CHI VUOLE SPACCARE L'ISTRUZIONE E L'UNIVERSITÀ. I LAUREATI, UNA RISORSA CHE L’ ITALIA NON SA USARE NON BASTA LA RICERCA I NEURONI DEL «TRE PER DUE» Il buco dell'ozono si sta chiudendo grazie al Protocollo di Montreal EMORRAGIA AL COLON: OPERATO MISTRETTA UNIVERSITÀ: MASTER IN CRIMINOLOGIA L'UNIVERSITÀ SI APRE AL MONDO: VIA LIBERA AL NUOVO CAMPUS CAGLIARI, TRE ASSEGNI PER RICERCATORI UN PORTALE EUROPEO DEDICATO AI RICERCATORI LA RISORSA DEI CERVELLI IN FUGA ======================================================= TELECAMERE NEGLI AMBULATORI MEDICI L'INTUITO BASE DELLA DIAGNOSI AVANZA LA RADIOLOGIA INTERVENTISTICA SIAMO MASCHI NIENTE MEDICI PER FAVORE ITALIA ALL'AVANGUARDIA NEI TRAPIANTI FUGA DEI "CAMICI BIANCHI" DALL'OSPEDALE L'ESPERIENZA MEDICA ORA SI FA SULL'UMANOIDE ======================================================= _____________________________________________________ Il Sole24Ore 3 mag. ’06 CHI VUOLE SPACCARE L'ISTRUZIONE E L'UNIVERSITÀ. GRAVE PROPOSTA L'ipotesi di risuddividere in due il Miur sarebbe pericolosa e «ucciderebbe» la formazione professionale DI WALTER PASSERINI In questi giorni si susseguono concitate le riunioni nell'ambito del Centro- sinistra, per arrivare a formulare la lista dei possibili ministri. AL di là del programma pre-elettorale, ora si tratta di dare vita alla squadra e ai diversi ministeri. Le voci, si sa, possono restare voci, e quindi la prudenza è d'obbligo. Ma si aggira tra i palazzi della politica una proposta che molli considerano dannosa: la risuddivisione in due del Miur, del ministero dell'Istruzione; dell'Università e della Ricerca, alla cui nascita e al cui compattamento avevano contribuito le stesse parti sociali. L’idea di «spaccare» in due ministeri la scuola e l'università è di per se dannosa. Tenere insieme l'istruzione e l'università esprime invece il senso della responsabilità nell'individuare strategie per i giovani e per il loro futuro. Ma la cosa non finisce qui. Il risultato dell'eventuale spartizione (perché di questo si tratterebbe, all'interno delle forze politiche che hanno portato alla vittoria la nuova maggioranza), probabilmente originata da un'esigenza premiale noi confronti della coalizione, se fa tornare i conti della politica, non fa tornare i conti della competitività del Paese. C’è di più. Sempre tra le voci raccolte nelle stanze alte della politica, ve n'è infatti un'altra, che vorrebbe la Formazione professionale entrare nel nuovo ministero dell'Istruzione. Con questa seconda mossa il danno non si farebbe doppio, ma irreparabile. Che la formazione nel nostro Paese non abbia mai suscitato entusiasmi tra tutte le forze politiche è un l'atto. Ma di fronte al disinteresse qualcosa s'è fatto: Uno dei limiti del sistema italiano è sempre stato quello di non avere un secondo canale formativo, oltre all'istruzione, ma di pari dignità con la scuola, costituito appunto dalla formazione, sulla quale i Paesi più avanzati hanno da tempo investito e costruito il successo della loro competitività. Nell’ipotesi formulata la formazione diventerebbe non solo dipendente e marginale, ma frutto di una «licealizzazione strisciante», che è la negazione del valore in sè della formazione e dell'alternanza scuola-lavoro. È preoccupante, se la mossa verrà confermata, la spaccatura in due del ministero della Scuola e dell'Università e l'assorbimento nel primo della formazione professionale. La quale è, o dovrebbe essere, una cosa più seria, alle dipendenze del ministero del Lavoro, con una forte Agenzia nazionale, una cabina di regia forte per una leva fondamentale della competitività. _____________________________________________________ Repubblica 7 mag. ’06 I LAUREATI, UNA RISORSA CHE L’ ITALIA NON SA USARE L'indagine Una ricerca europea sull'inserimento dei migranti più qualificati racconta le difficoltà degli stranieri nel trovare un'occupazione adatta alle proprie competenze CERVELLI Sono almeno 250mila, secondo il dossier Caritas 2005, gli immigrati che hanno frequentato una facoltà universitaria (il 12,1 per cento dell'intera popolazione straniera). Molti svolgono mansioni che non richiedono alcuna preparazione Le imprese: "Essenziale facilitare l'incontro tra domanda e offerta" CHIARA RlGHEil «E per stupidaggine usare una laurea per pulire un bidet». È la testimonianza di un anestesista moldavo, oggi medico generico in una clinica italiana, raccolta in «Success through migration», ricerca europea sull'inserimento degli immigrati molto qualificati. L'indagine, voluta dalla Commissione europea, ha studiato le condizioni d'integrazione in 4 Paesi (Italia, Germania, Polonia e Portogallo) degli stranieri specializzati, attraverso interviste a un campione rappresentativo per età, nazionalità, competenze. II quadro che emerge sull'Italia è drammatico: ingegneri che fanno i muratori e devono dirsi soddisfatti se ottengano una licenza per installare impianti. Ricercatrici che aprono agenzie di traduzioni per sottrarsi alle avances sessuali dei loro «badati». E raccomandazioni, ignoranza, scortesia, un sistema che schiaccia le competenze dei singoli. Gli immigrati laureati in Italia sono 250mila, il 12 per cento della popolazione straniera. Troppo spesso il loro titolo di studio non li aiuta per vendere collane o spingere carrozzine, E mentre in altri Paesi occidentali la cosiddetta «sildlled migration» ha canali d'ingresso preferenziali, m Italia i super- specialisti arrivano con lo stesso meccanismo di tutti gli altri (come il decreto flussi). Nelle interviste sono loro stessi a ripercorrere le tappe di un percorso pieno di ostacoli: raccontano le attese di anni per il riconoscimento dei titoli, lo scontro con i pregiudizi razziali e la burocrazia «da uno sportello all'altro dicono cose completamente diverse sullo stesso problema»). È proprio questa il punto secondo Ettore La Carrubba, responsabile Immigrazione dei giovani di Confindustria, che osserva: «È indispensabile anzitutto semplificare le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio, agendo di comune accordo con gli altri Paesi europei». A quel punto, dice il rappresentante degli industriali, l'altro passo da compiere sarà facilitare l'incontro tra domanda e offerta. Creando uffici decentrati nei Paesi d'origine degli immigrati, dove un informatico cinese o un chimico indiano possano sapere chiaramente quali opportunità troveranno in Europa ed essere seguiti passo dopo passo nel loro progetto migratorio. A chi chiedeva riforme per facilitare «l'ingresso dei cerve» il governo negli ultimi anni ha spesso risposto che le quote d'ingresso per i lavoratori qualificati non vengono mai completamente utilizzate. Un segno forse, sostiene Oliviero Farti, referente dell'Ufficio immigrazione di Caritas italiana, che «i tempi non sono ancora maturi». Perché il mercato del lavoro nazionale è ancora debole, troppo legato all'economia sommersa ed anche gli specialisti italiani sono assai poco valorizzati. "Abolire le quote d'ingresso perchi ha master o dottorati" A BOLIRE le quote d'ingresso per i «cervelli». E aggirare ;le lungaggini burocratiche del riconoscimento dei titoli di studio, consentendo che sia chi assume un lavoratore a garantire la sua preparazione. Sono le noività principali di una proposta di legge che giace nel cassetto, ma potrebbe tornare alla ribalta con la nuova legislatura. A lanciarla è Riccardo Monti, presidente italiano della «Columbia Alumni», l'associazione ex- alunni della Columbia University che conta fra i suoi membri Paolo Scaroni, Giuliano Amato, Luca di Montezemolo. Monti è anche un professionista di Value Partners, società mulitinazionale di consulenza; e con i meccanismi d'ingresso dei «cervelli» si scontra ogni giorno. «Nella mia società -- spiega - ci sono professionisti di 21 Paesi: indiani, cinesi, russi. Ma se devono partecipare a un progetto in Italia si scontrano con una legge troppo restrittiva». Cosi, con l'aiuto dell'associazione, Monusi è fatto promotore di una campagna perché l'Italia vada nella direzione di tutti i Paesi civili. I nostri concorrenti europei fanno progetti per attrarre i migliori studenti, noi riusciamo solo a scoraggiare». Monti cita il caso di un ingegnere cinese formato al Massachusetts Institute of Technology che doveva essere assunto dalla Fiat: «Si fa domanda in prefettura, si scopre che le quote sono finite. A quel punto nessuna azienda aspetta un anno, con in piú il vincolo dell'incertezza. A volte si risolve il problema con una scappatoia: ricordo un indiano che si fece assumere da una società inglese, e da quella lavorava per noi. Ma non tutti sono disposti a tanto». Da qui nasce l'idea di modificare alcuni articoli della legge Bossi Fini. I punti principali? «II primo: svincolare dalle quote i lavoratori qualificati. Magari considerando «qualificato» solo chi ha un master o un dottorato, per evitare l'accusa di offrire scappatoie alla Bossi- Fini. Ma soprattutto chiediamo che sia il datore di lavoro a verificare che la persona da assumere possieda effettivamente una certa specializzazione. Del resto parliamo di persone pagate 150mila curo all'anno. Nessuno offrirebbe tanti soldi a un incompetente». _____________________________________________________ Panorama 11 mag. ’06 NON BASTA LA RICERCA Si continua a parlare della necessità di formare dei ricercatori come se da questo dipendesse la ripresa e lo sviluppo economico dei nostro Paese. Su questa tesi io ho molti dubbi. Non perché non ritenga importante la formazione e la ricerca, ma perché è impossibile formare dei ricercatori se non c'è un settore produttivo che li occupa. che pone loro problemi, che consente l’utilizzazione economica delle loro ricerche. E in Italia sono ormai scomparsi o ceduti agli stranieri interi settori produttivi come il nucleare, la chimica, l'elettronica di consumo, dai computer ai cellulari. Come facciamo a formare dei ricercatori nel nucleare dove abbiamo distrutto tutto? Dovrebbero emigrare negli Usa o in Iran. Il vero problema dell'Italia ormai è la difesa e il potenziamento degli ultimi settori produttivi rimasti (alimentare, moda, macchine ; utensili, comunicazioni e l'attivazione di nuovi. È in stretta collaborazione con questi che le università e i centri di studio devono produrre nuovi ricercatori. _____________________________________________________ Panorama 11 mag. ’06 I NEURONI DEL «TRE PER DUE» NEUROSCIEIVZE STUDIO SU «NATURE» Li ha scoperti un ricercatore italiano ad Harvard: servono a determinare il valore dei beni. S e fossero tra gli scaffali di un supermercato, a valutare un'offerta «tre per due », le scimmie saprebbero come comportarsi. Ricercatori dell'Università di Harvard, tra cui l'italiano Camillo Padoa-Schioppa, hanno sottoposto alcuni macachi a esperimenti che ricordano proprio le offerte dei negozi: due gocce di succo d'uva, il preferito dalle scimmie, o quattro di succo di mela, gradito, ma un po' meno? Quattro di succo di mela, o una di succo d'uva? Il risultato è stato che, come un altro esperimento aveva dimostrato, gli animali, al -pari (almeno stando al senso comune) degli uomini, attribuiscono un valore preciso alle cose, soppesando i vari aspetti: nel caso delle scimmie, il gusto del succo di frutta offerto, ma anche la quantità. «Anche nel nostri lontani parenti esiste un meccanismo di scelta economica razionale basato su due momenti: l'assegnazione di un valore agli elementi coinvolti nella scelta e la decisione che ne consegue>: ha detto Elisabetta Visalberghi, ricercatrice al Cnr e coautrice con Padoa-Schioppa del primo studio. Ciascuna scimmia possiede infatti una sua scala di valori, che può modificarsi in base alle esigenze del momento. Di ; solito, un succo d'uva vale quanto tre succhi di mela, ma se la scimmia ha sete può darsi che scelga la quantità maggiore, indipendentemente dai gusto. La novità della ricerca condotta da Padoa-Schioppa con John Assad, pubblicata su Nature, è che sono stati identificati i neuroni che si attivano quando la scimmia attribuisce il valore al cibi che ha di fronte. «Un passo avanti significativo» osserva Padoa-5chivppa «perché per la prima volta è come se vedessimo direttamente nel cervello il modo in cui viene assegnato il valore a un bene, indipendentemente dalle sue proprietà fisiche oggettive». L'intuizione comune è che ciascuno abbia una scala di preferenze in base. alla quale sceglie, ma non è chiaro quali siano davvero i meccanismi mentali delle decisioni. L'ipotesi dominante è che le scelte siano elaborate come opzioni tra diversi atti motori, ma che non esîsta nel cervello una rappresentazione fisica del «valore». La nuova scoperta, invece, mostra che il cervello assegna un valore proprio ai beni, indipendentemente dall'atto motorio necessario a ottenerli. «Questo suggerisce che la scelta economica» dice Padoa-Schioppa «è una scelta tra beni, non tra azioni». Per la difficoltà del problema, anche le teorie economiche classiche hanno rinunciato a descrivere il «valore» in base al quale gli individui compiono le loro scelte. «Le neuroscienze offrono un nuovo modo di studiare il problema». Altre ricerche hanno dimostrato che lesioni nella corteccia orbitofrontale, dove si trovano questi neuroni, sono legate a disturbi dell'alimentazione o dei comportamento, come la ricerca del rischio o la tendenza al gioco d'azzardo: «Potrebbero essere il risultato di un malfunzionamento dei neuroni del valore », Chiara Palmerini _______________________________________________________ L’Unione Sarda 5 mag. ’06 CAGLIARI, TRE ASSEGNI PER RICERCATORI Indette le selezioni per titoli con scadenze 6 e 11 maggio L'Università di Cagliari ha indetto una selezione per titoli per il conferimento di tre assegni per attività di ricerca. L'importo annuale di ognuno è di 16.138 euro. Gli assegni dovranno essere impiegati, in particolare, in tre progetti: il primo riguarda i principi del coordinamento della finanza pubblica e rientra nell'area di Scienze giuridiche, il secondo, che fa parte di Scienze biologiche, si intitola "Le giunzioni intercellulari negli epiteli esocrini dell'uomo. Studio tridimensionale al microscopio elettronico ad alta risoluzione" e il terzo, infine, dal titolo "Metodiche e metriche di sviluppo e validazione del software" rientra nell'area di ingegneria industriale e dell'informazione. Per quanto riguarda i requisiti richiesti per partecipare alla selezione, è necessaria la laurea nell'area specifica cui è associato l'assegno di ricerca e poi altri titoli qualificanti per ogni assegno. La presentazione delle domande scade domani, 6 maggio, per il primo e il secondo assegno, mentre, per quello relativo all'area di ingegneria la data è fissata per giovedì, 11 maggio. Il bando è disponibile nel sito www.unica.it, dell'Università di Cagliari. (eu. ri.) _______________________________________________________ L’Unione Sarda 30 Apr. ’06 UN PORTALE EUROPEO DEDICATO AI RICERCATORI Un importante strumento di informazione Quali sono le possibilità e le opportunità di studio e lavoro per un giovane ricercatore italiano? La risposta viene dalla Commissione europea che, dopo un iter burocratico durato tre anni, ha lanciato nel 2003 il "Portale europeo per la mobilità del ricercatore" (The european researcher's mobility portal). Uno strumento per favorire la mobilità, ma soprattutto la crescita professionale dei ricercatori che dal sito possono attingere informazioni su borse di studio e finanziamenti, su offerte di stage e opportunità lavorative. Per il momento i paesi europei che hanno aderito all'iniziativa sono 32, tra cui l'Italia, ma il confine europeo si sta allargando. Ci sono infatti contatti con il Cile, il Canada, l'Australia e il Sud Africa mentre la Nuova Zelanda sta mettendo a punto il suo portale. reclutamentoIl portale è uno strumento di reclutamento semplice e agevole sia per le istituzioni universitarie e gli istituti di ricerca privati e pubblici sia per gli stessi ricercatori. Graficamente il sito è suddiviso in tre sezioni principali: borse di studio o sovvenzioni; offerte di lavoro aggiornate in tempo reale ed informazioni pratiche sul paese dove si intende andare. banca datiPer quanto riguarda i servizi, il portale ha due banche dati, la prima rivolta agli organismi di ricerca in senso lato: università, laboratori pubblici e privati e imprese possono pubblicare gratuitamente le proprie offerte di lavoro e ricercare il profilo del candidato ideale; la seconda banca dati è rivolta ai ricercatori che possono inserirvi i propri curricula. I ricercatori in trasferta sono costantemente monitorati e supportati dal centro per la mobilità Era-more (European network of mobility centre) costituito da 200 centri appartenenti ai paesi che hanno aderito all'iniziativa. Era-more fornisce assistenza ai ricercatori prima, durante e dopo il periodo di formazione all'estero sia da un punto di vista professionale sia nella vita quotidiana. Il contributo italiano si concretizza nel progetto Eramit (European research area mobility in Italy) che mira a creare le condizioni più favorevoli affinché l'accoglienza e il soggiorno dei ricercatori sia il più piacevole possibile. informazioniIl portale è completato da una sezione eventi che contiene un calendario aggiornato delle manifestazioni, dei seminari e delle conferenze in programma e una finestra di collegamento al dettagliato sito curato dal Ministero dell'istruzione "Study in Italy", un utile strumento per chi desidera frequentare gli studi in Italia. Maggiori informazioni nel sito www.europa.eu.int/eracareers . Renata Fadda _______________________________________________________ Corriere della sera 30 Apr. ’06 LA RISORSA DEI CERVELLI IN FUGA Pensa la salute Entrando in un laboratorio di ricerca nel nostro Paese si percepisce subito una profonda differenza rispetto a strutture analoghe presenti oltre i nostri confini: ricercatori e medici sono, salvo rare eccezioni, quasi tutti italiani. Anche i dati non lasciano dubbi: in Italia gli studenti stranieri iscritti all' Università sono meno del 2% contro il 6% della media europea (fonte OCSE), e i ricercatori esteri sono l' 1,4% contro, ad esempio, il 15% del Regno Unito (fonte Web ERA-Carreers). Difficile non riconoscere, quindi, che il nostro sistema di ricerca soffre di una grave mancanza di internazionalizzazione. Un problema da non sottovalutare, poiché gli scambi culturali favoriscono il progresso delle conoscenze finalizzate a migliorare la qualità delle cure per i pazienti. Eppure l' Italia non sembra preoccuparsene. O, almeno, non quanto della fuga dei suoi cervelli. Ma ciò, a mio parere, non rappresenta necessariamente un problema: piuttosto, la conseguenza della chiusura del nostro sistema. In un Paese che vuole essere all' avanguardia sul fronte scientifico è normale che gli scienziati studino e lavorino oltre confine, e che vi sia una politica di reclutamento di ricercatori e medici anche dall' esterno, in una logica di apertura e di scambi culturali che costituiscono l' essenza stessa della ricerca e del progresso della scienza. La mancata internazionalizzazione del nostro sistema, quindi, non solo costituisce la spia dell' arretratezza della ricerca biomedica italiana, per lo meno nella sua componente di innovazione, ma ne è al tempo stesso concausa. La soluzione, allora, non è concentrarsi sul rientro dei nostri cervelli (o almeno non solo), ma offrire buone condizioni in cui fare scienza, così da rendere il nostro Paese attraente per ricercatori e medici italiani e stranieri. Importante, innanzitutto, creare per gli studiosi stranieri programmi ad hoc come borse di studio, oggi quasi del tutto inesistenti. Fondamentale, poi, creare sportelli di finanziamento della ricerca sufficientemente affidabili e meritocratici. E, non ultimo, facilitare la permanenza degli scienziati stranieri, evitando loro di dover fare i conti - oltre che con gli alti costi di alloggi e trasporti - con pratiche burocratiche interminabili, ad esempio per ottenere il permesso di soggiorno, che non hanno confronto negli altri Paesi. E che scoraggiano i giovani, soprattutto se provengono dal di fuori della Comunità Europea. Per concludere, in attesa di riforme radicali credo che creare condizioni favorevoli per l' arrivo di giovani cervelli sia una priorità imprescindibile per immettere linfa nuova nel sistema di ricerca del nostro Paese. *Direttore Scientifico Istituto Clinico Humanitas - IRCCS e docente Università degli Studi di Milano _______________________________________________________ L’Unione Sarda 4 mag. ’06 L'UNIVERSITÀ SI APRE AL MONDO: VIA LIBERA AL NUOVO CAMPUS La Regione ha stanziato 17 milioni di euro per l'opera La struttura sorgerà in viale La Playa, nell'area che occupa la Sem. Con mille nuovi posti letto in più, si punta da attrarre anche studenti stranieri nell'ateneo cagliaritano. Il campus universitario cagliaritano, che dovrà sorgere nell'ex area della Sem in via La Playa, fa un passo avanti. Ieri il Consiglio regionale, con 39 sì, 17 no e tre astenuti, ha approvato l'articolo 19 del maxicollegato alla Finanziaria, contenente tra gli altri provvedimenti, anche lo stanziamento di 17 milioni di euro per la nuova struttura ricettiva, con almeno mille posti letto, biblioteca e campi sportivi. Con la permuta di altri beni, la cifra dovrebbe toccare i 26 milioni di euro. L'Ersu aveva già messo a disposizione 29 milioni di euro, e dunque il campus che sorgerà dietro a viale La Playa si prepara al decollo definitivo, dopo quattro anni di passaggi a vuoto. I RITARDI. Un intervento importante, visti i numeri che la città fa registrare nella ricettività per gli studenti: attualmente i posti letto disponibili sono mille. Un dato in linea con la media italiana del due per cento, nel rapporto tra studenti universitari e offerta ricettiva degli enti per il diritto allo studio. Ma l'Italia è agli ultimi posti nel confronto con gli altri paesi europei: Finlandia e Svezia arrivano al 19 per cento, la Norvegia al 13, l'Austria al 12, e anche Germania (8) e Francia (7) sembrano per ora irraggiungibili. «Non possiamo restare indietro, perché l'internazionalizzazione e la mobilità sono partite fondamentali per il futuro dell'Università»: la sfida è lanciata dal presidente dell'Ersu di Cagliari, Christian Solinas, eletto due giorni fa vice presidente dell'Andisu, l'associazione nazionale degli organismi per il diritto allo studio universitario, che ha rinnovato proprio a Cagliari il consiglio direttivo. Ieri si è tenuta l'ultima giornata del Consiglio nazionale, al teatro Nanni Loy, con il convegno La residenzialità come fattore di sviluppo dell'attrattività del sistema universitario. I PROGETTI ERSU. «Un buon sistema attrattivo deve saper recuperare studenti stranieri. Per fare questo serve un ottimo mix tra didattica di livello e servizi di qualità: mense, iniziative culturali e sportive, e la ricettività». Solinas ricorda che nel prossimo biennio si dovrebbe avviare la costruzione del primo campus universitario, nell'area ex Sem, la semoleria storica della famiglia Cellino: mille posti letto, biblioteca, impianti sportivi, tutto in una zona centrale, come quella dietro a viale La Playa, e ben collegata con il resto della città. «I mille posti attuali sono insufficienti», aggiunge Solinas, «se consideriamo che i fuori sede dell'ateneo sono circa 18 mila. Con il nuovo campus si raddoppia la disponibilità. Questo potrebbe produrre una ricaduta positiva anche sui prezzi degli affitti». E mentre il convegno si avviava alla conclusione, è arrivata la notizia del via libera all'articolo 19 del maxicollegato, e al finanziamento regionale per il campus. Matteo Vercelli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 3 mag. ’06 Santissima trinità EMORRAGIA AL COLON: OPERATO MISTRETTA Pasquale Mistretta, 73 anni, rettore dell’Università di Cagliari dal 1991 e in corsa per il sesto mandato consecutivo, è ricoverato nel reparto di Chirurgia generale del Santissima Trinità da sei giorni. Ma l’emorragia del diverticolo del colon, il male con cui ha dovuto combattere, non ha minato l’ottimismo del rettore: «Mi presenterò alle prossime elezioni», giura Mistretta, nonostante le votazioni siano in programma tra 15 giorni. Il rettore è stato operato d’urgenza giovedì 27 aprile. L’intervento, durato quasi 8 ore (dalle 21,30 alle 5), si era reso necessario dopo l’emorragia interna (la seconda in pochi giorni) di cui Mistretta era rimasto vittima poche ore prima. La precedente risaliva al 24 aprile: Mistretta, portato in ospedale e visitato in colonscopia (l’esame endoscopico del colon per osservare le alterazioni della mucosa), era stato portato anche a Iglesias per un secondo controllo, più approfondito, all’intestino. Sembrava tutto a posto, poi il 27 la terza crisi e l’operazione. Perfettamente riuscita. «Cambierò solo la campagna elettorale: anziché bussare di porta in porta, chiamerò uno per uno i ricercatori», ha sottolineato il rettore: «Di sicuro non ritiro la candidatura». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 4 mag. ’06 UNIVERSITÀ: MASTER IN CRIMINOLOGIA È iniziato ieri, nell'aula magna di via Università, il master di Psicologia giuridica e Criminologia. Sessanta gli iscritti, 7 gli uditori che parteciperanno ai corsi patrocinati dalle facoltà di Scienze della formazione, Medicina e Giurisprudenza. L'obiettivo è formare professionisti in perizie e consulenze psicologico-giuridiche, criminologiche, per separazioni, affidamenti e adozioni, analisi della scena del crimine, metodi di interrogatorio, abuso sessuale, criminalità informatica, prevenzione della tossicodipendenza. 4 - L’Unione Sarda _________________________________________________________ Libero 7 mag. ’06 Il buco dell'ozono si sta chiudendo grazie al Protocollo di Montreal Il buco dell'ozono, strato che riveste il pianeta e che ci protegge dall'azione nociva dei raggi ultravioletti, si sta richiudendo. Lo dicono esperti dell'Università del Colorado, secondo i quali il merito è del Protocollo di Montreal, finalizzato alla riduzione dell'impiego di Cfc (Clorofluorocarburi, composti da cloro, fluoro e carbonio), di solito utilizzati come refrigeranti o solventi. Latteso processo di guarigione durerà decenni e ora è solo in fase iniziale. ======================================================= ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 mag. ’06 TELECAMERE NEGLI AMBULATORI MEDICI Nella facoltà di medicina cagliaritana nuove tecniche per la formazione Saranno filmate le visite ai pazienti, l’obiettivo è di rendere più efficaci le relazioni tra i neodottori e gli ammalati ALESSANDRA SALLEMI Un ragazzo si iscrive a Medicina, studia con profitto, si laurea, si infila in tutti i tirocinii possibili, alla specializzazione brilla per i voti riportati. Fino a quel momento, di pazienti ne avrà visti, ma sempre con un medico esperto vicino e mai con la responsabilità di gestire la terapia. Poi, un giorno, lo studente ormai dottore incontra finalmente un ammalato «suo». Cosa sarà in grado di fare quando scoprirà che l’interlocutore, magari più anziano, probabilmente ricco di esperienze di vita, forse anche di buona cultura, non riesce a sottomersi all’idea di prendere una pillola ogni giorno per tutti gli anni che gli restano da vivere? Finora, l’approccio del medico col paziente è stato interamente affidato alle doti personali di ciascuno. Poi ci sono gli operatori che hanno vissuto la frequentazione del dolore e la necessità di difendersi in misura diversa li ha resi un po’ meno partecipativi sul piano emotivo. Vista dalla parte del paziente, la questione da «immensa» diventa assoluta. Grossolanamente si è sempre detto: il buon rapporto con un medico fa la metà della cura. Dunque, oggi, la facoltà di medicina di Cagliari ha deciso di misurarsi col problema. Succede anche a Udine, ma il corso di Cagliari presenta novità nell’approccio accademico. Il preside della facoltà, Gavino Faa, ha colto un segnale che gli è arrivato dall’universo dei malati: serve la scienza, ci vuole la tecnologia, indispensabile, poi, l’organizzazione, ma necessaria come l’aria che si respira è la qualità del contatto degli operatori sanitari coi pazienti. La facoltà responsabile della formazione, tra il 2005 e i primi mesi del 2006, ha portato il tema all’interno e ha fatto due scelte: di non perdere altro tempo nel dare risposta promuovendo subito la sperimentazione di un modello di corso universitario; di non chiudere la porta della facoltà a quel mondo esterno che ha prodotto l’istanza in modo pressante e accorato. Il corso è così cominciato nei giorni scorsi con il seminario sul tema «Umanizzazione della Medicina» (aula Virgilio Costa, in Anatomia patologica all’ospedale San Giovanni di Dio). Lo staff dei docenti è composito, l’insegnamento sarà impartito attraverso lezioni teoriche, ma soprattutto punterà a fare immergere gli studenti in una serie di situazioni-tipo che verranno rappresentate secondo un modello teatrale dagli studenti stessi con la collaborazione di attori professionisti. Così le scene verranno filmate e un’altra parte delle lezioni sarà dedicata alla discussione tra tutti gli studenti: sia quelli protagonisti delle rappresentazioni nella parte del medico che deve informare il paziente, sia gli altri, spettatori. La discussione sarà un momento didattico di fondamentale importanza e verrà condotta sotto la guida dei docenti della facoltà di psicologia che partecipano al progetto e delle figure esterne all’università con una formazione approfondita su alcuni aspetti dell’umanizzazione del rapporto medico-paziente. Gavino Faa spiega ancora che la presa d’atto della necessità di inserire fra le materie l’«Umanizzazione della medicina» è una tappa del percorso cominciato dalla facoltà per «studiare in modo più efficace». «Finora - chiarisce poi il preside - il grande lavoro a Medicina è stato fatto per riorganizzare il corso di studi, i ragazzi riescono a laurearsi in sei anni, non pochi nella prima sessione del sesto anno, e non perché oggi si studi di meno. Nell’ambito di questo lavoro di miglioramento, da tempo si è posto il problema di trasferire ai giovani anche problemi connessi con l’etica medica e la deontologia. Quello del rapporto tra medico e paziente è un approfondimento per noi qualificante, da inserire in modo stabile nel percorso di formazione del medico. Per ora scandaglieremo la comunicazione medico-paziente, medico e familiari del paziente, con attenzione al tema del consenso informato e della verità sul proprio stato da presentare al malato. Il manifesto per l’“Umanizzazione della medicina” ci dice di mettere al centro dell’aiuto medico il ripristino della dignità della persona malata. E a questo si arriva anche promuovendo la formazione del medico sul momento delicato della comunicazione col paziente». «Il corso che stiamo varando rappresenta un primissimo tentativo: cominciamo, ma studiamo anche come farlo meglio - è la conclusione del preside della facoltà -. I casi clinici sui quali i ragazzi saranno chiamati a immedesimarsi nella parte del medico e a simulare il momento in cui dovranno spiegarsi saranno studiati attentamente, mirati alla nostra reale situazione sanitaria. Dovrà essere un altro modo per trasferire ai giovani l’importanza dell’osservazione dei bisogni delle persone, punto di partenza obbligato per la comprensione di una realtà complessa come quella dell’essere umano che si ammala. L’innovazione del corso sta anche nell’apertura agli psicologi, abbiamo gettato un ponte verso quella facoltà e intendiamo renderlo ben saldo». ___________________________________________________ Libero 7 mag. ’06 L'INTUITO BASE DELLA DIAGNOSI Medici nei musei per imparare l’arte di osservare NEW HAVEN Un bravo medico è colui che sa osservare bene il suo paziente. Che anche senza avere delle cartelle cliniche in mano è già in grado, con un rapido sguardo, di capire di cosa soffre l'ammalato. Un tempo era molto più facile imbattersi in medici di questo tipo. Oggi, per via dei grandi progressi della tecnologia, questa abilità è venuta meno. Ed è per questo che, da pochissimo tempo, alcune facoltà di medicina stanno sperimentando corsi complementari "artistici" per riacquisire la capacità di leggere il corpo umano. La notizia arriva dagli studiosi dell'università di Yale, i quali hanno osservato le cartelle cliniche compilate da medici che hanno frequentato pinacoteche e musei e quelle di specialisti tradizionali. È emerso che i primi comprendono meglio 1e reali necessità di un paziente, col quale stabiliscono anche una maggiore empatia. Il connubio medicina-arte sta avendo riscontro anche presso il prestigioso Metropolitan Museum of Art di New York, dove una sala è interamente dedicata ai futuri medici che tra un corso e l'altro di fisiologia e patologia si cimentano con l'arte. «Il corso è obbligatorio per gli studenti del terzo anno - dice David Mu1ler, preside della Scuola di medicina – una lezione per imparare quanto l'arte della osservazione sia fondamentale nella medicina». _____________________________________________________ Il Giornale 6 mag. ’06 AVANZA LA RADIOLOGIA INTERVENTISTICA Molto, utilizzata nell'arca oncologica evita sovente il ricorso a interventi chirurgici lunghi e traumatici Gandini: «Oggi possiamo intervenire anche su organi profondi come il cuore ed il polmone» Luigi Cucchi La radiologia ha un nuovo volto. In questi ultimi anni ha compiuto progressi sorprendenti grazie all'elettronica, all'informatica ed a tipi di energia differenti dai raggi X, trasformandosi in una, disciplina più complessa, più modernamente definita diagnostica per immagini. Per molti anni impiegata con esclusive funzioni diagnostiche (a partire dalla scoperta dei raggi X nel 1895 da parte del fisico tedesco Wilhem Conrad Roentgen) la radiologia ha allargato in tempi relativamente recenti i suoi confini per occupare spazi anche terapeutici nell'ambito di procedure di vario genere in campo vascolare, biliare, oncologico, con la denominazione di Radiologia. Interventistica (RI). Incontriamo nel suo reparto all' ospedale Molinette il professor Giovanni Gandini, direttore dell'Istituto di Radiologia dell'Università di Torino, uno dei centri di riferimento della radiologia interventistica italiana, dove si effettuano (escludendo le oltre duemila, biopsie percutanee), più di duemila interventi radiologici «maggiori>r ogni anno. A lui chiediamo come sta cambiando l'attività degli 8mila radiologi italiani e quali sono gli interventi più innovativi? «II termine di radiologia interveniistica - ricorda il professor Gandini - fu proposto nel 1965 da Margulis per indicare quella branca, della radiologia che consente, di ottenere gli stessi risultati di un intervento chirurgico, più traumatizzante e più a lungo invalidante, con l'uso di aghi e sottili sonde, che vengono inseriti dalla cute, senza, inciderla, nelle arterie e nelle vene, ma anche nelle vie biliari e urinarie. L'arteriografia, con accesso percutaneo, fu proposta da Sven Ivar Seldinger nel 1953, mentre la prima angioplastica fu casualmente eseguita nel 1964 da Charles Dotter, radiologo dell'Università dell'Oregon a Portland, ma è dagli anni '70 che la RI ha, un travolgente sviluppo. Oggi; in moltissimi Ospedali italiani - afferma. il professor Gandini - si effettuano numerosi interventi di primo livello di radiologia interventistica (agobiopsie eco o TAC guidate di qualsiasi organo, anche profondo come il pancreas o il polmone, per verificare l'eventuale presenza di cellule tumorali), mentre solamente negli Ospedali più grandi si eseguono interventi più complessi che richiedono - apparecchiature (sale angiografiche) ed uno strumentario molto più sofisticati. I vasi periferici ristretti (come le arterie iliache, femorali, renali o carotidi) possono essere dilatati con appositi cateteri "a palloncino" (angioplastica o stent), mentre quelli ectasici per aneurisma vengono riportati a dimensioni normali con l’inserimento di stent ricoperti (endoprotesi). Vengono inoltre eseguiti interventi per la chiusura di arterie (embolizzazione) in caso di sanguinamento o per l'infusione diretta di farmaci nei vasi che nutrono le cellule di tumori come l'epatocarcinoma (chemioembolizzazione). È anche possibile ridurre, nei pazienti cirrotici, le complicanze (sanguinamento di varici esofagee o versamenti di liquido in addome) con la TIPS (shunt porto-sistemico transgiugulare) e si utilizzano aghi per radiofrequenze per la distruzione di tumori anche in sede profonda., come il carcinoma del fegato. Molte stenosi benigne e maligne delle vie biliari e delle vie escretrici urinario possono essere trattate con la, RI, creando by-pass in grado di far progredire la bile o l'urina oltre il segmento ostruito o dilatando con il «palloncino» le stenosi. Patologie complesse come la calcolosi intraepatica e complicanze in fegati e reni trapiantati sono risolte con manovre di RI. Più recentemente sono state messe a punto tecniche di vertebroplastica? «Con iniezione di cemento per via percutanea (con la guida della TAC o della radioscopia) in vertebre fratturate per osteoporosi o metastasi, si ottiene la, scomparsa del dolore in molti casi. Tutti questi trattamenti sono oggi possibili non solo grazie alle tecnologie d'avanguardia disponibili, ma anche per il continuo miglioramento dello strumentario, grazie alla ricerca clinica e dell'industria che consentono migliori risultati con cateteri sempre più sottili e perciò meno traumatizzanti. Oggi il radiologo interventista è parte integrante di un team multidisciplinare formato da. chirurghi generali e specialistici, clinici e oncologi. I programmi terapeutici sono sempre più il frutto dello stretto rapporto tra diversi specialisti, che consento - precisa il professor Gandini - di applicare le migliori cure e di «personalizzare» la terapia, non solo a seconda della malattia., ma anche delle condizioni psicofisiche del paziente, che deve rimanere al centro di ogni atto medico. Giovanni Gandini _______________________________________________________ La Stampa 3 Mag. ’06 SIAMO MASCHI NIENTE MEDICI PER FAVORE IL dottor C.N., primario di oncologia, ha dedicato la vita alla diagnosi e alla cura del cancro alla mammella. Sono centinaia e centinaia le donne operate e curate da lui. La maggior parte di queste pazienti si sono salvate e molte di loro godono di ottima salute. C.N. invece è morto qualche mese fa all'età di 55 anni per un cancro alla prostata. Quando con molto ritardo C.N. si è finalmente deciso, su insistenza della moglie, a farsi visitare da un collega, le metastasi avevano ormai raggiunto le ossa e non gli restavano che pochi mesi di vita. Eppure i segnali c'erano stati: dolori alla schiena, difficoltà urinarie, impotenza sessuale. Come mai, proprio lui, che ha trascorso una vita tra i malati di cancro, non ha dato peso ai sintomi? Sembra un paradosso. In realtà una spiegazione c'è e ha radici lontane. Gli uomini tendono a sottovalutare i sintomi fisici e a curarsi meno delle donne. Secondo un’indagine epidemiologica condotta negli Usa su 100 mila persone, 297 uomini muoiono ogni anno per disturbi cardiaci contro 197 donne. Analogamente, il cancro uccide 238 uomini, su 100 mila ogni anno, contro 163 donne. Dalla stessa indagine è emerso che gli uomini evitano di andare dal medico, quando hanno sintomi minori ma persistenti, in misura tre volte superiore rispetto alle donne. Molti, infine, non vogliono sottoporsi alle analisi di routine, anche quando gli esami sono gratuiti. Come spiegare questa differenza tra i sessi? Le donne hanno forse una maggiore sensibilità al dolore rispetto agli uomini? E' possibile, ma è soltanto un aspetto della questione. Le donne, in realtà, mostrano maggiore attenzione degli uomini ai segnali che invia l'organismo anche quando non si tratta di sintomi gravi e sono più disposte a sottoporsi agli esami e a seguire le cure. Questa diversa disposizione ad ascoltare il proprio corpo e ad accettare di curarsi può trovare una spiegazione nell'evoluzione che hanno avuto i due sessi nel corso dei millenni, ossia in un una differenza culturale che, proprio perché consolidata nel tempo, è dura a morire. Gli psicologi evoluzionisti Margo Wilson e Martin Daly (della McMaster University, Ontario) suggeriscono un’interpretazione suggestiva. Per millenni - spiegano - c'è stata una rigida divisione dei ruoli tra maschi e femmine: le donne partorivano e si prendevano cura della prole, mentre gli uomini andavano a caccia e si preoccupavano di portare a casa il cibo per la famiglia. Quando una donna si ammalava, restava in casa o nella grotta, aspettando di rimettersi in forze. La maggiore preoccupazione, per un uomo che si ammalava o avvertiva un disagio fisico, era invece quella di procacciarsi del cibo, finché le forze reggevano, per non correre il rischio di rimanere senza scorte, lui e la sua famiglia. Questo tipo di orientamento porta a trascurare o addirittura a negare i segnali di malessere. Inconsciamente noi uomini - spiega Martin Daly - continuiamo a domandarci se abbiamo abbastanza risorse e se abbiamo accumulato cibo sufficiente nel frigo! Un retaggio culturale di cui non ci siamo ancora liberati. Se a ciò si aggiunge che da sempre le donne sono motivate a prestare attenzione ai segni di disagio dei loro bambini, a individuarne le cause e a trovare la cura, il motivo di questa differenza tra i sessi appare ancora più evidente. Quando le condizioni di vita erano molto precarie, i pericoli frequenti e pochi coloro che riuscivano ad invecchiare, un senso di invulnerabilità personale era indispensabile per affrontare i rischi e alimentare il coraggio fisico. I maschi dovevano essere determinati, forzuti, sopportare il dolore con stoicismo, imparare a non lamentarsi fin da bambini. Pensare di poter ammalarsi o essere vulnerabili era un duro colpo all'autostima. Le condizioni di vita sono però mutate: si vive più a lungo e sono sempre più numerose le persone che devono confrontarsi con le malattie della maturità e della terza età. La prevenzione è importante. Ma, se le donne accettano esami di routine come il paptest e la mammografia, gli uomini invece trovano sminuente sottoporsi a checkup periodici come il controllo della pressione, del colesterolo o della funzione della prostata. Stentano a liberarsi di quel bagaglio evolutivo che un tempo aveva un senso e che oggi sta diventando controproducente. Accettare le proprie vulnerabilità non serve solo a prevenire le malattie e a curarsi in tempo, ma consente anche di dare ai figli un giusto orientamento. Le madri portano le figlie dal ginecologo per gli esami, è invece più raro che un padre trasmetta a un figlio il messaggio «puoi chiedere aiuto», «non c'è nulla di male ad occuparsi della propria salute». E così i maschi continuano a vergognarsi delle malattie e a negarle fin che possono. _______________________________________________________ La Repubblica 3 Mag. ’06 ITALIA ALL'AVANGUARDIA NEI TRAPIANTI Cornea Primo trapianto di cornea in Italia con un laser a femtosecondi, al Centro Regionale d'Eccellenza in Oftalmologia, Univ. Chieti\Pescara. È la nuova frontiera della chirurgia corneale. "Un sistema robotico sfrutta l'azione di un laser a pulsazione ultraveloce con impulsi microscopici di un miliardesimo di secondo", spiega Leonardo Mastropasqua, direttore della Clinica oftalmologica chietina e consigliere della Società Oftalmologica Italiana. Senza bisturi o lame si fanno taglietti molto precisi sui tessuti dell'occhio del paziente. "Con tanti piccoli spot laser vicini che creano una superficie di taglio regolarissima si possono fissare con precisione posizione, estensione e profondità. Anche il recupero funzionale è più veloce e si ottiene una migliore qualità della visione". Nel trapianto di cornea tradizionale l'Italia è già all'avanguardia, leadership per numero (ogni anno circa 10.000) e qualità di interventi: nel 2005 azzerate le liste di attesa. (a. mes.) _______________________________________________________ La Repubblica 3 Mag. ’06 FUGA DEI "CAMICI BIANCHI" DALL'OSPEDALE I medici smettono di lavorare prima per paura della riforma previdenziale. Ma non vengono sostituiti di Laura Kiss Il fenomeno si sta facendo sentire in tutta Italia e genera un dibattito acceso sul futuro dei medici ospedalieri. Nel giro di due anni si è registrato infatti un calo numerico dei medici dipendenti dagli ospedali pubblici che preoccupa e sta facendo discutere. Perché, come spiega Stefano Biasioli, presidente nazionale del Cimo, il Coordinamento italiano dei medici ospedalieri, "la fuga dagli ospedali dei medici con più di 57 anni e con almeno 35 anni di contributi dipende non tanto dalle condizioni di lavoro ma dalla riforma pensionistica". Il primo gennaio del 2008 scatterà infatti un ulteriore livello di calcolo della pensione che modificherà sia i requisiti necessari, che il quantum della pensione stessa. Per semplificare, se oggi, con un sistema pensionistico misto tra sistema contributivo e retributivo, si va in pensione con circa il 90% dell'ultima busta paga, dal 2008 in poi l'entità della pensione sarà sempre più basata sul sistema retributivo, con valori pensionistici che caleranno progressivamente da quel 90% a circa il 35-40% dell'ultima busta paga, nell'arco di circa 10-15 anni. "Motivo in più per andare in pensione al più presto", continua Biasioli, "Non solo. Bisogna che il nuovo governo intervenga sulle modalità dell'intramoenia- extramoenia. Il 31 luglio cessa infatti la possibilità di esercitare la libera professione con l'intramoenia allargata. Ossia, date le 38 ore di attività ospedaliera standard, di esercitarla all'interno dei locali dell'ospedale stesso, o quando non usufruibili, in strutture extra ospedalierie "consentite". Poiché è nota la carenza di ambulatori all'interno degli ospedali, la libera professione intramoenia allargata (LPIA) rappresenta non solo un diritto dei medici, ma una garanzia per il cittadino ad avere prestazioni specialistiche rapide ed a tempi certi. Ci auguriamo pertanto che il nuovo governo confermi l'esistenza della LPIA ben oltre il 31/7/06, con un provvedimento d'urgenza". Biasioli si preoccupa per il futuro dell'intero sistema sanitario pubblico. "Già ora vi è carenza di alcune figure specialistiche come i nefrologi, i radiologi, i pediatri e gli anestesisti. Se i medici dipendenti che vanno in pensione saranno sempre di più e non avvengono nuove assunzioni come si farà? Le scuole di specializzazione universitarie non tengono affatto conto delle reali esigenze del mercato della sanità e definiscono il numero degli accessi ai corsi di specializzazione con criteri slegati dalle reali esigenze. Bisogna che le università si adeguino al mercato sanitario, in fretta". I dati della "fuga" degli ultimi 2 anni sono significativi: solo nel Veneto il servizio sanitario ha perso 200 medici di cui 98 primari. "L'aria di fuga dal pubblico si respira e per interrompere questo trend bisogna costruire incentivi per motivare i medici a restare", spiega Domenico Ascaro, vicesegretario nazionale di Anaao Assomed, associazione medici dirigenti. "Altro motivo è che il mercato della sanità in Italia è molto rigido, non ci sono spazi. Si va in pensione a 70 anni e non ci sono i fondi in finanziaria per le nuove assunzioni. Chi è giovane e può spesso accetta un lavoro all'estero. E poi le condizioni della sanità in Italia sono disastrose. Basta pensare a come vengono gestite le liste d'attesa per gli esami clinici. Da sempre si dice che la colpa delle lunghe attese sarebbe dei medici che cercano di dirottare i pazienti nelle strutture private dove lavorano. Invece il problema", conclude Ascaro, "è che bisognerebbe riuscire ad esercitare un "buon governo" delle liste, istituendo le graduatorie d'urgenza e dirottando altrove le richieste di esami come la Tac se non motivate". _______________________________________________________ La Repubblica 3 Mag. ’06 L'ESPERIENZA MEDICA ORA SI FA SULL'UMANOIDE Una superficie di oltre 400 metri quadrati, due sale "operative", sale dedicate all'emergenza e ai politraumi, aule multimediali. Potrebbe essere la descrizione di un nuovo ospedale. E invece, appena inaugurato a Napoli, Medisim è il primo centro italiano (un altro, a Bologna, è privato) di simulazione per la formazione di medici, chirurghi e infermieri, frutto di una partnership tra l'azienda ospedaliera universitaria Federico II e la Fondazione Città della Scienza. Ma l'originalità della struttura fa perno, oltre che sul corpo docente, sulle tecnologie robotiche che consentiranno agli allievi di fare pratica su malati "in carne e ossa", senza il patema d'animo di un errore che potrebbe rivelarsi fatale. Certo, gli umanoidi che i camici bianchi dovranno curare sono pur sempre dei robot ma, siccome ripropongono caratteristiche anatomiche e fisiopatologiche simili a quelle umane, l'effetto verità è garantito. Ancora. Dato che in un pronto soccorso i medici devono essere pronti a trattare in urgenza sia adulti che bambini, i robot riproducono sembianze e organi di entrambi: Sim-men è un maschio adulto, Sim-baby un bimbo di circa 8 anni. Tutti e due hanno un cuore che batte, la lingua che si muove e il polso che pulsa, lasciando pure intravedere le vene sotto pelle. Ma mica sono inerti i manichini: hanno la peculiarità di interagire con l'ambiente, di parlare col medico il piccolo, chiama anche la mamma: si ammalano davvero, soffrono di asma e, qualche volta "arrivano" pure con l'infarto. Rischiano di morire, insomma, se non vengono curati come si deve. Per riprodurre muscoli e pelle sono state utilizzate resine sintetiche, mentre l'interno del corpo è riempito di schede, relais e fili intrecciati tra loro. Ma quel che più conta è la perfetta simulazione delle funzioni vitali di un organismo vivente, dal respiro al dolore e fino all'evento-morte. Funzioni che vengono governate in realtà virtuale da un elaboratore e da tre software di ultimissima generazione. Grazie a questa sorta di replicanti, nel Medesim hospital, come è già stato ribattezzato, sarà possibile esercitarsi ed eseguire manovre rianimatorie, somministrare gas anestetici e farmaci, praticare l'ossigenoterapia, intubare, ventilare, defibrillare in caso di arresto cardiaco e assistere il paziente vittima di fratture. "Il centro di simulazione", spiega Marco De Fazio, chirurgo all'Asl Napoli 1 e responsabile dell'Afim (Alta formazione in medicina), "sarà utile sia alla formazione dei giovani medici che all'aggiornamento di quelli che già lavorano". I primi corsi, destinati ai medici dell'azienda Policlinico, sono iniziati a fine aprile e, da giugno saranno aperti a operatori anche liberi professionisti. (giuseppe del bello) _______________________________________________________ Corriere della sera 30 Apr. ’06 CINQUANTENNI ACCIACCATI PER TROPPO SPORT La generazione del baby boom non si adegua al passare degli anniFitness Gli americani la chiamano «boomerite» o sindrome di Highlander. Ma in Italia colpisce molto menoIn alcuni casi anche una comoda poltrona può essere una terapia efficace. È quanto si può dedurre dall' attenzione che negli Stati Uniti si sta dando a una serie di problemi che accomunano i «baby boomer» stakanovisti dell' attività fisica. Tanto che è stata coniata una nuova patologia per indicare i guai di questa categoria di persone protagonista dell' esplosione demografica dopo la seconda guerra mondiale (1946-1964): «boomeritis», ossia la «boomerite». I primi baby boomer stanno ormai doppiando la boa dei sessant' anni e sono la prima generazione che si è nutrita di pane e fitness, l' altra faccia dell' America strabordante dei grandi obesi e del cibo spazzatura. Incoraggiati dai medici e dalle campagne salutiste che hanno ossessionato gli Stati Uniti, molti continuano a praticare allenamenti e sport senza risparmio, incuranti del tempo che passa e delle sue conseguenze sull' organismo. Risultato: per molti è stata necessaria la sostituzione del ginocchio o dell' anca, la chirurgia per cartilagini e legamenti lesi, trattamenti per tendiniti, artriti, borsiti e fratture da stress. Grazie all' apporto determinante dei maturi praticanti, le lesioni legate allo sport sono diventate ormai la seconda causa più frequente di visite ambulatoriali, subito dopo le malattie da raffreddamento. «In Italia non abbiamo ancora questa cultura esasperata dell' attività fisica, anche se in alcuni casi ci possiamo trovare di fronte a quella che alcuni anni fa ho definito la "sindrome di Highlander", atleti di una certa età che praticano sport agonistico al massimo livello senza le dovute precauzioni, credendosi "immortali" - dice il professor Paolo Zeppilli, direttore della Scuola di specializzazione di medicina dello sport dell' Università Cattolica di Roma presso il Policlinico Gemelli -. Però la situazione italiana non può essere paragonata a quella americana perché, purtroppo, siamo ancora una popolazione relativamente sedentaria: il nostro obiettivo è proprio quello di far capire che l' attività fisica è veramente una "medicina" contro l' invecchiamento e contro le malattie cardiovascolari. È altrettanto vero che l' eccesso di attività fisica può essere dannoso. Anche il tipo di sport praticato è importante e può fare la differenza. Tipico esempio di sport più a rischio sono quelli di contatto. È chiaro che se un cinquantenne o un sessantenne si mette a giocare a calcio o anche a calcetto è più facile che vada incontro a lesioni traumatiche. Ma è anche questione di misura». Quali sono le avvertenze da tenere presenti, per i non più giovanissimi? «I consigli si riducono a tre punti fondamentali - continua Zeppilli -. Primo, scegliere uno sport il meno possibile traumatico e il più possibile ideale per l' apparato cardiovascolare, come per esempio il nuoto, ma anche la corsa o andare in bicicletta. Il secondo concetto è che bisogna cominciare sempre molto gradualmente. Il terzo punto fondamentale è che più si va avanti con l' età più, tra una seduta e l' altra di attività fisica, bisogna dare tempo ai tendini, ai muscoli e alle articolazioni di recuperare». Guido Tanganelli. Discipline Le attività fisiche più indicate dopo una certa età sono il nuoto, la corsa e andare in bicicletta.Lesioni Le lesioni legate allo sport negli Usa sono la seconda causa più frequente di visite ambulatoriali Tanganelli Guido