Questa rassegna in http://pacs.unica.it/rassegna Indicizzata in http://pacs.unica.it/htdig/search.html Mailing list: medicina@pacs.unica.it STOP AL RITORNO DEI RICERCATORI - ADDIO RITORNO DEI CERVELLI - RICERCA: NIENTE STOP AL RIENTRO DEI CERVELLI - IL POVERO LAVORO DEL LAUREATO - SE QUESTO È UN PROF LA. PROSSIMA VOLTA, FACCIO UN ALTRO MESTIERE - PASQUALE MISTRETTA: «SONO GUARITO, NO AL RINVIO DEL VOTO» - MENO FORMAZIONE NELLA PA - NANOPARTICELLE E GRANDI BARONI - SOFIA, PARTE L’UNIVERSITÀ ON LINE - FONDAZIONE: «SPRECHI DI RISORSE ALL'UNIVERSITÀ DEI POVERI» - DEL ZOMPO: LA RICETTA CONTRO IL VIRUS DELL'INFELICITÀ - ESAMI? LE DOMANDE SONO SU INTERNET - PRIVACY, LA PA NON HA PIÙ PROROGHE DATA ULTIMA IL 15 MAGGIO - NUOVA PROROGA PRIVACY PER LA PA - ======================================================= GOVERNATORI CONTRO RAGIONERIA ATTACCO SUI BUCHI DELLA SANITÀ - IN SARDEGNA UN ANNO RECORD PER I TRAPIANTI - TRAPIANTI: TUTTI I NUMERI DELLA SANITA’ - I MEDICI OSPEDALIERI CONTRO I RITARDI DEL PIANO REGIONALE - LA SALUTE A PORTATA DI MOUSE - II SOCIOSANITARIO AL RALENTI - DIABETE, CARTELLA ELETTRONICA - PRESCRIZIONI SICURE SUL WEB - E-HEALT D’OBBLIGO PER L’UE - ASL8: AL BUSINCO UNO SPAZIO ANCHE PER I MALATI TERMINALI - ASL8: «NIENTE TAGLI DI LETTI E OSPEDALI DICIAMO ADDIO AI RICOVERI FACILI» - ALS8: AFFARI EDILIZI E FUTURO DELLA CITTÀ - ASL8: LA QUALITÀ SERVE ANCHE IN PERIFERIA - ASL8: «COSÌ RIFONDIAMO L’ASSISTENZA SANITARIA» - TALASSEMIA SI SPERA NELLE STAMINALI - ARRIVA SAM, PAZIENTE VIRTUALE E AIUTA I MEDICI A CURARE L'INFARTO - UN DNA CHE NON VA PERDUTO - TROVATO IL GENE CHE PROVOCA LA SINDROME DI JOUBERT - IL GENE-CLOCK CI REGOLA LA VITA - EPATITI VIRALI, UN NEMICO ANCORA DA BATTERE - MEDICI E MALATI DI DIABETE: È BRACCIO DI FERRO - VIAGGIO NEL MUSEO SARDO DEI GENI - GB: L'ONDATA DEGLI «EFFETTI COLLATERALI» - ======================================================= _________________________________________________________________ Repubblica 10 mag. ’06 STOP AL RITORNO DEI RICERCATORI Il governo non ha più soldi Il saldo tra uscite e ingressi è negativo di 27mila unità ogni anno La Moratti congela il programma dall’estero iniziato nel 2001 MILANO — «Ci dispiace, il programma “Rientro dei cervelli” è stato congelato. Le domande quest’anno non possono essere presentate. Riprovi nel 2007. Forse». I ricercatori italiani all’estero che contavano sul programma del ministero per poter tornare nel loro Paese hanno avuto una brutta sorpresa: «Sono finiti i soldi. I fi- nanziamenti sono stati azzerati», allargano le braccia al Ministero per l’Università e la Ricerca (Miur). Una novità passata inosservata tra le pieghe della Finanziaria: «Per il 2006 — è scritto all’articolo 5 del decreto ministeriale 207 del 28 marzo — le disposizioni di cui al decreto ministeriale 26 gennaio 2001 numero 13 e successive modificazioni, sono differite al 2007 ed in tale anno verranno valutate anche le proposte pervenute entro il 31 gennaio 2006». Firmato: Letizia Moratti. Una disposizione in stile burocratico, non facile da interpretare. In concreto: «Nel 2001 — spiegano al Miur — l’allora ministro Ortensio Zecchino aveva previsto un fondo per finanziare i ricercatori (italiani, ma anche stranieri) che operavano all’estero e volevano trasferirsi nel nostro Paese. In pratica le università assumevano con contratti a tempo determinato (da 6 mesi a 3 anni) studiosi che venivano a svolgere attività didattica in Italia. Il ministero poi finanziava l’operazione». Un programma che in 5 anni è stato utilizzato da 466 tra ricercatori e professori. La metà delle domande sono state presentate da studiosi italiani che sono così rientrati in patria. L’altra metà da stranieri (soprattutto americani, inglesi e francesi). Le discipline più interessate sono quelle tecnico- scientifiche: fisica (25%) e informatica (22%). «Ogni anno abbiamo finanziato il ritorno in Italia di circa 50 cervelli», spiegano al ministero. Oltre trenta università (al primo posto La Sapienza di Roma) ne usufruivano per “importare” cervelli. Fino al 28 marzo, quando il governo ha congelato il progetto. «Per le università è stata una fi- nanziaria terribile», sospira Francesco Profumo, rettore del Politecnico di Torino. Aggiunge: «Il progetto per il “rientro dei cervelli” aveva molti limiti, ma era comunque utile. Adesso resta la possibilità dell’assunzione per “chiamata diretta” prevista dalla legge, ma per il momento non ci sono le circolari di attuazione. Ogni anno — spiega Profumo — l’Italia esporta 30mila ricercatori e ne importa solo 3mila. Questo signi- fica che siamo in grado di formare studiosi, ma non riusciamo a trattenerli ». Duro anche Silvano Focardi, rettore dell’Università di Siena: «Avevamo già preparato le domande e all’ultimo momento il programma è saltato. Ci aspettiamo un segnale opposto dal nuovo governo. In Europa in media si investe per la ricerca l’1,6% del pil. In Italia appena lo 0,8%». Augusto Palombini, segretario dell’Adi (associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) e autore del libro “Cervelli in fuga” sembra rassegnato: «In Italia è quasi impossibile fare ricerca. Molti studiosi se ne vanno e chi resta non riesce a lavorare». _________________________________________________________________ Repubblica 10 mag. ’06 ADDIO RITORNO DEI CERVELLI Veronesi L’ITALIA ha bisogno di creare qui e adesso una comunità scientifica internazionale e invece, questa è la notizia, azzera i finanziamenti destinati al ritorno dei “cervelli” che lavorano all’estero. Ogni ritardo è una minaccia per il nostro futuro. La necessità è non solo che i nostri ricercatori più brillanti rientrino dall’estero e che i nostri giovani non espatrino, con il loro patrimonio di idee e di creatività, ma anche che l’Italia diventi altrettanto attraente per il mondo della scienza internazionale. Non possiamo oggi immaginare che l’Italia si limiti a richiamare gli italiani, la Francia i francesi, la Germania i tedeschi e così via. L’Italia congela il programma di rientro dei ricercatori dall’estero per mancanza di fondi Addio ritorno dei cervelli SAREBBE un ritorno a una politica della ricerca paleo- nazionalistica. Viceversa quello che la scienza chiede oggi è un ambiente di ricerca costituito da diversi studiosi, che possano confrontare linee di pensiero derivanti da scuole scientifiche differenti, arricchirsi culturalmente, ampliare i progetti comuni di studio. Innescare insomma il processo di cross-fertilization, la fecondazione reciproca del pensiero e delle idee che è alla base del progresso moderno. Non dimentichiamo che l’esplosione scientifica americana negli ultimi decenni è in gran parte derivata dalla collaborazione fra scienziati immigrati negli Usa durante l’ultima guerra mondiale, soprattutto ebrei, e successivamente indiani, giapponesi e tanti italiani. Basta ricordare l’amico Renato Dulbecco, che si è meritato il Nobel per la genialità e formazione italiana, sviluppata però nei laboratori californiani. Io credo che questo «crogiuolo » scientifico si possa creare anche in Italia. Del resto il nostro Paese ha avuto una lunga tradizione di scuole a respiro europeo e per secoli le prime università italiane, come Bologna e Padova, sono state frequentate da docenti e studiosi, Copernico e Vesalius per citare i più famosi, di diversi Paesi. La mia esperienza personale dimostra che si può fare e funziona: all’Istituto europeo di oncologia, lavorano medici e ricercatori provenienti da molti Paesi del mondo, e lo Ieo-Ifom, la struttura di ricerca che siamo riusciti a creare vicino allo Ieo, è il primo grande «campus scientifico» in Italia che accoglie giovani ricercatori di ogni nazionalità. È questione dunque di predisporre non solo un finanziamento adeguato per la carriera del ricercatore, ma anche il suo inserimento in centri di eccellenza che dispongano delle infrastrutture e delle tecnologie necessarie allo sviluppo della sua attività. Per far questo ci vogliono risorse, un disegno strategico e soprattutto la consapevolezza sociale che la scienza deve figurare in cima alle priorità dell’agenda del paese. Non investire in ricerca scientifica e non creare una comunità scientifica adeguata signi- fica condannare il Paese all’obsolescenza culturale e alla dipendenza tecnologica che, come la storia ci conferma, facilmente si trasforma in dipendenza politica. Tutti i dati confermano che le nazioni che producono nuova conoscenza sono in crescita, mentre la mancanza di innovazione scientifica conduce inesorabilmente alla regressione, economica prima e sociale poi. Nessuno vuole relegare l’Italia nell’area dei Paesi del terzo mondo. Ma troppo pochi sembrano fare qualcosa di concreto per impedirlo. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 mag. ’06 RICERCA: NIENTE STOP AL RIENTRO DEI CERVELLI LE SCELTE DEL MIUR Sospesa solo una parte dei fondi Garattini: «Laboratori poco attrattivi» ROMA o La ricetta per riconquistare i migliori cervelli fuggiti all'estero è una sola: rendere i nostri laboratori e centri di ricerca davvero attraenti e competitivi. È quanto chiedono a gran voce ricercatori e scienziati dopo la decisione del ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca di congelare fino al 2007 - con un decreto firmato il 28 marzo scorso - il programma per il "rientro de] cervelli" che dal 2001 ha riaperto le porte delle nostre università a 460 studiosi con contratti a termine. Una sospensione, questa, che ieri. il Miur ha giustificato come una scelta dettata da altre «priorità»: quella, cioè. di consentire. grazie a un finanziamento di 3 milioni di curo, l’inserimento stabile» di «almeno 300» di questi studiosi. F ricordando, comunque, che ci sono altri b milioni a disposizione sul Firb (il Fondo per gli investimenti di ricerca) per «contratti triennali per giovani ricercatori e studiosi di chiara fama. aperti anche alla partecipazione di stranieri e italiani impegnati all'estero». Quello della fuga dei cervelli è da sempre uno dei sintomi più evidenti del malessere che colpisce la ricerca made in Italy. «e certo il programma del Miur non era e non è risolutivo visto che si tratta di piccoli numeri», avverte il farmacologo Silvio Garattia membra del «Gruppo 2003» che punta alla rinascita della ricerca italiana. «In realtà il problema non è il rientro dei cervelli - aggiunge Garattini -, ma la capacità di attrazione del nostro sistema scientifico che oggi conta solo su uno striminzito 1% di ricercatori stranieri». «Quello che serve -aggiunge il direttore dell'Istituto Mario Negri di Atilano - è riuscire a creare le condizioni migliori per essere competitivi». Sulla stessa linea Roberto Cingolani, direttore scientifico del nuovissimo Istituto italiano dì tecnologie di Genova: «Da anni dirigo il laboratorio di nanotecnologie di Lecce e ogni giorno mi arrivano tante richieste dall'estero nonostante gli stipendi da fame che possiamo garantire». Quasi un "miracolo" che Cingolani si spiega grazie all'alto livello dell'offerta scientifica del laboratorio che attira molti cervelli a caccia di esperienze importanti: «I] problema è farli rimanere, perché non si può continuare a fare ricerca per anni con contratti precari»- Un nodo cruciale, questo, condiviso anche da Roberto Peironzio. presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, uno dei pochi preziosi gioielli della ricerca italiana: «Abbiamo bisogno di interventi strutturali. )v non è solo una questione di più risorse. Come faccio - si chiede il presidente dell'Infn - a convincere i migliori a restare se da ben quattro anni c'è il blocco delle assunzioni dei ricercatori?». Per Augusto Palombini che rappresenta l'associazione dei dottorandi e dottorati di ricerca (l’Adi), non bisogna, invece, per forza cercare oltre frontiera: «Non è che chi lavora all'estero ha la patente di genio - spiega -, piuttosto bisogna pensare ad aiutare chi coraggiosamente rimane. E certo non fa piacere sapere che il Miur stabilizzerà la posizione di questi cervelli appena `rientrati" in modo arbitrario e indiscriminato». Infine l’astrofisico di fama internazionale Franco Pacini difende il progetto di rientro dei cervelli che spera possa ripartire col prossimo Governo perché «ha un valore simbolico, proprio ieri ho informato di questo stop a sorpresa un mio ricercatore in Cile che era interessato a tornare». «Quello che mi auguro - aggiunge Pacini - è che la ricerca sia la massima priorità del nuovo Esecutivo, Mi piacerebbe tanto vedere i leader della maggioranza accapigliarsi per conquistare la guida del ministero della Ricerca e dell'Università che ahimè è. invece. considerato un posto di serie B». MARZIO BARTOLONI __________________________________________________________ Il Manifesto 11 mag. ’06 IL POVERO LAVORO DEL LAUREATO Ernesto Geppi Quanto vale una laurea sul mercato del lavoro? In busta paga, a distanza di tre anni dal conseguimento, circa 1.257 euro ai mese netti. Ma è una media: i140% dei laureati prende meno di 1.100 euro e il 7% meno di 800. Tutto questo vale ovviamente per quelli che hanno una busta paga e un impiego di tipo continuativo (anche precario), i quali non sono molti e soprattutto sono sempre di meno. Nel 2004 aveva una occupazione continuativa solo il 56,4% dei 153 mila laureati nel 2001: tre anni prima, nel 2001, l'analoga percentuale riferita ai laureati nel 1998 era del 63,2%. E gli altri laureati? Il 12,6% cerca lavoro, i16% sbarca il lunario svolgendo attività di formazione retribuite, e il 7,4% è fuori del mercato del lavoro (con una punta del 9,3% nel meridione). L'Istat, che ieri ha diffuso sul proprio sito il volume «I laureati e il mercato del lavoro», ha anche fornito le stime del tasso di disoccupazione dei laureati con tre anni di anzianità. La media nazionale è a due cifre: 14,5% nel 2004 contro il 12,5% nel 2001. Per le donne questo indicatore raggiunge il 17,9%, nel mezzogiorno il 30%, e fra le donne del mezzogiorno il 37,2%. Quello dei laureati ha anche i connotati di un mercato del lavoro largamente informale. Basti pensare che più del 20% di quelli che hanno una occupazione stabile hanno trovato lavoro tramite conoscenze personali o segnalazioni di parenti e amici: nel mezzogiorno questa è la via seguita da un laureato su quattro. Un altro canale fruttifero è l'invio di curriculum (30%), mentre i110% ha trovato lavoro pagandosi una inserzione. Praticamente nullo è invece il contributo dei canali ufficiali di collocamento (pubblici o privati), che hanno «piazzato» solo il 4% dei laureati occupati: ma non dovevano essere questi i canali moderni e innovativi promessi dalla legge Treu in poi? Se poi si guarda a chi non ha un lavoro, lo scoraggiamento emerge chiaro: al momento dell'intervista solo il 60% di loro aveva effettuato ricerche negli ultimi 30 giorni e il 10% non intraprendeva azioni concrete di ricerca da almeno sei mesi. Complessivamente, a tre anni dal conseguimento del titolo, il 15,3% dei laureati si arrangia con collaborazioni coordinate e continuative (con punte fra il 30 e il 40% per quelli che hanno scelto discipline «umanistiche») e un altro 4,1% con prestazioni occasionali. Perle donne l'incidenza delle co.co.co. supera in media i118% e oltrepassa il 40% per quelle che hanno scelto gli indirizzi per l'insegnamento. Nel complesso; comunque, la precarietà la fa da padrone: fra quanti hanno una occupazione continuativa, i128% sono a tempo determinato pur ricercando una occupazione stabile. Questa percentuale sale 0 35% nelle regioni del meridione e N 33,8% fra le laureate. Detto che solo poco meno di un terzo dei laureati con occupazioni continuative svolge un lavoro per cui è specifica la laurea posseduta, e che un altro terzo è impegnato in occupazioni che non richiedono la laurea, rimane salo da chiedersi di chi è la colpa. Di un mercato del lavoro flessibile e bloccato o di un sistema universitario che non funziona? Se lo chiederà senz'altro, al ministero, anche il Comitato per la valutazione del sistema universitario, il cui presidente è lo stesso Luigi Biggeri, presidente dell'Istat, che ha effettuato la rilevazione che abbiamo commentato. ___________________________________________ LA GAZZETTA DEL METZOGIORNO 10-05-2006 SE QUESTO È UN PROF LA. PROSSIMA VOLTA, FACCIO UN ALTRO MESTIERE UNIVERSITA OGGI/ Lo «sfogo» di un docente RUGGIERO STEFANEW Una giornata qualsiasi... Il Prof crede che Il processo di trasformazione del docente universitario in funzionario di un grande apparato burocratico amministrativo, in atto da un quindicennio almeno, sia ormai all'ultimo stadio. Se questo era nel disegno dell'autonomia degli atenei, vuol dire che l'operazione è riuscita oltre ogni attesa. La giornata del «Prof.» è infatti scandita e mortificata da Incombenze tecnico-compilatorie concernenti ogni inimmaginabile tipologia di modulistica, di rendicontazione, di verifica, di statistica, di valutazione e di autovalutazione, di progettazione, di analisi, di approfondimento; ed è occupata da riunioni di comitato, di commissione, di gruppi di lavoro; e dai docenti con qualche incarico istituzionale, davvero tanti, è spesa in decine di microimpegni che riguardano il controllo della funzionalità delle aule, delle biblioteche, delle isole didattiche, dei laboratori linguistici, i rapporti con le aziende fornitrici di servizi, attrezzature e manutenzione, con gli esperti qualificati per la conduzione dei laboratori didattici, con le aziende convenzionate per il tirocinio egli stages, a cui si aggiungono i tavoli tecnici di concertazione con le istituzioni territoriali, la collaborazione partenariale con agenzie formative per la valutazione di progetti dalle note sigle («POR», IFTS ecc.). Il tutto avviene avendo alle spalle l'oculata ma soffocante supervisione dell'amministrazione centrale (un Moloch versione aggiornata) e, ancorpiù dietro, l'occhiuto monitoraggio (parola chiave del modernismo avanzato) di tutti i parametri di sviluppo da parte di quel Grande Fratello che è il Ministero romano. Quel che resta della giornata il Prof lo dedica alla didattica, all'orientamento in entrata e all'accoglienza (anch essi monitorati) dei «maturandi», a leggere l’infinita posta elettronica, al ricevimento dei suoi studenti, agli esami, ai terzi e quarti insegnamenti, all'organizzazione di eventi culturali (compresa prenotazione treni, aerei, sale, visite ecc.), alla stesura del verbale delle riunioni, alle telefonate di chi chiede notizie del master, alle tesi di triennio e di biennio, alle scuole di specializzazione, ai corsi abilitanti speciali, alla lettura e interpretazione di leggi, decreti e circolari per la proposta dei nuovi (sempre nuovi) piani di studio, alle scadenze sempre Immediate o prossime, ai colloqui di dottorato, ai progetti «Tmpus, «Erasmus, Circeo» e simili. a qualche convegno in sede e naturalmente, come no!, ai consigli di dipartimento, di corso di laurea, di facoltà, sempre tra mille problemi e affanni per carenza cronica di spazi, personale e attrezzature. Altro che le famose trecentocinquanta ore volgarmente considerate gradevole sinecura! Il nucleo di tutta questa massa critica è i1 «fatturato», parola magica dei moderno produzionismo, che si raggiunge mediante algoritmo applicato ai rapporti fra studenti iscritti, laureati e fuoricorso e che fa i conti con una selva di corsi di studio e da cui dipendono finanziamenti e dunque lo sviluppo universitario. Il Prof. sospetta talvolta che siamo forse molto vicini a creare un mostro, se è vero (ed è vero) che tutti t suoi bravi colleghi candidati alla carica di rettore promettono accoratamente razionalizzazione, trasparenza, scienza, pur sapendo che l'ipertrofia del sistema burocratico non s'arresterà (leggi anche: conquista del territorio, università sportello bancario) e che, malgrado tutto, il rilancio della ricerca è indispensabile. Già, ci si chiede a quale ricerca può ormai dedicarsi il «Prof.» quando, prossimo alla sera, stressato, demotivato, in piedi dalle sei e senza aver potuto mettere piede in biblioteca, tenta di riordinare le idee (ma quali più?) nel silenzio imbarazzante della sua casa e ripensa, senza nostalgia ma con molte domande fermate alla bocca dello stomaco, all'università in cui entrò e nella quale, così almeno credeva, avrebbe sempre studiato e insegnato e dalla quale, invece, tra alcuni anni si congederà senza nemmeno essere riuscito a diventare un bravo e compito funzionario secondo le attese dell'Amministrazione. Una domanda soltanto, in quel silenzio, gli verrà ad alta voce, pensando ai giovani ricercatori di domani: “ Quale umanesimo dopo la calata del nuovi barbari?. Ruggiero Stefanelli *Docente facoltà Scienza della Formazione, Università di Bari _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 mag. ’06 PASQUALE MISTRETTA: «SONO GUARITO, NO AL RINVIO DEL VOTO» Università. Elezioni Il rettore pronto a rientrare in attività per le elezioni di giovedì 18 maggio Uno dei suoi avversari gli aveva proposto anche il rinvio delle elezioni. Ma Pasquale Mistretta, superato l'intervento chirurgico, è rientrato in pista, comunicando a tutto l'ambiente universitario di essere pronto a «rientrare in attività». Anche perché la data per la scelta del rettore è sempre più vicina: giovedì 18 maggio, una settimana esatta. Il RitornoDopo il ricovero in ospedale e quella che lo stesso Mistretta ha definito «un'esperienza clinica», uno degli sfidanti, Giovannino Melis (l'altro è Giuseppe Santa Cruz) aveva lanciato la proposta di uno slittamento della tornata elettorale: «Viste le condizioni di salute del rettore si potrebbe pensare a un rinvio». Il messaggio è stato gentilmente declinato. Così Mistretta è rientrato in campo con una lettera inviata al personale docente, tecnico-amministrativo, socio sanitario e agli studenti: «Una lettera di saluto e di conferma del mio imminente rientro in attività», scrive il candidato a succedere, per la sesta volta consecutiva, a se stesso. Durante il periodo di inattività il rettore ha potuto apprezzare il lavoro svolto dai «pro rettori e dai dirigenti, che hanno dimostrato ancora una volta che l'organizzazione di squadra consente di superare anche le imprevedibili emergenze». Ma il riposo forzato ha impedito a Mistretta di confrontarsi con le diverse realtà dell'Ateneo: «Di questo mi scuso, perché avrei voluto un confronto democratico, per dare all'elezione del rettore quella pienezza di contenuti e di valutazioni critiche e positive che ho sempre cercato e apprezzato». L'AttesaNessuno slittamento, dunque: il popolo dell'Università è chiamato al voto per il 18 maggio (dove servirà la maggioranza assoluta) ed eventualmente il 30. Altrimenti si andrà al ballottaggio, fissato per il 6 giugno. Le votazioni saranno valide se parteciperanno più di un terzo degli aventi diritto al voto. i seggiSette i seggi che verranno predisposti: aula "degli specchi" del corpo aggiunto della facoltà di Scienze della Formazione (via Is Mirrionis), aula E della facoltà di Ingegneria (piazza d'Armi), aula B nel corpo centrale del dipartimento di Scienze Botaniche (viale Sant'Ignazio), aula 1 della facoltà di Lingue e letterature straniere (via San Giorgio), aula 11 Cittadella universitaria di Monserrato, aula didattica Policlinico universitario di Monserrato, aula di fisica del palazzo delle Scienza (via Ospedale). (m. v.) __________________________________________________________ Italia Oggi 9 mag. ’06 MENO FORMAZIONE NELLA PA E’ quanto emerge da un rapporto presentato a Roma all’apertura del Forum PA Cala la partecipazione dei dipendenti ai corsi Cala la partecipazione dei dipendenti pubblici alle attività formative. Se tengono i volumi di attività erogata, sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente, si registra una diminuzione dei partecipanti ai singoli corsi, con un'inversione di tendenza rispetto alla crescita degli anni precedenti. Nel 2005, infatti, le partecipazioni ad attività formative sono state quasi 580 mila, in circa 47 mila edizioni, per un totale di 1,29 milioni di ore di formazione erogata (contro 1,31 del 2004) e 17,1 milioni di ore fruite. Un valore, quest'ultimo, in flessione rispetto ai 19 milioni del 2004. È quanto emerge dal «Rapporto sulla formazione nella pubblica amministrazione», elaborato dall'Osservatorio sui fabbisogni formativi istituito presso la Scuoia superiore della pubblica amministrazione (Sspa) presentato al Forum p.a., che si è aperto ieri a Rama. «A rapporto di quest'anno, realizzato con l’apporto del dipartimento della funzione pubblica e con la collaborazione della conferenza dei rettori delle università italiane, del Formez, del gruppo di lavoro tecnico delle regioni e province autonome e dell'Istituto Tagliacarne, mostra una contrazione dei numeri che fa intravedere i tagli di risorse che hanno influito anche sulla formazione: cala sensibilmente l'investimento negli organi dello stato, nelle università e in regioni, province e comuni. Gli altri comparti si mantengono sui livelli del 2004, anche se con difficoltà». D'altro canto, avverte lo studio, «i medesimi numeri indicano anche quanto la formazione costituisca ormai un aspetto strutturale della pubblica amministrazione. L'attività é comunque continua e diffusa e i tagli non mortificano la partecipazione». Secondo Angelo Maria Petroni, direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione, che ha aperto i lavori di presentazione del Rapporto al Forum p.a., «questo Rapporto fa parte dell'attività istituzionale della Scuola superiore della pubblica amministrazione e rappresenta la sintesi migliore che esiste in Italia di quanto e di come nel nostro paese si spende e si insegna nella pubblica amministrazione. É uno strumenta fondamentale di lavoro » ha aggiunto «per chiunque operi in questo ambito». A illustrare i contenuti del Rapporto è stato invece Massimo De Cristofaro, responsabile innovazione tecnologica e organizzativa della P.a. per la Scuola superiore della pubblica amministrazione, che ha coordinato l'indagine. «Lo studio -ha spiegato- costituisce un modo unitario per vedere tutti i livelli di governo. Dai risultati di quest'anno, si leggono i tagli di risorse nel calo di volume della partecipazione. Ma, nonostante i tagli, la formazione ha tenuto. I numeri sono leggermente inferiori al 2004, ma non sono scesi ai valori degli anni passati. Inoltre, la formazione non diminuisce ovunque e, laddove cala, cala di poco». Quanto all'efficienza della spesa, avverte De Cristofaro, «appare leggermente inferiore al 2004, ma è maggiore nei comparti soggetti a cambiamento». Secondo il rapporto si consolida l'investimento nella formazione pubblica. In molti comparti la spesa nel 2005 raggiunge, e in altri addirittura supera, la soglia dell'1% della massa salariale, indicata da una direttiva ministeriale del 1995 e recepita nel contratto nazionale. II rapporto tra spesa in formazione e massa salariale, nonostante le difficoltà finanziarie con cui si 'e dovuta confrontare la spesa della pubblica amministrazione nel corsa del 2005, si attesta sui livelli registrati nel 2004, con una percentuale complessiva dello 0,$4% (era dello 0,86% nel 2004). Aumenta, inoltre, l'investimento per singolo dipendente, passando dai 296 euro procapite del 2004 ai 313 del 2005. Intesa Cnr e Almaviva. Una società mista per la creazione di un centro di eccellenza italiano che avrà il compito di sviluppare sistemi innovativi nell'Ict e sistemi di servizi integrati per la p.a. centrale e locale e per soggetti pubblici e privati che operano in settori strategici nel sistema paese. È quanto prevede l'accordo, annunciato ieri al Forum p.a. tra Cnr e gruppo Almaviva, leader nel settore dell’ information tecnology e dell'attività di contact center. Il centro di eccellenza si propone di sviluppare progetti innovativi in settori strategici quali l’energia, l'ambiente e il territorio, la cultura, il turismo, la sanità e i trasporti. , __________________________________________________________ Corriere della Sera 11 mag. ’06 NANOPARTICELLE E GRANDI BARONI PUNTO CRITICO di Milena Gabanelfi Nel 1999, Antonietta Gatti, una ricercatrice dell'Università di Modena, scopre l'esistenza delle nanoparticelle. Si tratta di particolato inorganico, composto perlopiù da metalli, che misura da uno a cento milionesimi di millimetro. Quando queste particelle riescono a insinuarsi, per inalazione o ingestione, nell'organismo animale, ci restano per sempre, provocando tumori, infarti, ictus, infezioni, modificazioni genetiche. Le particelle sono liberate naturalmente in atmosfera dai vulcani, dagl'incendi, dalla sabbia sollevata dal vento. Però le più sottili e pericolose sono originate dalle attività umane che prevedono I'impiego di processi ad alta temperatura. In particolare veicoli a motore, fabbriche, centrali elettriche e inceneritori risultano essere micidiali per l'aria e le coltivazioni nel raggio di vari chilometri, Ma le autorità non intervengono, perché le particelle sotto i 10 micron (un decimillesimo di millimetro) sfuggono ai grossolani strumenti di controllo delle agenzie preposte (Arpa). È necessario, per rilevare e studiare le nanoparticelle, un costoso microscopio elettronico a scansione ambientale. Nel 2001, la dottoressa Gatti, che dirige il laboratorio sui biomateriali, ottiene dalla Comunità Europea un milione di euro, per avviare una ricerca che può aprire nuove frontiere allo studio delle malattie indotte da queste particelle (nanopatologie). Vengono coinvolte le Università di Cambridge e Magonza, mentre poco interessati sembrano proprio i colleghi dell'ateneo modenese. Tanto che oggi il Cnr, a cui è intestato il prezioso microscopio, se !o vuole riprendere, bloccando dì fatto la prosecuzione dell'attività. Insomma, l'istituzione sembra snobbare i progetti che, pur risultando di grande interesse scientifico, non coinvolgono i "grandi baroni". _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 mag. ’06 SOFIA, PARTE L’UNIVERSITÀ ON LINE Tecnologie e didattica: il progetto dell’assessorato alla Pubblica istruzione e dei due atenei della Sardegna SABRINA ZEDDA A sentire il nome, che scivola così, leggero, nessuno immaginerebbe mai che Sofia sia in realtà una sigla che racchuiude un intero programma: Sistema online per la formazione, l’insegnamento e l’apprendimento. Paroloni dietro ai quali si nasconde una sfida, ma anche una piccola rivoluzione culturale: un’università on line della Sardegna, in primo luogo, un metodo d’approccio all’insegnamento che cancelli i tristi primati dell’isola per quel che riguarda numero di laureati, e di ragazzi che decidono d’iscriversi all’università, in secondo. Il progetto è stato presentato ieri nelle sale dell’assessorato regionale agli Enti locali, anche se in realtà è di cultura che si parla: quasi nove milioni di euro di finanziamenti provenienti dai Por Sardegna (si tratta di fondi europei per i programmi operativi regionali) per far correre su banda larga informazioni e lezioni a uso e consumo dei giovani degli ultimi due anni delle scuole superiori, e di quelli che s’iscriveranno ai primi tre corsi universitari on line pensati grazie all’iniziativa: Scienze dell’amministrazione, Scienze della Comunicazione e Scienze dell’architettura. Un’idea di grande respiro che per la sua realizzazione vede lavorare in squadra diversi soggetti (Tiscali, Tecnofor Italia, Giunti interactive labs, Consorzio Sis sviluppo impresa sociale Scarl, Unist) capeggiati dalle università di Cagliari e Sassari, vincitrici di un apposito bando, unite per l’occasione nel Consorzio interuniversitario per l’Università telematica della Sardegna. «L’obiettivo che ci prefiggiamo - dice l’assessore regionale alla Cultura, Elisabetta Pilia - è quello d’arrivare a un collegamento più stretto tra sistema scolastico e universitario, sfruttando anche i contenuti del portale Conoscere.it, un mezzo con cui i ragazzi possono informarsi sulle opportunità offerte dai diversi corsi di laurea». Come si diceva, Sofia non si ferma qui, perché la seconda sfida è far partire anche in Sardegna dei corsi di laurea triennale on-line: se quello in Scienze dell’amministrazione è un cosiddetto “corso interateneo” realizzato dalle facoltà di Scienze politiche dei due atenei, Scienze della comunicazione sarà curato dall’Università di Cagliari, e Scienze dell’architettura da quella di Sassari. Ma la vera novità sta nell’utilizzo delle nuove tecnologie e dei nuovi sistemi di comunicazione, grazie ai quali, dice quasi usando uno slogan il responsabile del progetto, Virgilio Mura, preside di Scianze politiche a Sassari, «se gli studenti hanno difficoltà ad andare a Cagliari o Sassari, l’università va a casa loro». Un’espressione che va presa proprio alla lettera: basterà un Pc e un collegamento a Internet per andare a lezione, e procurarsi le informazioni su testi e materiali vari. Anche se poi l’università sarà on line solo sino a un certo punto: se in Italia sono cinque le università che hanno già adottato questo nuovo modo di fare didattica, tutte slegate dalle loro facoltà, in Sardegna entro certi margini, il legame con l’università resterà. Per questo sono previste attività periodiche d’incontro, come conferenze, da tenere nelle venti sedi periferiche sparse per le diverse province (come il liceo classico Siotto nella provincia di Cagliari, il liceo classico Azuni a Sassari, o il liceo scientifico di Lanusei). Per l’iscrizione ai nuovi corsi sono previste apposite selezioni, le immatricolazioni partiranno da agosto, mentre le prime lezioni dovrebbero tenersi già a novembre. Ancora da decidere è l’importo delle tasse universitarie che, considerando il maggior numero di servizi, in relazione alle lauree tradizionali, dovrebbe essere più alto rispetto alla media. Partito anche questo progetto, restano comunque alcuni dubbi. Come si farà nelle zone in cui non è ancora arrivata la banda larga? Che fine fa il rapporto diretto tra docente e discente? Un quesito, quest’ultimo, posto dalla docente dell’ateneo cagliaritano Maria del Zompo, che ha anche sottolineato l’importanza, accanto alla didattica tradizionale, della ricerca: «Senza non si può fare didattica di qualità». _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 mag. ’06 CRITICA LA FONDAZIONE: «SPRECHI DI RISORSE ALL'UNIVERSITÀ DEI POVERI» Sassari. Banco di Sardegna La Fondazione Banco di Sardegna frena sulla proliferazione delle sedi universitarie gemmate. Lo fa per voce del presidente della Fondazione, Antonello Arru, che intervenendo alla Seconda conferenza di Ateneo degli assegnisti e dei dottorandi di ricerca dell'Università di Sassari, tira le orecchie ai rettori dei due atenei sardi. «Ho qualche perplessità sulla moltiplicazione dei corsi di laurea e delle sedi gemmate». Il rimprovero arriva con il sorriso sulle labbra, ma pronunciato dal presidente di un consiglio d'amministrazione che ogni anno eroga 800mila euro di contributi per finanziare la ricerca all'Università di Sassari, e un milione all'ateneo cagliaritano, rischia di scatenare un piccolo terremoto. «Fino a che punto vale la pena adottare iniziative per attivare sedi periferiche?», chiede Arru, voltandosi verso il rettore di Sassari, Alessandro Maida, seduto al suo fianco. Solo Sassari ha attivato dieci corsi di laurea fra Ozieri, Tempio, Olbia, Nuoro e Oristano. Più la Facoltà di architettura ad Alghero. «Non è forse una risposta con un pizzico di demagogia alle richieste di diritto allo studio che arrivano dai centri più distanti?». Maida accenna un sorriso e manda giù, senza sollevare lo sguardo. Ma non è ancora finita, il presidente della Fondazione continua, sempre in tono bonario. «In questo modo si creano università dei poveri, al servizio di chi non può spostarsi a Sassari o Cagliari, ma in realtà i servizi sono davvero pochi. Sarebbe molto meglio concentrarsi sulle sedi centrali e offrire lì maggiori opportunità agli studenti». Insomma le due università sarde creerebbero tanti sedi sparse nel territorio ma poi le lascerebbe quasi abbandonate a se stesse. L'esempio citato da Arru è Nuoro. Qui il consorzio universitario si è addirittura alleato con l'Università di Firenze per concorrere a un bando comunitario. Probabilmente perché Sassari e Cagliari snobbano il polo universitario nuorese, tanto da convincerlo a bussare ad altre porte. «Non è accettabile che succedano queste cose». Mortificata l'idea dell'università diffusa, Arru lancia un appello ai rettori degli atenei sardi: «è fondamentale che le due università non competano tra loro ma sfruttino al massimo le sinergie. In Sardegna siamo quattro gatti, perdiamo l'abitudine di guardarci in cagnesco e collaboriamo fra di noi. Solo così potremo reggere la concorrenza delle altre regioni». (v. g.) _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 mag. ’06 DEL ZOMPO: LA RICETTA CONTRO IL VIRUS DELL'INFELICITÀ La farmacologa Maria Del Zompo e l'ossessione del vincente di GIORGIO PISANO Vincenti. Il vincente si vede dall'auto che guida, dai ristoranti che frequenta, dalla professione che esercita con una non modica dose di ariette. Peccato che questa febbre generi mal di testa (lei dice cefalee), senso di stanchezza a volte insopportabile (lei dice depressione), irritabilità perfino sulle piccole cose quotidiane (lei dice nevrosi). Maria Del Zompo, ordinario di Farmacologia all'Università di Cagliari, ama il mare. Ma solo nel tempo libero. Il resto della sua vita, quasi fosse una vestale, l'ha dedicato alla sperimentazione. A vederla sul bus che arranca dalla Cittadella di Monserrato verso il centro, potrebbe sembrare: a) una madre di famiglia soprapensiero. b) un'impiegata immersa in una chiacchierata con se stessa. c) una passeggera senza storia e senza curiosità. Cinquantacinque anni, tailleur blu da combattimento, capelli candidi, viso da ragazzina invecchiata, è prorettore dell'ateneo. Ma, soprattutto, è uno dei ricercatori più impegnati e autorevoli, nome noto e affidabile nella comunità scientifica internazionale. Specializzata in Neurologia, rodaggio scientifico negli Stati Uniti, è al fotofinish di un'avventura cominciata nel 1990: capire cosa succede nella nostra testa quando si manifesta un disturbo che gli addetti ai lavori definiscono "bipolare" e che per gli altri, gente comune, dilettanti allo sbaraglio, sono soltanto bruschi cambiamenti d'umore, passaggi-lampo dalla serenità alla tristezza, e un feroce desiderio ricorrente di andare al tappeto quando il circo della vita gira troppo in fretta e non ce la fai più a rimetterti in pista: magari perché non hai la macchina giusta, la professione giusta e nemmeno buoni indirizzi per una cena. In pratica (ma lei non lo ammetterebbe mai), Maria Del Zompo si occupa di infelicità. Nel dipartimento di Neuroscienze, dirige una sezione che è una specie di pronto soccorso riservato ai medici: offre notizie sulla interazione dei farmaci nelle malattie che ne prevedono somministrazioni massicce, spiega effetti collaterali che non troverete mai nei bugiardini, suggerisce percorsi alternativi. A spaventarla è uso e abuso di pillole, bibite non meglio identificate, sostanze che si comprano a occhi chiusi solo perché a venderle è l'erborista. Dietro tutto questo, c'è uno scienziato del cervello, un esploratore che non ha mai finito di frugare, di interrogarsi. A ottobre inaugurerà a Cagliari il convegno mondiale di genetica psichiatrica. Che studia, casomai non fosse chiaro, le radici biologiche della malattia mentale. Non si diventa matti soltanto perché in famiglia c'è una maledizione ereditaria o perché l'aria che si respira in ufficio è infame. Nossignore: si diventa matti anche e semplicemente perché il cervello si ammala. Né più né meno del fegato, del cuore e di tutto il resto. Gli incontri-chiave nella vita di Maria sono stati almeno tre: suo padre (che soffriva di morbo di Parkinson e che lei, da adolescente, aveva deciso di guarire), Robert Post (che negli Usa le ha insegnato come fare ricerca), Gianluigi Gessa (che ha importato dagli Stati Uniti qualità e rigore nella sperimentazione). In questo ritratto c'è una sola ombra: la professoressa Del Zompo detesta comparire. Per intervistarla bisogna ricorrere ad amici comuni, a un ricatto degli affetti che la costringe, in una mattina di sole accecante, a subire domande mentre stringe tra le mani una pallina anti-stress. Manco fosse sotto interrogatorio in Procura. Dove punta la sua ricerca? «A capire quale sia il danno biologico che si nasconde dietro una malattia psichica». Come si schiera: pro o contro l'elettrochoc? «In terapia e in medicina non bisogna sposare l'ideologia. Hai un paziente di fronte: bene, devi cercare gli strumenti per risolvere il suo problema». Ma l'elettrochoc può essere una strada? «Certo. Nei casi di depressione grave, parlo di quelle a rischio suicidio, può risolvere». Eppure c'è chi dice che sia uno strumento criminale. «Anche questa è ideologia. Il fatto è che non siamo ancora riusciti a capire quale sia il meccanismo dell'elettrochoc. E questo genera un dissenso che poggia su niente di scientifico». Quanto ha contato la malattia di suo padre? «Nelle scelte che ho fatto, moltissimo. Ha deviato i miei interessi giovanili verso un obiettivo preciso: capire le basi del morbo di Parkinson. Mi sono buttata a corpo morto sulla ricerca». Risultato? «La mia tesi di laurea, che aveva dietro scienziati di calibro, è stata pubblicata su Lancet, rivista di grande autorevolezza. Quel lavoro è, ancora oggi, una radice importante della ricerca più avanzata». È stata lei a fornire il fluido dell'eternità al rettore Mistretta? «Pasquale Mistretta è un uomo che ha la mia stima e la mia considerazione». Scusi, ma l'università non è una fossa di serpenti? «Come qualunque altro posto di lavoro. Fatta salva una caratteristica importante». Sarebbe? «Ci sono spazi e mezzi per fare ricerca. Parlare male dell'università e lamentarsi non costa niente». E invece? «Invece questa intervista si sta svolgendo nella Cittadella universitaria, che è una grande realtà». Lei dirige il centro per le cefalee. «Sì, negli ambulatori del San Giovanni di Dio a Cagliari. Vediamo migliaia pazienti l'anno. Soprattutto stabiliamo se una cefalea è primitiva oppure no». Traduciamo? «La cefalea primitiva è quella che si chiama comunemente emicrania. Non è, insomma, il sintomo di una malattia». Che genere di malattia? «Problemi della vista, dell'equilibrio, tumori e altre patologie». Di cosa si sta occupando adesso? «Delle cause genetiche nel disturbo bipolare». Uomini o topi? «Studio sugli uomini. Ho centinaia di pazienti che seguono una terapia a base di litio. Vorrei comunque far presente che quelli normalmente chiamati cavie, cioè i volontari, esistono in tutti i Paesi civili». Volontari disposti... «Disposti a testare su se stessi un farmaco. Cosa c'è di scandaloso?» Sperimentazione clandestina mai? «È contro l'etica della ricerca. Credo che nessun ricercatore serio abbia mai rifilato al paziente farmaci a sua insaputa». All'estero è meglio? «Dipende. Avessi un figlio, gli farei fare esperienza all'estero per acquisire conoscenze e imparare l'inglese. Ma la ricerca si può fare tranquillamente qui, a Cagliari». Fretta e ansia ci stanno avvelenando la vita? «Mi spaventa l'ossessione che regola il nostro tempo: l'ossessione da vincente. Correre, correre sempre, può sicuramente causare una danno biologico». Il cervello va in tilt? «La questione è più complessa. Abbiamo fabbricato criteri di felicità standard legati al danaro, agli status symbol, al mestiere». E questo fa ammalare? «Non direttamente ma provoca danni senza alcun dubbio. D'altra parte dobbiamo considerare che la velocità è già una costante molto impegnativa della nostra vita». E allora? «Negli ultimi cinquant'anni ci sono state più scoperte scientifiche che nei mille precedenti. Dunque c'è una quantità enorme di informazioni da immagazzinare». E con questo? «Sentiamo il bisogno di sapere sempre di più ma nel frattempo ci imponiamo ritmi di vita vertiginosi. Essere o apparire, antico dilemma, è tutt'altro che superato». Chi non appare non esiste. «Certo, ed è proprio questo che ci crea disagio, ansia, stress. E molto altro. La chiave della felicità, o della sopravvivenza se preferite, è tutta nell'armonia del rapporto tra mente e corpo». Accettarsi, insomma? «Accettarsi ed educarsi. Sono favorevole al bisturi per combattere le grandi obesità, mi lascia perplessa servirsene per perfezionare dettagli estetici». Vale anche per i giovani? «Per loro siamo noi il modello di riferimento. E dunque imparano a correre e sgomitare da subito». Quando non ce la fanno più, si stonano. Giusto? «Mettendo da parte le droghe (materia nella quale non sono competente), penso a certe bibite. In qualche caso si tratta di autentiche bombe, eccitanti poderosi, concentrati di caffeina che svegliano un morto». Caffè sì caffè no, vino sì vino no: quante ne avete sparato a vuoto? «La scienza, almeno quella seria, non ne spara. Spesso è un problema di comunicazione: la difficoltà a semplificare concetti complessi genera confusione». Vale anche per i prodotti naturali? «Io so che un farmaco, prima di entrare in commercio, deve superare numerose verifiche. E questo, come tutti sanno, non è sempre sufficiente a farci star tranquilli». Tra farmaco e natura c'è una differenza. «C'è senz'altro. Penso però ai prodotti di erboristeria per tirarsi su. Ce n'è uno, usatissimo, che ha un'azione anticoagulante. Sapete che vuol dire? Vuol dire che se per caso prendete anche un'aspirina rischiate l'emorragia». Cosa consiglia, allora, per tirarsi su? «Un libro, un concerto, una passeggiata. Solita ricetta: corpo e mente in armonia. Senza trucchi». _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 mag. ’06 ESAMI? LE DOMANDE SONO SU INTERNET Università. Il sito quaestiones.com indica i test più frequenti in quattro facoltà Gli studenti monitorano i quesiti di cinquanta docenti Volete sapere quali sono le domande più frequenti che fanno i docenti delle facoltà cagliaritane di Economia, Lettere, Giurisprudenza e Scienze Politiche? Niente di più semplice: basta andare nel sito Internet www.quaestiones.com e cliccare negli spazi dedicati ai corsi di studio dell'Università di Cagliari. Per gli studenti un modo nuovo, e meno faticoso, di quello tradizionale di andare a seguire le sessioni d'esame. La differenza è che non sono riportate le risposte. GIURISPRUDENZA ED ECONOMIA Scorrendo nelle sezioni delle singole facoltà, si possono così scoprire alcune curiosità. In Giurisprudenza il docente che spazia di più nelle domande - stando a quelle che sono state riportate dagli stessi studenti nel sito Internet - è Leonardo Filippi, nell'esame di Diritto processuale penale, con 73 quesiti. Dal giudizio immediato all'arresto e al fermo, fino ad arrivare alle più precise domande su «cosa accade se manca il difensore o il pubblico ministero in un'udienza di convalida». Gli studenti non fanno sconti: sono venti gli esami di Giurisprudenza, tenuti da sedici professori, finiti sotto controllo. Quesiti ad ampio raggio anche da parte di Giuseppina De Giudici, nell'esame di Storia del diritto italiano, con 56 domande. In Economia la media dei quesiti è tra le più basse: una ventina. Sono riportate le domande di dodici esami. LETTERE E SCIENZE POLITICHE Storia contemporanea, Antropologia, Letteratura italiana moderna e contemporanea, Storia Economica: sono alcune delle materie osservate speciali nella facoltà di Lettere. In questo caso però gli appelli riportati sono un po' datati, quindi il consiglio è quello di fare comunque un salto nelle aule, e seguire dal vivo qualche interrogazione. In Scienza Politiche c'è il record di domande (80 in Politica dell'Ambiente), anche questa volta però lontane nel tempo. I VOLONTARI Per ora sono circa 300 i ragazzi che si sono divisi i docenti da controllare nei vari appelli. Anche perché con le modifiche dei corsi monografici e dei semestri, le novità sono dietro l'angolo. In tutto sono oltre cento le facoltà monitorate, con 18 mila docenti ordinari e altrettanti associati. Entro l'anno quaestiones.com punta a mettere sotto controllo tutti i corsi universitari, grazie all'aiuto degli studenti. Anche quelli cagliaritani. Perché secondo un pensiero comune tra gli studenti, i docenti alla fine si affezionano ad alcuni argomenti, che non possono mancare durante le loro interrogazioni. Matteo Vercelli __________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 mag. ’06 PRIVACY, LA PA NON HA PIÙ PROROGHE DATA ULTIMA IL 15 MAGGIO Probabilmente ci voleva una fase di transizione come questa, con le Camere appena ricostituite e il Governo da fare, per mettere nell'angolo la Pubblica amministrazione e costringerla ad adeguarsi alla legge sulla privacy. Ulteriori proroghe non sono, infatti, al momento possibili. Dunque, la scadenza del 15 maggio - data entro la quale tutti i soggetti pubblici devono dotarsi dei regolamenti per poter continuare a utilizzare i dati sensibili - non appare in forse. Sette anni. Ci sono voluti sette anni per arrivare al risultato. La normativa che ha previsto le regole alle quali gli uffici pubblici devono sottostare quando utilizzano dati personali riservati (sulla salute, il sesso, l’ appartenenza politica, sindacale, il credo religioso, eccetera) è infatti del 1999. Il decreto legislativo 135 ha imposto ai soggetti pubblici condizioni precise: le informazioni sensibili possono essere trattate solo in presenza di un'adeguata copertura legislativa. in altre parole, una normativa che specifichi - per ciascuna amministrazione - il tipo di dati da utilizzare, le operazioni effettuabili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite. La previsione si è, da subito, rivelata un puro caso di scuola. Le leggi che assicurano una simile copertura sono, infatti, pochissime. E dunque la gran parte della Pubblica amministrazione si è immediatamente resa conto di non poter contare su un tale "ombrello" normativo. L'alternativa, però, c'è. Lo stesso Dlgs 135 ha stabilito che le amministrazioni possono effettuare in proprio una ricognizione dei dati sensibili custoditi e trattati e indicarne le finalità di utilizzo. Un'operazione che. in sette anni, non è mai stata neanche tentata, se non in pochissime realtà. Neanche dopo che il Garante ha individuato, per un largo ventaglio dì casi. le rilevanti finalità di interesse pubblico che consentono l'utilizzo dei dati sensibili da parte delle amministrazioni. Tra proroghe e rimproveri. Ha sempre avuto il sopravvento l’inerzia, quando non l'ostruzionismo. degli uffici, favoriti da un legislatore di manica larga Del concedere proroghe. Sembrava che la situazione si fosse definitivamente risolta con l'arrivo del Codice della privacy -- entrato in vigore il primo gennaio 2004 che ha assorbito le indicazioni dei '99. Intanto, perché il Testo unico della riservatezza ha risolto la querelle tra Garante della privacy e presidenza del Consiglio circa la tipologia di atto con cui effettuare la ricognizione dei dati sensibili: il primo propendeva per il regolamento, l'altro per un più semplice atto .amministrativo. Alla fine, si è optato per l’«atto di natura regolamentare», dando ragione al Garante. Eppoi perché il Codice ha fissato una data che aveva tutta l'aria di essere perentoria: i regolamenti sarebbero dovuti arrivare entro i130 settembre 2004. Invece, non è andata così e di proroga in proroga si è giunti a oggi. A nulla sono valsi i continui richiami del Garante. 11 precedente presidente dell'Authority, Stefano Rodotà, davanti al Parlamento aveva parlato di «diffuse sacche di evasione» della privacy soprattutto all'interno della Pubblica amministrazione. E l'attuale, Francesco Pizzetti, in uno dei primi interventi subito dopo l'insediamento ha chiesto di porre un freno alle deroghe concesse agli uffici pubblici. La scommessa. L' Authority ha da sempre invitato i soggetti pubblici a non vivere i regolamenti per il trattamento dei dati sensibili come un mero adempimento amministrativo, ma come un passaggio che «ha effetti innovativi e significativi sui diritti fondamentali di numerose persone interessate». Si tratterà ora di vedere se quell'invito sarà rispettato. II Garante da mesi riceve gli schemi dei regolamenti. Su tanti ha già espresso il parere, mentre altri sono in lista d'attesa. C'è da considerare che diversi sono i regolamenti- tipo, cioè quelli che valgono per interi comparti pubblici, come le Province, i Comuni, (e Regioni, le università e le scuole (il regolamento dell'Istruzione), le Asl (quello della Conferenza delle regioni e province autonome). La scommessa è duplice: quante amministrazioni saranno in regola per metà maggio? E ancora: quante cambieranno prospettiva nei confronti della privacy - a volte utilizzata a sproposito come scudo per non rispondere alle legittime richieste dei cittadini - e quante, invece, vedranno nei regolamenti l'ennesimo pezzo di carta da compilare e poi dimenticare in un cassetto? ANTONELLO CHERCHI _________________________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’06 NUOVA PROROGA PRIVACY PER LA PA di Nicoletta Cottone Ultimo Consiglio dei ministri del Governo Berlusconi. Una riunione lampo, durata mezz'ora in tutto, che ha visto l'approvazione di un decreto legge contenente l'ennesima proroga della scadenza fissata al 15 maggio 2006 per il varo degli atti di natura regolamentare da parte delle Pubbliche amministrazioni per continuare a utilizzare i dati sensibili. Nonostante le Camere appena ricostituite e il Governo ancora da fare la Pubblica amministrazione incassa, dunque, l'ennesimo slittamento dell'adeguamento alle regole che la normativa sulla privacy prevede dal 1999. Il nuovo Codice della privacy, approvato con il Dlgs 196/2003, aveva individuato la data limite per varare i regolamenti nel 30 settembre 2004. Nonostante i richiami dell'allora Garante della privacy Stefano Rodotà e dell'attuale Francesco Pizzetti le deroghe concesse agli uffici pubblici continuano. Moltissime amministrazioni si sono messe in regola da tempo, ma, evidentemente, ancora molte sono in difetto. Il Consiglio dei ministri ha, inoltre, dichiarato lo stato di emergenza per i movimenti franosi nel territorio del Comune di Montaguto (Avellino) e prorogato lo stato d'emergenza già dichiarato per una crisi idrica che interessa alcuni comuni a sud di Roma serviti dall'acquedotto del Simbrivio. Il Consiglio dei ministri ha anche espresso «avviso favorevole», come recita il comunicato di palazzo Chigi, all'intendimento del nuovo Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare il consigliere di Stato Donato Marra come Segretario generale della Presidenza della Repubblica ======================================================= _________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 mag. ’06 GOVERNATORI CONTRO RAGIONERIA ATTACCO SUI BUCHI DELLA SANITÀ Bassolino e Marrazzo contestano il Tesoro sullo sforamento da 2,7 miliardi Errani chiama Prodi: un nuovo patto sulla spesa. E cambiamo la Finanziaria ROMA — «Non se ne parla neanche ». Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, non ha il minimo dubbio. «Il commissariamento delle Regioni che hanno sfondato il tetto della spesa sanitaria è inaccettabile. Lo avevamo detto al vecchio governo che aveva introdotto questa norma nella Legge finanziaria, e lo ripeteremo al nuovo esecutivo. Anche se abbiamo la fondata speranza — dice Errani — che con Romano Prodi si possa finalmente avviare un tavolo di confronto tra le regioni e il governo centrale e trovare una soluzione cooperativa e condivisa di questo problema del fi- nanziamento della spesa sanitaria. E una volta per tutte, perché così — assicura il presidente dei governatori delle Regioni — non si può più davvero andare avanti». Lo sfondamento del tetto alla spesa sanitaria è ormai diventato sistematico. Nonostante il governo di centrodestra abbia aumentato la dotazione del Fondo sanitario nazionale, portandolo per il 2006 a 93 miliardi di euro (erano 68 nel 2001), i conti non tornano mai. E anche l’anno scorso il tetto è saltato: 2,7 miliardi di euro di buco. Solo Umbria e Toscana hanno i conti in attivo. Tutte le altre regioni sono in rosso, come sempre. E, come in passato, gli sfondamenti maggiori riguardano il Lazio, con un rosso di gestione di 1,2 miliardi, e la Campania, con 1,1 miliardi di euro di disavanzo. Buchi che le manovre di rientro impostate dai due governi regionali non consentiranno, secondo il ministero dell’Economia, di tamponare. Motivo per cui Lazio e Campania, come previsto dalla Finanziaria 2006, rischiano il commissariamento. E l’aumento coattivo delle addizionali Irap e Irpeffi no al livello massimo previsto dalla legge: 1,4 punti per l’Irpef, un punto per l’Irap. La procedura avviata da Giulio Tremonti per la nomina di Antonio Bassolino e Giuseppe Marrazzo a commissari di governo ad acta è già partita. Campania e Lazio hanno ricevuto le lettere di diffida da Palazzo Chigi e sulla carta hanno tempo fino al 31 maggio per sistemare le cose. Ma non vogliono saperne. La Campania, addirittura, contesta i calcoli del ministero dell’Economia. Tutte e due le regioni hanno già avviato un piano draconiano di riduzione della spesa: meno 12% per il Lazio, meno 18% per la Campania, rispetto al 2004. Ma la manovra è triennale. E di più non possono fare, perché c’è anche il peso del debito pregresso da fronteggiare. Roba da far tremare le vene ai polsi: 5 miliardi per la Campania (di cui 3, collocati in una spa, sono stati appena coperti da un pool di banche estere), 3,5 miliardi per il Lazio. La Finanziaria, però, obbliga alla copertura immediata del buco, con un meccanismo automatico (i commissari ad acta) che ha consentito a Giulio Tremonti di ottenere la promozione dei traballanti conti italiani a Bruxelles. A Prodi si prospetta una scelta difficile: affondare su Bassolino e Marrazzo, o smontare la Finanziaria. Dando un brutto segnale alla Ue, ai mercati e alle agenzie di rating. «Mi rendo conto. Ma non si possono fare affermazioni e promettere cose irrealizzabili. Aspettiamo ancora dal governo 4,5 miliardi di euro per il mancato finanziamento dei Livelli essenziali di assistenza del 2004-2005. E questi tetti alla spesa sanitaria sono irrealistici», dice Errani. Proponendo a Prodi una terza via: la riscrittura del Patto di stabilità interno. Mario Sensini 93 miliardi 2,7 miliardi Il valore complessivo del Fondo sanitario nazionale la cui dotazione è stata aumentata dal governo di centrodestra (erano 68 miliardi di euro nel 2001). Ma lo sfondamento del tetto è ormai sistematico Il buco della sanità. Anche l’anno scorso il tetto è saltato. Solo Umbria e Toscana hanno i conti in attivo. Tutte le altre regioni sono in rosso. Gli sfondamenti maggiori, quelli di Lazio e Campania _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 10 mag. ’06 IN SARDEGNA UN ANNO RECORD PER I TRAPIANTI Gli ospedali specializzati superano l’esame dell’Istituto superiore della Sanità Nel delicato meccanismo del trapianto di organi, gli 11 ospedali specializzati dell’Isola hanno superato il severo esame dell’Istituto superiore della Sanità. Il giudizio positivo è stato espresso dal Centro nazionale trapianti. Unico neo evidenziato, l’inadeguatezza degli spazi. Altro dato rilevante è la crescita del numero di donazioni: nell’Isola (al terzo posto nella graduatoria nazionale) ne vengono effettuate 37,5 per ogni milione di abitanti, contro le 22,7 medie del resto d’Italia. Il mancato consenso riguarda il 10,5 per cento contro il 25 per cento nazionale. I TRAPIANTI. Il 2005 è stato un anno da record, con 59 trapianti di rene, 30 di fegato, 8 di cuore. Nei primi tre mesi di quest’anno, invece, ne sono stati contati 21 di rene, 6 di fegato e 2 di cuore. Secondo l’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, il modo di lavorare di tutti i medici specializzati ha fatto registrare «risultati molto lusinghieri», come ha spiegato ieri in un incontro nell’ambito delle Giornate nazionali per la donazione e il trapianto di organi. Quello dei reni è il più frequente: oltre ad aiutare i pazienti, giova anche alle casse del sistema sanitario pubblico, perché - ha detto l’assessore - un trapianto costa quanto tre anni di dialisi. Carlo Carcassi, responsabile del Centro regionale, ha poi ricordato: «Il 60 per cento dei pazienti in dialisi è idoneo al trapianto». Una ragione in più per sostenere e aiutare il più possibile il ricorso a questo tipo di intervento. LE DONAZIONI. Nei primi tre mesi dell’anno sono state effettuate 4 donazioni a Cagliari, 3 a Sassari, 4 a Nuoro, una a Olbia e una a San Gavino. I dati sono del Centro regionale trapianti, secondo il quale dal primo gennaio sono stati donati 25 reni, mentre 4 sono arrivati da altre regioni: 11 sono stati trapiantati a Cagliari, 10 a Sassari. Nell’Isola sono stati prelevati tre cuori: due sono stati trapiantati nel capoluogo. Il trapianto di fegato ha fatto registrare dodici prelievi, mentre tre organi sono arrivati da fuori: su nove utilizzati, sei sono stati impiantati a Cagliari. Sino a marzo non è stato eseguito alcun intervento che riguarda pancreas o intestino, mentre ci sono stati due impianti di polmone fuori dalla Sardegna. L’ATTESA. Sempre Carcassi ha sottolineato che il numero di pazienti iscritti nelle liste d’attesa è diminuito, mentre i donatori sono aumentati: «Ciò ha reso possibile l’arrivo di pazienti da altre regioni, come Campania, Lazio, Molise e Toscana, ma anche da altri Paesi come Belgio, Francia, Germania ». Secondo lo studio, curato da Paolo Pettinao, coordinatore regionale per l’attività di donazione e prelievo organi, nell’Isola ci sono 173 pazienti in attesa del trapianto di rene, 21 per il cuore, 7 per il fegato. NICOLA PERROTTI (Unioneonline) _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 mag. ’06 TRAPIANTI: TUTTI I NUMERI DELLA SANITA’ Il coordinatore regionale del centro trapianti fa il bilancio della situazione in Sardegna Donazioni di organi, l’isola al quarto posto Successo del lavoro di sensibilizzazione Aumentano i centri autorizzati all’espianto In Sardegna vi sono 37,5 donatori ogni milione di abitanti, mentre la media nazionale è di 22,7. I dati sono stati forniti ieri da Paolo Pettinao, coordinatore regionale del Centro trapianti, in occasione delle «Giornate nazionali per le donazioni e i trapianti». La conferma che si tratta di un trend positivo viene anche dalla forte diminuzione dei ri- fiuti alle donazioni di organi: la percentuale nazionale è del 25 per cento, quella locale del 10,5. Sono, insomma, lontani gli anni in cui la donazione veniva vista come una cosa strana e vissuta come un’offesa, dai parenti del morto, la richiesta del prelievo degli organi. Oggi, grazie al lavoro di sensibilizzazione dei volontari e, soprattutto, del personale medico e sanitario dei reparti di rianimazione, il consenso al prelievo degli organi viene visto per quello che è: un gesto che salva una vita (per i cardiopatici, ad esempio) o che ridà il sorriso a pazienti nefropatici perchè li libera dalla schiavitù della dialisi. Un percorso non facile che è andato di pari passo con una riorganizzazione sanitaria che ha permesso un aumento delle rianimazioni abilitate all’iter delle donazioni (che porta poi al prelievo e al trapianto). Dai tre centri originari (l’ospedale Brotzu di Cagliari, il Santissima Annunziata di Sassari e il San Francesco di Nuoro) si è arrivati a un allargamento che comprende Lanusei, Oristano, Carbonia, Olbia e San Gavino. Più altri tre presidi del capoluogo sardo: il San Giovanni di Dio, il Santissima Trinità e l’ospedale Marino. Il tutto in parallelo a un aggiornamento professionale degli operatori, anche per il modo di rapportarsi ai familiari dei possibili donatori. Il primo trapianto di rene venne fatto in Sardegna nel 1988: ne beneficiò una nefropatica di Armungia, che era in lista d’attesa da sedici anni. «Oggi invece si resta in questi elenchi in media 2-3 anni — ha spiegato Carlo Carcassi, responsabile del Centro regionale di riferimento per i trapianti — si tratta di statistiche che vengono elebarate sulla base degli interventi già eseguiti. Il che non esclude, naturalmente che vi siano singole persone che, per condizioni individuali, aspettano di più». In particolare nei primi tre mesi di quest’anno vi sono stati ventun trapianti di rene, sei di fegato e due di cuore (questi eseguiti solo al Brotzu). Negli ultimi dodici mesi, inoltre, ha informato Pettinao, la forbice tra lista d’attesa e richieste si è capovolta: «Prima non si riusciva a stare dietro alle domande, adesso è quasi il contrario». Non sempre, infatti, il nefropatico, per stare ai trapianti di rene (che sono i più diffusi) sa che cos’è questo intervento, «a volte — ha sottolineato Carcassi — vi sono paure che vanno superate. Altre volte non è possibile eseguirlo per le condizioni del paziente». Oggi aspettano di avere un rene nuovo centosettantrè persone, sette un fegato e trentuno un cuore. Lo sviluppo di questa pratica medica, ha informato l’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, è importante: innanzi tutto perchè permette di migliorare la qualità della vita dei pazienti e poi in quanto è uno dei pochi casi in cui si produce un risparmio. Il costo annuale della terapia di un nefropatico (superiore ai cinquantamila euro, più i rimborsi di viaggio e soggiorno) viene infatti ammortizzato in tre anni di un trapiantato. E oggi queste operazioni garantiscono un altissimo livello di vita. «Pur con una cura anti rigetto che deve essere fatta per tutta la vita», come ha spiegato Pettiano. Non sempre, però, il trend delle donazioni è stato lineare. Nel 1998, ad esempio, ci fu un periodo di calo che dai 15,10 donatori per milione di abitanti del 1995, scese a 8,4. Poi c’è stato un aumento sino al 2000 (13,3) e una nuova flessione nel 2002 (10 per milione), per poi seguire una crescita costante sino alla media di 37 donazioni dei primi mesi del 2006. E oggi la Sardegna ha conquistato il quarto posto nelle regioni italiane che producono maggiori donazioni, in proporzione alla popolazione. L’assessore Dirindin ha infine ringraziato pubblicamente i sardi per la sensibilizzazione che hanno dimostrando in questo «importante settore sanitario». _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 mag. ’06 I MEDICI OSPEDALIERI CONTRO I RITARDI DEL PIANO REGIONALE Tutto in ritardo: riordino ospedaliero, piano sanitario regionale, aziende miste. E in più uno stipendio che in Sardegna è inferiore del 10% rispetto alle altre regioni. Il biglietto da visita presenta anche una sofferenza degli organici, ma, nonostante questo, la professionalità è di alto livello. Parola dei medici ospedalieri dell’Anao e dell’Assomed che ieri a Cagliari hanno tenuto il congresso regionale, presente l’assessore alla sanità Nerina Dirindin. È stato esaminato anche il nuovo piano sanitario (il precedente è del 1985), ancora in commissione, che i camici bianchi non giudicano nel complesso negativamente, anche se chiedono un potenziamento delle strutture di base del territorio, perché facciano «filtro» garantendo così l’accesso all’ospedale solo a chi ha realmente bisogno. Questo, secondo i medici, oggi non succede. I medici hanno anche chiesto che il piano venga affrontato in modo bipartisan. Alcune critiche sono arrivate proprio sulla gestione dei tempi, che si sono allungati rispetto alle previsioni iniziali. Il piano è stato anche al centro del faccia a faccia tra l’assessore Dirindin e Pierpaolo Vargiu (Riformatori), rappresentante dell’opposizione e componente della commissione sanità. Quest’ultimo ha rimarcato i ritardi nell’elaborazione del piano sanitario e ha auspicato una gestione unitaria della sanità: «Il clima di collaborazione - ha detto - è fondamentale per cambiare la sanità». Le osservazioni non sono piaciute alla Dirindin che ha subito detto di non essere disposta «a farsi mettere in croce» e ha considerato «ingenerose le critiche per un ritardo di quattro mesi, quando il piano sanitario regionale manca da vent’anni». L’assessore ha anche osservato che in Sardegna dal 1999 sono arrivati 600 milioni di euro per l’edilizia ospedaliera: «Molti cantieri sono stati aperti, pochi hanno ultimato i lavori». Le richieste. Intanto nell’Isola i 5.000 medici ospedalieri percepiscono uno stipendio che è inferiore del 10%, rispetto al resto di Italia. Un fatto dovuto al fondo incentivante per progetti retribuiti che in Sardegna non ha risorse. Non sono mancate neppure le critiche alla gestione della sanità. «A dirigere l’azienda sanitaria - dice Marcello Angius, riconfermato segretario regionale Anaao-Assomed - è posto un direttore generale che rappresenta una vera e propria figura di governatore, senza alcun legame con la realtà territoriale». A LESSANDRO ATZERI (Unioneonline) IL DIBATTITO Vargiu (Riformatori) all’assessore Dirindin: serve un clima di reale collaborazione __________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’06 LA SALUTE A PORTATA DI MOUSE Nel mirino dell’ ICT la realizzazione di un fascicolo sanitario elettronico per ogni cittadino Gli scopi prioritari del FaSP sono concentrare i servizi sanitari sul paziente per migliorare l'assistenza e garantirne la continuità L' automazione della raccolta di informazioni cliniche relative agli interventi eseguiti in risposta a eventi sanitari (malattie, visite specialistiche, urgenze ecc.) è al centro di impegni e investimenti di vari Paesi. Questi hanno studiato e si stanno avviando alla realizzazione della cartella clinica condivisa (FaSP - Fascicolo sanitario personale) che, basandosi su soluzioni di cartelle cliniche interoperative tra differenti strutture sanitarie, permetta la condivisione dei dati del paziente nell'obiettivo di migliorare la qualità dell'assistenza e di incentrare i servizi sanitari sul paziente. Questa è la soluzione per migliorare la qualità dell'assistenza ma soprattutto per incentrare i servizi sanitari sul paziente. In Italia ogni Regione dovrebbe provvedere a fornire i cittadini di un libretto sanitario personale fin dalla nascita. Recentemente il sistema sanitario ha iniziato a porre al centro del processo di cura il paziente secondo una concezione dell'assistenza sanitaria che passa da un intervento mirato ed efficace in eventi critici a un'assistenza volta a garantire una continuità dello stato di benessere e prevenire acuzie. Assumono così importanza concetti come la continuità assistenziale, la condivisa ne della cura e l’home care, concetti che promuovano l’assistenza del paziente anche al di fuori delle strutture ospedaliere c/o in condizioni cliniche non critiche. In questo nuovo scenario il cittadino viene così ad assumere un ruolo più proattivo nei mantenersi in salute e nello svolgimento delle terapie a lui assegnate. Questo significa che il paziente, specialmente quello cronico, è chiamato a essere il fornitore della sua cura per particolari terapie come quelle che si prendono per bocca, l'esecutore di alcuni esami diagnostici grazie ai nuovi dispositivi elettronici (a esempio per alcuni esami del sangue, per il controllo della pressione arteriosa ecc.). Anche il paziente quindi può accedere al Fascicolo sanitario personale. In realtà il paziente accede a una sua particolare vista che adatta i dati alle competenze e alle necessità del singolo cittadino. Questa vista è il libretto sanitario personale che nel sistema MobiDis è un servizio Web che interroga il Fascicolo sanitario personale ed è usabile dal cittadino in varie modalità (Internet; computer palmari, telefono cellulare, carta). Nel progetto MobiDis il libretto è stato sperimentato per il follow up dei bambini grazie anche alla realizzazione di un prototipo, mentre per i malati di Hiv c'è il progetto PalmHiv. Questi progetti permettono di individuare ali elementi comuni che un servizio Web deve avere per svolgere le funzioni di un libretto sanitario personale, anche se tale libretto va poi customizzato in funzione della disciplina medica e della patologia. Nell'ottica di mettere tutti i cittadini in grado di collaborare, per quanto possibile, con gli operatori sanitari nella gestione della propria salute e nei cambiamenti del proprio stile di vita, nonché di essere maggiormente coinvolti sul proprio processo di cura, un cittadino può accedere al suo fascicolo sanitario personale tramite il libretto sanitario personale che gestirebbe diversi tipi di conoscenze cliniche e pratiche, oltre a una opportuna versione dei dati clinici personali contenuti nel Fascicolo sanitario personale. o cura di Fabrizio L. Ricci Dirigente di ricerca - Irpps Cnr __________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’06 II SOCIOSANITARIO AL RALENTI Nell'Ict e nella Sanità elettronica il settore sociale è stato finora poco considerato Nell'Information technology e la Sanità elettronica il tema dell'integrazione sociosanitaria è stato fino a oggi poco considerato, a differenza dei progetti di reti di patologie é di fascicoli sanitari regionali che sono numerosi e diffusi in molte Regioni d'Italia. Bisogna constatare che l'interesse verso soluzioni di collaborazione e condivisione delle informazioni è, purtroppo scarso, nonostante l'integrazione sociosanitaria tocchi un numero molto elevato di persone, anche se, per fortuna, non mancano le eccezioni. Sicuramente una delle ragioni principali è la maggiore focalizzazione verso gli aspetti clinici e sanitari nel senso stretto del termine, anche se ciò appare in antitesi con l'evoluzione e l’ affermazione del modello integrato sociosanitario. La ripartizione di competenze tra diverse amministrazioni rende sicuramente difficile avviare delle iniziative comuni che sposino le esigenze dei diversi attori dell'integrazione sociosanitaria ma, come qualche esperienza dimostra, non è impossibile. La riforma del Ssn, infatti, ha ampliato il concetto di "prestazioni socio-sanitarie", comprendendovi anche tutte quelle attività che, mediante percorsi assistenziali integrati, garantiscono la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione. Questa definizione ribadisce la divisione delle competenze tra gli enti gestori delle prestazioni socioassistenziali e le aziende sanitarie. Con questo ampliamento rientrano dunque nella sfera dell'integrazione sociosanitaria: a) le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, alla cura e al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite, che sono di competenza delle aziende sanitarie; b) le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo dì supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute, che sono di competenza degli enti gestori delle funzioni socioassisteniiali con eventuale compartecipazione da parte dell'utente; c) le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria, cioè tutte le attività specifiche delle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e da dipendenze, Hiv e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, che sono di competenza delle Asl. E in funzione della fase in cui si trova la persona nel suo progetto di cura si possono poi identificare tre distinti livelli di intensità assistenziali. In questo ambito, operatori sociali, professionisti della salute e volontari svolgono un'azione integrata che vede il cittadino al centro delle loro attività, i cui bisogni si intrecciano e dipendono spesso gli uni dagli altri. La Sanità elettronica, intesa nell'accezione più ampia del termine può fornire strumenti innovativi e di facile_ accesso per rendere l'assistenza sociosanitaria più efficiente ed efficace. Elianna Sorda Unità Sanità elettronica Istituto tecnologie biomediche del Cnr __________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’06 DIABETE, CARTELLA ELETTRONICA II disease management informatizzato consente la gestione ottimale dei pazienti Nonostante i miglioramenti nella sopravvivenza delle persone con diabete, è ancora grande la distanza tra la reale qualità dell'assistenza erogata dai servizi sanitari e quanto raccomandato in sede scientifica. In realtà sarebbe possibile ridurre ulteriormente le complicanze del diabete in Italia, migliorando l'adesione dei diabetici ai controlli periodici e alle altre misure raccomandate. Per questo motivo il ministero della Salute, d'intesa con le Regioni e Province autonome, con l'accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni il 24 luglio 2003, ha individuato 5 linee prioritarie per l’attuazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005. La quinta linea, «Comunicazione istituzionale», contiene il piano di prevenzione attira, che prevede la prevenzione delle complicanze del diabete, attraverso l'attuazione di mogrammi: di gestione della malattia (disease managenent). Il piano prevede, anche sulla scorta dì alcune esperienze pilota condotte in alcune Regioni italiane, un sistema di gestione integrata- dei pazienti diabetici tra i medici di medicina generale e la rete dei Servizi specialistici di diabetologia e malattie del metabolismo presenti nella realtà italiana. Tale gestione integrata prevede, come strumenti indispensabili: e la formulazione di "Linee guida" condivise e codificate per i vari stadi di patologia; o l'identificazione di indicatori di processo e di esito; e un sistema di raccolta comune dei dati clinici da cui ricavare gli indicatori di processo, indispensabili alla attuazione del circuito della qualità, e gli indicatori di risultato intermedio e, laddove possibile, finale. Il piano prevede poi, come passo successivo a quelli descritti, l'ingresso nel sistema integrato delle strutture specialistiche proprie della «secondary care». Il progetto : è organizzato ' attraverso la costituzione di unità operative su base territoriale identificate dalle Regioni, sulla base dei requisiti richiesti da progetto, e in accordo con i Comitato scientifico di progetto. II responsabile del piano di cura dei singoli casi potrà essere, in base alle caratteristiche cliniche del paziente, il medico di medicina generale, une specialista diabetologo del Cc oppure personale sanitario addestrato del servizio distrettuale. Lo scambio di informazioni potrà avvenire in rete, nei casi in cui esista età una cartella informatizzata condivisa, oppure attraverso una cartella personale (diario) del paziente in cui verranno riportati i dati clinici fondamentali per la gestione integrata. Il paziente porterà con sé il diario a ogni visita programmata. Tutti i dati relativi agli indicatori di processo e di esito verranno confrontati cori le informazioni relative all'anno precedente l'inizio del progetto. Quasi tutte le Regioni hanno già preparato i propri piani - secondo le linee guida concordate. Ciascuna Regione, sulla base di esperienze già maturate o in corso di sviluppo per mezzo di progetti oppure sfruttando infrastrutture informatiche e database già esistenti, ha previsto nel proprio piano obiettivi e sviluppi differenti. Elianna Sorda Unità Sanità elettronica Istituto tecnologie biomediche del Cnr Il diabete mellito è una patologia cronica a larghissima diffusione in tutto il mondo. In Italia si stima interessi il 3% della popolazione, con quindi oltre 2 milioni di persone affette dalla malattia. La percentuale aumenta progressivamente con l'avanzare dell'età e dopo i 65 anni circa il 12% della popolazione è diabetica. Ogni anno, ci sono in Italia più di 70mila ricoveri per diabete principalmente causati da complicanze quali ictus cerebrale e infarto del miocardio, retinopatia diabetica, insufficienza rena:! le e amputazioni degli arti inferiori. I costi diretti e indiretti legati alla malattia nel 2004 assommerebbero a circa 5.500 milioni di euro. A questo si deve aggiungere la perdita di qualità della vita dei diabetici. Non c'è dunque da meravigliarsi se la prevenzione e la cura del diabete sia oggi una delle maggiori priorità sanitarie che vede impegnati i medici di medicina generale e le associazioni italiane dei diabetologici che hanno definito insieme delle linee guida specifiche. Uno studio condotto nelle 21 Regioni e Province autonome italiane su oltre 3.200 persone, con esenzione ticket per diabete, di età compresa fra 18 e 64 anni ha rilevato che la maggioranza (73%) dei pazienti intervistati ha almeno uno dei principali fattori di rischio (ipertensione, ipercolesterolemia e obesità) per le complicanze e il 42% ne ha almeno due. ABRUZZO - Prevede l'estensione del database centralizzato della cartella clinica Eurotouch e l'accesso di questa via Web. II progetto prevede il coinvolgimento di 10 Mmg e 10 pediatri per ciascuna area dei servizi di diabetologia coinvolti BASILICATA - Il progetto prevede la costituzione di un registro regionale dei pazienti e delle complicanze e la creazione di una rete integrata con livelli di accesso differenziati _ CALABRIA- Il progetto prenderà avvio dall’Asl 7 di Catanzaro e dall’Asl I t di Reggio Calabria ed entro il secondo anno sarà. implementato nelle restanti Asl della _Calabria EMILIA ROMAGNA- II progetto prevede in almeno un distretto di ciascuna Asl l'attuazione della gestione integrata e la creazione di un sistema di monitoraggio per valutare l'andamento degli accordi di gestione integrata e gli indicatori diagnostici LAZIO - L'attuazione del progetto avrà inizio nelle Asl RmB, RmE e RmG e nell'Ao San Filippo Neri, dove sono presenti operatori che hanno già partecipato a progetti di miglioramento dell'assistenza al paziente diabetico LOMBARDIA -Il piano prevede il coinvolgimento di Asl, Ao, Mmg, volontariato e malati e la costituzione di team diabetologici con la manutenzione di banche dati per monitorare efficacia e appropriatezza delle prescrizioni, aderenza ai protocolli e qualità di vita del diabetico MARCHE - La Regione prevede la creazione di un collegamento bidirezionale tra Mmg e centri di diabetobgia con la cartella clinica Eurotouch ad accesso mediante Web. II progetto identifica 5 centri pilota in cui sperimentare il modello di gestione integrata PIEMONTE - IL piano prevede nel 2005-2007 l'analisi del fabbisogno informativo, l'individuazione del software più adeguato al fabbisogno, alla necessità di interfacciarv si con gli attuali sistemi informativi e all'esigenza di implementare il Registro regionale diabete PUGLIA - Il progetto è realizzato a livello di ogni azienda a cura dell'Unità aziendale di progetto (Uap) costituita da un medico dei dipartimento di prevenzione, un Mmg, un diabetotogo e un medico del Distretto SARDEGNA - Il progetto sarà avviato nell’Asl 8 di Cagliari e nella 5 di Oristano, dove è in svolgimento il progetto del Pon Atas «Modelli di valutazione della qualità delle prestazioni e dei servizi sanitari offerti anche attraverso, la partecipazione degli utenti» SICILIA - II progetto prevede l'utilizzo di competenze e strumenti sviluppati dal Dipartimento osservatorio epidemiologico della Regione. In particolare si prevede l'uso del software GtPaC-2 per la raccolta di dati epidemiologici e sulle performance prescrittive TOSCANA - La Regione prevede di rendere più strutturato e vincolante l'approccio integrato al diabete con il completamento degli obiettivi del registro regionale, la creazione di singoli registri per patologia informatizzati e l'applicazione delle linee guida regionali UMBRIA - La Regione ha uno dei primi piani per la patologia: Progetto Umbria Diabete. Che prevede l’interconnessione dei centri con i Mmg e la creazione di flussi di dati secondo il gruppo di studio europeo Diabetes optimization through information tecnology VENETO - Il piano prevede la messa in rete delle informazioni da Mmg, Centri anti diabetici (Cad), Sdo e Istat. Coordinamento e analisi epidemiologica sono fomiti dal Sistema epidemiologico regionale (Ser), in collaborazione con Regione e Asl __________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’06 PRESCRIZIONI SICURE SUL WEB Medicinali e presidi medico-chirurgici possono abbandonare le ricette cartacee Nel lungo e complesso cammino verso la Sanità elettronica, le prescrizioni rivestono un ruolo di primo piano per diverse ragioni. Nell'ambito della gestione dei processi, la formulazione di richieste di prestazioni specialistiche e farmaci mette in moto un meccanismo di programmazione ed erogazione di servizi clinici o di approvvigionamento di medicinali e presidi medico-chirurgici. La trasformazione da ricette cartacee a prescrizioni elettroniche diventa pertanto un passaggio obbligato nell'automazione dei processi sia all'interno delle stesse strutture di ricovero e cura, sia tra i generalisti e i pediatri di libera scelta e gli erogatori di servizi o le farmacie. I vantaggi. Così come è avvenuto nel mondo industriale, anche la Sanità deve adottare formati digitali per rendere possibile l'interscambio di informazioni e automatizzare la gestione dei processi. Questo obiettivo non costituisce però l'unico vantaggio che deriva dall'adozione delle prescrizioni elettroniche. Ancora più importante, per la professione medica, è la possibilità di controllare l'appropriatezza e la sicurezza della richiesta in funzione delle allergie del paziente, delle terapie in corso, verificando a esempio le possibili interferenze farmacologiche, delle linee guida e dei profili di cure nonché, più in generale, con il quadro clinico complessivo. In questo ambito la prescrizione elettronica è lo strumento di base per realizzare sistemi clinici di supporto alle decisioni che migliorano la qualità e riducono notevolmente i rischi per il paziente, specie se abbinati a sistemi in grado di controllare la somministrazione del farmaco. Per ciò che riguarda le farmacie, l’ampia e massiccia diffusione di sistemi per la gestione del magazzino e delle impegnative, rende possibile, senza grandi complessità, la ricezione di prescrizioni elettroniche e il loro trattamento informatizzato. Controllo della spesa. La prescrizione elettronica ha il vantaggio di consentire un controllo della spesa più facile e accurato, con una tempistica decisamente più breve rispetto ai sistemi tradizionali di elaborazione delle ricette una volta che queste sono state consegnate dagli erogatori li servizi e le farmacie. Questo ,piega l'interesse, a cominciare dal ministero dell'Economia, di tutte le istituzioni - gli enti che gestiscono la spesa sanitaria. La prescrizione elettronica, oltre a essere molto più economica rispetto al costo del lavoro di data entry necessario per le ricette cartacee, può consentire un'analisi più dettagliata in virtù delle informazioni che la compongono. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’06 E-HEALT D’OBBLIGO PER L’UE Da Bruxelles l’invito agli Stati membri ad adottare strategie ad hoc per fa salute elettronica d'obbligo Nei Paesi dell'Unione si sono moltiplicati negli ultimi anni i Piani d'azione specifici per il settore sanitario e quelli più generali per sviluppare l’e-GovernmenT In ogni Paese è ormai chiaro che il settore sanitario assorbe una quantità sempre più elevata di risorse, per l'invecchiamento della popolazione e per l'avanzamento delle conoscenze mediche e della tecnologia, che permettono una migliore assistenza. L'evoluzione sostenibile del sistema sanitario richiede una razionalizzazione dei processi e un miglioramento nella comunicazione tra gli operatori sanitari e nella gestione delle informazioni cliniche, oltre a una maggiore fruibilità delle conoscenze mediche autorevoli. Ai professionisti sanitari si richiedono decisioni più appropriate e una riduzione degli errori. Ai cittadini sì richiede una maggiore aderenza alle terapie e un cambiamento negli stili di vita. Ai manager si richiede un maggiore controllo su appropriatezza e qualità dell'assistenza. A tutti si richiede di collaborare verso una prevenzione attiva, soprattutto per evitare le conseguenze di lungo termine delle condizioni croniche. Nascono così, a partire da metà degli anni Novanta, i primi Piani nazionali di Sanità elettronica, che prevedono il supporto innovativo alla continuità dell'assistenza oltre le mura della singola struttura sanitaria La tecnologia è armai disponibile, con reti sicure e standard di comunicazione. In alcuni Paesi, come l'Inghilterra, l'esigenza del settore sanitario è particolarmente sentita, e nascono dei piani specifici, ini2ialmente limitati ad alcune applicazioni e poi estesi gradualmente a reti regionali e infrastrutture pervasive per la Sanità elettronica, In altri Paesi, come l'Italia, è la Società dell'informazione che fa da catalizzatore, con i piani di «e-govemment». Comunque ormai l'esigenza si è affermata e ogni Paese europeo sta rapidamente approntando i piani d'azione specifici per la Sanità elettronica, anche per soddisfare le raccomandazioni del Piano d'azione della comunicazione della Commissione europea del 30 aprile 2004: «Making healthcare better for European citizens: An action plan for a European e-Health Area». I risultati preliminari di una rilevazione ancora in corso nei 25 Paesi della Ue - condotta dal progetto «e-Health Era» -- per conto -della Commissione europea, mostra che le parole chiavi più frequenti nei Piani di azione di Sanità elettronica, quando esistono, sono legate al miglioramento della qualità, ai servizi operativi ai cittadini (in particolare la prescrizione elettronica), all'integrazione socio-sanitaria. Gli strumenti per ottenere i benefici sono: il fascicolo sanitario personale; il portale sanitario e la telemedicina. Le pre condizioni indispensabili sono la creazione delle necessarie infra strutture, la carta sanitaria, gli standard specifici del settore, la gestione appropriata della sicurezza dei dati e della privacy, la formazione e la regolamentazione. pagine a cura di Angelo Rossi Mori Unità Sanità elettronica Istituto tecnologie biomediche - Cnr _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 mag. ’06 ASL 8. AL BUSINCO UNO SPAZIO ANCHE PER I MALATI TERMINALI Binaghi, in arrivo Diabetolgia con il Centro per le staminali All'ospedale di Monte Urpinu ci sarà anche la riabilitazione post chirurgica e un reparto specialistico per le patologie femminili Il pericolo sembra definitivamente scongiurato: il direttore generale dell'Asl 8 Gino Gumirato non ha intenzione di smobilitare il Binaghi. Descrivendo ai primari le sue proposte per il piano strategico aziendale, il manager ha detto a chiare lettere che l'ospedale di Monte Urpinu si trasformerà, divendando quasi una "clinica pubblica". Perderà alcuni reparti che saranno trasferiti in altre strutture ma, al tempo stesso, accoglierà centri di eccellenza. le proposteOltre allo spostamento del reparto di chirurgia toracica, preannunciato nella conferenza stampa di martedì, ci saranno i "traslochi" di due "pneumologie": una andrà al Businco per costituire un reparto di chirurgia oncologica e di chirurgia epatobilopancreatica; l'altra è destinato a Is Mirrionis, nel reparto di malattie infettive dove verrebbero, dunque, curati i casi di Tbc. Spazi lasciati liberi che saranno occupati da alcuni centri di eccellenza, come il centro di oftalmologia e di chirurgia oculistica programmata. Previsto, inoltre, il rafforzamento del centro trapianti di midollo osseo: all'interno di questo, dovrebbe trovare posto anche il punto per la raccolta delle cellule staminali. Da cordone ombelicale, ovviamente: leggi a parte, dopo le polemiche sui crocifissi in corsia, Gumirato non vuole certo far infuriare nuovamente la curia cagliaritana, parlando di staminali embrionali. le novitàTre, oltre a oftalmologia, i centri che Gumirato propone di sistemare al Binaghi. Uno dedicato alla salute della donna che favorisca la prevenzione e lo screening, l'educazione sanitaria, la diagnosi e la cura di patologie femminili; in questo centro, saranno ospitati i macchinari per le mammografie e le ecografie in serie, oltre a diverse offerte specialistiche e ad ambulatori di supporto. Prevista anche la costituzione di un centro diabetici e di un centro di riabilitazione post chirurgica, con venti posti letto e la possibilità di cure ambulatoriali e in day hospital. il busincoIeri Gumirato ha annunciato anche novità relative all'ospedale specializzato, prevalentemente, nei tumori. Al Businco dovrebbero arrivare nuove tecnologie in grado di abbattere i tempi di attesa ma, soprattutto, è prevista la creazione di un hospice per i malati terminali, destinato a offrire, tra le altre cose, le cure palliative: in questa struttura, attualmente in costruzione, ci saranno 18 posti letto; previsto anche il collegamento con il servizio di assistenza domiciliare integrata. l'azienda mistaCostituita l'azienda mista tra l'Asl 8 e l'università di Cagliari, al policlinico di Monserrato si trasferiranno le unità operative di Casula (del Binaghi) e di Uccheddu (del San Giovanni di Dio). All'interno dell'azienda mista sarà creato anche l'unico polo pediatrico di Cagliari. Ma, in questo caso, non è stato ancora deciso a quale ospedale sarà destinato. Marcello Cocco _________________________________________________________________ Il Giornale si Sardegna 11 mag. ’06 ASL8: «NIENTE TAGLI DI LETTI E OSPEDALI DICIAMO ADDIO AI RICOVERI FACILI» Gumirato: territorio troppo frammentato e senza servizi, dividiamolo in 23 distretti Carla Frogheri ca r l a .f ro g h e r i @ e p o l i s.s m Incerti se applaudire o se preoccuparsi, i 71 comuni della provincia e che rientrano quindi nelle compe tenze della azienda sanitaria 8, hanno ascoltato l'accenno del piano strategico per il prossimo triennio non senza perplessità. Un programma ancora sconosciuto ai più - delle 300 pagine più 800 di allegati è stata fornita una supersintesi da 16 pagine di schemi - che sembra muoversi sul doppio binario della razionalizzazione e riorganizzazione da una parte, e del dialogo e comunicazione dall'altro. RIORGANIZZAZIONE perché «i tassi di ospedalizzazione sono esageratamente elevati e la prestazione territoriale dispersiva », ha spiegato Gino Gumirato. Comunicazione per sfatare «dicerie» come la chiusura del Marino o del Binaghi. «Non stiamo chiudendo un bel niente - ha assicurato - Per la struttura ospedaliera in studio da parte della Regione servono almeno 5 anni». Inoltre, ha aggiunto, quello di ieri «era solo l'inizio di un percorso», che l'azienda sanitaria vuole fare assieme ai Comuni. Un cammino che punta alla riduzione da 101-104 distretti a 23 “posti unici d'accesso”, divisi in distretto metropolitano (Cagliari e Quartu) e provinciale (gli altri comuni meno questi due), anche perché è meglio chiudere i «presidi s g a rruppati , aperti una volta alla settimana solo per i vaccini. Che i vaccini li facciano medici generici e pediatri», è il suggerimento dei piani alti della Asl. Preoccupati, i sindaci hanno interrogato a lungo la direzione generale per carpire qualche certezza sul futuro dei piccoli presidi, pur «senza campanilismi », ha evidenziato l'assessore provinciale Quacquero, o «sui servizi ai cittadini se il nostro presidio venisse assorbito da Cagliari», ha puntualizzato da Quartu Ruggeri. Da parte sua, Gumirato ha voluto sfatare qualche falso mito. «Nessun taglio dei letti - ha assicurato - Ci sono già stati: attualmente è occupato solo il 50-60%». Smentita poi la convinzione di essere patria degli anziani: «Siamo sotto la media nazionale e sarda ». Lo diventeremo nel 2031. Preoccupante invece il settore biotecnologie. La Asl pensava di avere 8mila macchinari: ne sono saltati fuori 12mila, quasi tutti vecchi di dieci anni. _________________________________________________________________ Il Giornale si Sardegna 11 mag. ’06 ALS8: AFFARI EDILIZI E FUTURO DELLA CITTÀ Gli ospedali di Cagliari Santissima Trinità e Marino (qualcuno aggiunge anche il Binagli) dovrebbero essere venduti e destinati ad altre attività. Al momento la notizia sembra buttata lì, senza sollevare troppa polvere. Fra le varie destinazioni future di quelle aree si parla di attività alberghiere, di edilizia abitativa. Altri ipotizzano un campus universitario. Dalla vendita si ricaverebbero i soldi per costruire un altro ospedale. Anche l’area destinata a questo scopo pare sia stata individuata: zona inceneritore, sembra. Chissà a chi appartiene. Più d’uno si domanderà la ragione di un’idea così rivoluzionaria. Altri potrebbero pensare a un progetto rivolto a dare soluzione agli annosi problemi della sanità sarda e del Cagliaritano. Temiamo, invece, con le poche notizie a disposizione e per il modo in cui sono state diffuse, si tratti di affari edilizi che con il sistema sanitario della Regione abbiano niente in comune. Si dirà che la ristrutturazione dei vecchi ospedali è troppo costosa, che conviene pensare a strutture nuove. Avanti allora col paradosso: qui non si trovano soldi per il fisiologico ammodernamento delle tecnologie sanitarie, neppure per la vigilanza, e si propone però il mega-ospedale, stile grande centro commerciale. Con la differenza che mentre i centri commerciali ce li hanno messi davanti a casa, un servizio essenziale come quello sanitario si vorrebbe portarlo in periferia. Serviranno quindi reti viarie alternative rispetto a quella attuale, che è persino striminzita. L’idea, tra l’altro, non considera la difficoltà d’accesso per l’utenza, in prevalenza anziana e che ha diritto a una sanità a portata di mano. C’è da chiedersi poi a cosa è servito spendere venti milioni di euro (solo per l’ospedale di Is Mirrionis) per ristrutturazioni e adeguamento dell’impiantistica se il destino è quello di spazzarlo via con la benna di una ruspa. Se si tratta di bisogni edilizi da soddisfare, una soluzione la fornisce Claudio Cugusi nel suo ultimo libro sulle servitù militari a Cagliari. Bene, ci sono oltre due milioni di metri quadrati fra aree, caserme, basi, da cinquant’anni sottratti alla città. Si portino le stellette in periferia anziché la sanità pubblica. Quando verrà il momento scenderà in campo la politica pesante. E ci ammonirà sulle finalità sociali del progetto. Per ora…zitti zitti. *Presidente associazione I Sardi Mimmia Fres u _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 mag. ’06 ASL8: LA QUALITÀ SERVE ANCHE IN PERIFERIA Sindaci apprezzano il piano Asl 8 ma chiedono concertazione serrata CAGLIARI. Prove tecniche di concertazione tra i sindaci dei 71 Comuni della provincia e la Asl 8, in vista del piano strategico 2006/2008 che l’azienda sanitaria presenterà il 17 maggio. Opera dell’assessore provinciale alle Politiche sociali, Angela Quaquero: far incontrare i vertici della Asl e i primi cittadini della Provincia non era certo una scelta obbligata, ma gli interessi in ballo non sono di poco conto e ieri mattina a Palazzo Regio tutti hanno potuto esporre il proprio punto di vista. Chi dall’assise si attendeva uno scontro all’insegna del “Gumirato contro tutti” è rimasto deluso: il direttore Generale ha incassato un sostanziale via libera, a patto che il coinvolgimento degli enti locali non si risolva con la riunione organizzata ieri mattina. Sotto la lente d’ingrandimento, quattro grandi temi: programmazione unitaria dei servizi, ridefinizione dei distretti sanitari, accessibilità delle prestazioni e continuità territoriale di assistenza. Quali i cambiamenti previsti dal nuovo piano strategico? Lo ha spiegato in apertura dei lavori Gino Gumirato con un intervento volto a tranquillizzare i timori espressi nei giorni scorsi da molti sindaci: «Razionalizzare i posti letto non vuol dire prendere l’accetta in mano e tagliare a tutto spiano: questa mossa è già stata fatta negli ultimi anni e, ad oggi, sappiamo che su 50 letti, la metà non è utilizzata. Puntiamo, semmai, alla riqualificazione del sistema sanitario. In questi mesi sono state dette molte cose, spesso senza nessun fondamento, ad esempio sulla chiusura del Binaghi: è una notizia che non sta né in cielo né in terra». Il direttore generale si è poi soffermato sui punti salienti del piano strategico, con particolare attenzione verso la riorganizzazione dei distretti in 23 poli di riferimento e l’istituzione di un unico punto d’accesso dedicato ad alcune categorie di pazienti. «Siamo aperti ai contributi esterni e al confronto con gli enti locali — ha sottolineato Gumirato — non dobbiamo fare altro che sederci intorno ad un tavolo e discutere su problemi, priorità e modalità di applicazione del nuovo Piano strategico ». Il dibattito è stato inaugurato dal sindaco di San Vito, Patrizio Bucelli, che non ha rinunciato ad una punta polemica: «Forse la Asl 8 avrebbe fatto meglio ad inviarci un’anteprima del piano strategico, e spero che l’incontro di oggi sia solo il primo di una lunga serie. Le mie perplessità riguardano soprattutto la riorganizzazione dei distretti e i problemi connessi: i 23 poli sostituiscono ben 104 presìdi e dobbiamo tener conto dei problemi di mobilità che graveranno sui cittadini. Infine — ha detto Bucelli — vorrei ricordare che la salute ha i suoi costi, ma non ha prezzo: per questo basare un piano strategico solo su un tornaconto economico mi pare fuorviante». Uno dei problemi più sentiti riguarda la qualità dei servizi nei paesi periferici, come ha ricordato il sindaco di Muravera Salvatore Piu: «L’impostazione del piano mi trova d’accordo, perché fotografa in pieno la situazione e si muove di conseguenza. Allora, vorrei focalizzare l’attenzione soprattutto sul bisogno di uniformare le caratteristiche del servizio in tutta la provincia, perché oggi questo non avviene e molti paesi devono fare i conti con standard non accettabili ». Una tesi ribadita anche dal primo cittadino di Samatzai, Alberto Pilloni: «Negli ultimi anni abbiamo subito una marea di disagi, e riteniamo che ora sia giunto il momento di dire basta. Questa può essere un’occasione importante, ma solo se si continua sulla via della concertazione anche grazie alla mediazione della Provincia ». Pablo Sole _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 mag. ’06 ASL 8: «COSÌ RIFONDIAMO L’ASSISTENZA SANITARIA» Stop ai troppi ricoveri, più cure territoriali, soldi per dipendenti e tecnologie di Alessandra Sallemi CAGLIARI La Asl 8 presenterà il piano strategico aziendale il 17 maggio. Nel frattempo la direzione generale incontrerà infermieri, medici, sindaci, personale amministrativo. Il piano, infatti, non viene presentato come una scatola chiusa che contiene gli impegni del direttore generale per i prossimi tre anni, ma un documento di 300 pagine (con allegati per altre 800) dove si indicano priorità, strategie, investimenti e scopo ultimo di qualunque attività dell’Asl, tutto «suscettibile di miglioramenti ». «Nei prossimi 60, 90 giorni consulteremo migliaia di persone fra dipendenti, operatori, istituzioni, enti», assicurava ieri il direttore generale Gino Gumirato in risposta alle polemiche cominciate già prima dell’esordio in buona parte sulla «condivisione insufficiente». «Avevamo la responsabilità di studiare la situazione e trovare soluzioni», spiegava Gumirato. Il manager ha continuato a rispondere ai polemisti: non è vero che in un anno non s’è fatto nulla, «è però abbastanza possibile che il cittadino non se sia accorto», da qui a pochi mesi la situazione cambierà. Gumirato ha speso qualche minuto della conferenza stampa per dare il quadro della situazione. Nella Asl 8 non esisteva certezza neppure sul numero di macchine utilizzate tra le 140 sedi di servizi al pubblico e gli 8 ospedali. Si pensava che ci fossero 8 mila macchinari e invece ne sono risultate 12 mila. L’età media (dei macchinari) è sopra i 10 anni «ecco perché — diceva Gumirato — si è deciso di investire in biotecnologie, di rifare il project fi- nancing per Oncologico e Microcitemico ». La gestione e la manutenzione degli immobili è stata «quasi nulla», le barriere architettoniche risultano molto diffuse, gli affitti pagati in molti casi sono «incomprensibili ». Il tasso di ospedalizzazione della Asl 8 è eccessivo: 285 ricoveri l’anno ogni mille abitanti, contro i 180 fissati dalla legge nazionale e i 175 stabiliti nel piano sanitario regionale per Cagliari. «Ridurre questo tasso — diceva Gumirato — è una battaglia di civiltà perché per dare risposte ai pazienti non è sufficiente ricoverare e basta, bisogna dare quel che serve al momento in cui serve ed è per raggiungere questo obbiettivo che non dobbiamo mandar via dipendenti e chiudere servizi. Il concetto di razionalizzare i posti letto è stato frainteso: qui, infatti, non c’è alcuna necessità di tagliare». Quel che serve secondo Gumirato è «una ridefinizione della missione di ciascun ospedale, e questo è uno dei 25 punti del piano aziendale». Uno degli obbiettivi del piano è «aumentare il numero di operatori sanitari dedicati all’assistenza, 300 in più, ma, attraverso l’atto aziendale si sta individuando un’organizzazione fatta sui dipartimenti alcuni dei quali saranno interaziendali, con Brotzu e Policlinico». A proposito di Policlinico, Gumirato ha annunciato che attraverso un protocollo concordato, prima del gennaio 2007, data di nascita dell’azienda mista, saranno avviati i trasferimenti dalla 8 all’ospedale universitario di Monserrato. Ancora sull’anno appena trascorso nella nuova gestione: non è vero che la Asl 8 è riuscita a contenere i costi perché «ha ricevuto enormi fi- nanziamenti in più». Al contrario: tra 2001 e 2005 i costi sono aumentati del 5 per cento ma senza che fra questi si contassero le somme necessarie per applicare il contratto di lavoro dei dipendenti, «li inserivano nelle sopravvenienze passive... ». I tempi medi di una gara d’appalto erano di 25 mesi, in un anno la nuova gestione ha portato 3 nuove Tac e una risonanza magnetica ad alta risoluzione. La gestione dei farmaci ha attraversato una fase sperimentale al Santissima Trinità: per sei mesi i farmaci destinati ai pazienti ricoverati sono stati preparati dai farmacisti nella dose unica giornaliera. La sperimentazione è stata un successo: i farmacisti hanno smesso di fare i magazzinieri, i margini di errore nella preparazione sono diminuiti, con questi i costi. In un anno tutto Is Mirrionis sarà in grado di funzionare con la dose unica, in tre anni il resto degli ospedali. Per il personale la proposta fatta dalla Asl è, tra le altre, di raddoppiare le indennità di turno. Questione fondamentale anche per raggiungere l’obbiettivo dell’ «appropriatezza delle prestazioni » (utile a contenere i costi e portare l’assistenza dove serve al paziente) è la promozione dei distretti. I distretti non sono figli della Asl, ma dell’integrazione tra Asl ed enti, l’intenzione è di concentrare l’assistenza in 23 poli e di accordarsi con medici e pediatri di base perché eroghino le stesse prestazioni distribuite in 143 sedi aperte poche ore al giorno o poche ore al mese. Motore dell’innovazione delle prestazioni sarà un nuovo «luogo»: il punto unico di accesso, dedicato ad alcune categorie di pazienti. Il piano triennale dell’azienda presentato dal manager Gumirato Una serie d’incontri per discutere con tutti il programma Una riorganizzazione attesa CAGLIARI. La riorganizzazione più appariscente sarà quella ospedaliera. Ci sarà una nuova struttura (ci vuole lo studio di fattibilità) che sommerà il Marino e il Santissima Trinità considerati un peso economico per logistica e manutenzioni e causa di disorganizzazioni permanenti per via della loro forma edilizia (il primo era un albergo, il secondo un agglomerato di casermette). In questo anno gli ospedali sono stati curati sotto l’aspetto pulizia. Ieri il direttore generale non ha avuto diffi- coltà a dire che il San Giovanni era «sudicio». Ma è altro ciò di cui si parla: cambierà la missione sanitaria di alcuni ospedali, uno fra tutti il Binaghi. A novembre la Asl 8 ha ricevuto nuovi comuni e nuovi pazienti, in questi giorni il manager discuterà coi sindaci come accorpare i comuni nei distretti. Al momento è possibile che Teulada e Siliqua stiano con Cagliari, Isili e Senorbì potranno fare distretto unico o restare separati. I dipendenti della 8 con i nuovi comuni sono diventati 6.500. __________________________________________________________ Avvenire 9 mag. ’06 TALASSEMIA SI SPERA NELLE STAMINALI DA RONIA Una speranza per i tanti malati di talassemia che non ricorrere al trapianto di midollo. Cellule siaminali prelevate dal paziente, "corrette" in laboratorio e reintrodotte nel midollo spinale del malato sarebbero in grado di ripristinare la corretta produzione di globuli rossi, che nei talassemici è insufficiente e li costringe a continue trasfusioni e pesanti cure. La terapia genica abbinata all'autotrapianto, sperimentata con successo prima sui topi e poi in laboratorio sulle staminali di dieci pazienti siciliani sarà tra breve sperimentata su malati americani e italiani. La scoperta, frutto di una collaborazione tra Italia e Stati Uniti, è stata pubblicata su NatureBiotechno1ogye presentata nella Giornata mondiale per la lotta alla talassemia. Autori della ricerca sono la Divisione di ematologia dell'Ospedale Cervello di Palermo, diretta dal professor Aurelio Maggio, e l'equipe del professor Michel Sadelain del Dipartimento di genetica umana del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di NewYork. Il protocollo per l'avvio del primo trial di sperimentazione clinica sull'uomo è in via di approvazione. Se tutto funzionerà, sarà la cura definitiva. Il metodo si basa sulla modificazione genetica delle cellule staminali adulte emopoietiche, cioè di quelle cellule del midollo osseo che producono L’emoglobina per colpa di un gene difettoso, nei pazienti affetti da anemia mediterranea, esse non riescono a produrre globuli rossi normali o in quantità sufficiente per trasportare ossigeno ai tessuti. Sostituito il gene difettoso con quelli "terapeutici, si autotrapiantano le staminali, senza rischi di rigetto e pesanti terapie immunosoppressive. Per "trasportare" i due geni è stato messo a punto un virus-vettore, il G9, derivato da quello dell Hiv, che agisce come un "cavallo di Troia, entrando nelle cellule ammalate e trasportando le due sequenze di Dna progettate ad hoc. La prima è la sequenza del gene per l'emoglobina fetale gamma: nei pazienti falcemici - una varietà di talassemia - riattivando una produzione del 20% riduce frequenza e gravità delle crisi. La seconda sequenza produce molecole di " Rna interferenti", che vanno a intralciare la produzione dell'emoglobina anormale, la beta S.Temoglobina fetale non è assolutamente prelevata da embrioni - ci spiega il professor Gemma - ma può essere costruita in laboratorio. Si chiama fetale perché è contenuta nel feto, ma i feti non c'entrano nulla. Qui non c'è alcuna manipolazione di staminali embrionali». Anzi: «Se la terapia genica curasse i genitori talassemici, questi potrebbero procreare senza timore di trasmettere la malattia ai figli (1 su 4, ndr) e quindi senza dover prendere in considerazione l'aborto, come oggi succede, in caso di feti talassemici». Italia Paese ad alto rischio Sono circa 7.600 gli italiani affetti da talassemia, mentre oltre 4 milioni e 300 mila i portatori sani, che rischiano cioé di trasmettere la malattia ai figli. Secondo la fondazione L.Giambrone" l'Italia è uno dei Paesi dove la malattia e più diffusa. Le aree più colpite sono delta dei Po, Sicilia e Sardegna. La stima però non tiene conto dei malati e dei portatori sani extracomunitari. Nell’area del Mediterraneo e in Africa infatti la malattia è molto diffusa. Nel mondo i portatori sani sono oltre 300 milioni dì cui 93 bambini. l malati nel mondo sono circa 3 milioni, 50 mila i nuovi casi l'anno. Solo in Africa ogni anno nascono 120 mila bambini anemici. in America i 50 mila pazienti sono soprattutto tra gli afroamericani: 9%. Sta per partire il primo trial sull'uomo: viene inserito in laboratorio il gene mancante alle cellule che formano il sangue, prelevate al paziente stesso _________________________________________ IL SECOLO XIX 12-05-2006 ARRIVA SAM, PAZIENTE VIRTUALE E AIUTA I MEDICI A CURARE L'INFARTO Sam non è solo un nome che definisce un personaggio cinematografico. Questa sigla indica infatti un Simulatore Artificiale Medico capace di riprodurre le emergenze cardio e cerebro vascolari, come un infarto o in ictus, al punto di diventare uno strumento utilissimo per aiutare i medici a migliorare il proprio atteggiamento quando si trovano di fronte a un paziente colpito da infarto o da ictus. Sam, nell'accezione di questa sorta di "umanoide" che riproduce perfettamente la struttura dell'individuo adulto, è al centro di un programma di formazione che coinvolgerà migliaia di medici in tutta italia e che in Liguria prevede due appuntamenti nel ponente della regione. Sam sarà infatti a disposizione dei medici di medicina generale nell'ambito di corsi teorico- pratici, in programma tra il 15 e il 17 maggio nella sede dell’Asl 2 Savonese (via Collodi, 13 Savona~ e tra il 18 e il 20 maggio per l'estremo ponente regionale (sede dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri via Cascione, Imperia). Sam è l'artefice del progetto di formazione Lifecase, nato dalla collaborazione tra Dies Group e Pfizer e patrocinato dal ministero della Salute. II simulatore è dotato di un corpo robotico che riproduce nei , minimi dettagli anatomia e morfologia umane, e ha al suo interno un software in grado di rappresentare le situazioni cliniche di migliaia di pazienti, con diversi fattori di rischio e complicazioni possibili al trattamento. Sam rappresenta per i! medico di medicina generale la perfetta evoluzione di Realbility, che ha aiutato i giovani cardiologi a impratichirsi di angiografie e angioplastiche, trattamenti che mirano ad aprire le coronarie chiuse con un palloncino. I medici, come i piloti dì aereo che si addestrano con un simulatore di volo, si abituano a riconoscere e curare al meglio i problemi delle arterie con un paziente virtuale. _________________________________________________________________ Le Scienze 8 mag. ’06 UN DNA CHE NON VA PERDUTO Il "bioportfolio" costituisce una sorta di database delle infezioni degli individui e delle popolazioni I ricercatori della Università di Helsinki, in Finlandia, e della Universitätsklinikum di Bonn hanno coniato il termine “bioportfolio” per descrivere il materiale genomico virale che rimane nel corpo umano dopo l’infezione. Il gruppo guidato da Klaus Hedman ha infatti dimostrato, utilizzando un eritrovirus, che tale materiale mantiene una notevole informazione genetica sulla filogenia virale e sulla epidemiologia molecolare dell’infezione. Il risultato, sebbene riguardi un ambito di interesse assai specifico come quello degli eritrovirus, è basato su idee che riguardano eventi biologici fondamentali che avvengono durante e dopo l’infezione. È stato studiato un gran numero di campioni di tessuto e di sangue umani di pazienti che negli ultimi decenni possono essere entrati in contatto con eritrovirus già noti da tempo o scoperti in tempi recenti. Grazie alla ricerca, è stata così scoperto come il genoma di eritrovirus sia ubiquitario e persistente nel tessuto umano, e rappresenti perciò una nuova e preziosa fonte d’informazione epidemiologica sul nostro passato. In particolare, Hedman e colleghi hanno osservato come in Europa centrale e settentrionale il tipo 2 dell’eritrovirus, appena scoperto, sia in realtà più antico del prototipo del virus, mentre quello di tipo 3, anch’esso scoperto di recente, non ha conosciuto una diffusione consistente nella zona negli ultimi 70 anni. In definitiva, a livello individuale il bioportfolio costituisce una nuova forma di “registro medico” delle infezioni incontrate durante la vita di una persona. A livello globale, invece, fornisce un database per l’analisi della circolazione delle specie virali e delle loro varianti. _________________________________________________________________ Le Scienze 8 mag. ’06 TROVATO IL GENE CHE PROVOCA LA SINDROME DI JOUBERT La mutazione interessa un gene della stessa famiglia di quelli che inducono la nefronoftisi Dopo 15 anni di ricerche dedicate a individuare le mutazioni genetiche che conducono alla nefronoftisi – una rara malattia congenita che provoca la formazione di cisti nei reni, conducendo infine al blocco renale – Friedhelm Hildebrandt, dell’Università del Michigan è riuscito a identificare un nuovo gene (appartenente alla stessa famiglia che è all’origine della nefronoftisi) la cui mutazione è all’origine della sindrome di Joubert. La notizia è data in un articolo pubbliacto on line sull’ultimo numero di Nature Genetics. I bambini che nascono affetti da questa rara patologia soffrono di grave ritardo mentale, retinite pigmentosa (che provoca cecità), atassia, difficoltà di equilibrio e, in periodo neonatale, di attacchi ai tachipnea e apnea. Il gene si chiama NPHP6. “Il nostro studio su pazienti affetti da sindrome di Joubert – ha detto Hildebrandt – mostra la presenza di una forma mutata di nefrocistina-6, la proteina codificata da NPHP6, nelle cilia cellulari dei neuroni cerebrali.” Inoltre, nefrocistina-6 interagisce direttamente con il fattore di ATF4/CREB2, che regola l’attivazione e la disattivazione di altri geni. _________________________________________________________________ Le Repubblica 12 mag. ’06 IL GENE-CLOCK CI REGOLA LA VITA Una ricerca francese elenca le funzioni del sistema circadiano del nostro cervello Firma la scoperta lo studioso italiano Paolo Sassone-Corsi ecco tutti i ritmi dell'uomo di ELENA DUSI ROMA - Sonno e veglia, fame e sazietà, ma non solo. Le funzioni vitali che variano secondo il ritmo del giorno e della notte sono molte di più: pressione sanguigna, numero di battiti del cuore, temperatura del corpo, attività del sistema immunitario. Perfino i polmoni - hanno calcolato i medici del Long Island Jewish Medical Center - riescono a espandersi meglio tra le 4 e le 5 del pomeriggio. "L'orologio del corpo umano ha molti più compiti di quanto non credessimo in passato", spiega Paolo Sassone-Corsi, italiano, professore all'Università della California di Irvine. Con la sua équipe del Centre national de la recherche scientifique di Strasburgo ha scoperto come l'orologio vero e proprio, che batte il ritmo nell'ipotalamo all'interno del cervello, trasmetta gli ordini alle cellule sparse nei tessuti del corpo. La sua ricerca è stata pubblicata sull'ultimo numero della rivista Cell. Il percorso circadiano (circa dies vuol dire "all'incirca un giorno") parte dalla retina, che percepisce la presenza o l'assenza della luce, passa per l'ipotalamo nel cervello per finire alle cellule dei singoli organi. A trasmettere le sensazioni di fame e di sonno è una serie di ormoni messaggeri. Ma a dirigerli è chiamato un gene non a caso soprannominato Clock. "Quello che abbiamo capito oggi - spiega Sassone-Corsi - è come Clock svolga il suo lavoro. Riesce a produrre una proteina che agisce all'interno d'ogni cellula, accendendo i geni relativi alle singole funzioni. Da qui nascono le sensazioni di fame, di sonno, la variazione della temperatura corporea e così via". È un po' come se Clock conoscesse a memoria la tastiera del Dna e pigiasse sui tasti giusti per ottenere l'effetto desiderato a ogni ora del giorno e della notte. "Quello che non immaginavamo - prosegue il ricercatore italiano - è che oltre un gene su 10 subisse una regolazione da parte dell'orologio circadiano. Di fronte a un processo così importante per il nostro corpo doveva esserci necessariamente un meccanismo di regolazione generale. A gestirlo ci pensa Clock, appunto". Capire come Clock attivi e disattivi i geni secondo l'ora del giorno potrà servire a combattere il jet lag o i disordini del sonno. Ma intanto spiega e conferma un fenomeno che era stato registrato a livello empirico: alcuni farmaci fanno bene se assunti a certe ore, mentre sono inefficaci o addirittura dannosi se presi al momento sbagliato. "Lo hanno osservato molto bene gli oncologi - conferma Sassone-Corsi - praticando la chemioterapia ai loro pazienti. L'orologio circadiano regola infatti il ciclo della vita cellulare: la normale divisione delle cellule nei tessuti sani, o la loro proliferazione incontrollata nei tessuti cancerosi. A seconda dell'ora in cui veniva praticata la terapia, ci si accorse che i benefici erano maggiori o minori. Ora abbiamo capito perché questo avviene, e abbiamo i mezzi per elaborare una tabella di somministrazione dei farmaci". _________________________________________________________________ Le Repubblica 11 mag. ’06 EPATITI VIRALI, UN NEMICO ANCORA DA BATTERE Dal convegno europeo di Vienna l'invito a rafforzare la prevenzione e la diagnosi precoce di Mariapaola Salmi VIENNA Giunta alla suo quarantunesimo congresso annuale, la Società europea per lo studio del fegato (EASL) diventa finalmente competitiva con gli Stati Uniti e apre le porte all'Asia e all'America del Sud. Al convegno si è parlato di diagnosi precoce per il tumore del fegato che è la quinta neoplasia più frequente nel mondo e in Italia fa registrare ogni anno 7 mila nuovi casi; di terapie immunosoppressive per migliorare la sopravvivenza dei trapiantati; di innovative terapie per l'ascite e persino del rischio, mai eliminato, d'infezioni virali epatiche in ospedale e, infine, di steatosi o fegato "grasso"; molto avanzati gli studi per la messa a punto di un esame non invasivo (basterà un prelievo di sangue) - in arrivo tra un paio d'anni - che attraverso l'analisi di certe proteine fabbricate dai geni che regolano il tournover dei tessuti epatici e per questo esse stesse correlate alla sintesi di collagene e tessuto cicatriziale, servirà ad individuare il grado della malattia epatica, la prognosi e a monitorare l'efficacia delle cure. Tuttavia a farla da padrone ai lavori congressuali sono state le epatiti B e C, mai eradicate. La prima, nonostante il vaccino, è una vera pandemia: nel mondo sono quasi due miliardi le persone infettate dal virus HBV, 400 milioni hanno un epatite B cronica e di questi il 25-30% è destinato a sviluppare una cirrosi e un epatocarcinoma. Il 75% dei portatori è in Asia e Africa. Non va meglio per l'epatite C. E' infetto il 3% della popolazione mondiale e il virus HCV muta molto più velocemente dell'HBV. La corsa è al miglioramento degli antivirali e a perfezionare i trattamenti cronici. "I farmaci antipolimerasi della famiglia degli analoghi nucleosidici e nucleotidici, oggi disponibili, sono efficaci ma creano resistenza", afferma Alfredo Alberti, docente di medicina interna e gastroenterologia all'Università di Padova, "così per abbattere il virus dell'epatite B soprattutto nei malati "e" negativi nei quali il virus è mutato, si è meglio adattato all'ospite ed è diventato più aggressivo, bisogna ricorrere a farmaci sempre più potenti e a combinazioni farmacologiche somministrate per lunghi periodi". Due nuove molecole sono attese per il prossimo anno. La prima è Entecavir, in commercio negli Stati Uniti, per il quale Bristol-Myers Squibb ha annunciato all'EASL i risultati degli ultimi trial clinici che evidenziano la sua efficacia nel mantenere alta la soppressione della replicazione virale. "Il farmaco", sottolinea Antonio Craxì, gastroenterologo all'Università di Palermo, "registrato dall'Emea e previsto in Italia entro il primo trimestre 2007, troverà indicazione per i pazienti con resistenza alla lamivudina, all'adefovir e con intolleranza all'interferone, frequente nei trapiantati". Sempre per il 2007 è attesa Telbivudina per la quale Novartis ha investito con uno dei più grossi studi randomizzati "GLOBE" che ha incluso pazienti di quattro continenti, in particolare asiatici ed europei. Buona la risposta virale, ben tollerato e buona l'aderenza. Il farmaco attende la registrazione della Fda statunitense e dell'Emea. Su fronte epatite C sono in sperimentazione clinica 6 molecole, tutte in fase III, destinate all'uso combinato con interferone e/o ribavirina. A proposito di interferone il suo ruolo cambia. Diventa terapia da usare in sinergia con altri farmaci e l'Unione europea approva il regime terapeutico "corto" proposto da Schering-Plough basato su peginterferone alfa-2b associato a ribavirina nei pazienti con epatite C cronica e genotipo 1 a bassa carica virale. Oltre a individuare nuove generazioni di antivirali, i ricercatori lavorano a soluzioni diverse. La più interessante riguarda la possibilità di incrementare la risposta immunitaria dell'organismo. Sono in sperimentazione clinica di fase II e III un gruppo di molecole, gli agonisti dei "toolreceptors" che agendo su specifici recettori stimolano la cellula ospite a produrre interferone, citochine e altre sostanze ad azione antivirale. A breve forse saremo in grado di "armare" il nostro sistema di difesa a fare barriera ai virus B e C. Virus B Nel mondo ci sono 400 milioni di persone infettate dal virus HBV. Di questi il 25 per cento circa è destinato e sviluppare una cirrosi epatica I più colpiti gli over 50 I numeri Il vaccino per l'epatite B è disponibile in oltre 150 paesi, eppure la copertura vaccinale è carente persino in paesi come l'Italia ( Nord 92%, Centro 85-86%, Sud 72-73%) che dal 1991 vaccina i nuovi nati e gli adulti a rischio. "Crediamo sia scomparsa", ribadisce Antonio Craxì, gastroenterologo all'Università di Palermo, "ma l'epatite B c'è e i più colpiti sono gli ultracinquantenni". Vero è invece che l'andamento dell'infezione è assai fluido. La prevalenza è ben nota: 2-7% nel bacino del Mediterraneo dove la guardia è stata abbassata e nell'Europa dell'Est, attorno al 2% nelle Americhe e in Australia, superiore all'8% nel Sud- Est asiatico, Medio Oriente e Brasile. In Cina si registra la maggiore incidenza di epatite B ed epatocarcinoma al mondo. La difesa è la vaccinazione col vaccino. Chi è a rischio faccia il test per scoprire la presenza del virus nel sangue. Virus C Si stima che il 3 per cento della popolazione mondiale abbia il virus HCV. Difficile fare il vaccino perché il virus muta molto rapidamente _________________________________________________________________ Le Repubblica 11 mag. ’06 MEDICI E MALATI DI DIABETE: È BRACCIO DI FERRO Anche in Italia si avvia lo studio Dawn sui pazienti, già concluso in altri 13 Paesi. Alcune sorprese di Anna Rita Cillis Speranze, paure, desideri e necessità delle persone affette da diabete. Un viaggio nel mondo dei malati che Dawn Italia, sezione nazionale dell'omonima organizzazione internazionale sostenuta da Novo Nordisk, creata per migliorare il rapporto medici-pazienti e quindi la cura, intraprenderà proprio in questi giorni. Coinvolte cinquecento persone affette da diabete (sia di tipo I che di tipo II) centocinquanta medici specialisti e cento infermieri di Milano, Venezia, Roma e Napoli, oltre a rappresentanti delle direzioni sanitarie di almeno dieci regioni e poi familiari dei diabetici. Un progetto, questo italiano, nato sulla scia dei risultati ottenuti da Dawn in tredici paesi del mondo (Australia, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, India, Inghilterra, Norvegia, Olanda, Polonia, Scandinavia, Spagna e Stati Uniti). Il lavoro, il primo nel suo genere, ha evidenziare numerosi aspetti della malattia, di come i pazienti la vivano e del loro rapporto con il medico curante. Dai primi risultati è emerso che, nonostante le numerose ed efficaci terapie a disposizione, il 42% degli intervistati non riesce ad avere un rapporto positivo con la propria malattia. Inoltre, quasi metà dei malati si dimostra poco incline a seguire le raccomandazioni del proprio medico ed è quasi reticente nell'affrontare un efficace percorso terapeutico. Dati non dissimili da quelli presentati, nei giorni scorsi, a Firenze durante la presentazione di Dawn Italia al congresso "Therapeutic Patient Education 2006" (educare il paziente alla terapia, ndr) organizzato sotto l'egida dell'Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), della Internartional Diabetes Federation e dalla Società italian di diabetologia e di Diabete Italia. Dati, quelli raccolti in Italia nel 2003 da Aware che hanno evidenziato come, secondo il 48,4% dei medici curanti italiani intervistati, la grande difficoltà del diabetico è spesso quella di prendere atto della malattia, accettare, quindi, i cambiamenti, nella vita quotidiana che la patologia inevitabilmente comporta. In più il timore maggiore dei pazienti (per il 52,9%, per l'esattezza) è quello di una progressiva perdita della vista, a differenza di quanto fanno i medici curanti che pongono, invece, l'accento su altre complicanze tipiche della malattia come le cardiovascolari (più del 20% dei diabetici dopo i 50 anni ha problemi di questo tipo; percentuale che sale a 40 dopo i 70 anni). E ancora, quattro pazienti su dieci giudicano eccessive le richieste del medico di un monitoraggio continuo ritenuto, invece, essenziale. Ultimo ma non meno importante il dato secondo cui un diabetico su due vive male la propria condizione e ha un rapporto "conflittuale" con il proprio medico curante e con le strutture sanitarie alle quali si rivolge. Così, sulla base di tutti questi dati - provenienti da più fronti - l'Italia si appresta ad accogliere l'indagine Dawn che ha come scopo quello di migliorare le condizioni di vita di tutti i diabetici. _________________________________________________________________ Le Repubblica 11 mag. ’06 VIAGGIO NEL MUSEO SARDO DEI GENI Un laboratorio didattico da dove si torna a casa con il proprio Dna in provetta di Carla Etzo Un laboratorio dove si può estrarre il proprio Dna e portarlo a casa in una provetta. È possibile a Lunamatrona, centro in provincia di Cagliari dove ha sede uno dei sette Musei del territorio gestiti dal consorzio "Sa Corona Arrubia". Guida il progetto il professor Mario Pirastu, direttore dell'Istituto di genetica molecolare del Cnr di Alghero. "Si tratta di un'iniziativa il cui scopo è principalmente divulgativo", spiega Pirastu, "L'idea è quella di coinvolgere le scolaresche in alcuni laboratori didattici per far capire in maniera interattiva i progressi degli studi sul genoma umano. A questo si aggiunge lo studio del Dna estratto dai reperti dentali di popoli nuragici, vissuti circa quattromila anni fa". Ma l'iniziativa potrà rivelarsi utile anche per la ricerca scientifica: per esempio dal confronto della mappa genetica degli antichi con quella delle popolazioni viventi sarà possibile capire come dei geni che un tempo erano utili alla sopravvivenza siano diventati pericolosi. "In Sardegna sono molto diffuse malattie come la talessemia e il diabete", conclude il professor Pirastu, "un confronto con il Dna degli antichi può aiutare a capire il tipo di selezione che si è verificato e come queste malattie si sono trasmesse da una generazione all'altra, ma anche come l'ambiente possa avere interagito con il profilo genetico degli abitanti dell'isola". Attualmente nel museo è in corso la mostra interattiva "La doppia elica del Dna cinquant'anni dopo" (fino al 30 giugno). Un viaggio che ripercorre i momenti più significativi che hanno condotto alla scoperta, promosso dalla Fondazione Adriano Buzzati Traverso, Università di Padova, Società Gris Padova. Per informazioni sul museo: 070/ 9341009. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 mag. ’06 GB: L'ONDATA DEGLI «EFFETTI COLLATERALI» Ogni anno in Gran Bretagna 5 mila persone ne muoiono La British Medical Association esorta i medici a vigilare con maggiore attenzione sugli «eventi indesiderati» dei farmaci STRUMENTI REGNO UNITO - Ciò che si sa di un farmaco prima della sua commercializzazione dipende dalle risultanze emerse durante le sue sperimentazioni in laboratorio, su cavie e su 2 o 3 mila volontari. Dopodiché, una volta che il medicinale è arrivato nelle farmacie e negli ospedali, sicurezza ed efficacia sono testati direttamente sui pazienti cui viene prescritto. È a questo punto – ovvero quando un campione sufficientemente ampio di persone ha assunto il farmaco, ed è perciò possibile stabilire corrispondenze più precise tra sintomo e sostanza – che molti effetti avversi si manifestano e vengono rilevati, e quindi comunicati all'autorità di farmacovigilanza, che valuta rischi e benefici e fornisce le informazioni ai consumatori al fine di rendere l'uso dei medicinali più sicuro. INVITO AL CONTROLLO – Proprio al fine di tutelare la salute dei cittadini britannici, giovedì scorso la British Medical Association ha esortato i medici del Paese a vigilare più attentamente sull'utilizzo dei farmaci, invitandoli a riferire prontamente alla Medicines and Healthcare products Regulatory Authority ogni reazione avversa, anche (e soprattutto) se vi è il solo sospetto che sia collegabile alle medicine prescritte ai pazienti. La richiesta della BMA, nonché la sua preoccupazione per la popolazione assistita dal sistema sanitario nazionale, trovano giustificazione nei numeri. Si stima infatti che solo il 10 per cento degli effetti collaterali dei medicinali sia comunicato all'Autorità per il controllo dei farmaci inglese, addetta al coordinamento della cosiddetta «Yellow Card», ossia il sistema che raccoglie le segnalazioni spontanee delle reazioni avverse inviate da medici, farmacisti, dentisti e – dall'inizio dell'anno, in forma sperimentale –- anche dai pazienti stessi. Sono ancora i numeri a darci la misura di come questa scarsa collaborazione da parte degli operatori sanitari possa rivelarsi pericolosa: è sempre la Bma a riferire che circa 5 mila persone muoiono ogni anno nel Regno Unito a causa degli effetti collaterali dei farmaci, e che altre 250 mila vengono ricoverate per lo stesso motivo, e in parte anche a causa di tale inefficienza nella comunicazione. Senza contare inoltre che l'ospedalizzazione dei pazienti ricoverati proprio a causa degli effetti indesiderati costa al servizio sanitario nazionale britannico l'equivalente di circa 700 milioni di euro all'anno. LA SITUAZIONE ITALIANA – Nel nostro Paese le cose non stanno tanto diversamente: è il Dottor Mauro Venegoni, direttore dell'Ufficio farmacovigilanza dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a riferire che «quello della sottosegnalazione è un problema comune a tutti i Paesi europei, Italia compresa. Per una reazione avversa notificata da un medico ce ne sono altre 10 che non vengono segnalate. E sottostimare l'effettiva incidenza delle segnalazioni rappresenta un problema per l'intero sistema sanitario e un rischio per la popolazione». Ma non è per cattiva volontà che gli operatori sanitari faticano a collaborare con la farmacovigilanza: la difficoltà a reperire le schede adibite alle segnalazioni e – soprattutto – il sovraccarico di lavoro a cui i medici devono far fronte sono infatti tra le cause principali di questa inefficienza. Tuttavia, come spiega il Dottor Venegoni, proprio in Italia «è stato fatto un passo in avanti da quando è stata messa a punto una rete informatizzata, attiva su tutto il territorio nazionale dal 2001, che permette di inviare le segnalazioni direttamente all'Ufficio di farmacovigilanza da parte dei responsabili locali (per esempio responsabili Asl), alimentando praticamente in tempo reale, e con sicurezza, il database». ASSENZA DI CERTEZZE – Comunque sia – specifica la Bma e conferma Venegoni – anche in un sistema che funziona alla perfezione, non ci potrà mai essere una garanzia che un farmaco non segnalato come dannoso sia assolutamente innocuo per chiunque lo assuma, perché una medicina che ha un effetto benefico su un soggetto può rivelarsi invece nocivo su un altro che presenta condizioni cliniche e fisiche differenti. Alessandra Carboni 12 maggio 2006