spalle solo della Spagna. «E’ importante — commenta Alessandro Nanni Costa, direttore Centro nazionale trapianti — che le liste d’attesa non stiano crescendo. La trasparenza è alla base del nostra attività ogni anno infatti i risultati dei nostri interventi vengono mandati a confronto con i registri europei ». Quello che servirebbe, secondo l’esperto è «un osservatorio sui risultati complessivi del sistema dell’assistenza e cura, l’impegno per mantenere la qualità e infine l’incremento del numero trapianti. Il che significa — ha concluso Nanni Costa — più donazioni» _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 mar. ’06 NOMINE, IL SINDACATO ATTACCA GUMIRATO «È pensionata, non può guidare il Centro di salute mentale Accuse ed esposti contro il manager Asl per la scelta di un direttore non sardo: per Raspino la nomina è illegittima. Gumirato: «Tutto in regola». Il sindacato attacca, e il direttore generale della Asl 8 di Cagliari, Gino Gumirato, replica alle accuse. Terreno di scontro la nomina della leccese (ma residente a Trieste) Giovanna Del Giudice a direttore del distretto di Cagliari, con delega ad avviare il dipartimento di Salute mentale: «È in pensione, non poteva essere nominata, così come scritto nella stessa delibera firmata da Gumirato», tuona Tonio Raspino, segretario regionale della Federazione autonoma sindacale europea. «È tutto in regola, non c’è stata violazione della legge », risponde Gumirato. ESPOSTO. Ma la battaglia sindacale non finisce qui. Con un esposto a Procura della Repubblica e Corte dei conti, si contesta al direttore di aver percepito lo stipendio «anche nel periodo dal 6 al 26 dicembre, quando era stata annullata la delibera della sua nomina dal Tar». «Nessuna sospensione, ho continuato a lavorare regolarmente, e non c’è stata discontinuità di servizio», la replica del direttore della Asl 8. Accuse ed esposti contro il manager Asl per la scelta di un direttore non sardo: per Raspino la nomina è illegittima. Gumirato: «Tutto in regola». LA NOMINA. Intorno alla nomina di Giovanna Del Giudice, dopo le critiche avanzate da Sergio Marraccini dell’Udeur sull’incarico «affidato a una persona non sarda », spunta l’ipotesi dell’irregolarità. Ad avanzarla è Tonio Raspino che cita la delibera del direttore generale della Asl 8: «Al di là dell’opportunità o meno di affi- dare un incarico a una persona esterna, pratica su cui stiamo facendo scuola, c’è un problema di fondo. Nella delibera infatti è specificato che può essere nominata una persona che non goda del trattamento di quiescenza. Nel curriculum della dottoressa è ben evidenziato che dall’aprile del 2001 è a riposo per raggiunti limiti d’anzianità, e dunque in pensione. Insomma non poteva ricevere l’incarico ». LA REPLICA. Dall’accusa alla difesa, con la replica di Gumirato: «È vero - puntualizza il direttore generale dell’Azienda sanitaria - che Giovanna Del Giudice era in pensione, ma questo prima di rientrare nella pubblica amministrazione come direttore del dipartimento di salute mentale di Caserta, dopo regolare vittoria di un concorso. Oggi, è di fatto una dipendente nel settore pubblico, e per accettare la nomina alla Asl di Cagliari si è messa in aspettativa». LO STIPENDIO. Caso chiuso? Nemmeno per idea. Il sindacato affonda il colpo, accusando il direttore generale di aver percepito lo stipendio «anche quando non è stato in carica, dal 6 al 26 dicembre, dopo l’annullamento della delibera regionale da parte del Tar. In virtù di quel provvedimento, Gumirato non era più legittimato a svolgere alcuna funzione. Infatti il 27 dicembre si è resa necessaria una nuova delibera della Regione per farlo tornare al suo posto. Eppure, con mandati di pagamento, ha recepito l’indennità intera sia a dicembre che a gennaio». «SERVIZIO CONTINUATO». Di parere opposto il direttore, che ricorda come «la sentenza del Tar fosse parziale, per difetto di motivazioni da parte dell’Asl. C’erano a disposizione trenta giorni per procurare i documenti richiesti: è stato fatto dopo quindici. Nel frattempo sono rimasto al mio posto, lavorando regolarmente. Non c’è stata discontinuità di servizio». L’ATTESA. La palla passa ora a procura della Repubblica e Corte dei conti. Da una parte il sindacato attende un riscontro positivo al suo esposto, visto il rapporto non idilliaco con il direttore. Dall’altra Gumirato è sicuro del fatto suo: «Ho agito nel rispetto della legge». M ATTEO V ERCELLI _____________________________________________________________ La Scienze 8 mar. ’06 Allarme nefropatie È necessario puntare alla prevenzione del diabete e dell'ipertensione Le patologie renali croniche sono in continuo aumento in tutto il mondo. Per quanto riguarda l’insufficienza renale terminale, l’incidenza media europea è di 135 per 1.000.000 abitanti, contro i 336 per 1.000.000 degli Stati Uniti. A segnalarlo è il British Medical Journal (BMJ, che nell'editoriale sottolinea come in Gran Bretagna l’aumento annuo è del 5-8 per cento. L’aumento è probabilmente da mettere in correlazione con la sempre maggiore diffusione a livello globale del diabete di tipo 2 e con il progressivo invecchiamento della popolazione. I costi per la cura dell’insufficienza renale sono elevati e rappresentano una sfida per i sistemi sanitari. In Europa, meno dello 0,1 per cento della popolazione necessita di un trapianto, ma assorbe il 2 per cento dei bilanci sanitari. Negli Stati Uniti entro il 2010 i costi della terapia dell’insufficienza renale terminale toccheranno i 29 miliardi di dollari. Poche nazioni sono in grado di reggere un simile aumento di esigenze finanziarie. Dato che l’adozione di uno screening di massa per l’individuazione precoce delle patologie renali non appare né semplice né, verosimilmente, vantaggioso dal punto di vista economico, secondo l’editoriale della prestigiosa rivista medica, è necessario che governi e autorità sanitarie mettano a punto strategie di prevenzione primaria e secondaria rivolte a contenere quelli che sono i più importanti fattori di deterioramento di questi organi, vale a dire diabete e ipertensione. _____________________________________________________________ La Scienze 8 mar. ’06 IN ARRIVO UN TEST PER I TUMORI DEL CAVO ORALE Ha un'accuratezza dell'85 per cento Se ne sente parlare poco, ma i tumori del cavo orale sono fra i più frequenti, soprattutto nel sesso maschile. Per quanto non sia facile distinguere accuratamente le differenti sedi del tumore maligno del cavo orale (lingua, ghiandole salivari, gengive, pavimento della bocca e palato) e della faringe (orofaringe, rinofaringe e ipofaringe), in Italia questo tipo di neoplasie colpisce ogni anno circa 8,2 persone per 100.000 negli uomini e 2,8 nelle donne. Purtroppo solamente la metà circa di questi viene diagnosticato nelle fasi iniziali, quando la terapia offre una percentuale di guarigione fra l’80 e il 90 per cento. Per questo da anni gli scienziati sono alla ricerca di un marcatore che segnali la presenza di una degenerazione tumorale fin dai suoi primissimi stadi e oggi sembrano esserci riusciti. A darne notizia è stato David Wong, dell’Università della California di Los Angeles (UCLA), al 35° Congresso dell’Associazione americana per la ricerca odontostomatologica in corso a Orlando, in Florida. Wong e colleghi hanno infatti individuato sette molecole di RNA che sono reperibili a livelli più elevati del normale in persone portatici di tumore al cavo orale. Dalle prove finora eseguite, risulta che l’accuratezza del test messo a punto all’UCLA è dell’85 per cento. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 mar. ’06 QUELLO CHE VOGLIAMO DAI MEDICI Una lista delle caratteristiche che i pazienti desiderano di più in un medico. L'ha stilata una ricerca della prestigiosa Mayo Clinc I sette pregi principali di un medici Qual è il più importante? I sette peggiori difetti di un medico. Qual è il più grave? MINNESOTA (Usa) – Devono potersi affidare totalmente, devono considerarlo competente, ma anche dotato di qualità umane. Guai se non ricorda nemmeno il loro nome e se, anche a fin di bene, dice una bugia. Trovare il medico del cuore non è un’operazione semplicissima per i pazienti e spesso le sette virtù capitali non sono presenti simultaneamente nei professionisti della salute. Esce uno studio della MayoClinic citato da Livescience che individua le caratteristiche più richieste. Il quadro del medico perfetto è in parte ovvio, in parte illuminante. Certamente sarebbe utile che in ogni ospedale circolasse questa ricerca e che ogni medico desse una sbirciata ai desideri segreti dei pazienti. LE SETTE VIRTU’ – Lo studio si basa sulle dichiarazioni di 192 persone che hanno espresso desideri e preferenze molto simili. Il professionista ideale è sicuro di sé, ha la capacità di identificarsi nel paziente, è umano, è “personale” (nel senso che ha un rapporto con il suo interlocutore preferenziale e definito, sa il suo nome e la sua condizione), è rispettoso, completo e infine esplicito. IL DONO DELLA SCHIETTEZZA – L’ultima caratteristica, segnalata all’unisono da tutti gli intervistati, fa riflettere in particolar modo. Molto si dice e si è detto sull’opportunità o meno di comunicare al malato la sua condizione, le reali aspettative e il quadro clinico completo. Quello che il diretto interessato preferisce è ormai chiaro: il parere più esplicito e crudo è comunque meglio e meno ansiogeno di una verità talmente edulcorata da non essere più vera. Emanuela Di Pasqua _____________________________________________________________ Corriere della Sera 10 mar. ’06 ATTENTI ALLA SINDROME DI HIGHLANDER Sono sempre di più gli atleti «master» che praticano sport agonistico senza le dovute precauzioni Si chiama sindrome di Highlander, o dell'immortalitá, riprendendo il titolo del celebre film degli anni '80 che decantava le gesta di un immortale. A soffrirne sono diversi anziani che conservano una spiccata tendenza competizione, autostima e sensazione di benessere. Colpisce più facilmente gli atleti che continuano l'attivitá dopo l'agonismo giovanile, o che, interrotta l'attivitá sportiva, la riprendono in etá avanzata, oppure sedentari che pretendono di diventare atleti in etá matura o avanzata. ? Italia: la carica dei centenari Sono over 35-40 anni, che partecipano a competizioni agonistiche fino agli 80 anni. Una passione per lo sport che può però rivelarsi pericolosa, se non «fatale». A lanciare l'avvertimento agli indefessi amanti dello spirito agonistico è Paolo Zeppilli, direttore della scuola di specializzazione di Medicina dello sport dell'universitá Cattolica di Roma, in occasione di un meeting sul tema, organizzato in collaborazione con i geriatri del dipartimento di Scienze gerontologiche del policlinico Gemelli di Roma. Gli atleti master, riferiscono gli esperti, sono un esercito: «I partecipanti ai Word Master Games sono passati dai 9.305 della prima edizione di Toronto, nel 1985, ai 21.600 presenti a Edmonton nel 2005». In Italia sono in prevalenza maschi, e rappresentano ben il 47,3% degli iscritti alla Fidal (la Federazione italiana di atletica leggera). «Troppo spesso questi atleti sono erroneamente convinti che l'esercizio fisico possa preservare da qualsiasi stato patologico e tendono a minimizzare sintomi e fattori di rischio pregressi o attuali», spiega Zeppilli. E le conseguenze sono spesso serie. «In casi non sporadici - continua - gli atleti anziani presentano aritmie sotto sforzo, che possono essere molto pericolose e che sono più frequenti nei master rispetto agli atleti più giovani ______________________________________________ Corriere della Sera 9 mar. ’06 VERONESI: CON LA RADIOTERAPIA VELOCE POTREMO DIMEZZARE I TEMPI DI CURA ISTITUTO ONCOLOGICO EUROPEO La radioterapia diventa fast (veloce), con una riduzione della durata del trattamento e del numero di sedute. Dopo un investimento da 2 milioni di euro, all' Istituto europeo di oncologia (Ieo) entra a pieno regime l' utilizzo di tre macchinari con tecnologia «4 D», presentati ieri dal direttore scientifico dello Ieo, Umberto Veronesi. Si tratta dell' ecotomografo Bat, dell' Exactrac 6D e dell' On Board Imager: «Rappresentano l' ultima frontiera della radioterapia, con un trattamento a quattro dimensioni: oltre al volume le apparecchiature tengono conto anche del movimento - spiega Roberto Orecchia, direttore della divisione di Radioterapia e ordinario all' Università di Milano -. Così è possibile identificare esattamente il bersaglio e inseguirlo nei suoi microspostamenti, come quelli generati dal respiro e dalla frequenza cardiaca». Fast, tecnicamente sta per «frazionamento accelerato dello schema terapeutico». La durata della cura è infatti dimezzata e il numero di sedute ridotto («Perché le dosi sono più intense e mirate», dice Orecchia): per i tumori al seno si passa da sei a quattro settimane («Con l' obiettivo di arrivare a tre»), per il tumore alla prostata da otto a sei («Il traguardo è scendere sotto i cinque»). Le nuove apparecchiature permetteranno anche allo Ieo di ridurre le liste d' attesa. «Le tecnologie in medicina sono destinate a far risparmiare la sanità - osserva Umberto Veronesi -. Non solo: la filosofia dello Ieo è di fare trattamenti il più mirati possibile per limitare al minimo la tossicità della cure». Oltre i tumori al seno e alla prostata, i macchinari possono essere utilizzati per curare fegato, polmoni e altri organi. S. Rav. Ravizza Simona _____________________________________________________________ Corriere della Sera 5 mar. ’06 LA SCOMMESSA DEL BISTURI SU MISURA IL CONSIGLIO DEL GRANDE MEDICO Confezionare il trattamento più idoneo per ciascun malato; questo è sempre stato il mio obiettivo di medico. La malattia coronarica rappresenta la patologia di più comune riscontro in ambito cardiologico e cardiochirurgico. Saperne gestire correttamente le molteplici possibilità di trattamento è la vera sfida del medico che si pone dalla parte del malato e che con una visione globale individua la metodologia più idonea. I pazienti oggi sono persone che hanno saputo sfruttare al massimo i vantaggi della globalizzazione, sono informati e attenti alle differenti proposte terapeutiche e non più disposti, giustamente, a subire un trattamento senza capirlo, condividerlo e, talora, condizionarlo. Rivascolarizzare un cuore ammalato è una sfida avvincente: si passa dalla terapia farmacologica agli stent medicati, alla chirurgia coronarica tradizionale, a quella mini-invasiva a cuore battente. Ma come confezionare il trattamento più idoneo? Si parte dalla valutazione della severità della malattia cardiaca, per passare allo studio di tutte le altre possibili patologie associate, il diabete ad esempio, che possono da sole inficiare i risultati anche di tecniche tendenzialmente ideali, per arrivare alle problematiche della terapia farmacologica e chiudere il cammino con la scelta della rivascolarizzazione più adatta. "Confezionare il trattamento più idoneo per ciascun malato" vuol dire anche non dimenticare gli aspetti psicologici e sociali che questo tipo di malattia è in grado di generare su di lui. Da sempre la medicina identifica il malato non solo come entità biologico-clinica, ma gli riconosce aspetti sociali culturali e psicologici che lo rendono entità unica e irripetibile. Gli incredibili passi avanti fatti in ambito cardiologico e cardiochirurgico nel settore della rivascolarizzazione miocardica hanno permesso di abbattere la mortalità a valori inferiori all' 2%. Questo dato può, a mio avviso, essere letto sotto due differenti e forse contrastanti forme. Da un lato l' orgoglio di aver raggiunto in soli 35 anni di esistenza di questa specialità tassi di mortalità mai raggiunti da altre specialità molto più vecchie, dall' altro il rammarico di non essere ancora stati in grado di comprendere fino in fondo l' origine di questa malattia. Penso che l' obiettivo non sia così lontano da raggiungere; nel frattempo rimane l' orgoglio di poter proporre al malato sempre qualcosa di nuovo e di migliorativo per la sua salute. Paolo Biglioli * Direttore Cattedra di cardiochirurgia Università di Milano e Direttore scientifico del Centro cardiologico Monzino, Milano Biglioli Paolo