CLASSI DI LAUREA, FRENARE, LA SPERIMENTAZIONE - MENO RISORSE ALLE UNIVERSITÀ, 7 POLI IN CRISI - UNIVERSITÀ A CORTO DI RISORSE - UNIVERSITÀ PIÙ VIRTUOSE. CON IL PREMIO FINANZIARIO - UNIVERSITA’: SERVE UNA GESTIONE AZIENDALE - QUESTA UNIVERSITÀ MALATA - IL MONDO DEL SAPERE METTE LE ALI A LONDRA - UNIVERSITÀ: CAGLIARI VOLA PIÙ DI SASSARI GRAZIE AI SERVIZI NEL TERRITORIO - LA SFIDA DI GIOVANNI MELIS A MISTRETTA - ALLE URNE IL DICIOTTO MAGGIO - SAN BASILIO: IL RADIOTELESCOPIO PRONTO NEL 2008 - MASTER AND BACK, CORSA AL POSTO - DISPENSE «PIRATA» ALL' UNIVERSITÀ - ======================================================= LA NUOVA MEDICINA DELLA GLOBALIZZAZIONE - L'OSPEDALE È UNA PUBLIC COMPANY - DIRINDIN: «CLINICHE IN CRISI NERA? LA COLPA È DELLA GESTIONE ALLEGRA» - TRAMONTA IL BUSINESS DELLA SANITÀ: - CONCORSO. ASSEGNO DI RICERCA RISERVATO A BIOLOGI E MEDICI - I FISIOTERAPISTI ACCUSANO: TAGLI ANCHE SULLA RIABILITAZIONE - SCLEROSI MULTIPLA, DALLA SARDEGNA UNO SPIRAGLIO - SCLEROSI MULTIPLA, SEGRETI DI FAMIGLIA - FARMACI POLITICAMENTE CORRETTI - TESEO, SIMONA E NESA: TUTTI I «FIGLI» DEL TELE-CONSULTO - PROSTATA, I VACCINI E LE ASPETTATIVE - CANNABIS A POLARIS, NUOVO FARMACO ANTIDOLORE - CAGLIARI: PSORIASI, NUOVA FRONTIERA PER SCONFIGGERE LA MALATTIA - IL DENTISTA NACQUE NOVEMILA ANNI FA IN PAKISTAN - L'AMALGAMA NON INFLUISCE SULLO SVILUPPO NEURO-PSICOLOGICO - VERSO UN VACCINO CONTRO LA LEISHMANIOSI - L'AMALGAMA NON INFLUISCE SULLO SVILUPPO NEURO-PSICOLOGICO - CALCOLO DISTRIBUITO PER LA BIOLOGIA - ======================================================= ________________________________________________ Il sole24Ore 12 Apr.06 CLASSI DI LAUREA, FRENARE, LA SPERIMENTAZIONE DI GIUNIO LUZZATTO Con il decreto 270 dell'ottobre 2004. il ministero dell'Istruzione ha ritoccato le regole relative a tutti i corsi di studio universitari, di laurea e laurea magistrale (termine che sostituisce quella precedente di "specialistica"). Dunque, devono essere ridefinite tutte le "classi", le tipologie nazionali che inquadrano i corsi stessi. La predisposizione di questi provvedimenti ha richiesto del tempo, sicché salo nelle scorse settimane sono risultate pronte le relative bozze. Queste hanno provocato polemiche, anche sul Sole-24 Ore, soprattutto su due punti: era previsto che ogni corso di studio dovesse riconoscere i crediti maturati altrove, ed era previsto che l'attivazione dei corsi secondo il nuovo ordinamento potesse avvenire già nel 2006/07. A quanto risulta, nel testo che viene ora sottoposto alla Corte dei conti, il primo punto è stato corretto: mentre l’ipotizzata automatismo avrebbe cancellato l'idea stessa di autonomia universitaria, la nuova versione consente una valutazione caso per caso, incoraggiando peraltro, come è giusto, a tali riconoscimenti. Preoccupa, invece, la formula adottata per l’attivazione dei nuovi curriculum. Poiché sia la Conferenza dei rettori sia le Conferenze dei presidi di tutte le facoltà avevano unanimemente rilevato come questi curriculum non potrebbero essere seriamente progettati, se dovessero essere attivati già nel prossimo autunno (.e perciò resi noti a giugno, per le iscrizioni>, viene stabilito che essi dovranno decollare nell'ano accademico 2007108. Viene però consentito che "in via sperimentale" le. università possano attivarli immediatamente. derogando a tutte le regole che disciplinano l’istituzione di un nuovo tipo di corso universitario e rinviando all'anno prossimo la necessaria procedura di approvazione. Ciò 'e illegittimo, perché un decreto non può violare la legge in vigore. e questa precisa che «L'ordinamento degli studi è disciplinato, per ciascun ateneo, da un regolamento degli ordinamenti didattici, Il regolamento è deliberato dal senato accademico ed inviato al Ministero per l'approvazione. II ministro, sentito il Cun. approva il regolamento entro 180 giorni dal ricevimento, decorsi i quali senza che il ministro si sia pronunciato il regolamento si intende approvato». AL di là della legalità formale, peraltro importantissima, vi sono almeno due gravi questioni sostanziali. Guardando, come sempre si dovrebbe, aeli studenti. l'eventualità che un corso attuato sperimentalmente" non valga poi approvato al momento dell'applicazione delle corrette procedure comporterebbe per essi conseguenze pessime: anche se, come di consueto. ;li studenti potessero concludere i propri studi nel corso poi cancellato, si troverebbero con un titolo del lutto abnorme. : L'orientamento generale nelle università era stato quello di evitare la corsa al "nuovo purchessia". Responsabilmente, si è rilevato che non si tratta solo di fare i ritocchi, tutto sommato limitati. imposti calle modifiche alla normativa, ma anche, soprattutto. di cogliere questa occasione per riesaminare attentamene i modi attraverso cui il "3+2" si è attuato, per fare una puntuale analisi di che cosa ha funzionato e di cosa va coretto, per costruire i nuovi ordinamenti in base a tale analisi. Configurare. in poche settimane, la nuova offerta didattica significa rinunciare a tutto questo: è quello che farebbero le università che si affrettassero a "sperimentare". Sarebbero le meno qualificate, quelle interessate alla pubblicità e non alla qualità: ma in un clima di competizione potrebbero trascinare alcune delle altre. e in ogni caso, si tratterebbe della tipica situazione in cui la moneta cattiva caccia quella buona. ________________________________________________ Il sole24Ore 04 Apr.06 MENO RISORSE ALLE UNIVERSITÀ, 7 POLI IN CRISI Casi di dismissione Le Università campane in allarme dopo i tagli della Finanziaria 2006 e nell'attesa che si sblocchino tutti i finanziamenti regionali, Si studiano tagli alle spese, ma si rischia di limare proprio quei capitoli determinanti ai fini della distribuzione del Fonda di funzionamento ordinario (Ffo). Non è ancora quantificata l'incidenza dei tagli impasti dalla Finanziaria 2006 su Ffa ed edilizia, ma quel che 8 certo 8 che incideranno sulla erogazione di servizi agli studenti. Adddirittura per far fronte alla crisi la storica Università Federica II ha deciso di vendere quattro immobili che aggi sono meno utilizzati, II rettore della Federico II Guido Trombetti annuncia: «Siamo stati costretti a ridurre anche i trasferimenti ai dipartimenti can grave danno per la ricerca». Anche il part-time studentesco sarà ridotta -- seconda la confederazione degli studenti ci sarà un taglio di trecento posti - ma su questa punta l’Università spera di poter recuperare nel corso dell'anno, Una boccata d'ossigeno Potrebbe arrivare dalla Regione Campania che ha approvato e trasferito al Consiglio regionale il piano triennale per l'Università con un'anticipazione di 12,5 milioni in attuazione della legge 13 del 2004. Ma restano bloccati altri 52,5 milioni. ________________________________________________ Il sole24Ore 06 Apr.06 UNIVERSITÀ A CORTO DI RISORSE Il calo dei trasferimenti previsto dalla Finanziaria 2006 mette in ginocchio i sette poli della regione La Federico II cerca fondi: venderà quattro immobili - Allo studio riduzioni della spesa per part time e ricerca NAPOLI o Sos università. Tra i costi dei servizi che aumentano; il peso dei contratti del personale docente e amministrativo anch'esso in crescita, e, di contro, i trasferimenti statali che diminuiscono, le Università campane sono alle prese con la sempre più difficile arte di far quadrare i conti e studiano come e dove tagliare la spesa. Il rischio è che si finisca per tagliare proprio su capitoli di bilancio che risultano determinanti ai fini della distribuzione del Fondo di funzionamento or- " dinario (Ffo). Non è ancora quantificata, ateneo per ateneo, l'incidenza reale dei tagli imposti dalla Finanziaria 2006 su Ffo ed edilizia, ma quel che è certo è che incideranno sulla capacità di erogare servizi agli studenti. Per far fronte alla crisi, addirittura, la storica Università Federico II ha deciso di vendere i "gioielli di famiglia". Dismetterà tre o quattro immobili che oggi sono meno utilizzati. Anche il part-time studentesco sarà ridotto - secondo la confederazione degli studenti ci sarà un taglio di trecento posti - ma su questo punto l'Università spera di poter recuperare nel corso dell'anno. «Certamente non venderemo le aule o il rettorato. Almeno per oggi - dice con ironia il rettore della Federico II Guido Trombetti In verità stiamo attivando un processo di forte razionalizzazione allo scopo di tagliare alcune voci di spesa: manutenzione, aperture di sabato e domenica. Siamo stati costretti persino a ridurre i trasferimenti finanziari ai dipartimenti: ciò arreca un grave danno, poiché i dipartimenti organizzano la ricerca». Per le Università campane è anche difficile reperire risorse dagli iscritti in una regione in cui motivi di carattere sociale impongono di non carattere leva sulle tasse universitarie. Ciò nonostante i dipartimenti federiciani hanno dimostrato una buona capacità di attrarre risorse per circa 60 milioni sa un bilancio di oltre 400 (e con un disavanzo maturato lo scorso anno di circa 20 milioni). Si attende la stipula della convenzione con la Fondazione Compagnia di San Paolo che a febbraio aveva deciso un drastico taglio di risorse per il Sud scatenando polemiche poi placate con l'assegnazione di finanziamenti per 900mila euro. Una boccata d'ossigeno potrebbe arrivare dalla Regione Campania che nei giorni scorsi, dopo una lunga attesa, ha approvato e trasferito al Consiglio regionale il piano triennale della legge sull'Università con una anticipazione di 12,5 milioni in attuazione della legge regionale sull'Università (la numero 13 del 2004). Si tratta di una prima tranche dei 65 milioni stanziati per il triennio 2004-2006. La parte rimanente della somma (53 milioni) resta però bloccata per la mancata approvazione finale del regolamento da parte dello stesso Consiglio regionale, alla cui attenzione la Giunta lo ha inviato dalla fine del 2005. «Abbiamo subito con l'ultima Finanziaria nuovi tagli - afferma Antonio Grella, rettore del1a Seconda Università (Sun) e presidente del ` Comitato di coordinamento, regionale delle Università campane - Disponiamo di risorse molto scarse». La Sun prevede una spesa di 11 milioni connessa solo a oneri per il personale, e aumenti contrattuali. Per l’Orientale è già previsto un taglio delle docenze a contratto del 20% su un bilancio di 36 milioni. «Le ripercussioni si sentiranno soprattutto nel 2007», dice il rettore Pasquale Ciriello. Il rettore dell'Università di Salerno, Raimondo Pasquino, auspica una distribuzione trasparente e giusta delle risorse per il riequilibrio destinate agli atenei sottofinanziati. «La situazione è davvero drammatica - commenta - 5i spera molto nel 5 per, mille: a Salerno è stato costituito un comitato di garanti per assicurare che le risorse siano destinate ad attività di ricerca». L'Università del Sannio prevede tagli alle iniziative culturali e di rappresentanza. «La nostra università è nuova - spiega il rettore Aniello Cimitile - è cresciuta negli ultimi cinque anni. Ora comincia a incassare qualche buon risultato del lavoro svolto». AL coro delle lamentele si aggiunge la voce di Francesco De Sanctis, rettore dell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli (ateneo non statale con circa 14.000 studenti)'. «Cresce la domanda di università, ma cresce anche l'impossibilità, per certi versi, di gestirla». LAURA VIGOIANO ________________________________________________ Il sole24Ore 15 Apr.06 UNIVERSITÀ PIÙ VIRTUOSE. CON IL PREMIO FINANZIARIO La valutazione rafforza il sistema L’università e la ricerca, i settori strategici per l'innovazione e la competi zinne internazionale, in Italia sono sottofinanziate da molti anni. Spendiamo, per studente universitario, molto meno della media Ocse (il contrario avviene nella scuola) e soprattutto spendiamo male, senza controllare, o controllando troppo poco, il rapporto fra risorse e risultati. Il Fondo di finanziamento ordinario, che distribuisce la parte di gran lunga maggiore delle risorse. investite sulle università, è stato fissato una volte per tutte all'inizio degli anni 90, sulla base della spesa storica di ogni ateneo, e da allora cresce con il contagocce; quando non cala, come quest'anno. Le risorse aggiuntive assegnate agli atenei - con il Fondo di riequilibrio - come "premio" per i risultati raggiunti nella didattica e nella ricerca oggi sono una miseria: circa il 3,5% del totale. Le cifre fornite da Guido Fiegna, dirigente del Politecnica di Torino e massimo esperto della valutazione dei sistema universitario, per quest'anno sono di 275 milioni di euro su poco meno di 7 miliardi. Pino a due anni fa il Fondo di riequilibrio veniva assegnato alle università che rispettavano determinati parametri di tipo formativo: rapporto fra laureati e iscritti, percentuali degli studenti e laureati in corso, e cosi via. Ma da uri paio d'anni si comincia a tener conto anche dei risultati scientifici, in base ai quali oggi viene assegnato circa il 40% del Fondo. Le 18 organizzazioni imprenditoriali che il 21 marzo hanno firmato un documento sull'università chiedono che entro tre anni le somme assegnate in base al merito raggiungano il 20% del totale. « È l'unica strada seria per garantire che le risorse investite non vadano sprecate -- commenta Mario Stefanelli, 60 anni, prorettore dell'Università di Pavia con delega per la ricerca scientifica, dopo aver guidato per otto anni il Nucleo di valutazione dell'ateneo -. È una riforma che può trasformare i nostri atenei. Le piccole somme assegnate in base al merita hanno già fatto miracoli, innescando un vasto processo di emulazione. I fondi ordinari bastano a malapena per sopravvivere, e quindi ogni possibilità di sviluppo dipende dagli incrementi, per minuscoli che siano». Stefanelli è un informatico che studia le applicazioni dell'intelligenza artificiale alla medicina; ma uno dei campiti che si è dato è aiutare la politica a intervenire nel modo giusto per migliorare l'università. «Nei nostri atenei la valutazione dei risultati non è più ai primi passi. I Nuclei di valutazione, sperimentali fino a pochi anni fa, esistono ormai dappertutto. Dopo l'introduzione dei parametri qualitativi sulla didattica (il numero degli studenti in corso rispetto agli iscritti, la percentuale di esami superati nei tempi prescritti, i laureati in corsa, ecc.), finalmente, dopo vari tentativi su un cammino irto di ostacoli, si è introdotta anche una procedura per la valutazione obiettiva della ricerca scientifica». «Bisogna dare atto a Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione e della ricerca, - continua Stefanelli - di aver creduto nel progetta, aiutando una piccola pattuglia di pionieri a superare le resistenze dei colleghi. La risposta più frequente all'interno degli atenei era: non sr può misurare la qualità della ricerca. Tre anni fa però, su mandato della Conferenza dei rettori, abbiamo cominciato uno studio comparativo basato su due parametri: la produttività scientifica degli atenei, rispetto alle loro risorse (cioè al numero dei docenti), e la visibilità internazionale delle loro pubblicazioni scientifiche, calcolata in base alle citazioni registrate dall'Isi,. l’Institute of Scientific Information. Abbiamo ottenuto cosi una prima graduatoria, che abbiamo reso pubblica». «In seguita abbiamo adottato due indicatori semplici ma efficaci, proposti al Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvu) da Carlo Calandra e Guido Fiegna: il successo nei progetti di ricerca di interesse nazionale e la capacità dei progetti di acquisire risorse esterne all'ateneo. L'anno scorso il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr) ha introdotto un nuovo sistema. Ogni ateneo fa pervenire al Civr le ricerche che giudica migliori, in numero limitato: un quarto del totale dei propri docenti e ricercatori. Le ricerche sono sottoposte alla valutazione di un autorevole gruppo di esperti, non solo italiani, e a ognuna viene assegnato un punteggio». Guido Fiegna, 64 anni, fa parte del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario sin dal 1996, il suo anno di fondazione (allora si chiamava Osservatorio sulla valutazione), Utilizzando le strutture del Politecnico di Torino, Fiegna ha messo in rete tutti i dati sugli atenei italiani, compresi i bilanci e gli esiti dei progetti di ricerca di interesse nazionale. «Adesso ---- propone Fiegna -- bisogna stabilire il principio che fare ricerca non è un diritto ma un dovere per gli atenei. In Gran Bretagna è dal 1992 che lo Stato ha drasticamente ridotto i fondi alle università le cui pubblicazioni ricevono scarsa attenzione dalla comunità scientifica internazionale. È ora di fare la stessa cosa anche da noi». «La valutazione dei risultati sta dando buoni frutti - osserva Gian Felice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education. - Piuttosto di creare nuovi organismi, come l’Agenzia di valutazione chiesta con insistenza dalla Conferenza dei rettori, oggi è opportuno utilizzare a fonda i dati già disponibili. Non vorrei che la creazione di nuovi organi si trasformasse in un diversivo». La valutazione dei risultati, formativi e scientifici, degli atenei è ormai una realtà. Circa il 3,5% dei finanziamenti statali viene assegnato in base a parametri qualitativi: una percentuale esigua, che però sta già migliorando l'efficienza degli atenei. • Gli imprenditori propongono di elevare questa quota, entro tre anni, al 20% dei fondi complessivi. In tutte le università esiste un Nucleo di ateneo, che trasmette i dati rilevanti per la valutazione al ministero dell’istruzione e della ricerca. • La valutazione dei risultati formativi (percentuale di abbandoni, studenti e laureali in corso, ecc.) è compito del Comitato nazionale per la valutazione dei sistema universitario (Cnvu), creata nel 1996: Più recente è il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr); attivo da due anni. valutazione del sistema universitario (Cnvu) è slato creato nel 1996, con il nome di Osservatorio per fa " valutazione. ________________________________________________ Il sole24Ore 15 Apr.06 UNIVERSITA’: SERVE UNA GESTIONE AZIENDALE Una squadra di calcio potrebbero vincere il campionato, se a guidarla fosse un allenatore eletto dai giocatori? Eppure è proprio questo - spiega Gian Felice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education - che avviene nei nostri atenei Nella classifica delle 100 migliori università scientifiche il Politecnico di Milano è al 56° posto. È vero che dispone di risorse molto inferiori a quelle dei suoi concorrenti. Tuttavia sono convinto che nessuno dei 55 atenei che lo precedono sia governato da un corpo accademico che, come quello italiano, elegge i propri dirigenti e quindi risponde soltanto a se stesso». Gli imprenditori chiedono che le nostre università abbandonino l'attuale sistema di governo di tipo assembleare, e si adeguino ai criteri amministrativi di ogni azienda pubblica e privata, in cui i dirigenti rispondono del loro operato alla proprietà, oltre che al mercato e agli utenti. L'autonomia universitaria consentirebbe di realizzare una riforma ispirata a questi criteri, ricorrendo per esempio allo strumento della fondazione. Nessuno però si spoglia volontariamente dei propri poteri, e quindi non è realistico pensare che a introdurla sia il Senato accademico, ateneo per ateneo. Gli imprenditori chiedono perciò che sia lo Stato a provvedere, con una legge che si ispiri ai sistemi di gestione prevalenti negli altri Paesi; e nelle università non statali, nelle quali è il consiglio di amministrazione; nominato dalla proprietà, a nominare a sua volta gli organi direttivi. Il modello non è uniforme, poiché ogni ateneo ha la propria storia; come la Luiss di Roma, creata da Confindustria e dal Sole-24 Ore, e l'Università Commerciale Bocconi di Milano. «Da noi gli organi di governo nominati dal consiglio d'amministrazione, dice Attilio Oliva, 66 anni, vicepresidente operativo della Luiss (il presidente è Luca Cardero di Montezemolo) - collaborano entra un sistema flessibile, in cui nessuno prevale sugli altri, AL vicepresidente spetta l'indirizzo strategico, al direttore generale la gestione delle risorse, al rettore l'indirizzo scientifico, in questo modo é possibile garantire un alto livello dei corsi e del personale docente, indispensabile per ottenere buoni risultati e conquistare iscritti, senza trascurare un'oculata gestione delle risorse, basata sulla verifica costante del rapporto fra costi e benefici». «La nostra struttura, in parte diversa, persegue un'analoga divisione dei poteri - spiega Angelo Provasoli, 63 anni, rettore della Bocconi dal novembre 2004. - Il consiglio d'amministrazione, che nomina sia l’amministratore delegato sia il rettore, ha il compito di approvare non solo il piano strategico dell'ateneo ma anche le nomine dei nuovi docenti. Sulle nomine il rettore non ha alcun potere: sono proposte dalle facoltà, su indicazioni del Comitato per le risorse umane, del quale fanno parte anche il direttore generale e professori esterni alla Bocconi. La ricerca è gestita in modo totalmente autonomo dai vari dipartimenti. Tutti i nostri docenti sono sottoposti a una valutazione periodica dei risultati didattici e scientifici». A.CAS. ___________________________________________________ Repubblica 21 apr. ’06 QUESTA UNIVERSITÀ MALATA L’Università italiana è malata: gravemente. Da questa diagnosi pochi dissentono. Sulle cause del male, e sui rimedi conseguenti, le opinioni si moltiplicano e, ovviamente, divergono. Nessuno, però, - nessuno nel senso letterale del termine, - ne indica una, che è al tempo stesso la più semplice e la più decisiva. L'Università (almeno quella italiana) è un sistema binario; svolge e produce ricerca; realizza e offre formazione e didattica. Il sis t ema b e n funzionante tiene in equilibrio e mette in rapporto le due cose; va in rovina invece quello in cui uno dei due canali prevale troppo nettamente sull'altro. Non s'è mai visto, se non nei bei tempi andati (e anche allora in una forma molto particolare), che nel sistema universitario italiano la ricerca prevalesse sulla formazione e la didattica. Più frequentemente è accaduto il contrario. L'introduzione della legge di riforma degli ordinamenti didattici, conosciuta come legge Berlinguer, ha accentuato enormemente tale tendenza, soprattutto nei settori umanistici ed econ o m i c o - s o c i a l i . Una Università in cui la didattica prevalga nettamente sulla ricerca, fino al punto di soffocarla, diventa una grossa Scuola Media superiore, con tendenza al degrado. Questa è la strada su cui si avvia l'Università italiana. Anche di questa fenomenologia si possono dare diverse spiegazioni e suggerire diversi rimedi. Io indicherò delle une e degli altri la più semplice e il più semplice, perché ambedue strutturali: riguardanti cioè il modo d'essere, istituzionalmente parlando, dell'Università italiana attuale. Il Dpr 382 del 1980 (attenzione: più di venticinque anni fa, poi più nulla), introduceva, interpretando una legge parlamentare, le uniche modifiche sostanziali nella struttura dell’Università italiana dopo le leggi fasciste, e cioè: i Dipartimenti («strutture primarie e fondamentali per la ricerca, omogenee per fini e per metodi », autonome e indipendenti rispetto alle Facoltà e dotate QUESTA UNIVERSITÀ MALATA perciò di un governo proprio); e i Dottorati di ricerca (cui veniva affidato il compito dell'alta specializzazione post lauream). Inoltre, quel Dpr rafforzava e disciplinava il finanziamento dello Stato per la ricerca scientifica alle singole Università, traducendo in pratica una precisa intenzione del legislatore. Alle Facoltà, articolate nei Corsi di studio, restava il compito di organizzare la formazione e la didattica (essendo oltre tutto, com'è ovvio, insufficienti le competenze disciplinari del singolo Dipartimento a formare un profilo professionale). Ora, la mia tesi è che da quel Dpr non si è andati avanti: anzi, si è tornati indietro. E cioè: non c'è stato nessun ulteriore tentativo, né legislativo né locale, di armonizzare il sistema binario che in tal modo s'era creato. La forza inerziale delle abitudini e la pressione conservatrice dei gruppi di potere accademici hanno fatto il resto. In campi come questo preferisco parlare di fatti, e i fatti sono questi. Se il sistema è binario, bisognerebbe fosse governato, in ognuno dei suoi snodi e soprattutto al vertice (Senato accademico e Consiglio di amministrazione) da una rappresentanza paritetica delle due funzioni fondamentali, e cioè ricerca e didattica. Nemmeno per sogno. Le Facoltà, - oltre tutto generalmente organismi pletorici e disomogenei, e perciò più facilmente controllabili da logiche ALBERTO ASOR ROSA di potere, - filtrano e dominano le funzioni più decisive (per esempio, le chiamate) e gestiscono fondamentalmente la rappresentanza negli organismi centrali. Non credo che sia mai diventato Rettore di una Università italiana un Direttore di Dipartimento: a quella carica si accede solitamente passando per la Presidenza di una Facoltà. Ovviamente la Crui (Conferenza dei rettori delle Università italiane), massimo organo di gestione dell'autonomia universitaria, è formata di Rettori, che sono stati tutti Presidi (e anche, per la precisione, tutti maschi, salvo un'eccezione, se non erro). Questo dunque ha significato che per venticinque anni la ricerca, - di cui si dovrà riconoscere che è il motore e l'alimento della didattica, - ha dovuto lottare per farsi strada nel ginepraio di un sistema incompiuto. Voglio dire: l'impoverimento culturale, che ne è seguito e che oggi è sotto gli occhi di tutti, è altrettanto strutturale della causa che lo ha provocato. Qualcuno oggi studia perfino come riassorbire i Dipartimenti nel sistema- Facoltà (potrei fare degli esempi). In questo quadro diventa comprensibile che si spostino perfino i segnali della (cosiddetta) produttività universitaria sui fattori più esterni della stessa. Per esempio, e in modo totalitario e analiticamente ingiudicabile, sul numero degli studenti iscritti e/o laureati. Ne deriva pressoché automaticamente la proliferazione, favorita dalle Facoltà, di Corsi di Studio (e Master), la cui funzione è fondamentalmente quella degli specchietti delle allodole per gli studenti (gli ambiti più f r e q u e n t eme n t e esibiti in questa galleria delle innovazioni sono la moda, il turismo, lo sport, la tv, il mercato culturale, ecc.). Altra cosa sarebbe, ovviamente, la creazione di un serio sistema di valutazione della ricerca (nei diversi ambiti e, io direi, con diversi criteri). Cioè: all'Università ci si può vendere, ma solo fino ad un certo punto, e non come priorità. Il Mercato! ecco l'altra grande parola magica dell'attuale situazione d'incertezza e di sfascio: chi più vende la propria merce, avrebbe più valore. Ma questa regola non funziona nel sistema binario finora descritto. Ecco: la funzione dell'Università italiana, che è e resta squisitamente "pubblica" (e non privata), deve servire a ristabilire la corretta gerarchia dei valori. Alcuni hanno pensato, riflettendo su questa situazione, all'istituzione di una serie di organismi di alta specializzazione, che si collocherebbero di fatto più a lato che non dentro il sistema universitario italiano. Naturalmente nulla di ciò che si presenta e vuol essere buono va rifiutato. Ma chi arriverà fra i giovani (e come, e in quali condizioni) all'alta specializzazione, riuscendo a trarne giovamento? È nel corpo gigantesco e unitario dell'Università italiana, - al livello e in connessione con i corsi normali, - che l'intervento a favore della ricerca e di chi la rappresenta andrà operato. Perché, se il sistema non ritroverà rapidamente il suo equilibrio, presto sopravverrà l'asfissia. ________________________________________________ Il sole24Ore 15 Apr.06 IL MONDO DEL SAPERE METTE LE ALI A LONDRA Concentrata nella City, l'industria dei servizi ad alto valore aggiunto alimenta una crescita pari quasi al doppio di quella britannica DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA a A dispetto del rallentamento dell'economia britannica, Londra pare destinata anche quest'anno a sfidare le forze di gravità. Secondo le previsioni del think-tank Cebr (Centre for Economics and Business Research), la crescita sarà del 3,6%, quasi il doppio del resto del Paese. A dare una spinta ci penserà la City. che sta attraversando un nuovo boom. Più in generale, lo sviluppo trarrà linfa da quel gigantesco volano che va sotto il nome generico di economia della conoscenza (knowledge economy) e che sta facendo della capitale britannica sempre più un'isola nell'isola, un gigantesco campo magnetico autoreferente che risucchia al ritmo di 100mila immigrati all'anno le migliori energie, non solo dalla vicina Europa, ma da tutto il mondo. Chi teme la deindustrializzazione dell'Italia ed è scettico sulla possibilità che il settore dei servizi possa sostituirsi a quello manifatturiero, può trarre parziale conforto da questa grande magia che continua a svilupparsi Oltremanica. Una Cosmopoli di cento città intrecciate ira loro, tutte rigorosamente specializzate in diversi servizi: su una popolazione attiva di 4,5 milioni, meno di mezzo milione lavora nell'industria e nelle costruzioni. Ma è la restante parte che fa di Londra un mondo a sé. Circa metà degli addetti nei servizi, più dell'intera popolazione di Milano, è infatti concentrata in aree ad alto o altissimo valore aggiunto. Quelle che, secondo un recente studio di Oxford Economie Forecasting, danno a Londra il vantaggio competitivo nel mondo. Prima tra tutte è la City che, con oltre 320mila persone, cui vanno aggiunte altre 80mila nel quartiere di Canary Wharf, nei Docklands, ospita una popolazione di professionisti equivalente all'intera Francoforte. Con un pil di 42 miliardi di sterline (60 miliardi di curo). conta per un quarto di quello di Londra, ma occupa solo il 7% dei lavoratori della capitale. Quanto è più importante, la City pesa per il 35% di tutti i servizi finanziari europei. Sulla City esistono interi trattati, da riempire una biblioteca. Meno noti sono altri `primati" di questa città ultra specializzata, che ogni giorno non cessa di stupire. Londra è la capitale europea della pubblicità, con 83mila addetti. tanti quanto la popolazione di Treviso. Ed è la capitale dell'industria musicale, con un numero simile di impiegati che equivale circa al totale dei colleghi nel resto d'Europa. Lo stesso numero di dipendenti vantano assieme architettura e design. Immaginiamo ora una città come Trieste, in cui gli abitanti lavorano esclusivamente nella- radio e televisione. nell'editoria, nel cinema e nella pubblicità. che possiamo contare nuovamente. dato che dei media fa parte. Secondo il computo di Gla Economics, think-tank del sindaco di Londra, quella che viene definita l"industria creativa conta 652mila persone, tante quante la popolazione di Palermo secondo il censimento del 2001. Un londinese su sette lavora per il settore creativo. Secondo gli ultimi dati disponibili, l'economia creativa è cresciuta tra il 1995 e il 2000 al ritmo "cinese" dell'8,6% all'anno. Bologna è nota per l'Università. Londra contiene una popolazione universitaria. tra studenti accademici e personale di supporto, di 4:10mila persone, superiore all'intera cittadinanza del Comune del capoluogo emiliano. Questa marea umana può solo prosperare grazie a una grande città: Il prospetto illustrativo di London Higher, l'organizzazione che promuove il sistema universitario della capitale ne va fiero: «Gli studenti possono mantenersi con lavori part-time e sostenere i costi elevati della capitale». Un'ammissione sui prezzi proibitivi della città inglese. A Londra, d'altronde, oltre un terzo della forza lavoro ha un diploma e il 16% è laureato. L'elevato livello d'istruzione contribuisce a una produttività per addetto del 27% superiore alla media britannica e a un tasso d'imprenditorialità superiore del 50%n. B questo virtuosismo spiega perché un terzo degli investimenti esteri della Gran Bretagna, che attrae a propria volta un terzo di tutti gli investimenti diretti in Europa, giunga a Londra. Ma il cuore pulsante di questa galassia umana di creatività, accademia, informazione e finanza è data da quella legione di 40mila persone ultra specializzate nella ricerca universitaria, scientifica, economica e sociale distribuite tra accademie, laboratori. thinktank e banche d'affari in veste di analisti finanziari, economisti ed esperti di prodotti derivati. In un incredibile convergenza di cervelli; come rileva Brian Hood, responsabile del reclutamento di neolaureati del colosso bancario Citigroup: «A misura che i nostri prodotti diventano più complessi assumiamo sempre più persone con dottorati di ricerca. Tra questi numerosi ingegneri, tra cui elettronici e chimici, dato che vi è un gran bisogno di capacità analitiche». Nella City li chiamano i rocket scienrists. Non è un caso che i neolaureati dell’mperial College. l'università tempio di studi scientifici e matematici di Londra, mettano in testa ai 10 datori di lavoro ideali 6 istituti finanziari, 2 società di consulenza e 2 di ingegneria. 501o due hanno a che vedere vagamente con la scienza in senso stretto. Tutto il resto è conoscenza, in senso sempre più lato. MARCO ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 apr. ’06 UNIVERSITÀ: CAGLIARI VOLA PIÙ DI SASSARI GRAZIE AI SERVIZI NEL TERRITORIO Come vengono spese le risorse finanziarie nelle due realtà dell’isola: 163 milioni di euro per il Nord, 250 milioni per il Sud PIER GIORGIO PINNA SASSARI. Tante nuove messe a fuoco: le foto in parallelo delle due università sarde riservano scatti con conferme e sorprese. A partire dalle risorse: ogni anno 250 milioni vanno a Sud, 163 a Nord. E Cagliari conta su un’efficace rete di servizi e infrastrutture. La parola ai numeri. Da una parte, nell’università che fu di Pacinotti e Brotzu, più di 36mila studenti e oltre 1200 professori. Dall’altra, nell’università di Cossiga e dei Segni, poco meno di 16mila iscritti e più di 700 insegnanti. E se il corpo docente presto aumenterà in entrambi gli atenei, dappertutto appaiono in leggera crescita risorse per i centri di eccellenza, razionalizzazioni didattiche, investimenti immobiliari. Accompagnati da strumenti per diffondere cultura come i Master and Back. Elementi, fin qui, positivi. Sulla ripartizione dei fondi continuano però a serpeggiare logiche di campanile. E allora qualche dato in più può forse consentire di lasciare alle spalle strategie che non giovano. E, insieme, permettere di radiografare le due realtà in maniera circostanziata. Non contano, in effetti, i soli fondi di Ministero, Regione, Ue e i contributi derivanti dalle tasse. Bisogna confrontare forze e mezzi disomogenei. Spiega l’economista Marco Vannini: «Sassari è una città dentro l’università, Cagliari un’università dentro la città». Non è un gioco di parole, ma la sostanza dei fatti. Qualsiasi iniziativa delle facoltà sassaresi influisce su un capoluogo senza più ruolo guida: la patria dei Berlinguer oggi dipende dall’efficienza dell’ateneo (oltre che da ospedali, banche e poco altro). Così il Nord Ovest, pur avendo modernizzato prima la ricerca (è il caso del centro di Porto Conte), ha sempre più bisogno di attrarre talenti. In parte Cagliari vive invece di rendita: l’ateneo è una delle fonti di ricchezza, non la sola. Per capirlo basta confrontare la mole d’investimenti in settori come telematica, innovazione, collegamenti. E pensare a snodi di sviluppo come il Crs4, ai rapporti rilanciati con Polaris, Cnr, sanità, commercio e industria. I raffronti chiariscono. E un punto appare evidente: a fare la differenza non sono i 90 milioni l’anno che separano il monte-risorse delle due università», ammettono a Cagliari. Stesso discorso vale per il 15% di stanziamenti regionali in meno per Sassari: non è qualche milione l’anno a marcare il divario. E allora? Nel meridione dell’isola esiste una rete di sostegno: insufficiente quanto si vuole rispetto agli standard europei, ma c’è. Nel settentrione ci si confronta col vuoto, o quasi. Così l’ateneo turritano opera tra profonde debolezze. Studenti e prof mettono in rilievo il basso reddito pro capite (Sassari è al numero 73 in campo nazionale con 15.670 euro a famiglia) e, per le imprese, l’alto indice di mortalità seguito dal basso indice di natalità. Il tasso di occupazione è poi del 50,4% a fronte del 56% dell’Italia e del 62% dell’Ue. E ciò limita le sinergie con le aziende. Più confortanti, invece, sebbene dentro statistiche che rientrano nel Mezzogiorno italiano, le medie del Cagliaritano. Alcuni mali di tutti e due gli atenei, poi, sono in comune con le «accademie» nazionali. La ricerca mai al centro della competizione. Meccanismi di selezione basati su pressioni ovunque giudicate paramafiose. L’autonomia accademica spesso apparente. La carenza di molti servizi. Nessuna soluzione per agevolare i ricercatori che ottengono risultati. Penalizzazione dei giovani brillanti con fuga di cervelli all’estero. Altre questioni appaiono al contrario specifiche della Sardegna. Si va dai rapporti con le diverse zone dell’isola costruiti solo con gemmazioni al mancato avvio in aree strategiche di poli d’eccellenza per turismo e biotecnologie. Non è un caso che Paolo Pani, docente di Patologia generale, in una «lettera aperta su ateneo cagliaritano ... e dintorni», titolo «Università addio», edizioni Cuec, continui a parlare di «riformismi sindacali», di «diritto allo studio», «baroni» e «gradi di libertà». Il cammino è insomma tortuoso. Ma perché dovrebbe tradursi in un conflitto tra le due università? A Sassari il prorettore Attilio Mastino, uno dei maggiori storici sardi dell’antichità romana, pone l’accento su alcuni interventi possibili. Compresi lo sviluppo dei prodotti di eccellenza e la lotta alle duplicazioni dei corsi di laurea. «L’università - osserva poi - è un grande bacino: elabora modelli concettuali che defluiscono nella società. Nelle norme regionali, per evitare polarizzazioni selvagge, va perciò recepito il tema-base del riequilibrio territoriale. La nostra responsabilità in Sardegna è rilevante: le innovazioni avranno riflessi positivi sull’intera società. Di qui la prospettiva di guardare ai bisogni contribuendo a immaginare nuovi scenari e nuovi orizzonti». E ancora: «La vitalità del nostro ateneo è legata alle sue radici secolari, alla tradizione culturale, a energie interne che possono trasformare le facoltà nei luoghi delle identità, del sapere disinteressato che oggi non può però ignorare la pervasività dei saperi tecnici». A Cagliari l’hanno capito da tempo, come dimostrano molti accordi fra partiti avversari nell’interesse superiore del territorio: dal porto canale alle iniziative per l’arte. Incalza Vannini: «Una delle nostre debolezze è legata al desiderio da parte della Regione di disegnare l’università in maniera dirigistica. Un esempio? Eccolo. S’identifica Sassari come centro destinato alle specializzazioni in Agraria e Veterinaria. E’ una falsa prospettiva: ci sono sì questi gioielli, ma ne esistono altri. Dalle nanotecnologie alle biometrie. Dall’ingegneria connessa alle costruzioni alle scienze biomediche e all’economia». I rimedi? «Uno è iniziare a pensare che una sana competitività tra atenei non sia di per sé lesiva - conclude l’economista - Un altro prevedere incentivi per le strutture che hanno ottenuto buoni risultati. L’ultimo che una quota apprezzabile dei finanziamenti regionali si fondi su bontà dei progetti e verifica dei successi, a prescindere dal peso attuale delle due università». Cagliari. Il rettore Pasquale Mistretta «Investimenti diffusi in tutta la Sardegna» CAGLIARI. Poli di eccellenza, nuove facoltà, interventi mirati diffusi in tutto territorio dell’isola, ruolo sociale dell’ateneo, autonomia didattica in un mercato sempre più globale, biotech avanzate, ulteriori impulsi alla modernizzazione della ricerca. Come il suo «omologo» sassarese, il rettore Pasquale Mistretta ha idee chiare e compiti gravosi sulle spalle circa il futuro dell’università. Vediamoli. Formazione. «E’ giusto che la Regione faccia la sua parte: dove c’è qualità d’investimenti ci sono competitività e lavoro. La Giunta ragiona sul mercato internazionale, privilegiando le esperienze in Europa e negli Usa con voucher, visiting professor e strumenti che dovrebbero consentire di superare gap negativi. L’università, l’intera università italiana, deve però poter contare sulla propria autonomia. E’ dunque tenuta a insegnare a tutti i giovani, non solo alle punte avanzate. E noi come ateneo ci sentiamo responsabili di questa doppia missione: da un lato ci sono la ricerca e la concorrenza del futuro, dall’altro lato esistono comunque i problemi dei ragazzi e della realtà nella quale operiamo. Bloccare in toto gli aiuti agli enti di formazione non serve. Bisogna al contrario svolgere quest’attività in modo più efficace. Tutti insieme dobbiamo insomma capire in che misura si possa incidere sulle nuove povertà e sulla sfiducia delle famiglie. Per me è un vero cruccio non poter dare risposte di lavoro a chi lo merita, e nell’isola sono in tanti». Campanili. «Anche per questi motivi l’ateneo di Cagliari ha a cuore gli interessi dell’intera Sardegna. Ho 73 anni, sono rettore da 15 e mi candido per un altro mandato. Non lo faccio perché mi ritengo indispensabile: nessuno lo è. In realtà, i motivi sono altri: garantire una democrazia accademica senza ingerenze politiche e mantenere una visione equilibrata sia tra le facoltà sia con le nuove generazioni di studenti. In questo senso mi porto dietro una disponibilità nei confronti di tutta l’isola: non sono mai stato uomo di campanile». Architettura. «La scelta d’istituire Architettura, specie sotto questo riguardo, non dev’essere mal interpretata. Noi pensiamo a una facoltà fondata su un’impostazione che si basi sulle costruzioni piuttosto che sulla libera progettazione. Alghero ha una qualità di prodotto con il suo punto di forza nel paesaggio, rappresenta una realtà fortemente caratterizzabile. Cagliari dovrà fare i conti con la scuola d’ingegneria e si muoverà in un entroterra formativo- culturale altrettanto ben definito ma diverso. In definitiva noi e Alghero siamo destinati a specializzarci in campi non sovrapponibili». Ricerca. «Nei miei interventi, anche nel settore dell’indagine scientifica, ho spesso messo l’accento sul rilievo che hanno per l’ateneo i giovani e le donne. Costituiscono una risorsa, un valore aggiunto. Noi tutti, poi, andiamo sempre più verso una società multietnica. E anche perciò dobbiamo tenere come punto fermo la cultura delle diversità. Ci attendono sicuramente nuovi scenari, sia nella didattica sia nella ricerca. Abbiamo di fronte prospettive e problemi dipendenti persino dall’allungarsi della vita umana. In tutto questo, per una nuova impostazione delle scienze e delle tecnologie, l’ateneo deve reinterpretare i processi di cambiamento. E in un simile contesto, lo ribadisco ancora, la chiave per affrontare i fenomeni e analizzare gli avvenimenti non può che avere una dimensione regionale». (pgp) Sassari. Il rettore Alessandro Maida «Strategico il polo Agraria-Veterinaria» SASSARI. Nascita dell’azienda mista nella sanità, rilancio di Agraria- Veterinaria, creazione di un sistema d’interesse diffuso città-ateneo, confronto con le altre realtà dell’isola. Sono soltanto alcune delle sfide che attendono l’università di Sassari fin dai prossimi mesi e che probabilmente la impegneranno per i prossimi anni. Il punto della situazione con il rettore, Alessandro Maida. Eccellenza. «Nel piano coordinato con la Regione è prevista la costituzione del polo Agraria-Veterinaria e dell’azienda zootecnica. In passato si era parlato di una sede a Mamuntanas. Ora, più opportunamente, la scelta cade su Bonassai. Qui esistono strutture regionali che saranno così integrate. Per le due facoltà bisogna dunque pensare a un trasferimento da Sassari. Non è un passo indolore. Ma la strategia del nostro ateneo e della Giunta Soru darà risposte ad aspetti della formazione e della ricerca che ci permetteranno di essere più competitivi. La Regione stanzia 40 milioni in tre anni, noi 10. Il vantaggio è evidente: l’accreditamento in Europa ai massimi livelli. Esiste però più di un problema, legato soprattutto al rischio-svuotamento di un capoluogo che s’impoverirebbe ancora di più. Da qui l’assoluta esigenza di precisi requisiti. Il campus sarà diurno: nelle ore di non attività studenti e professori continueranno a gravitare su Sassari. E’ inoltre previsto un piano per il collegamento navetta su rotaie che consentirà di raggiungere la nuova sede in un quarto d’ora. Per quanto riguarda sempre l’eccellenza, comunque, non trascureremo altri campi. A cominciare dalla biodiversità: settore che vede le sinergie di Agraria, Scienze, Farmacia e Medicina». Legami. «Con i contatti che abbiamo intrapreso con Comune e Provincia si assiste a un risveglio di collaborazione: la ripresa di Sassari, come dimostra l’intesa per la riqualificazione dell’area del vecchio mattatoio, è possibile a patto di valorizzare tutti gli aspetti culturali e ricreativi. Un altro punto centrale di sviluppo sarà rappresentato dal pieno utilizzo dell’auditorium comunale in via di ultimazione». Architettura.«La facoltà sta decollando. Ottime le collaborazioni con il Comune di Alghero e con l’arcivescovado, che ha fornito locali per le aule. Ora s’inserisce Cagliari con una iniziativa parallela. Non vedo un danno gravissimo: le iscrizioni sono a numero chiuso. L’importante è che non ci siano sovrapposizioni e che i processi formativi vengano differenziati». Unità. «Credo ci sia spazio, in generale, per moderne allenze con Cagliari su servizi inter universitari, scuole di specializzazione, progetti integrati di decentramento, altre aree di comune interesse. Riuniti in consorzio con imprese private, di recente abbiamo partecipato insieme al progetto per l’ateneo telematico: confidiamo che le università di Cagliari e Sassari unite possano vincere la gara d’appalto». Azienda mista. «Crediamo in una nuova organizzazione della sanità nel territorio con una forte prevalenza dell’università. Anche qui l’impegno maggiore consisterà nell’evitare le duplicazioni. Penso inoltre che nei rapporti con l’Asl possa passare anche da qui non soltanto un intelligente processo di riqualificazione di personale e servizi, ma anche una logica di maggior efficienza e diminuzione degli sprechi». (pgp) ___________________________________________________ L’Unione Sarda 20 apr. ’06 LA SFIDA DI GIOVANNI MELIS A MISTRETTA Università. Dopo Giuseppe Santa Cruz un altro aspirante alla carica di rettore «Mi candido per dare agli elettori la possibilità di scegliere» Ex preside della facoltà di Economia e Commercio, il docente di economia aziendale punta a dare voce al "polo di viale Fra' Ignazio". «La mia non è una candidatura contro Pasquale Mistretta ma voglio dare agli elettori l'opportunità di scegliere». Giovanni Melis, cagliaritano classe '45, professore ordinario di Economia Aziendale dal '90 all'Università di Cagliari, scioglie le riserve e ufficializza la sua candidatura alle prossime elezioni a rettore dell'Ateneo. Ex presidente dell'Ersu e della banca Cis, ex preside della facoltà di Economia, attualmente, oltre alla sua professione di docente, ricopre la carica di direttore del dipartimento di ricerche aziendale e di componente del Consiglio d'amministrazione dell'Università. Con Melis diventano due i candidati ufficiali alle prossime elezioni, dopo Giuseppe Santa Cruz, docente di Medicina. Il rettore uscente, Pasquale Mistretta, dovrebbe uscire allo scoperto nei prossimi giorni. La corsa alle elezioni è dunque iniziata. LE MOTIVAZIONI«Competere con un rettore che governa da quindici anni non è facile», dice Melis, «ma è una manifestazione di fiducia alla volontà degli elettori di rinnovare l'Ateneo. È giusto dare una valida alternativa perché c'è un disagio diffuso nell'ambiente universitario, dovuto soprattutto alle modifiche di Statuto, che non sono avvenute all'unanimità». Malumori che arrivano soprattutto dal polo di viale Fra' Ignazio, con le facoltà di Scienze Politiche, Economia e Giurisprudenza. IL PROGRAMMA «L'Università di Cagliari si trova di fronte a diverse sfide: dobbiamo essere in grado di vincerle». Melis ricorda che «i finanziamenti per gli Atenei saranno sempre più correlati con la capacità di esprimere una ricerca eccellente ed alta formazione. L'Università di Cagliari inoltre non è abituata alla cultura della competizione». Per questo Melis punta a «un potenziamento della ricerca scientifica e della formazione, attraverso un progetto strategico pluriennale, condiviso e partecipato», a differenza «dell'autoreferenzialità e delle logiche di breve respiro che hanno caratterizzato la gestione dell'Ateneo». Il docente di Economia Aziendale pensa inoltre a «una responsabilità operativa delle facoltà, dei dipartimenti e delle aree scientifiche», e a «un aumento degli investimenti della ricerca di base». Per gli studenti Melis programma «una maggiore disponibilità di aule, biblioteche, laboratori, e una migliore organizzazione delle lezioni e degli esami». Nel programma c'è poi spazio per il Policlinico e per le infrastrutture: «Aspetto comunque il contributo di tutti»; conclude Melis. La sfida a Mistretta è lanciata. Matteo Vercelli ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 apr. ’06 ALLE URNE IL DICIOTTO MAGGIO Riuscirà Pasquale Mistretta a ottenere il sesto mandato consecutivo? Hanno qualche possibilità di vittoria i suoi rivali? Le risposte ai quesiti che serpeggiano negli ambienti universitari arriveranno il 18 maggio, quando si terrà la prima tornata delle elezioni del rettore dell'Università. Necessaria la maggioranza assoluta. Altrimenti si tornerà al voto il 30 maggio. Se ancora una volta nessuno riuscirà a ottenere il consenso assoluto, il 6 giugno andrà in scena l'ultimo atto, il ballottaggio. Saranno chiamati al voto oltre 1.500 elettori: 1.251 docenti, 200 rappresentanti degli studenti e 126 grandi elettori del personale non docente. Oggi (dalle 9 alle 17) e domani (dalle 9 alle 14) i circa 1.200 dipendenti, non docenti, dell'amministrazione universitaria eleggeranno i 126 grandi elettori. Sono stati costituiti cinque seggi: l'aula degli specchi (Scienze della Formazione), l'aula B (dipartimento Scienze Botaniche, viale Fra Ignazio), l'aula 1 (Lingue, ex clinica Aresu), l'aula 11 (Cittadella di Monserrato) e l'aula didattica, (Policlinico Universitario). (m. v.) ___________________________________________________ L’Unione Sarda 16 apr. ’06 SAN BASILIO: IL RADIOTELESCOPIO PRONTO NEL 2008 San Basilio. Bandito l’appalto per la strumentazione Tutto è pronto a San Basilio per l’installazione del più grande radiotelescopio in Europa. Terminato il basamento sul quale sorgerà l’antenna, ora sono stati appaltati i lavori per completare l’opera. Lo scorso 20 marzo una multinazionale tedesca ha vinto la gara d’appalto, subito dopo le festività di Pasqua inizieranno ad arrivare i materiali per la costruzione del radiotelescopio. Intanto sono in fase di realizzazione anche gli edifici circostanti e le strutture che accoglieranno una cinquantina di persone tra astronomi, fisici, ingegneri e tecnici oltre a centinaia di studiosi da tutta Europa. Tutto procede secondo i piani dunque. Se non dovessero esserci impedimenti di nessun tipo (soprattutto legati al clima) a metà 2008 l’attività dell’immensa struttura denominata "Sardinia Radio Telescope" potrà partire. Ma la zona sede dell’impianto è già da tempo oggetto di studio per ricercatori e universitari. Da quando sono iniziati i lavori ci sono state vere e proprie visite guidate, con studenti universitari e neo-laureati, che hanno trascorso intere giornate nel centro del Gerrei. Viaggi studio che hanno permesso a ricercatori sardi e della Penisola di conoscere le potenzialità del radiotelescopio. I numeri sono di un certo livello: il grande orecchio spaziale avrà un diametro di 64 metri, sarà alto 72 e peserà 2500 tonnellate. Solo negli Stati Uniti c’è un’antenna di un livello tecnologico tanto d’avanguardia. Non a caso l’amministrazione comunale vuole sfruttare la gigantesca parabola anche ai fini turistici e per la crescita dell’economia. Adesso che inizieranno i lavori sull’antenna saranno impiegarti anche operai del territorio (quando le competenze lo consentono), la stessa cosa sta avvenendo con la costruzione degli edifici attorno a Pranu Sanguini. Severino Sirigu ___________________________________________________ Il Giornale della Sardegna 16 apr. ’06 Formazione. Il progetto della Regione per l'alta specializzazione MASTER AND BACK, CORSA AL POSTO già selezionati 150 laureati Le migliori 500 università del mondo hanno chiesto di entrare nel programma Una pioggia di soldi per i laureati sardi col Master and back: 53 milioni di euro serviranno per la formazione post lauream di 3000 neo “d do tt o r i ” isolani. Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i primi risultati del programma Master and back. E già 150 laureati sono stati ammessi al finanziamento dei percorsi di alta formazione. Insieme a questi risultati, sono disponibili anche i primi programmi di tirocinio e stage. Una quarantina di accordi di collaborazione tra università, centri di ricerca, imprese, enti pubblici operanti in Sardegna e organizzazioni che operano fuori dall’ isola, in grado di offrire un’esperienza formativa “on the job”. L’I ST RU T TO R I A delle domande per la partecipazione a dottorati, master, corsi di specializzazione, diplomi accademici in campo artistico e musicale e formazione durante il secondo anno del corso di laurea specialistica è iniziata con l’esame delle prime richieste, valutate dalla Commissione tecnico scientifica. Dunque, per gli altri nessun timore di restare tagliati fuori: si tratta di una prima parziale lista di beneficiari, che nei prossimi giorni verrà aggiornata. Le domande pervenute finora sono circa 600. E la maggior parte delle richieste sono dottorati e master di alta professionalizzazione. La valutazione avviene automaticamente per i dottorati, i master e i corsi di specializzazione universitari, se il percorso formativo si svolge presso università presenti nell’ "Academic Ranking of World Universities", la classifica delle 500 migliori università del mondo. Il prestigio dei dipartimenti universitari della Gran Bretagna viene valutato, invece, attraverso la classifica Rae, Research Assessment Exercise. MA SE LA QUALITÀ del percorso formativo non fosse rilevabile attraverso questi elementi, ad intervenire sarà la valutazione della Commissione tecnico scientifica. Sono soprattutto i master di alta professionalizzazione a richiedere una valutazione più attenta, sempre che non siano già accreditati dall’Asfor o altri organismi riconosciuti. Nel caso di master erogati da soggetti molto diversi tra loro (aziende, fondazioni, enti di formazione, etc.), la qualità deve essere verificata caso per caso, per assicurare la validità del percorso formativo. L'esperiemento proseguirà per tutto l'anno e solo tra qualche mese si potrà fare un bilancio. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito internet della Regione all’indirizzo www.regione. sardegna.it/mas terandback. Claudia Mameli ___________________________________________________ Corriere della Sera 14 apr. ’06 DISPENSE «PIRATA» ALL' UNIVERSITÀ Bergamo, inquisiti ottanta docenti e uno stampatore Sequestrati i «libri clonati»: il pm chiede il processo per la violazione della legge sul diritto d' autore BERGAMO - I più sorpresi sono stati gli studenti, ritrovatisi privi di testi proprio alla vigilia degli esami. Ma secondo la Guardia di Finanza le dispense e le relative copie stampate nei cinque centri stampa dell' Università di Bergamo violavano la legge sul diritto d' autore. Ecco perché nel novembre scorso gli uomini delle Fiamme Gialle hanno sequestrato oltre 900 cartelline contenenti fotocopie o parti di libri di testo che venivano utilizzate, su indicazione degli stessi docenti dell' ateneo, per fornire agli studenti il materiale su cui preparare gli esami. Quello è stato il primo passo di un' indagine, coordinata dal pubblico ministero Mauro Clerici, arrivata a uno snodo decisivo: la richiesta di rinvio a giudizio per violazione della legge sul diritto d' autore, un reato punibile con una pena da uno a quattro anni di carcere. Nell' inchiesta sono coinvolte ben 81 persone. Gli indagati sono il legale rappresentante della cooperativa «Studium Bergomense», a cui l' Università ha appaltato la gestione dei centri stampa, e 80 professori della facoltà di Lettere (docenti di Letteratura tedesca, Antropologia culturale, Preistoria, Drammaturgia, eccetera). L' accusa è di aver esercitato «in forma imprenditoriale attività di riproduzione di opere tutelate dal diritto d' autore, abusivamente, per uso non personale e a fini di lucro» e di aver riprodotto «mediante fotocopiatura di matrici ovvero raccolte di fotocopie tratte dalle opere originali, opere o parti di opere scientifiche o didattiche». La legge 248 emanata nel 2000 per mettere ordine nell' aggrovigliata questione delle fotocopie (soprattutto dei testi universitari) consente di fare riproduzioni solo per uso personale e nel limite massimo del 15% di ciascun volume. Limiti che le copisterie dell' Università, stando alle indagini, avrebbero abbondantemente superato. Con una evasione, da parte della cooperativa «Studium Bergomense», dei diritti d' autore calcolata in almeno 77 mila euro. I docenti sono accusati solo del concorso nella violazione della legge, e si difendono facendo notare di essersi prestati a mettere a disposizione degli studenti le dispense solo per agevolarli. «Non abbiamo percepito nulla», precisa il professor Marco Tizzoni, docente di Preistoria e protostoria. Dello stesso tenore la difesa del rettore Alberto Castoldi: «L' Università si dichiara convinta che i docenti hanno agito esclusivamente in spirito di servizio e li sosterrà nella dimostrazione della linearità del loro comportamento». Gli studenti hanno subito i contraccolpi diretti dell' indagine avviata dalla magistratura. «All' improvviso sono state sequestrate tutte le dispense - spiega Fausto Sana, rappresentante degli iscritti alla facoltà di Lettere -, chi doveva preparare l' esame si è dovuto arrangiare in qualche modo, cercando testi alternativi che non sono più in circolazione. E il problema a tutt' oggi non è stato ancora risolto». L' inchiesta è partita nel luglio dell' anno scorso sulla scorta di una denuncia presentata dall' Associazione italiana per il diritto di riproduzione delle opere dell' ingegno (Aidro), organismo che raccoglie tutti i principali editori. Gli uomini della Finanza di Bergamo dopo aver raccolto alcune testimonianze di riscontro, sono passati alla perquisizione dei 5 centri stampa (4 in città e uno a Dalmine) gestiti dalla cooperativa «Studium Bergomense». Ed è qui che sono spuntate 900 cartelline contenenti fotocopie o parti di testi da riprodurre. Una pratica ritenuta lesiva della legge. Le norme Le legge numero 248 del 18 agosto 2000, che integra e modifica la legge sul diritto d' autore, contiene alcune disposizioni che disciplinano la «reprografia», cioè la riproduzione delle opere dell' ingegno mediante fotocopia, xerocopia o simili. La norma consente la fotocopia di opere protette ma solo «per uso personale» e nel limite massimo del 15 per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico escluse le pagine di pubblicità. La riproduzione «per uso personale» è quella che può essere effettuata per propri scopi di lettura, studio, consultazione e non per uso commerciale o per trarre altre copie da distribuire ad altri, a pagamento o anche gratuitamente. In cambio della libertà di fotocopiare, la legge stabilisce che sia dovuto un compenso agli autori e agli editori da parte dei responsabili dei centri di riproduzione. La violazione delle disposizioni comporta la sospensione dell' attività di fotocopia da sei mesi ad un anno nonché una sanzione HANNO DETTO ALBERTO CASTOLDI rettore Sono convinto che i docenti abbiano agito esclusivamente in spirito di servizio e l' Università li sosterrà FAUSTO SANA studente All' improvviso sono state sequestrate tutte le dispense e chi doveva preparare l' esame si è dovuto arrangiare Zapperi Cesare ======================================================= ________________________________________________ Il sole24Ore 13 Apr.06 LA NUOVA MEDICINA DELLA GLOBALIZZAZIONE la radiologia è il primo esempio di telemedicina transcontinentale. Si può eseguire una tac in uno dei centinaia ospedali statunitensi e canadesi che esternalizzano servizi medici a società indiane, palkistane o cinesi. Pronto soccorso dell'ospedale di Barigor, Maine. Nel cuore della notte si richiede Tac alla testa per incidente automobilistico. Con un click, in pochi secondi il file dell'encefalo traumatizzato attraversa due oceani e tre continenti: raggiunge Bangalore, India, ore 10:30 del mattino. Qui un'équipe di radiologi è pronta ad analizzare la lastra e a inviarne l'interpretazione al mittente, il tutto in un'ora, e a costi stracciati, circa 50 dollari a diagnosi. La radiologia offshore è il primo esempio di telemedicina transcontinentale che potrebbe dare lo scrollone finale all'unità di luogo, tempo e spazio che per ora ha caratterizzato, aristotelicamente, la medicina. Che bisogno c'è, infatti, di avere un radiologo a girarsi i pollici in ospedale, soprattutto di notte, quando si può far prima e risparmiare rivolgendosi a un radiologo indiano, sorta di traduzione medica dell'idraulico polacco? L'Europa, se si escludono alcuni timidi tentativi in Gran Bretagna, è per ora immune dalla versione offshore della telemedicina, riservata a reti diagnostiche che si fermano ai confini nazionali. La stessa direttiva Bolkestein, dopo lungo protestare e mediare, si è fermata davanti al sacro tempio medico escludendo, di fatto, i servizi sanitari dalla liberalizzazione. Ma nel selvaggio West i puledri dell'outsourcing galoppano, e sono ormai centinaia gli ospedali statunitensi e canadesi che esternalizzano servizi medici essenziali a società in India, Pakistan, Cina, Brasile e Australia. Tutto ciò che corre dentro un filo è passibile di outsourcing. Come riferisce Robert Wachter del dipartimento di Medicina dell'Università della California a San Francisco, oltre all'interpretazione delle "lastre", «il fenomeno sta investendo le terapie intensive, gli interventi di chirurgia a distanza e le cosiddette trascrizioni mediche - spiega Wachter -. Le unità di terapia intensiva elettroniche, per esempio, consentono al medico di seguire il proprio paziente anche in remoto, osservando l'andamento dei parametri vitali e intervenendo in caso di bisogno direttamente via computer o allertando il personale residente». Le trascrizioni mediche sono un caso ancora più peculiare di outsourcing: da alcuni anni grosse compagnie forniscono a centinaia di ospedali nordamericani un servizio che consente ai medici di ottimizzare il proprio tempo. In che modo? Dettando casi clinici, diagnosi e prescrizioni a veri e propri scribi moderni, che si trovano dall'altra parte del globo e che devono avere pochi requisiti: comprendere lingua inglese e terminologia medica e, soprattutto, richiedere un compenso esiguo. Ma da cosa deriva la tendenza a delegare servizi medici all'esterno di un ospedale e addirittura fuori dai confini di uno Stato? Di certo uno dei complici è lo sviluppa tecnologico, che ha portato alla digitalizzazione della medicina, ma altrettanto importante è la convenienza economica: un radiologo indiano guadagna circa 25mila dollari l'anno contro i 350mila di un collega americano. Oltre al risparmio di soldi e tempo, il teleconsulto e la teleradiologia potrebbero aumentare la qualità delle prestazioni, diffondendo la pratica del secondo parere e consentendo a comunità non servite da ospedali specialistici di fare riferimento a centri di eccellenza. «Sono convinto che l’outsourcing in medicina non possa che migliorare il livello delle cure», sostiene Paul Berger, rappresentante di una società che offre servizi di teleradiologia notturna. Ma molti non sono del suo stesso parere. «Bisogna riflettere sulla qualità di queste prestazioni "dislocate", che possono tradursi in un mero dumping in mano a operatori senza scrupoli», sostiene Wachter. Il rischio di un declino qualitativo delle prestazioni mediche ha indotto il Congresso a consentire per legge il servizio medico in remoto solo a chi abbia ottenuto un'abilitazione professionale negli Stati Uniti: Tuttavia, si moltiplicano le segnalazioni di veri e propri ghost reader, ossia schiere di tecnici anonimi e poco qualificati che lavorerebbero a nome di pochi medici autorizzati a fornire teleconsulto. Anche la tutela della privacy rischia di uscire a pezzi dalla medicina "dislocata", caratterizzata da flussi continui di dati clinici da una sponda all'altra dell'Oceano. Una legge bipartisan fatta approvare fanno scorso da Hillary Clinton ha cercato di dare qualche regola rendendo obbligatorio il consenso dei malati a inviare i propri dati all'altro capo del mondo. Anche le multinazionali del farmaco cominciano a guardare con interesse la soluzione offshore per le sperimentazioni cliniche, che hanno nell'India il nuovo Eldorado. Avere a disposizione un'intera popolazione di diseredati su cui sperimentare un nuovo farmaco è di certo vantaggioso; e ancora più conveniente è il fatto che questi soggetti non assumano altri farmaci, che potrebbero interferire con il principio attivo preso in esame, alterando i risultati del trial. Le sperimentazioni, quindi, sono più brevi, a basso costo e - come si suol dire - su soggetti naive. Un affare, che secondo gli entusiasti del nuovo corso, darà un impulso formidabile alla creazione di molecole innovative. E nuovi grattacapi etici, naturalmente. CRISTINA COLOMBELLI ________________________________________________ Il sole24Ore 03 Apr.06 L'OSPEDALE È UNA PUBLIC COMPANY SANITÀ Allo studia un progetto per realizzare a Torino una struttura di eccellenza a gestione pubblico-privata Si punta all'uso manageriale delle risorse, a elevati standard tecnologici e di ricerca e a un'alta qualità delle cure L’ ospedale del futuro nascerà da tre ingredienti: la gestione attraverso una "public company" che garantisca efficienza e ottimizzazione delle risorse; uno standard tecnologico e di ricerca da "Sylicon Valley" e - ultime ma non certo per importanza - l'umanizzazione e l'alta qualità delle cure. E questo, almeno nelle intenzioni di un'associazione torinese nata con l'obiettivo di sviluppare l'eccellenza in sanità, il modello da realizzare per uscire dalle secche di un'offerta di salute spesso carente e insoddisfacente. Da qui la decisione degli ideatori di inviare agli uffici della Regione Piemonte un progetto, ancora tutto da discutere, ma dai contorni ben precisi. Con precedenti importanti, come l'esperienza dell'ospedale Codivilla di Cortina, a gestione pubblico-privata. «Il modello - spiega Claudio Zanon, tra i fautori dell'iniziativa e responsabile della chirurgia oncologica e delle tecnologie biomediche del San Giovanni Antica Sede, presidio delle Molinette di Torino - punta a coniugare la razionalità manageriale del privato con le finalità etiche e la garanzia del pubblico». La public company. Con tali presupposti agirebbe la società da avviare a parità di capitale iniziale tra pubblico e privato, in cui quest'ultimo avrebbe in mano la gestione, garantendo con proprie risorse l'aggiornamento delle tecnologie e il pieno utilizzo di apparecchiature e personale. Ottimizzando costi e prestazioni, insomma, ma mantenendo la vocazione propria del pubblico. Per realizzare il progetto è stata già individuata una tra le tante strutture che potrebbero rivelarsi idonee: lo stesso San Giovanni Antica Sede, centro che opera principalmente nel campo oncologico e all'avanguardia nella ricerca sulla tecnologia medica. Ricerca e tecnologie. L'hi-tech è l'altra grande scommessa del progetto: la presenza di una società mista dovrebbe consentire di sviluppare la ricerca finalizzata. La strategia prevede l'introduzione sul mercato di apparecchiature brevettate e testate clinicamente, cosi da ottenere fondi e risorse da reinvestire in innovazione e assistenza. AL San Giovanni Antica Sede è già in corso la sperimentazione di prototipi per applicazione medico ingegneristica, che mira anche alla riconversione in strumenti di cura di veri e propri macchinari da guerra. E il caso del Dynamic area telethermography, un tempo in uso sui carri armati e oggi termografo impiegato per "stanare" i tumori mammari. O ancora, è il caso del Focused ultra.sountl surgery, che gli israeliani usavano contro obiettivi bellici, ora trasformato in un focalizzatore a ultrasuoni in grado di distruggere le masse tumorali risparmiando i tessuti sani. Cure più umane. L'umanizzazione dell'assistenza è il corollario che dovrebbe derivare dalla maggiore efficienza (tra i vantaggi, la riduzione delle attese) e dal pieno impiego di personale e strumentazioni. Secondo una gestione "orientata al cliente", protetto però dalle garanzie etiche proprie della sanità pubblica. Un aiuto arriverebbe anche dalle tecnologie: sono allo studio strumenti sempre meno invasivi e tecnologie di controllo a distanza - secondo il modello dell'extended hospital - dei pazienti. Pazienti non più ghettizzatí in ospedale ma "coccolati": il progetto ipotizza persino una collaborazione con Slow food per la gestione del servizio mensa e di un ristorante-caffetteria dedicato ai momenti di relax di-pazienti e famiglie. BARBARA GOBBI ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 apr. ’06 DIRINDIN: «CLINICHE IN CRISI NERA? LA COLPA È DELLA GESTIONE ALLEGRA» «La razionalizzazione non c'entra. C'è poi un problema di riquali- cazione del personale» Massimiliano Lasio m a ss i m i l i a n o. l a s i o @ e p o l i s.s m Fine del disordine e della gestione allegra. Ma la razionalizzazione della sanità e l'applicazione di corrette regole di gestione da parte della Regione non sono responsabili dei centinaia di esuberi annunciati da diverse strutture private cittadine. Centinaia di famiglie la cui sorte ricade su anni di scelte manageriali dissennate. Per l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin la crisi della sanità privata cagliaritana ha radici lontane. Che risalgono a un periodo in cui gli imprenditori del settore operavano in assenza di regole certe e senza tetti di spesa. E, in taluni casi, con l'aggravante di qualche limite manageriale. «La sanità privata», spiega la Dirindin, «sore di annosi limiti strutturali. In primis il sovradimensionamento e la di-coltà di rispondere alle esigenze del territorio. Pensi che il tasso di occupazione dei posti letto nelle case di cura private è del 50 per cento.Un letto su due è inutilizzato. Questa discrepanza non poteva non avere ripercussioni in termini di e-- cenza gestionale. Dinanzi all'obbligo di rispettare dei criteri di una buona amministrazione, per gli amministratori i nodi sono venuti al pettine. Il risultato è che le cliniche si trovano in dif- coltà.Anche se in realtà il caso più eclatante riguarda soprattutto un gruppo in particolare (il gruppo Ragazzo, N.d.r.)». Ma pagare sono oltre duecento lavoratori, che rischiano di nire sulla strada. Lavoratori per i quali non ci sono ammortizzatori sociali. Nessun nesso causale però, insiste l'assessore. E SOPRATTUTTO nessuna responsabilità della Regione. Per la lady di ferro della sanità isolana il fatto che questi bubboni siano scoppiati in tempi così ravvicinati è un fatto puramente casuale. L'arto era infetto da tempo e non era stato curato. Poi, aggiunge, c'è un problema di scarsa quali cazione professionale dei dipendenti dichiarati in esubero. Che fa il paio con i timori del sindacato di costi sociali eccessividel pianodi razionalizzazione. «Gli esuberi annunciati riguardano in gran parte gure con quali ca bassa, come ausiliari, Oss, o in qualche caso infermieri semplici. Per anni hanno atteso invano di essere riquali cati. Purtroppo si tratta di personale non assorbibile nelle strutture pubbliche. Ne avremmo anche bisogno. Faremo quello che ci compete. Ci faremo carico del problema, magari promuovendo corsi di formazione». L'assessore è consapevole della gravità della crisi ma non vede nero: «C'è ancora spazio per la sanità privata, un'attività di cui c'è bisogno nel territorio. Gli imprenditori devono cambiare mentalità. Con tre imperativi: ristrutturare, riquali care e stare alle nuove regole ». ___________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 apr. ’06 TRAMONTA IL BUSINESS DELLA SANITÀ: troppi tagli e controlli più rigorosi La Regione razionalizza e stringe i cordoni della borsa, meno introiti facili per le cliniche m a ss i m i l i a n o. l a s i o @ e p o l i s.s m Nubi fosche e minacciose sulla sanità privata cagliaritana. Segnali di tempesta in un settore che conta circa mille addetti in tutto l'hinterland. Il temporale però è già scoppiato, rivelando la crisi col linguaggio duro dei numeri: 116 esuberi annunciati alla clinica Lay, sessanta licenziamenti alla casa di cura Maria Ausiliatrice , cinquantatrè lavoratori a rischio a Villa Verde, e ora trenta dipendenti col posto il bilico alla cooperativa Salus, in via Satta, una struttura specializzata nella riabilitazione che lavora per la clinica Sant'Antonio in via Chironi. Una bella botta, che si unisce a quelle già incassate dai lavoratori nei mesi precedenti. E il futuro non promette schiarite. «È una fase delicatissima», trancia netto Sandro Dessì, della Cgil, «sono sempre più allibito dalla decisioni prese dalle proprietà delle varie case di cura. Le motivazioni a cui fanno riferimento per giusticare i licenziamenti di massa non mi pare sussistano. Bilanci in rosso? Ho l'impressione che spesso si agisca più per il timore di minori introiti più che sui fatti concreti». Calo progressivo del fatturato. Conti in rosso. Nomi diversi per la stessa cosa: crisi. Sembra che la sanità non sia più business per i privati, o lo sia in misura minore che nel passato. Tagli nella spesa sanitaria (dal 2004 si è passati da 114 milioni di euro, poi a 98 e si sta trattando per arrivare a 92), un piano sanitario regionale salvico e nello stesso tempo spauracchio, che da un lato è ancora in discussione in Consiglio regionale, dall'altro crea negli imprenditori incertezze e timori di minori introiti rispetto ai tempi delle vacche grasse. TEMPI IN CUI le prestazioni venivano erogate disinvoltamente, a go go, senza controlli di spesa. Si sforavano i tettima alla ne la Regione ripianava tutto, o quasi, forfettariamente. Ora il verbo che esemplica al meglio il credo dell'attuale assessore alla Sanità Nerina Di-rindin, oltre a “tagliare”, è “ra - zionalizzare”. A partire dalla riduzione e riconversione dei posti letto (in Sardegna ce ne sarebbero 1800 in più del necessario), dal limite posto ai rimborsi, da tetti di spesa chiari e codicati. Dall'altro, le tari-e dei rimborsi (o Drg) non sono aumentate che di pochissimo negli anni. La Regione stringe i cordoni della borsa e accoglie criteri di spesa chiari, razionali, draconiani forse. E la gente va a casa. Lungi da voler istituire un nesso causare troppo diretto, come se la colpa fosse della Giunta, il maggior rigore porta con sé l'aspettativa di vacche magre.Meno cuccagna. Anche i dipendenti, un tempo assunti generosamente con l'ottimismo di chi sa che il business è orido, ora sono dei costi. «I primi a farne le spese sono i lavoratori », spiega Guido Deidda della Cisl, «il clima è pesante, i manager delle cliniche non dialogano con le parti: parlano direttamente attraverso le lettere di licenziamento. Questo atteggiamento puzza di strumentalizzazione, sembra un mezzo per fare pressioni». L'ultima tendenza per ridurre il personale è esternalizzare i servizi. La cucina, l'impresa di pulizia. «Ho il timore» , prosegue Deidda, «che sia un'escalation che parte dalle cliniche e coinvolge tutta l'assistenza privata. Riabilitazione compresa». «Lamentano bilanci in rosso», sbotta Carlo Orgiana della Uil, riferendosi alle case di cura, «ma quando si tratta di sborsare lauti stipendi ai medici, a ne carriera o ancora impiegati nel pubblico, la mano al portafoglio la mettono. E pesantemente». Il dato Nell'hinterland 10 centri Dieci strutture su un totale regionale di tredici cliniche private sarde. Sono la Città di Quartu, la Clinica Lay, Maria Ausiliatrice, Nuova Cdc Decimomannu, San Salvatore, Sant'Anna, Sant'Antonio, Sant'Elena, Villa Elena, Villa Verde, Mille e novantanove posti letto in tutto. La fetta più grossa della torta oerta dai rimborsi del Servizio sanitario nazionale: 76.749.424 euro su un tetto di 98 in tutta l'Isola. Oltre duecento gli esuberi dichiarati fra i 116 licenziamenti su 240 unità dipendenti alla clinica Lay di viale Fra' Ignazio, 80 tagli su ottanta dipendenti alla Maria Ausiliatrice Cliniche in via Don Bosco. Possibile poi la chiusura de-nitiva Villa Verde in viale Merello, i suoi dipendenti, una cinquantina, rischiano il posto. Anche nel settore della riabilitazione le cose non vanno molto meglio. La cooperativa Salus, con sede in via Satta, vicino alla clinica sant'Antonio, ha annunciato esuberi per trenta lavoratori su quaranta. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 apr. ’06 I FISIOTERAPISTI ACCUSANO: TAGLI ANCHE SULLA RIABILITAZIONE Per chi è costretto a vivere a letto o su una sedia a rotelle, 24 sedute di fisioterapia a domicilio sono toppo poche. Queste però sono quelle pagate dal servizio sanitario pubblico. A contestare la delibera della giunta (la 11/7 del 21 marzo) con la quale vengono ridefiniti i livelli essenziali di assistenza della medicina fisica e riabilitativa, è il coordinamento dei fisioterapisti della Sardegna. Secondo il provvedimento regionale, il servizio sanitario si farà carico di 3 cicli di 8 sedute per la «rieducazione motoria individuale del paziente a domicilio». Un trattamento limitato solo ai pazienti che non possono muoversi da casa in seguito a gravi traumi alle gambe, oppure per coloro che devono seguire la riabilitazione «post-acuta» dopo un intervento di protesi d’anca e di ginocchio, oltre che per gravi deficit neurologici e motori. Secondo il coordinamento dei fisioterapisti le 24 sedute sono davvero poche per certe patologie e per la gravità dei singoli casi. «Spesso i medici prescrivono cure che vanno ben oltre questo limite», fanno notare i rappresentanti degli specialisti, «col rischio che molti pazienti devono interrompere la riabilitazione perché non possono pagare le ulteriori prestazioni a domicilio». Non solo. Il provvedimento «rischia anche di cancellare 300 posti di lavoro: molti trattamenti in corso sono già stati bloccati». Critiche anche sul tetto di spesa. «Nonostante le rassicurazioni », racconta Daniela Cuccuru, del coordinamento, «la Regione ha scritto il testo senza sentire le associazione di categoria ». Michela Capra, altra rappresentante ricorda: «Abbiamo consegnato al Prefetto un documento con le modifiche». Nel frattempo i fisioterapisti chiedono un nuovo incontro con la Dirindin, ma anche col direttore generale dell’Asl 8, Gino Gumirato. N ICOLA PERROTTI ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 apr. ’06 SCLEROSI MULTIPLA, DALLA SARDEGNA UNO SPIRAGLIO Medicina. Resi noti i dati di una ricerca delle Università di Cagliari e Siena Provengono dalla Sardegna i dati di una ricerca che sta per essere pubblicata negli Annals of Neurology. Relativa alla sclerosi multipla, che regala alla nostra isola un non invidiabile primato, apre una nuova strada alla conoscenza: nei fratelli sani di soggetti colpiti potrebbero nascondersi i segreti per essere protetti dalla malattia. Lo studio è stato presentato a Roma da M. Giovanna Marrosu, direttore centro Sclerosi Multipla Università di Cagliari e da Nicola De Stefano, Dipartimento scienze neurologiche Università di Siena in una conferenza della Serono. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 apr. ’06 SCLEROSI MULTIPLA, SEGRETI DI FAMIGLIA Uno studio sui fratelli sani, svolto in Sardegna, apre nuovi spiragli alla conoscenza della malattia Provengono dalla Sardegna i dati di una importante ricerca comparativa che sta per essere pubblicata sulla prestigiosa rivista Annals of Neurology. Relativa alla sclerosi multipla che regala alla nostra isola, come anche all'Islanda, un non invidiabile primato, apre uno spiraglio importante alla conoscenza. Insomma, nei fratelli sani di persone colpite da sclerosi potrebbero nascondersi i segreti per resistere o essere protetti dalla malattia. Alcuni di loro, infatti, presentano le stesse lesioni cerebrali dei fratelli malati ma sono completamente sani. Che cosa significa questo? Che questi soggetti sani potrebbero avere, per motivi al momento sconosciuti, meccanismi di protezione cerebrale in più rispetto ai fratelli che si sono ammalati e per questo, nonostante le lesioni, il loro cervello potrebbe essere riuscito a "reagire" salvandoli dalla sclerosi. Lo studio, svolto interamente in Sardegna, è stato presentato a Roma da Maria Giovanna Marrosu, direttore del centro Sclerosi Multipla dell'Università degli Studi di Cagliari. Al suo fianco, Nicola De Stefano del Dipartimento di scienze neurologiche e del comportamento dell'Università di Siena, che ha lavorato attivamente all'aspetto diagnostico. L'importante risultato è stato diffuso durante una conferenza organizzata ieri mattina a Roma dalla Fondazione Cesare Serono, impegnata nella promozione di studi per gli avanzamenti della ricerca nelle neuroscienze (http://www.fondazioneserono.org/). Per la prima volta in un campione di 297 persone tra malati, parenti sani e soggetti di controllo di età media 40 anni, i neurologi hanno scoperto che il 4% dei soggetti sani con un unico membro affetto da sclerosi in famiglia e ben l'11% dei soggetti sani con più malati tra i familiari hanno nel cervello lesioni tipiche della sclerosi multipla. Tutti i soggetti coinvolti nello studio sono stati esaminati grazie all'ausilio di un unico dispositivo di risonanza magnetica, installato su un'unità mobile di ultima generazione, che ha raggiunto l'Ospedale Binaghi dall'Inghilterra. Le immagini rilevate sono state poi inviate e analizzate dal Laboratorio di Neuroimmagini dell'Università di Siena, da anni impegnato nella ricerca avanzata sulle tecniche di risonanza magnetica, diretto da Di Stefano. La sclerosi è una malattia autoimmune che colpisce il cervello. Il sistema immunitario dei pazienti, cioè, attacca il proprio corpo distruggendo la guaina mielinica che riveste e isola elettricamente le fibre nervose permettendo la trasmissione dell'impulso elettrico dei neuroni. La malattia, che di solito ha un esordio tra i 25 ed i 30-40 anni, colpisce in Italia circa 52 mila persone con 1800 nuovi casi ogni anno. In Sardegna la valenza è ben più alta. È una malattia complessa in parte di natura genetica (il rischio dei fratelli di malati di ammalarsi a loro volta va dal 20 al 30-40% in più rispetto alla popolazione generale), in parte indotta da fattori ambientali. Nei pazienti all'esordio si riscontrano tipiche lesioni della sostanza bianca (il colore dato alle fibre nervose dalla guaina mielinica), segno che queste sono già accumulate prima che la malattia si manifesti. Le stesse lesioni trovate nei parenti sani. «Ma poi andando a guardare in modo più dettagliato il cervello di pazienti e fratelli sani - ha spiegato la Marrosu - è venuto fuori che solo i primi presentano anche altre alterazioni meno definite ma chiaro segno di atrofia del sistema nervoso, alterazioni che risultano sempre assenti nei parenti sani». Poiché a quasi tre anni dall'inizio dello studio solo un parente sano con le lesioni si è a sua volta ammalato, e poiché gran parte dei partecipanti sani avevano un'età in cui oramai il rischio di ammalarsi è basso, l'ipotesi avanzata dagli esperti è che le lesioni in questi soggetti non siano un primo segno di malattia destinata a progredire. Bensì le lesioni potrebbero essere un segnale che il cervello di questi soggetti è stato più abile a ripararsi e a reagire ai primi danni procurati dal sistema immunitario bloccando sul nascere la sclerosi. Insomma, hanno ipotizzato Marrosu e De Stefano, «poiché il cervello ha la capacità di reagire a molti insulti e a recuperare, è possibile che i soggetti sani osservati abbiano maggiori capacità di reagire e riassorbire il danno forse grazie anche a una maggiore plasticità cerebrale». Se veramente i soggetti sani sono più protetti dalla malattia che ha colpito i parenti meno fortunati, hanno concluso gli esperti, continuando non solo a monitorare nei prossimi anni il loro cervello e la loro salute ma anche cercando differenze tra sani e pazienti, si potrebbe arrivare alla identificazione di potenziali fattori protettivi che potrebbero suggerire la chiave contro questa malattia. I successivi studi comparativi legati alla predisposizione genetica, dicono alla Fondazione Serono, riguarderanno 17 soggetti senza sintomi che nel precedente studio presentavano sovrapposizioni alla risonanza magnetica con i fratelli malati. Saranno poi coinvolti nella ricerca anche sei coppie di gemelli monovulari di cui almeno uno affetto da sclerosi multipla. La causa primaria della sclerosi è ancora sconosciuta, tuttavia la ricerca medica ha fatto passi da gigante nella comprensione dei meccanismi attraverso i quali si manifesta e si sviluppa. Un'ipotesi che ha preso via via corpo prevede l'intervento di tre fattori: genetico, ambientale e autoimmunitario. In altre parole, un processo autoimmune probabilmente scatenato da un agente ambientale in soggetti predisposti. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 apr. ’06 CAGLIARI, SI STUDIA IL FUMO E I TUMORI CONCORSO. ASSEGNO DI RICERCA RISERVATO A BIOLOGI E MEDICI Dodicimila euro per studiare la correlazione tra fumo di sigaretta e tumore vescicale. È questa l'ultima iniziativa firmata dal settore post lauream dell'Università di Cagliari che bandisce un concorso per attribuire una borsa di studio finalizzata ad attività di ricerche sulla correlazione, appunto, tra fumo di sigaretta e tumore vescicale. Si tratta, in particolare, di un'indagine non invasiva per la determinazione precoce di lesioni vescicali in soggetti con abitudine al fumo che si svolgerà nella Sezione di biologia e genetica del Dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell'Ateneo del capoluogo isolano. Per partecipare al concorso per l'assegnazione della borsa sono richiesti alcuni requisiti tra cui il conseguimento del diploma di laurea in Scienze biologiche o in medicina e chirurgia. La domanda di partecipazione al concorso deve essere presentata entro mercoledì 26 aprile 2006. Per avere informazioni più dettagliate su tutto il bando di concorso e la relativa modulistica è possibile consultare il sito internet dell'Università di Cagliari alla sezione post-lauream (www.unica.it/didattica/postlauream). (eu. ri.) ________________________________________________ Il sole24Ore 13 Apr.06 FARMACI POLITICAMENTE CORRETTI Un gigante destinato a collassare sotto il suo stesso peso. Questo pensa dell'industria farmaceutica mondiale William Haseltine, ospite fisso al workshop Ambrosetti di Cernobbio. Haseltine è una sorta di Forrest Gump in grisaglia, che trancia anatemi e lancia nuove visioni sull'industria della salute. Dopo decenni passati in laboratorio e in ospedale (ha lavorato sul progetto genoma ed è stato direttore del Dana Farmer), ha fondato una decina di società biotecnologiche, e oggi pronostica la fine di Big Pharma e un nuovo modello imprenditoriale, basato su una rete di piccole imprese sparse nel mondo per lo sviluppo più rapido, creativo ed economico dei blockbuster del futuro. «La crisi delle multinazionali del farmaco è legata alle dimensioni di queste aziende che per sopravvivere continuano a fondersi, e all'organizzazione - spiega Haseltine -. I manager hanno smesso di pensare, si limitano a gestire la propria carriera. Il marketing schiaccia la ricerca. I nuovi farmaci mancano di creatività e di vero impatto sanitario, sono medicinali fotocopia, con lo scopo di ripagare gli investimenti». Per uscire da questa crisi di gigantismo il finanziere-scienziato statunitense propone di stratificare il business in grandi società che tengono solo il management, collegate a piccoli gruppi sparsi nei paesi emergenti che fanno il lavoro creativo e di sviluppo dei farmaci. «I Paesi dell'Est europeo, la Cina, l'India hanno potenzialità enormi - continua Haseltine --. L'India, per esempio, è un vivaio straordinario di medici, informatici e scienziati preparatissimi. La mia azienda già lavora in rete con molte start-up indiane composte da medici e ricercatori, che sviluppano molecole e conducono sperimentazioni cliniche. Tutto con costi bassi e tempi rapidi. Se in Occidente lo sviluppo di un farmaco costa intorno ai romila dollari a paziente, in India costa meno della metà». I critici osservano che spostare le sperimentazioni cliniche nei Paesi emergenti e in via di sviluppo costa sicuramente meno, ma rischia di innescare un nuovo colonialismo scientifico, dove masse di diseredati diventano cavie per sviluppare farmaci di cui poi non godranno i benefici. «Questo è il modello del passato, la ricerca sull'Aids, per esempio, ha risentito di questa impostazione - conclude Haseltine -. Ma oggi, in questa nuova organizzazione in rete del lavoro, si stanno affermando nuove regole. La prima è che i farmaci sviluppati in questi Paesi siano disponibili da subito alla popolazione locale, a costi di produzione. E solo in un secondo tempo vengano commercializzati a prezzo di mercato nei paesi ricchi». Business si, ma concetto con istanze no-global. LUCA CARRA ________________________________________________ Il sole24Ore 13 Apr.06 TESEO, SIMONA E NESA: TUTTI I «FIGLI» DEL TELE-CONSULTO Dal tele-ambulatorio all'ambulanza satellitare fino ai servizi di telepatologia Teseo, Simona, Nesa: sono tra i progetti di telemedicina in corso nel nostro Paese o di cui l'Italia è uno dei protagonisti principali. Una delle applicazioni più importanti è il teleconsulto, cioè le visite mediche in videoconferenza, che facilitano l'accesso a strutture sanitarie specialistiche da parte di pazienti che magari vivono molto lontano. È quanto reso possibile, per esempio, dal servizio di telemedicina degli Istituti ortopedici Rizzoli di Bologna a cui fanno capo vari teleambulatori sparsi al Sud e nelle Isole. Ogni tele-ambulatorio dispone di apparecchiature che permettono di acquisire e trasmettere a Bologna radiografie, referti, documenti necessari per la dia gnosi. Attraverso un programma di tele-riabilitazione, poi, il Rizzoli permette ai propri pazienti di ricevere a casa indicazioni sulla terapia e le strategie riabilitative da seguire. Un obiettivo diverso è, invece, duello del progetto sperimentale Nesa, promosso dall'Agenzia spaziale europea (Esa) in collaborazione con l’Usl15 di Vicenza Ovest e la società Kell di Roma, che mira a ottimizzare l'intervento in situazioni d'emergenza: si basa su un'autoambulanza attrezzata per trasmettere via satellite a un centro specializzato le informazioni relative alle vittime di incidenti. Il centro può cosi effettuare in brevissimo tempo una prima diagnosi, suggerendo al personale dell'ambulanza l'ospedale più adeguato alle condizioni del paziente. Ma non basta: la telemedicina facilita anche la collaborazione con strutture sanitarie di Paesi in via di sviluppo. Simona, per esempio, è un progetto dell'Esa che ha permesso il collegamento via satellite tra il Teaching hospital di Baghdad e l'Università La Sapienza di Roma. Un servizio utile anche per mantenere il personale iracheno aggiornato sugli ultimi sviluppi della letteratura medico-scientifica. Già, perché l'altra grande funzione della telemedicina è proprio quella della formazione a distanza, grazie alla realizzazione di piattaforme di comunicazione satellitare per la trasmissione di eventi didattici live o "pacchetti" multimediali. Come è naturale, spesso la finalità medica e quella formativa si fondono. Lo dimostra bene Teseo, il servizio di telepatologia della rete dei centri oncologici italiani di eccellenza. Teseo consente di condividere immagini di tessuti malati che appaiono sul video esattamente come al microscopio. Cosi, i medici possono consultarsi coi colleghi senza bisogno di spedire, con il rischio che vadano persi, i tessuti da analizzare e tutto il materiale raccolto può essere utilizzato a scopo didattico nelle sessioni interattive. VALENTINA MURELLI ________________________________________________ Repubblica 06 Apr.06 PROSTATA, I VACCINI E LE ASPETTATIVE Mentre la sperimentazione americana del vaccino per il tumore della prostata è quasi in dirittura di arrivo e l’F DA si appresta a valutare i risultati, arriva l'annuncio di un altro vaccino tutto italiano. [1 primo è stato sperimentato nelle fasi avanzate della malattia con segni evidenti di metastasi, il vaccino "made in Italy" sarà invece impiegato nelle fasi iniziali di ripresa di malattia e solo dopo intervento chirurgico. Inoltre il vaccino americano APCBoi5 è stato ottenuto isolando le cellule immunitarie dei malati, addestrate poi a riconoscere ed attaccare il cancro, mostrando loro un antigene specifico del tumore stesso, la proteina PAP (fosfatasi acida prostatica), presente sul 95% delle cellule malate. Quello italiano è stato realizzato a partire da cellule staminali. Per ora è una ricerca condotta in laboratorio ma presto sarà estesa anche all'uomo. La novità è stata presentata al recente meeting intenazionale sulla prostata a Torino, e a mettere a punto il preparato sono stati ricercatori torinesi coordinati dal professor Alessandro Tizzani, direttore della Clinica Urologica torinese e dalla professoressa Lina Matera, biologa della stessa Università. «Per il vaccino», spiega Tizzani, «sono state utilizzate cellule staminali prelevate dal sangue del malato e modificate in laboratorio. In particolare sono state utilizzate cellule dendritiche, ottenute facendo "maturare in vitro" cellule staminali presenti nel sangue del paziente: le cellule dentritite presentando l'antigene PSMA ai linfociti T del soggetto, attivano gli stessi linfociti a reagire contro le cellule tumorali. La sperimentazione clinica interesserà solo soggetti con ripresa di malattia dopo prostatectomia radicale». E la spia per monitorare la recidiva del tumore è l'innalzamento del PSA. «Però attenzione», precisa il dottor Andrea Zitella, aiuto del professor Tizzani, «il vaccino è realizzabile solo per chi possiede un aplotipo HLA Az e dunque non per tutti». Questa caratteristica è presente nel 60% della popolazione italiana e quindi solo 6persone su dieà potranno beneficiare del vaccino. La sperimentazione sull'uomo potrebbe iniziare a breve e, oltre Torino, interesserà le urologie di Padova e Forli; ad essa possono accedere tutti coloro che hanno innalzamento del PSA dopo intervento e aplotipo H LA .42. Della sperimentazione americana, ad oggi, sono disponibili solo i dati presentati ad Orlando lo scorso anno: aumento del 18% della sopravvivenza degli ammalati con tumore prostatico non rispondente a terapia ormonale. Ma nonostante queste novità si continua a produrre farmaci per il tumore metastatico. A breve, anche in Italia, sarà disponibile una nuova formulazione di leuprolide, messo a punto da Astellas, che grazie ad un innovativo sistema di rilascio, è in grado di raggiungere un controllo ottimale del testosterone. ` Urologo e Andrologo, Osp. San Martino Genova ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 apr. ’06 CANNABIS A POLARIS, NUOVO FARMACO ANTIDOLORE A «Polaris» le ricerche di un gruppo internazionale A Pula il progetto di Maria Antonietta Casu Dalla marijuana un principio attivo che riduce al minimo i rischi di dipendenza I primi a non fare di tutta l’erba un fascio furono probabilmente i cinesi, che nel 2737 avanti Cristo stilarono un trattato di farmacologia esaltando le virtù analgesiche della cannabis. Ma a usare la marijuana come toccasana furono anche gli indiani, che ci curavano l’insonnia, la febbre e la dissenteria. Discoride, il medico di Nerone, nel suo codice «Anicia Juliana» (512 d.C.), ne elenca le proprietà farmacologiche e terapeutiche. E gli Zulù dell’Africa, che ancora oggi la fumano in caso di crampi, epilessia e gotta. Maria Antonietta Casu, ricercatrice in forza alla «Neuroscienze Pharmaness», una società a capitale misto pubblico-privato partecipata dall’Università di Cagliari e dal Cnr, sorride e non sembra affatto sorpresa. Lei è da anni che nel suo laboratorio - ora ospite del Parco tecnologico e scientifico «Polaris» - studia proprio la caratterizzazione di estratti di piante di cannabis. «Ovviamente - precisa - si tratta di parti selezionate geneticamente in modo da evitare il loro potenziale d’abuso e favorirne solo le applicazioni medico- terapeutiche». Che poi, detto in parole povere, significa che, insieme con i suoi colleghi, la dottoressa Casu cerca di ottenere farmaci capaci di rilasciare soltanto gli effetti curativi della sostanza proibita, eliminandone quelli nocivi come ad esempio attacchi di panico, crisi respiratorie, perdita delle capacità di memoria, stato confusionale. Obiettivo: «Predisporre un farmaco capace di lenire il dolore - spiega - ma anche di curare l’obesità e i disturbi alimentari, l’artrite reumatoide, il glaucoma, l’emicrania, la nausea da chemioterapia, il morbo di Parkinson la sclerosi multipla». Insomma, la panacea. Possibile? Sembrerebbe proprio di sì, anche se sui tempi di realizzazione di prodotti di questo tipo gli scienziati preferiscono mantenere una certa cautela. «La nostra ricerca - continua l’esperta - fa parte di un progetto europeo che ci vede collaborare con gruppi inglesi, tedeschi e olandesi. Sono proprio questi ultimi che coltivano la marijuana, ne preparano gli estratti e ce li mandano per testarli qua a Pula». Naturalmente si tratta di procedure lunghe e fatte sotto stretto controllo ministeriale. «Beh, certo - spiega ancora la dottoressa Casu - anche perché la storia del rapporto tra l’uomo e la cannabis è sempre stata caratterizzata da un’alternanza di devote esaltazioni dei principi attivi e di categoriche messe al bando della pianta. La più antica testimonianza sull’uso psicotropo della cannabis in Europa viene da Erodoto d’Alicarnasso, nel V secolo avanti Cristo. Nel Medioevo, poi, il clima di terrore instaurato dai tribunali dell’inquisizione colpì in tutta Europa la cultura della cannabis, culminando nel 1484 in una bolla papale che ne proibì l’uso ai fedeli». Così, malgrado gli estratti naturali di marijuana siano utilizzati da secoli nelle varie medicine tradizionali, soltanto ora l’uso terapeutico dei derivati della cannabis sta vivendo un globale processo di rivalutazione. «Infatti - continua l’esperta - mai come negli ultimi anni si sono accumulate conoscenze tanto importanti, e in una successione così tumultuosa, nel campo delle farmacodipendenze legate come ai cannabinoidi: si va dalla scoperta e caratterizzazione dei recettori cerebrali e periferici, all’identificazione dei cannabinoidi endogeni (cioè la sostanza che noi abbiamo nel cervello, detta “anandamide” - ndr.), sino alla messa a punto di una linea di farmaci agonisti e antagonisti recettoriali». Tradotto per i non addetti ai lavori, ciò che la scienza ha recentemente appurato è che il famigerato olio Thc, per esteso «tetraidrocannabinolo», ossia la sostanza proibita contenuta nella marijuana, è in grado per esempio di ridurre il dolore. E che alcuni di estratti di questa pianta - in particolare quelli studiati a Pula - inducono meno tolleranza. «Vuol dire che il beneficio del Thc continua anche se la sostanza viene assunta per lungo tempo - chiarisce l’esperta - e non succede, come capita per esempio con gli antinfiammatori, che l’effetto diminuisca con l’uso». Non solo: se la marijuana - come ormai è pacifico - stimola l’appetito, significa che può essere naturalmente utilizzata da chi è inappetente. Ma anche che, attraverso i cosiddetti farmaci antagonisti, può arrestare la fame di chi ha problemi di peso. Un business colossale. Le prospettive sarebbero eccezionali anche per quanto riguarda la terapia del senso di nausea. «Direi di sì - conclude la dottoressa Casu - visto che i cannabinoidi agiscono in quella zona del cervello che controlla il vomito, modificandone l’attività». Andrea Massidda ___________________________________________________ L’Unione Sarda 7 apr. ’06 CAGLIARI: PSORIASI, NUOVA FRONTIERA PER SCONFIGGERE LA MALATTIA Medicina. Ricerca condotta dalla Clinica dermatologica La lotta ai casi più gravi di psoriasi può costare anche 20 mila euro. Le spese per i medicinali biologici, che vengono utilizzati nei centri Psocare, specializzati nel trattamento della malattia cronica della pelle, sono infatti ingenti. Basti pensare che una scatola da cento milligrammi di infliximab (medicinale entrato a far parte del programma di ricerca da pochi giorni) costa, al pubblico, 940 euro, e all'ospedale 570. Un ciclo di cure, da trenta-quaranta sedute, raggiunge quindi i 20 mila euro di spesa, esenti dal ticket, a differenza invece dei medicinali per le forme lievi. In Sardegna sono tre le cliniche di dermatologia che partecipano al programma di ricerca promosso dall'Agenzia italiana del farmaco, e uno di questi è il dipartimento dell'ospedale San Giovanni di Dio, diretto da Nicola Aste. I sardi colpiti dalla malattia (non contagiosa, ma considerata inguaribile), nelle sue varie forme, sono circa 30 mila, oltre il due per cento della popolazione. «I malati di psoriasi - spiega Aste - devono sapere che a Cagliari c'è un centro che si occupa di questa malattia. Devono semplicemente chiamare il centro unico per le prenotazioni dell'Asl 8, e fissare una visita ambulatoriale. Se il quadro clinico è di particolare gravità, vengono poi assegnati al nostro centro». Dove s'inizia il trattamento, prima con le terapie sistematiche (foto-terapia, puva- terapia, farmaci tradizionali come la ciclosporina), per poi arrivare, nei casi più difficili (dopo che la prima terapia non ha dato risposte efficienti) all'utilizzo dei farmaci biologici. «Seguiamo - sottolinea Aste - circa 400 persone al mese. Di queste solo una trentina arrivano al biologico, per una questione di terapia e di costi». Il Centro che opera nella clinica dermatologica dell'Università di Cagliari, all'ospedale San Giovanni di Dio, accoglie i casi che arrivano dall'intera provincia, estendendosi anche a quella della Sulcis e dell'Oristanese. «Deve essere chiaro che la psoriasi può essere curata - spiega il direttore del Centro - anche dal medico di base o dai reparti di dermatologia. Il nostro ambulatorio visita in media dodici persone al giorno, nelle due aperture settimanali. Le forme più gravi vengono riscontrate più o meno nel 25 per cento dei casi, ma soltanto per il 3-4 per cento vengono utilizzati i farmaci biologici». L'ultimo di questi è, come detto, l'infliximab, mentre da novembre sono utilizzati l'etanercept e l'efalizumab. Il Centro universitario cagliaritano ha iniziato anche un altro progetto, nella lotta alla malattia (che porta un'accelerazione del processo di ricambio delle cellule epidermiche, causato da un'alterazione del sistema immunitario): uno studio epidemiologico, per verificare se esistono di collegamenti tra la psoriasi e alcune zone della Sardegna. Matteo Vercelli ___________________________________________________ Repubblica 20 apr. ’06 IL DENTISTA NACQUE NOVEMILA ANNI FA IN PAKISTAN Vivevano 9000 anni fa in un villaggio dell'attuale Pakistan chiamato Mehgarh, i primi dentisti della storia. Avevano probabilmente un ruolo sociale importante e la loro attività era forse retribuita attingendo alle riserve di cibo conservate nei magazzini. E' l'inizio di quanto hanno permesso di ricostruire i primi denti che mostrano segni di trapanazione, scoperti dal gruppo coordinato dall'università di Roma La Sapienza e descritti su "Nature". I denti che mostrano segni di cure più antiche mai scoperte sono 11 e sono tutti molari. Appartengono a 9 adulti (2 uomini, 4 donne, per gli altri non si è potuto determinare il sesso) e "i fori presenti in essi sono stati provocati chiaramente da uno strumento", osserva Alfredo Coppa, del dipartimento di Biologia animale e dell'uomo de La Sapienza. In totale sono 4800 i denti trovati nel sito e per concessione del Governo del Pakistan si trovano adesso in Italia, nel Museo Pigorini di Roma, dove proseguirà lo studio. Tutti i denti, compresi gli 11 curati, risalgono ad un periodo molto lungo, almeno 1500 anni, che corrisponde alla storia del villaggio, compresa fra il 7000 e il 5500 avanti Cristo. Sul pavimento di un'abitazione, in una sola stanza, erano sparse delle piccole punte in selce, sottilissime e lunghe pochi millimetri. Confronti etnografici, analisi al microscopio e simulazioni hanno permesso di ricostruire che si trattava di punte di trapano: le punte erano fissate su un bastoncino di legno lungo circa 15 centimetri. La punta si posizionava sul dente da curare e quindi il dentista faceva ruotare il trapano con l'aiuto di un archetto, alla velocità di circa 20 giri al secondo, e nell'arco di un minuto era completato il foro, dal diametro di poco più di un millimetro. Il trapano ricorda molto da vicino gli strumenti utilizzati da alcune popolazioni per praticare i fori nelle perline. Questa tecnica artigianale quindi sarebbe stata trasferita, dagli uomini del Neolitico, in un ambito completamente diverso, come la cura della salute. "Quella popolazione aveva "inventato" una terapia", dice Bondioli, "e la scoperta rivela una complessità dei nostri antenati maggiore di quanto potessimo credere". ___________________________________________________ Le Scienze 19 apr. ’06 L'AMALGAMA NON INFLUISCE SULLO SVILUPPO NEURO-PSICOLOGICO Nessun effetto neppure sulla funzionalità renale L’amalgama di mercurio spesso utilizzata per otturare le carie rilascia una piccola quantità di vapori di mercurio che possono venire riassorbiti dalle mucose o attraverso la respirazione. Dato che questo elemento ha effetti neurotossici, erano state sollevate tempo fa preoccupazioni per i possibili effetti nocivi sull’organismo, e in particolare su quello dei bambini. Sul numero odierno di JAMA (Journal of the American Medical Association) viene ora pubblicato uno studio condotto presso il Children's Hospital di Boston, durante il quale sono stati seguiti – dal settembre 1997 al marzo 2005 – 534 bambini sottoposti a cure odontoiatriche con l’uso, per metà di essi, di amalgama di mercurio e, per l’altra metà, di resine. Nell’arco di cinque anni fra i due gruppi non sono state identificate differenze né sul piano comportamentale, né su quello neuropsicologico (controllato con test di QI, di memoria generale, di coordinamento visivo-motorio), né infine su quello renale, particolarmente tenuto d’occhio dato che il mercurio, in quanto metallo pesante, può esercitare un’azione negativa sulla funzionalità di quell’organo. ___________________________________________________ Le Scienze 20 apr. ’06 VERSO UN VACCINO CONTRO LA LEISHMANIOSI Ogni anno 500.000 persone vengono colpite dalla malattia Ogni anno 500.000 persone vengono colpite – e circa 60.000 muoiono – a causa della leishmaniosi viscerale (nota anche come kala-azar), una malattia causata da un protozoo e trasmessa dalla puntura del flebotomo che ha la sua massima diffusione in India, Bangladesh, Nepal, Sudan e Brasile. Peter H. Seeberger, direttore del Laboratorio di chimica organica del Politecnico di Zurigo, riferisce sull’ultimo numero di "ACS Chemical Biology" di essere riuscito a mettere a punto un potenziale vaccino contro questo flagello, che nei primi test di laboratorio ha dato buoni risultati. Quello proposto da Seeberger è un vaccino a base di carboidrati isolati dalla membrana del parassita, che fungono da antigeni per la stimolazione del sistema immunitario. Il punto cruciale di questa tecnica di produzione di vaccini è data dalla possibilità di produrre per via sintetica e in quantità sufficienti il tipo di carboidrato complesso desiderato. Seeberger, che ha sviluppato una sofisticata tecnologia per assolvere proprio questo compito, e ha fondato una società farmaceutica per sfruttarne le possibilità, ha allo studio un analogo vaccino anche contro la malaria, per il quale spera di iniziare fra non molto i primi trial clinici. ___________________________________________________ Le Scienze 20 apr. ’06 CALCOLO DISTRIBUITO PER LA BIOLOGIA Chiunque può partecipare al progetto L’Università di Washington e lo Howard Hughes Medical Institute hanno lanciato un progetto per far progredire più rapidamente la ricerca medica e biologica grazie a Internet. Il progetto si basa sul concetto di calcolo distribuito, quello che sfrutta centinaia o migliaia di computer separati e collegati in rete per affrontare problemi difficili, che in linea di massima richiederebbero la disponibilità di moltissimi giorni o settimane di lavoro su supercomputer. Le stesse prestazioni si possono però ottenere scomponendo il problema in migliaia di piccole parti, la cui risoluzione viene affidata a tanti, normalissimi personal distribuiti in rete che vi dedicano il tempo macchina di cui dispongono quando non sono impegnati nelle usuali attività svolte dal proprietario. Finora la tecnica era stata utilizzata da alcuni centri di ricerca per lo studio di problemi di fisica delle particelle, per ricerche climatologiche e per l’analisi dei segnali provenienti dallo spazio alla ricerca di eventuali messaggi emessi da intelligenze extraterrestri. Oggi a questa nuova possibilità approda anche la ricerca biologica con il progetto Rosetta@home, il cui scopo è lo studio della struttura tridimensionale delle proteine. Di una proteina non basta infatti sapere la composizone per prevederne comportamento e funzioni, ma è importante comprendere come sia ripiegata su se stessa, dato che la sua azione dipende in maniera essenziale dalla conformazione fisica finale. Da questa analisi, soprattuto, i ricercatori sperano di individuare i “punti deboli” biomolecolari sia di molti agenti patogeni sia delle cellule tumorali. Riuscire a definire struttura tridimensionale e comportamenti delle proteine a partire dai dati biochimici, spettrografici e cristallografici disponibili è però spesso una sfida computazionale complicatissima. Per questo i ricercatori dell’Università di Washington e dello Howard Hughes Medical Institute hanno pensato di rivolgersi a tutte le persone disponibili, lanciado il progetto Rosetta@home. Per aderirvi essi invitano a visitare la pagina Web del progetto Rosetta@home da cui è possibile scaricare il software necessario.