RICERCA, ITALIA MAGLIA NERA - CHI HA PAURA DEL FUTURO - AMBIARE L'UNIVERSITÀ PER RECUPERARE CERVELLI - ATENEI, TORNA IL CONCORSO UNICO - UNA GENERAZIONE PRECARIA - UN ITER PER OGNI PROFESSIONE - VERIFICHE CONTINUE SUI CRITERI DEGLI SCONTI - SARDEGNA 30 MILIONI DI EURO ALLE PMI - ITALIA FERMA SULL’INFORMATICA BOOM SOLO DI GIOCHI E CELLULARI - CNR: POCHI RICERCATORI, MOLTA BUROCRAZIA – COSI IL CNR CI UMILIA - I BIOTECNOLOGI: SUGLI OGM RICERCA BLOCCATA - ICT:IL SUD FA DA TRAINO ALLA RICERCA - ECCO COME TRUFFANO GLI STUDENTI - AGLI UNIVERSITARI PIACE FISSO NO A STAGE E CONTRATTINI - GLI ITALIANI SCOPRONO A NASSYRIA BIBLIOTECA SUMERA - ERASMUS ALLARGA L'EUROPA: BORSE DI STUDIO ANCHE ALL'EST - ======================================================= LA SPESA SANITARIA MINACCIA PER I POLI - AZIENDA MISTA, SI PARTE NEL 2007 - L’UDEUR: TROPPI DIRETTORI ASL SENZA TITOLI - ASL8: IL MONDO DELLA SANITÀ IN RIVOLTA - LA PRIMA PIETRA DEL SAN RAFFAELE SARDO - NUORO: TERZO POLO, SI COMINCIA CON ONCOLOGIA - TONINI: LA SCIENZA NON PUÒ MAI USARE L'UOMO COME STRUMENTO - NUOVA CORAZZA PER IL SENO - CELLULE STAMINALI IN ORBITA OBIETTIVO: RIGENERARE LE OSSA - DA PALERMO BREVETTO PER LA CELIACHIA - BASTA UNA GOCCIA DI SANGUE PER SCOPRIRE TUTTE LE ALLERGIE - RITORNA LA TUBERCOLOSI, ALLO STUDIO NUOVI VACCINI - RIMEDI NATURALI, L’ISOLA CHIAMA L’INDIA - INFARTO, ORA SONO LE DONNE A MORIRE DI PIÙ - SANITÀ, SÌ AI TAGLI DELLE LISTE D’ATTESA - BROTZU: DIECI MESI IN LISTA D'ATTESA PER I PICCOLI DEBOLI DI CUORE - DALLA GASTRITE L’ARMA ANTI-ALLERGIE - NUOVI ORDINI PER PROFESSIONISTI SANITARI - NANOPARTICELLE DI ORO PER COLPIRE I TUMORI - ======================================================= _______________________________________________ ItaliaOggi 26 mar. 06 RICERCA, ITALIA MAGLIA NERA Meno della Slovenia e della Repubblica Ceca. E davanti di un soffio all’Estonia. La spesa messa sul piatto per la ricerca e lo sviluppo vede j l'Italia occupare una posizione certo non sfavillante della classifica, dell’UE a 25. Il paese occupa, infatti, la 15a posizione della graduatoria, con f1,14% di investimenti sul pil. Un dato che fa riflettere, soprattutto alla luce degli stati che lo tallonano. Di sicuro ben lontani dall’essere considerati tra gli stati più industrializzati del Vecchio continente. Dietro l'Italia figurano Spagna (1,07), Estonia (0,91), Ungheria (0,89), Portogallo (0,78), Lituania (0,76), Grecia e Polonia (0,58), Slovacchia (0,53), Cipro (0,37) e Malta (0,273). È quanto emerge dal documento sulle conclusione della presidenza dell’Unione europea presentato nel corso del meeting di primavera di Bruxelles. La classifica (fonte Eurostat) è allegata alle valutazione del documento che pone, come primo punto della strategia comune, il rilancio forte dell’agenda di Lisbona. Stimando, per la prima volta, che gli-obiettivi per la crescita e l'occupazione, in maniera coerente con la strategia per lo sviluppo sostenibile, possono essere effettivamente raggiunti entro i12010.' L'Italia, tuttavia, fanalino di coda tra i paesi europei più sviluppati, appare senza dubbio in affanno. II sorpasso subito per quanto riguarda gli investimenti sulla ricerca brucia: la Repubblica Ceca stanzia, per esempio, f1,2$%f del pil, per non parlare del 3,74% della Svezia, del 3,51% della Finlandia, del 2,49% della Germania, del 2,16% della Francia o '~ delf1,78% del Lussemburgo. E non fa riflettere soltanto il fatto che i dati presentanti dal Belpaese all’Eurostat non sono stati nemmeno aggiornati al 2004 ma risalgono al 2003. Anche per quanto riguarda gli obiettivi da conseguire nel 2010, infatti, l’Ue sprona l'Italia un riallineamento che non sembra da poco, visto che la percentuale di spesa finale al2,5% si tradurrà nell'impegno di un raddoppio degli investimenti . Impresa non facile. _____________________________________________ Il Sole24Ore 1 Apr.‘06 CHI HA PAURA DEL FUTURO Grattate sotto la superficie di questa cupa stagione elettorale, tutta rivolta dl passato, e scoprirete la paura del futuro. È la paura che, da noi, fa parlare di tasse da mettere, da togliere e da ritorcere, o di bonus da dare e da levare. Come se la questione chiave, in un momento cruciale come l'attuale, fosse la redistribu2ione del reddito a vantaggio di questa o quella categoria, trovando escamotage sempre nuovi per promettere a tutti e non far dispetto a nessuno. Per reagire bisogna guardare avanti, e immaginare il futuro possibile. Un futuro da scegliere e volere proprio per non temerlo. Il primo passo nel futuro da costruire porta l'Italia a essere presente e attiva, cor la sua specificità, nella società globale della conoscenza. L'economia italiana ha già usato intensamente i: capitale sociale dei sistemi locali. trasformando tradizione e legami in fattori produttivi. È su questa premessa che sono cresciuti distretti industriali e impresa diffusa. Ma oggi l'integrazione tra economia e società non può più realizzarsi solo a livello locale, perché produttori e consumatori vivono ormai nella rete globale del sapere, innervata dalle nuove tecnologie che rendono permeabile il confine tra un Paese e l’altro, tra un'impresa e l'altra. Perciò bisogna avere accesso alle grandi reti e padroneggiare i linguaggi formali de11; scienza, dell'ingegneria, dell'informatica, del management e del diritto. Ossia occorre elevare il livello d istruzione del lavoro, allargare l’orizzonte degli imprenditori e dissemina re i nostri sistemi produttivi di perso ne che fanno ricerca e sperimentano il nuovo, interagendo con i gangli mondiali delle conoscenze. Non è in optional. È una necessità, se voglia mo avere qualcosa da dire e da vendere nel mondo che sta facendo posto a cinesi, indiani, russi, rumeni c a tanti altri che stanno imparando rapidamente a fare le cose che no abbiamo fabbricato finora. Il secondo passo porta verso l'economia dell'immateriale, in cui si producono e vendono prima di tutto idee. Non che lai materialità non conti: oggetti fisici, luoghi, persone in carne e ossa rimangono centrali, ma il loro valore economico è sempre più legato alla dualità, alla novità, a: significati, al design, al servizio, alle esperienze a essi associabili. Di conseguenza, le imprese devono sempre più investire in capitale intellettuale (competenze), in capitale relazionale (reti) e in creatività, per avere una marcia in più dei concorrenti low cost. II sistema manifatturiero come il nostro, cresciuto nei distretti moltiplicando capannoni a macchia d'olio, deve diventare industria intelligente. Popolando un mondo in cui si conta per quello che si sa e si sa fare. Non per quello che si fabbrica direttamente. E una transizione dura che non può essere affrontata in ordine sparso. Serve un esercizio di immaginazione collettiva e di condivisione progettuale. C'è un terzo passaggio da presidiare: l'investimento e il rischio. Nel fordismo, le grandi tecnostrutture erano delegate a gestire per tutti i grandi investimenti e i rischi connessi alla modernizzazione. A lavoratori, fornitori e cittadini si chiedeva di aderire alle esigenze programmate ed espresse dalle grandi imprese e dallo Stato. Oggi le grandi strutture preferiscono mantenersi snelle. Di conseguenza i rischi degli investimenti scivolano, inevitabilmente, sulle spalle degli altri soggetti. Non ci sono rimedi facili a questo fenomeno che genera ansia. In un mondo incerto è illusorio chiedere a una controparte di esentarti dal rischio, sulla base di un decreto 0 di un accordo contrattuale. Bisogna riconoscere che il rischio diffuso 'e una realtà da affrontare. Non da soli. Si tratta di creare le istituzioni e i patti sociali necessari per dare alle persone gli strumenti adatti a condividere il rischio che sentono sulle loro spalle. Serve una piccola-grande rivoluzione, non solo creando meccanismi di inclusione e sostegno, ma anche aumentando l'intelligenza e l'autonomia di chi deve assumere rischi che in precedenza pensava di non dover sopportare. L'ultimo, ma non meno importante, passaggio è costituito da welfare e cittadinanza nuovi. L'universalisme delle regole astratte e dei diritti generali fatica ad adattarsi a una società che si avvia a diventare sempre più multiculturale é polivalente, dove prevalgono appartenenze multiple e schemi di comportamento fluidi, non prevedibili. Un maggior ricorso all'auto organizzazione comunitaria è inevitabile, ma bisogna mantenere aperte le comunità, in modo che le persone possano entrarne e uscirne senza barriere. Serve uno Stato basato sulla doppia cittadinanza, su persone che possano creare reti comunitarie e personali e che possano anche, ogni volta che lo vogliano, far ricorso a regole e diritti universali, in modo da non rimanere prigionieri di club ristretti, destinati a frammentare la società generale. Quattro traguardi difficili, ma non irraggiungibili, superando la tattica del giorno per giorno. Il saggio dice: non c'è mai vento a favore per il marinaio che non sa qual è il suo porto. ENZO RULLANI enzo@rullani.com DI ENZO RULLANI _____________________________________________ Il Sole24Ore 1 Apr.‘06 CAMBIARE L'UNIVERSITÀ PER RECUPERARE CERVELLI INTERVISTA / RICCARDO DE SALVO Riccardo De Salvo si è laureato in fisica alla Nonnale di Pisa ma lavora all'estero da 15 anni Da nove è al Caltech, il politecnico californiano in eterna competizione con il rivale della East Coast, il Massachusetts Institute of Technology. De Salvo non ha affatto perso d'occhio la società italiana e il nostro mondo universitario e industriale. E neppure la politica. Anzi: due giorni fa ha votato, per posta, anche se non dice per chi. Però, stando alle «promesse non mantenute» dall'ultima legislatura e ai programmi dei due schieramenti, il fisico toscano, 42 anni, ha poche speranze che in Italia cambi qualcosa. Non ha sentito nessuno dire a chiare lettere che al nostro sistema universitario e accademico manca una cosa: la meritocrazia. Cosa chiede ai due schieramenti politici per dare un futuro alla ricerca italiana? Prima di tutto temo di dover usare il condizionale. Ho delle speranze e credo che sperare in un cambiamento positivo sia un dovere. Ma non ho sentito discutere di questi temi come penso sarebbe stato necessario. La premessa è che il mondo della ricerca italiano ha bisogno di una rivoluzione. Ma le rivoluzioni non si fanno con le maggioranze risicate. Se davvero, come dicono i sondaggi che ho visto in questi giorni, lo scarto tra i due schieramenti dovesse essere di pochi punti percentuali, nessuno dei due poli avrà la forza e il coraggio per fare riforme drastiche, rivoluzionarie. Lavoriamo per ipotesi: a una maggioranza che avesse i numeri necessari in Parlamento cosa chiederebbe? Due cose. La prima è una riforma in senso davvero meritocratico del mondo accademico. Non solo scientifico, naturalmente. In Italia chi nasce con un cervello particolarmente brillante non soltanto non è incentivato a restare, ma è ostacolato se, una volta "fuggito", desidera rientrare. Queste storture vanno per forza corrette con nuove leggi e regolamenti. Quali sono i problemi di cui parla? Voglio essere chiaro, anche se in Italia qualcuno reagirebbe con grande sdegno alle mie parole, accusandomi magari di essere poco democratico: i cervelli brillanti sono pochi e non sono distribuiti in modo democratico, per l’appunto. In una classe di laureandi i professori devono avere la possibilità (in America è un dovere) di individuare i più brillanti e offrire loro un posto, e magari anche uno stipendio allettante. Altrimenti questi cervelli fuggiranno all'estero. Se poi, per le ragioni più svariate, chi ha lasciato l'Italia desidera rientrare, gli devono essere fatti ponti d'oro. In Germania si arriva a offrire 12-13 anni di anzianità a chi è stato 10 anni fuori. In Italia succede il contrario: se io decidessi di tornare, e qualche anno fa ci ho pensato molto seriamente, l'anzianità di carriera accumulata qui in California o al Certi di Ginevra, dove ho passato alcuni anni, non varrebbe. Anche queste sono storture che vanno corrette dal Legislatore. Ma non ho sentito nulla in proposito nei programmi dei due poli. La seconda cosa che chiederebbe? Riguarda le piccole e medie imprese italiane, con cui noi a Caltech lavoriamo molto. Non perché io sono italiano, ma perché sono efficienti, creative, collaborative. Solo che, proprio perché sono piccole, se gli arriva una nostra commessa devono assumere personale a termine. Se verrà ]oro impedito di farlo, dovranno, ad esempio, provare a far lavorare gli addetti che hanno di notte, pagando loro straordinari. Cosi ci offriranno il lavoro a costi troppo alti e noi saremo costretti a scegliete qualcun altro, quasi sicuramente non italiano. I meccanismi di gara inoltre sono talmente rigidi che a volte il migliore non può vincere solo perché il prezzo che ha offerto è di pochi euro superiore a quello di un'azienda concorrente. Anche in America si utilizzano le gare, ma il capo del progetto viene interpellato e può "influenzare" la scelta, spiegando le sue ragioni. Ci fa un esempio di azienda italiana con cui lavora? Tra pochi giorni verrò a Lucca, dove la Galli e Morelli, un'impresa con 30 dipendenti, ci sta costruendo un prototipo per un osservatorio. Per ora è una commessa che vale 3-4mila euro. Ma se tutto andrà bene, la cifra salirà a 15-20 milioni di euro. Caltech avrà la sua fornitura ad hoc e la Galli e Morelli una commessa che può incidere significativamente sul suo fatturato. Non solo: lavorare a stretto contatto con un politecnico permette a un'azienda di aumentare il suo know how e utilizzarlo per altri progetti, altre università. GIULIA CRIVELLI Le persone più brillanti non sono incentivate a restare e tantomeno a tornare Hi-tech, i Poli non parlano di futuro _____________________________________________ Il Sole24Ore 24 Mar. ‘06 ATENEI, TORNA IL CONCORSO UNICO Completato il riordino per il reclutamento dei docenti Esami nazionali di idoneità - Dal 2013 ricercatori a tempo determinato Il ministero bandirà annualmente le prove per settori disciplinari ROMA Dal consiglio dei ministri arriva il via libera definitivo ai nuovi concorsi universitari. Ieri Palazzo Chigi ha dato infatti L'ok finale al decreto legislativo che introduce la prova di selezione nazionale per il reclutamento dei professori e sancisce l'abbandono del sistema di concorsi locali. In questo modo il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, porta a compimento la delega attribuita al Governo dalla legge 230/O5 - che riforma le carriere dei professori - e conclude un iter segnato dalle durissime polemiche di opposizione e di gran parte del mondo accademico, culminate nei tafferugli scoppiati in piazza Montecitorio lo scorso 25 ottobre, data della definitiva approvazione del Ddl di riforma da parte della Camera. Una riforma che, oltre ai nuovi concorsi, introduce anche - a partire dal 2013 - la contestata figura del ricercatore a tempo determinato. «Questo decreto - ha detto Moratti - introduce elementi di trasparenza, rigore e merito ed evita il ripetersi di fenomeni di localismo e baronie. Il testo è frutto di un percorso comune di confronto con i rettori della Crui e con il Cun, il Consiglio universitario nazionale». Concorsi rinnovati. Gli aspiranti docenti dovranno superare una prova di selezione nazionale e la valutazione non sarà limitata al curriculum didattico e scientifico, ma giudicherà anche i progetti innovativi e i brevetti messi a punto dai candidati. II nuovo reclutamento prevede un'idoneità nazionale per r docenti ordinari e associati, attribuita a seguito di una valutazione affidata a commissioni nazionali, formate attraverso un metodo misto di sorteggio ed elezione. l- 'idoneità cosi conseguita dura quattro anni e rappresenta il necessario requisito per la chiamata dei professori da parte delle università. In ogni caso, spiega il ministero, l'idoneità non comporta automaticamente il diritto di accesso ad ruolo della docenza. Sarà il Miur a bandire -- con un decreto da pubblicare in Gazzetta Ufficiale entro i130 giugno di ogni anno - i concorsi per ciascun settore scientifico-disciplinare e per le due fasce di ordinari e associati, per un numero di idoneità pari al numero di posti richiesti dagli atenei, che potrà essere aumentato fino a un massimo del 40 per cento. Proprio alle università verrà affidato il compito di comunicare al ministero entro il 31 marzo di ogni anno il numero di professori di cui hanno bisogno. Ma, anche in assenza di richieste da parte degli atenei, dovrà comunque essere bandito ogni 5 anni un posto per ogni fascia e ogni settore disciplinare. I risultati dei giudizi di idoneità dovranno essere verificati dal Cun, approvati dal ministro e pubblicizzati per via telematica. I membri delle commissioni saranno sorteggiati da liste nazionali di commissari eletti dai docenti. Le sedi in cui svolgere le prove di selezione saranno anch'esse sorteggiate da un elenco di atenei, definito dal Miur su proposta della Crui e aggiornato ogni tre anni. Nei concorsi per ordinari è prevista una riserva di posti, pari al 25% delle richieste degli atenei più la quota di incremento, per gli associati con un'anzianità di servizio di almeno 15 anni, compresa l'attività svolta come associato non confermato. Inoltre, nelle prime due tornate di idoneità per ordinari e nelle prime quattro per gli associati, l'incremento sul fabbisogno delle università sarà pari al 100%, mentre a regime si scenderà al 40 per cento. Nelle prime quattro tornate di selezioni per gli associati, infime, è prevista una riserva del 15% sulla quota di incremento del 100% per ricercatori e assistenti e un ulteriore 1 % di posti riservati ai tecnici laureati. Le reazioni. «Questa non è una riforma, ma un passo indietro, perché si torna al vecchio sistema più burocratico e meno meritocratico» ha detto Luciano Modica (Ds), che teme «un blocco» del reclutamento, perché «sarà difficilissimo assumere». Per Giuseppe Valditara (An), invece, si tratta di «un passo avanti importante, perché si potranno selezionare i docenti in modo più meritocratico e meno clientelare». ALESSIA TRIPODI UN CAMMINO TORMENTATO Gennaio 2004. II Ddl di riordino dello status dei docenti universitari ottiene il via libera dal Consiglio dei ministri. II testo passa all'esame del Parlamento tra le polemiche dei rettori e dell'opposizione. Docenti e ricercatori delle università italiane scendono in piazza per chiedere il ritiro del Ddl: il punto più contestato è l'ipotesi della messa a esaurimento del ruolo di ricercatore e l'introduzione di contratti a tempo determinato per chi fa ricerca Dicembre 2004. L'iter del Ddl subisce una battuta d'arresto e l'approdo alla Camera viene rimandato al febbraio 2005 Giugno 2005. Dopo il via libera della Camera, il testo passa al Senato. Qui il Governo presenta un maximendamento sostitutivo del testo e pone la fiducia. II 29 settembre 2005 arriva l'ok di Palazzo Madama Ottobre 2005. Docenti, ricercatori e studenti bloccano per una settimana tutte le attività per spiegare le ragioni del loro «no» alla riforma voluta dal Governo. II 25 ottobre 2005, superata la verifica di costituzionalità, il Ddl ottiene la definitiva approvazione da parte della Camera. AI momento del voto l'opposizione abbandona l'Aula, mentre Piazza Montecitorio è teatro della protesta _____________________________________________ il manifesto 26-03-2006 UNA GENERAZIONE PRECARIA Fin quando in Italia ci sarà qualcuno che pensa che «le università formano la futura classe dirigente» (Maurizio Zipponi, Liberazione 24 marzo), che gli studenti si stanno «formando» e cosa diversa è il mondo del lavoro, che la questione del sapere e della «produzione a mezzo di linguaggio» è problema di piccole elite, il marzo francese è un fenomeno inafferrabile. Abbiamo partecipato lo scorso autunno alle mobilitazioni e alle occupazioni di alcune università italiane. Invano, sicuramente no, ma l'esperienza francese in primo piano ci invita ad una rilettura critica di quanto fatto negli anni e nei mesi passati. In questi giorni, il leit motiv della sinistra italiana è che gli studenti francesi hanno capito che cos'è la precarietà: «i nostri giovani sono bravi, qualche lotta la fanno pure, nulla che ambisce e determina generalizzazione». È vero, le straordinarie lotte studentesche dell'autunno non sono riuscite a generalizzare il conflitto, tantomeno a comporre soggetti sociali differenti. Ma la domanda da farsi è questa: la colpa è tutta degli studenti? Il movimento italiano dell'autunno - oscurato da tutti i media mainstream, se non quando in 150.0(10 ha raggiunto e assediato il parlamenta - è nato attorno ad una rivendicazione tutt'altro che specifica: l'introduzione massiccia della precarietà nella ricerca attraverso il decreto legge di Letizia Moratti. L'altra questione, quasi assente nel movimento francese, quella dei saperi, della loro qualità, l'idea cioè di una conoscenza ricca, né parcellizzata, né iperspecialistica, tantomeno ridotta al ricatto dell'obsolescenza. II tema, in questo caso, le riforme indecorose e provincialotte del centro-sinistra quando era al governo. Il problema italiano, però, tornando all'affermazione iniziale, è proprio questo. Non c'è più alcuna università pubblica - se non alcuni poli d'eccellenza che, come ci dimostra Il sole 24ore, dove è all'opera l'alleanza tra Ds e Confindustria - che «forma la futura classe dirigente». Il sapere e la formazione sono già laboratorio produttivo, perchè la produzione, meglio i suoi settori strategici e centrali, é produzione a mezzo di linguaggio, relazione tecno-comunicativa, affetti. Per i1 sindacato e buona parte della sinistra italiana gli studenti studiano, i lavoratori lavorano. Chi si forma non lavora, chi lavora non si forma. La sindrome lavorista non smette quindi di ammalare di miopia il sindacato italico. E allora poco vaie se gli studenti occupano, dopo anni di silenzio, buona parte delle università della penisola e attraversano le piazze di Roma come un fiume in piena. Per le imprese il lavoro è un costo, non una risorsa; per le imprese e la sinistra, poi, la formazione e il sapere sono una spesa, non un investimento. 11 modello italiano vanta quindi due caratteristiche che ne definiscono la recessione e la debolezza: compressione dei salari, scarsità di ricerca e innovazione. Non c'è da stupirsi se le battaglie degli studenti faticano a produrre elementi di generalizzazione, In Francia abbiamo visto lavoratori dei trasporti o del pubblico impiego gremire le piazze oceaniche convocate dagli studenti; sindacati e organizzazioni studentesche definire agenda di lotta comune. E’ evidente che il problema italiano non può essere ridotto a «questione verticale», piuttosto una diffusa e orizzontale incapacità di connessione e di solidarietà segnano il passo. Eppure il Gpe sembra una «medicina dolce» se messa in rapporto con quella attenta opera, trasversale agli schieramenti, di devastazione delle garanzie sociali e di precarizzazione del lavoro. Basti pensare al pacchetto Treu prima, alla legge Biagi oggi. Mescolate alla riforma universitaria, prima Berlinguer Zecchino, poi Maratti, il frutto amaro è uno scenario desolante, un deserto senz'acqua e privo di prospettive per la composizione giovanile, ma non solo, del lavoro. I giovani, infatti, sono il campo di sfondamento per ingegnerie riformistiche, di li in poi tutto il mercato del lavoro è precarizzabile. Questo vale sia in termini di comando che in termini di conflitto. La cosa in Francia sembra chiara, in Italia no. In termini generali questa ci sembra la differenza più rilevante. Eppure ci chiediamo se ha ancora senso fare riferimento ai contesti nazionali. Ci chiediamo se piuttosto una vittoria francese non possa essere un volano di nuove lotte europee. Se non sia piuttosto la «generazione europrecaria» a stabilire, il filo che lega l'autunno italiano all'esplosione del marzo francese. Comune la condizione di precarietà che stringe la vita di milioni di giovani in tutta Europa, comune la possibilità di rovesciare le cose. I temi aperti saranno terreno di inchiesta, dalla Francia di marzo alle facoltà italiane. Intanto i128 una nuova carovana di studenti italiani raggiungerà Parigi, mentre nelle facoltà di Scienze politiche de La Sapienza e di Padova, in contemporanea con lo sciopero generale, gli studenti e i ricercatori precari italiani incontreranno studenti delle facoltà in rivolta parigine. Appuntamento quindi martedi a Roma, presso la Facoltà di Scienze politiche alle 15 e, lo stesso giorno, a Padova, presso sempre la facoltà di Scienze politiche alle ore 16. _____________________________________________ Il Sole24Ore 27 Mar. ‘06 UN ITER PER OGNI PROFESSIONE I commercialisti: serve una convenzione nazionale sono le professioni dell'area economico contabile quelle più «lanciate» sulla strada delle convenzioni con gli atenei per il riconoscimento agevolato dei crediti. L'obiettivo. Le convenzioni riguardano per lo più quelle professionalità per le quali il titolo di laurea non rappresenta da sempre un requisito necessario per l’iscrizione nell'Albo. L'obiettivo di fondo degli accordi, infatti, è di facilitare il percorso universitario, velocizzandolo, per quanti hanno già conseguito l’abilitazione ed esercitano l'attività, ma vogliono veder crescere la propria professionalità grazie al titolo di studio. Per i ragionieri commercialisti è rimessa alla discrezionalità dei Collegi provinciali la possibilità di stringere patti con le facoltà di economia dei vari poli di tutta Italia. È questa l'indicazione che viene dal Consiglio nazionale, dove fanno sapere che «oggi per l'esercizio della professione il titolo di laurea è obbligatorio, ma ciò che conta resta la competenza dimostrata da chi supera con esito positivo l'esame di Stato». Presso la categoria dei dottori commercialisti - nel cui ambita la laurea è da sempre requisito imprescindibile - non si è affermata la prassi di questo tipo di accordi. A proposito, Giorgio Sganga, consigliere nazionale dell'Ordine, auspica la previsione di «convenzioni quadro fra il ministero dell'Università e i Consigli nazionali al fine di evitare la corsa degli atenei ad accaparrarsi nuovi studenti e dei professionisti a guadagnare bonus». Per i consulenti del lavoro che invece intendano conseguire la laurea di primo livello in scienze giuridiche o dell'economia, }e chance non mancano. «Tuttavia - afferma Marina Calderone, presidente dell'Ordine dei consulenti del lavoro - una commissione ad hoc del Consiglio Nazionale è stata incaricata di razionalizzare i numerosi protocolli d'intesa firmati a livello periferico. Un esempio "pilota" potrebbero essere le tre convenzioni, valide per tutti i nostri 22mila iscritti, attivate con le università di Campobasso, la San Pio V di Roma e la Marconi, telematica» Sconti e crediti. I,'esigenza di uniformità nasce per "regolare" la libertà che gli atenei utilizzano nel concedere gli "sconti" all'iter accademico, in base a presupposti differenti. Allo stesso modo la valutazione ad personam del background del professionista segue criteri differenti a seconda delle università e delle sedi (lo stesso meccanismo della valutazione, tra l'altro, è stato adottato da alcune facoltà anche per chi fa parte dell'Ordine dei giornalisti). «Talvolta l’università chiede di provare una certa anzianità di iscrizione all'Albo - continua Calderone -. Inoltre, se la maggior parte degli atenei riconosce dai 60 ai 70 ~ crediti, considerando l'eventuale appartenenza a un altro elenco professionale o l’aver sostenuto esami nell'ambito di un ciclo di studi, è altrettanto vero che alcuni esagerano arrivando addirittura al doppio». A seguito del Dpr 328/2001 che ha riordinato l'accesso alle professioni, i Callegi provinciali dei geometri hanno sottoscritto convenzioni con molte università (da Trieste a Urbino e Messina) per la promozione di corsi formativi per coloro che, già iscritti all'Albo, vogliano conseguire lauree triennali specifiche. In ogni caso, dopo il vaglio di ogni singolo curriculum, le università di norma si limitano a riconoscere non più di 20-25 dei 180 crediti che servono per arrivare alla laurea. Una valutazione, peraltro, che segue criteri precisi, e che non concede crediti a chi non possa vantare esperienze professionali, di formazione e di studio certificate, CHIARA CONTI ____________________________________________ Il Sole24Ore 27 Mar. ‘06 VERIFICHE CONTINUE SUI CRITERI DEGLI SCONTI Supplemento di diploma potrebbe dare trasparenza al percorso versa il titolo Il rischio è dietro l'angolo. Il riconoscimento dei crediti formativi, portato alle I estreme conseguenze, «può costituire il suicidio dell'università». Per Guido Fiegna, dirigente del Politecnico di Torino e membro del Comitato nazionale di valutazione del 8istema universitario, il meccanismo delle convenzioni con ordini, associazioni ed enti non deve costituire una strada in discesa «altrimenti gli atenei diplomeranno tanti dottori, ma pochi acculturatio. E per evitare il circolo vizioso la soluzione esiste,secondo Fiegna: ben venga 1a norma che da il via libera alla stipula delle convenzioni, ma si faccia spazio anche alle verifiche per, sondare se effettivamente l'esperienza acquisita lavorando vale il riconoscimento di un esame o di qualche credito. «Non dobbiamo dimenticare - continua Fiegna - che l'università ha fondamentalmente due compiti: da una parte quello di trasmettere competenze, dall'altra di riconoscere, attraverso le prove d'esame, i meriti. II meccanismo delle convenzioni diventa fortemente critico se vengono stipulate intese con strutture non universitarie. Dirò di più: il rischio è quello di imboccare una via suicida, una delegittimazione degli atenei stessi, che devono, invece, caratterizzarsi come luoghi in cui si svolge fondamentalmente attività didattica e ricerca. Gli atenei che non mettono in pratica questo si limitano a fare attività notarile». Non è un mistero inoltre che in altri Paesi, soprattutto quelli anglosassoni, la linea di demarcazione sia molto chiara: chi offre sconti eccessivi per il conseguimento del diploma rischia di accollarsi in modo indelebile l'appellativo di diplomificio o dottorificio. E solo le strutture che sviluppano ricerca e conoscenza possono vantare la ben più nobile definizione di università. In Italia fissa i paletti il decreto ministeriale n. 509 del 1999, poi modificato dal decreto ministeriale 270 del 22 ottobre 2004. I due decreti, all'articolo 5, introducono il sistema dei crediti formativi universitari, mentre il riconoscimento dei credito per l'attività lavorativa è consentito dal comma 7. «II decreto a mio avviso è impostato correttamente - continua Fiegna -: sta alle singole università impostare percorsi formativi seri e non meccanismi di business. È sufficiente digitare su qualsiasi motore di ricerca i termini "erediti formativi" e "università" per vedere aprirsi un mondo di offerte speciali a costi elevatissimi. Ora, io non sono per un mondo prescrittivo: il concetto della norma è giusto ma non va utilizzato malamente e superficialmente. Per questo motivo è urgente arrivare al cosiddetto "supplemento di diploma", che ha la funzione di dare trasparenza ai titoli: se il credito è stato concesso bisogna specificare come è stato acquisito e da chi è stato verificato. con tanto di nome di docente e università», O.GAIM. _____________________________________________ Italia Oggi 27 Mar. ‘06 SARDEGNA 30 MILIONI DI EURO ALLE PMI Fondi per ricerca, internazionalizzazione e sviluppo turistico DI ROBERTO LENZI Ammonta a oltre 30 milioni di euro lo stanziamento comunitario complessivo per il finanziamento di progetti di ricerca, internazionalizzazione delle pmi e sviluppo del sistema turistico. Approvate le direttive di attuazione dei tre interventi, si attende adesso l'emanazione dei bandi per poter presentare domanda. Il bando sulla ricerca funzionerà a sportello fino all'esaurimento del fondo di 15 milioni di euro, mentre i bandi per internazionalizzazione e turismo, rispettivamente dotati di 2,3 milioni e 13 milioni di euro, prevedono la redazione di una graduatoria. RICERCA INDUSTRIALE Gli strumenti di incentivazione sono finalizzati a promuovere la realizzazione di studi di fattibilità tecnica propedeutici alla realizzazione di Progetti di ricerca e sviluppo tecnologico relativi ad attività di ricerca industriale o ad attività di sviluppo precompetitivo, sostenere la realizzazione di Progetti di ricerca e sviluppo tecnologico da parte delle imprese che operano in Sardegna e in cooperazione con centri di ricerca, università, laboratori tecnologici e promuovere l'acquisizione di servizi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico da parte delle imprese che operano in Sardegna. Beneficiari Potranno presentare proposte per accedere agli aiuti previsti le piccole e medie imprese (pmi), centri di ricerca con personalità giuridica autonoma promossi da pini, consorzi, società consortili, purché con partecipazione finanziaria superiore al 50% di soggetti ricompresi in una o più delle precedenti, associazioni temporanee di imprese (pmi). I beneficiari devono appartenere alla sezione C «estrazione di minerali», sezione D «attività manifatturiere» o sezione K della classificazione Istat 2002. Contributi I contributi varieranno dal 35 al 75% della spesa ammessa, in Equivalente sovvenzione lorda (Esl), e non potranno superare l'importo massimo di 250 mila euro. L'istruttoria valuterà la qualità della proposta progettuale, se la proposta sia riferita a progetti in settori strategici per l'economia regionale, la tipologia di progetto ritenuta prioritaria, l'inserimento nell'ambito di un progetto integrato. I fondi provengono dalla misura 3.13 del Por 2000/06. INTERNAZIONALIZZPLZIONE L'obiettivo è sostenere la partecipazione delle imprese a iniziative comuni all'estero in forma aggregata. Sarà finanziata la partecipazione di imprese appartenenti allo stesso comparto/settore produttivo o integrate verticalmente in percorsi di internazionalizzazione da sviluppare nell'ambito di programmi annuali presentati dalle stesse imprese partecipanti o dalle associazioni di rappresentanza imprenditoriale. Sono ammessi al beneficio esclusivamente i programmi presentati da organismi consortili o da aggregazioni di imprese, aventi le caratteristiche di mero, piccole e medie imprese. Le imprese sono ammesse al beneficio se operanti nel settore estrattivo, manifatturiero, delle costruzioni e nel settore dell'informatica e della ricerca e sviluppo. Sono ammissibili i progetti comprendenti la partecipazione a eventi fieristici all'estero di rilevanza internazionale e significativi per il comparto, gli interventi di promozione e pubblicità sui mercati esteri, le ricerche di mercato e di agenti nell'ambito di iniziative commerciali e di cooperazione industriale, la realizzazione di iniziative di «follow up » rispetto agli eventi e alle attività organizzate all'estero, la definizione operativa e il coordinamento del programma. Il contributo erogabile per ciascun programma non potrà essere inferiore a 25 mila euro e superiore a 300 mila euro. Il contributo viene concesso fino al55% delle spese ammissibili in regime de minimis. Si tratta della misura 4.2d del Por 2000/06. TURISMO L'obiettivo è l'adeguamento e ammodernamento delle strutture ricettive esistenti e realizzazione delle relative strutture complementari. Si tratta della misura 4.5a del Por 2000106. I beneficiari sono le imprese turistiche private, singole o associate, aventi sede legale e impianti in Sardegna. Le iniziative ammissibili ai benefici sono la riqualificazione e adeguamento ai parametri di qualità delle strutture ricettive alberghiere che siano aperte almeno per sette mesi l'anno e la riconversione di strutture edilizie esistenti in forma di albergo diffuso. Le voci di spesa ammissibili comprendono progettazioni, direzione lavori, studi e assimilabili, coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione e direzione lavori, oneri per la concessione edilizia, spese per l'acquisto dell'area/immobile per l'albergo diffuso sino a un massimo del 10%, spese per opere murarie e assimilate, acquisto di attrezzature e arredi. Tali spese sono ammissibili purché effettuate successivamente alla domanda. Il contributo in conto capitale è concedibile nella misura del 30% dell’investimento per le province di Cagliari, Sassari, Gallura, Medio Campidano e del 35% dell'investimento per le province di Nuoro,Oristano, Ogliastra, Carbonia Iglesias. Il limite massimo concedibile è pari a 500 mila euro. _____________________________________________ Il Sole24Ore 1 Apr.‘06 ITALIA FERMA SULL’INFORMATICA BOOM SOLO DI GIOCHI E CELLULARI Ocse: poco usati i servizi in rete, Pa in affanno Guai a farsi ingannare dalla grande voglia di Internet che si manifesta con il fiorire dei negozi di informatica e con l'assalto delle famiglie all'elettronica di consumo. La nuda statistica ci dice che la "rete delle reti" penetra in sette case italiane su dieci. E che i collegamenti a larga banda assegnano al nostro Paese una posizione di testa nel dinamismo continentale, con una crescita del 50% su base annua. Nei telefonini siamo campioni di consumo e di spesa. Ma a richiamarci all'ordine, e alla realtà, è una nutrita comunità di esperti. Computer, videogiochi e cellulari di ultimissima generazione non fanno necessariamente l'innovazione. Quella vera. Ed ecco il rimprovero dell'Ocse: l'Italia continua a battere la fiacca nella spesa in Ricerca e sviluppo. Compra tecnologie ma non le produce. Non a caso rimane attestata sulle posizioni più basse nelle classifiche internazionali dei nuovi brevetti. E poi usa queste tecnologie poco e male. I computer entrano nelle case, ma i servizi telematici, la vera ragione della loro esistenza, arrancano. La pubblica amministrazione centrale e periferica si "apre" con disarmante lentezza. Le; procedure di colloqui con i cittadini fanno fatica a transitare dagli sportelli alla rete. La gran mole delle file viene scalfita da poche mirabili iniziative: come giustificare l'obbligo ancora oggi, di spendere una mattinata per verificare una multa dai vigili urbani? E cosi l'assalto domestico dei PC e della banda larga produce molte applicazioni ludiche, tante opportunità per lo scambio illecito di musica e film, ma pochissima di quella "semplificazione" nei rapporti tra cittadino e burocrazia da tutti promessa nelle ultime tornate elettorali. Incalzano gli analisti di Assiuform: sono le famiglie a trainare almeno un po' l'innovazione tecnologica, mentre le imprese, specie quelle di minori dimensioni che rappresentano tradizionalmente la nervatura del nostro sviluppo economico, rimangono timide. Il computer le gestisce, ma ancora non le apre sufficientemente all'esterno, complice la parallela timidezza della pubblica amministrazione. Non tutte le grandi industrie - fa sapere la Federcomin, che associa le aziende dei servizi Ict - sono collegate ad Internet. E fuori della rete rimane quasi la metà delle imprese di minori dimensioni. A garantire un minimo di sviluppo alle telecomunicazioni italiane è la telefonia mobile, ma la nostre informatica arranca - rileva l’Assinform - con un modesto +0,9% del 2005 rispetto al 2004. Guai a confrontarci con le lepri mondiali della nuova industralizzazione: la Cina è al 20%, l'India addirittura al 22%. Ma gli Usa esibiscono pur sempre un buon 5% e ci dobbiamo confrontare con una media Ue del 3,5%. La Germania è al 2,5, l'Inghilterra al 3,1 e la Francia al 3,3. E anche aggregando informatica e telecomunicazioni il panorama non cambia con un fatturato 2005 di 62,56 miliardi di euro e un progresso del 2,3% paghiamo un ritardo di due punti rispetto all'Europa, quattro punti rispetto al pianeta. Ma l’altolà più preoccupante viene dagli analisti di Idc, che nel rapporto 2006 tra la crescita del Pil e lo ;viluppo del mercato It mettono l'Italia nella posizione più bassa tra i partner europei, nonostante l’intensi:à di mercato (la quota rispetto al Pil) delle nostre tecnologie dell'informazione rimanga inferiore alla media dei paesi Ocse. Poco consola la mini-rimonta nella classifica mondiale dell'Ict messa in atto dopo il tracollo degli scorsi anni Possibilità di recupero? Buone, visto che il "parco macchine" si sta facendo comunque largo. Priorità? Le indica direttamente l’Ocse, nel suo outlook sull'innovazione italiana. Il traino - consigliano gli esperti dell'Ocse - deve venire dalla pubblica amministrazione: e-government, e-education, e-health. Per «favorire l'uso commerciale delle informazioni del settore pubblico». Per creare nuovi prodotti, nuovi servizi al cittadino e quella "cultura" all'innovazione che ancora manca. Stando bene attenti - suggeriscono - a effettuare «un'analisi costi-benefici attesi dai progetti di governo elettronico» per «realizzare solo quelle iniziative effettivamente condivise e volute dagli utenti, che facciano da volano all'innovazione del Paese». Scetticismo, a questo proposito, sugli incentivi economici (bonus) per agevolare l'acquisto dei PC o per gli abbonamenti alla banda larga. Meglio concentrare le risorse sullo sviluppo «di contesti creativi, di contenuti digitali ed applicazioni». E cioè su quel che manca di più. Servono dunque «incentivi efficaci» per la ricerca e lo sviluppo delle imprese, favorendo il loro collegamento con le università é gli enti di ricerca. Nel frattempo va favorito lo sbocco "in rete" delle piccole imprese ancora ai margini di questi processi, rendendole consapevoli, anche con azioni di consulenza mirata, dei benefici garantiti da un uso intensivo delle tecnologie dell'informazione. Semplificando innanzitutto «la loro interazione con la pubblica amministrazione» insistono gli esperti dell'Ocse. Che regalano il loro caldo consiglio al Governo che verrà. FEDERICO RENDINA _____________________________________________ Europa 29 Mar. ‘06 CNR: POCHI RICERCATORI, MOLTA BUROCRAZIA. E IL 90% DEI FONDI FINISCE IN STIPENDI LA LETTERA • UN ENTE DAR INNOVARE PROFONDAMENTE. E CHE GLI OSCURI CRITERI DELLA RIFORMA PISTELLA CERTAMENTE NON MIGLIORANO MARIO PAGLIARO* Prima di lasciare la ragioneria dello stato lo scorso anno, il professor Vittorio Grilli, un economista con dottorato a Ithaca alla New York University, volle rinnovare i vecchi ambienti dell'amministrazione in via XX settembre dotandoli anche di nuovi computer e metodi per l’apprendimento telematico. Per ricompensa, il maggior sindacato italiano ritenne di dovere segnalare la cosa alla corte dei conti. A impressionante -- ha scritto di recente Giuseppe De Rita presentando una formidabile analisi della crisi delle istituzioni - vagare per ministeri surrealmente vuoti; è impressionante vedere enti pubblici pieni di personale attento solo alla sua permanenza sul posto e infarcite di clientes». E siccome i vuoti si riempiono, il sindacato nato per difendere ed espandere i diritti dei lavoratori finisce col divenire gestore degli enti che lo stato non è più in grado di dotare di una classe dirigente credibile e culturalmente all’altezza. Il settore della ricerca pubblica non fa eccezione. Al Cnr, dopo un primo commissariamento esauritosi dopo un anno senza alcun esito, il governo nominava alla presidenza un fisico sconosciuto, «autore - scrivono sconcertati i più grandi scienziati italiani sul numero di Nature del 16 marzo di tre lavori scientifici senza alcun impatto; e non di 150 lavori come da lui dichiarato al parlamento». Questi, ca va sans dire, iniziava una riorganizzazione dell'ente basata su oscuri criteri; per i quali, giusto a titolo di esempio, lo straordinario Istituto dell'energia di Messina - decine di ricercatori al lavoro per lo sviluppo industriale dei primi generatori di energia dall’idrogeno italiani grazie a. milioni di euro di finanziamenti esterni al Cnr -- veniva giudicato privo di adeguata «massa critica» (?). «La tecnologia è la fisica più la politica», disse genialmente Max Born negli anni'20. Nell'opinione unanime dei migliori economisti internazionali, Italia è in crisi perché i prodotti italiani sono obsoleti e la produttività totale del la voro è bassa. I prodotti hanno un basso contenuto di innovazione tecnologica e i metodi di lavoro sono quelli degli anni '70, tragicamente obsoleti. In Italia, però, la fisica sta bene: il paese è lottava potenza scientifica mondiale (misurata dal numero di pubblicazioni scientifiche internazionali). Quindi, a non funzionare è la politica. Poco più di un anno fa, incontrando i giornalisti a Portofino un sabato mattina il presidente del Consiglio uscente si lamentava sconsolato: «A me il Cnr mi costa mille miliardi ranno e non fanno assolutamente nulla». L:affermazione non è del tutto veritiera: il Cnr contribuisce con l’11,4 per cento alla produzione scientifica nazionale che, come detto, è ancora di rilievo internazionale. Ma non è neanche, l’affermazione del capo del governo, del tutto priva di verità. Su 8mila dipendenti, al Cnr soltanto 3mila e 600 sono ricercatori. Tutti gli altri sono amministrativi e tecnici, di cui uno su tre assunti nel Lazio. E cosa se ne faccia nel 2006 un ente di ricerca moderno di 4mila e 400 persone per farlo funzionare è presto detto: nulla. E infatti, ancora nel 2006 il 90 per cento dei soldi menzionati dal presidente del Consiglio - che in realtà sono 1200 miliardi delle vecchie lire - il Cnr li spende in stipendi e spese di funzionamento. E allora, perché non rinnovarlo veramente, questo Cnr? Il governo eletto nel 2001 ha avuto tutto il tempo (e i voti) necessari a farne un ente efficiente realmente al servizio dello sviluppo del paese. E quindi: riallocare le migliaia di dipendenti amministrativi in altre amministrazioni dello stato storicamente sottodimensionate come i Beni culturali; rimuovere tutti i vecchi dirigenti, palesemente inadeguati; e introdurre criteri di merito: promuovendo i ricercatori migliori - facilmente identificabili dalla produttività scientifica - distribuendo le risorse attraverso commissioni internazionali al di fuori del controllo del Cnr. Cinque anni dopo, i dirigenti responsabili del fallimento sono tutti ai loro posti. Le appartenenze, sindacali e partitiche, continuano a fare premio sul merito. I migliori talenti scientifici emigrano senza rimpianti col risultato di privare il paese delle uniche risorse veramente necessarie a fronteggiare le sfide competitive poste dalla globalizzazione al nostro sistema produttivo. Ma il tempo si è fatto breve. E il prossimo governo avrà il compito di ideare e mettere in atto una politica della ricerca basata sul merito, l’apertura internazionale e la concorrenza. Magari fondando anche quell’Istituto italiano di management senza il quale lo stato continuerà a non trovare gli uomini e le donne che avranno il compito di rendere concreti i propositi di miglioramento delle leggi. ricercatore chimico del Cnr _____________________________________________ Europa 30 Mar. ‘06 COSI IL CNR CI UMILIA Cosa non funziona nel centro di ricerca Il Cnr ha vissuto e sta vivendo anni di grande travaglio. Cosa proporre per un futuro più sereno? Per orientarsi nella generale confusione si deve partire da alcuni dati di fatta. Le recente valutazione del Civr almeno per quanto riguarda la fisica, è del tutto condivisibile e ha confermato una situazione che era nota agli addetti ai lavori ma che ora può essere quantificata e resa oggettiva. Il dato più significativo è la percentuale di prodotti di alto livello (articoli, brevetti o altro) di alto livello. La situazione dei principali enti di ricerca è la seguente: Inaf (66%); Infn (64%); Infn (56%); Cnr (38%) ed Enea (22%). La situazione è abbastanza chiara, per i primi tre enti abbiamo una situazione, buona e sarebbe ragionevole incoraggiarli a migliorare ancora. L’Enea è difficilmente recuperabile e la sua soluzione è difficile. Il Cnr è ad un livello medio-basso ma non del tutto negativo. Un altro aspetto noto a tutti del Cnr è l’enorme burocrazia e la nefasta influenza politico-sindacale. Il rapporto ricercatori-amministrativi è al di fuori di qualunque standard professionale. In questa situazione si è proceduto all’assurdo inglobamento dell’Infm nel Cnr per ragioni incomprensibili ad una logica professionale. Poi, in un’ottica diametralmente opposta, si è argomentato che tutto il sistema ricerca italiano è pessimo e Punica possibilità era di creare qualcosa di totalmente nuovo, l’Iit, avulso da tutto il resto. Sembra che dopo due o tre anni l’Iit non riesca neanche a spendere una frazione di quanto assegnato. Bene, questo modo di - riformare le cose è un esempio perfetto di come non si deve fare. Questo tipo di riforme, mascherate dietro la retorica dell’ efficienza, competitività ed aziendalizzazione hanno prodotto un pessimo risultato. Il risultato più grave, a mio parere, non è il cattivo utilizzo delle risorse (che è certamente il caso). No, la cosa peggiore é che hanno creato un senso di umiliazione e di impotenza di tutta la comunità scientifica nazionale. Oltre al danno diretto c'è la disincentivazione dei giovani verso la ricerca e l’attività scientifica. Tutto sembra girare intorno a mediocri equilibri del sottobosco politico e delle anticamere dei ministeri. Che fare? Come risulta dal Civr e come tutti sapevamo la situazione italiana della ricerca è molto variegata. Le cose da fare sarebbero semplici: analizzare realmente la situazione, valorizzare e dare fiducia ai casi positivi e cercare di raddrizzare quelli meno buoni. Non sembra un miracolo perché in Spagna à stanno riuscendo. Naturalmente su queste frasi sono tutti d'accordo. Ma va aggiunto un altro piccolo ma significativo termine: bisogna farlo per davvero. Nel Cnr le cose sono andate esattamente nel verso opposto. La conclamata retorica della finta azienda ha fatto si che il budget ordinario .del Cnr (circa 530 milioni di curo) sia suddiviso in "commesse", che dovrebbero essere valutate secondo i dettami del cda. Ora va chiarito che i195% di questo budget è completamente bloccato da stipendi e altre spese fisse. Quindi questo giochetto delle commesse è perfettamente inutile: in pratica non si può decidere nulla. Ma un effetto reale è l’enorme perdita di tempo per i partecipanti. Le risorse per le vere attività i gruppi le devono cercare fuori ma poi devono fingere siano compatibili con le finte commesse con ulteriore burocrazia. A proposito della finta azienda ci sono anche risvolti comici per cui invece di cambiare le cose si cambiano solo le etichette e i contenitori. Ad esempio nei grandi laboratori del Ibm a Yorktown esiste il Department of Physical Sciences, mentre nell’aziendale Cnr c’è il Dipartimento materiali e dispositivi Poi all’Ibm ci sono i research projects e al Cnr le "commesse". Insomma siamo al livello della commedia all’italiana A questo si aggiunge che nel Cnr la burocrazia è enormemente aumentata e per presentare un progetto di qualunque tipo o" per assegnare una borsa di studio serve il parere del cda con delega firmata dal presidente in persona. Un altro esempio. I due ragazzi che hanno sviluppato il motore di ricerca Google sono partiti da una idea diversa da tutto quello che esisteva e hanno creato un nuovo mercato e nuovi prodotti, Una cosa cosi nel Cnr di oggi sarebbe seppellita delle burocrazie delle commesse, dei dipartimenti, dei comitati ordinatori, dei capi-progetto, del consiglio scientifico-sindacale, del cda, del presidente e infine della politica. Inoltre non sarebbe previsto nei regolamenti e nel piano triennale! *ordinario di fisica dei solidi, La Sapienza, commissario straordinario dell'istituto dei sistemi complessi Cnr _____________________________________________ Il Sole24Ore 29 Mar. ‘06 I BIOTECNOLOGI: SUGLI OGM RICERCA BLOCCATA La denuncia di 50 esperti a Bruxelles per sollecitare un intervento contro lo stop nel Paese LETTERA ALLA UE ROSANNA MAGNANO ROMA Nel mondo le coltivazioni Ogni hanno raggiunto i 90 milioni di ettari. In Italia il blocco è ancora totale e anche le sperimentazioni restano confinate nei vetrini dei laboratori, con l'unica «finestra» di due fazzoletti di terra, ad Ancona e Viterbo, dove però si possono testare solo vecchi progetti autorizzati prima del 1999. Troppo poco per tenere accesa la fiamma della ricerca. La denuncia arriva da una cinquantina di biotecnologi - tra i quali anche Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di _ ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano - che hanno firmato una lettera indirizzata alla Commissione Ue per chiedere un intervento contro la moratoria italiana. L'iniziativa - illustrata ieri in un convegno dell'Associazione Galileo 2001 al Cnr di Roma - è stata promossa, tra gli altri, da Francesco Sala, direttore degli Orti botanici dell'Università di Milano, e da Bruno Mezzetti, docente di frutticoltura al Politecnico delle Marche. «Le procedure previste dalla direttiva Ue 2001/18, sull'emissione deliberata nell'ambiente di Ogni - spiega Sala - sono attualmente inapplicabili e la legge sulla coesistenza, già bocciata dalla Consulta, ha avuto l'unico effetto di impedire di fatto le coltivazioni biotech». Il clima di chiusura non ha avuto soluzione di continuità da molto tempo, visto che prima dell'attuale ministro delle Politiche agricole, Gianni Alemanno, le sorti dell'agricoltura italiana erano nelle mani del verde Alfonso Pecoraro Scanio. Una situazione che, paradossalmente, ha costretto il ministero dell'Ambiente, a «delocalizzare» in Cina un progetto di ricerca triennale. «L'iniziativa - spiega Sala, che ne coordina la ricerca - punta a verificare l'impatto sulla biodiversità derivante dalla coltivazione di vite, riso e pioppo geneticamente modificati». Anche se a livello istituzionale nessuno, compreso lo stesso Alemanno, è disposto ad ammettere che la ricerca sulle agrobiotech è finita sul binario morto, c'è già chi tra gli aspiranti ricercatori ha deciso di gettare la spugna. «Quest'anno al corso di laurea in biotecnologie della facoltà di Agraria - denuncia Roberto Tuberosa, docente all'Università di Bologna - si sono iscritti solo due studenti». Prestissimo, dunque, non ci saranno giovani competenti in questo settore strategico. «Anche nelle altre università - sottolinea Bruno Mezzetti - il clima di sfiducia è analogo e non ci sono più matricole. Questo significa che il sistema Paese sta perdendo terreno in termini di conoscenza. E cosi viene meno la possibilità di confrontarsi con il futuro». In altri Paesi come Spagna, Francia e Germania, la ricerca è andata avanti, mentre in Italia le ultime autorizzazioni risalgono al 1999. «L'Università di Catania - conlude Mezzetti - ha chiesto di sperimentare in campo una varietà di limone in grado di resistere all'attacco di un fungo. II Comitato interministeriale dell'Ambiente ha espresso parere positivo, ma a Catania aspettano ancora una risposta». _____________________________________________ Italia oggi 29 Mar. ‘06 ICT:IL SUD FA DA TRAINO ALLA RICERCA Le conclusioni dell'Innovation forum, organizzato da Idc con Italia lavoro e Innovazione Italia L'Italia, dodicesinta in Europa, ha ampi margini di crescita DI ANTONIO RANALLI L 7Italia insegue il boom mondiale dell'Ict. E lo fa anche grazie alla crescita delle ricerca, specie quella sviluppata nel Mezzogiorno grazie al supporto delle università. È quanto è emerso ieri a Roma all'Innovation forum, il primo forum sull'innovazione digitale, organizzato da Idc in collaborazione con Italia lavoro e Innovazione Italia, cui hanno partecipato esperti del settore, tra i quali Jeremy Rifkin, presidente della Foundation of economie trends. I partecipanti al forum, tra cui Ibm, HP, Oracle, Microsoft, Telecom Italia, Reply, Intel e Cefriel, sono tutti convenuti su un punto: l'Italia ha ampi margini di crescita nell'Ict. Per gli imprenditori bisogna aumentare gli investimenti pubblici e privati, favorire l'aggregazione tra aziende, diminuire il peso fiscale sul settore e innovazione. Attualmente l'Italia occupa il 12° posto in Europa per lo sviluppo dell’Ict, con una spesa del 1,99% sul pil, contro il 3% di Francia e Germania. Cresce però la ricerca nel Suditalia. Nel rapporto «Il sistema dell'innovazione nelle regioni meridionali: Ict e crescita dell'informazione», l'incidenza sul pil della spesa in ricerca nel 2003 è stata pari all0 0,75% nel Mezzogiorno, mentre in Italia è stata complessivamente dell'1,14%. A trainare l'investimento in ricerca nel Sud sono le università, che coprono il 56% della spesa, contro il 34% investito nel resto d'Italia. Gli investimenti privati rappresentano solo il 10%. Una lettura dell'analisi dell'indicazione di specializzazione It delle regioni meridionali evidenzia come questo dato sia molto basso nel mezzogiorno. Ma per tre regioni, vale a dire Sardegna, Campania e Abruzzo, l'indice è superiore alla media e si avvicina al dato medio italiano. La dinamica di crescita del numero delle imprese It delle regioni meridionali nel periodo 2002- 2005 è stata nettamente superiore, con f11,6%, a quella media italiana (pari al 4,4%). II 40% delle piccole imprese del Mezzogiorno del campione, con più di sei addetti, sostiene di aver investito in ricerca e sviluppo; il 40% ha fatto innovazioni di prodotto, il 25% innovazioni di processo e il 54% innovazioni di organizzazione e management. La crescita degli investimenti in innovazione digitale pone problemi sulla formazione del capitale umano, della mobilità dei ricercatori e dell'attività d'interazione fra università e imprese. L'a.d. di Italia lavoro, Natale Forlani, nel corso del workshop su «Innovazione e occupazione: criticità e prospettive del sistema italiano», ha annunciato la realizzazione di un grande progetto di supporto tecnologico. «II tema della qualità dei servizi», ha affermato Forlani, «che è centrale nelle economie sviluppate, è assente dai dibattiti politici in Italia. L'Italia è un grande consumatore di prodotti tecnologici, ma paradossalmente c'è un basso assimilamento della tecnologia». Forlani ha proseguito sostenendo che, tra gli impegni del progetto, c'è quello rivolto ai giovani in quanto «il vero problema è l’inoccupazione giovanile, che è inaccettabile». Protagonista dell'Innovation forum è stato Jeremy Rifkin. Il presidente di Foundation on economie trends, nel corso del suo intervento, ha invitato gli imprenditori europei a guardare a uno sviluppo sostenibile. L'Ict avrà maggiori implicazioni con il settore energetico. Con l'arrivo degli elettrodomestici a idrogeno inizierà la terza rivoluzione industriale». (riproduzione riservata) Identikit delle pmi meridionali . .. .,..... . . ........... Investe in ricerca e sviluppo 40% • Ha fatto innovazioni di prodotto nell'ultimo anno 40% • Ha fatto innovazioni di processo 25% • Ha fatto innovazioni di organizzazione e management 54% _____________________________________________ MF 29 Mar. ‘06 RISPOSTE SU INTERNET OPPURE UN SOSIA,, ECCO COME TRUFFANO GLI STUDENTI Istruzione Imbrogliare agli esami è un fenomeno diffuso. La soluzione? Stanze con il metal detector di Gale Santini Negli ultimi dieci anni nelle università europee, americane e asiatiche copiare i compiti e imbrogliare agli esami è diventato un fenomeno sempre più diffuso. In uno studio condotto in Usa fra 50 mila studenti di atenei e 18 mila di licei dal Centro per l'integrità accademica della Duke university, più del 70% degli allievi ha ammesso di avere in qualche modo ingannato professori ed esaminatori. Secondo lo stesso studio, mentre nel 1963 la percentuale era del 26% e del 56% nel 1993, solo negli ultimi sei anni le pratiche truffaldine a scuola sono quadruplicate. In India, a partire dal 2001 gli studenti hanno confessato di avere almeno una volta truffato in quasi tutti gli ultracompetitivi esami di ammissione alle università. In genere si è trattato di acquistare per 15 mila dollari le risposte alle domande dei test. In Cina la polizia è intervenuta l'anno scorso per eliminare una gang truffaldina che aveva aiutato quasi 1.000 allievi di 19 diverse province a superare illecitamente gli esami. II sistema usato era molto insolito. Infatti a presentarsi di fronte ai professori non era lo studente ignorante, ma un suo perfetto sosia, ovviamente bravissimo. L’anno scorso anche nella Corea del Sud si è verificato un gravissimo scandalo finito can l’arresto di 20 bande che in tutto il paese vendevano a caro prezzo via web le risposte relative a ogni tipo di esame. Le tecnologie informatiche sempre più perfezionate hanno reso il fenomeno molto più facile di un tempo. Si va dal l'acquisto dei saggi «originali» da siti come wwwgradesaver.com, al semplice far svolgere i compiti a casa da esperti indiani a prezzi bassissimi, collegandosi a www:rentacoder.com. Per combattere il fenomeno, dovuto anche all'esasperazione della concorrenza tra gli studenti decisi ad accaparrarsi a ogni costo un posto di lavoro, in futuro si pensa di far svolgere gli esami in stanze dotate di metal detector e scanner per determinare la vera identità del candidato. _________________________________________ il manifesto 30-03-2006 AGLI UNIVERSITARI PIACE FISSO NO A STAGE E CONTRATTINI Gli studenti universitari preferiscono il posto fisso, e dicono no a stage, lavoro a tempo determinato, contratti a progetto. Ai concetti falso-moderni di «flessibilità», «dinamicità» e «intraprendenza» i giovani preferiscono sicurezza, stabilità e tranquillità, ma anche e soprattutto comodità. Per gli under 25 oggi è meglio un anno da disoccupato che tre mesi da stagista. E' il risultato di un'indagine condotta su oltre 1000 universitari italiani tra i 18 e i 25 anni, dal mensile «Campus». Gli universitari preferirebbero uno stipendio sicuro, orari fissi e poche responsabilità piuttosto che sgobbare tutta la vita rischiando magari di non raggiungere il successo sperato. II 54% è convinto che gli atenei italiani non preparino adeguatamente per entrare nel mondo del lavoro. Tuttavia i ragazzi non sembrano voler, più sentire parlare di apprendistato o di lavori precari in attesa di imparare un mestiere. Tanto è vero che sei su dieci (64%) mettono in conto di dover aspettare un anno o anche di più per trovare un lavoro degno delle proprie aspirazioni. Che per quasi sette giovani su dieci significa soprattutto un «posto fisso». Per gli studenti le aziende dovrebbero fornire ai giovani, anche ai neo-laureati, soprattutto garanzie di sicurezza e stabilità (31%) e una equa retribuzione (22%). Gli studenti dicono ano» a stage e periodi di prova: per uno su tre (31%) lo stage dovrebbe essere prerogativa soltanto di chi ha conseguito una laurea breve, in pratica in sostituzione del biennio di specializzazione, mentre il 24% ritiene più formativo frequentare un master. Soltanto il 16% apprezza gli stage, mentre il 18% li boccia in toto. In ogni caso, per 7 ragazzi su 10 (il 68% lo stage non dovrebbe mai essere gratuito, ma ben retribuito. Quanto? Almeno 500 euro al mese per il 36%, ma anche di più: un ragazzo su tre (30%) non accetterebbe mai per meno di 800 01000 euro al mese. Solo 1 su 5(i119%) si dice disposto a lavorare gratis per un breve periodo pur di trovare un impiego. _____________________________________________ La Repubblica 28 Mar. ‘06 GLI ITALIANI SCOPRONO A NASSYRIA BIBLIOTECA SUMERA La scoperta di un team del Cnr e dei nostri militari GIAMPAOLO GADALANU NASSIRIYA LA COLLINETTA sopra il villaggio dell'antica Eridu era un posto strategicamente invitante. Alta e isolata, in una regione desolata e pianeggiante: ai generali di Saddam Hussein era sembrata il posto ideale per mettere una postazione antiaerea. Nessuno poteva obiettare. Il sito archeologico che stava li sotto, ben noto agli studiosi, era l'ultima preoccupazione. ERA infatti da affrontare l'esercito americano nella madre di tutte le battaglie. L'unità irachena era durata pochissimo, spazzata via dall'aviazione Usa nei primi momenti dell'offensiva. Nell'attacco degli F-16 qualcosa si era smosso sotto il terreno. Tavolette di argilla e pezzi di pece, insolitamente lisci, erano rimasti sparsi sotto il sole e la polvere della provincia di Dhi Qar. Fino a ieri. Nel frattempo, «Antica Babilonia» aveva stabilito il suo quartier generale poco lontano. Aveva avviato il suo impegno,l'aiuto nella ricostruzione del paese, a due passi dalla ziqqurat di Ur, simbolo dell'antica capitale sumera. Pochi mesi prima l'esercito del rais, senza nessuno scrupolo, l'aveva trasformato in un'altra postazione antiaerea, ma per fortuna il tempio era sopravvissuto all'offensiva degli alleati. Però i soldati non avevano molto tempo per il turismo. Le operazioni umanitarie, gli sforzi per la ricostruzione, gli aiuti alla gente, la sorveglianza alle strutture superstiti e ai pozzi di petrolio, erano impegno più importante. E quando all'inizio di marzo una delegazione del Consiglio nazionale delle ricerche, guidata da Giovanni Pettinato, grande esperto di culture mesopotamiche, è arrivata in Iraq per verificare che cosa era rimasto delle ricchezze archeologiche, qualcuno da Roma ha chiesto che i soldati garantissero la sicurezza degli studiosi. Un incarico in più, fra i tanti, in mezzo alla polvere del deserto, da accettare senza discussioni. Tanto più che fra i carabinieri della Unità specializzata multinazionale c'erano anche esperti di archeologia, utilizzati per preparare le guardie irachene a combattere i tombaroli e dunque ben disposti a scorrazzare gli studiosi sui siti della ricerca, a coprirgli le spalle e ad assisterli nella ricerca. Poi dai sassi delle colline attorno a Nassirya sono emersi i tesori. Prima è saltata fuori la pietra angolare di un tempio dedicato al dio Nanna, con un'iscrizione che Pettinato ha subito letto. «Letto», insiste con orgoglio il professore, «non tradotto». Ieri poi fra le zolle del Dhi Qar prosciugate dal sole sono ricomparse le tavolette di argilla e i pezzi di pece, distribuiti dall'esplosione o forse anche da un cedimento del terreno. Silvia Chiodi, collaboratrice di Pettinato, si è fermata incredula: sulle tavolette, e anche sulla pece, c'erano tracce di iscrizioni. «Si sbracciava gridando: Giovanni! Giovanni! Vieni immediatamente!», racconta lo studioso. L'entusiasmo era giustificato: i reperti testimoniavano che il sito di Eridu, conosciuto come «preistorico», in realtà ospitava opere scritte. «Testi storici, letterari, lessicali del periodo paleoaccadico», dice Pettinato: in parole povere, scritti di ogni tipo, persino nozioni di botanica e mineralogia, compiti scolastici e testi accademici dell'antichità. I pezzi di pece, invece, hanno conservato le iscrizioni agendo come un calco. In passato qualcuno aveva cercato di utilizzare le tavolette d'argilla come mattoni da costruzione, usando la pece come collante: le iscrizioni sono impresse «in negativo» sulla pece, e non è improbabile che possano servire a sostituire pezzi mancanti. L'esperto di assirologia non ha esitazioni: «Non si sbaglia se si definisce questo ritrovamento l'enciclopedia più antica della storia dell'umanità», aggiunge il professore, e va oltre: «Questa scoperta ci costringerà a riscrivere i libri di storia. I miei, quelli degli altri: tutti». Pettinato e i suoi hanno contattato Bagdad, per segnalare il ritrovamento ai responsabili del museo della capitale, che ora dovranno provvedere alla raccolta e alla catalogazione degli scritti. Poi è tornato a Campo Mittica, dove era difficile capire chi fosse più soddisfatto, fra i soldati della Brigata Sassari e gli archeologi. I militari hanno offerto a Pettinato un giro sull'elicottero HH-3F per vedere Eridu dall'alto. Ma il professore ha sorriso: «No. La nostra parte è finita». Le incisioni in caratteri cuneiformi sono testi storici,letterari,perfino compiti scolastici __________________________________________________ L’Unione Sarda 21 mar. ’06 ERASMUS ALLARGA L'EUROPA: BORSE DI STUDIO ANCHE ALL'EST Università. Pubblicati i bandi: disponibili 728 posti Oltre alle abituali destinazioni, gli studenti possono scegliere di andare anche in Polonia, Romania, Lituania e Turchia Le domande di partecipazione devono essere presentate entro il 10 aprile. Il progetto Erasmus allarga i confini europei ai paesi dell'Est. Accanto alle solite destinazioni, come Spagna e Francia, gli studenti dell'ateneo di Cagliari, che scelgono di trascorrere tra i tre e i nove mesi nelle Università del resto dell'Europa, potranno puntare su Polonia, Romania, Turchia e Lituania. È questa una delle novità del bando di selezione per i 728 posti disponibili per l'anno accademico 2006-2007, pubblicato ieri a firma del pro rettore per l'Internazionalizzazione, Giovanna Maria Ledda. Le domande dovranno arrivare entro il 10 aprile. i numeri"L'anno scorso", spiega Anna Aloi, responsabile del settore mobilità studentesca dell'Università di Cagliari, "sono partiti circa 400 ragazzi". Dunque non tutti i posti messi a disposizione vengono coperti (erano circa 600): "Questo perché c'è la convinzione che passare un periodo all'estero sia una perdita di tempo o che possa rallentare gli studi. Si tratta invece di un'esperienza importante, che permette, oltre a poter sostenere esami che vengono riconosciuti anche dalla nostra Università, di imparare una lingua". gli stranieri in città. La conferma del desiderio di mobilità internazionale è data dall'incremento dei ragazzi stranieri che sono arrivati a Cagliari nell'ultimo anno accademico: "Siamo passati da 120 a 150, anche grazie al miglioramento dei servizi. Dobbiamo però incrementare i corsi di studio in lingue straniere, soprattutto in inglese". Un altro ostacolo è quello economico: gli studenti devono anticipare parte delle spese, perché i primi rimborsi dell'Università arrivano dopo un po'. Se gli studenti manifestano qualche perplessità nel varcare i confini italiani, chi sta iniziando a capirne l'importanza, anche se con numeri ancora bassi, sono i docenti. "Abbiamo ricevuto diciotto domande di mobilità mentre quelli stranieri che sono arrivati a Cagliari sono una decina". le facoltà. I 728 posti messi a disposizione sono così suddivisi: Economia 69, Farmacia 32, Giurisprudenza 17, Ingegneria 190, Scienze e Tecnica dello sport 23, Lettere e Filosofia 107, Lingue e Letterature straniere 60, Medicina 33, Scienze della Formazione 19, Scienze matematiche, fisiche e naturali 108, Scienze Politiche 69. Possono fare domanda (che devono essere consegnate, redatte sull'apposito modulo che si può scaricare sul sito internet www.unica.It , entro il 10 aprile al settore Mobilità, nella sede di Villa Asquer, in viale Ciusa 93, 09131, Cagliari). "Può partecipare anche chi sta effettuando dei dottorati di ricerca, o chi sta frequentando le scuole di specializzazione della nostra Università". La borsa di studio Erasumus (che l'anno scorso è stata di 120 euro al mese, più i rimborsi viaggio) può essere integrata con il contributo integrativo grazie ai fondi della Regione. Matteo Vercelli ======================================================= _____________________________________________ Il Sole24Ore 28 Mar. ‘06 LA SPESA SANITARIA MINACCIA PER I POLI Uscite oltre i tetti ma nei programmi elettorali mancano misure di freno ROMA m Da una parte (la Cdl), cinque punti in otto scarne righe. Dall'altra (l'Unione), 10 pagine con la summa di tutto ciò che non va e che perciò va cambiato. Da una parte (la Cdl), una parola d'ordine: «Continueremo nella realizzazione del nostro piano di riforme». Dall'altra (l'Unione), la promessa: «Ripartiremo dalle leggi del centro-sinistra di riforma del Ssn e dell'assistenza». Dieci anni fa si disse che fu l'affondo di Giovanna Melandri nell'ultimo testa a testa elettorale televisivo a far pendere l'ago della bilancia verso l'Ulivo, Capitolo decisivo: i programmi sull'assistenza sanitaria. Dieci anni dopo, la battaglia pre-elettorale si sta giocando invece interamente, o quasi, sulle tasse. Col welfare, quello sanitario in particolare, relegato in un angolo. E invece, questioni etiche a parte - fecondazione assistita e aborto, anzitutto sulla Sanità i due schieramenti si giocheranno una parte importante dei voti. Con una preoccupazione in comune: la mina della tenuta dei conti del Ssn. E dunque dei fondi da investire in più, o no. E delle misure per finanziare la salute pubblica. Che i conti del Ssn siano in bilico lo ammettono tutti, da una parte e dall'altra. E con l'accordo ponte alla Conferenza Stato-Regioni «straordinaria» di oggi che ripartirà 93 miliardi per il 2006, le cifre emergeranno con chiarezza, L'anno parte con almeno 8 miliardi di rosso e la tenuta del sistema pubblico, soprattutto per i bilanci regionali, sarà a rischio. Certezze condivise dai due schieramenti. Fatto sta che, in una campagna elettorale in cui - ne va dei consensi - tutto si dà e nulla si dice di togliere, le ricette contrapposte mai parlano di tagli. Anche se il centro-sinistra va più a fondo e presenta piani più dettagliati e obiettivi di investimenti. Ma senza ben spiegare dove si troveranno le risorse per moltiplicare un rapporto spesa Ssn/Pil che ci vede tuttora ai gradini bassi della Ue. La Casa delle libertà. Stop totale alle liste d'attesa, più fondi per la ricerca, riforma della legge sulla salute mentale, educazione sanitaria nelle scuole, prevenzione per giovani e immigrati: il programma ufficiale della Cd] è tutto qui. Certo, condito dal "si va avanti" sulle riforme istituzionali. Dal trend di spesa di questi anni. E dalle riforme fatte: che per il Ssn hanno riguardato due Patti di stabilità sanitaria. Contestati però dalle Regioni. La legge sulla droga, la lotta a tutto campo all'aborto, resteranno dei capisaldi. «I nostri sono obiettivi concreti, realistici, la continuità di quanto abbiamo fatto», afferma Antonio Tomassini (Fi), presidente della commissione Sanità del Senato. Che «a titolo personale» aggiunge: responsabilità civile del personale Ssn, malattie rare e attuazione della legge sulle professioni sanitarie. «Nel programma dell'Unione c'è confusione e utopia: si parla di una risposta universalistica a tutti i bisogni che non potrà mai essere attuata», conclude Tomassini. «Contano i fatti che questo Governo ha conseguito», afferma il sottosegretario alla Salute Cesare Cursi (An), ricordando l'aumento dei fondi. L'Unione. «La novità della destra è la modifica della legge 180: una proposta pericolosa, che ripropone la via dei manicomio. Per il resto conferma di non capire le emergenze dei Paese, i bisogni di salute dei cittadini», replica Rosy Bindi (Dl). La parola d'ordine dell'Unione è in due slogan: «II sistema è malato, ma si può curare: serve il coraggio e la responsabilità delle scelte». E ancora: «II diritto alla salute è un bene per tutti e un investimento per il Paese». Le dieci pagine del programma riassumono tutte le ferite da curare: il Sud, con un programma ad hoc; la non autosufficienza, con un Fondo apposito; la solidarietà e l'universalismo come stelle polari, l'occhio attento a tutto il personale, la prevenzione, il territorio, il federalismo fiscale, gli investimenti in edilizia e tecnologia, la governance. Anche i farmaci da banco al supermarket. E tanti no: droga, salute mentale, devolution. Ma con l'aumento considerevole di risorse. «Gli scenari catastrofistici sull'insostenibilità dei sistemi sanitari pubblici e universalistici» vanno superati, si afferma. La crisi; piuttosto, ha colpito i modelli di mercato_ «II sistema è malato, ma si può curare». Una diagnosi, con terapia "aperta". ROBERTO TURNO L'anno parte con 5 miliardi di extradeficit Oggi il fondo regionale da 93 miliardi IL Nuovo WELFARE obiettivi e risorse CENTRO-DESTRA Linea di continuità: stop alle liste di attesa, più fondi alla ricerca CESITRO-SINISTRA Piano mirato per il Sud, fondo per i non autosufficienti, più investimenti in edilizia LE RISORSE Nessuno dei due schieramenti indica come si troverà la copertura finanziaria IL DEFICIT Finanziamento e spesa sanitaria (senza ripiani) in milioni di euro. __________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 mar. ’06 AZIENDA MISTA, SI PARTE NEL 2007 L’organismo non è stato ancora istituito ma università e Asl 8 lavorano con trasferimenti e riorganizzazioni ormai definitive CAGLIARI. L’azienda mista Regione-Università che allinea sugli standard nazionali ed europei la facoltà di Medicina di Cagliari deve nascere. La volontà politica è messa nero su bianco in almeno tre documenti diversi. Il problema, però, è che non si sa quando. Di diverso, rispetto al passato, è che adesso, dopo i tre documenti, si comincia a capire come. Ma anche i tempi hanno la loro importanza e sabato mattina un club Rotary (Cagliari Sud) ha chiamato a parlarne sindacalisti, amministratori, politici per fare il punto della situazione e tentare di capire cosa è rimasto della folgorante intenzione manifestata dall’università e dall’assessorato regionale quando, nell’autunno 2004, col protocollo firmato davanti al senato accademico riunito apposta, si sancì la volontà di dare un percorso alla formazione dell’azienda con tempi certi e risultati equi per le due parti in lotta fino ad allora (gli universitari e gli ospedalieri). Sabato non s’è avvertita traccia degli antichi dissapori fra controparti, anzi entrambe ponevano la stessa domanda: quand’è che si fa l’azienda? Il protocollo tra Regione e Università stabiliva su quale percorso avrebbero dovuto lavorare le due entità che devono concorrere a formare l’azienda. Ma in questi ultimi mesi è intervenuta una novità: la giunta ha proposto al consiglio una legge che deve mettere ordine nel funzionamento dei servizi. Quali devono essere i rapporti tra Regione e apparati sanitari, quali debbano essere gli organismi che devono garantire i risultati previsti dai documenti di programmazione, quali siano i centri di responsabilità cui domandare conto, come si inserisce in tutto questo la formazione di medici e paramedici che, per legge, ormai è affidata al concerto dell’Università con le Regioni. In attesa di questa carta (che il consiglio regionale risulta essere impegnato a discutere entro la fine di marzo), va avanti l’altro documento fondamentale, il piano sanitario, anche questo necessario per dare un contesto all’azienda mista. Perché i posti letto assegnati all’azienda non sono a parte rispetto al progetto di assistenza e cura per il cittadino quindi rientrano della rete del servizio regionale. La riorganizzazione degli ospedali, insomma, ha un tassello necessario anche nell’azienda mista: a lungo in passato si era dibattuto sull’opportunità di stralciare questo progetto dalla previsione sanitaria generale, ma varie voci si erano levate contro perché ritenevano che questo avrebbe pregiudicato la distribuzione successiva di posti letto. Con fiducia guarda al percorso tracciato il preside di Medicina Gavino Faa, designato prorettore per l’azienda mista. Nell’autunno 2005 importanti passi sono stati compiuti rispetto alle scelte di fondo: il Microcitemico rimarrà sotto la gestione della Asl 8 che, mettendolo assieme all’Oncologico nella gestione economica, può tenere a bada i costi meglio di quanto non riuscirebbe a fare l’Università per via dell’eliminazione dei servizi doppione (i due ospedali sono quasi attaccati l’uno all’altro). Anche il direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato ha offerto un quadro sostanzialmente positivo rispetto al tema che è stato l’occasione dell’incontro: i tempi per arrivare all’azienda mista. La data fissata dalla commissione prevista nel protocollo Regione-Università è il primo gennaio 2007. Non si aspetterà quel giorno per fare ciò che occorre. Un altro passo importante verso il traguardo è stato il trasferimento delle due chirurgie del Binaghi (oncologica e polmonare) al policlinico di Monserrato. Gumirato ha risposto a una domanda sui posti letto: perché la Asl nella razionalizzazione della rete ospedale viene privata di un certo numero di posti letto (si fanno 260 ricoveri ospedalieri ogni mille abitanti, nel piano sanitario se ne prevedono invece 180 ogni mille abitanti): «Non si punta ad avere troppi posti letto, ma qualità, appropriatezza ed equità dei ricoveri, potenziando i day hospital e le prestazioni extraospedaliere». __________________________________________________ L’Unione Sarda 30 mar. ’06 L’UDEUR: TROPPI DIRETTORI ASL SENZA TITOLI L’Udeur attacca l’assessore Dirindin e la gestione della sanità nell’Isola, soprattutto in relazione agli incarichi in alcune Aziende sanitarie: «Alcuni direttori sanitari non hanno i titoli per il loro incarico». «Caro presidente Soru, i Popolari Udeur ritengono doveroso manifestarle le crescenti perplessità su alcune incaute inerzie del suo assessore alla Sanità », scrive il segretario regionale Sergio Marracini, che denuncia «alcune gravi irregolarità nelle Asl». Marracini afferma che l’affidamento degli incarichi di direzione nelle Asl deve essere subordinata a precisi parametri: «Esperienza e titoli di cui non godrebbero, come segnalato all’assessore, sia il direttore amministrativo della Asl di Cagliari, sia il direttore amministrativo della Asl di Lanusei e, per ultimo, anche il direttore amministrativo della Asl di Olbia ». Marracini denuncia che «all’ospedale Brotzu, addirittura il direttore generale nomina lui stesso sostituto temporaneo del direttore amministrativo, dopo aver effettuato una selezione per il conferimento di incarichi annuali a tre anestesisti, riconoscendo agli stessi un trattamento economico inferiore a quello previsto dai vigenti accordi sindacali ». «Quale medico del Servizio sanitario nazionale», afferma il segretario dell’Udeur, «condivido la crescente insofferenza della classe medica sarda per questi atti di arroganza dirigistica dei direttori generali o, peggio ancora, per la loro mancata conoscenza delle leggi vigenti». E quindi, l’affondo sull’assessore piemontese: «Presidente, non ritiene anche lei politicamente deleterio che un assessore della Giunta, consapevolmente, condivida scelte discrezionali che violano sia le leggi nazionali che le normative regionali vigenti? ». Secondo Marracini «i toni, sempre censori, dell’assessore alla Sanità a chi giovano, di fronte a una spregiudicata gestione, da parte dei direttori generali delle Asl?». Il leader dell’Udeur chiama ancora in causa Nerina Dirindin: «L’assessore alla Sanità, inoltre, dovrebbe leggere e ben riflettere sull’analisi effettuata dal Cergas- Bocconi sui Piani Sanitari Regionali che, pubblicato da un quotidiano economico, esprime un giudizio di valutazione mediamente insufficiente sul Nuovo Piano Regionale Sardo ». Marracini, che col suo partito ufficialmente sostiene la maggioranza di centrosinistra, chiude con un appello al presidente Soru: «Non si adombri per le nostre critiche costruttive, ma si adoperi subito per correggere quanto segnalato, per evitare che l’onda lunga del crescente malcontento nei suoi confronti, possa esprimersi prima o poi dal mondo della sanità sarda anche nel segreto delle urne». __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 30 mar. ’06 ASL8: IL MONDO DELLA SANITÀ IN RIVOLTA: «Gumirato ci ascolti o è guerra» Ospedali. I sindacati autonomi: la Direzione della Asl 8 ci riceva altrimenti occuperemo gli uffici Fra le rivendicazioni: carenza di personale, blocco degli straordinari, orario di lavoro Massimiliano Lasio m a ss i m i l i a n o. l a s i o @ e p o l i s.s m Disagio, rabbia, preoccupazione. E la determinazione a lottare uniti per far valere le proprie ragioni. Sino alle estreme conseguenze della protesta. Si è svolta in un clima bollente d'entusiasmo e di furore e in una sala stipata di lavoratori, con la maggior però costretta ad ascoltare da fuori, l'assemblea del personale della Asl 8 convocata dalle segreterie di ben nove sigle sindacali aderenti all'area autonoma (Adass, Cisna, Fase, Fials, Fsi, Nursind, Nursing up, Sunas, Ugl) che si è tenuta ieri mattina nei locali di via Piero della Francesca. Tornano a suonare i tamburi di guerra fra i lavoratori dell'Asl 8. Sia il personale d'assistenza, che gli amministrativi e i tecnici. Diverse le declinazioni del malessere dei dipendenti. Si va da problemi che riguardano i “t ra s f e r i m e n t i selvag gi” di persone con riconosciute limitazioni fisiche, alle carenze di personale in tutti i settori dell'azienda, alle voci sulla rivisitazione dell'orario di lavoro con tre rientri settimanali, alle turnazioni coatte in presenza di patologie accertate, al sottodimensionamento del personale mascherato con robuste dosi di straordinari. Ma anche problemi più specifici, ma non meno sentiti, come l'inquadramento degli operatori socio-sanitari. Dal quadro emerge una situazione di malessere diffusa, che riguarda un intero settore di lavoratori di un'azienda che impiega oltre 5000 addetti. MA C'È ALLA BASE una profonda frustrazione che sfocia in rabbia gli per l'atteggiamento dei vertici dell'azienda. «Esigiamo che siano rispettati i nostri diritti di lavoratori - si infervora Paolo Cugliana, segretario provinciale aggiunto della Fials - chiediamo di trattare direttamente con il Direttore generale, a cui vorremmo esprimere tutto il nostro disappunto perché la delegazione trattante di parte pubblica nel frattempo sottoscrive accordi senza tutti i sindacati firmatari di Cnl». Cioè con la Cigl, Cisl e Uil. «È la prima volta che nove sigle del sindacato autonomo sono unite in questa rivendicazione», sottolinea Mario Pusceddu, della Fsi. Soddisfatti dell'iniziativa i 9 sindacati. «Ma se entro una settimana Gumirato non ci darà risposta », annuncia Cugliana, «saremo costretti a proclamare lo stato di agitazione e proporre l'occupazione degli uffici della Direzione generale». L'azienda in cifre . L'ASL 8 A RAGGI X 552 mila UTENTI La popolazione che usufruisce dell'assistenza medica della Asl 8 secondo i nuovi confini dell'azienda. 6156 DIPENDENTI È il numero totale dei dipendenti al servizio dell'azienda cagliaritana. 800 MILIONI DI BUDGET ANNUO È circa un terzo del totale sardo. Sette gli ospedali: Ospedale Binaghi, Businco, Marino, Microcitemico, Muravera, San Giovanni, Il manager replica: nessuna chiusura «Aperto al confronto» I nove sindacati autonomi chiedono di trattare direttamente con il Direttore generale con Gino Gumirato. Che però cade dalle nuvole. «Sono all'oscuro dei temi trattati in assemblea. Ma da parte mia non c'è nessuna chiusura. Sono aperto al dialogo, come sempre. Nei 15 mesi che ho diretto l'azienda ho avuto ben 15 incontri con i sindacati. Due giorni fa abbiamo siglato un accordo con le Rsu. Anche se la componente autonoma non ha firmato. Da parte mia ribadisco: nessuna chiusura ad ascoltare le loro richieste. __________________________________________________ L’Unione Sarda 31 mar. ’06 LA PRIMA PIETRA DEL SAN RAFFAELE SARDO È stato raggiunto l’accordo tra Soru e don Verzé Sanità. Incontro ieri a Cagliari, i lavori per realizzare l’ospedale privato inizieranno al più presto Via libera alla Fondazione San Romanello per la realizzazione del San Raffaele sardo, l’ospedale privato che offrirà ai galluresi reparti di alto livello attualmente non previsti dalla Sanità pubblica. Soru «benedice» l’ospedale di Don Verzè. Intesa chiusa ieri a Cagliari tra il presidente della Regione e il prete-manager del San Raffaele, oggi, sulla collinetta di Olbia che guarda al mare della costa sud, apre il cantiere. Ma la Fondazione Tabor non si fermerà alla Gallura. A settembre comincerà anche il passo a due tra il centro di ricerca milanese e Polaris, Parco scientifico e tecnologico della Sardegna con sede a Pula, solo una delle possibili collaborazioni che la Regione ha deciso di mettere in campo, accordi da perfezionare entro l’anno. I LAVORI. L’accelerata sul San Raffaele di Olbia è dunque arrivata. Dopo diciassette anni di attesa (è del 1989, quando era sindaco Gian Piero Scanu, la prima convenzione tra Comune e Fondazione, rinnovata il 9 marzo scorso dall’assemblea municipale guidata da Settimo Nizzi), la posa della prima pietra è solo questione di giorni. E saranno il presidente Soru e Don Luigi Maria Verzè a sistemare il mattoncino della svolta. Il resto verrà scritto nel piano sanitario regionale: un numero di posti letto che oscillerà tra 160 e 180. La fine dei lavori è prevista per l’autunno 2007 e farà segnare un raddoppio per l’offerta ospedaliera gallurese che, dall’estate prossima, ruoterà intorno alla nuova struttura pubblica di Tannaule, alla periferia est della città, altri 148 posti letto divisi in 78 camere su due piani. IL VERTICE. Ad accompagnare l’accordo tra Soru e Don Verzè, c’erano anche l’assessore alla Sanità Nerina Dirindin, Claudio Bordignon, responsabile della ricerca scientifica del San Raffaele, e Mario Cal, numero due della Fondazione Tabor. Più che definire i dettagli, ieri a Cagliari sono stati ripetuti i punti-chiave dell’organizzazione sanitaria privata che sarà complementare, non sostitutiva rispetto a quella della Asl. Per evitare doppioni con l’ospedale di Tannaule, al San Raffaele verranno aperti con certezza i reparti di oculistica, nefrologia e riabilitazione per le lunghe degenze. MALATTIE GENETICHE. Capitolo apertissimo quello della ricerca scientifica che sarà il filo di Arianna nella collaborazione tra Regione e Fondazione Tabor. Ma screening e studi non saranno concentrati nella struttura di Olbia. Soru ieri ha ripercorso i passaggi fatti dalla Regione «per sostenere e promuovere la conoscenza». Col parco di Polaris la Fondazione Tabor entrerà in sinergia già da settembre, un lavoro di team che verrà allargato alle strutture ospedaliere universitarie di Cagliari. In cima alle priorità ci sono le malattie genetiche, quindi le biotecnologie, finite anche al centro dell’accordo-quadro siglato da Soru con il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche, sede a Roma, guidato da Fabio Pistella). Insomma un disegno scientifico che porta dritti all’Istituto europeo per la medicina innovativa, ente che il presidente Soru vorrebbe portare in Sardegna e affiancarlo all’agenzia nazionale per lo studio di nuovi farmaci, ricerche su cui Polaris è a lavoro da tempo insieme all’Istituto superiore di Sanità e al Cnr. FINANZIAMENTI. Nei prossimi giorni si dovrebbero conoscere le risorse che la Fondazione Tabor dirotterà in Sardegna per far decollare il primo degli investimenti previsti nell’isola. Come riferimento di massima, ci sono sempre quei trenta milioni che il prete-manager aveva chiesto all’Inail (Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro) per la realizzazione del San Raffaele in Gallura. Una disponibilità finanziaria su cui il Cda dell’ente aveva favorevolmente deliberato alla fine dello scorso anno. Alessandra Carta (Unioneonline) __________________________________________________ L’Unione Sarda 24 mar. ’06 NUORO: TERZO POLO, SI COMINCIA CON ONCOLOGIA L'assessore Nerina Dirindin: «Mi impegno a trovare risorse» Sanità. Dopo la dura vertenza, ieri a Cagliari l'incontro tra i vertici dell'Asl e i sindacati Un impegno concreto della Regione per la nascita del terzo polo sanitario dell'Isola. Soddisfatti Asl e sindacati. L'assessore ha preso un impegno ufficiale: «Mi attiverò subito per individuare le risorse finanziare». E così, dopo anni di parole al vento, il terzo polo sanitario della Sardegna diventa finalmente un progetto concreto. A Nuoro nasceranno i poli d'eccellenza di diverse specialità, servizi capaci di attirare utenti da tutta l'Isola e garantire così quella mobilità attiva che è condizione essenziale. E mentre in prospettiva già si pensa al potenziamento di Neurochirurgia e Emodinamica, il programma più immediato riguarda il dipartimento di Oncologia (compresa Radioterapia) e il Servizio di Malattie Mentali che diventeranno appunto le rampe di lancio del terzo polo sanitario della Sardegna. E, ancora, Nuoro potrebbe diventare sede universitaria della Facoltà di Scienze infermieristiche. La proposta è stata avanzata dai sindacati. L'incontro. Un impegno e un progetto concreto sono quindi emersi ieri pomeriggio, a Cagliari, durante l'incontro sullo stato di salute del servizio sanitario barbaricino che si è tenuto nella sede dell'assessorato alla Sanità. Attorno al tavolo l'assessore Nerina Dirindin, i vertici dell'Asl di Nuoro (il manager Franco Mariano Mulas, il direttore sanitario Peppino Capelli, il direttore amministrativo Angelo Serusi), i segretari territoriali di Cgil, Cisl e Uil (Gianfranco Mussoni, Ignazio Ganga, Francesca Ticca) e i responsabili sindacali di settore (Michelangelo Gaddeo, Giovanni Sedda, Maria Laura Floris). Un incontro che arriva dopo una durissima vertenza che ha visto in prima linea Cgil e Uil (oltre alle sigle autonome) contro il manager e la sua gestione; vertenza dalla quale - riguardo al metodo - è rimasta fuori la Cisl che in parte ne ha condiviso i contenuti, il merito dei problemi sollevati. La distensione. Ieri, tutti attorno al tavolo, il segnale di una distensione che mette d'accordo vertice aziendale e sindacati su un punto fondamentale: la costruzione del terzo polo sanitario è condizione essenziale per garantire da un lato la crescita dell'azienda, dall'altro il miglioramento del servizio che potrà così contenere il flusso degli utenti in uscita (cioè verso i servizi di altre Asl) e aumentare quello in entrata. E il terzo polo sanitario nascerà appunto sulla base dei servizi di eccellenza: tra i primi (perché sono già avviati) il dipartimento di Oncologia e il Servizio di Malattie Mentali. «Mi impegno a individuare le risorse finanziarie», ha annunciato l'assessore Nerina Dirindin. Riguardo Oncologia (che comprende anche la Radioterapia) servono ad esempio i soldi per completare le strutture e per la dotazione di macchinari di ultima generazione. «Grande soddisfazione», sintetizza il manager Franco Mariano Mulas, e soddisfatti sono anche i sindacati. «Un risultato importante - spiega Gianfranco Mussoni, segretario Cgil - perché si è avviato un confronto attivo con le parti e si è individuata la giusta direzione per costruire il terzo polo sanitario». Ignazio Ganga, segretario Cisl, durante l'incontro ha richiamato la delibera regionale sul Terzo polo sottolineando la necessità «che questo non sia solo per il Nuorese, ma che generi mobilità interna e diventi luogo di eccellenza per tutta l'Isola». Soddisfatta anche Francesca Ticca, segretaria Uil: «Ci sono impegni concreti». _____________________________________________ Avvenire 01-04-2006 TONINI: LA SCIENZA NON PUÒ MAI USARE L'UOMO COME STRUMENTO «La scienza non puo’ per amore di nuove conquiste nella ricerca, usare l’uomo come strumento. Questo è un principio di origine greco - ebraico - cristiano». Lo ha detto ieri il cardinale Ersilio Tonini alla Fondazione «Campanile» di Valderice, nell'ambito del terzo onvegno su «Le nuove grandi frontiere dell'oncologia, strategie per una migliore qualità della vita». «Comportati in maniera da trattare gli altri uomini sempre come un fine, m come un mezzo. Solo le cose che hanno un prezzo si possono comprare e vendere» ha aggiunto Tonini. II cardinale, parlando dell'accanimento terapeutico, ha affermato che «non si può far vivere di più una persona solo perchè si vogliono sperimentare delle ricerche; ma non si può neppure abbreviare la vita perchè piace ai familiari. Lo Stato n potrà mai consentire a qualcuno di uccidere un debole, pensando di rimanere innocente». Per il cardinale Tonini, «L'eutanasia non è soltanto io ammazzo te, ma è il medico che uccide in nome dello Stato; è l'uccisione garantita dallo Stato». Citando Je de La Fontaine, secondo cui una cosa è parlare della morte, un'altra è morire,Tonini ha citato il caso di Indro Montanelli che si era, con forza, schierato a favore dell'eutanasia, poi ha accettato, poco prima di entrare in coma, di sottoporsi alle cure mediche. Proporre l'eutanasia in nome della laicità, per Tonini, «non fa onore alla laicità stessa - ha aggiunto - è un valore enorme per tutti, credenti e laici». _____________________________________________ MF 28 Mar. ‘06 NUOVA CORAZZA PER IL SENO Saluto Un farmaco inibitore di estrogeni riduce il rischio di recidive nel tumore alla mammella Ben tollerato, Anastrozolo si è dimostrato più efficace della terapia tradizionale di Giovanni Domina 1 rischio di recidive si riduce del 41% e la possibilità di sopravvivenza aumenta del 29%. Una nuova terapia si è dimostrata efficace nel combattere il tumore al seno, e a breve è atteso un nuovo farmaco nel trattamento della malattia. De studi clinici internazionali presentati in occasione della Quinta Conferenza europea sulla patologia svoltasi nei giorni scorsi a Nizza hanno confermato l'efficacia del trattamento con Anastrozolo, un inibitore dell'aromatasi, l'enzima responsabile nella donna in post-menopausa del la produzione di estrogeni. Questi nuovi traguardi si riferiscono alla cura, dopo il necessario intervento chirurgico, delle neoplasie ormonosensibili (cioè che crescono rapidamente in presenza dell'ormone femminile estrogeno) in fase iniziale nelle donne in post-menopausa. I tre lavori, uno dei quali coordinato dall'università di Genova, sono stati condotti per un periodo di 30 mesi su 4 mila donne. I miglioramenti sono stati evidenziati in caso di sostituzione, dopo due anni di terapia del tamoxifene (finora il farmaco di «riferimento per la cura ormonale) con Anastrozolo, che quindi risulta più efficace nel completamento della terapia Anastrozolo, frutto della ricerca della multinazionale farmaceutica Astra Zeneca, è in grado di diminuire la quantità di estrogeni in circolo nell'organismo, impedendo la proliferazione delle cellule tumorali dotate di recettori ormonali. «Si tratta di un farmaco», precisa il professor Paolo Marchetti, professore straordinario di Oncologia medica all'Università degli Studi l’Aquila, «che blocca la produzione di estrogeni, con un'azione molto ben tollerata». Una diretta conseguenza dell'efficacia di l’Anastrozolo è stato l'ampliamento, anche in Italia, dopo Stati Uniti e alcuni altri paesi europei, dell'indicazione terapeutica di questo farmaco a tutte le donne in post-menopausa con neoplasia al seno in stadio precoce con recettori ormonosensibili. Questi risultati confermano quelli dello studio altac, il più esteso protocollo clinico mai condotto sulla patologia e pubblicati di recente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Lancet. Questo lavoro, condotto in 381 centri di 21 paesi, tra cui 38 in Italia, indica che, nelle donne con tumore del seno ormonosensibile, Anastrozolo, rispetto a Tamoxifene, permette un aumento della sopravvivenza, un allungamento del tempo di ricomparsa della recidiva e una riduzione dell'insorgenza di tumori nell'altra mammella «Ma già si affaccia un nuovo farmaco nel trattamento della malattia», anticipa il professor Sandro Bami, primario di Oncologia medica, Consorzio degli ospedali di Deviglio e Caravaggio (Bg), «si tratta di Fulvestran, un inibitore estrogenico puro estremamente promettente. Rappresenta una possibilità in più prima della chemioterapia, che ha una tossicità del 30%, quindi molto più elevata di quella delle terapie ormonali, che non supera i12-3%». La neoplasia al seno è la più frequente nel sesso femminile e costituisce la seconda causa di morte per tumore nella donna, dopo il cancro del polmone. La sua incidenza è in costante aumento in tutto il mondo, in Italia la sua diffusione è tra le più alte al Mondo (seconda solo a Svezia e Stati Uniti): si registrano infatti circa 30 mila nuovi casi all'anno. Nel complesso si stima che una donna su 14 sia destinata ad ammalarsi nel corso della propria vita. «Un dato allarmante», conclude Marchetti, «è che l'età delle donne a cui viene diagnosticato il tumore al seno scende continuamente e se ne individuano anche in soggetti in stato interessante. Un fenomeno, questo, frutto almeno in parte di un'attività scriteriata di stimolazione della gravidanza senza preventive mammografia ed ecografia che escludano la presenza di patologie in grado di svilupparsi con la proliferazione degli estrogeni che la stessa stimolazione di gravidanza provoca». _____________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 28 Mar. ‘06 CELLULE STAMINALI IN ORBITA OBIETTIVO: RIGENERARE LE OSSA Cellule staminali di topo inviate nello spazio per capire i meccanismi che portano all'osteoporosi. Partiranno domani dalla base russa di Baikonur a bordo della capsula Soyuz- collocate all'interno di particolari bireattori che consentono colture in automatico - e rimarranno sulla Stazione spaziale internazionale, quindi in assenza di gravità, per dieci giorni. L'esperimento è italiano ed è coordinato da Ranieri Cancedda, direttore del Laboratorio di medicina rigenerativa dell'Istituto dei tumori di Genova. «Sono cellule staminali da midollo osseo - -spiegalo specialista - in grado di differenziare a cellule che formano tessuto osseo, e al loro ritorno le confronteremo con cellule gemelle rimaste a terra. Studiare il comportamento di queste cellule proprio nel momento in cui si differenziano, dovrebbe aiutarci a capire i meccanismi cellulari e molecolari alla base della perdita di massa ossea, un problema ancora irrisolto a cui vanno incontro gli astronauti nello spazio e gli anziani sulla Terra». L'esperimento è la ripetizione aggiornata di quello che era a bordo dello shuttle Columbia, esploso al rientro nel 2003, ma oggi è ancor più di attualità visto il rinnovato interesse per la conquista dello spazio. La Nasa ha in programma di sbarcare sulla Luna nel 2018, dando inizio, cosi, alle prime fasi della colonizzazione. Progetto ambizioso a cui mirano anche Giappone, India e soprattutto la Cina che prevede lo sbarco dei suoi taikonauti tra il 2020 e il 2030. Ma questi studi non sono importanti solo per i futuri abitanti della luna: servono a studiare l'osteoporosi, patologia legata all'invecchiamento che, cosi come avviene per gli astronauti, comporta la perdita di massa ossea; solo in Italia colpisce 4 milioni e mezzo di persone. «Alla fine del 2007 effettueremo un altro esperimento sempre con cellule staminali, in collaborazione con l’Università di Bari--- spiega ancora Cancedda, che è anche docente all'Università di Genova-- e successivamente invieremo dei topi all'interno di una speciale super-" gabbia: al ritorno, dopo tre mesi, analizzeremo le alterazioni delle loro ossa e ne preleveremo le staminali per studiarne le proprietà e le caratteristiche dopo la permanenza nello spazio». Ma si indagherà anche l'effetto di mutazioni di geni specifici che potrebbero essere coinvolti nel processo di impoverimento del tessuto osseo in condizioni di microgravità. Lo studio è stato finanziato dalle agenzie spaziali europea, Esa, e italiana Asi che ha da poco approvato lo stanziamento di 30 milioni di curo per i programmi di medicina e biotecnologia. Segno dell'impegno dell'Italia in questo tipo di ricerche divenute sempre più importanti che nel 1998 spinsero John Glenn a effettuare il suo secondo volo nello spazio: aveva 77 anni e lui per primo si trasformava in cavia per misurare i danni subiti dal suo scheletro di anziano c cercare una soluzione. _____________________________________________ Il Sole24Ore 28 Mar. ‘06 DA PALERMO BREVETTO PER LA CELIACHIA Bionat ha predisposto un kit per la diagnosi rapida dell'intolleranza al glutine PALERMO Nasce dall'alleanza tra pubblico e privato il primo brevetto per la diagnosi precoce della celiachia dall'esame del Dna. Un passo in avanti nella lotta contro questo tipo di malattia che colpisce l'intestino ed è causata dall'intolleranza al glutine, proteina contenuta in alcuni cereali (frumento, segale, orzo, malto, avena). Un problema che ogni anno colpisce in Italia l'uno per cento dei nuovi nati. Il brevetto del kit che consente l'analisi veloce e precoce è stato presentato ieri nel corso di un convegno su Attualità nella genetica della malattia celiaca organizzato dall'Università di Palermo; grazie all'esame del Dna è possibile capire se c'è il rischio celiachia in interi nuclei familiari. Il kit è frutto della ricerca applicata condotta dalla Bionat (cinque ricercatori e un fatturato medio di 200mila curo all'anno), azienda fondata due anni e mezzo fa dal palermitano Sandro Drago, 40 anni, e dalla barese Maria Rosaria Di Pierra, 36 anni, ricercatori tornati in Italia dopo un'esperienza durata tre anni all'Università del Maryland di Baltimora negli Stati Uniti. Sono stati loro per primi a mettere a punto il metodo per l'estrazione del Dna «in cinque minuti» da liquidi biologici come la saliva, le urine o il sangue. È stato, invece, Luca Sineo, genetista del dipartimento di Biologia animale della facoltà di Scienze di Palermo, a sperimentare i modelli applicativi per consentire la diagnosi precoce e veloce della celiachia. Intanto è in corso la sperimentazione per l’estrazione veloce del Dna anche per la diagnosi precoce dell’ osteoporosi. Dalla sintesi delle ricerche della Bionat e del professor Sineo é nato il brevetto del kit per la diagnostica molecolare in vitro, validato dall'Università del Maryland in cui ha sede il Center for celiac research (il centro di riferimento mondiale per le ricerche sulla celiachia) e dall'Ospedale dei Bambini di Palermo. Un kit che permette la dia gnosi sul Dna in tempi rapidi: con i vecchi sistemi erano necessari due giorni (e una spesa di 300 curo) per diagnosticare la predisposizione alla malattia, con questo nuovo metodo sono sufficienti due ore e mezza, mentre il costo medio è sceso a 70 curo. Grazie a Diagene, impresa nata poco più di cinque mesi fa per iniziativa di un gruppo di imprenditori palermitani, si è passati alla fase successiva: la produzione e commercializzazione del sistema diagnostico brevettato Diagene, che può già contare su una decina di addetti, ha pianificato per la fase di startup un investimento di 600mila curo: secondo stime, con la vendita del Idt per la diagnosi della celiachia a ospedali e aziende sanitarie la società fatturerà nel primo anno quattro milioni. _____________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 30 Mar. ‘06 BASTA UNA GOCCIA DI SANGUE PER SCOPRIRE TUTTE LE ALLERGIE La tecnica italiana individua in un colpo solo ogni molecola scatenante Dai pollini ai gatti: super diagnosi con un semplice test ROMA - Si chiama Fe1B2, è la maledizione degli amanti dei gatti. Essere allergici a questa proteina, presente nel pelo dell'animale, significa non poter avvicinare o anche solo avvistare un gatto senza starnutire o provare un senso di soffocamento. Dunque, essere costretti a privarsi della sua stimolante compagnia. Ma si può avere maggior fortuna. Scoprire di essere sensibili a Fe1B1, proteina simile ma prodotta in grandi quantità solo dai felini maschi. In questo caso «coabitare» con una femmina non ha nessuna controindicazione. NANOTECNOLOGIE - È una delle informazioni ricavabili da un nuovo test molecolare messo a punto all'Idi, l'Istituto dermopatico dell'Immacolata, a Roma. Da una sola goccia di sangue si ottengono una serie di notizie precise al 100 per cento sulla causa dell'allergia. Basta una sola analisi per «scandagliare» contemporaneamente tutte le proteine che, approfittando di un difetto del nostro sistema immunitario, danno origine a forme di allergie più o meno comuni; patite dal 30-40'Io della popolazione. Da quelle scatenate da pollini, animali (in crescita i casi di reazione alla pelliccia del coniglio), alimenti (le più diffuse latte, uovo, grano, arachidi, pesca), per finire con le forme rare (lattice, imenotteri, farmaci biologici). Nei bambini l'incidenza è ancora più alta. La metà di loro, almeno una volta nella vita, sviluppa reazioni fastidiose che arrivano a condizionare giochi e abitudini. Il nuovo metodo diagnostico basato sulle nanotecnologie è stato applicato per la prima volta da Adriano Mari, coordinatore del Centro di allergologia medica e sperimentale dell'Idi. Se ne parla al primo simposio internazionale di allergologia molecolare, domani e dopodomani a Roma. «La diagnostica tradizionale, molto rozza, incentrata sui test cutanei e l'uso di estratti naturali, richiede l'esecuzione di test in più sedute. Con questa, procedura invece siamo in grado di riconoscere con un'unica analisi, e agli stessi costi, qual è la molecola che crea sensibilità. Si possono dare indicazioni molto precise al paziente su cure e alimenti o sostanze inalanti da evitare», spiega Mari. ALLERGENI - Sono un migliaio gli allergeni conosciuti. Circa 70 i più ricorrenti nella popolazione. Quello del gatto è solo uno degli esempi che dimostrano come sia importante scendere nei particolari e individuare con esattezza la proteina colpevole. Ciò evita di prescrivere cure o comportamenti inappropriati quale potrebbe essere una dieta priva di un determinato alimento. Errori con ripercussioni importanti quando si tratta di bambini. CROSTACEI E MELE - Esempi pratici: mentre l'allergene dell'uovo è sempre uguale sia esso di gallina, quaglia o struzzo, e dunque non ci sono alternative, per quanto riguarda l'olivo a seconda della molecola indiziata si può essere refrattari ai pollini ma continuare a mangiare tranquillamente le olive. Chi non tollera una certa proteina della betulla è sensibile anche a nocciolo, nocciola, mela e carota, mentre non è detto che chi risulta positivo al test su uno specifico allergene della mela (il MalD3) non ne possa mangiare. In questo caso basterà eliminare la buccia per salvarsi da starnuti ed orticaria. Attenzione ai crostacei: la molecola allergizzante del muscolo, la tropomiosina, è presente anche negli acari e in alcuni insetti. Quindi non è affatto scontato che tagliando dalla dieta aragoste e molluschi non si vada ugualmente incontro ai tipici sintomi dell'intolleranza. Margherita De Bac Per effettuare l'analisi. I pollini Tra te cause principali delle allergie, soprattutto nei mesi primaverili, ci sono i pollini di varie piante. La sensibilità a un polline è spesso collegata ad altre allergie. II nuovo test identifica l'allergene specifico e gli alimenti ad esso collegati Chi scopre un'allergia al polline della betulla, è sensibile anche al nocciolo (e al suo frutto, la nocciola), alla mela e alla carota _____________________________________________ Il Sole24Ore 30 Mar. ‘06 RITORNA LA TUBERCOLOSI, ALLO STUDIO NUOVI VACCINI Tubercolosi: uria malattia dimenticata? Certo non siamo più alla letteratura dell'8oo, e tuttavia da indagini aggiornate sono stimati in 6mila Italia i nuovi casi registrati ogni anno, approssimati per difetto, e riguardano con percentuali simili tutti i Paesi occidentali, soprattutto le grandi città dove i fattori di rischio (povertà, emarginazione, scarsa igiene) sono più elevati. Il 7o% dei casi diagnosticati colpisce gli immigrati che contraggono la malattia,proprio a causa delle condizioni di vita presenti nei contesti urbani. Paesi a rischio più elevato sono quelli dell'Est europeo e in via sviluppo, soprattutto l’Africa dove la malattia è la prima causa di morte fra le persone con l'Hiv. Vari gruppi nel mondo, tra cui il nostro Istituto Superiore di Sanità; si stanno attivando per studiare proteine diverse capaci di indurre una immunità maggiore soprattutto per le forme di tubercolosi polmonare, la più pericolosa e più frequente nei Paési a rischio. Inoltre sono in corso progetti per la preparazione di siti, soprattutto in Africa, per raccogliere dati e procedere poi ai test sui nuovi vaccini (disponibili però non prima del 2oi5) sui soggetti più esposti. Il San Raffaele di Milano partecipa direttamente a uno di questi progetti e alla ricerca per lo sviluppo di vaccini nuovi, mentre i1. gruppo di Claudio Fortis ha recentemente messo a punto un test per la diagnosi precoce della Tbc. Secondo l’Oms il problema non è solo sanitario, ma di educazione e di informazione, se presa in tempo la malattia è curabile. La chiave di volta affrontare con successo la tbc sta nella sigla Dot, biscret observed therapy, cioè la regolarità nell'assunzione dei farmaci prescritti, modalità che è difficile da implementare nei paesi più poveri che sono anche quelli più colpiti. Le indicazioni dell'Qms si possono riassumere in un protocollo semplice; impegno dei governi, diagnostica rapida basata su dati di laboratorio, terapia assistita, monitoraggio e sorveglianza costante; in ogni caso un bell’impegno. LUDOVICA MANLJSARDI CARLESI __________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mar. ’06 RIMEDI NATURALI, L’ISOLA CHIAMA L’INDIA Dalle ricerche contro l’Aids alle intese del virologo La Colla ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. A Bombay l’aereo atterrò di notte. La sesta metropoli più grande del mondo fa sempre una certa impressione: quelle luci a perdita d’occhio, 13 milioni di abitanti, lasciano senza fiato. Erano le 23 del primo febbraio e iniziava il mese di visita in India del virologo Paolo La Colla. La tabella di marcia del direttore del dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell’università di Cagliari sarebbe cominciata con la partecipazione a un convegno, Panacea 2006, sulla medicina naturale che in India ha radici antichissime. E ora - a fine viaggio - uno studio specializzato sta mettendo a punto un brevetto da applicare alle proprietà di alcune piante curative indiane in modo che i titolari tradizionali ne vengano tutelati. L’obiettivo di La Colla era ed è una collaborazione per evidenziare i principi attivi della fitoterapia indiana. La storia inizia da lontano, da una ricerca europea su una crema anti- Hiv, il virus dell’Aids. La sperimentazione sulle scimmie si fa a Gottingen, in Germania, e a Franceville, in Gabon, e dà risultati soddisfacenti. Il progetto, coordinato da La Colla, è stato finanziato dall’Ue con 4 milioni all’interno di un programma per malattie da povertà e coinvolge 5 Paesi europei e uno africano. Così facendo il virologo cagliaritano ha conosciuto meglio le realtà dove i farmaci delle multinazionali non arrivano perché, per loro, si tratta di mercati non produttivi. «E non è un caso - sottolinea La Colla - che nessuna casa farmaceutica si sia ancora fatta avanti per continuare la sperimentazione dell’EMC1220, la molecola che rappresenta l’elemento centrale della crema microbicida anti-Hiv. L’obiettivo è di fornire un unguento che serva come prevenzione e sia gestito direttamente dalle donne. Solo che, essendo il mercato di questo prodotto i Paesi poveri, sub-sahariani e non solo, la multinazionali se ne disinteressano». In altre occasioni La Colla ha avviato rapporti proficui con alcune multinazionali farmaceutiche, come per la sperimentazione di un composto anti- epatite “C”, ma della crema non ne vogliono sapere. «Queste ricerche costano e loro vogliono grossi ritorni. In questa situazione - sottolinea - mi sono detto che se fosse possibile trovare un principio antagonista nella medicina naturale di questi Paesi, con proprietà analoghe alla molecola di sintesi della crema anti-Aids, il farmacista locale potrebbe preparare la crema. E lo stesso potrebbe avvenire per i principi attivi di altri farmaci, da cui i Paesi poveri sono per lo più esclusi. In questo senso il ruolo delle università è determinante». Poi La Colla ha preso la palla al balzo offrendo l’ospitalità del suo istituto a due ricercatori indiani. «Arriveranno tra poco - spiega - Fanno parte di un rapporto di collaborazione che prevede cento ricercatori su tutto il territorio nazionale. L’ateneo di Cagliari ne accoglierà sei, il mio istituto due, dell’università di Allahabad. Lavoreranno su progetti di bioinformatica. L’India sta diventando la Silicon Valley orientale, ma non ha importanti laboratori biologici. Da qui la sinergia. Nello stesso tempo questo rapporto mi ha permesso di approfondire i discorsi sulla medicina popolare». Nei tre giorni di convegno di Bombay, La Colla ha messo a fuoco il rapporto con associazioni di piccoli produttori indiani di medicina naturale e stipulato alcuni accordi. Finito il simposio, ha continuato il tour con un obiettivo più ambizioso: coinvolgere i laboratori di quel continente in un progetto sulla loro medicina tradizionale, per le fasi di preparazione. In India è molto diffusa la medicina ayurvedica (dal sanscrito ayur veda, sapere della longevità), le cui origini risalgono a 2500 anni prima di Cristo e a cui lo stesso greco Ippocrate si era ispirato. Si tratta di una sapienza sanitaria che comprende anche una ricca fitoterapia, particolarmente importante, visto che in India viene utilizzata da circa il 75% della popolazione. Così, oltre a Allahabad, La Colla ha intrecciato rapporti coi dipartimenti di chimica dell’università di Delhi e di Rajkot, di farmacologia di Belgaum, con la società di chimica e biologia di Lucknow, e con la fondazione per le ricerche antitumorali Gabur di Gaziabad. La collaborazione Cagliari-India si basa sul fatto «che il nostro laboratorio - spiega il virologo - è in grado di eseguire tutte le analisi per cogliere le proprietà antagoniste di queste erbe medicinali. Possiamo individuare quelle antiproliferative, antimicrobiche (antibatteriche e antimicotiche), antivirali e quelle che permettono di agire contro le errate configurazioni delle proteine (come nel caso del prione della mucca pazza). Mentre in India non esiste una struttura capace di questo spettro di analisi». Negli accordi presi «le proprietà intellettuali di chi detiene i saperi tradizionali sono protette, come auspicato anche dal protocollo di Kyoto: per impedire che si continui a depredare i Paesi poveri». L’obiettivo è ambizioso: gettare un ponte attraverso la ricerca senza cadere nelle contraddizioni delle politiche di sviluppo sbilanciate a favore dell’Occidente. L’economista francese Serge Latouche ha di recente scritto un libro dal titolo Come sopravvivere allo sviluppo (Bollati Boringhieri), in cui partendo dai torti prodotti dalle diverse politiche degli organismi economici internazionali, mette in discussiione lo stesso concetto di crescita. Ma un’altra strada (niente rapine e rispetto delle culture locali) è possibile e La Colla come un novello Davide si nuove in questo solco. Che è poi quello indicato dalla scrittrice indiana Vandana Shiva che con tenacia combatte le mistificazioni delle multinazionali (come in La guerra dell’acqua, Feltrinelli). __________________________________________________ Corriere della Sera 29 mar. ’06 INFARTO, ORA SONO LE DONNE A MORIRE DI PIÙ Oltre la metà non supera la crisi, tra gli uomini si salvano sei su dieci DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES — In Europa la donna sorpassa l’uomo. Non nella presenza politica: a parte i Paesi Scandinavi e la Angela Merkel in Germania, la media vede sempre avanti i maschi. E nemmeno nei ruoli di vertice della società. Il sorpasso purtroppo riguarda un aspetto negativo: la percentuale di morte per malattie cardiovascolari. Il 55% (oltre 5 su 10) delle cause di morte per le donne dei 25 Stati dell’Unione e dei restanti 24 europei ma ancora extra Ue riguarda l’apparato cardiovascolare: infarto e ictus. Negli uomini è in media del 43% (tradotto: 6 su 10 si salvano). I tumori femminili, come causa di morte, sono ben al di sotto. E con uno scarto di 10 anni (55 per gli uomini, 65 per le donne) il rischio di un accidente cardiaco o a un vaso cerebrale è uguale. Sfatato, quindi, il teorema maschio- infarto. C’è un allarme «cuore di donna», non solo europeo: Usa e Giappone non ridono. E per quanto riguarda l’età, le donne manager o impegnate in attività stressanti rischiano anche attorno ai 40- 50 anni. L’ictus di Sharon Stone è l’esempio calzante. Così come le fumatrici. Il fumo, il più importante fattore di rischio, è infatti in aumento tra donne e giovani, mentre gli uomini (sempre in testa) scendono nella classifica dei consumi. Alla faccia della prevenzione. Ecco la parola chiave: prevenzione. Che nei Paesi dell’Est sembra restare sulla carta. Ucraina, Repubblica Ceca, Lituania, Romania hanno le malattie cardiovascolari come vera emergenza femminile. Di dieta mediterranea si parla ben poco. La Commissione europea ha riunito gli esperti e i politici per cercare di inquadrare il problema: cardiologi e ministri della Sanità riuniti a Bruxelles hanno dibattuto e confrontato i dati. La via è puntare sull’informazione a medici e donne. In Aprile i 25 Stati membri decideranno strategie e fondi. Perché informazione? «Perché la donna in generale è curata male — spiega Marco Stramba Badiale, della Società europea di cardiologia (Esc) e cardiologo dell’Istituto auxologico di Milano —. Non per bieco maschilismo, ma per cattiva conoscenza del fenomeno cardiovascolare nella donna stessa. Un infarto, per esempio, nell’uomo ha sintomi classici (dolore al petto, al braccio sinistro) ed è subito affrontato come tale al Pronto soccorso: elettrocardiogramma e terapia trombolitica (salvavita se fatta il prima possibile). Nella donna, invece, si manifesta con sintomi quali nausea, mal di stomaco... Spesso si scambia con una banale influenza, a volte è la malata stessa a non chiamare l’ambulanza perché non pensa che sia il cuore. Responsabile anche una scarsa attenzione scientifica: mancano dati precisi e le aziende farmaceutiche studiano i farmaci solo su maschi adulti (più stabili, non avendo cicli ormonali, e quindi più rapidi nel dare risposte). La Società europea di cardiologia chiede quindi all’Ue la creazione di un Istituto centrale per i dati epidemiologici e all’Emea (l’agenzia europea per i farmaci) che richieda alle aziende sperimentazioni anche sulle donne». Per quanto riguarda la prevenzione è stato messo a punto uno «score» per misurare il rischio cuore e arterie: pressione sanguigna, colesterolo, fumo ed età sono i parametri che in una sorta di «sudoku » della salute misurano il rischio. Prevenire significa anche risparmiare. I conti Ue parlano chiaro: le malattie cardiovascolari costano 463 milioni di euro al giorno (169 miliardi l’anno) nei 25 Stati membri per cure, assenze dal lavoro, disabilità. Nota positiva: Francia e San Marino sono i meno colpiti tra tutti i 49 Paesi europei. Questo riguardo alle donne. Italia, Grecia e Spagna si aggiungono ai vertici della classifica per la migliore salute di cuore e arterie della popolazione in generale. La maglia nera ai Paesi dell’Est. Per dare un’idea: mentre in Europa occidentale muoiono 40 donne ogni diecimila abitanti per infarto o ictus, gli indici più bassi in Italia (27 ogni diecimila) e in Spagna, ad Est l’indice tocca quota 130. Più alti i numeri di morti tra gli uomini, che però in percentuale si salvano di più. Mario Pappagallo __________________________________________________ La Repubblica 29 mar. ’06 SANITÀ, SÌ AI TAGLI DELLE LISTE D’ATTESA arrivano le prestazioni senza coda MARIO REGGIO ROMA — Ci sono voluti mesi di dura contrapposizione, ma ieri l’accordo tra il governo e le Regioni è stato raggiunto. Via libera al Piano sanitario nazionale, ratifica della Conferenza Stato-Regioni del programma di contenimento delle liste d’attesa, e approvazione del riparto del Fondo sanitario nazionale che ammonta a 90 miliardi di euro. Il ministro per gli Affari Regionali Enrico La Loggia è euforico: «Abbiamo ratificato un’intesa di grande importanza, che consentirà di migliorare quello che consideriamo uno dei punti qualificanti del programma di governo annunciato da Berlusconi ». Il sottosegretario alla Salute, Cesare Cursi, tira l’acqua al suo mulino: «Sulle liste d’attesa ha vinto la linea Storace, il cittadino può ora rivendicare un diritto». Ma è proprio cosi? È vero che in campagna elettorale ognuno punta ad esaltare anche presunte vittorie. I presidenti delle Regioni non la pensano allo stesso modo. Ma andiamo per ordine. L’assegnazione dei 90 miliardi di euro del Fondo sanitario è statre il solo rinnovo contrattuale costerà 4,5 miliardi di euro. E non c’è nulla per ridurre le liste d’attesa». E sono proprio le liste d’attesa uno dei temi dolenti della sanità italiana. Cosa è successo? In primo luogo l’ipotesi Storace è stata cestinata e riscritta dai governi regionali. Il progetto dell’ex ministro della Salute prevedeva 100 prestazioni che dovevano essere erogate dalle Asl entro 90 giorni. Nel caso in cui le strutture pubbliche non avessero rispettato i tempi il paziente poteva richiedere ed ottenere la visita specialistica o l’esame specialistico in intramoenia senza spendere un euro. Una sanzione confermata ieri dal sottosegretario alla Salute Cesare Cursi. «Tutto falso. Cursi o non sa ta concordata dalle Regioni bocciando le ipotesi tracciate dal ministro Storace. «Il senso di responsabilità ci ha portato a una scelta di solidarietà reale tra le Regioni più ricche e quelle che dispongono di minori risorse economiche — precisa il governatore dell’Emilia Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani — con una crescita zero delle risorse rispetto al 2005. Il Fondo resta fermo mendi cosa sta parlando oppure siamo alle prese con un’affermazione di gravità inaudita — replica Enrico Rossi, coordinatore nazionale degli assessori regionali alla Sanità — noi abbiamo deciso di dare la precedenza assoluta alle emergenze e alle urgenze. Poi abbiamo fissato una griglia di sette “prime visite” specialistiche, per le quali le Regioni dovranno organizzare, entro 3 mesi, i piani attuativi. Tutto questo malgrado la finanziaria, al di là delle promesse, non abbia stanziato un euro in più per contenere le liste d’attesa. Il governo lancia slogan populisti, gli amministratori locali si muovono su cose concrete, con un alto senso di responsabilità nei confronti dei cittadini». __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 27 mar. ’06 BROTZU: DIECI MESI IN LISTA D'ATTESA PER I PICCOLI DEBOLI DI CUORE Soffi cardiaci, dolorini e visite per la palestra rinviati a dicembre. Il primario allarga le braccia: «Siamo addolorati ma dobbiamo dare la precedenza ai patolog Ci vediamo a Natale». Mamma Maria Grazia prende il figlio in braccio e lascia l'ospedale, incerta se dover essere felice, ché vuol dire che quel soffio al cuore del suo bambino non è poi così grave, oppure angustiata, perché del malessere del piccolo vorrebbe sapere tutto e subito. Invece, dovranno passare almeno nove mesi prima di fare ritorno al centro di Cardiologia pediatrica del Brotzu. Al secondo piano dell'ospedale di via Peretti le cose vanno così: «Le madri arrivano su consiglio del pediatra per una visita, ma a meno che non siano casi particolarmente urgenti o sospetti casi di cardiopatie non possiamo fare altro che rimandarle al Cup», allarga le braccia Roberto Tumbarello, primario del reparto. E lì, al centro unico di prenotazione ormai si è arrivati a fissare appuntamenti anche per febbraio 2007. Una lista d'attesa che si fa problematica, e della quale sono coscienti anche nella corsia dell'unico centro di cardiologia per bambini della Sardegna che si giustifica: «Il nostro organico è all'osso. Ci basterebbero due medici e una segretaria in più per abbattere i tempi di attesa. Ma stando così le cose siamo davvero addolorati di non poter fare di più, questo è il fallimento del sistema sanitario sociale» Per avvalorare le sue tesi il primario snocciola qualche numero: «Quattromila pazienti cardiopatici di tutta la Sardegna che seguiamo regolarmente, più altri tre-quattromila pazienti che vengono per controlli saltuari almeno una volta all'anno. Ogni giorno visitiamo anche 46 piccoli pazienti. E sono tutti patologici». Così soffi al cuore, «dolorini generici» e i certificati per attività sportiva restano ad aspettare. Una decisione categorica «e dolorosa» ma che è stata ritenuta il male minore in attesa che qualcosa cambi. «Sono anni che chiediamo un adeguamento - lamenta il pediatra cardiologo - sta spingendo anche il direttore generale dell'ospedale e abbiamo ricevuto una promessa pubblica da parte dell'assessore alla Sanità Nerina Dirindin ». Eppure ancora nulla. A RIMETTERCI, sono le «cose banali», perché «credo nel pubblico e preferisco che aspetti o si rivolga in qualche centro fuori dall'Isola un paziente non grave o chi ha bisogno di un certifi- cato», prosegue il medico, che poi incalza: «Ma forse la Regione non spende più a mandare fuori i pazienti che a far eccellere il nostro centro?» Intanto Maria Grazia e suo figlio di sei anni aspettano il prossimo 5 dicembre. Erano andati dal medico solo per un banale certi- ficato per l'attività sportiva ma il pediatra ha ritenuto necessario fare qualche accertamento. Adesso aspettano l'elettrocardiogramma sotto l'albero. Maria Graziae il figlio di sei anni prenotati per una visita sotto l'albero Erano andati dal pediatra per un banale certificato __________________________________________________ La Stampa 29 mar. ’06 DALLA GASTRITE L’ARMA ANTI-ALLERGIE SCOPERTA ITALIANA CHE SEGUE QUELLA DA NOBEL SULL’INFEZIONE DELLO STOMACO ALCUNI secoli prima di Cristo lo stratega cinese Sun Tzu sottolineò nel suo trattato «L'arte della guerra» come, per assicurarsi una vittoria, sia fondamentale conoscere il proprio nemico. L'antico guerriero aveva di certo chiaro che una buona conoscenza dell'avversario può permettere non solo di vincerlo, ma addirittura di trasformarlo in alleato! Nell'eterno conflitto tra la nostra specie e i microrganismi portatori di malattie gli insegnamenti di Sun Tzu trovano conferma in uno studio che sarà pubblicato nel numero di aprile di «The Journal of Clinical Investigation» da un gruppo di ricercatori italiani, guidati da Marina de Bernard, dell'Istituto Veneto di Medicina Molecolare di Padova, e da Mario Milco D'Elios, del dipartimento di Biomedicina dell'Università di Firenze. Lo studio ha preso in esame l'Helicobacter pylori, il batterio responsabile di gastriti e ulcere, e ha dimostrato come una proteina prodotta dal micidiale microrganismo possa servire a combattere allergie e malattie infettive che hanno sviluppato resistenza ai farmaci, come la tubercolosi. Per molto tempo si era ritenuto che gastriti e ulcere fossero dovute a stress e stili di vita poco sani: solo nell’82 Barry Marshall e Robin Warren hanno liberato innumerevoli pazienti dal senso di colpa di essere in qualche modo causa del proprio male. «I due scienziati, premiati con il Nobel nel 2005, hanno scoperto che il responsabile dei dolori di stomaco è l'Helicobacter pylori, e le loro ricerche hanno previsto l'uso di prove drastiche: Barry Marshall si è preparato una bibita a base di Helicobacter, l'ha bevuta e ha sviluppato l'ulcera. Oggi si calcola che questo batterio abiti lo stomaco di metà degli abitanti del pianeta e spesso è trasmesso da madre a figlio», spiega Marina de Bernard. Molti agenti infettivi di successo si preoccupano di controllare il più possibile il sistema immunitario del loro ospite e il maligno Helicobacter utilizza una strategia machiavellica: induce nella vittima una risposta difensiva che non è sufficiente a danneggiarlo, ma produce un’infiammazione cronica. Un tessuto infiammato è un piccolo paradiso per un batterio, perché vi vengono convogliati molti nutrienti, mentre alcune cellule muoiono, fornendo cibo all'invasore. «Proprio grazie alla proteina presa in esame nel nostro studio, di nome Hp-Nap, l'Helicobacter induce la produzione di sostanze che favoriscono la moltiplicazione di cellule chiamate linfociti Th1: in sostanza, globuli bianchi preposti alla produzione di molecole che potenziano la risposta immunitaria, in particolar modo stimolando la produzione di cellule che letteralmente divorano i microrganismi patogeni», scrive Marina de Bernard. A quanto pare, dunque, all'Helicobacter piace vivere pericolosamente, stuzzicando il sistema immunitario della vittima quel tanto che basta per garantirsi un luogo in cui prosperare, ma non così tanto da trovarsi in pericolo. E non è tutto. «Hp-Nap non solo provoca la moltiplicazione dei linfociti Th1, ma inibisce la produzione di altri linfociti, i Th2. Poiché le risposte allergiche dipendono proprio dall'eccessiva presenza di linfociti Th2, la nostra proteina è promettente per la prevenzione e il trattamento delle allergie», spiega Mario Milco D'Elios. Si tratta di una prospettiva molto interessante, dato che il problema delle allergie è assai diffuso e si calcola riguardi il 20% degli italiani. Nel frattempo le capacità di Hp-Nap sembrano prestarsi anche ad altre interessanti applicazioni: potenziando il sistema immunitario, sarebbe un'ottima arma per combattere malattie resistenti ai farmaci tradizionali, tra cui la tubercolosi. «Occorrerà molte altre ricerche prima di disporre di un farmaco per l'uomo», sottolinea Marina de Bernard. Com’è noto, i tempi della ricerca sono lunghi. D'altro canto George Orwell diceva che il modo più veloce per finire una guerra è perderla. E Sun Tzu non approverebbe. Barbara Gallavotti __________________________________________________ La Repubblica 30 mar. ’06 NUOVI ORDINI PER PROFESSIONISTI SANITARI È quanto dispone la legge 43 che riconosce l'esistenza di oltre 700mila addetti Ogni tanto gli ordini professionali fanno parlare di sé. C'è chi li difende e chi li "accusa" di essere "chiusi", ma in fondo sono accettati e semmai se ne rivendica un nuovo e più moderno "taglio". È di fatto indiscutibile che "gli ordini identificano i professionisti garantendone la loro deontologia e proteggono i cittadini dagli abusi e dalla scarsa qualificazione", spiega Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. Per questo si è pensato di redigere la legge 43 del 1 febbraio 2006 che detta "Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per i relativi Ordini" (G.U. n. 40 del 17/02/06). Legge che riconosce ufficialmente l'esistenza di un mondo sanitario finora rimasto inesplorato (circa 700mila addetti), stabilendo, quindi, non solo l'esistenza di una sanità diversa da quella prettamente medica, ma anche la possibilità di compiere un percorso formativo, nel rispetto della normativa europea, per ogni indirizzo di studi definiti "sanitari". "Con questa nuova legge", spiga Franco Vallicella, tesoriere della Ipasvi (Federazione Nazionale Collegi Infermieri professionali, Assistenti sanitari, Vigilatrici d'Infanzia), "è stata riconosciuta l'esigenza di una preparazione unica, teorica, formalizzata in ambito universitario, in grado di fornire tutte le capacità necessarie a organizzare l'assistenza infermieristica e non solo, poiché si tratta di una legge che viene applicata anche a tutte le altre professioni sanitarie". Secondo Gennaro Rocco, vicepresidente dell'Ipasvi, questa nuova attenzione per il mondo della sanità sarà "un vero e proprio investimento" per l'intera collettività grazie proprio all'istituzione e alla valorizzazione di organismi di autogoverno delle professioni. "Rendendo obbligatori i titoli di formazione avanzata per lo sviluppo delle carriere", conclude Rocco "si giungerà anche e soprattutto ad un innalzamento del livello di qualità delle prestazioni e dei servizi erogati dal nostro sistema nazionale". Soddisfatta di questa novità legislativa anche la Federazione nazionale dei tecnici sanitari di radiologia medica (Fntsrm), che comunque richiama l'attenzione sulla necessità di un continuo confronto "perché le premesse contenute in questa legge vengano sviluppate positivamente e valorizzate appieno con il costruttivo apporto delle professioni interessate", chiarisce Giuseppe Brancato, presidente Fntsrm. (laura cappozzo) __________________________________________________ Le Scienze 31 mar. ’06 NANOPARTICELLE DI ORO PER COLPIRE I TUMORI Legate a opportuni vettori, potrebbero arrivare ai tessuti voluti Nanoparticelle di oro possono funzionare come piccoli e precisi emettitori di calore che potrebbero trovare impiego in numerose applicazioni biomedicali. È quanto hanno scoperto i ricercatori dell’Ohio State University che hanno pubblicato i loro risultati sulla versione on line della rivista “Nano Letters”. Quando viene stimolato da radiazione laser della frequenza appropriata, un piccolo insieme di nanoparticelle di oro è in grado di riscaldare infatti un volume fino a mille volte superiore a quello proprio. Il fenomeno è stato osservato quando il campione, che non supera i 50 nanometri di diametro, è inglobato in una matrice di ghiaccio, acqua o un polimero con proprietà simili a quelle dei tessuti biologici. Sebbene il ghiaccio non si fonda quando viene riscaldato da laser di bassa intensità, viene dissolto quando riveste una particella di oro. L’altra caratteristica interessante del campione studiato è la sua capacità di trasmettere calore in modo mirato e preciso. La prospettiva è quella di arrivare a colpire con il calore un oggetto di dimensioni macroscopiche, come un tumore, associando le nanoparticelle di oro a opportuni vettori biologici, in grado di legarsi solo a certi tipi di cellule. “ciò che è affascinante è la possibilità di utilizzare oggetti che non si possono neanche vedere al microscopio ottico per produrre nei tessuti un effetto macroscopico”, ha commentato Hugh Richardson, che ha guidato la ricerca.