ALLARME DI «NATURE»: SALVATE LA SCIENZA ITALIANA - AI CREDITI DEI CORSI DI LAUREA VALIDITÀ SENZA AUTOMATISMI - LE NUOVE LAUREE RESTANO SENZA «Y» - DAL CONCORSO NAZIONALE LA «CARICA» DEGLI IDONEI - FUGA DALLE LAUREE SCIENTIFICHE «LE AZIENDE ASSUMONO ALL' EST» - L' ASIA SORPASSA L' EUROPA: LE SCUOLE SONO MIGLIORI - L'EUROPA È IGNORANTE - NOMINE AL CNR: QUATTRO DOCENTI CAMPANI AI VERTICI DELLA RICERCA - I RICERCATORI ITALIANI, PRECARI A 40 ANNI E SOTTOPAGATI - I DOLORI DEL GIOVIN DOTTORE - SELEZIONE E MERITO PORTANO LA QUALITÀ - TROPPA TECNOLOGIA RIDUCE LA PRODUTTIVITÀ - UN ESAME DA TRENTA E LODE INAUGURA LA FIRMA DIGITALE - UNIVERSITÀ. INAUGURATA LA SETTIMANA DELLA CULTURA SCIENTIFICA - L’UNIVERSITÀ VA A CACCIA DI FONDI EUROPEI - UNIVERSITÀ, POCHE RISORSE PER LA RICERCA - ARCHITETTURA: DA NOVEMBRE VIA A TRE CORSI - L'ESERCITO DI STUDENTI MIGRATORI CON IN TESTA INGEGNERI E MEDICI - ======================================================= MEDICINA, BALZO IN AVANTI PER IL CAMPUS - MEDICINA, ENTRO L’AUTUNNO TUTTI A MONSERRATO - LA DELUSIONE DEL GIOVANE MEDICO - ARRIVA LA QUARESIMA DELLA SANITÀ SARDA - CAGLIARI AZIENDA MISTA LATITANTE FINO A GIUGNO - SANITÀ ELETTRONICA, L'ISOLA STA A GUARDARE - SANLURI: RIVOLUZIONE NELLA SANITÀ, C’È ARIA DI RIVOLTA - TANTI ERRORI MEDICI: SI CERCA UN ACCORDO - CRESCE L'ALLARME IPERTENSIONE - CONTRO LA COLITE ULCEROSA - L'ASMA GRAVE SI PUÒ CURARE - SORPRESA: IL CAFFÈ FA BENE AL FEGATO - LA LEZIONE DEL VIRUS DI RÉUNION - DAL CERVELLO DEI TOPI LA CAUSA DELLA DEMENZA SENILE - SOS DIABETE È PANDEMIA - PICCANTE DA FAR MORIRE (LE CELLULE TUMORALI) - SALVARE IL DENTE (SE SI PUÒ) - CURE DENTISTICHE: TROPPI ITALIANI A BOCCA ASCIUTTA - ======================================================= ___________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 18 mar. ’06 ALLARME DI «NATURE»: SALVATE LA SCIENZA ITALIANA L'inchiesta di tre pagine punta il dito sulle scelte del governo. «Più convincente il progetto dell’Unione - Enzo Boschi: «II problema? L'età «Poca ricerca pura, manager sbagliati». La replica: non è una rivista che ci deve giudicare ROMA- Con un titolo non equivoco («Salvate la scienza italiana») anche Nature, una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, affronta per quel che le compete la nostra campagna elettorale. Con un'inchiesta che assomiglia ad una scelta di campo precisa: più convincente, anche se con qualche riserva, - scrive infatti Alison Abbott -il progetto di Romano Prodi, che non le scelte in materia di ricerca scientifica fin qui adottate dal governo Berlusconi. Uno schierarsi più «filosofico» che strettamente politico, perché quello che Nature rimprovera al governo in carica è soprattutto l'aver privilegiato la ricerca «industry- friendly», cioè legata a risultati concreti, immediati, rispetto alla ricerca pura, di base. Ma non è solo questo, a finire sotto la lente della giornalista: nelle tre pagine dedicate all'argomento c'è anche spazio per l'accumularsi di leggi e leggine che rallentano la crescita della ricerca italiana, e anche per alcune scelte di manager compiute da Berlusconi, indicate con nome e cognome. Da Fabio Pistella, presidente del Cnr, a Claudio Regis, vice commis sano dell'Enea, fino a Sergio Vetrella, presidente dell'Agenzia spaziale italiana. Al primo viene imputato di avere solo 3 pubblicazioni recenti contro le 150 vantate nel suo curriculum. «Mi sono laureato a 23 anni, ho fatto il ricercatore per i primi 15, poi ho smesso», si difende lui. A Vetrella si rimprovera invece l'annuncio di un progetto per costruire un telescopio sulla luna. «Era solo uno studio sul perché saremmo dovuti tornare sulla luna, pura teoria», dice ora lui. Paese dai molti paradossi, l'Italia è al settimo posto su 140 Paesi del mondo come valore delle pubblicazioni scientifiche che produce, ricorda Nature, ma «spende la metà della media europea per ricerca e sviluppo». Fabio Pistella ammette che in effetti l'Italia, pur essendo ai primi posti come produzione scientifica, è fra il trentesimo e il quarantesettesimo posto al mondo per competitività. «Perché il nostro tessuto industriale è composto in gran parte di piccole e medie imprese, perché il sistema produttivo è basato su prodotti non hi-tech, e perché le privatizzazioni hanno smantellato le grandi industrie che facevano ricerca», spiega. Il presidente dell'Agenzia Spaziale Sergio Vetrella respinge invece le critiche di Nature: «Abbiamo 2.490 milioni di euro da investire nei prossimi 3 anni, e lo faremo con una serie di progetti di livello mondiale, ai quali molti Paesi ci chiedono di partecipare». Sia Vetrella che Pistella comunque ritengono che la ricerca pura non sia una priorità, anzi. «II problema é la conversione dell’impegno di ricerca in un ritorno per il Paese», dice il primo. Mentre il secondo è ancora più secco: «Accanto all'etica della conoscenza e a quella della partecipazione, io punto anche sull'etica dei risultati. Noi dobbiamo pensare a come uscire dalla crisi, non a come la pensa Nature. E comunque io non riconosco in Nature il giudice delle cose su cui sto lavorando». Un'impostazione che l'Unione, se arriverà al governo, intende invece cambiare con decisione, facendo ripartire la ricerca pura. Ma anche, sperano i ricercatori, snellendo i meccanismi burocratici. «La questione delle nomine è di grande importanza - dicono Vincenzo Balzani e Piermannuccio Mannicci del «Gruppo 2003», un'associazione che riunisce ricercatori fra i più citati nella letteratura scientifica mondiale - ma la qualità delle persone prescelte è sempre più spesso di livello insufficiente». Enzo Boschi, presidente dell'Istituto italiano di Geofisica e Vulcanologia, più che una questione di vertici inadeguati ne fa invece una questione di età anagrafica: «Il dramma viene dal fatto che le università sono in mano ai vecchi: in 5 anni hanno assunto 5 mila persone, ma sono tutte di età avanzata...». Apparentemente favorevole alla svolta che Prodi vorrebbe imprimere alla ricerca, Nature non dimentica però di sollevare un paio di dubbi consistenti: come farà il professore a conciliare il suo progetto con i suoi partner contrari alla sperimentazione sulle cellule staminali, un campo nel quale l'Italia «ha delle leggi fra le più restrittive in Europa»? E poi, si troveranno i fondi in un momento di recessione cosi acuta? Giuliano Gallo ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 mar. ’06 AI CREDITI DEI CORSI DI LAUREA VALIDITÀ SENZA AUTOMATISMI All'attenzione del ministro Moratti i decreti sui nuovi ordinamenti ROMA a Hanno assunto la loro forma definitiva i decreti che traducono in pratica i nuovi ordinamenti universitari disegnati dal Dm 270/2004. I nuovi testi. ora all’attenziozze. per la firma, del ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. alimenteranno però ancora critiche nel mondo universitario. che aveva accolto la prima stesura con una vera e propria sollevazione. L'interconferenza dei presidi di facoltà aveva definito inapplicabile la riforma, seguita dalla Crui che era giunta a minacciare ricorsi al Tar in caso di possibile partenza già dal prossimo anno accademico Sperimentazione. Il punto più intensamente contestato dai rettori rimane- anche se in patte modificato, nella versione finale dell'articolo 1. Se prima il decreto imponeva agli atenei di approntare la nuova offerta formativa «dall'armo accademico 2006/2007, e comunque entro e non oltre il 2007/2008», la nuova formulazione ribalta le prospettive. La partenza ufficiale dei nuovi ordinamenti diventa l'anno accademico 2007/08 (articolo I, comma 4), ma gli organi di ateneo possono varare nuovi cos-si di laurea o laurea magistrale già dall'anno prossime (comma 5). Il tutto senza dover informare il ministero per l'approvazione preventiva, e quindi in deroga alle procedure dettate dall'articolo 11, comma 1 del Dm 270/2004. In questa modo, il ministero riconosce il carattere sperimentale delle iniziative che partiranno il prossimo anno, chiedendo agli atenei di rientrare nelle procedure normali (inserimento dei corsi nell'offerta formativa ufficiale) al 31 gennaio 2007. L'espediente individuale dall'ufficio legislativo del ministero viene incontro alle obiezioni sollevate dalla Crui ma non sembra risolverle del tutto, perché i rettori proponevano di cancellare completamente Ia possibilità di sperimentare dal prossimo anno per consentire a tutti gli atenei di partire insieme dal 2007/08. Crediti. Una vittoria più netta sembra essere stata ottenuta dalle università in quella che lo stesso ministero di viale Trastevere definisce in un documento «là guerra dei crediti». A scatenarla era stata la previsione, contenuta al comma G dell'articolo 3. di imporre ai regolamenti didattici il riconoscimento integrale dei crediti conseguiti nelle attività di base e caratterizzanti dagli studenti che decidessero di cambiare corso o ateneo .rimanendo tuttavia t-ella stessa classe di laurea. I docenti avevano considerata la norma un attacco frontale l'autonomia universitaria sollevando anche la tesi che il riconoscimento automatico rendesse di fatto inattuabile la biforcazione a «Y» tra curricula professionalizzanti e metodologici. cioè l'idea stessa della riforma. Il nuovo testo abbandona l'idea del riconoscimento integrale suggerendo agli atenei «il riconoscimento del maggior numero possibile» di crediti «secondo criteri e modalità previsti dai regolamenti didattici». Il riconoscimento, quindi, torna nelle mani degli organi accademici (come peraltro era previsto dallo stesso Dm 270 che i decreti sugli ordinamenti sono chiamati ad attuare), Nonne più flessibili, infine, riguardano gli impegni annuali massimi da richiedere. allo studente: il tetto di esami all'anno sale da otto a dieci, ché in media distribuiranno sei crediti ciascuno: GIANNI TROVATI ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mar. ’06 LE NUOVE LAUREE RESTANO SENZA «Y» Il modello della riforma messo a rischio dai decreti attuativi Prima ancora di vedere la luce, i nuovi corsi di laurea a «Y» sano già pieni di problemi. II via libera delle commissioni parlamentari al progetto di riforma, è stato accolto da presidi e rettori con una levata di scudi. che è giunta anche alle minacce di ricorsi ai Tar se il ministro Moratti firmerà il decreto aprendo le porte alle sperimentazioni già dal prossimo anno accademico. Il modello. Ma a suscitare polemiche non sono solo i tempi della riforma, perché le bozze di decreti (sulle lauree e sulle lauree magistrali) sembrano aprire spazi importanti a un paradosso: la riforma nata per introdurre il per corso a «Y» mette in serio pericolo la possibilità stessa che la «Y» si realizzi. Il modello, disegnato dallo stesso Dm 27012004 che i decreti dovrebbero attuare, prevede che dopo il primo anno (60 crediti) lo studente scelga fra un curriculum «orientato all'acquisizione di specifiche conoscenze professionali», vale a dire all'ingresso nel mondo del lavoro dopo un titolo triennale, e un percorso più metodologico e approfondito, destinato a proseguire fino alla laurea magistrale al quinto anno. Le eccezioni esplicite. Una prima eccezione al modello, anche su pressione di molti presidi di facoltà, è spuntata per giurisprudenza, sui presupposto che la formazione per le professioni giuridiche non fosse "spezzettabile" in due bienni. È nato cosi il corso di laurea a ciclo unico di giurisprudenza, accanto al quale è rimasta però, contro il parere del Consiglio universitario nazionale (Cun), la classe di laurea in scienze dei servizi giuridici, che non ha nessun corrispondente nelle classi magistrali. Chi sceglie un corso di laurea in questa classe, quindi, si deve fermare dopo tre anni. La stessa situazione si è riprodotta a psicologia. Anche qui alcuni presidi hanno chiesto e ottenuto che si varasse la laurea a ciclo unico in psicologia. ma è stata creata anche la laurea triennale in tecniche psicologiche, anch'essa senza riferimenti nelle classi magistrali. Secondo Cristiano Violani, docente di psicologia alla Sapienza di Roma e membro del Cun. si tratta di «un corso che può creare solo psicologi in sedicesimo, professionisti senza autonomia professionale». Secondo il Cun queste lauree solo triennali celano una tendenza al ritorno ai vecchi diplomi di laurea: «pietro a queste previsioni - dice Violani - c'è l'idea che i professioni su si tornino in cinque anni, e agli altri viene destinato un percorso triennale residuale. Questa visione, che è in netto contrasto con la visione europea che distingue le lauree in due cicli, si può estendere facilmente a tutte le altre professioni», e Le minacce implicite. Ma nei decreti attuativi ha-trovato spazio anche una regola generale che rischia di cancellare ovunque la possibilità stessa del percorso- a «Y». Si tratta dell'obbligo di riconoscère i crediti delle attività di base e caratterizzanti (circa il 60% del totale, almeno nel triennio) conseguiti dagli studenti che cambiano corso o ateneo senza cambiare classe di laurea. Ma in questo modo la possibilità di separare il percorso professionalizzante da quello metodologico diventa remota: «Com'è possibile - si chiede Andrea Stella, presidente della conferenza dei presidi di ingegneria - differenziare i curricula se i passaggi sono automatici? Non è possibile distinguere. i contenuti. dei corsi, per cui il modello a «Y» non c'è più». e Le polemiche, Sulla riforma la temperatura dei. rapporti fra Governo e università è altissima. La ridefinizione delle classi è .frutto del lavoro condiviso svolto dai tavoli tecnici; ma tutti i punti contestati sono stati introdotti dopo contro il parere degli organi accademici. O senza consultarli, come è avvenuto nella definizione dei decreti che sono stati inviati alle commissioni parlamentari. Proprio questa disattenzione ha spinto venerdì scorso Andrea Stella e Manlio Morcellini, presidente della conferenza dei presidi di scienze della comunicazione, a dimettersi dal Comitato tecnico di coordinamento: Una presa di posizione, spiegano i due docenti, che sono anche i portavoce dell'Interconferenza (lei presidi di facoltà. assunta per dissociarsi da «scelte unilaterali che debbono ricadere unicamente su chi le 1la volute adottare». Prima che queste scelte diventino operative con la firma del ministro, serve il parere di legittimità della Corte dei conti. I tempi si stanno allungando rispetto :alle previsioni, perché il sottosegretario all'Univérsità Maria Grazia Siliquini nei giorni scorsi ha spiegato che le preoccupazioni dei rettori «saranno recepite, in parte, nei decreti» prima del loro invio alla magistratura cantabile, ma se davvero si vuole partire dal prossimo anno accademico il calendario è tiranno. il tutto mentre gli studenti stanno effettuando le preiscrizioni (che chiudono il 10 aprile) a un anno accademico che deve ancora prendere forma. GIANNI TROVATI I decreti devono essere inviati alla Corte conti CAMBIANO GLI ORDINAMENTI ECCEZIONI A psicologia e giurisprudenza create due classi triennali senza sbocchi nelle magistrali CREDITI Il riconoscimento automatico non consente di separare i corsi dopo il primo anno POLEMICHE Nel comitato tecnico due presidi si dimettono contro le scelte ministeriali IL VECCHIO SISTEMA p Laurea Triennale Master di primo livello Laurea Specialistica Dottorato di ricerca Master di secondo livello IL FUTURO Primo anno Comune Biennio professionalizzante Biennio metodologico Laurea Laurea Master di primo livello Biennio di specializzazione Laurea Magistrale Master di secondo livello Dottorato ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mar. ’06 DAL CONCORSO NAZIONALE LA «CARICA» DEGLI IDONEI Nelle università tornano i concorsi nazionali - probabilmente dal 2007 -- e il primo risultato sarà il pieno di idonei per diventare professori associati e ordinari. Un titolo che risulterà in parte non immediatamente esigibile, visto che per le prime due tornate dei concorsi per professori di prima fascia e per le prime quattro di docenti di seconda fascia è previsto che il contingente di idonei sia superiore rispetto ai fabbisogni indicati dalle università, Per ogni posto di cui le università dichiarano la disponibilità ci saranno 2.5 idonei. A regime il sovrannumero è contenuto in un plafond non superiore, al 40 per cento delle cattedre a disposizione. Insomma, le aspettative alimentate dal risultato del concorso potrebbero, in molti casi, andare deluse, riproponendo uno dei vizi antichi dell'università, cioè il ricorso a ope legis. D'altra parte, chi continuerà a ricoprire un posto da associato, avendo l’ idoneità da ordinario, potrebbe esser tentato anche di percorrere la strada giudiziaria per far valere il proprio status. Sulla scorta della legge 230/05, che rivede lo stato giuridico dei docenti, di quote riservate c'è un piccalo tesoro nello schema di decreto legislativo approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 13 gennaio ed esaminato, tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo dalle commissioni di Camera e Senato. Nelle prime quattro tornate una riserva del 15% oltre la quota di incremento è infatti dedicata ad assistenti e ricercatori e l'1% è "esclusiva" dei tecnici laureati. Per la fascia di professori ordinari è prevista, a regime, sui posti dichiarati come fabbisogno una quota aggiuntiva del 25%, oltre all'incremento ordinario" fino AL40%,-riservata agii associati con un'anzianità di servizio, alla data del bando, non inferiore a 15. anni (compreso il periodo prestato come docente non confermato). In ogni caso - ha sostenuto la VII commissione della Camera - l'intervento accresce «la trasparenza, la democraticità e l'efficacia delle procedure per la selezione dei professori universitari». E per rendere operativo il sistema delle riserve di quote, la commissione suggerisce di stabilire, nel caso , risulti dalla percentuale di "sovrannumerati" un numero frazionario, l'arrotondamento «all'unità superiore>. Cosi da «condurre all' attribuzione di almeno un'idoneità per ciascuna delle categorie riservatarie». II ministero si fa garante nel bandire - ogni cinque anni - almeno un posto di idoneo per ciascuna fascia, anche in settori per i quali non risulta un fabbisogno da parte degli, atenei. Insomma, la programmazione va oltre le esigenze e l'autonomia delle università. Con il concorso nazionale per l'idoneità, il ministero riconquista il potere di bando; una volta l'anno, promette il decreto, come per altro il Dpr 382180 prevedeva la procedura ad"anni alterni (la storia ha però dovuta registrare selezioni ogni cinque sei anni i candidati idonei, per quattro anni, hanno il passaporto per poter essere selezionati dagli atenei e conquistare effettivamente una cattedra. Le chiamate saranno disciplinate con .regolamenti delle università. Le modalità per ottenere l'idoneità non si discostano sostanzialmente da quanto previsto nella vecchia legge 21011998, stabilendo la valutazione delle pubblicazioni scientifiche e una prova didattica per l'idoneità da associato 0 per l'idoneità da ordinario, per chi non è già professore di pritna fascia. Le commissioni saranno formate da cinque professori per gli ordinari e tre per gli associati, sorteggiati da una lista nazionale di 15 eletti valida per due anni. MARIA CARLA DE CESARI ____________________________________________________ Corriere della Sera 17 mar. ’06 FUGA DALLE LAUREE SCIENTIFICHE «LE AZIENDE ASSUMONO ALL' EST» Mancano chimici e matematici. I rettori: situazione grave Corsi e giornate di orientamento per i ragazzi delle superiori. «Poi toccherà alle scuole medie» Progetto di Ministero, Assolombarda e Università per cercare matricole Problemi aziendali: «Le industrie non trovano chimici: devono reclutarli da Slovenia, Croazia e Francia». Problemi educativi: «A nove anni, i nostri studenti sono in ritardo nella scrittura e nella lettura rispetto ai coetanei di altri Paesi». Questioni di metodo - «Ci vuole più impegno nello studio» - e questioni numeriche: «Il rapporto tra ricercatori e cittadinanza attiva è ancora troppo basso». La denuncia arriva dal rettore della Statale, Enrico Decleva, e della Bicocca, Marcello Fontanesi: mancano laureati nelle lauree scientifiche «dure» (fisica, matematica, chimica, scienze materiali), i ragazzi delle superiori snobbano questi indirizzi, serve un piano per rendere «più appetibili» esperimenti e formule. Per raggiungere questo obiettivo, è stato firmato ieri il «Progetto lauree scientifiche», partnership tra ministero dell' Istruzione, Assolombarda e cinque atenei lombardi (Statale, Bicocca, Cattolica di Brescia, dell' Insubria, di Pavia). Corsi, giornate di orientamento, ore di formazione per insegnanti e studenti, laboratori e test valutativi: sono queste le proposte del ministero per arginare la crisi delle vocazioni. Al progetto (già partito in alcuni atenei e finanziato con 790 mila euro) parteciperanno 149 scuole per un totale di 15 mila ragazzi delle superiori («Ma nei prossimi anni "attaccheremo" anche con le medie, dicono gli organizzatori) che saranno coinvolti nello studio delle materie scientifiche. Anche ai docenti saranno spiegate le tecniche per rendere più accattivanti certe lezioni. «Speriamo - sospira Fontanesi - che i nostri giovani ritrovino l' impegno per essere all' altezza dei laureati dei Paesi emergenti. Altrimenti avranno un futuro di scarse prospettive». È d' accordo Decleva: «Il problema - dice - è che molti diplomati scelgono la lauree umanistiche perché pensano di non fare fatica. Hanno l' idea dell' università parcheggio, ma sbagliano». E se i ragazzini tra i 10 e i 12 anni dimostrano un certo interesse per la matematica e la fisica, il vero problema è legato agli iscritti alle superiori, cresciuti senza grandi stimoli nei confronti delle materie scientifiche. «Ma con questo progetto - insiste il direttore scolastico regionale, Mario Giacomo Dutto - cercheremo di invertire la tendenza, tra l' altro già in fase di risalita rispetto a qualche anno fa, quando alcuni corsi di fisica rischiarono di chiudere. In ogni caso, il motto rimane uno solo per tutti: studiare, studiare, studiare». Annachiara Sacchi HANNO DETTO ENRICO DECLEVA Università degli Studi di Milano Molti diplomati scelgono le lauree umanistiche perché pensano di non fare fatica. Sono convinti che l' università sia un parcheggio, ma sbagliano. Devono dedicarsi agli studi con maggiore serietà MARCELLO FONTANESI Università degli Studi Milano Bicocca La società non trasmette il significato dell' impegno. I messaggi che arrivano dalla tv sono quelli del «tutto subito senza sforzo», ma così i nostri ragazzi perderanno la sfida con i coetanei degli altri Paesi Sacchi Annachiara ____________________________________________________ Corriere della Sera 14 mar. ’06 L' ASIA SORPASSA L' EUROPA: LE SCUOLE SONO MIGLIORI Uno studio Ocse rileva il «pregiudizio di classe» nel sistema educativo di Italia, Francia, Germania In base alla ricerca il mito del «continente dell' uguaglianza» è messo in discussione. «Pesa troppo il retroterra sociale degli studenti» Un «pregiudizio di classe» sta mettendo in ginocchio Italia ed Europa. E le condanna a non sapere competere con America e soprattutto Asia. Riguarda un aspetto chiave del futuro non lontano: l' educazione. Che gli asiatici studino di più e meglio degli europei è sensazione diffusa; che negli Stati Uniti le università producano risultati più brillanti è esperienza comune. Ora, però, è ufficiale: l' Ocse - l' Organizzazione per la cooperazione dei 30 Paesi più industrializzati - ha misurato le performance dei diversi sistemi educativi e ha stabilito che il Vecchio continente sta perdendo verticalmente terreno. Uno studio condotto da Andreas Schleicher, direttore del programma dell' Ocse che confronta i sistemi scolastici, dice che per restare nel gioco l' Europa «deve ridurre la predisposizione classista e qualche volta il modo catastroficamente regressivo di finanziare le opportunità educative esistenti: tassando i poveri per sussidiare le opportunità dei ricchi». Il mito del «continente dell' uguaglianza», in altre parole, è messo in discussione alle radici: «lo studio rivela che il retroterra sociale svolge un ruolo maggiore nel determinare la performance di uno studente in Paesi come Germania, Francia e Italia che negli Stati Uniti». Ciò è grave in sé ma è devastante ora che gli anni in cui l' Europa competeva con Paesi che offrivano lavoratori a basse competenze e bassi salari sono finiti. «Oggi - dice Schleicher - Paesi come Cina e India stanno iniziando a produrre alte competenze a bassi costi, e a un passo sempre crescente». Di base, l' Europa continentale - i Paesi nordici sono un' altra cosa - investe poco in educazione: in ogni ordine di scuola, dall' asilo all' università, gli Usa investono di più, in certi casi quasi il doppio. Il risultato è che la quota di popolazione con una laurea è sopra il 30% negli Stati Uniti, è del 30 in Corea del Sud, del 28 in Giappone, del 21 in Francia, del 14 in Germania, del 12,5 in Italia (il minimo è il Lussemburgo con meno del 7%). «Francia e Germania, che costituiscono il 35% dell' economia da 11.600 miliardi di euro della Ue, non sono più tra i leader mondiali nello sviluppo di conoscenza e competenze». Tanto che la classifica delle 20 università globali migliori, stilata dall' università Jiao Tong di Shanghai, vede 17 atenei americani, uno giapponese e due britannici, Cambridge e Oxford. Su tutto il pianeta è in atto una corsa verso l' educazione superiore. Ma con tendenze molto diversificate. La Corea, per esempio, negli Anni Sessanta aveva pochissimi laureati: ora è terza, dopo Norvegia e Usa, nella fascia di età 25-34 anni. Anche alcuni Paesi della Ue - Irlanda, Portogallo e Spagna - hanno migliorato «ma la maggior parte delle grandi economie dell' Europa - Francia, Italia e Regno Unito - hanno solo mantenuto la posizione o, nel caso della Germania, sono significativamente cadute». Il guaio è che, dice lo studio Ocse, l' educazione è un veicolo portentoso verso la capacità competitiva di un Paese: «per ogni euro investito per raggiungere qualificazioni elevate, i cittadini hanno come ritorno una quantità di denaro maggiore in termini di crescita economica». «In breve - commenta Schleicher - se l' Europa vuole mantenere la sua capacità competitiva ai livelli alti della catena globale della creazione di valore aggiunto, il suo sistema educativo dev' essere reso più flessibile, più efficace e più facilmente accessibile a un ampio ventaglio di persone». Anche qui riforme da fare. Sul modello di uno dei sistemi scolastici più di successo, quello finlandese, dove sin dagli anni Sessanta è stato seguito un percorso aperto, fondato sul raggiungimento di obiettivi e non più su astratte prescrizioni didattiche. Danilo Taino Taino Danilo ___________________________________________________________ IL FOGLIO 15 mar. ’06 L'EUROPA È IGNORANTE Il Vecchio continente è surclassato da America e Asia nell'istruzione Uno studio dell'ocse certifica che, nell'istruzione superiore, l'Europa continentale è ormai nettamente inferiore non soltanto all'America ma anche all'Asia. Negli Stati Uniti come in Corea del Sud si laureano tre giovani su dieci, due in Francia, poco più di uno in Germania e in Italia. Secondo l’estensore del rapporto, Andreas Sclleicher, anche il livello qualitativo degli studi superiori in Europa è decrescente, se si eccettuano i paesi scandinavi e la Gran Bretagna, il cui sistema educativo è assai differente da quello del resto d'Europa. L'analisi dell'ocse cerca anche le ragioni di questo arretramento e le individua nella rigidità dei corsi di studi, nella demagogia delle rette basse accompagnata da uno scarso sostegno pubblico al reddito degli studenti (che finisce, nell'insieme, con il rendere più classista il sistema), nella chiusura della corporazione che gestisce gli atenei in base a propri interessi, mentre i gruppi dirigenti delle università dovrebbero riflettere "un ventaglio più ampio di interessi", che vada al di là della "comunità accademica". Il problema, in sostanza, consiste nell'atteggiamento dei professori europei, che puntano a contare più come categoria che come singoli per le loro qualità scientifiche e culturali. L'idea della competizione tra università e della valutazione dei docenti in base ai risultati, timidamente introdotta dalla riforma di Letizia Moratti, è stata considerata una lesione all'autonomia universitaria, cioè alla sua tradizione corporativa. Lo stesso, in forme diverse, avviene in Francia e in Germania. Si tratta dei paesi dove l'università è nata, dieci secoli fa, costruita e difesa nella sua autonomia dalla corporazione dei docenti. Le nobilissime origini storiche, però, non giustificano in tempi moderni il mantenimento di una concezione aristocratica e autosufficiente, incapace di dialogare con la società e con l'economia. Se non si rompe questo meccanismo, strenuamante difeso da vecchi baroni furbi e giovani ricercatori autolesionisti, il declino è assicurato. ___________________________________________________________ Il MESSAGGERO 13 mar. ’06 NOMINE AL CNR: QUATTRO DOCENTI CAMPANI AI VERTICI DELLA RICERCA La riorganizzazione del Cnr passa attraverso il riconoscimento delle eccellenze professionali campane. Sono, infatti, quattro le nomine che riguardano figure accademiche provenienti da atenei campani o comunque formatesi nelle università della nostra regione. Tra i dirigenti dei dipartimenti, per l’ambito della , è stato nominato Gianluigi Condorelli, associato di Medicina interna alla seconda facoltà dell'università «La Sapienza», direttore scientifico del Multimedia Hospital di Sesto San Giovanni. Nel consiglio scientifico generale è stato nominato Luigi Labruna, presidente del Cun, docente di Storia del diritto romano alla Federico II; sempre nel consiglio scientifico generale, scelto dal consiglio d'amministrazione del Cnr ira le terne proposte dai direttori d'istituto, c'è Eduardo Consiglio, docente alla Federico II; infine Maria Mautone, ordinario di Geografia, nominata direttore di dipartimento «Patrimonio culturale». Il Consiglio di amministrazione del Cnr, in concomitanza con il varo del Piano triennale 2006-2008, ha assunto pertanto una serie di importanti decisioni sull'assetto scientifico e organizzativo dell'istituto stesso. Fra queste, appunto, la nomina del Consiglio scientifico generale composto da personalità del mondo scientifico nazionale ed internazionale. Sono stati nominati poi i direttori degli 11 dipartimenti previsti dalla legge di riforma, a conclusione di un concorso internazionale, iniziato con un bando pubblicato sulla rivista Nature, dopo una selezione affidata per ogni dipartimento ad alte personalità scientifiche, nazionali ed internazionali, esterne al Cnr. Il Consiglio ha poi avviato la procedura per il concorso internazionale di un primo lotto di 65 istituti dell'ente, dei quali é stata riconosciuta la «massa critica» (di ricercatori, di attrezzature e apparecchiature scientifiche) nonchè la rilevanza per il conseguimento degli obiettivi dei Piano triennale. ___________________________________________________________ QN 15 mar. ’06 I RICERCATORI ITALIANI, PRECARI A 40 ANNI E SOTTOPAGATI La capacità del mondo universitario europeo nello sfornare brillanti ingegni è fuori di dubbio, ma indubitabile è anche la scarsa capacità di tradurre i titoli che rilascia in opportunità di lavoro stabili, aprendo la porta alla fuga di cervelli che priva l'Europa, e specialmente l'Italia, del motore che dovrebbe spingerla alla ripresa economica. L'Italia poi è il paese europeo con il più basso numero di ricercatori ogni mille abitanti, 2.8 contro i 5.4 della media europea, l'8.1 degli Stati Uniti e il 9.3 del Giappone. Diventare ricercatore in Italia significa infatti condannarsi spesso a una vita di precariato e stipendi miseri fino a oltre 40 anni. Lo stipendio di un assegnista universitario varia da 900 a 1160 curo al mese. Un ricercatore dello stesso livello in Germania guadagna I580-2000 curo e in Francia esattamente il doppio che in Italia. C'è il rischio quindi che quando l'Istituto europeo per la tecnologia sarà una realtà, l'Italia, se non avrà recuperato il ritardo, vi avrà ben poca voce in capitolo. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mar. ’06 I DOLORI DEL GIOVIN DOTTORE Quasi 27mila euro in busta paga cinque anni fa, 25mila euro oggi: se non hai ancora trent'anni, sei laureato e lavori già da almeno tre, il tuo stipendio diminuisce anzichè aumentare. Il tuo fratello maggiore faceva carriera? Tu invece, nell'Italia a crescita zero, perdi potere d'acquisto. Altro che generazione I-Pod: è noto che a comprare prodotti e gadget tecnologici destinati agli under trenta sono i quarantenni che se li possono permettere, e scorrendo i dati del nuovo Rapporto di Od&M sulle retribuzioni degli italiani si può immaginare il perché. Attraverso oltre 300mila osservazioni in cinque anni, i ricercatori hanno scoperto che in un periodo tutt'altro che prospero per l'economia come il quinquiennio 2001 e il 2005 a passarsela particolarmente male sono stati i giovani laureati, con tre o cinque anni di lavoro nel curriculum. Le loro retribuzioni annue lorde nominali calano di cinque punti percentuali nei cinque anni. Quelle reali, al netto dell'inflazione - pari al 9,6% secondo l'indice Nic dell'Istat - pesano addirittura il 14,6% in meno, che in valore assoluto vuol dire addio a 3.903 euro. Seguono, nella caduta libera degli stipendi giovanili, i laureati freschi, quelli con uno o due anni di esperienza lavorativa: fermi al palo come Rta (0,8%) perdono l’8,8% come potere di acquisto, corrispondente a duemila curo. Ci rimettono (ma non cosi tanto) anche i non laureati: portano a casa 525 euro in meno tra il 2001 e il 2005 (-2,7°l0) su una Rta passata da 19.162 euro a 20.500 mentre neanche il «saper fare» riesce a tutelare i non laureati con tre o cinque anni di esperienza: 21.657 euro il lordo annuo per loro, cresciuto del 2,1% in cinque anni come valore nominale e calato del 7,5 come valore reale. Niente mimose e poche illusioni per le donne di questa fascia d'età: l’analisi di Od&M conferma la tendenza già emersa il mese scorso dal rapporto di Alma Laurea. Le laureate guadagnano meno dei coetanei maschi: le retribuzioni sono del 9,2% inferiori con uno-due anni di esperienza, del 12,8% con tre-cinque. Quanto conta la geografia? Molto: un laureato esperto che lavora a Milano o a Roma perde in cinque anni il 13%; il 12,3% a Torino, il 10,4 a Firenze. Si difendono un po' meglio dall'inflazione gli under trenta residenti a Bologna (- 7,2%), a Napoli (-9,3%) e a Catania (-9,5%) e i lavoratori più freschi di studi di Napoli (6,2%), Torino (7,3%) e Catania (-8,6%). In generale, l'analisi delle retribuzioni degli under 30 dà la misura di un cambiamento radicale nel riconoscimento del valore le aziende italiane riconoscono al contributo professionale delle nuove leve qualificate. Nel quinquennio, il valore medio del lavoro giovanile segna una diminuzione da una a due mensilità per anno in termini di potere d'acquisto, dice lo studio. Soprattutto, si deprezza il valore medio di mercato della laurea. E dei talenti. «Userei questo termine nel senso della parabola - commenta Mario Vavassori, presidente di Od&M - Si tratta di talenti che vengono messi sotto terra e tenuti li anzichè farli fruttare». Di chi è la colpa? «Consegnamo ai nostri figli un lavoro che è più "povero", perchè siamo rimasti fermi mentre il resto del mondo andava avanti. Le cause di questo fenomeno vanno ricercate nella presenza di un'ampia offerta di lavoro e, insieme, di una minore domanda prevalentemente non qualificata. Facciamo entrare tutti nel mercato del lavoro in modo indiscriminato: questo produce una redistribuzione del reddito che sembra essere indipendente dal fatto che un individuo abbia investito o meno su di se, e rende tutte le professioni in ingresso uguali e grigie». Una delle conseguenze è il fatto che, per fare una selezione tra chi è un potenziale e chi no ci vogliono almeno cinque anni in azienda, nota Vavassori. Un altro fattore che spinge giù il valore professionale dei giovani è l'estensione progressiva degli effetti della flessibilità anche a lavori di medio contenuto professionale. Le aziende, continua Mario Vavassori, oggi non sono in grado di proporre percorsi di carriera e di vita, «non sono capaci di dare un messaggio guida per il futuro e per i talenti. Li assoldano con uno dei "famosi" 42 contratti a disposizione senza progetti di crescita. Ma cosi la motivazione e livello di responsabilità del lavoratore restano più bassi di quanto potrebbero». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 mar. ’06 SELEZIONE E MERITO PORTANO LA QUALITÀ DI GIACOMO VACIAGO Ripreso ildibattito sull'università, in tutto il mondo e anche in Italia. Con una differenza importante. Nel resto del mondo - dall'Inghilterra al Giappone, dagli Stati Uniti alla Cina - l'obiettivo è principalmente quello di aumentare la qualità delle università migliori, quelle dove si concentrano i docenti e gli studenti più dotati, e dove si produce la ricerca scientifica che contribuisce a migliorare il mondo. Da noi, finora è successo il contrario: le risorse pubbliche che finanziano l'università sono distribuite in modo uniforme. E anche i primi tentativi di valutazione della qualità delle singole sedi - premessa per una qualche competizione meritocratica fra università - sono stati interpretati in direzione esattamente opposta. Come si è visto per il riconoscimento dei crediti nel caso di studenti che cambiano ateneo, e cosi ha dichiarato al Sole-24 Ore (5 marzo 2006, pagina 21) il sottosegretario all'Università: «È compito delle università rendere qualitativamente omogenei i corsi in tutta Italia: non ci possono essere corsi di serie A e di serie B». L'Italia è rimasto l'unico Paese al mondo che difende l'ideale di un'università di eguali, senza però perseguire questo obiettivo con gli strumenti proposti dalla teoria dell'equità, cioè con borse di studio e prestiti agli studenti, ma col livellamento verso il basso del costo e della qualità media dell'istruzione. Il risultato, come ci ha appena ricordato l’Ocse, è che noi tassiamo i meno abbienti per sussidiare l'università cui vanno i figli dei ricchi. Questi ultimi sono gli unici che hanno anche le risorse familiari per integrare la formazione ricevuta, quando di qualità modesta. I «capaci e meritevoli», di cui parla la nostra Costituzione, sono cosi danneggiati due volte. È possibile far meglio? Ovviamente si, ma solo se si rispettano tre condizioni. Q Anzitutto, se impariamo dalle altrui "prassi migliori". Questa era la prima delle raccomandazioni della strategia di Lisbona (2000): la crescita viene meritata con un processo di emulazione delle virtù degli altri. Se financo la Turchia ci batte - nella graduatoria dei Paesi che più e meglio investono nell'università, come l’Ocse ha appena dimostrato - una ragione ci dev'essere. Andare a vedere cosa stanno facendo i Paesi che hanno le università migliori è il primo dovere del prossimo ministro dell'Università, se vorrà essere utile al Paese. Finora si è fatto esattamente il contrario, non solo di ciò che caratterizza gli Stati Uniti - con i quali siamo abituati a confrontarci - ma anche di ciò che sta facendo la Corea. E le conseguenze sono già prevedibili: nei prossimi anni, la vera concorrenza dall'Asia non ci verrà più da calze e scarpe, ma dall'hi-tech. Q La seconda condizione richiede una seria riflessione sui "costi politici" dati dall'avere alcune università eccellenti. Purtroppo, non esistono riforme utili che non siano anche - se non altro inizialmente - impopolari. I costi e i benefici vanno ambedue considerati. I vantaggi dati dal concentrare in poche sedi i docenti e gli studenti più dotati sono evidenti. Ne risultano infatti economie di scala ed esternalità positive che favoriscono la produzione di ricerche innovative e di capitale umano in grado di competere con ciò che c'è di meglio al mondo. A maggior ragione, se ciò favorisce anche l'attrazione internazionale di capitale umano di serie A, invece dell'attuale nostra emorragia. Ma non vanno sottovalutate le difficoltà della transizione da realizzare, partendo dalla situazione odierna che è di qualità molto diffusa sul territorio. Usando il linguaggio del Censis di Giuseppe De Rita, come per l'industria diremmo che anche il nostro sistema di istruzione presenta tante «schegge di elevata qualità». Il problema è di riuscire a metterle insieme, per farne un sistema. Alcune università residenziali - come nell'esperienza delle migliori al mondo - dove cioè docenti e studenti assieme vivono e assieme lavorano, non si ottengono in poco tempo. E gli investimenti necessari sono elevati. Q La terza condizione su cui riflettere è data dai necessari modelli di governance interna agli atenei. Di nuovo, l'esperienza altrui indica che questo è probabilmente il problema più difficile. Lo dimostrano le recenti tensioni ad Harvard, che hanno portato alla cacciata di un rettore come Larry Summers. Ma non sono minori gli scontri a Oxford, con la coppia Lord Patten e John Hood (rispettivamente cancelliere e suo vice, quest'ultimo essendo l'equivalente di un amministratore delegato) che cerca di imporre metodi di valutazione rigorosi a docenti che hanno ancora privilegi medioevali. L'idea che il quieto vivere garantito alle università italiane dai loro tradizionali metodi di governo possa produrre l'eccellenza oggi necessaria, sembra - come ho già avuto modo di dire con riferimento alla strategia di Lisbona - una di quelle belle favole che raccontiamo ai nostri nipotini per farli addormentare la sera. Il buonismo di recenti proposte, che auspicano un po' di meritocrazia per libera scelta degli interessati, dimentica due importanti considerazioni. Anzitutto, che la capacità di autoriforma è di solito scarsa se implica anche la rinuncia a qualche privilegio, pur piccolo, di tipo corporativo. Ve l'immaginate la riforma dei tassi e delle farmacie affidata ai tassisti e ai farmacisti? In secondo luogo, non va dimenticato che la meritocrazia è da molto tempo uscita dalla nostra cultura, in ogni ordine e grado del sistema formativo. Perché la meritocrazia presuppone anzitutto un metodo di valutazione di tipo "ordinale" (primo, secondo... ultimo) che da noi è l'eccezione, mai la regola. Non lo si applica agli studenti, ma neppure ai docenti: quando anni fa ho superato un concorso a cattedra, l'elenco dei vincitori era in ordine alfabetico! Quand'è che anche in questo caso facciamo un po' di emulazione? Possiamo sperare che il prossimo Parlamento s'informi di come si diventa professori nelle università migliori? GIACOMO VACIAGO ___________________________________________________________ Libero 18 mar. ’06 TROPPA TECNOLOGIA RIDUCE LA PRODUTTIVITÀ I cellulari, posta elettronica diminuiscono la capacità di concentrazione e rallentano il lavoro invece di velocizzarlo. Cosi sprechiamo molto tempo e ci stanchiamo anche di più AUSTIN Si alla tecnologia, ma fino a un certo punto. Stando infatti alle dichiarazioni di esperti della società texana Day-Timers, attualmente la tecnologia anziché velocizzare il lavoro, lo rallenta. Secondo gli esperti, mentre nel 1994 i lavoratori portavano a termine mediamente i tre quarti del lavoro quotidiano previsto, oggi arrivano al massimo ai due terzi. Il 60 per cento dei lavoratori dice di sentirsi sempre in affanno e di aver paura di non fare in tempo a chiudere con il lavoro della giornata. La ricerca mostra che nel 1994 si riteneva produttivo l’83 per cento delle persone. Oggi solo il 51 per cento. «Siamo abituati a pensare alla tecnologia come a un sistema che ci permette di lavorare sempre di più e meglio - spiega Maria Woytek, manager della Day-Timers -. Ma paradossalmente, tenuto conto di ogni aspetto legato alla giornata lavorativa, la produttività risulta minore rispetto a quella di un tempo». E allora, dove andare a cercare la spiegazione di un simile fenomeno? Secondo gli esperti, l'uomo moderno è sempre più soggetto al cosiddetto "multitasking". Con questo termine, si intende la possibilità di cimentarsi contempo raramente in più compiti. Tale atteggiamento, alla lunga, anziché incrementare la produzione, finisce col ridurla. Oggi siamo sommersi da pe sempre più veloci, internet, cellulari, posta elettronica. Gli studiosi della Day Timers stimano che in media riceviamo ogni giorno 46 e- mail. La sola lettura di tutti i messaggi comporta uno spreco di tempo ed energia. Un fatto simile, era del tutto impensabile fino a dieci anni fa. Ma non è l'unico. Si pensi, ad esempio, al tempo trascorso a navigare nel world wide web. Oppure alle numerose distrazione quotidiane dovute ai messaggi sul telefonino. O anche alle chiamate sul telefono fisso. Senza che ce ne rendiamo conto, per dar retta a tutti questi input tecnologici, sprechiamo un sacco di tempo. Quello stesso tempo che nel 1994 ci permetteva di produrre in percentuale superiore a quella odierna. Dice John Challenger, ricercatore a capo dello studio: «Non siamo mai concentrati su un solo lavoro, ma su più azioni contemporaneamente. Cosi diventa davvero difficile concludere qualcosa come si deve». Edward Hallowell, psichiatra dell'Hamard Medical School, sostiene che, a causa della troppa tecnologia, non solo si produce meno, ma ci si stanca anche di più. Lo studioso ha identificato il cosiddetto Deficit di Attenzione Caratteristico che, a suo avviso, sta raggiungendo una vasta diffusione in tutte le aziende. Si tratta di una vera e propria patologia indotta dalla vita moderna, in cui si è cosi impegnati a gestire informazioni da diventare sempre più distratti, irritabili, impulsivi, stanchi e, nel lungo termine, improduttivi. Insomma, cercare di forzare i propri limiti si rivela un'arma controproducente. Il Deficit di Attenzione Caratteristico infatti non è un disturbo congenito, ma è il risultato del metodo di lavoro moderno. Il flusso costante di informazioni dai computer, i telefoni e tutti i dispositivi hi-tech a lungo andare riduce le nostre capacità mentali. Il rimedio? Uno solo. Riposarsi e cercare di distrarsi nel tempo libero. Gianluca Grossi ____________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mar. ’06 UN ESAME DA TRENTA E LODE INAUGURA LA FIRMA DIGITALE Università. Rivoluzione tecnologica a Scienze politiche Il vecchio statino resiste sempre ma da oggi la registazione degli esami avverrà con una smart-card La facoltà di Scienze politiche ha aperto la strada della firma digitale. Tempi rapidi e niente errori. Il primo voto a essere registrato con la firma digitale è stato un 30 e lode in Economia politica. Ieri la nuova tecnologia ha fatto il suo esordio ufficiale nella facoltà di Scienze politiche: è stato il preside Raffaele Paci, davanti agli occhi del rettore Pasquale Mistretta, a mostrare la nuova tecnica di registrazione degli esami universitari, che farà risparmiare tempo e ridurrà a zero la possibilità di errori. «In pochi secondi - ha commentato Paci - registriamo il voto dell’esame, senza dover effettuare la vecchia trafila, che a volte durava anche diversi mesi». Attualmente la firma digitale, nell’ateneo di Cagliari (il settimo in Italia a utilizzare questo sistema), è partita nel corso di Economia politica europea, e partirà in questi giorni anche nella facoltà di Medicina, nei corsi di Scienze infermieristiche e Ostetricia. «Contiamo - ha sottolineato il rettore - di estendere la firma digitale a tutte le facoltà entro l’anno». Fino a ieri la registrazione tradizionale di un esame avveniva con vari passaggi: il docente doveva trascrivere i dati dello studente, l’esame e il voto nello statino, in un registro, che dopo un certo tempo veniva spedito in segreteria. Qui un addetto doveva digitare nuovamente tutto nel computer centrale. Procedura che poteva durare anche tre mesi: «E che portava con sé - ha evidenziato il preside di Scienza politiche - errori, come un numero sbagliato della matricola o una data errata. Questi inconvenienti saltavano fuori al momento della laurea, creando non pochi problemi per la complessità nel risalire all’errore». Con il nuovo sistema questo non potrà accadere: ogni docente sarà dotato di una smart-card con un proprio codice d’accesso: durante l’esame verrà compilato lo statino elettronico (operazione che si può fare anche prima dell’esame), dove ogni studente è schedato grazie al suo numero di matricola. Al momento del voto lo studente accentando la votazione dovrà inserire il suo Pin (consegnato all’iscrizione nell’Ateneo) e tutto sarà completato. «In questo modo - ha aggiunto Paci - si eviteranno anche gli errori da parte degli studenti che sostengono un esame senza poterlo fare. Inoltre sarà possibile stilare delle statistiche sugli esami e sugli studenti». E non potrà effettuare l’esame chi non è in regola con il pagamento delle tasse», ha ricordato Mistretta. Sopravvive invece il libretto degli esami. La registrazione con firma digitale ha anticipato un’altra rivoluzione che dovrebbe partire a maggio: il sistema S3, per la creazione del data-base dei docenti e degli studenti. Entro l’anno si dovrebbe arrivare anche alla fase on-line della richiesta dei certificati. Matteo Vercelli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 15 mar. ’06 UNIVERSITÀ. INAUGURATA LA SETTIMANA DELLA CULTURA SCIENTIFICA Ricerca, stop al clientelismo «Più trasparenza nella distribuzione dei fondi» Un disegno di legge regionale che scardini la distribuzione clientelare delle risorse destinate alla ricerca da parte degli assessori a docenti universitari amici. «Per questo - ha spiegato Gianluigi Gessa, presidente della commissione regionale Cultura - abbiamo predisposto un disegno di legge che prevede l’istituzione di un assessorato alla Ricerca scientifica, con un unico fondo economico per finanziarie le attività di base e quelle applicate». Gessa è intervenuto, insieme alla collega universitaria e di Consiglio regionale Giovanna Cerina, alla seconda giornata della conferenza d’Ateneo sulla ricerca scientifica, svolta alla Cittadella universitaria di Monserrato. Gli esponenti della maggioranza che governano la Regione non hanno risparmiato critiche al Consorzio 21: «È stato erogato - ha detto Gessa - un fiume di soldi. Ma cosa è tornato indietro?». Parole al veleno anche per il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Fabio Pistella: «La filosofia in sostanza è dare soldi a chi ne ha già». Il presidente della Commissione ha poi illustrato la proposta di legge, che dovrebbe arrivare a breve nell’aula commissariale, per poi giungere in Consiglio regionale. Queste le finalità del dispositivo di diciassette articoli: favorire la formazione di ricercatori qualificati (anche grazie a esperienze nei centri di privilegio internazionale), sostenere la ricerca di base e quella applicata arrivando anche a un’integrazione delle due, promuovere la cultura scientifica e collegare chi lavora nel campo della ricerca con il mondo delle imprese. «Vogliamo - ha aggiunto Gessa - razionalizzare le risorse regionali destinate alla ricerca. Dunque si propongono dei criteri di valutazione oggettivi, trasparenti e internazionalmente validi nell’individuazione dei progetti da finanziare. Oggi i soldi per la ricerca sono in mano agli assessori: noi proponiamo l’istituzione di un assessorato alla Ricerca, con un unico fondo economico». Duro anche l’intervento di Giovanna Cerina: «Molti docenti hanno ricevuto soldi per la ricerca un po’ per la loro bravura, ma anche perché amici dell’assessore di turno». Anche per questo il preside di Ingegneria, Francesco Ginesu, ha chiesto che ci sia maggiore chiarezza «nel rapporto tra Regione e Università. Non come accaduto con la nascita del Crs4, avvenuta senza il coinvolgimento del mondo universitario. Un segnale chiaro che tra i nostri politici manca la cultura della ricerca». Matteo Vercelli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 mar. ’06 L’UNIVERSITÀ VA A CACCIA DI FONDI EUROPEI I finanziamenti della Comunità europea. È questa la strada che deve seguire l’Università di Cagliari per potenziare e ingrandire la sua ricerca scientifica. Dopo la denuncia fatta dal rettore Pasquale Mistretta sui tagli nazionali in questo settore, ieri, nella prima giornata della Conferenza d’ateneo, che ha aperto la Settimana scientifica, si è cercata una soluzione ai problemi economici che quotidianamente incontra la ricerca nell’ateneo cagliaritano. Potenziare i rapporti con l’estero e puntare sui bandi europei per i progetti di ricerca: queste le direttrici da seguire, come indicato da Giovanna Ledda, pro rettore per l’Internazionalizzazione. appuntamento snobbatoUn’inaugurazione della Conferenza d’ateneo un po’ snobbata dagli addetti ai lavori: nell’aula magna della Cittadella universitaria (dove oggi, alle 9,30, si replica con l’argomento delle politiche delle ricerche in ambito europeo, e non nel dipartimento di Architettura, come precedentemente programmato) erano presenti soltanto una cinquantina di persone. «Peccato che un appuntamento così importante sia stato trascurato», hanno commentato Maria Del Zompo, numero due dell’ateneo, Giovanna Puddu, coordinatrice dell’area di ricerche in Fisica, e Amedeo Columbano, coordinatore di quella medica. i problemi. Dopo le relazioni introduttive di Giovanna Ledda e Maria Del Zompo, che hanno fotografato la situazione attuale dell’Università di Cagliari nel campo della ricerca («Come ateneo», ha sottolineato la Ledda, «abbiamo visibilità internazionale e partecipiamo in progetti di ricerca con Università di tutto il mondo, e questo è un valore aggiunto»), si è aperto il dibattito. Sono emerse numerose difficoltà nella partecipazione ai bandi europei: redigere i progetti senza conoscere in modo preciso i criteri di valutazione, una ricerca fatta spesso in modo individualista dai docenti (come rilevato dal direttore amministrativo dell’Università, Fabrizio Cherchi), il contrasto tra didattica e ricerca, con i professori costretti a sacrificare una delle due, e un’amministrazione universitaria che non riesce ancora a essere un punto d’appoggio per chi vuole predisporre un progetto. le idee. Tra le proposte messe in campo, quella della creazione dei «grandi centri di ricerca, con strutture condivise per più gruppi», come suggerito da Columbano. Oppure l’istituzione di un centro servizi «che aiuti i colleghi nel redigere i progetti, oltre a un sito dell’Università aggiornato e al passo con i tempi per quanto riguarda la ricerca», come detto da Ledda. Giovanna Puddu ha evidenziato la necessità di promuovere una «conferenza d’ateneo sulla didattica», mentre in tutti gli interventi è stata ribadita la necessità di conoscere i criteri di valutazione, stabiliti in ambito europeo, dei progetti, e sconosciuti a quasi tutti i docenti dell’ateneo. Matteo Vercelli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 13 mar. ’06 UNIVERSITÀ, POCHE RISORSE PER LA RICERCA Una ricerca di qualità, malgrado i pochi fondi a disposizione. È questo il quadro che emerge dallo studio fatto in occasione della Conferenza d'ateneo sulla ricerca, che oggi inaugura, alla Cittadella Universitaria, la Settimana della cultura scientifica. Di fronte al taglio delle risorse che arrivano dal Miur, le alternative per l'ateneo di Cagliari sono poche. Unica eccezione, o quasi, la fondazione del Banco di Sardegna: «Per il resto - commenta il rettore Pasquale Mistretta - non c'è molto. Il privato infatti non investe in ricerca. Malgrado nella Finanziaria sia possibile scaricare quello che si spende in in questo campo». L'argomento sarà affrontato oggi alla Cittadella di Monserrato (dalle 9,30), con l'apertura della Conferenza d'ateneo. Domani, nell'aula magna del dipartimento di Architettura, in via Corte d'Appello, analizzando proprio le politiche della ricerca in ambito regionale. Nel documento, predisposto dal prorettore per la ricerca scientifica, Adolfo Lai, e che servirà da punto di partenza per la discussione, la situazione è sviscerata nei suoi molteplici aspetti. L'area istituzionale che negli anni 2001-2003 ha sfornato più prodotti di ricerca è stata Scienze biologiche (569), seguita da Scienze mediche (415) e dall'area di Scienze dell'antichità (393). I meno prolifici sono stati i ricercatori di Scienze politiche e Sociali (61 prodotti), anche perché i meno numerosi di tutti i dipartimenti (soltanto 22). Scienze mediche è l'area che ha attirato su di sé il maggior numero di risorse economiche (tra finanziamenti europei, ministeriali, d'ateneo e assegni di ricerca e dottorati): tra il 2000 e il 2005 sono arrivati circa dieci milioni di euro, mentre per Scienze biologiche circa 9 milioni. «Come documentato anche dai risultati del Comitato d'indirizzo per la valutazione della ricerca - è spiegato nel lavoro dello staff di Lai - l'Università di Cagliari è in grado di produrre pubblicazioni scientifiche di alta qualità, che la mettono in condizione di competere a livello nazionale di internazionale in diversi settori». Il problema è da cercare invece nella carenza di fondi: la ricerca in Ateneo «è penalizzata rispetto ad altre Università, poiché i finanziamenti su cui può contare sono largamente insufficienti per i propri fabbisogni». Insufficienti anche a garantire una «dignitosa sopravvivenza dell'attività di un gran numero di ricercatori, anche per il sistema di imprese numericamente limitato». Nonostante le difficoltà, sono tante le collaborazioni internazionali dell'Ateneo di Cagliari con il resto del mondo: in particolare con gli stati europei (il 67%) e il Nord America (10%), ma crescono anche i rapporti con Asia (8%), Africa (5,3%) e Sud America (5,3%). Matteo Vercelli ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 mar. ’06 ARCHITETTURA: DA NOVEMBRE VIA A TRE CORSI In pubblicazione il decreto sulla Gazzetta ufficiale CAGLIARI. Il rettore Pasquale Mistretta ha decretato l’istituzione della facoltà di Architettura dell’ateneo cagliaritano e adesso si aspetta la pubblicazione del decreto, passato alla valutazione del ministero dell’università, sulla gazzetta ufficiale. Lezioni pronte per l’anno accademico 2006-2007, sede in via Corte d’Appello nel dipartimento di architettura della facoltà di Ingegneria. Dopo l’annuncio nel marzo 2005, c’è stato un lungo silenzio e poi, improvvisamente, nei mesi scorsi, la creazione della nuova facoltà ha avuto un grande impulso. Non è stato inutile l’incontro tra i rettori che si è tenuto in gennaio alla Regione e quindi la divisione tra Cagliari e Sassari-Alghero del compito di formare professionisti nel campo dell’architettura, della tecnologia dei materiali ecc. La facoltà di Architettura di Cagliari può funzionare quasi il giorno dopo della sua istituzione perché trasferisce sotto questa etichetta i corsi di architettura avviati da tempo dall’Ingegneria cagliaritana. I corsi di laurea sono tre. Architettura delle costruzioni: corso di studi di cinque anni suddiviso in un triennio più un biennio che prepara architetti secondo i criteri della legge europea sulle caratteristiche di un professionista in questo campo. C’è poi il corso in edilizia: questo è composto da un diploma triennale cui si possono aggiungere due anni di specializzazione. Il terzo è Tecnologia dei beni culturali: un corso di tre anni cui si possono aggiungere altri due di specializzazione a scelta tra quello che segue Architettura delle costruzioni o Edilizia. Il numero degli studenti è programmato: 150 per Architettura, 150 per Edilizia e 60 per Beni culturali. Si sono sopite le polemiche sull’opportunità di istituire un’altra facoltà di Architettura in Sardegna dopo quella di Sassari-Alghero. L’incontro fra i rettori è servito per mettere a punto un programma di lavoro diversificato tra i due atenei. Niente doppioni, si promette, ma corsi di diversa impostazione per diversi risultati. Scopo comune: migliorare il livello culturali dei progettisti sardi, accrescere le possibilità di entrare nel mondo del lavoro attraverso la differenziazione dei corsi di studio. Altro impegno: la verifica dei risultati. ____________________________________________________ giornale Sardegna 12 mar. ’06 L'ESERCITO DI STUDENTI MIGRATORI CON IN TESTA INGEGNERI E MEDICI Università. Ecco la mappa facoltà per facoltà di chi lascia i corsi per scegliere le lauree brevi Chi cambia sceglie spesso Scienze Politiche, ma il sogno è fare l'operatore culturale Quelli che vogliono finire in fretta, quelli che tirano fuori dal cilindro un vecchio libretto, dimenticato nel cassetto, quelli che studiano step by step, che procedono per tappe, un primo livello per cominciare, e poi si vedrà. Sono l’esercito degli studenti migratori, quelli che passano dal vecchio al nuovo ordinamento. Tra il 2001 e il 2005, a cambiare rotta nell’ateneo cagliaritano, sono stati circa 5mila studenti. Con un picco nel 2001, quando i traslochi sono stati complessivamente 1681. Rispetto al totale, solo 2000 ad oggi, hanno raggiunto il traguardo della laurea o del diploma universitario. Ad aggiudicarsi la palma d’oro dei trasferimenti la facoltà di ingegneria: 1978 passaggi verso le cosiddette lauree brevi. Si tratta per lo più di passaggi dai vecchi ai nuovi corsi della facoltà. Irrilevanti i trasferimenti extra facoltà: l’a s p i ra n t e ingegnere civile, vuole ancora diventare ingegnere civile, e così via per la maggior parte dei corsi. Nella facoltà di economia, la riforma si è assicurata la fiducia di 350 studenti, che scelgono soprattutto i corsi triennali di economia e gestione aziendale e quello di economia e finanza. Chi cambia invece facoltà, opta quasi sempre per quella di di scienze politiche. In giurisprudenza si scelgono soprattutto le scienze giuridiche. E anche qui, se si cambia, è per chiedere asilo universitario, in Scienze politiche. Sempre migrazioni interne, in Lettere e filosofia dove, nel 2001, c’è stato un boom per il corso di operatore culturale. Molto spesso i trasferimenti riguardano studenti di vecchia data. Studenti che hanno alle spalle dieci anni di “carriera ” universitaria. Tra questi, anche quelli che riesumano il vecchio libretto degli esami per vedere se si può recuperare un pezzo di carta , con gli esami dati e qualcuno da dare per un titolo breve. Quel che è certo , il 90% degli studenti, prosegue gli studi dopo aver conseguito la laurea di primo livello. Quasi nessuno, infatti, lascia i libri dopo i primi tre anni di università. Resta invece per molti, la possibilità di mettere in tasca un primo titolo, magari per tentarsi un concorso, in attesa di conseguirne un altro, più impegnativo ma più specifico. Cinzia Isola I dati IL TRE PIÙ DUE La “Riforma del 3+2”, di Berlinguer, è stata istituita nel 1999, (DM 509/99), con l’obiettivo di abbreviare i tempi per conseguire il titolo di studio, ridurre gli abbandoni, unire, preparazione culturale e formazione professionale, facilitare la mobilità degli studenti a livello nazionale. Cinquemila cambi Tra il 2001 e il 2005, a cambiare rotta nell’ateneo cagliaritano, sono stati circa 5 mila studenti. Tra questi, circa 2000 ad oggi, hanno raggiunto il traguardo della laurea o del diploma universitario. Ma il 90% degli studenti, dopo aver conseguito la laurea di primo livello, prosegue gli studi. ======================================================= ____________________________________________________ L’Unione Sarda 12 mar. ’06 MEDICINA, BALZO IN AVANTI PER IL CAMPUS Ateneo. Ieri l'inaugurazione: al via anche le manifestazioni della settimana scientifica Una nuova sede della facoltà nella cittadella universitaria Inaugurata alla cittadella universitaria la "spina" della facoltà di Medicina. Per la realizzazione dell'opera, investiti 13 milioni di euro. L'Università di Cagliari prosegue la sua espansione edilizia nella Cittadella di Monserrato: ieri il rettore Pasquale Mistretta ha inaugurato la nuova "spina" della facoltà di Medicina, una struttura costata tredici milioni di euro (fondi ministeriali), e costruita in tempi record. Ma il numero uno dell'ateneo cagliaritano ha ricordato anche altri due interventi che saranno realizzati a breve: un edificio per il Policlinico (con duecento posti letto, per il futuro nuovo presidio di Pediatria, progetto già appaltato) e un altro blocco per la facoltà di Medicina (in fase d'appalto). Entrambe le opere costeranno sei milioni di euro. Lavori e opere che confermano il forte legame tra il rettore e il polo di Medicina: «Entro l'estate dovrebbe nascere l'azienda mista, in cui confluirà il Policlinico - ha aggiunto Mistretta - mentre dal primo di aprile aprirà, sempre nell'ospedale universitario, il reparto di Rianimazione, con il trasferimento al Policlinico di quelli gestiti dai professori Casula e Uccheddu». Davanti a molte autorità politiche (sono intervenuti il presidente della Regione, Renato Soru, il sindaco di Cagliari, Emilio Floris, e quello di Monserrato, Salvatore Vacca, con cui si sta lavorando per la realizzazione dello svincolo per la Cittadella, sopra la statale 554), quindi il prefetto Efisio Orrù e il questore Paolo Cossu, Mistretta ha inaugurato, proprio nell'aula magna (gremita nei suoi duecento posti) del nuovo edificio, anche la Settimana scientifica, che da domani proporrà incontri, tavole rotonde e incontri su diversi temi, e soprattutto sulla ricerca. «Dispiace che si punti soprattutto sulla ricerca applicata - ha detto il rettore - dimenticando che quella di base è un punto di partenza imprescindibile. Inoltre i fondi statali sono sempre meno». Soddisfatto il preside di Medicina, Gavino Faa: «Molte Università ci invidieranno il campus universitario che sta nascendo. È importante che la facoltà di Medicina sia riunita in un unico posto, e con accanto un ospedale come il Policlinico». Il primo dipartimento che si trasferirà nella nuova "spina" sarà quello della Medicina del lavoro. «Ci sono circa 120 studi per i docenti - ha ricordato Mistretta - una decina di aule, per altri trecento posti, e spazi didattici e informatici per gli studenti». «Una struttura - ha detto Soru intervenendo dopo la relazione introduttiva del rettore - che va a vantaggio dei docenti, dei ricercatori e degli studenti». Floris ha definito l'opera «un valore aggiunto per l'Ateneo e per il territorio». Matteo Vercelli Mistretta rimanda le scelte «Non amo i tagli di nastro». Questa la risposta di Pasquale Mistretta alla domanda se fosse giunto il momento di ufficializzare la sua candidatura, al sesto mandato consecutivo da rettore dell'Università di Cagliari. Quella di ieri sembrava la giornata giusta: l'inaugurazione della nuova struttura di Medicina e della Settimana scientifica, e il ricordo dei 400 anni dell'ateneo cagliaritano. La cornice di pubblico e le tante personalità del mondo politico, accademico e militare, la ciliegina sulla torta. «Ne riparleremo ad aprile», ha poi aggiunto Mistretta. Insomma fino all'ultimo momento (le elezioni dovrebbero svolgersi a maggio) il rettore non vuole uscire allo scoperto in modo ufficiale, anche se tutti danno per certa la sua ricandidatura. «Voglio anche ricordare», ha detto ancora Mistretta, «che entro un mese dovrebbe decollare la facoltà di Architettura, con il suo corpo docenti e l'elezione del preside. Dunque per il nuovo anno accademico sarà tutto pronto». Con le facoltà di Medicina e Ingegneria al suo fianco, malgrado non sia ancora ufficiale la sua discesa in campo per la sesta volta al comando dell'Università, i tasselli per una sua elezione senza problemi sono, in gran parte, sistemati. (m. v. ) ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 mar. ’06 MEDICINA, ENTRO L’AUTUNNO TUTTI A MONSERRATO Inaugurato ieri il complesso con aule e laboratori, in appalto altri due edifici Renato Soru plaude alla cittadella Il rettore illustra i confini della nuova ‘mission’ universitaria CAGLIARI. Era festa ieri mattina per l’università di Cagliari a Monserrato dove si sono celebrati vari avvenimenti assieme: i 400 anni dalla fondazione dell’ateneo, l’inizio della 16ª settimana scientifica, l’apertura di un nuovo edificio per gli studenti di Medicina che dal primo marzo hanno aule nuove per lavorare alle tesi e dal novembre 2006 frequenteranno qui quasi tutte le lezioni. Un successo del rettore Pasquale Mistretta magnificato ieri con parole riconoscenti anche dal presidente della Regione Renato Soru. Sarà quindi un robusto puntello in più per la sesta candidatura di Mistretta al rettorato? A domanda precisa sulla volontà di ricandidarsi, il rettore ha opposto la risposta giusta: non ora, non oggi, soltanto a maggio io lo dirò. L’aula magna da 220 posti assieme ai padiglioni mostrati ieri è stata cominciata e finita in 18 mesi: una corsa contro il tempo per aggiungere un’altra «cosa fatta» all’impegno di dare una casa unica e riconoscibile agli studenti di Medicina. Prima della relazione di apertura della sedicesima settimana della cultura scientifica, il rettore ha fatto un po’ di cronaca. «L’edificio è costato 13 milioni di euro (dallo Stato e dalla Regione), si tratta dell’asse didattico nuovo, lungo 180 metri, completato a oggi per un terzo rispetto al progetto complessivo, il resto sarà pronto in autunno. Qui accanto sorgerà un altro edificio e dobbiamo mandare in appalto anche la costruzione di un altro blocco per il policlinico. Qui, dal primo marzo sono entrati gli studenti che hanno 20 aule, l’aula magna videocollegata con altre 4 aule da 50 posti ciascuna, laboratori, studi». Mistretta ha ringraziato una per una tutte le figure professionali impegnate nella costruzione dell’edificio, finito «con acrobazie di cantiere». La cittadella interamente dedicata alla Medicina è una conquista che darà benefici a chi studia, ai docenti e ai ricercatori, non soltanto di Medicina: «Questa facoltà ha vissuto e vive di ospedali, ed è vero che la parte didattica e della ricerca sono sempre state condizionate dalla disponibilità offerta dal sistema sanitario pubblico. Questa grande trasformazione ha consentito all’ateneo di fare altre cose importanti per altre facoltà». Nell’ex clinica Aresu oggi ci sono le facoltà di Lingue e di Scienze politiche, che hanno spazio per i laboratori loro indispensabili. «Nei programmi c’è un ultimo importante tassello, ancora però lontano perché bisogna fare i progetti e trovare i finanziamenti: trasferire qui - ha detto Mistretta - 200 posti letto dal San Giovanni di Dio per allestire in quell’ospedale un grosso dipartimento materno-infantile, con la cardiologia pediatrica, la clinica ecc.». L’annuncio è stata la prima parola ufficiale sul destino del San Giovanni di Dio: la partita si gioca tra un dipartimento materno-infantile e uno, più ampio, che lo ricomprenderebbe, delle emergenze (per non sguarnire la città storica di un presidio ospedaliero). Nella relazione sulla settimana scientifica, Mistretta ha centrato il tema della ricerca alla luce dei nuovi criteri adottati dal ministero dell’università e della ricerca (Miur), delle difficoltà di rastrellare finanziamenti, del rapporto nascente con la Regione, dei contatti coi laboratori di ricerca privati, della spinta a internazionalizzare la formazione degli studenti. Mistretta ha descritto forme e risultati della cosiddetta apertura al territorio (rapporti con imprese, banche, istituzioni, comunità locali). E ha raccontato della difficoltà di far studiare i giovani perché siano adeguati alle richieste del mondo del lavoro. «L’ateneo - diceva il rettore - per rispondere con flessibilità ha scelto di muoversi verso una politica per obbiettivi e risultati; infatti, la pianificazione per obbiettivi... deve garantire una gestione più dinamica delle risorse economiche, strutturali e umane». Poi: il mondo cambia e «l’Università deve rileggere i compiti istituzionali per caratterizzarsi come soggetto pubblico promotore di processi di sviluppo culturale, sociale ed economico». «Una risorsa» è stata definita «la più intensa e organica collaborazione del nostro ateneo con l’università di Sassari». A fine gennaio i due rettori hanno incontrato il presidente della Regione: «... La questione scuola e università è stata definita strategica e prioritaria al fine di progettare lo sviluppo del capitale umano capace di proiettare la Sardegna nel contesto internazionale». Mistretta ha accennato a una rivoluzione profonda: l’università sta imparando a giudicare se stessa attraverso obbiettivi e risultati «per superare quell’autoreferenzialità che ha caratterizzato per troppo tempo il mondo universitario italiano». Dal rettore anche alcuni inviti: a puntare su progetti di ricerca che siano strategici per l’Italia perché vengono finanziati subito e a moltiplicare i rapporti con altre università e con le entità istituzionali ed economiche, su tutti arriveranno i benefici di una legge regionale sulla ricerca in preparazione. Infine, occhio a «tutte le attività di ricerca brevettabili». Un plauso al nuovo edificio è arrivato da parte del sindaco di Monserrato, Antonio Vacca e di Cagliari, Emilio Floris, un aperto apprezzamento alla «politica dei fatti» che porta a un «risultato prezioso come questo» da parte del governatore Renato Soru. LA STORIA L’ateneo ha 400 anni di vita Il trasloco definitivo libera locali in città Annunciato il progetto per il San Giovanni Mistretta ricandidato? CAGLIARI. La bolla papale che istituisce l’ateneo cagliaritano è del 12 febbraio 1606. Ieri mattina in una teca all’ingresso dell’aula magna c’erano alcuni pezzi unici per la Medicina italiana ed europea custoditi nell’archivio storico dell’ateneo. Per esempio il «Liber introductorius anatomiae» scritto da Nicolai Massa e stampato nell’anno del Signore 1536. Massa era un medico molto famoso all’epoca e rimasto tale nella storia della Medicina: scoprì la presenza della prostata nel corpo maschile e studiò accuratamente il suo funzionamento. Di Paolo Zacchiae un testo «Quaestiones medico-legales», risalente al 1751 e considerato il primo trattato di medicina legale. Un magnifico trattatello della Scuola Salernitana: anno 1594, «... Conservandae bonae valetudinis praecepta». Un altro bel testo del diciassettesimo secolo che riporta le illustrazioni di pezzi anatomici, mirabili i disegni. 7 – La Nuova Sardegna Pagina 1 - Cagliari LA SETTIMANA Conferenze e mostre per scoprire i volti della scienza CAGLIARI. Comincia domani la settimana della cultura scientifica e tecnologica che, quest’anno, coincide con l’anniversario della fondazione dell’università. Il primo appuntamento è la conferenza d’ateneo sulla ricerca scientifica, dalle 9.30 e nel pomeriggio dalle 16.30, nell’aula magna «A.Boscolo» della cittadella di Monserrato, tema «Il quadro dell’ateneo di Cagliari in rapporto ai riferimenti nazionali e internazionali sugli interventi strategici e sulla politiche delle risorse, nonché alle direttive del Miur per la programmazione 2006-2009» e poi «Gli strumenti e l’organizzazione della governance». Interverranno esponenti della direzione generale della ricerca della Commissione europea, della conferenza dei rettori (Cru). Martedì, stesso orario, nell’aula magna del dipartimento di Architettura in via Corte d’Appello 87: «Le politiche della ricerca in ambito regionale», «L’università e i portatori di interesse (stakeholders): il rapporto tra autonomia, responsabilità, valutazione e partecipazione. Mercoledì, alle 10, nell’aula C di Monserrato una conferenza: «Luce sul neurone: la rivoluzionaria scoperta di Camillo Golgi nel centenario del Nobel». Alle 16.30 «Attualità e problemi costruttivi di esercizio per gli autobus ibridi per il trasporto urbano». Giovedì 16 marzo: aula C, cittadella di Monserrato, la tavola rotonda «Energia verde: i biocarburanti». Alle 16.30 la tavola rotonda «Le vie dell’acqua. L’acqua tra abbondanza e rarità, ragione e desiderio, contemplazione e utilità». Venerdì 17: alle 10 nel dipartimento di Architettura in via Corte d’Appello 87 la tavola rotonda «L’acqua: bene comune dell’umanità». Alle 16.30 workshop «L’acqua come risorsa e come elemento di rischio per il territorio: attività di ricerca nel settore dell’ingegneria idraulica». Sabato, alle 10 nell’aula D della cittadella la tavola rotonda «L’evoluzione e la complessità del mondo vivente». Altre iniziative. La mostra alla cittadella dei Musei in piazza Arsenale 8 sulla bonifica di Arborea: dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19. Lo spettacolo «La magia degli elementi» venerdì 17 marzo alle 17 e sabato alle 10.30, nell’aula C della cittadella di Monserrato. Un’esposizione dell’autobus ibrido nella cittadella universitaria (con giri dimostrativi) mercoledì 15 e giovedì 16 marzo. La mostra cartografica e proiezione di video didattico scientifici sui temi: il progetto Antartide nello stretto di Magellano, dalle spiagge ai fondali marini, l’attività dell’osservatorio coste e ambiente sottomarino, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 14 nell’aula 6 (aula geologia e geologia marina) alla cittadella di Monserrato. La conferenza nazionale di educazione sanitaria e promozione della salute: dal 16 al 18 marzo, T-Hotel via dei Giudicati a Cagliari. ____________________________________________________ Corriere della Sera 15 mar. ’06 LA DELUSIONE DEL GIOVANE MEDICO Un futuro di contratti a termine? Via Solferino 28 - dalla parte del cittadino. IL CASO Trentatré anni, specialista in Chirurgia generale, tante passioni, una in particolare... il mio lavoro. Cinquantadue esami di medicina, sei anni di specializzazione, un anno di militare e l' esame di Stato. Da due anni lavoro come assistente per un reparto di Chirurgia generale, centro di insegnamento per la chirurgia generale mini-invasiva laparoscopica, in un ospedale privato convenzionato. Ho scritto questa lettera perché vorrei far capire a chi sta fuori dalla realtà ospedaliera quante contraddizioni ci sono oggi in questo lavoro, seppure sei sostenuto da sentimenti onesti e umili e hai tanta passione. Siamo in tanti trentenni specialisti che abbiamo dedicato molte energie allo studio, per farci trovare preparati davanti al paziente, alla malattia così difficile da affrontare sia per il medico che per il malato, non sempre curabile. Un cammino che bisogna intraprendere insieme senza sapere dove ti porterà... ma questa è la vita! Invece succede che tutto ciò è ribaltato, che l' ospedale diventa azienda, che il malato diventa fatturato e che il giovane medico su cui bisogna credere per crescere i primari di domani diventa un «manovale» da spremere senza dargli garanzie. Così nascono i «contratti libero professionali» senza malattia, pensione, ferie e tutela legale in un mondo dove il malato spesso non soddisfatto chiede i danni anche se ha torto, perché l' errore non è più giustificato. Io vi chiedo se è giusto che, nel Paese più bello del mondo, ai giovani medici ai quali è affidata l' enorme responsabilità di prepararsi a curare i mali del nostro futuro, non si debba regalare un presente lavorativo migliore. Il contratto libero professionale che ormai ti viene proposto sia nel pubblico che nel privato ti toglie la serenità, ti azzera la passione e distoglie la nostra attenzione dal malato. Max Della Porta Caro Della Porta, capisco l' amarezza del finale, ma non si faccia prendere la mano: se vuole essere un buon medico non distolga mai la sua attenzione dal malato. Anche se ai fini di un' assunzione conta meno di niente, è sempre lui al centro della sua professione. Per il resto non posso esserle molto di aiuto. Dico soltanto che se sta cercando il posto fisso, ha sbagliato epoca. Contratti a termine, stage e contratti libero professionale si stanno applicando anche ad altre professioni. Può non piacere, ma è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti. Bisogna dare un forte senso di missione e riempire di passione un mestiere come il suo per evitare la frustrazione del cottimista e immaginare anche un futuro, una famiglia, una certa serenità. Ci sono generazioni che pagano gli errori di quelle che le hanno precedute: la sua, purtroppo, è una di queste. E poco importa se è più preparata e più selezionata di quelle uscite dalle università diciamo pure a pedate o con il voto politico. La risposta è che oggi non ci sono soldi. La parola d' ordine di Asl e ospedali è: ridurre gli sprechi. La Finanziaria impone un taglio dei costi nella sanità dell' uno per cento. Ci sono controlli e obiettivi da raggiungere. Il concetto di spreco però è variabile. È uno spreco dare più garanzie ai giovani medici? Forse bisogna valutare caso per caso. Diciamo che con i contratti a termine si risparmia e non si possono accampare diritti. E questo è un costo in meno per l' ospedale. Lei dice: la situazione del giovane medico può diventare sudditanza, quando a fine anno la borsa o il contratto scadono. La replica dagli ospedali è: in genere questi contratti sono sempre rinnovati. C' è un tributo alla gavetta in ogni professione. Ma credo che non sia questo il suo problema. Lei chiede un investimento sul futuro. È corretto che se ne parli di più. gschiavi@rcs.it Schiavi Giangiacomo ____________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mar. ’06 ARRIVA LA QUARESIMA DELLA SANITÀ SARDA Crisi economica e bilanci FRANCO MELONI La sanità sarda vive una Quaresima anticipata con disservizi più o meno seri, cui – per un motivo o per l’altro – le Asl non sembrano in grado di far fronte adeguatamente. L’ultimo caso, per fare un esempio, un periodo di inattività che ha coinvolto un servizio di Emodinamica di Cagliari, anche se lodevolmente tenuto sotto traccia dai medici interessati, ha davvero creato problemi a molti pazienti e mostrato la palese difficoltà di rapporti tra aziende sanitarie. Qui non si vuole buttare la croce addosso a nessuno, chi scrive sa bene come è facile nella pubblica amministrazione inciampare in lungaggini e inefficienze anche quando ci si mettono tutto l’impegno e la passione possibili: ma si tratta dell’ennesimo caso in cui i cittadini si sono trovati a protestare per fatti che si stanno ripetendo in tutta l’isola con una frequenza inusitata. I pazienti psichiatrici che scappano dall’ospedale di Ghilarza, altri cui viene inopinatamente tagliata l’assistenza infermieristica domiciliare, liste d’attesa che si allungano invece di accorciarsi, promesse fantasmagoriche di futuri Centri Unici di Prenotazione mentre non si risponde neppure a una telefonata, pazienti deceduti durante semplici esami radiologici, sindacati sul piede di guerra un po’ dovunque: insomma sembra L di essere tornati ai primi anni ’80. Chi non c’era non può sapere cosa significhi: erano gli anni eroici della sanità sarda, l’era di passaggio da un sistema arcaico e paternalistico a quel servizio sanitario moderno e funzionale – nonostante i suoi difetti – che abbiamo oggi, dalle mutue ai diritti garantiti a tutti, dell’apertura in rapida successione del Brotzu e del Microcitemico. Senza voler fare processi a nessuno, ma con grande chiarezza, bisogna dire che non ci vogliamo tornare, vogliamo migliorare quello che abbiamo senza velleitarismi che mirano ad inseguire una luna che non raggiungeremo mai. Vogliamo che si tengano i piedi per terra, con attenzione alle esigenze di tutti; le grandi riforme promesse, i Piani Sanitari Regionali, sono importanti ma sono solo una parte del problema, non vogliamo tornare ai cittadini che fanno sit-in o che devono scrivere lettere ai giornali per vedere rispettati i loro diritti. Certo non si puo’ che condividere l’attenzione ai bilanci, sono soldi nostri, ma occorre che i nuovi manager facciano uno sforzo di fantasia e di capacità progettuale per rispondere alle esigenze dei cittadini, specie dei più deboli, se necessario allentando legami che a volte sembrano di sudditanza psicologica nei confronti della Regione. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mar. ’06 CAGLIARI AZIENDA MISTA LATITANTE FINO A GIUGNO Regione-Universita’ Solo il piano sanitario sbloccherà il tavolo per l’ospedale universitario CAGLIARI. L’ultima volta che si è parlato di azienda mista Regione-Università è stato prima di Natale. Dall’incontro tenuto tra il preside di Medicina e il direttore generale della Asl 8 scaturiva la decisione di lasciare l’asse Microcitemico-Oncologico nella gestione della sanità pubblica. In quelle settimane trapelava anche che il Binaghi sarebbe stato ricomposto attorno alle scelte del piano sanitario regionale (l’ospedale del respiro con il potenziamento di day hospital e ambulatori, mentre tutta la chirurgia oncologica si sarebbe spostata al policlinico). In quel periodo fioccavano le domande sul destino del San Giovanni e arrivava qualche risposta informale ma fondata. Lì, però, ci si è fermati: non c’è notizia di lavorìo attorno al tema «cosa faranno Regione e Università per formare secondo legge medici e paramedici». La causa dello stop? Una norma ancora in viaggio. Nello scandaglio della salute della sanità sarda, l’assessore forestiero ha scoperto che qua non sono tanto le leggi a mancare, quanto gli strumenti per applicarle. Secondo la ricognizione condotta, una quantità di istituti previsti, come l’agenzia regionale della sanità, o di scelte operate, come l’impostazione di una sanità che procede per obiettivi e sulla quale si verificano costantemente i risultati, non hanno avuto gambe e quindi non hanno prodotto gli effetti sperati a totale svantaggio della domanda di salute che sale dal cittadino. Per rimediare (si era tentato anche in passato in giunte precedenti), l’assessorato ha preparato un disegno di legge che stabilisce nuove regole per l’accreditamento delle strutture; quali debbano essere i livelli minimi di assistenza; quale luogo di raccordo debbano finalmente trovare assistenza sanitaria e assistenza sociale, tema emergente per i noti problemi degli anziani e dei disabili, ma anche dei malati di mente. Sull’atto aziendale (che individua strutture operative e le responsabilità del personale) si danno indicazioni perché sia resa praticabile nei fatti la mille volte sbandierata volontà di collegare con procedure snelle e chiare l’assistenza territoriale a quella ospedaliera. E arriviamo all’azienda mista, l’ente Regione-Università che, attraverso un protocollo, stabilisce quanto e come le due entità debbano concorrere per formare le nuove leve della Medicina (medici, infermieri, laboratoristi ecc). La legge 5 del 1995 (che tra l’altro regola i rapporti tra Regione e Stato) è la norma di riferimento per i servizi sanitari in quanto contribuisce ad applicare nell’isola la riforma del servizio sanitario voluta dal Parlamento nel corso degli anni Novanta. In assessorato spiegano che in questa norma le aziende miste non ci sono e che la legge 5, per questo e per altri motivi, è stata rifatta completamente (meglio dire abrogata). Sempre secondo le informazioni offerte dall’assessorato, il disegno di legge della giunta adesso è in consiglio regionale dove ci si è impegnati ad approvarlo entro marzo. Ma c’è anche un altro aspetto che, spiegano in via Roma, è la ragione fondamentale dello stallo: l’azienda mista è uno degli istituti normati nel piano sanitario regionale, carta fondamentale per tutti i capitoli della sanità sarda, e il piano, dall’autunno scorso, ha cominciato il suo viaggio in consiglio regionale. Molte e complesse sono le questioni da valutare, i consiglieri ci lavorano e in un paio di occasioni pubbliche si sono impegnati a licenziare il documento entro giugno. Il protocollo d’intesa tra Regione e Università che, con una certa enfasi, era stato firmato pochi mesi dopo l’insediamento dell’assessore, resta parte del piano sanitario. Quell’intesa, è bene ricordarlo, servì per mettere fine a una serie di polemiche interne della facoltà di Medicina e a stabilire in maniera definitiva quale dovesse essere la sede di discussione dei problemi e di compensazione delle istanze. Il protocollo, inoltre, sancì davanti agli universitari la necessità di una presenza materiale della componente ospedaliera: prima gli ospedalieri venivano ascoltati (anche molte volte), ma mai si erano seduti al tavolo delle trattative. Quindi lo stallo è destinato a continuare almeno fino a giugno. Ma in assessorato avvertono che il giorno dopo l’approvazione di un piano sanitario la Regione si riterrà impegnata a cominciare subito la stesura di un documento che metta in moto l’azienda mista. Questo, naturalmente, non significa che entro la fine dell’estate ci potrà essere una bozza definitiva: perché il piano sanitario dirà l’ultima parola sui trasferimenti di reparti, sulla quantità di letti ecc, ma non stabilirà questioni cruciali per le parti come la titolarità delle direzioni dei dipartimenti o la regolamentazione di didattica, ricerca e assistenza con relativi carichi di lavoro per universitari e ospedalieri. (a. s.) ____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 15 mar. ’06 SANITÀ ELETTRONICA, L'ISOLA STA A GUARDARE L'iniziativa è del ministero per l'Innovazione: la Sardegna si candida a partecipare Parte, nel resto d'Italia, la sanità elettronica. Per le prenotazioni sanitarie on-line, le cartelle sanitarie telematiche e la firma digitale degli operatori della Sanità un decreto firmato dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, stanzia 15 milioni di euro, cui i aggiungerà un co-finanziamento delle regioni. Per ora l'Isola sta a guardare, ma si è candidata a partecipare al progetto. IL DECRETO del ministro Stanca che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale nei prossimi giorni, rientra in un ampio progetto di modernizzazione della sanità italiana. Al sistema di prenotazioni on-line hanno aderito Lombardia, Umbria, Emilia Romagna, Marche, Veneto e Provincia Autonoma di Trento, ma si è candidata a partecipare anche la Sardegna insieme a Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Puglia e Sicilia. Quanto alla firma digitale il decreto eroga 10 milioni e altrettanti li stanzieranno 16 Regioni ad eccezione solo di Sardegna, Calabria, Campania e Provincia Autonoma di Bolzano. La "cartella clinica digitale" permetterà l’avvio graduale del monitoraggio delle patologie, risparmi delle spese e l’eliminazione di enormi quantità di carta. I dati saranno disponibili on-line e consultabili dovunque, soprattutto in caso di emergenza. A.Z. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 mar. ’06 SANLURI: RIVOLUZIONE NELLA SANITÀ, C’È ARIA DI RIVOLTA Poliambulatori chiusi e trasferiti, consultori trasformati in centri anti alcolismo Il piano ipotizzato dal manager dell’Asl non piace a Sanluri, San Gavino e anche a Samassi SANLURI. La Asl 6, da pochi mesi diretta dal manager Savina Ortu, riorganizza i suoi servizi nel territorio, ma scatena malcontenti e proteste. E’ il caso del servizio di Igiene e Lavoro che dal poliambulatorio di San Gavino starebbe per finire in quello di Sanluri, mentre il consultorio familiare di Samassi ha già chiuso i battenti e sarà trasformato in centro antialcolismo. Mentre per il consultorio di Samassi il cambio in corsa è già realtà, il trasferimento del servizio Igiene e Lavoro da San Gavino a Sanluri è avvolto da mistero. Negli ambienti sanitari della cittadina del Monreale se ne parla diffusamente già da qualche tempo, mentre la Asl 6 tace. O almeno chi potrebbe confermare o smentire, come il direttore generale Ortu, è sempre troppo impegnata per rispondere al cronista che vuole informarsi di come stanno le cose. Si torna insomma ai metodi “oscurantisti” della precedente gestione dell’azienda sanitaria del Medio Campidano. Del dirottamento del servizio Igiene e Lavoro nel capoluogo della Provincia, dove ha sede istituzionale la Asl 6, si è parlato anche in una recente seduta del consiglio comunale di San Gavino a seguito dell’interrogazione al sindaco dell’esponente della minoranza Bruno Deidda. Il capo della Giunta ha preso l’impegno di “indagare” fra i responsabili dell’azienda sanitaria e poi riferirà. Qualcuno, fra i dirigenti della Asl, si è già affrettato a smentire, ma le voci di corridoio sono sempre insistenti. Sarebbe un colpo veramente basso per San Gavino che, dopo aver perso la corsa al capoluogo della nuova provincia, potrebbe perdere pezzi anche nella Sanità, passando dalla possibilità di diventare “cittadela sanitaria d’eccellenza” del Medio Campidano a esclusiva sede ospedaliera. Gli amministratori comunali, sindaco in testa, vigileranno affinchè San Gavino non subisca un nuovo scippo. Il primo, nessuno nel Monreale lo dimentica, era stata proprio la sede amministrativa della Asl 6, fi- nita a Sanluri nonostante l’ospedale civile, unico del Medio Campidano. Ma nell’occasione i sangavinesi sanno bene chi ringraziare: il sindaco di allora Fedele Melas che si mise in contrapposizione ai sindaci della Marmilla e della Trexenta che votarono Sanluri sede della Asl 6. Il consultorio familiare di Samassi, con servizi medici di primaria importanza come ginecologia e psicologia, è stato soppresso e trasferito a Sanluri in quella che è stata annunciata come “una razionalizzazione dei servizi”. A Samassi ci sono rimasti molto male, a partire da sindaco e consiglio comunale. Quello della direzione sanitaria è stato un autentico blitz. Nessuno era stato informato che il consultorio familiare avrebbe lasciato posto al centro alcologico, prima a Senorbì nella sede del distretto sanitario della Trexenta. Il consultorio è adesso nel poliambulatorio di via Bologna, a Sanluri. Vicino ai servizi veterinari. ____________________________________________________ La Repubblica 16 mar. ’06 TANTI ERRORI MEDICI: SI CERCA UN ACCORDO Un anno di sportello all'Ordine di Roma: mille contatti, risarcito 1 caso su 10 UNO sportello di conciliazione tra medici e pazienti che esamina, gratuitamente, le richieste di "risarcimento" per malpratica professionale. Quattro professionisti (due medici e due avvocati) che analizzano i requisiti e, se il caso rientra tra quelli ipotizzati, una conciliazione lontana dai tribunali. Questa, la soluzione "bonaria" ai conflitti (sempre più tesi, a guardare i dati internazionali) tra le parti così come è ideata dall'Ordine provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri con la collaborazione dell'Ordine degli Avvocati e la partecipazione delle compagnie assicurative Generali, Assitalia, Fondiaria-Sai, Unipol, Mediolanum e la Zurigo Assicurazioni. Si chiama Accordia ed è un progetto che ha visto la luce il primo gennaio 2005 presso la sede dell'Ordine dei camici bianchi a Roma (via G.B. De Rossi 9): un modo "per arrivare alla conciliazione il più rapidamente possibile: dall'avvio della "pratica" all'eventuale risarcimento, infatti, non passano più di tre mesi", ha spiegato Mario Falconi, presidente dell'Ordine di Roma, durante la presentazione dei dati riassuntivi dei primi dodici mesi di vita di Accordia. A spingere l'Ordine provinciale di Roma una crescente, e sino ad oggi inarrestabile, richiesta di risarcimento danni per errori medici (in Italia dal 1994 al 2002 l'incremento è stato del 148 per cento). Mille in tutto i contatti pervenuti allo sportello: di questi il 10 per cento presentava i requisiti per avviare una trattativa tra le parti, il 20 non presentava i requisiti mentre per il 40 si è arrivati alla soluzione del problema con un incontro tra le parti e il 30 per cento si è "accontentato" di "informare" l'Ordine su quanto avvenuto. Novantatré, invece, i dossier avviati di cui il 48,39 per cento per prestazioni mediche e il 51,61 per quelle odontoiatriche. Mentre il totale liquidato in fase conciliativa è stato di 59mila euro. "Positivo il bilancio del primo anno di attività" per Falconi, "tanto che lo sportello prosegue il suo compito". Un progetto che ora punta ad uscire dai confini privati - e ristretti della provincia di Roma. Tanto che per i prossimi mesi è prevista la partecipazione all'iniziativa di alcune strutture pubbliche come (con molta probabilità) il Policlinico A. Gemelli e alcune Asl. Mentre, se tutte le parti riusciranno a sedersi attorno a un tavolo e trovereanno un accordo, ha sottolineato Augusto Battaglia, l'assessore della Regione Lazio alla Sanità "lo sportello potrebbe divenire anche regionale". Sempre nel Lazio, ha aggiunto Battaglia, la Regione con l'ISS, l'Istituto Superiore della Sanità, avvierà un progetto per monitorare, i casi di errori, ma questa volta in corsia e nelle Aziende sanitarie. (anna rita cillis) _________________________________________________ il Giornale 18-03-2005 CRESCE L'ALLARME IPERTENSIONE A Roma 800 cardiologi affrontano in un Forum i grandi problemi e i. rischi delle malattie cardiovascolari Agabiti Rosei: «Ne soono dieci milioni di italiani. Se non curatî sono a rischio globale» Luigi Cucchi • Oltre 800 cardiologi partecipano a Roma ad un Forum per discutere della prevenzione e del trattamento delle patologie cardiovascolari alla luce delle evidenze dei più recenti studi clinici. Si discute soprattutto di come rendere la prevenzione più incisiva e diffondere i risultati emersi dagli ultimi studi clinici. Obbiettivo: rinforzare l'impegno di tutta la classe medica per contrastare le malattie cardiovascolari che provocano in Italia 240mila decessi all'anno e rappresentano la principale causa di morte nei Paesi occidentali. «In Italia - ricorda il professor Enrico Agabiti Rosei, cattedra di medicina interna all'università di Brescia, presidente della Società italiana della ipertensione arteriosa - sono oltre 1,5 milioni le persone affette da cardiopatia ischemica, la più diffusa tra le malattie cardiovascolari, a rischio grave di subire attacchi di angina o infarti che ogni anno si manifestano in 200mila persone. Solo il 50% di questi pazienti - aggiunge - arrivano negli ospedali: meno della metà in tempo, il 10% entro due ore dai primi sintomi, il 20% dopo 12 ore, quando la finestra temporale utile per eseguire le terapie che ricanalizzano la coronaria ostruita si è ormai esaurita. L'altro 50% o muore prima (44%) o ha un infarto asintomatico». Agabiti Rosei, nato a Fabriano, nelle Marche nel 1947, denuncia la scarsa attenzione che ancora oggi viene data ai fattori di rischio ed il diffondersi della sindrome plurimetabolica, cioè di quell’insieme di fattori (obesità viscerale, alterazioni metaboliche, elevata pressione arteriosa, dislipidemie, alti tassi di colesterolo LDL, quello cattivo) che moltiplicano in modo esponenziale il rischio cardiovascolare globale. Meno del 20% dei pazienti ipertesi ha solo la pressione alta, la maggior parte presenta invece più malattie associate. Prevenzione quindi. Agabiti Rosei ricorda che l'esercizio fisico per 40 minuti al giorno è vitale, stop al fumo e riduzione drastica degli altri fattori di rischio: Stili di vita più corretti possono fare molto. Quando i valori rimangono fuori misura si deve ricorrere al trattamento farmacologico che deve essere personalizzato e controllato. Nei diabetici la pressione arteriosa deve raggiungere valori inferiori a 130-80 millimetri di mercurio ed il colesterolo LDI, deve essere ben inferiore ai 100 milligrammi per decilitro. Nei pazienti ad alto rischio si deve puntare ad abbassare il più possibile il colesterolo. «Per arrestare il trend crescente delle malattie cardiovascolari si deve agire sulla prevenzione, su un approccio globale alla patologia, su terapie personalizzate». E questa la formula vincente ribadita dal professor Giuseppe Mancia, direttore della clinica medica dell'università Milano-Bicocca e Ospedale S. Gerardo, di Monza, uno studioso dei rischi cardiovascolari tra i più apprezzati anche all'estero. «I due più recenti e significativi studi nell'ambito cardiovascolare (Ideal e Ascot ) - ha spiegato a Roma Massimo Volpe, direttore della cattedra di cardiologia II dell'università degli studi di Roma «La Sapienza» e presidente della Società italiana di prevenzione cardiovascolare - hanno evidenziato ['importanza di una terapia precoce, l'utilità di un abbassamento aggressivo dei livelli di colesterolo in pazienti che hanno già avuto un infarto e l'efficacia dell'approccio globale. Queste conferme devono diventare il meridiano sul quale orientare oggi l'approccio alla terapia». Il Forum di Roma si inserisce nel programma "Cardio 360" attuato per promuovere il dibattito sul miglior approccio alla prevenzione e alla cura delle malattie cardiovascolari. NUOVE TERAPIE BIOLOGICHE _________________________________________________ il Giornale 18-03-2005 CONTRO LA COLITE ULCEROSA Sono oggi più sicure le terapie per la colite ulcerosa che si manifesta con frequenti dolori addominali e gravi ulcerazioni. L'ente europeo per l'approvazione dei farmaci (Emea) ha autorizzato il trattamento di questa malattia con un nuova sostanza biologica (inflixirnab) che riesce a cicatrizzare le lesioni e ad ottenere la remissione clinica della malattia. In Europa i pazienti che soffrono di colite ulcerosa sono più di 600mila. A Bologna, all'ospedale Sant'Orsola, il Centro per le malattie; infiammatorie gastro-intestinali è all'avanguardia nel trattamento di questa patologia. I professori Massimo Campieri, Paolo Gionchetti e Fernando Rizzello applicano questo nuovo trattamento confortati dai risultati già ottenuti a :Lovanio (Belgio) e negli Stati Uniti. l .a colite ulcerosa è in forte aumento e resiste alle cure con i cortisonici. Il professor Campieri, in particolare, si dichiara ottimista e ricorda che infliximab ha già dato ottimi risultati nella terapia della malattia di Crohn ed in quella dell'artrite reumatoide. _________________________________________________ il Giornale 18-03-2005 L'ASMA GRAVE SI PUÒ CURARE I RISULTATI DI UNA RICERCA INTERNAZIONALE Ignazio Mortnino Vento di primavera, vento di pollini. L'allergia minaccia, anche quest'anno, milioni di italiani. Molti di essi sottovalutano i pericoli e non si curano, aggravando la situazione. Il professor Stefano Centanni, direttore dell'Unità dipartimentale di pneumologia all'ospedale San Paolo di Milano , condanna questo atteggiamento rinunziatario e ribadisce che «ogni tipo di allergia può dare complicazioni». Il riferimento all'asma è quello che interessa maggiormente la ricerca, perché può rappresentare il tragico sbocco d'una patologia che, purtroppo, non viene presa molto sul serio. «Muoiono» afferma con molta serietà il professor Centanni «coloro che non si curano o si curano in modo discontinuo, trascurando perfino i disagi cui si espongono, soprattutto nelle ore notturne». Centanni viene dalla grande scuola del professor Allegra: attua quindi una medicina rigorosa e battagliera, che va al fondo dei problemi e propone soluzioni concrete. Anche nel caso dell'asma (meglio: dell'asma grave) che spesso complica la classica rinite allergica. «Esiste», dice, «una nuova arma per combattere le malattie allergiche, anzi per prevenirle. ;Si tratta d'un anticorpo monoclonale, di nuova generazione, che agisce bloccanmdo le immunoglobuline responsabili dell'attacco asmatico, neutralizzando le cause del processo infiammatorio». Questo nuovo rimedio (nome chimico: omalizumakv) è già in vendita negli Stati Uniti d'America. In Italia sarà disponibile tra qualche mese. L'Emea, che controlla ed approva i nuovi farmaci, ha espresso parere favorevole dopo avere esaminato i risultati degli studi clinici compiuti in molti Paesi europei, tra cui l'Italia. AL primo di questi studi hanno partecipato le scuole di pneumologia di Milano, Genova, Pisa e Reggio Emilia. Centanni è stato in prima linea. Ed è già pronto per un nuovo trial internazionale, che interesserà alcuni Paesi europei. I soggetti invitati a parteciparvi sono più di cinquecento (cento in Italia). Lo studio durerà un anno e riguarderà solo asmatici gravi. Sull'efficacia del nuovo anticorpo monoclonale, il professore non ha dubbi: «In base ai risultati sperimentali, italiani e stranieri, questo nuovo principio attivo controlla efficacemente i malati più gravi, permette loro di respirare sia di giorno che di notte e di svolgere una vita normale: questo perché è in grado di controllare l'azione delle immunoglobuline». Le malattie allergiche, purtroppo, sono in aumento. Paradossalmente, un eccesso di igiene, anziché contrastarle, le favorisce. Un ruolo non trascurabile spetta anche all'inquinamento atmosferico (a Milano, su cento abitanti, venti sono allergici). L'ambulatorio dell'ospedale San Paolo controlla ogni anno cinquemila pazienti (pochi i bambini, molti gli anziani). È un centro di eccellenza. «Il processo infiammatorio va aggredito con tempestività per evitare difficoltà respiratorie» afferma il professor Centanni Le donne sono più colpite dalle patologie asmatiche che si aggravano dopo i sessant'anni esponendole a gravi rischi ___________________________________________________________ Il Mattino 18 mar. ’06 SORPRESA: IL CAFFÈ FA BENE AL FEGATO I risultati di uno studio italiano. Nelle dosi giuste aiuta a combattere cirrosi e cancro PAOLA MARIANO Roma. Una tazzina di espresso? Può fare molto di più che liberarci dal torpore mattutino o del dopo pranzo: protegge infatti il nostro fegato da malattie gravi corne la cirrosi epatica e il tumore, soprattutto nei casi di soggetti ad alto rischio per queste patologie perché, ad esempio, consumano molti alcolici. La buona notizia arriva dalla revisione di una serie di studi che hanno avuto, negli anni, come protagonista la bevanda più amata dagli italiani, Un compendio di risultati presentato durante l'incontro -La terapia delle malattie epatiche» di Alessandra lavani, che ha condotto lo studio con Carlo La Vecchia, entrambi dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Ma attenzione comunque a non esagerare cori l'espresso, avverte il promotore dell'incontro Adolfo Francesco Attili, Ordinario di Gastroenterologia presso l'Università di Roma La Sapienza: troppi caffè, infatti, possono dare disturbi come tachicardia e difficoltà ad addormentarsi. Questi nuovi risultati, spiega Atrili, «non devono invogliare a un consumo esagerato di caffè, ma sono importanti perché possono portare alla scoperta delle molecole protettive che esso contiene, probabilmente antiossidanti come deturpanti». Il consumo di caffè, sottolinea la Tafani, è associato a una riduzione di rischio della curiosi: infatti, maggiore è il consumo della bevanda nera, minore è la presenza della gammamuti-latrino transigersi (G.P.) che è un indicatore della malattia. Questa associazione tra consumo di caffè e protezione apatica è particolarmente evidente in soggetti ad alto rischio curiosi, come i forti bevitori di alcolici. Tra l'altro, un simile legame tra consumo di caffè e salute del fegato c stato osservato sia in pazienti italiani che in soggetti giapponesi con un altro indicatore del danno apatico, l'ansima alienano aminotransferasi (ALT). Anche in questo caso, quanto maggiore è il consumo di caffè, minore è il livello di ALT". Vari studi dimostrano che bevitori di alcool che consumano quattro o più tazzine di caffè al giorno hanno un rischio di curio si di cinque volte ridotto rispetto ad individui che bevono molto alcool ma non caffè, prosegue la Tafani. Inoltre, il rischio di morte per curiosi è ridotto del 30 per cento circa per i forti bevitori che assumano caffè. E non c tutto: analoga riduzione di rischio si riscontra nei confronti dell'epatocarcinotna, il tumore del fegato. Numerosi studi, aggiunge Tafani, mostrano che il consumo di caffè riduce infatti il rischio di sviluppare questo tipo di tumore. Varie componenti del caffè possono essere collegate agli effetti favorevoli della bevanda contro il tumore apatico: sia la stessa ceffoni sia i molti agenti antiossidanti di cui il caffè è una fonte preziosissima. Tra questi i deturpino, spiega Attimi, ma potrebbero esserci anche altre molecole protettive ancora da scoprire. Gli antiossidanti sono contenuti nel caffè in quantità proporzionale agli oli in esso presenti ed hanno attività protettiva nei confronti del DNA e contro i radicali liberi. Alla luce dei nuovi studi il caffè non fa male. Anzi, può addirittura avere effetti benefici soprattutto per alcune categorie di persone. Ma l'invito resta, ad ogni modo, quello a non esagerare con le tazzine di espresso, ribadiscono gli esperti, sottolineando che questo legame tra caffè e salute del fegato suggerisce di cercare nella famosa bevanda nuove molecole che potrebbero divenire le basi per farmaci e terapie future. I ricercatori del Mario Negri: nella bevanda si trovano sostanze utili per le terapie e i farmaci del futuro ____________________________________________________ La Stampa 16 mar. ’06 LA LEZIONE DEL VIRUS DI RÉUNION ALCUNI virologi, in verità, lo avevano previsto: il concentrarsi dell'attenzione sull'H5N1 - il candidato più probabile come agente causale della prossima pandemia influenzale - rischia di far perdere di vista l'evolversi di altri minacciosi virus «emergenti» o «riemergenti», dotati di minore visibilità mediatica, ma da tenere sotto controllo. Che non si trattasse di un allarme ingiustificato lo conferma quello che sta accadendo in questi giorni nella piccola isola francese di Réunion, nell'Oceano indiano, nei pressi di alcuni dei più celebri paradisi di vacanze come Mauritius e Seychelles. E' qui che sta infuriando una grave epidemia di chikungunya, ovvero la «malattia dell'uomo curvo» (in swahili), un nome che rimanda agli effetti dell'infezione virale trasmessa dalle zanzare del genere Aedes albopictus. Provocando severe artralgie, con conseguenti limitazioni articolari, costringe gli individui colpiti a camminare curvi. L'epidemia - la più grave registrata finora - ha già colpito circa 200 mila persone e provocato, direttamente o indirettamente, la morte di 125. E' inoltre responsabile della bufera che sta scuotendo le autorità sanitarie e il governo francese, accusato dall'opposizione di non aver fatto fronte tempestivamente all'emergenza, segnalata da mesi. Il ministro della Sanità parla ora di rafforzare la sorveglianza, mentre centinaia d'uomini sono impegnati nella lotta al vettore e alle larve delle zanzare. Sono le loro punture ad alimentare la catena di trasmissione della malattia, un'arbovirosi come le più note e gravi febbre gialla e dengue. Quest'ultima, detta anche malattia «spaccaossa», è diffusa sia in Africa sia in Asia e si sta estendendo: le epidemie si sono moltiplicate in questi ultimi anni, soprattutto nelle regioni dove una caotica e disordinata urbanizzazione crea le condizioni più favorevoli al sovraffollamento. Condizioni nelle quali le zanzare trovano le migliori possibilità di sviluppo, moltiplicandosi in stagni, pozze, scarichi e cisterne, nonché raccolte d'acqua all'interno di vecchi copertoni d'automobili. Proprio la mondializzazione del commercio di questi ultimi, incubatrici di larve, sarebbe all'origine - stando alle ipotesi avanzate dagli entomologi - della migrazione dell'A. Albopictus da alcune regioni dell'Estremo Oriente, in cui era un tempo confinata, verso altri Paesi. L'epidemia di Réunion - dove è molto diffusa - si sarebbe messa in moto con l'arrivo in quell'isola di alcune persone infette, avviando così la catena di trasmissione della malattia. Descritta nella letteratura medica come «benigna» e non mortale, sta invece rivelando una faccia inaspettata e del tutto sconosciuta finora. I medici si sono trovati di fronte a forme nuove: meningo-encefaliti, insufficienze renali, epatiti fulminanti, su cui sono in corso degli studi. Molti gli interrogativi ancora senza risposta: perché la malattia si è presentata in forma così virulenta e a che cosa è dovuta l'inedita capacità della zanzara vettrice di sviluppare e trasmettere il virus? Una cosa è certa. Che da quella lontana isola arriva all'Occidente una severa lezione che impegna gli organismi e alle istituzioni sanitarie internazionali a rafforzare la sorveglianza e ad incoraggiare la ricerca in tutte le direzioni. [TSCOPY]Università di ____________________________________________________ La Repubblica 15 mar. ’06 DAL CERVELLO DEI TOPI LA CAUSA DELLA DEMENZA SENILE Allo studio possibili terapie contro l'Alzheimer Usa, scoperta la molecola che fa perdere la memoria ROMA - Forse la perdita di memoria causata dalla demenza senile si può curare. Un team di ricercatori statunitensi della Johns Hopkins University e della University of Minnesota Medical School afferma di aver trovato la causa in una molecola deformata del cervello di alcuni topi che erano stati fatti ammalare di Alzheimer. La ricerca è stata subito pubblicata su Nature, e dimostra come questa proteina sia anche contagiosa: se iniettata nel cervello di cavie sane, infatti, le fa ammalare a loro volta. La molecola incriminata è una forma particolare della molecola "beta-amiloide", già nota perché alla base delle placche che si diffondono nel cervello malato di Alzheimer o di altre malattie neurodegenerative. L'obiettivo raggiunto dalla ricerca è stato quello di dimostrare che non sono le placche ma la molecola alla base della perdita di funzioni cognitive. Il morbo di Alzheimer è la più comune forma di demenza senile, e colpisce le capacità di memoria ed apprendimento. Il cervello del paziente perde progressivamente neuroni e si riempie di placche di materiale proteico fatto per lo più di proteine beta-amiloide che si ammassano. I primi segni di deficit cognitivi emergono nei pazienti prima della diagnosi effettiva e spesso prima che i neuroni del loro cervello comincino a morire. Da queste osservazioni è partita la ricerca che ha analizzato il cervello dei topi ammalati prima che i neuroni iniziassero a morire, isolando la proteina. Gli elementi trovati sono fondamentali per capire le cause della malattia, e gli esperti hanno annunciato che i prossimi passaggi della ricerca saranno tesi a studiare il comportamento della proteina per capire se in futuro potrà diventare un bersaglio per nuove terapie. ____________________________________________________ La Repubblica 16 mar. ’06 SOS DIABETE È PANDEMIA L'Europa chiede prevenzione Illustrato a Vienna il rapporto della UE sulla malattia Emerge un aumento preoccupante dei casi. Ecco i rimedi di Maria Gullo Un sommerso stimato intorno al 50% e l'incremento dell'incidenza del tipo 2, detto anche dell' "adulto" in bambini e adolescenti: queste le emergenze emerse dal Report Ue 2006 sul diabete, "The diabetes policy puzzle", che ha raccolto i dati provenienti da tutti i 25 stati membri, presentati a Vienna dal ministro austriaco per la Salute e le Donne ed esperti internazionali. Voluta dall'Ue, dall'International Diabetes Federation (Idf) e dalla Federation of european Nurses in Diabetes (Fend), questa fotografia di ogni singolo Paese riprende incidenza, costi, modalità di rimborso, politiche messe in atto come Piani di cura e prevenzione. E delinea le emergenze nazionali e quelle a livello europeo. In pole position la stima che in tutta la Ue più della metà dei diabetici non sa di esserlo, il che porterebbe il numero di diabetici dai 25 milioni certi a 50- 60 milioni. "La lotta al diabete è stato uno dei nostri obiettivi primari durante il semestre di presidenza europeo", ha sottolineato il ministro austriaco Maria Rauch-Kallat, "i costi diretti del tipo 2 arrivano a 29 miliardi di euro in soli 8 Paesi; la cosa più importante per prevenirlo è creare consapevolezza, mettere la gente in contatto col problema, aumentare i controlli dove c'è familiarità; la prevenzione deve essere globale, comune a livello di coordinamento europeo e tra le varie professioni sanitarie". "Come far venire allo scoperto tutti i casi sconosciuti è il primo problema da affrontare, oltre a supportare la ricerca", sottolinea anche Michael Roden direttore del Karl-Landsteiner Institute for Endocrinoloy and Metabolism di Vienna. Ma il dato più allarmante riguarda l'incremento dell'incidenza del diabete tipo 2 tra i giovanissimi, cui contribuisce l'aumento dell'obesità. "Indicare la lotta al diabete come una priorità non è sufficiente nelle politiche europee e nazionali". Molti Paesi includono ad esempio strategie contro il diabete nei piani anti-obesità. "E' sì importante fare sforzi coordinati contro una malattia come l'obesità, ma il diabete ha bisogno di programmi specifici basati sugli studi e la sfida è a livello europeo", precisa Michaels Hall, dell'Idf-European region, "soltanto in questo modo si può pensare di bloccare quella che è il caso di chiamare, visti i numeri, un'epidemia e prevenire le complicanze dagli esiti drastici". Seguono le notevoli differenze di incidenza tra i vari Stati, un gap che va dal 3,4% dell'Irlanda al 10,2 % della Germania. "Il nostro input ai singoli stati è di utilizzare questo Report come punto di partenza per coprire le carenze nelle strategie preventive prima di tutto", spiega Anne Marie Felton del Fend, "prendere atto delle problematiche cruciali su cui ora indagare per capirne le cause e risolverli, problematiche di una patologia conosciuta dall'antichità ma che ha visto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, e rischia di vederne un altro ora nei Paesi in via di sviluppo". Il modello organizzativo finnico, che spicca per lo sforzo preventivo giocato sulla diagnosi precoce, è stato indicato come modello per tutti gli altri Paesi membri. ____________________________________________________ Le Scienze 15 mar. ’06 PICCANTE DA FAR MORIRE (LE CELLULE TUMORALI) L'azione si esplica attraverso la riduzione dei recettori per gli estrogeni La capsaicina, l’alcaloide principale responsabile della sensazione di piccante prodotta dai peperoncini, è in grado di indurre le cellule tumorali del cancro alla prostata a innescare il processo di apoptosi, ossia un particolare programma di autodistruzione presente nelle cellule. La scoperta è riportata sul numero odierno di Cancer Research, in un articolo firmato da Sören Lehmann del Cedars-Sinai Medical Center. Nel topo la capsaicina è in grado di indurre l’apoptosi di circa l’80 per cento delle cellule tumorali, e ha mostrato di avere un elevato potere anti-proliferativo anche su colture in vitro di cellule tumorali umane. Secondo Lehmann la dose somministrata ai topi corrisponderebbe, per una persona di 90 chili, a 400 milligrammi di capsaicina, a sua volta pari al consumo di tre-otto peperoncini della varietà habañera, considerati i più piccanti del mondo. Il contenuto di capsaicina può infatti variare notevolmente a seconda del singolo frutto, oltre che della varietà. Per valutare la piccantezza dei peperoncini si utilizza la “scala di Scoville”, in base alla quale un peperoncino comune ha un punteggio di 5000 unità, il peperoncino calabrese arriva alle 15.000 unità, quello di Cayenna alle 50.000 e il tipo habañera supera le 300.000. L’azione della capsaicina si esplica in primo luogo attraverso la riduzione dei recettori per gli estrogeni sulle cellule tumorali, ma agisce anche sulle cellule tumorali non ormono-dipendenti e riduce anche la produzione di PSA, la proteina antigene specifica che è utilizzata per rilevare la presenza di un cancro alla prostata attraverso un esame del sangue. ____________________________________________________ La Repubblica 16 mar. ’06 SALVARE IL DENTE (SE SI PUÒ) Terapia Obiettivo del dentista dev'essere sempre quello di salvare, finché è possibile, il dente naturale. Gli impianti sono l'indicazione terapeutica finale quando non ci sono alternative concrete. Lo ha ripetuto a Padova il congresso nazionale Sio, società scientifica con la finalità di promuovere l'implantologia orale. "L'impianto è un'eccellente risorsa medico-tecnica per risolvere casi clinici che in passato esponevano il paziente a terapie complesse, lunghe, costose e dai risultati incerti", ricorda il presidente Cecchinato. La spesa per gli impianti orali è a totale carico del paziente ma sarebbe opportuno, si è detto al Congresso, che il loro utilizzo sia previsto nei Livelli Essenziali di Assistenza del Ssn almeno nei casi in cui si sono persi tutti i denti. (a. mes.) Se la mandibola non va Chirurgia SE mascella e mandibola non crescono in armonia il problema è anche funzionale, di malocclusione, di respirazione e può essere utile intervenire con la chirurgia spostando le ossa mascellari in modo da ripristinare un corretto posizionamento nel viso. "Sono limiti scheletrici che noi non possiamo controllare in corso di crescita né compensare spostando i denti con l'ortodonzia fissa (anellini, elastico, ecc.) o mobile", spiega Giovanna Perrotti, responsabile Ortodonzia prechirurgica al Galeazzi. "Molti casi che ci arrivano sono infatti soggetti che hanno subìto i danni di tentativi ortodontici fatti anche per molti anni: ma se la situazione scheletrica è negativa, è controproducente insistere. Ci si deve fermare secondo i limiti di precisi protocolli". L'intervento è particolarmente indicato, precisa Perrotti, "quando le mandibole sono molto in avanti (terza classe), molto lunghe (progenismo) e i pazienti hanno una funzionalità masticatoria e respiratoria ridotta perché la parte della mascella connessa col naso non è sufficientemente sviluppata, la mandibola è troppo cresciuta e il sopra non combacia col sotto. Chi ha mandibole molto piccole e mascellari normoconformati o molto sporgenti (2a classe - vedi immagini) ha situazioni estetiche meno gravi ma problemi di occlusione, di postura della colonna cervicale, maggiori rischi di apnee notturne, spesso legate a posizioni troppo retruse della mandibola che impediscono un flusso respiratorio corretto durante la notte... i pazienti vanno in apnea, poi c'è il brusco risveglio... anche 80-90 volte l'ora". L'ortodonzia prechirurgica prepara all'intervento spostando i denti sulle arcate in modo ideale rispetto a mandibola e mascella, così il chirurgo quando muove le ossa trova già il punto di occlusione. Al Galeazzi il Ssn "passa" anche l'ortodonzia prechirurgica: "Molti non affrontano l'intervento perché l'ortodonzia privatamente è molto costosa", conclude l'esperta, "ma mi sono battuta perché al nostro ospedale sia un servizio a completo carico del Servizio sanitario". (a. mes. Toronto Bridge, impianti multipli Novità Si chiama "Toronto Modified Bridge". È una tecnica sempre più utilizzata nel mondo e che la clinica odontoiatrica universitaria milanese ha rivisitato e modificato trasformando una protesi rimovibile senza palato e fermata in bocca con una barra in una protesi fissa "che funziona benissimo anche dal punto di vista biomeccanico", precisa Tiziano Testori, responsabile di Implantologia e Riabilitazione orale al Galeazzi. In pazienti che hanno poco osso residuo o che per l'età, per motivi legati al seno mascellare, per patologie sistemiche controllate con terapia (diabete, ipertensione), non possono sottoporsi a terapie invasive, interventi complessi di innesto, "si creano le fondamenta nell'arcata superiore della bocca sfruttando l'osso nella sezione più frontale, a livello della premaxillo, che di solito non si riassorbe e che dà maggiore percentuale di successo di innesto. Mettiamo 6 impianti con i due posteriori inclinati a 30 gradi verso il retro della bocca (foto) in modo da avere la migliore disposizione possibile per i carichi masticatori e collochiamo 12 denti fissi". Altrettanti denti si possono sistemare nell'arcata inferiore su 4 impianti. SERVONO REGOLE SUI MATERIALI" "L'Italia è in una situazione anomala", sostiene il presidente della Commissione Scientifica Giorgio Vogel. "Tra i tanti impianti in circolazione meno di una decina hanno una certificazione validata scientificamente, gli altri si limitano al marchio CE che garantisce solo la qualità merceologica. Ancora da validare dalla ricerca scientifica la metodica operatoria, la procedura per l'applicazione e tutto quanto avviene una volta posto l'impianto. Le linee guida saranno utili soprattutto ai pazienti per garantire che quello che i medici fanno sia accettato dalla comunità scientifica internazionale e non solo un'invenzione commerciale", precisa Vogel. Ma anche uno strumento utile a operatori sanitari, amministratori e politici. (a. mes) Staminali CONCENTRATE DANNO IL MEGLIO Le Bmp (proteine morfogenetiche ossee) sono piccole molecole essenziali per costruire il tessuto osseo: "fattori normalmente presenti nell'osso, che trasformano le cellule precursori in cellule capaci di costruire il tessuto osseo accelerando il processo di differenziazione, quindi aiutando le staminali a trasformarsi in osteoblasti", spiega Massimo Del Fabbro. In previsione di impianti "sarebbe opportuno depositare nell'area dell'innesto staminali concentrate con Bmp ma i costi sono elevati: una confezione di Bmp combinate, utile per un singolo settore che comprende 2-3 denti, costa attualmente sui 5 mila euro". Il lavoro è in fase sperimentale, studi e ricerche nel mondo vanno avanti. (a. mes.) LA TERAPIA DEL SORRISO Implantologia, una pratica sempre più diffusa. Ora si cerca di "alleggerirne" l'invasività e gli effetti. In Italia arrivano le Linee guida di Annamaria Messa Quanti sacrifici per un sorriso "a tutti denti". Tra estetica ed esigenze di buona masticazione gli italiani non badano a spese e a disagi tanto da portare il nostro paese al top delle vendite con un milione di impianti orali l'anno. In buona compagnia della Svezia e a bella distanza da Usa, Francia, Germania, Inghilterra. Finora nel mondo 5 milioni di persone hanno sostituito uno o più denti persi con altrettanti impianti e la prospettiva, come rimarca Denis Cecchinato, presidente della Società italiana osteointegrazione (Sio), è di "veder raddoppiare il numero nei prossimi cinque anni in Europa occidentale, Giappone e Usa, dove a oggi 250 milioni di persone hanno perso almeno un dente e 45 milioni di loro sono potenziali pazienti per l'implantologia orale". S'impongono quindi regole comuni e al congresso nazionale Sio a Padova si è detto che le prime linee guida in odontoiatria, in particolare in implantologia, saranno scritte dal Comitato Scientifico interdisciplinare alla luce del Piano nazionale Linee Guida istituito dal ministero della Salute. Lo scenario è abbastanza disomogeneo. Sul mercato nazionale sono oltre 450 i marchi di impianti (molti più che negli Usa, in Giappone e Scandinavia) a disposizione dei circa 26 mila odontoiatri italiani (su 52 mila) che praticano implantologia con varie metodiche e procedure. Sistemi più o meno invasivi, interventi anche complicati, per esempio con prelievo di osso dall'anca, tempi lunghi, possibile necessità di ricovero, giorni di lavoro perduti, costi onerosi. Nell'attuale logica di riduzione di costi e morbilità, si persegue la soluzione di volta in volta meno invalidante per il paziente evitando maggiori costi biologici ed economici, complicanze. Nella stessa logica si muovono gli specialisti della Clinica odontoiatrica all'Università di Milano, Istituto Ortopedico Galeazzi. "La nostra scuola si è posta l'obiettivo di ridurre i tempi chirurgici di cura del paziente con tecniche semplici, una metodica di routine facilmente insegnata a tanti odontoiatri che possono quindi realizzarla rendendo accessibili a una più ampia fascia di pazienti cure spesso messe da parte perché più complicate e costose visto che il servizio sanitario non passa tutto", spiega il direttore Roberto Weinstein. La filosofia è quella di ridurre il numero degli impianti: "Ne bastano 4 per riabilitare un'intera arcata posizionandoli non più dove "ci stanno" (come si faceva prima) ma "dove servono", sfruttando con apposite tecniche l'osso che nel 95 per cento dei casi già c'è. Quindi senza aggiungerne, senza rigenerazione, con minori impianti, minori costi, minore morbilità per i pazienti", conclude Weinstein. Con il "carico immediato" (metodica messa a punto in Italia molti anni fa da Arturo Hruska ma ancora praticata da pochi dentisti), si può fissare al paziente la protesi già qualche giorno dopo aver tolto i denti e posizionato gli impianti. ____________________________________________________ Corriere della Sera 12 mar. ’06 CURE DENTISTICHE: TROPPI ITALIANI A BOCCA ASCIUTTA Soluzioni Asl e ospedali propongono prezzi calmierati Rinunce Solo il 5% di chi ha bisogno di terapie trova posto nel servizio pubblico Dal ' 99 al 2002 un milione e 600 mila italiani hanno smesso di curare i denti Odontoiatria Sempre più «lontana» per i meno abbienti S ono nati come ambulatori della Caritas per favorire la salute degli immigrati. Oggi vi bussano anche italiani, che non possono permettersi le cure odontoiatriche, nè pubbliche, perché si devono affrontare liste d' attesa troppo lunghe, nè private, perché sono troppo costose. Non è un caso, infatti, se gli italiani che una volta all' anno si recano dal dentista (dal 34 al 31 per cento) stanno progressivamente diminuendo: si calcola che dal ' 99 al 2002, nel nostro Paese, un milione e 600 mila persone abbiano smesso di curare i denti. Il dato è emerso al Congresso internazionale di odontoiatria sociale, tenutosi di recente a Roma, organizzato dalla Cooperazione odontoiatrica internazionale (Coi), dal Centro di collaborazione con l' OMS per l' odontoiatria di comunità dell' Università degli Studi di Milano e dal Centro odontoiatrico Caritas di Roma. «Obiettivo dell' incontro - spiega Laura Strohmenger, responsabile della Scuola di specializzazione in odontoiatria dell' Università di Milano - era sollecitare le istituzioni a dedicare maggiori risorse alla salute della bocca. Purtroppo, nessun governo si è mai occupato a fondo di questa branca della medicina, per quantificare l' offerta e l' effettiva necessità da parte dei cittadini. Oggi, solo il 5% di chi ha bisogno di cure dentistiche accede ai servizi pubblici; gli altri, se possono, vanno dal dentista privato». Le fa eco la dottoressa Patrizia di Caccamo, del Coi: «La domanda di cure odontoiatriche è aumentata fra i più deboli, ovvero fra gli anziani e gli immigrati che, in numero sempre maggiore, si rivolgono al volontariato, per le difficoltà di accesso al Servizio pubblico». Anche l' Associazione nazionale dentisti italiani (Andi) che riunisce 19mila iscritti su 50mila professionisti, consapevole di questa situazione, già da anni sollecita le autorità a prendere provvedimenti, «anche perché - dicono all' Andi - si rischia di perdere i vantaggi conseguiti in termini di salute orale, in linea con altri Paesi europei». A poco è servita, in effetti, la «riorganizzazione» del servizio odontoiatrico pubblico con la definizione dei Livelli essenziali di assistenza: il governo ha fissato le prestazioni da garantire alle categorie più deboli della popolazione, lasciando però alle Regioni il compito di definire i criteri di accessibilità. Così, anche in questo campo, si sono create diversità: sui limiti di età per le cure gratuite, ad esempio, o sul grado di disabilità che dà diritto ai trattamenti, o ancora sulla richiesta di ticket. E, a fronte di Regioni che offrono soltanto le cure di base, ce ne sono altre che garantiscono maggior sostegno agli assistiti. Ad esempio, la Liguria ha stanziato di recente 900mila euro per fornire protesi dentarie agli ultrasessantacinquenni con un reddito tra 8 e 18 mila euro (con possibilità anche di ottenere la prestazione nel privato). E la Toscana, oltre alle dentiere gratuite agli anziani (1000 nel 2005), prevede interventi di prevenzione per tutti gli scolari fino a 8 anni. Edoardo Stucchi Per soddisfare la richiesta di cure ai denti si sperimentano anche nuove formule. Per esempio, alcune strutture pubbliche, oltre a soddisfare quanto previsto dal Servizio sanitario, offrono ulteriori cure a pagamento, ma a prezzo calmierato (circa la metà di quello medio di mercato). È il caso della Azienda sanitaria di Vimercate (Milano) che ha avviato un programma di assistenza con 70 "poltrone" negli ambulatori del territorio. Anche l' ospedale milanese di Niguarda offre cure a prezzi controllati e in tempi solleciti.