UNIVERSITÀ, MISTRETTA RIELETTO PER LA SESTA VOLTA - MELIS: SPERIAMO TENGA CONTO DEI MIEI VOTI - QUASI UN TRIONFO: L'INGEGNERE CONQUISTA IL 53% - COME MIGLIORARE LE UNIVERSITÀ E FAR RISPARMIARE L’ERARIO - UNIVERSITÀ VECCHIA E GIOVANI INGABBIATI - I POLI SCIENTIFICI CHE CI MANCANO - LA CRUI ELEGGE IL NUOVO VERTICE - SCUOLA E UNIVERSITÀ IMPEGNI PRIMARI - PER L'UNIVERSITÀ. TAGLIARE CON IL PASSATO - È IL CAPITALE UMANO LA RISORSA PIÙ PREZIOSA PER RILANCIARE L'ITALIA - L’ATENEO SULL’AUTOSTRADA ON LINE - PROFESSORI «ELETTRONICI»: ECCO IL «MODELLO MISTO» - CONFLITTO D'INTERESSI DI SORU NELL'UNIVERSITÀ ON LINE» - POCO RIGORE NEI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI DEI DIPENDENTI PUBBLICI - ======================================================= VARGIU: LA LINGUA DELLA DIRINDIN - DIRINDIN: IL DITO DI VARGIU - DIRINDIN: NEI DUE ATENEI TROPPI STUDENTI» - MEDICINA: FALCIATI I FONDI PER LE SPECIALIZZAZIONI - ATTACCO FRONTALE CONTRO LA ASL8 - GUMIRATO A CASA: HA OFFESO TUTTI I SARDI - GUMIRATO: CADO DALLE NUVOLE, HANNO FRAINTESO - GUMIRATO: IL PIANETA OSPEDALI CAMBIA FACCIA PARTE LA RIVOLUZIONE - ALS8: UN SISTEMA PIÙ AGILE E RAZIONALE MA DIMINUISCONO I POSTI LETTO - ASL8 MEDICI E POLITICI: «È SOLO UNA PROPOSTA SERVE CONDIVISIONE» - ASL8: COSÌ CAMBIERANNO GLI OSPEDALI» - E SE DECIDESSIMO DI ABOLIRE TUTTE LE ASL? - IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE SANITA', MASIA, ATTACCA GUMIRATO - PER GLI ERRORI IN CORSIA 14MILA MORTI - IL RISCHIO PROSTATA IN UN GENE - IL PARTO: UNA MALATTIA E I CESAREI TRIPLICANO - L’APPENDICITE SI FARÀ PER BOCCA - UN CONSULTO? MEGLIO EUROPEO - PROGETTO GENOMA, LETTO L'ULTIMO CROMOSOMA - OVAIO CONGELATO E REIMPIANTATO SPERANZA PER DONNE CON TUMORE - I DUE MARINAI CHE VINSERO LO SCORBUTO - SESSANT'ANNI FA I SARDI ALLA GUERRA DELLA MALARIA - TERAPIA DEL DOLORE UN PASSO INDIETRO - I FARMACI PERSONALIZZATI «LEGGONO» LE INTERAZIONI DI OGNI CELLULA - UN DANNO AL DNA? È P21 LA PRIMA PROTEINA A INTERVENIRE - UNA NUOVA MOLECOLA CONTRO IL GLIOMA - STUDI CLINICI: DIFFERENZE FRA PROFIT E NO PROFIT - TRAPIANTI DI FEGATO, STAMINALI COME CURA ANTIRIGETTO - APRIAMO UN MERCATO LEGALE DEGLI ORGANI - ======================================================= ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 mag. ’06 UNIVERSITÀ, MISTRETTA RIELETTO PER LA SESTA VOLTA Cagliari. La conferenza stampa in ospedale Pasquale Mistretta è per la sesta volta rettore dell'università di Cagliari. Ieri ha vinto il confronto elettorale con 677 voti (il 53,8 per cento). Giovanni Melis ha cercato di contrastarlo raccogliendo 432 voti (34 per cento). Per il terzo candidato, Giuseppe Santa Cruz, solo 29. Ricoverato al Santissima Trinità, il rettore non ha rinunciato alla rituale conferenza stampa. Paolo Paolini Pagina 19 - Cagliari e Provincia Il giorno di Pasquale VI il Magnifico Università. Il rettore è Mistretta per la sesta volta consecutiva. Ha appreso la notizia all'ospedale Santissima Trinità Per la sesta volta consecutiva Pasquale Mistretta è stato eletto rettore dell'università. «Contento del sostegno degli studenti». «Non sono il Pontefice. Le vendette? Una leggenda» «La differenza tra me e il Pontefice? Il primo è scelto dallo Spirito santo, anche se poi i voti li deve trovare in conclave, io devo racimolarli uno a uno come qualunque carica pubblica». Pasquale Mistretta è stato appena eletto rettore per la sesta volta. Nello studio del primario di Chirurgia del Santissima Trinità chiacchiera con i giornalisti, stringe mani di premurosi professori, ringrazia per gli auguri che arrivano via telefonino. Soltanto un cenno al suo status di paziente reduce da un intervento chirurgico. «Io da guinness dei primati? Per Cagliari senz'altro. Dal secolo scorso in poi, sicuramente. Sono contento di Napolitano alla presidenza della Repubblica, a lui vorrei guardare come modello comportamentale». In Italia ai giovani sono preclusi i posti di potere? «Uno strano Paese che ha bisogno di giovani, li valorizza, io sono attorniato da giovanissimi di trenta e quarant'anni, di assoluta qualità. Allo stesso tempo per alcune cariche l'Italia si fida più dei vecchi, forse perché la conoscenza della lunga vita di ognuno di noi consente di mettere a fuoco le magagne». È vero che punisce chi non la sostiene col taglio dei finanziamenti? «Una leggenda, anche perché ormai i soldi arrivano direttamente dallo Stato ai ricercatori, il loro lavoro è prezioso per l'università». Da domani non ci saranno vendette? «Chi non mi ha votato, non ha da temere nulla». Dentro l'università lei ha diritto di vita e di morte su centinaia di persone. La ripagano col servilismo? «Pressoché zero, omaggio sì, nel senso che molti hanno deferenza per il rettore, non per Pasquale Mistretta, mettono una certa attenzione nel presentare i problemi». Qualcosa di cui si è pentito? «Non avere anticipato la riforma della macchina amministrativa. Da settembre insieme al prorettore abbiamo dato una svolta in positivo». Tornando indietro si ricandiderebbe sindaco? «Me l'avevano chiesto i partiti del centrosinistra. Purtroppo non ho saputo interpretare i grandi problemi della città e quindi ho preso atto con intelligenza politica della sconfitta. Com'è noto ho dato un contributo senza un atteggiamento fazioso». Chi voterà alle Comunali? «Sono di centrosinistra, stimo Gian Mario Selis e devo ricordare l'attenzione che ha dimostrato nei miei confronti cinque anni fa. Non posso dimenticare neppure il lavoro svolto da Emilio Floris». La soddisfazione di questi quindici anni? «Il consenso degli studenti, che neanche questa volta è mancato, da tutte le componenti. Mi ha consentito di rinviare la vecchiezza, come dice Cicerone, ben sapendo che i vecchi valgono se sanno interpretare i problemi dei ragazzi». Le piace il nuovo ministro all'Università? «Non conosco Mussi personalmente, ma so che è una persona rigorosa, molto esperta politicamente. Presto mi congratulerò con lui, e spiegherò il lavoro che l'università di Cagliari fa nel Mezzogiorno e per lo sviluppo della Sardegna». Cederebbe il posto in rettore in cambio di? «Nulla. È l'unica carica importante che non vive di pressioni politiche, di contrattazione politica, di schieramento». Paolo Paolini MELIS: «SPERIAMO TENGA CONTO DEI MIEI VOTI» Le reazioni. Di Chiara: «Adesso le riforme e si affrontino i problemi, come l'azienda sanitaria mista» Gli auguri degli avversari che ora chiedono maggiore collaborazione «Ci congratuliamo con Pasquale Mistretta e gli mandiamo i migliori auguri di una pronta guarigione. L'Ateneo ha bisogno di un rettore in forma». Giovannino Melis, il docente di Economia, membro del consiglio d'amministrazione dell'Università, è stato l'avversario più ostico: alla fine è stato battuto con oltre 250 voti di distacco. l'avversario «Sono soddisfatto - commenta - perché è la prima volta che mi candido. Ringrazio gli elettori per la fiducia che mi hanno dato: mi auguro che Mistretta e i suoi pro rettori tengano conto di questi voti». Melis sapeva che la partita era di quelle ardue: «Era difficile perché si affrontava una persona che è stata al governo dell'Ateneo per quindici anni. In più c'è stata una campagna elettorale quantomeno insolita. Continuerò a lavorare nel Cda, nella direzione di un rinnovamento dell'Università. Ce n'è bisogno». Giuseppe Santa Cruz. L'altro sconfitto, Giuseppe Santa Cruz, riceve la notizia mentre è in pizzeria: «Sono molto contento per Pasquale, per motivi sentimentali. Spero che ci potrà essere una maggiore collaborazione, per la modernizzazione e la democratizzazione dell'Ateneo. E mi auguro che terrà conto dei miei ventinove voti e di quelli raccolti da Melis». Gavino Faa. Il preside di Medicina, Gavino Faa, ha festeggiato la vittoria accanto a Mistretta, all'ospedale di Is Mirrionis. «Sono molto contento - dice - perché non era scontato che potesse arrivare un successo alla prima tornata, anche alla luce dei problemi di salute. C'è stata una bella reazione da parte di tutto il mondo accademico, e sono particolarmente contento per il risultato che Mistretta ha ottenuto nella mia facoltà, dove gli avversari non sono rimasti certamente con le mani in mano. Adesso si continua a lavorare. Il progetto iniziato dal rettore, di una gestione collegiale dell'Università proseguirà, valorizzando tutte le forze presenti nell'Ateneo». Gaetano Di Chiara. Il preside di Farmacia, Gaetano Di Chiara, usa l'ironia: «Mi auguro che nei prossimi tre anni, visto che non potrà essere rieletto, possa agire senza essere necessariamente politically correct. Che si facciano dunque le riforme, e che si affrontino i problemi, come quello dell'azienda sanitaria mista, dei rapporti con la Regione e della riorganizzazione del personale non docente». GLI STUDENTI. Erano poco meno di duecento, e hanno fatto sentire il loro peso a favore di Mistretta, che nei suoi mandati ha sempre avuto un occhio di riguardo per gli studenti. «È stato un rettore sempre vicino agli universitari - commenta Giuseppe Frau, rappresentante nel Cda per il gruppo Università per gli studenti - e siamo convinti che anche per i prossimi tre anni sia la scelta migliore». Sulla stessa lunghezza d'onda Fabio Medas del gruppo Ichnusa, anche lui consigliere d'amministrazione: «In questi anni ha lavorato bene ed è sempre stato vicino agli studenti. Spero prenda in mano la questione dell'asse didattico al Policlinico». Matteo Vercelli QUASI UN TRIONFO: L'INGEGNERE CONQUISTA IL 53% Con 677 voti Pasquale Mistretta si conferma, per la sesta volta consecutiva, rettore dell'Università di Cagliari. Il 53,8 per cento dei vantanti (1.258 su 1.582 aventi diritto, il 79,5 per cento, come tre anni fa) ha scelto la continuità. Giovanni Melis ha cercato di contrastare lo strapotere di Mistretta, raccogliendo un buon consenso con 432 voti (34 per cento). Per il terzo candidato, Giuseppe Santa Cruz, le briciole, con 29 voti raccolti. Robusta la parte di schede bianche (90) e nulle (29). Mistretta ha potuto contare sulle sue roccaforti: Ingegneria (120 voti), Medicina e alcuni corsi di Scienze (tra ex Clinica Aresu e Palazzo delle Scienze 191 preferenze). Anche Sa Duchessa si è schierata a favore del rettore uscente (122 voti). Equilibrio a Monserrato (106 per Mistretta, 95 per Melis) e al Policlinico (64 a 43). Unica sconfitta, e si poteva immaginare, nel polo Economico giuridico, dove Melis giocava in casa: 77 voti per l'economista, 74 per l'ingegnere. Ampiamente superato il quorum richiesto per la validità delle elezioni (un terzo dei votanti, dunque 528), così come quello della maggioranza assoluta, 630. (m. v.) _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 mag. ’06 COME MIGLIORARE LE UNIVERSITÀ E FAR RISPARMIARE L’ERARIO Di LUIGI ZINGALES Appena nominato, . il ministro dell'Università Fabio Mussi ha dichiarato che il finanziamento degli atenei è in cima ai suoi obiettivi «perché oggi la spesa è troppo bassa». Ma vale la pena di trasferire più soldi all'istruzione universitaria italiana? L'Istat ci informa che a tre anni dalla laurea solo il 62% dei giovani ha un'occupazione. E con una retribuzione media di 27mila euro. contro i 41 mila euro di un loro collega americana; un divario che è superiore a quello tra i Pil pro-capite italiano é Usa. Delle due l'una: o in Italia ci sono troppi laureati o il meccanismo di produzione dei laureati (cioè il sistema universitario) non funziona. È difficile sostenere che in Italia ci siano troppi laureati. Mentre negli Stati Uniti il 25% della popolazione sopra i 15 anni ha un diploma di laurea, in Italia siamo al 5%, come la Siria, meno di Ecuador e Bolivia, la metà del Perù. Dal punto di vista dell'occupabilità, il problema non è il numero ma la qualità dei laureati. Dopo il crollo dell'Unione sovietica, i magazzini erano pieni di televisori invenduti. Forse che non c'era domanda? No. È che nessuno voleva quei televisori. L'esempio è particolarmente calzante. L'eccesso di produzione di merci indesiderate è tipico delle economie pianificate. Quando l'offerta viene decisa a livello centralizzato e non si tiene conto della reazione della domanda si finisce inevitabilmente per produrre beni che il mercato non vuole. Ciò è esattamente quello che è successa all'università italiana. Tranne eroici casi individuali, la domanda per il prodotto laureato non influenza l'offerta. È più utile per un laureato in legge studiare diritta romano 0 contabilità? Su questioni come questa la decisione non viene affidata al -mercato ma ai consigli di facoltà e al ministero, che stabiliscono quali sono i corsi obbligatori. E lo fanno non sulla base di una conoscenza della domanda per il prodotto "laureato in legge", ma seguendo là logica delle lotte di potere tra cattedratici di varie discipline. Più insegnamenti obbligatori significano più posti per piazzare i propri ricercatori e quindi supremazia dei relativi accademici sugli altri. A scienze politiche, per esempio, è obbligatoria statistica ma non matematica, perché gli statistici sono più potenti dei matematici e non perché l'una sia più importante dell'altra (come si fa a studiare la prima senza conoscere la seconda?). Va notato che la cultura statistica in Italia è mediocre. La reazione della domanda, si pub obiettare, agisce attraverso le scelte degli studenti. Se la laurea in giurisprudenza diventa obsoleta e non incontra i favori del mercato, i giovani migreranno a ingegneria, e viceversa- Purtroppo lo Stato indebolisce anche questo meccanismo in due modi. Primo, riconosce un valore: legale al titolo di studio, per quanto inutile esso sia. Per accedere a molti concorsi statali è necessaria una laurea, qualsiasi essa sia. Questo riduce la sensibilità del consumatore (lo studente) alla qualità del- prodotto. Secondo, lo Stato sussidia fortemente la domanda. Mentre uno studente costa mediamente all'erario l5mila euro all'anno. la tipica matricola paga meno di mille euro. Ciò sostiene artificialmente la domanda per un prodotto di scarsa qualità. In questa situazione aumentare le risorse destinate all'università equivale a sovvenzionare ulteriormente le fabbriche sovietiche di televisori difettosi: uno spreco totale. Per risolvere il problema è necessario attivare le leggi del mercato. Ed è più semplice di quello ché sembra. Per sensibilizzare i consumatori alla qualità del prodotto è necessario fargli pagare il costo reale del prodotto. Paradossalmente è un'iniziativa altamente progressista. Come ha chiaramente dimostrato Roberto Ferotti, l'università quasi gratuita è una redistribuzione dai poveri (che versano le imposte ma non vanno all’universîtà) ai ricchi (che ottengono in servizi universitari più di quello che sborsano). Se la sinistra ha veramente a cuore le classi meno agiate dovrebbe quindi farsi portabandiera di questo cambiamento. E per prevenire il _fatto che la maggiore retta universitaria sia un ostacolo per gli studenti capaci ma indigenti, basta trasformare l’attuale sussidio in prestito. Invece che pagare 15mila euro all'università per ogni iscritto, lo Stato può prestare la stessa somma allo studente per frequentare l'ateneo che preferisce. Sostenendo l'onere di tasca propria, diventerà molto più sensibile alla qualità. In aggiunta, questa riforma ha il vantaggio di ridurre la spesa statale, perché trasforma contributi a fondo perduto in crediti. Il secondo passo per aumentare la sensibilità del consumatore alla qualità è l'eliminazione della domanda artificiale del "pezzo di carta" abolendo il valore legale dei titolo di studio. Nessuno negli Stati Uniti si sognerebbe di pensare che una laurea ad Harvard sia equivalente a una alla Colgate University. Perché in Italia si impone quest'equivalenza per legge? La terza e ultima fase della riforma consiste nel garantire a ciascuna università totale autonomia- finanziaria e didattica. Solo quelle che offriranno un servizio superiore al casto saranno in grado di sostenersi con ì proventi delle rette. Le altre si adegueranno o chiuderanno, cori grandi benefici per la collettività, Questa semplice proposta risparmia soldi all'erario, ridistribuisce risorse dai ricchi ai poveri, riduce il rischio di disoccupazione intellettuale e aumenta la competitività del Paese. Ministro Mussi, è un'opportunità troppo ghiotta per lasciarsela scappare. LUIGI ZINGALES ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 mag. ’06 UNIVERSITÀ VECCHIA E GIOVANI INGABBIATI L’Università italiana è vecchia, molto vecchia. In Europa, nel mondo è l’Università con l’età media dei suoi docenti più alta. I “giovani” iniziano la loro carriera accademica intorno ai quarant’anni. La gerontocrazia è nel Paese, diffusa, e l’Università si adegua. Si dice e si continua a dire: “I vecchi sono una risorsa, di saggezza e di teoria, di grandi capacità di sintesi, dai frammenti”. Si può aggiungere: “I vecchi sono le origini, le radici”. E’ vero, ma è solamente una faccia della medaglia. I vecchi sono, per natura, anche conservazione e rigidità, consolidamento rapace del potere, quello del Gattopardo. Niente deve cambiare, perché tutto è stato compiuto. I vecchi riproducono se stessi. E’ il contrario della speranza, quella dei giovani per la costruzione di un loro mondo, diverso, cui vorrebbero appartenere, ma ne sono impediti. I giovani sono rinchiusi nelle chiudende di un possibile garantismo sociale e/o del privilegio, di un posto sicuro oltre la precarietà. Rimane la speranza della sopravvivenza, ma in un mondo di vecchi. I giovani inseguono una loro sicurezza esistenziale, del benessere, ma rinunciano anche a costruire un loro mondo con la vitalità delle loro energie giovanili. Per la costruzione è necessario mettere in campo il faticoso pragmatismo del proprio libero arbitrio, ma è fatica. Preferiscono assecondare il mondo dei vecchi da cui sperano di ricavarne un tornaconto, in un futuro più o meno prossimo. Usciamo dalle generalità esistenziali ed entriamo nella pratica del governo delle cose. Gli addetti ai lavori avranno già capito. Si è cercato di parlare di Università, a Cagliari, e delle prossime elezioni rettorali, di rapacità del potere e di condiscendenza. Paolo Pani Docente di Patologia generale ______________________________________________________________ Repubblica 15 mag. ’06 I POLI SCIENTIFICI CHE CI MANCANO RISALE all’inizio degli anni cinquanta la nascita del più importante parco scientifico e tecnologico del mondo, lo Stanford Research Park – promosso dall’omonima Università. Il parco, adiacente al campus universitario, si estende in una lunga valle in prossimità di San Francisco in California. Da allora la più celebre concentrazione di imprese e di centri di ricerca high tech – che venne ben presto soprannominata “Silicon Valley” - è stata “riprodotta” in quasi tutti i Paesi del mondo: dal Giappone alla Corea, alla Cina, ad Israele, all’Inghilterra, alla Finlandia, alla Spagna e alla Francia (per tutti il grande parco di Sophia Antipolis, sorto dal nulla alle spalle di Nizza). Il fenomeno, nell’arco degli ultimi quindici anni, è ormai caratterizzato da un andamento esponenziale: oggi si contano nel mondo oltre mille parchi tecnologici, con una crescente concentrazione nel Sud-Est asiatico, con rilevanti investimenti delle istituzioni pubbliche, mentre le singole iniziative (basti pensare al parco cinese di Shenzhen) stanno assumendo dimensioni sempre più vaste. Viene ormai detto che i parchi tecnologici costituiscono oggi un vero e proprio nuovo “settore industriale”. Non tutti i “trapianti” hanno però avuto successo: non pochi parchi sono rimasti di fatto solo sulla carta. Ma è il disegno di fondo del modello “Silicon Valley” a dimostrarsi “vincente”: mettere accanto, in “contiguità fisica”, facoltà universitarie tecnico-scientifiche, istituzioni di ricerca pubbliche e private, imprese ed investitori finanziari (capital venture), al fine di stimolare processi virtuosi di sviluppo tecnologico ed industriale. Infatti, il far “convivere”, in un’area relativamente circoscritta (non solo nei laboratori e negli uffici, ma anche nelle residenze) studenti, professori, ricercatori, ingegneri e tecnici stimola la creazione di una “massa critica” di conoscenze, di contatti, di legami e di relazioni, humus favorevole alla nascita e allo sviluppo di imprese e di attività tecnologiche. Lo sanno bene coloro che hanno vissuto l’esperienza dei campus, dove la stessa comunicazione “informale” (nei ristoranti, nei luoghi di svago, nelle relazioni sociali e personali) assume una grande valenza creativa. E in uno scenario così dinamico e competitivo, quale è la realtà del nostro Paese? In un Convegno tenutosi - nelle scorse settimane - alla Facoltà di Economia dell’Università di Genova è emerso che sulla carta si contano oggi in Italia circa 30 parchi scientifici e tecnologici. Ma, in realtà, se se ne escludono alcuni (tra tutti, l’Area Science Park di Trieste ed il Science Park San Raffaele di Milano) il panorama italiano è ancora modesto. Forse perché, come risulta da un’indagine presentata a Genova dai ricercatori dell’Università di Pavia, le dimensioni dei nostri parchi sono troppo esigue (nella media 30-50.000 mq.). Inoltre è mancata da noi non solo la decisiva spinta delle Facoltà scientifico- tecniche, che svolgono un ruolo proattivo nelle più significative esperienze internazionali ma anche una più forte e decisiva volontà di collaborazione da parte delle imprese. A questo va aggiunta un’ulteriore considerazione che deriva dalle scelte fatte dal nostro Governo nell’arco degli ultimi anni. Il Ministero della Ricerca e dell’Università ha infatti avviato una differente strategia, rispetto a quella prevalente a livello internazionale. Si è puntato sulla nascita di “distretti tecnologici”. In sintesi, lo Stato, le Regioni, le Università e le imprese locali, tramite questo strumento, sono sollecitati ad individuare aree tematiche in cui avviare e sviluppare comuni ricerche tecnologiche, investendo fondi sia pubblici che privati. In questo modo si promuovono soprattutto accordi di collaborazione ed il distretto diventa di fatto solo un parco “virtuale”, senza quindi ritrovare quelle condizioni di “contiguità fisica” tipiche delle esperienze internazionali di successo. Sia chiaro, in linea teorica, si tratta di un percorso potenzialmente “virtuoso” perché finalmente si ricerca un rapporto diretto tra imprese e Università a livello locale. Ma – pur essendo ancora all’inizio delle concrete esperienze (solo Torino e Napoli hanno distretti tecnologici già operativi) - ancora una volta si è seguita in Italia una politica dispersiva e frantumata. Infatti sulla carta sono stati già formalizzati ben 22 distretti tecnologici con risorse finanziarie che diventano a questo punto quasi simboliche. A queste iniziative va certamente aggiunto il nuovo “Istituto Italiano della Tecnologia – IIT” che, dopo due anni dalla sua formale costituzione, sta avviando a Genova i suoi primi, timidi passi. Alcuni osservatori sottolineano che è ormai inutile per il nostro Paese investire risorse nei settori tecnologici: sarebbe ormai troppo ampio il divario tra le nostre imprese (soprattutto medio-piccole) ed i concorrenti a livello mondiale. Una tale conclusione rischia non solo di marginalizzare ulteriormente l’Italia tra gli stessi Paesi europei, allontanandoci ulteriormente dagli obiettivi dell’agenda di Lisbona (il 3% del Pil investito in ricerca e sviluppo), ma anche di fornire un quadro deformato e scorretto della situazione dell’high tech italiano. Perché abbiamo significativi esempi (anche se non numerosi) di nostre imprese che operano con successo in specifici segmenti e nicchie del mercato mondiale. Proprio lo sviluppo di alcuni qualificati campus della tecnologia, della ricerca e della formazione potrebbe diventare la chiave di volta per quel necessario “salto di qualità” di cui abbiamo bisogno, facilitando la nascita e l’avvio di nuove imprese high-tech. E questo può avvenire in una logica di integrazione con alcuni degli stessi “distretti tecnologici” già avviati. In sintesi, abbiamo bisogno di creare e di sviluppare in Italia solo alcuni “poli” di traino, concentrati in alcune specifiche realtà territoriali. Ecco perché nell’agenda del nuovo governo di Romano Prodi si dovrà riservare una grande attenzione agli investimenti in tecnologia. Nel momento in cui il Presidente José Manuel Barroso lancia la proposta di un nuovo “Istituto Europeo della Tecnologia”, lamentando proprio la frammentazione della ricerca europea, il nostro Paese deve sentire il valore di questa sfida e proporsi quale capofila per progetti che riguardino, ad esempio, le medie e piccole imprese hightech. Possiamo – se lo vogliamo e lo perseguiamo con grande determinazione - costituire ancora un polo di attrazione sul mercato mondiale delle intelligenze e della creatività tecnologica. Molti, troppi giovani laureati italiani devono andare all’estero, dove riscuotono grandi riconoscimenti proprio nei settori più avanzati della scienza e della tecnologia. E, nel contempo, rappresentiamo una scarsissima attrazione per giovani ricercatori internazionali. Su questi importanti obiettivi di politica tecnologica e industriale si dovranno misurare - sin dai prossimi mesi - il nuovo Governo ma anche quelle Regioni più aperte e disponibili a cogliere opportunità di qualificazione del nostro sistema produttivo. I poli scientifici che ci mancano _________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 mag. ’06 LA CRUI ELEGGE IL NUOVO VERTICE Guido Trombetti guida la conferenza dei rettori ROMA I rettori delle università italiane hanno un nuovo presidente. Guido Trombetti, numero uno dell'universîtà Federico il di Napoli, designato ieri a Roma dall'assemblea della Crui, la Conferenza dei rettori. Risorse, valutazione, trasparenza e autonomia sono ì punti centrali del programma di lavoro: «Mi impegnerò - ha dichiarato Trombetti - al rilancio di queste quattro parole d'ordine che i rettori italiani hanno ormai da anni messo a fondamenta del futuro dell'università italiana». L'elezione di ieri conclude un periodo tormentato per la Crui, che lo scorso 27 febbraio ha assistito all'improvvisa uscita di scena dell'ex presidente Piero Tosi. A due mesi dalla scadenza del mandato, Tosi si è dimesso dopo la sospensione dalla carica di rettore dell'università di Siena, decisa dal Gip del tribunale della città toscana nell'ambito di un'inchiesta su illeciti nelle consulenze e nei concorsi dell'ateneo, nei quali lo stesso Tosi sarebbe coinvolto. Dopo la sospensione, Tosi aveva offerto le sue dimissioni respinte dall'assemblea dei rettori il 7 marzo. che hanno prorogato il suo mandato fino alla scadenza naturale. Ma il 24 marzo Tosi ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza e da rettore di Siena. Il nuovo corso della Crui scatta all'indomani della nomina di Fabio Mussi a ministro dell'Università e della Ricerca, che si è congratulato con Trombetti, rilanciando la necessità di valorizzare «la centralità dell'università e della ricerca italiana, restituire funzioni e speranze a studenti, insegnanti, ricerca tori e personale amministrativo». «Accolgo con grande favore le dichiarazioni del neo ministro -- ha detto Trombetti -- che intende mettere in cima alla lista dei suoi obiettivi il tema dei finanziamenti. La trasparenza e la misurazione dei risultati - ha concluso Trombetti - rappresentano l'unica via verso il riconoscimento sociale del nostro lavoro e un'autonomia responsabile». Trombetti, nato a Napoli nel 1949, si è laureato in Matematica nel 1971 all'ateneo Federico Il e dal 1980 è ordinario di Analisi matematica alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali della stessa università. Nel 1993 è diventato preside della facoltà, incarico che ha ricoperto fino al 2001, quando è stato eletto per la prima volta rettore. Nel 2003 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, la medaglia d'oro ai Benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. Dal 2004 è componente del comitato di presidenza e vicepresidente della Crui. Trombetti è al suo secondo mandato da rettore della Federico II. Nell'assemblea di ieri, i rettori hanno designato anche i due vicepresidenti: Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, e Giuseppe dalla Torre, numero uno della Lumsa di Roma, primo rettore di un ateneo non statale nominato alla vicepresidenza Crui. Fanno parte del nuovo comitato di presidenza, infine, Marco Mancini (Università della Tuscia), eletto segretario generale, Patrizio Bianchi (Ferrara), Stefania Giannini (ateneo per gli stranieri di Perugia), Vincenzo Milanesi (Padova). Augusto Marinelli (Firenze), Raimondo Pasquino (Salerno), Giuseppe Silvestri (Palermo) e Paolo Luciano Garbarino (Piemonte orientale). ALESSIA TRIPODI _________________________________________________________ Il Manifesto 19 mag. ’06 SCUOLA E UNIVERSITÀ IMPEGNI PRIMARI Taia Vantaggiato Roma Il presidente del consiglio centra l'obiettivo al primo colpo e della riforma Moratti smaschera subito il nervo più scoperto: «la formazione tecnico- professionale - ha affermato, ieri, Romano Prodi nel suo discorso al senato - non va liquidata ma piuttosto valorizzata ed estesa a percorsi universitari brevi, attraverso istituzioni che possano diventare le scuole tecniche del XXI secolo». Che sia finalmente arrivato il momento di dire addio a quella scuola di serie B che il passato governo di centrodestra ha lasciato senza programmi e senza risorse? Lasciano ben sperare le parole del premier che - dopo aver ribadito l’impegno «primario» del nuova esecutivo nei riguardi dell'istruzione - ha anche affermato; «Siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa e che ha bisogno di un progetto condiviso e di lunga durata. Dopo dieci anni di riforme contro riforme, è giunto il momento di mettere ordine, fare il punto, cambiare ciò che palesemente non funziona e dare stabilità». Intanto, sempre ieri; Letizia Moratti ha passato il testimone - anzi i testimoni - ai neo ministri Giuseppe Fioroni e Fabio Mussi cui sono stati affidati, rispettivamente, il ministero dell'istruzione e quello dell'Università e della ricerca. Ce la farà Fioroni a seguire la strada indicata dal premier? L'esordio, a prima vista, sembra buono: «Sono due le cose che mi stanno più a cuore - dice in un'intervista pubblicata dal Messaggero - ridare il doveroso prestigio agli insegnanti italiani e rilanciare il ruolo della scuola pubblica». L'agenzia è delle 9.59: non è molto (neanche uria parola sui precari) ma quelle due paroline - «scuola pubblica» sono una mano sul cuore. Peccato che dopo soli quaranta minuti, sono le 10.59, compaia un altro lancio: «Assumo questo incarico con grande modestia e consapevole delle difficoltà. E per questi) voglio avere il tempo e il modo di poter approfondire, testare e comprendere la situazione che stiamo vivendo con due impegni sottolineati con forza». Dichiarazione già datata, li conosciamo già: docenti e scuola pubblica. E invece no. Perché se i docenti restano sempre in cima ai suoi pensieri, a Fioroni la scuola pubblica deve essere, nel frattempo, scappata di mente: «Il secondo punto è quello di consentire ai nostri giovani di poter andare nel mondo e in Europa a testa alta per la loro formazione e preparazione. Insomma, credo che la scuola sia una grande comunità fatta da alunni, docenti, personale non docente, genitori e famiglie». Non è che ci risiamo con l'Europa, l'inglese, l'informatica e la famiglia? Per fortuna che Fioroni, in extremis, si salva e torna a citare la scuola pubblica di cui - ribadisce - bisogna sprigionare le straordinarie potenzialità. E per fortuna che della sua squadra fa parte - oltre al ds Gaetano Pascarella e alla prodiana Letizia De Torre - )'ex assessore regionale dell'Emilia Romagna Mariangela Bastico (data per certa come vice ministro) le cui prime parole suonano come un grido di battaglia «Non uno di meno». Uno slogan contro la dispersione scolastica nato in Emilia e - si spera - destinato a crescere attraverso l'operato del nuovo governo. «5010 la scuola - ha affermato Bastico - può far sì che la mobilità sociale di cui ha parlato Prodi possa tradursi in fatto concreto». La scuola pubblica, naturalmente. Cambio della guardia Il premier; uCambierem.o quello che non fun~iorta e valorizzeremo in formazione tecnico-professionale». ________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 mag. ’06 PER L'UNIVERSITÀ. TAGLIARE CON IL PASSATO I nomi circolati finora non garantiscono la necessaria rivoluzione del merito Nei tanti toto-ministri che si leggono sui giornali in questi giorni, il ministero dell'Università viene citato molto raramente; si ha la sensazione che questo dicastero svolga un ruolo residuale. Sarebbe un grave errore. Nel lungo periodo; l'Università e la ricerca sono fondamentali per la crescita del paese, ma negli ultimi decenni hanno conosciuto un continuo, inesorabile declino. Per questo l'Italia ha bisogno di un taglio netto con il passato. e quindi di un ministro competente ed aperto - due qualità che difficilmente si troveranno in un ministro scelto in base al manuale Cancelli, o magari per il suo prestigio all'interno di un establishment culturale intimamente legato proprio ad una Università così antiquata. Per questo un buon ministro dell'Università dovrà perseguire i seguenti fini: 1. Mettere al centro dell'attività accademica la ricerca. Un buon ricercatore è di norma anche un buon insegnante; un cattivo ricercatore non puo' trasmettere conoscenza ad alto livello. La capacità di produrre ricerca secondo gli standard internazionali deve dunque diventare il perno della selezione e della promozione dei docenti. Per questo, è necessario modificare la struttura degli incentivi e ridisegnarli in modo da premiare chi -- persona o ateneo - produce ricerca di alto livello, condizionando a questo una quota rilevante dei finanziamenti agli atenei e almeno una parte del salario o delle risorse dei ricercatori. L'esperienza inglese (un sistema interamente pubblico) degli ultimi dieci anni dimostra che le scelte delle istituzioni universitarie rispondono notevolmente agli incentivi economici. Oggi invece l'università italiana si basa su di un complicatissimo sistema dirigistico e centralizzato di migliaia di regole formali e di decine di organi istituzionali che hanno poco o nulla a che vedere con l'unico scopo importante: fornire gli incentivi per fare buona ricerca. Il futuro ministro dovrà essere in grado di riconoscere l'importanza di un sistema di incenti~7 corretti e abbandonare la tradizione umanistica e sud-europea di affidarsi esclusivamente a regole formali. 3. Riconoscere e accettare la diversità nella qualità degli atenei. Un sistema corretto di incentivi migliora la qualità inedia ma crea anche dispersione, per un motivo molto semplice: esso convoglia più risorse ai migliori. La mentalità egualitarista che ha sempre pervaso l'università italiana tende ad ottenere l'effetto opposto: livellare in nome di un malinteso senso dell'equità. Ma l'università non è il liceo: essa deve produrre eccellenza. II futuro ministro dovrà rompere con gli schemi egualitaristici del passato. 4. Abbandonare la retorica dell'università gratuita. Nonostante questa retorica, poche istituzioni sono più inique dell'università italiana, pagata da tutti i contribuenti, ma frequentata soprattutto dai ricchi. Ma non è solo una questione di equità: con tasse studentesche più elevate, ogni ateneo sarà costretto a sudare per meritarsi le proprie risorse, e quegli atenei che non forniscono un servizio adeguato dovranno chiudere, come è giusto che sia. Un sistema di borse di studio e di prestiti condizionati al reddito permetterà anche ai meno abbienti di frequentare l'università. Tutto ciò richiede un ministro dell'Università consapevole delle esperienze internazionali e slegato dalle vecchie logiche dirigistiche, legalistiche ed egualitaristiche che hanno fallito in modo così plateale nell'università italiana. Non vediamo queste caratteristiche nei pochi nomi che sono circolati finora. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 mag. ’06 È IL CAPITALE UMANO LA RISORSA PIÙ PREZIOSA PER RILANCIARE L'ITALIA ROMA o È venuto a Roma ieri per ricevere la laurea honoris causa dalla facoltà di Economia di Tor Vergata. Dale W. Jorgenson, nato nel Montana, classe 1933, dirige attualmente il Program ori Technology and Economic Policy alla Kennedy 5chool di Harvard: E ieri ha spiegato a un selezionato pubblica di economisti accorsi ad ascoltarlo in che modo lo sviluppo informatico è divenuto la principale causa della rinascita economica americana negli anni 90. Anche per l'Italia, come afferma in questa intervista, è essenziale scommettere su It e capitale umano. Senza dimenticare, tuttavia, di affrontare il problema urgente di un costo del lavoro troppo elevato in rapporto a quello degli altri partner europei. Professore, casa c'è dietro alla sindrome da bassa crescita in Italia? Quanto ha contato la mancanza di investimenti in It sulla scarsa performance dell'economia negli ultimi anni? Direi che i bassi investimenti in It sono un sintomo, piuttosto che una causa della scarsa prestazione dell'economia italiana. Credo che l'investimento in alta tecnologia sia solo un indicatore della salute economica di un Paese. Da questo punto di vista, la performance italiana appare abbastanza in linea con quella di altri Paesi, come la Germania o la Francia_ Però è vero che a partire dal 2003 la crescita economica dell'Italia è stata davvero scarsa e direi che questo ha molto a che vedere con la perdita di competitibità sui mercati internazionali e con il mancato sviluppo dell'innovazione in campi specifici come quello dei servizi. Ritiene che, a parte lo scarso sviluppo tecnologico, esistano altre carenze da curare per ottenere più crescita nel nostro Paese? Penso che in generale l'economia italiana soffra di una debolezza strutturale, che rischia di farsi sentire in modo sempre più acuto. II lato debole, in particolare è nell'Università, nel campo dell'education in genere., in fondo, il sistema italiano é stato messo in funzione alla fine degli anni 60, ed è stato poco riformato da allora. E se si fa un confronto internazionale sul terreno della qualità accademica, si vede ché l'Italia occupa un posto relativamente basso in graduatoria, Credo perciò che tutti indicherebbero questo fattore come un consistente impedimento sulla strada del progresso economico per l'Italia Ovviamente. per ottenere risultati sul piano della qualità occorrono anche forti investimenti in questo campo. Non pensa che conti anche il fisco? Si, d'accordo, il sistema fiscale può essere un discreto fardello, ma dopo tutto esso serve a finanziare la spesa pubblica e questa struttura del bilancio è il frutto di una scelta democratica, a favore di pensioni, sistema sanitario, servizi sociali: tutte cose che hanno un casto. Credo invece, che, se dobbiamo prestare attenzione agli aspetti strutturali, è più importante considerarne primo luogo il mercato del lavoro. Il costo italiano dei lavoro è completamente fuori linea rispetto a quello dei partner europei e questo è uno dei motivi per cui la concorrenza delle economie cinese ed asiatica ha progressivamente spiazzato le merci italiane negli ultimi 3-5 anni. Come ci si confronta con questo problema? Credo che sarà sicuramente un'impresa dura e difficile per Romano Prodi e per la sua nuova squadra di governo. Anche perchè la sua maggioranza è sostenuta da partiti che fendono a tirarsi indietro rispetto all'esigenza dì cambiare qualcosa nel mercato del lavoro. Come vede le prospettive del nostro Paese? Nell'ultimo quinquennio si è lasciato che molti problemi peggiorassero; molte cose essenziali sono state trascurate. Prodi però è consapevole dei punti deboli dell'economia italiana e si circonderà di molti collaboratori intelligenti. Per questo ritengo che te chance per ottenere un rilancio ci siano tutte. ROSSELLA BOCCIARELLI ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 mag. ’06 POCO RIGORE NEI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI DEI DIPENDENTI PUBBLICI Avviso formale della Corte dei conti ai ministri della Giustizia e dell’Istruzione per le disfunzioni nell’esercizio della funzione disciplinare nei confronti dei dipendenti. Nella relazione dei magistrati contabili sono emerse gravi irregolarità e devianze, che hanno spinto la sezione di controllo ad avvisare formalmente i due ministeri. Ci sono perfino condannati per reati sessuali che continuano a lavorare nel mondo della scuola: qui la Corte dei conti punta il dito contro i meccanismi di prevenzione pressoché inesistenti e sugli organi consultivi. «Gli organismi consultivi e, in particolare il Consiglio nazionale della Pubblica istruzione (Cnpi) si segnalano per ritardi nella resa di pareri vincolanti e nella produzione di ritardi che inficiano la legittimità dei procedimenti disciplinari». Dai dati in possesso della Corte risulta che su un campione di 47 condanne passate in giudicato legate a reati sessuali la certezza dell'espulsione dall'amministrazione si ha solo nel 50% dei casi. Percentuale che sarebbe inferiore se alcuni dei condannati non si fossero volontariamente dimessi. Spesso, inoltre, condannati per reati di corruzione e concussione riescono, comunque, a rimanere nell’amministrazione, lucrando anche emolumenti arretrati per i periodi di sospensione dal servizio «superiori alle benevole sanzioni inflitte dalle amministrazioni». Nel mirino della Corte dei conti la frammentata normativa divisa tra leggi speciali e applicazione dei contratti di lavoro che «causa un aumento geometrico delle questioni interpretative, consentendo ai condannati per reati contro l’amministrazione, di evitare le pene espulsive, mediante ricorsi fondati su errori formali delle Amministrazioni». Ma non solo: discutibile anche la prassi adottata dagli uffici che dovrebbero applicare la normativa. Pollice verso anche sull’aspetto patrimoniale: in rari casi penali l’amministrazione attiva denunce per illecito erariale, «consentendo ad alcuni condannati di evitare la riparazione del danno provocato». Inoltre la contabilità non è rivolta a evidenziare la consistenza dei debiti nei confronti delle amministrazioni: è dunque praticamente impossibile gestire una compensazione ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 mag. ’06 L’ATENEO SULL’AUTOSTRADA ON LINE Firmato l’accordo col Comune per entrare nella banda larga CAGLIARI. Cagliari autorizza il collegamento tra la rete telematica cittadina e il polo universitario di Monserrato. L’intesa è stata firmata ieri mattina dal sindaco Emilio Floris e dal prorettore vicario Maria Del Zompo. Un grande momento per l’università cagliaritana che risolve un problema storico dell’intero ateneo: la velocità dei collegamenti telematici. Adesso l’attività di trasmissione dati non avrà più orari obbligati e vuoti improvvisi durante la giornata; la forza che le macchine potranno mettere in campo rende possibili i collegamenti con i centri analoghi di tutto il mondo. Il prossimo passo è il collegamento della rete civica cagliaritana con Monserrato. Pochi chilometri che cambieranno l’università. Per questo ulteriore passaggio ci sarà molto presto un incontro con il comune di Monserrato. Spiega il prorettore: «La banda larga di cui Cagliari dispone e della cui rete la città è proprietaria, è fondamentale per il trasporto dei dati scientifici che l’università produce e che l’università ha bisogno di ricevere da altri atenei. Si tratta di una mole di dati quantitativamente corposa, dove è di grande importanza il fatto che il trasferimento avvenga in modo veloce. Adesso si può. La comunità scientifica dell’università ha a disposizione uno strumento essenziale. I poli cittadini già dialogano attraverso il collegamento con la rete civica, parlo di Ingegneria, di Sa Duchessa, dell’amministrazione universitaria, del Palazzo delle Scienze, ma il collegamento con Monserrato permetterà il recupero di una larga parte della nostra comunità». Un passo verso l’università on line: «Non c’è dubbio ma - continua Del Zompo - è già fondamentale per noi poter interagire con i colleghi italiani e delle università straniere». Finora è andata come a tutti gli utenti privati: «L’adsl ci ha consentito di lavorare - spiega Del Zompo - i rimedi si trovano sempre, ma in orari particolari, mai durante gli orari critici che sono poi quelli più utili per un certo tipo di scambio. E comunque è la potenza di calcolo dei nostri centri che con questo collegamento cambia sostanzialmente». I tempi: «Confidiamo per il 20 giugno di aver completato il progetto». I costi: «Abbastanza ridotti perché abbiamo cercato di sfruttare i cavidotti che già c’erano per altri servizi. Abbiamo cercato di non perdere nulla». D’altronde, che il collegamento con l’autostrada telematica servisse per uscire dal ghetto era un fatto noto. Dall’anno prossimo ci saranno tre corsi di laurea on line: in Architettura, in Scienze della comunicazione e Scienze dell’amministrazione. Cagliari e Sassari hanno formato un consorzio, Unitel, che si inserisce nel panorama internazionale del cosiddetto e-learning. Il progetto universitario ha anche un collegamento con la scuola media superiore e questo particolare aspetto intende affrontare un problema importante quale quello dell’orientamento dei giovani verso gli studi universitari. Altra questione curata con l’on line: il riallineamento, vale a dire l’acquisizione da parte degli studenti del bagaglio necessario per seguire l’università. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 19 mag. ’06 PROFESSORI «ELETTRONICI»: ECCO IL «MODELLO MISTO» On line e in cattedra, è boom dell' e-learning È un mercato che cresce del 18% l' anno. E vale 430 milioni Gli strumenti sono quelli di ogni giorno: computer, telefono, e-mail. Che offrono ai manager la possibilità di ampliare e integrare competenze e capacità. Con un risparmio di tempo e di costi. Ecco perché con un fatturato di 430 milioni nel 2005, il mercato dell' e-learning, ovvero della formazione on line via Internet, conferma la sua crescita per il quarto anno consecutivo. Siamo lontani dal boom degli anni scorsi, ma secondo i dati dell' Anee, la commissione per i servizi multimediali di Assinform (l' associazione dei produttori di ict) l' incremento del 18% messo a segno nel 2005 è un dato particolarmente significativo. «Ormai il mercato è maturo e i modelli di formazione e-learning non sono più una curiosità o una sperimentazione ma una realtà consolidata», spiega Mauro Boato, consigliere di Asfor, l' associazione italiana che raggruppa molte tra le più famose e prestigiose scuole aziendali di formazione. Nato grazie allo sviluppo della rete, il mercato ha subito una forte evoluzione. Oggi il modello più seguito e accreditato anche in Asfor è quello "blended", misto, che prevede un percorso che si snoda fra ambienti di comunicazione virtuali - forum, community, incontri a distanza con tutor - alternati a periodi di approfondimento in aula con il docente. «A trainare il mercato - spiega Boato - soprattutto le grandi aziende. Ma anche la pubblica amministrazione che nel 2005 ha aumentato del 13% il ricorso all' istruzione on line. Solo le piccole e medie imprese continuano a investire poco in formazione». Alla base del successo del professore via internet soprattutto i costi. «Nella formazione più complessa, rivolta ai manager, l' e-learning è uno strumento che aumenta l' efficienza dei costi e l' efficacia formativa» conferma Roberto Liscia, docente di marketing industriale al Politecnico di Milano. «Va però detto - aggiunge - che si tratta di un modello molto sofisticato che quindi comporta investimenti non indifferenti nell' attività di progettazione». Il vero problema è trovare, nella giungla di offerte, criteri di qualità. E' più facile valutare le competenze acquisite dalle persone che il valore di un Master. Il primo corso in Italia ad aver ottenuto la certificazione da Asfor è l' Executive Master in Business Administration della Profingest di Bologna. Tra i modelli blended più apprezzati, l' Executive Mba part time della Sda Bocconi è rivolto a manager che possono assentarsi dal lavoro solo per pochi giorni. Dura due anni e il 50% degli esami avviene via web. Il costo? 28 mila euro. Scarrone Elena ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mag. ’06 CONFLITTO D'INTERESSI DI SORU NELL'UNIVERSITÀ ON LINE» Nel Consorzio che si è aggiudicato la gara per la gestione dell'Università on line figura, tra gli altri, Tiscali, la società fondata da Renato Soru. Lo sostiene Fedele Sanciu (Forza Italia), che in un'interrogazione al presidente della Regione e all'assessore all'Istruzione Elisabetta Pilia ipotizza un conflitto di interessi. Dopo la pubblicazione del bando nel novembre scorso, ricorda Sanciu, i termini di scadenza sono stati prorogati con una determinazione datata 1 gennaio 2006, «data che risulta festiva in tutto il mondo occidentale e mi pare strano vedere in ufficio il direttore del servizio in un giorno così. Non vorrei che sia stata una forzatura per favorire qualche soggetto o consorzio». Fra le motivazioni della proroga, infatti, si evidenzia una comunicazione dell'assessore regionale all'Istruzione «di aver ricevuto segnalazioni da parte delle Università italiane che lamentano la difficoltà a rispettare i termini indicati». Quali sarebbero queste Università - si chiede Sanciu - «visto che a presentare proposte sono state solamente le Università di Cagliari e Sassari consorziate fra loro e con società telematiche fra cui Tiscali, mentre l'altra è l'Università di Firenze?». ======================================================= _________________________________________________________________ VARGIU: LA LINGUA DELLA DIRINDIN Pierpaolo Vargiu: “Sanità Sarda: è tutto fermo, tranne la lingua della Dirindin. Se ha fallito, torni pure a casa”. I dati sono incontrovertibili: Il PIANO SANITARIO REGIONALE, promesso entro il dicembre 2004, non c’è. Le AZIENDE MISTE tra OSPEDALE e UNIVERSITA’, promesse prima per l’ottobre 2004, poi per l’aprile 2005, non ci sono. Il PIANO di RAZIONALIZZAZIONE della RETE OSPEDALIERA, non si è mai visto neppure in bozza. Il DISAVANZO della SPESA del 2005 è peggio di quello dell’anno precedente. Niente è cambiato neppure nella qualità dei servizi sanitari: le liste d’attesa sono infinite, mancano gli infermieri negli Ospedali, non migliora la prevenzione, né l’assistenza territoriale. Come risponde l’Assessore Dirindin a questo disastro? Non certo con umiltà, chiedendo scusa e moltiplicando il suo impegno, ma con stizza e supponenza, annunciando eventi miracolosi futuri e, nel frattempo, tentando di scaricare su altri la responsabilità per l’immobilismo assoluto del presente. In particolare, la Dirindin si scaglia contro la sua maggioranza di centrosinistra, colpevole di essere lenta nell’approvare le sue proposte in Consiglio. Come sempre, i fallimenti sono orfani e non hanno né padri, né madri. Ma ai sardi non interessa sapere se il “tutto fermo” è colpa della Dirindin o dei suoi compagni del centrosinistra. Questo giochetto delle parti non appassiona, interessano i risultati: l’Assessore che non ne ottiene farebbe bene a tornare subito a casa: a mandare a casa il centrosinistra ci penseranno a suo tempo gli elettori. ________________________________________________________________ DIRINDIN: IL DITO DI VARGIU PER LA PRIMA VOLTA LA ASL 8 HA ELABORATO UN PIANO STRATEGICO “Per la prima volta nella sua storia la Asl 8 ha elaborato una proposta di piano strategico triennale che punta a migliorare la qualità dei servizi sanitari per un terzo dei sardi. Si tratta di centinaia di pagine di dati e analisi, presentate con trasparenza e pronte al contributo migliorativo di tutti. Invece ancora una volta l’onorevole Vargiu guarda il dito anziché la luna. Perché la proposta di Piano dimostra tutto tranne che la sanità sarda sia ferma. In realtà Vargiu non riesce a sopportare l’idea che la sanità stia cambiando senza che lui ne sia un diretto protagonista. Inizio a chiedermi se nell’onorevole Vargiu prevalga l’interesse per la Sardegna o la speranza che altri non riescano laddove lui ha già evidentemente fallito. Vargiu sta perdendo l’ennesima occasione per contribuire al miglioramento dell’assistenza nella nostra regione. Continua a rimpiangere tempi che sarebbe bene per la sanità sarda non tornassero più. E oggi, di fronte ai dati sulla Asl 8 riferiti agli anni in cui governava la maggioranza di centrodestra, l’onorevole Vargiu (che di quella maggioranza era un autorevole sostenitore) avrebbe dovuto per decenza tacere”. Nerina Dirindin Assessore regionale alla Sanità ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mag. ’06 DIRINDIN: NEI DUE ATENEI TROPPI STUDENTI» L’assessore alla Sanità promette interventi per i neomedici tagliati fuori dalle specializzazioni Dirindin: «Va riprogrammato l’accesso a Medicina» «Anche in Sardegna si soffre del problema della ‘pletora medica’» CAGLIARI Ha varie cose da puntualizzare l’assessore regionale alla sanità Nerina Dirindin, a proposito delle borse di studio sulle scuole di specializzazione per i neolaureati che quest’anno saranno appena 73 e non le almeno 100 che la sola facoltà cagliaritana chiedeva. L’assessore dice che, della penuria di borse, ha parlato col collega alla programmazione Pigliaru e col presidente Soru, si cercherà rimedio nel programma Master and Back (si mandano laureati all’estero a studiare in scuole di alta specializzazione). Ma la prima cosa che si dovrà fare, spiega, è la riprogrammazione dei numeri di studenti ammessi nelle facoltà di Medicina. Dirindin dice di averlo detto appena arrivata in Sardegna e di aver lavorato anche a livello nazionale perché le università imboccassero con decisione questa strada. Per spiegare di cosa si stia parlando, cita uno studio condotto dall’Ocse, la conferenza permanente composta dai delegati di 30 nazioni che sorveglia l’andamento economico degli stati, studia i problemi per temi, presenta proposte di intervento una volta individuati i punti critici. La salute e il suo governo sono uno dei temi trattati in modo permanente dell’Ocse e nel febbraio scorso l’organizzazione ha concluso un rapporto sulle dotazioni di medici nei paesi sviluppati: «In Italia - spiega Dirindin - soffriamo della cosiddetta pletora medica, siamo ai primi posti per densità di medici ogni mille abitanti. Noi ne abbiamo 4, la Gran Bretagna 2 (ogni mille abitanti), la Germania 3,4, gli Stati Uniti 2. Questa nostra condizione provoca sottoccupazione dei medici (mentre altrove li importano) e pressione sul servizio sanitario. Da tempo si ritiene che le politiche di ingresso alle nostre facoltà di Medicina debbano essere riviste». Il ragionamento secondo l’assessore vale anche per le scuole di specializzazione: «In Italia e in Sardegna sono tante, frammentate, col rischio di duplicazioni, mentre potrebbero lavorare assieme. Adesso, qui, emerge un problema storico, non solo sardo, e gli studenti che escono dalla facoltà di Medicina si trovano in difficoltà. Le due università - continua Dirindin - sono state invitate dalla Regione affinché ci mandassero le richieste, sanno che la programmazione si fa in questo periodo e sanno anche che i milioni di euro stanziati sono sempre 4 e mezzo e che le borse, a 11 mila e 600 euro ciascuna l’anno, in tutto sono 389. Col passare degli anni è cresciuto lo stock di studenti che ha la specialità in corso e le somme per i nuovi si sono ridotte. Siamo a 73, meno dell’anno scorso». I ragionamenti per il futuro hanno il loro valore, il problema, però, sono le decine di ragazzi da parcheggiare adesso, non si sa neppure per quanto tempo: «Posso ben capire. E non intendiamo non farci carico del problema, ma, ripeto, il primo problema è la programmazione dei numeri e la programmazione della formazione è universitaria, la Regione indica il fabbisogno del servizio sanitario e basta. Se le due università sarde erano consapevoli che lo stock degli specializzandi era elevato, forse, loro, avrebbero dovuto sollevare il problema, li abbiamo chiamati a esprimere proposte, ma noi non possiamo garantire un posto di lavoro. Io ho chiesto e offerto collaborazione, mi stupisco che la programmazione della formazione universitaria sia attribuita alla Regione». Una soluzione positiva del problema è bloccata dal fatto che uno neodottore in Medicina per entrare alla specializzazione deve ottenere una borsa di studio pagata dalla mano pubblica: «Si deve notare che gli studenti di Medicina sono gli unici ad avere riconosciuta la borsa di studio a spese dei contribuenti. La ragione non era soltanto legata alla volontà di non discriminare ricchi e poveri, ma soprattutto al fatto che gli specializzandi contribuiscono al funzionamento del servizio sanitario. Le borse le paga lo Stato, le Regioni integrano. Altrove ci sono anche privati che mettono a disposizione le somme per le scuole di specializzazione. La logica della legge è garantire le borse di studio delle specializzazioni che servono, altro motivo che rende indispensabile la programmazione». Alessandra Sallemi ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 mag. ’06 MEDICINA: FALCIATI I FONDI PER LE SPECIALIZZAZIONI Appena 73 borse di studio per i laureati alle università di Sassari e Cagliari Faa: «Se per l’assessore l’isola non ha bisogno di medici, i giovani devono essere preparati per lavorare altrove» ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Almeno un terzo dei neolaureati sardi in Medicina rischia di restare a spasso per un anno prima di entrare nella scuola di specializzazione. Vale anche per chi dimostra un livello di preparazione elevato. Il motivo del fermo è tutto economico: tre giorni fa la Regione ha comunicato che le borse di studio per i neolaureati sono 73. Due anni orsono la facoltà di Cagliari da sola ne aveva 72. L’anno scorso erano diventate 56 e quest’anno, con il nuovo taglio al capitolo che finanzia la legge sulle borse di studio, dovranno diventare 40 quando, per coprire tutti i neodottori cagliaritani, ne sarebbero servite 100. Stesso problema a Sassari, ma di minore entità perché la facoltà sassarese ha ricevuto un finanziamento maggiore dallo Stato e può compensare l’introito minore della Regione. I prèsidi delle due facoltà, Gavino Faa e Giulio Rosati, esprimono la più fonda preoccupazione: «Come si fa a dire a un ragazzo - commenta Faa - che si è laureato a pieni voti a giugno del sest’anno: parcheggiati per 12 mesi? Con il rinnovamento della facoltà, ormai più del 50 per cento dei nostri studenti si laurea in sei anni di grande impegno e poi gli dobbiamo dire che non si trovano 200 mila euro per assicurare a tutti l’accesso alle specializzazioni?». La doccia fredda è arrivata martedì scorso a Cagliari in assessorato dove i due prèsidi e il rettore di Sassari, Alessandro Maida, si erano presentati per la ripartizione. «Ormai gli studi di Medicina sono un ciclo unico - spiega Rosati - per la gran parte dei concorsi occorre la specializzazione e anche per la medicina generale ci vuole un corso che dura 3 anni. Se non c’è un numero di borse di studio che corrisponde ai giovani laureati si crea davvero un problema irrisolvibile per i singoli. Per direttiva europea alle facoltà di area medica si accede attraverso borse di studio, la ragione sta nel fatto che si vuole evitare una discriminazione tra studenti agiati e no. Lo Stato non dava abbastanza borse e la Sardegna fece una buona legge per portare il numero a un livello accettabile. Quest’anno, una volta sottratte le risorse per gli specializzandi già in corso, quello che resta non basta per tutti». Nel capitolo di spesa ci sono 4 milioni e 500 mila euro, ogni borsa è di 11 mila 303 euro, la somma per i neolaureati è di 850 mila euro. «A leggere i numeri - spiega Faa -, si vede che c’è un trend del disimpegno: da 72 siamo scesi l’anno scorso a 56 e quest’anno a 40. E oltre i laureati che non rientreranno fra i 40, ci sono quelli dell’anno scorso, 30-40 ragazzi, esclusi per il passaggio da 72 borse della stagione precedente a 56 del 2005-2006. Ci viene citato il rapporto dell’Ocse in base al quale si dimostra che la Sardegna dovrebbe laureare il doppio dei giovani perché siamo la regione europea con le percentuali fra le più basse, e poi ci troviamo con uno stop improvviso di questo genere?». I due prèsidi si trovano in sintonia anche su un altro aspetto: non è la saturazione del sistema sanitario regionale che può giustificare un blocco di tale natura. «A Sassari - dice Rosati - si mandano al Bambin Gesù neonati con un’occlusione intestinale alle 2 della notte su un aereo militare perché non ci sono abbastanza anestesisti». «Il direttore della scuola di Cagliari - aggiunge Faa - per quest’anno mi aveva già chiesto 15 borse, 7 gli arrriveranno dal ministero e quindi, dalla Regione, sarebbe stato necessario dargliene 8: i conti il direttore li ha fatti sull’analisi degli organici della sanità cagliaritana, dove, solo al Brotzu, l’anno prossimo andranno in pensione 5 anestesisti». Non ci sono solo gli anestesisti, alla Regione si afferma che i medici in Sardegna non mancano: «Io ho una specializzata in Piemonte, un altro a Liverpool e un terzo in Canada: lavorano bene e sono pagati meglio. Questo per dire che se il sistema sanitario sardo non ha bisogno di tali figure, i giovani preparati trovano lavoro fuori. Comunque - conclude Gavino Faa - credo si debba fare chiarezza su un punto: se queste figure professionali non servono, a un ragazzo bisogna dirglielo quando ha 18 anni, non il giorno dopo la laurea». ______________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 19 mag. ’06 ATTACCO FRONTALE CONTRO LA ASL8 il piano della sanità nella bufera Soru minaccia una censura ufficiale per il manager. Milia: «Finora non è cambiato niente» È un attacco a palle incatenate che piovono da destra e da sinistra. Finiscono tutte sul manager Gino Gumirato e il suo piano strategico triennale, la rivoluzione della Azienda sanitaria locale numero 8. Il gruppo di Forza Italia del consiglio regionale gli chiede di dare le dimissioni, l'ex assessore alla Sanità Giorgio Oppi l'ha definito «il primo asino di turno», il presidente della commissione sanità Piarangelo Masia è «offeso dall'atteggiamento del direttore generale» e il diessino Nazareno Pacifico dice che Gumirato «difetta di cultura politica nel rapporto con le istituzioni». Se non bastasse, arriva anche il siluro del presidente della Provincia Graziano Milia: «Il piano per la Asl ha parecchie lacune, le consultazioni sono state insufficienti. Vorrei capire cosa è cambiato negli ospedali da un anno e mezzo a questa parte. A me sembra niente, o quasi. Gumirato dice che qualcosa è migliorato ma non è ancora percepibile da parte degli utenti? Beh, non lo percepisco nemmeno io che sono il presidente del MAXI RADUNO del mondo medico alla Fiera, il giorno dopo. Lo scontro inizia nell'aula del consiglio regionale. Pare che il manager della Asl, davanti a di mille addetti ai lavori, abbia criticato alcuni esponenti della commissione regionale Sanità che hanno fatto un'ispezione al Santissima Trinità. «Sarebbe meglio se i consiglieri dell'opposizione trovassero modi migliori per impiegare il loro tempo anzichè scoprire che gli ospedali non sono in buone condizioni, cosa peraltro già nota»: sarebbero queste, in sintesi, le parole che avrebbero fatto imbestialire più di una persona presente ieri alla nella gremita sala Pasolini della Fiera. Dopo le proteste di Oppi, appoggiate anche dal capogruppo Ds Siro Marrocu, è arrivata la presa di posizione di Soru: «Non c'ero e non ho sentito queste affermazioni, ma se Enrico Fresu e n r i co.f res u @ e p o l i s.s m È un attacco a palle incatenate che piovono da destra e da sinistra. Finiscono tutte sul manager Gino Gumirato e il suo piano strategico triennale, la rivoluzione della Azienda sanitaria locale numero 8. Il gruppo di Forza Italia del consiglio regionale gli chiede di dare le dimissioni, l'ex assessore alla Sanità Giorgio Oppi l'ha definito «il primo asino di turno», il presidente della commissione sanità Piarangelo Masia è «offeso dall'atteggiamento del direttore generale» e il diessino Nazareno Pacifico dice che Gumirato «difetta di cultura politica nel rapporto con le istituzioni». Se non bastasse, arriva anche il siluro del presidente della Provincia Graziano Milia: «Il piano per la Asl ha parecchie lacune, le consultazioni sono state insufficienti. Vorrei capire cosa è cambiato negli ospedali da un anno e mezzo a questa parte. A me sembra niente, o quasi. Gumirato dice che qualcosa è migliorato ma non è ancora percepibile da parte degli utenti? Beh, non lo percepisco nemmeno io che sono il presidente della Provincia». MAXI RADUNO del mondo medico alla Fiera, il giorno dopo. Lo scontro inizia nell'aula del consiglio regionale. Pare che il manager della Asl, davanti a fossero vere sarebbero motivo di censura per Gino Gumirato». Parole del governatore che ha avallato la nomina del manager, il quale si è affrettato a smentire: «Sono stato frainteso. Confermo, come già detto ieri (mercoledì, ndr), che l'azienda offre il massimo consenso alle ispezioni dei consiglieri regionali». MA LE POLEMICHE erano già partite, difficile arginarle. Il presidente della commissione Masia era e resta offeso: «Come consigliere e come rappresentante della commissione. Gumirato ha ribaltato in negativo i valori e il ruolo svolto dai consiglieri regionali: una caduta di stile che poteva essere evitata». Sulla stessa linea Oppi: «Prendo atto del chiarimento, ma in tanti dicono di aver sentito quelle parole, non credo che tutti abbiano capito male». Critiche anche sulla scelta di convocare i dipendenti degli ospedali, tutti insieme, distogliendoli dal loro lavoro e facendo addirittura timbrare il cartellino. Mettendo a rischio, secondo alcuni, la vita di molti pazienti. «Normale», dicono dall'azienda, «il piano doveva essere illustrato al maggior numero di persone coinvolte. E non potevamo incidere sulla busta paga ». La giornata in fiera è finita con molti scontenti. Il piano per la Asl piace, ma non troppo. E se Pacifico dice che «non servono prime donne che potrebbero rovinare un percorso sereno», Milia va giù duro: «Gumirato ha insultato coloro che lo hanno nominato. Deve ricordarsi che deve seguire gli indirizzi che gli arrivano dalle istituzioni, non darli». Il dato Malintesi e risposte Via le pneumologie e le chirurgie dal Binaghi, il Businco presidio d'eccellenza chirurgica, un trauma center a Is Mirrionis, il centro sclerosi multipla al San Giovanni di Dio, un nucleo trapianti e pediatria riuniti al Microcitemico. Sono solo alcuni dei punti del piano che dovrebbe rivoluzionare la sanità della provincia. Sono coinvolti tutti gli ospedali, con trasferimenti di alcuni reparti e il potenziamento di altri. la presentazione, però, suona come una fuga in avanti. Il piano sanitario regionale è fermo in Consiglio. Senza quest'ultimo sarebbe inutile che la Asl faccia un lavoro per conto suo. Si porterebbe troppo avanti, scavalcandola, rispetto all'assemblea di via Roma. Un atteggiamento che, secondo i critici, sottolinea la scarsa capacità di confronto e la poca considerazione delle reali esigenze del territorio. Critiche infondate, secondo l'azienda. Da via Pier della Francesca arriva una precisazione: il piano è modificabile, serve accordo ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 mag. ’06 GUMIRATO A CASA: HA OFFESO TUTTI I SARDI Accuse bipartisan per una frase sulle ispezioni negli ospedali da parte dei consiglieri regionali Oppi attacca il manager Asl. Soru: se ha sbagliato sarà censurato Accerchiato, scaricato, bersagliato: un gioved di fuoco, per il direttore generale della Asl numero 8. Lui nega, ma tutti (da destra e anche da sinistra) lo accusano di aver criticato pubblicamente i membri della commissione regionale sulla Sanit che nei giorni scorsi hanno visitato due ospedali cittadini: sostanzialmente, riferiscono voci bipartisan, li avrebbe invitati a spendere pi proficuamente il loro tempo anzich andare a caccia di topi fra i reparti. Apriti cielo. In poche ore, all indirizzo di Gino Gumirato , manager quarantunenne di origini padovane e master postlauream alla London School of Economics e alla Bocconi, arriva un po di tutto. Inclusa, da parte dell opposizione, una richiesta urgente di siluramento. Ad aprire le danze Giorgio Oppi , Udc, ex assessore regionale alla Sanit col centrodestra, oggi consigliere, che al manager fortemente voluto dall assessore Nerina Dirindin elargisce il titolo di primo asino di turno : un appellativo buttato l non al bar dello sport ma nell aula del consiglio regionale, dopo un accorata difesa della centralit dell assemblea legislativa sarda. Dal centrosinistra, anzich una levata di scudi, arriva una sventagliata di fuoco amico: il presidente della Giunta, Renato Soru , annuncia una verifica e, qualora i fatti riferiti da Oppi risultassero veri, nel caso insomma Gumirato si fosse arrogato il diritto di dire ai consiglieri regionali cosa fare del loro tempo , una censura. Finito? Nemmeno per sogno: alle 13,54 le agenzie di stampa rilanciano una corposa dichiarazione del presidente della commissione regionale alla Sanit , Pierangelo Masia (gruppo Federalista-autonomista sardo). Il succo? L altro giorno, alla presentazione del piano strategico dell Asl, ho abbandonato i lavori perch offeso dalle parole del manager. Offeso come consigliere regionale, offeso come presidente della commissione Sanit e quindi come rappresentante dei consiglieri che ne fanno parte. Ne ho parlato con l assessore alla Sanit . Gumirato deve ricordarsi che il Piano sanitario regionale lo approva il Consiglio, non la Asl, e che su quello dovr basarsi il piano strategico . A quel punto il direttore generale dell Azienda numero 8 ha gi dettato (ore 13,37) una rettifica: L ho spiegato alla Fiera davanti a 1.200 persone e lo ribadisco , le ispezioni dei consiglieri regionali negli ospedali sono utili e gradite e lui non si mai sognato di criticarle. Sulla caccia ai topi, insomma, c stato un malinteso . Quanto alle 1.200 persone che hanno assistito alla presentazione del piano, c da registrare un altra stoccata di Oppi: mille dipendenti Asl, accusa l ex assessore, sarebbero stati obbligati a presentarsi alla Fiera e timbrare l il cartellino per scongiurare un flop di pubblico, lasciando per sguarnite le strutture sanitarie. E dal centrosinistra non vede la schiarita: Il piano strategico mi sembra molto ambizioso in apparenza ma povero di idee nel concreto , affonda il presidente della Provincia Graziano Milia . E alcune scelte appaiono decisamente incomprensibili, mirate a soddisfare pi i politici che i cittadini: non si capisce, per esempio, quali saranno i destini del Marino e del Binaghi. Questo, probabilmente, perch la direzione della Asl non ha consultato preventivamente, come avrebbe dovuto, i rappresentanti del territorio, sindaci in testa. Si pu essere dei bravi tecnici ma la mancanza di confronto un errore evidente . Nel frattempo, nove consiglieri del centrodestra (i forzisti Mariano Contu , Nicola Rassu , Onorio Petrini , Claudia Lombardo , Antonello Liori di An, il riformatore Franco Sergio Pisano , Domenico Gallus di Fortza paris, Andrea Biancareddu e Tore Amadu dell Udc) hanno gi presentato al presidente Soru e all assessore alla Sanit Nerina Dirindin un interpellanza urgente in cui si chiede la testa dell uomo che da tredici mesi ha in mano le redini della Asl cagliaritana: Non possiede pi i requisiti per ricoprire l alto ruolo pubblico cui stato nominato, avendo offeso pesantemente la Sardegna intera . Erano dunque soltanto delle avvisaglie, quelle di mercoled alla Fiera, quando il manager del Brotzu Mario Selis aveva bocciato davanti ai famosi 1.200 in platea la proposta di integrare fra le due aziende i reparti di Chirurgia e Oncologia e il commissario regionale alla Sanit in quota Ds Nazareno Pacifico aveva stigmatizzato la fuga in avanti e ricordato che prima viene il piano sanitario regionale, poi quello strategico della Asl 8. La tempesta doveva ancora arrivare. successo ieri. A questo punto, per , si tratta di capire quanto sia ampio lo strappo fra il tecnico chiamato a gestire la sanit cagliaritana e la coalizione. Se, insomma, il centrosinistra si compatti davanti alla richiesta di licenziamento di Gumirato. Non credo si debba arrivare a tanto , tranquillizza Masia: Ma sulla gravit delle dichiarazioni di mercoled , la sostanza non cambia . Graziano Milia: Certo va riconosciuta una certa delusione perch nel governo della sanit , rispetto al passato, si sono avuto solo dei piccoli miglioramenti. Ma il passato, beninteso, era peggio: il centrodestra non pu certo impartirci lezioni . M ARCO NOCE Il direttore regionale Gumirato sotto tiro per una frase sui consiglieri regionali che vanno a caccia di topi negli ospedali . Critiche dal centrosinistra, il centrodestra chiede che sia rimosso. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 mag. ’06 GUMIRATO: CADO DALLE NUVOLE, HANNO FRAINTESO Gino Gumirato, manager della Asl 8, risponde e fa leva su un caso di fraintendimento. Non voleva creare polveroni né dar corso a nuovi veleni. Insomma, la sua linea è quella del chiarimento e della rappacificazione, forte di una fiducia che l’assessore regionale alla Sanità ieri gli ha rinnovato a chiare lettere. GUMIRATO. «Credo si tratti solo di un fraintendimento. Non ho mai criticato i controlli della commissione regionale sulla Sanità ». Gino Gumirato afferma di cadere dalle nuvole. Il vespaio politico sollevato dalle sue dichiarazioni rese alla Fiera mercoledì mattina durante la presentazione del piano strategico aziendale lo coglie di sorpresa: «Ieri ho lavorato con intensità, non ho percepito tutti questi problemi. Non vi ho dato peso. Mi rendo conto che la situazione è diversa da quella che ritenevo». Attaccato da entrambi gli schieramenti politici, preso di mira da un fuoco incrociato probabilmente inaspettato e sotto la lente di ingrandimento dello stesso presidente Renato Soru, il manager della Asl 8 in carica da un anno si dice pronto «a chiedere scusa nel caso abbia creato incomprensioni » ma giura di non aver mai pronunciato le frasi che ora potrebbero costargli il posto. «So quello che abbiamo detto alla Fiera», sottolinea il manager padovano: «Spero che in platea non abbiano capito male. Può accadere, soprattutto quando ci sono tante persone nella sala e la stanchezza si fa sentire. Posso solo dire di non aver mai criticato il lavoro della commissione. Qualsiasi frase abbia detto, se letta in questo senso, è stata fraintesa. Siamo anzi assolutamente lieti che ci siano controlli, ancora di più se effettuati dai consiglieri regionali della commissione Sanità, più vicini degli altri al nostro ambiente. Esattamente quello che ho detto in pubblico ». DIRINDIN. L’assessore alla Sanità ieri ha parlato con Gumirato per fare il resoconto di quanto accaduto. «Mi ha detto di lavorare con tranquillità», sottolinea il manager, «di andare avanti, di preoccuparmi solo della salute dei cittadini». Ma le critiche arrivate dai banchi della stessa maggioranza rischiano di rendere molto nuvoloso il futuro di entrambi. «Sono stato nominato da questa Giunta, c’è un rapporto fiduciario. Altro non posso dire. L’assessore Dirindin mi ha fatto presente le critiche, ma mi ha detto di non preoccuparmi, di andare avanti come sempre». Le questioni politiche si risolvono in un’altra sede, ha sottolineato l’assessore alla Sanità. Ma resta il dubbio che il vero obiettivo del fuoco incrociato sia proprio lei, più che Gumirato. Da quando ha assunto l’incarico, le critiche alla sua gestione non sono mai mancate. Neanche da chi sostiene il governo di centrosinistra. L’assessore Dirindin, in qualunque caso, preferisce non fare commenti. Irreperibile per tutto il giorno, agli organi di stampa affida solo una secca, lapidaria battuta: «Non voglio alimentare ulteriori polemiche. Confermo la mia piena fiducia a Gumirato». A NDREA M ANUNZA «Mai criticato la commissione» L’assessore: «Basta polemiche» ______________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 mag. ’06 IL PIANETA OSPEDALI CAMBIA FACCIA PARTE LA RIVOLUZIONE DI GUMIRATO Il Binaghi senza le pneumologie e le chirurgie, un trauma center al Santissima Trinità Massimiliano Lasio m a ss i m i l i a n o. l a s i o @ e p o l i s.s m Via le pneumologie e le chirurgie dal Binaghi, il Businco presidio d'eccellenza chirurgica, un trauma center a Is Mirrionis, il centro sclerosi multipla al San Giovanni di Dio, un nucleo trapianti e pediatria riuniti al Microcitemico. In una parola, una rivoluzione. Il Vangelo secondo Gumirato, il nuovo piano strategico triennale della Asl 8 presentato ieri davanti a una platea di circa 1.000 operatori del settore riuniti al palacongressi della Fiera di Cagliari prevede un assetto organizzativo nuovo della rete ospedaliera in città. Un un cambiamento radicale che rispecchia i criteri di razionalizzazione e di gestione aziendalistica a cui si ispira il piano proposto dal manager. La nuova mappa della sanità, illustrata dal direttore sanitario Giorgio Sorrentino, prevede innanzitutto una rivoluzione per il Binaghi che perde le pneumologie e le chirurgie, così come il Centro di diagnosi e cura della sclerosi multipla. Le chirurgie (toracica e generale) andranno al Businco ed al Brotzu. Al Businco si effettueranno interventi di alta chirurgia non solo polmonare ma anche su bile e pancreas, mentre l’offer ta chirurgica generale del Brotzu includerà anche interventi sull'esofago. Al Binaghi rimane il centro trapianti di midollo osseo assieme al nuovo centro regionale delle cellule staminali. Se il centro della Sclerosi Multipla prenderà la via del San Giovanni di Dio per riunirsi con il reparto di neurologia, dal Brotzu sarà ereditato invece un reparto di oftalmologia. Nel presidio, invece, avranno sede, sia un centro che riunisce endocrinologia, malattie dello sviluppo e diabetologia. Più un centro di diagnosi e cura delle malattie del seno, “p er co rs o d on na ”. Il centro trapianti di midollo osseo per gli adulti si fonderà con quello pediatrico del Mi c r o ci t e m i co . Entro 18 mesi, inoltre, sarà ultimato il nuovo reparto di Radioterapia e Medicina Nucleare. L’ospedale Santissima Trinità di Cagliari diventerà un "trauma-center" cittadino, dotato del reparto di neurochirurgia. Al Ma r i n o , rimarrà la mission di centro traumatologico- or topedico- chirurgico. Da integrare con l'istituzione di un unico dipartimento ortopedico e chirurgico. ______________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 mag. ’06 ALS8: UN SISTEMA PIÙ AGILE E RAZIONALE MA DIMINUISCONO I POSTI LETTO Il manager: non intendiamo mortificare ma valorizzare le professionalità esistenti Razionalizzazione. La parola chiave risuonava come un'eco nel Palacongressi della Fiera di Cagliari. Insieme a “ap - propriatezza delle prestazioni”. Razionalizzare le spese, i costi e la gestione. Per dare servizi più mirati e di migliore qualità per il cittadino. Numeri, cifre, percentuali. Dalla bocca del direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato, che ha illustrato le linee guida del piano strategico triennale, come del direttore sanitario Giorgio Sorrentino, che ha ridisegnato la mappa delle rete ospedaliera cagliaritana. Con la benedizione dell'assessore alla Sanità Nerina Dirindin. Gumirato ha tracciato il bilancio di un anno e mezzo di attività soffermandosi sull'eredità del passato. Una situazione che andava cambiata. Il manager dell'Asl 8 ha criticato il ricorso fatto in passato ai ricoveri di tipo Lea (livelli minimi di assistenza) «vietati dalla legge da almeno quattro anni», e ha ricordato come nel 2005 siano stati «tagliati 7000 ricoveri i n a p p r o p r i at i » . IL NUOVO ASSETTO dei presidi nel Capoluogo descritto da Sorrentino discende dalla stessa nuova filosofia aziendalista: assemblare, accorpare reparti, di evitare inutili doppioni, mettere in condizione di lavorare al meglio i punti di eccellenza già esistenti. Il caso del Binaghi è emblematico. La chirurgia toracica e quella generale che passano al Businco e al Brotzu per costruire un Dipartimento interaziendale con personale ad elevata specializzazione. «Non intendiamo penalizzare le ottime p r o f e s s i o n a l i t à e s i s t e n t i nell’ospedale Binaghi e nemmeno ridurne le attività», ha puntualizzato Sorrentino ricordando che il presidio ospedaliero ricovera 3700 pazienti l’anno, di cui 2235 solo in Pneumologia, con degenza media di 14 giorni. Lo stesso si potrebbe dire del “trauma center” cittadino al Santissima Trinità, dotato del reparto di neurochirurgia. Sta di fatto che l'opera di razionalizzazione comporterà un taglio dei posti letto case di cura comprese, nel territorio della Asl 8 di Cagliari. Da 2.482 a 2.189. All'unisono con la filosofia riformatrice della Dirindin, che nel suo intervento alla Fiera ha invitato la commissione Sanità e il Consiglio regionale all'approvazione del Piano sanitario regionale e dei Piani strategici aziendali. «Sarà licenziato entro luglio dalla commissione Sanità del Consiglio», le ha risposto in serata Nazareno Pacifico, componente dell’organismo consiliare. La lady di ferro della sanità isolana ha si è mostrata solidale con il management della Asl 8 sulle linee fondamentali dello sviluppo aziendale imperniate sull'analisi del contesto, sulle strutture e i numeri, sullo stato attuale degli ospedali, sui progetti innovativi, sugli investimenti e le politiche del territorio. MA.LA. ______________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 mag. ’06 ASL8 - MEDICI E POLITICI: «È SOLO UNA PROPOSTA SERVE CONDIVISIONE» Cinzia Isola Entusiasmo, ma anche cautela e qualche riserva dal mondo medico-politico, per il piano strategico aziendale della Asl 8. Il progetto di razionalizzazione del sistema sanitario è stato accolto positivamente, ma non sono mancate le polemiche. Più di natura politica, che sul merito della proposta presentata ieri mattina da Gino Gumirato, direttore generale d el l’azienda sanitaria. «È apprezzabile il suo sforzo di effi- cienza, ma non è apprezzabile che il direttore assuma decisione strategiche sull’azi end a, partendo da premesse legislative e politiche che non ci sono ». Così Raimondo Ibba, presidente dell’Ordine dei medici, commenta l’iniziativa di Gumirato. «Sarebbe stato opportuno un atteggiamento più prudente e più rispettoso delle istituzio- Vargiu (Riformatori): «Non esiste ancora un piano sanitario, è bloccato in Consiglio» ni». E se da politico, Ibba, frena il protagonismo di Gumirato, il giudizio da presidente dell’ordine dei medici, non è più caloroso: «Questa è una proposta. Da valutare, da verificare e nel caso da modificare», spiega Ibba, ricordando, i punti cardine, su cui puntare l’attenzione: l’assistenza oncologica e psichiatrica, ma anche la sicurezza sul luogo di lavoro. Intanto l’entusiasmo maggiore arriva da chi opera sul campo: «È una proposta ottima», commenta Renato Versace, primario della chirurgia toracica all’ospedale Binaghi. «Una riforma radicale per una moderna sanità. Un piano in linea con la filosofia che vuole il paziente, e non i medici, al centro dell’att e n z i o ne». POSITIVO ANCHE il giudizio del sindacato: «È una buona proposta, analitica e incentrata sui problemi», commenta Giovanni Pinna, segretario generale Cgil- funzione pubblica. Un richiamo alla concertazione sulle decisioni da prendere è arrivato invece da Mario Selis, direttore generale del Brotzu. «È opportuno cogliere le occasioni di cooperazione, sfruttando però le collaborazioni già esistenti senza modificare gli obiettivi già definiti dalle singole aziende ». Se la prende invece con il centrosinistra e con la titolare alla Sanità Nerina Dirindin Pierpaolo Vargiu, capogruppo dei Riformatori nel Consiglio, colpevoli della mancata approvazione del piano sanitario regionale. «La sanità sarda non è ferma», replica l'assessore, «in realtà Vargiu non riesce a sopportare l’idea che stia cambiando senza che lui ne sia un diretto protagonista». Il dato La forbice Ecco dove si taglia Sotto la forbice del risparmio ci sono i ricoveri di tipo Lea, livelli minimi di assistenza. I ricoveri inappropriati, non necessari, sarebbero superiori al 30%. Per la Cgil, questo fenomeno, triplica i costi della spesa sanitaria. (c.i.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 mag. ’06 ASL8: COSÌ CAMBIERANNO GLI OSPEDALI» Ma Selis (Brotzu) boccia il progetto: no all’integrazione Il manager disegna il futuro dell’Asl 8 e inciampa in qualche polemica imprevista. Col direttore generale del Brotzu, per esempio, e col consigliere della commissione regionale Sanità. E già s’ipotizzano profonde modifiche al progetto. Il Piano strategico 2006-2008 presentato alla Fiera «è una proposta da discutere e far partire entro i prossimi sessanta-ottanta giorni», dice Gino Gumirato. Gli effetti toccheranno settantuno Comuni e mezzo milione di sardi. IL PIANO. Il direttore sanitario Giorgio Sorrentino spiega dove e come cambierà pelle l’Asl 8. Occhi puntati sul Binaghi che dovrebbe cedere la Chirurgia toracica al Businco, quella Generale al Policlinico. Nell’ospedale di via Is Guadazzonis ci saranno il Centro trapianti di midollo osseo e quello per le cellule staminali, con la banca dati del sangue placentare, un reparto di Oftalmologia in arrivo dal Brotzu, il Percorso donna, Endocrinologia. La cura della sclerosi multipla sarà competenza esclusiva del San Giovanni di Dio, mentre il Businco sarà sempre più Centro oncologico regionale. Novità anche al Santissima Trinità col trauma center che consentirà radiografie e Tac direttamente al Pronto soccorso. Negli ospedali di Isili e Muravera nascerà un Dipartimento d’emergenza polispecialistico. NO DI SELIS. Gino Gumirato propone la creazione di un Dipartimento di chirurgia polmonare ed oncologia epato- biliarepancreatica, fifty-fifty col Brotzu. Il direttore generale del Brotzu, Mario Selis, lo gela dal palco: «Non ritengo al momento praticabile un modello di Dipartimento interaziendale ». Poi, a scanso di equivoci, ha spiegato perché: «Ritengo che le occasioni di cooperazione vadano ricercate di comune intesa e privilegiando la valorizzazione di momenti di collaborazione già esistenti». Raccontano che Selis fosse stato informato in anticipo da Gumirato. Perché ha scelto di assestare il colpo davanti a una platea di mille persone? LA REGIONE. C’è anche l’assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin. Nel suo intervento, chiede al Consiglio di accelerare l’approvazione del Piano sanitario regionale. La risposta di Nazareno Pacifico (Ds), consigliere della commissione Sanità, arriva dopo una manciata di minuti: «Sarà la base su cui i direttori generali dovranno fare i piani aziendali e non viceversa ». Un siluro per Gumirato, accusato di aver fatto una fuga in avanti. SALUTE MENTALE. Dovranno nascere dieci Centri di salute mentale, cinque aperti dodici ore al giorno e gli altri in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro. Stando alle previsioni, il primo aprirà nel giro di quattro- cinque mesi. Il manager parla di organici: «Per far decollare il Piano servono 150 nuovi infermieri e 200 operatori socio-sanitari». La previsione di spesa è già pronta, assicura, nonostante l’imperativo sia risparmiare. Resta il sospetto che, al di là dei dettagli tecnici, sia ancora lunga la strada verso un accordo politico che porti al varo del Piano strategico. PAOLO PAOLINI LA PROPOSTA Dipartimento di chirurgia polmonare e oncologia epato-biliare pancreatica gestito dalle due Aziende Molte novità nel Piano strategico dell’Asl 8. Gli otto ospedali che ne fanno parte cambieranno radicalmente la loro attività. Entro novanta giorni dovrà essere presa la decisione finale. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 mag. ’06 E SE DECIDESSIMO DI ABOLIRE TUTTE LE ASL? Le spese della sanità sarda DI FRANCO MELONI All’inizio dell’anno l’opposizione in Consiglio Regionale attaccò la gestione della sanità sarda accusando le Asl di avere speso nel 2005 oltre 2600 milioni di euro con un buco di 300 milioni rispetto al previsto. Non mancarono le reazioni della Regione che parlò di lettura maldestra di dati ancora provvisori. Ma ora pare che i numeri confermino sostanzialmente questa spesa. Bisogna riconoscere con onestà che gran parte dell’aumento è legato ai rinnovi dei contratti, che sono in buona parte spesati dallo Stato per cui, con un sacri cio tutto sommato modesto, la Regione potrà far fronte ai suoi impegni. Qui sarebbe facile scaricare le colpe sulla Dirindin o sui suoi direttori generali ma, aldilà delle loro responsabilità, ci pare che si ponga un problema più serio di quello di far polemiche. La spesa sanitaria continua a crescere in Sardegna, e in tutto il mondo sviluppato per motivi molto semplici, che vanno dalla considerazione che ci sono sempre più persone da curare (e che sono progressivamente più anziane) al fatto che la nostra capacità di curarle meglio continua ad aumentare, purtroppo insieme ai costi. Blocchi di assunzioni e programmi di razionalizzazione delle risorse vanno benissimo ma si tratta di tamponi provvisori che potranno darci respiro solo per poco: nuovi contratti di lavoro, in-azione, nuove A tecnologie, farmaci genetici e chissà che altro, e la spesa ricomincerà a crescere inevitabilmente. D’altra parte non viviamo in una società che possa accettare di abbandonare i più deboli, anzi non trascuriamo neppure coloro che certe malattie se le sono autoin- -itte con comportamenti e stili di vita che oggi tutti sappiamo essere estremamente nocivi. Che fare? Non si tratta solo di un problema sardo, ma certo c’è qualcosa che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare. Per esempio, si può provare con la separazione netta tra il soggetto “assicuratore” del cittadino e il soggetto che materialmente gli eroga le prestazioni di diagnosi, terapia e riabilitazione, cosa che altrove ha dato buona prova. Per fare un’ipotesi concreta si potrebbero eliminare le attuali Asl, alcune delle quali gigantesche e ingestibili, per farne una sola per tutta la Sardegna e istituire invece 10-12 aziende di erogazione nelle quali accorpare ospedali, poliambulatori e centri riabilitativi. Un sistema tari ario agile e aggiornato, uguale per tutti, e un sistema di controlli che esiste già e che potrebbe ra narsi sempre di più, permetterebbero di creare un minimo di concorrenza nel sistema lasciando libertà di scelta al cittadino e consentendo alla Regione di mantenere una vigilanza sulla spesa molto più agevole e obbiettiva dell’attuale. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 mag. ’06 IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE SANITA', MASIA, ATTACCA GUMIRATO un manager arrogante che non riconosce il Consiglio Regionale ASL CAGLIARI: PRESIDENTE COMMISSIONE SANITA' ATTACCA GUMIRATO Il presidente della commissione Sanita' del Consiglio regionale, Pierangelo Masia (gruppo Fas) ha abbandonato ieri la conferenza di presentazione del piano strategico triennale del'Azienda sanitaria locale 8 di Cagliari "offeso dalle affermazioni del dott. Gumirato direttore generale della Asl". "Offeso come consigliere regionale, offeso come Presidente della Commissione Sanita' e quindi come rappresentante dei consiglieri che ne fanno parte, e sono andato via perplesso", sottolinea Masia in una nota. "Mi sono sentito di riportare immediatamente all'assessore alla Sanita', perche' dopo l'intervento di analisi -pure interessante- del direttore generale sulla Asl 8, lo stesso si e' lasciato andare ad affermazioni e valutazioni sull'operato di alcuni componenti della commissione. Nelle sue affermazioni ha ribaltato in negativo i valori e il ruolo svolto da quei consiglieri regionali: una sicura caduta di stile che poteva essere evitata". "Avrei apprezzato se quanto di critico riportato dai componenti dell'opposizione a seguito di alcune visite nei presidi ospedalieri di Cagliari, fosse stato utilizzato come stimolo, e dallo stesso dott. Gumirato valorizzato quale sollecito da parte dei consiglieri, alla ricerca di una migliore risposta di salute che i sardi da tempo attendono", ha aggiunto Masia. "Purtroppo l'atteggiamento di chi pretende di essere il manovratore che non puo' essere disturbato, e' leggibile anche nella fuga in avanti che vi e' stata attraverso la presentazione di un Piano strategico aziendale che, portato all'attenzione degli operatori e della comunita' cagliaritana, evidenzia confusione su chi deve decidere i contenuti del piano sanitario regionale". "I consiglieri regionali, e i componenti della commissione in particolare, erano presenti come semplici invitati", ha concluso il presidente della commissione. "Qualcuno ha dimenticato che fa capo a loro la verifica delle proposte, la discussione, l'approvazione del Piano sanitario. Il piano, una volta approvato in Consiglio, e' il documento di riferimento per ogni singola Asl, e la futura rete ospedaliera e dei servizi sara' quella prevista dal piano e non viceversa; non sara' il piano quindi a dover recepire cio' che in avanscoperta e fuori del Consiglio si e' portato in questi giorni". _________________________________________________________ Il Tempo 16 mag. ’06 PER GLI ERRORI IN CORSIA 14MILA MORTI L'indagine del Politecnico di Milano: troppe tragiche sviste dei medici Sono circa 320 mila i casi di concittadini che nei nosocomi subiscono danni per sbagli negli ospedali Prescrizioni poco leggibili incomprensioni tra sanitari scambio di flaconi risultano fatali a tanti pazienti Dl CORSIA si continua a morire. Da una parte si ricorre con più frequenza ai ricoveri ospedalieri dall'altra aumentano i casi di malasanità. Sono 320 mila Fanno, pari al 4% (lei circa 8 milioni di italiani ricoverati in 12 mesi negli ospedali della penisola, ì Concittadini che sperimentano effetti avversi legati a errori in corsia. Tragiche sviste che ogni anno costano la vita ad almeno 14 mila connazionali, con cause di risarcimento intentate a 12 mila medici (+184% nell'ultimo decennio). A ricordare i dati è il Cineas (Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni) del Politecnico di Milano, che ieri nel capoluogo lombardo, durante il convegno «L'ospedale sicuro: realtà o miraggio» ha presentato i risultati (li un'indagine condotta su 100 direttori sanitari, direttori generali ed esperti di gestione del rischio di ospedali (76%) e Asl (24%) in sei regioni dello Stivale (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lonrbardia, Piemonte e Sardegna). Per il 75% delle strutture sanitarie, specie al Nord, la ricetta della prevenzione è imparare dagli errori passati per evitarne altri in futuro; c il 91% di Asl e ospedali chiede più formazione sul risk management. Superlavoro, stanchezza e distrazione. Ma anche cattiva organizzazione, macchinari vecchi, prescrizioni illeggibili, scambio di farmaci diversi confezionati in flaconi simili e imprevisti operatori, con sprechi per miliardi di euro a carico di Servizio sanitario nazionale e Regioni. Complici tutti questi fattori, calcola il presidente del Cineas, Adolfo Bertani, «è come se in un anno cadesse un jumbo ogni due settimane». Con un numero di morti che, «in 5 anni , cancellerebbe dalle cartine geografiche una città delle dimensioni di Pavia». 11 59% degli intervistati punta il dito contro «la mancanza di procedure adeguate», e per il 75% del campione il luogo più a rischio di errori ospedalieri è in assoluto «il Pronto soccorso». L'83% delle strutture (in Lombardia addirittura il 100%) assicura di essersi dotato di procedure di risk management. Dati recenti, continua Bertani, indicano che «in 20 anni l’80% dei medici italiani viene coinvolto in almeno un episodio di malpractice». Da ospedali e Asl italiani arriva insomma un grido d'aiuto. Specie al Sud, se si pensa che il 29,4% degli intervistati campani e il 46,7% di quelli sardi ammettono 1 assenza dì procedure di risk management nella struttura in cui lavorano. Pronto soccorso a parte, le insidie maggiori abitano in sala operatoria (60%) e durante la fase diagnostica (42%). . _________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 14 mag. ’06 IL RISCHIO PROSTATA IN UN GENE Tumori Sarà possibile sviluppare un test della predisposizione E uno dei frutti dell'analisi a tappeto del patrimonio genetico dell'intera popolazione islandese, portata avanti non senza critiche da un'azienda di biotecnologie, la DeCode, fondata da Kari Stefansson nel 1996. Si tratta della scoperta di un marcatore genetico associato a un incremento del 60 per cento del rischio di sviluppare un tumore alla prostata: identificata sul cromosoma 8, la variante genetica sarebbe coinvolta come causa delf8 per cento di tutti i tumori prostatici. La ricerca, di cui dà notizia la rivista Nature Genetics, è stata condotta confrontando i geni di 3.430 malati di tumore e di oltre 2000 persone sane. Non soltanto islandesi, ma anche svedesi, statunitensi e afroamericani, ed è questa la vera novità: finora infatti non sono mancati geni candidati a essere responsabili (almeno in parte) del tumore alla prostata, ma le prove si sono avute sempre e solo per popolazioni specifiche e le conferme sono mancate ogni volta che i test venivano estesi ad altri Paesi. Stavolta, invece, gli indizi di aver trovato una variante genetica «pericolosa» a ogni latitudine ci sono tutti: i risultati sono simili in europei e statunitensi, con il gene incriminato presente ovunque nel 19 per cento dei pazienti e nel 13 per cento dei sani. La stessa proporzione fra sani e malati si ha anche fra gli afroamericani; dove però la mutazione genetica è due volte più frequente: un dato che potrebbe spiegare perché proprio fra le persone di colore il carcinoma prostatico registri una maggiore incidenza. Inoltre il gene sembra associato ai tumori più gravi; i ricercatori sono già all'opera per realizzare un test diagnostico capace di individuare chi, essendo portatore della variante pericolosa, è ad alto rischio e va monitorato più da vicino. «Questi risultati arricchiscono il nostro bagaglio di conoscenze circa gli indici di rischio per il tumore - commenta Giuseppe Martorana, direttore della Clinica urologica del Policlinico Sant'Orsola di Bologna -. La possibilità di realizzare un test genetico è sicuramente interessante, ma prima che diventi realtà e venga applicata in clinica è necessario confermare l'esperienza con ulteriori studi. Senza contare che sottoporre tutti gli over 50 al test sarebbe molto costoso, e il géne identificato non è un vero e proprio marcatore: non avere la mutazione non è segno certo dell'assenza del tumore». Elena Meli _________________________________________________________ Libero 16 mag. ’06 IL PARTO: UNA MALATTIA E I CESAREI TRIPLICANO BISTURI PREVENTIVO L'allarme al convegno "La nascita della gioia": 3 su 10 vengono alla luce con un intervento MILANO «Provate ad ordinare a qualcuno: "fai pipì adesso, qui, davanti a tutti, come e quando dico io". Impossibile riuscirci, chiunque si bloccherebbe. Se è difficile far pipì in questa condizioni, figuriamoci partorire. Corpo e mente sono legati, un ambiente sbagliato può fermare e invertire il processo del travaglio». Ina May Gaskin, strano esemplare di nonna hippy del Tennessee con ciondoli indiani piumati nelle trecce e il piglio dell'insegnante british dietro gli occhiali, sta parlando ad una platea di giovani ostetriche per difendere il comune senso del pudore della nascita, il comune senso del valore di un rito di passaggio incompreso, svilito, derubato del suo mistero, ridotto a pratica da sbrigare, vissuto sempre più come una tortura inutile da cui liberarsi nel modo più veloce e asettico possibile: il parto naturale. Una mentalità che ha portato a una crescita esponenziale dei cesarei, anche in assenza di complicazioni per 1a madre o rischi per il feto; da noi più di 3 bambini su 10 nascono con il cesareo. In 20 anni il numero è triplicato: la media attuale è del 35%. Prima dell'Italia nella classifica del bisturi facile c'è il Brasile, con una media nazionale del 40%, mentre 1a percentuale normale secondo l’Oms è del 10-15%. Numeri che dimostrano come il parto chirurgico, comodo per 1e donne che hanno paura di non farcela, ma soprattutto per i medici che si sbrigano in mezz'ora, non rischiano cause legali e incassano di più, da pratica d'emergenza è diventato un intervento di routine. Ina Mav ha iniziato 1a sua trentennale carriera di levatrice "on the road" facendo partorire una ragazza su uno scuola- bus, ha imparato dalle donne del Guatemalale posture che facilitano il travaglio, ma non è una sciamana improvvisata: il suo metodo è riconosciuto ufficialmente nella letteratura medica dal’99,1a "manovra di Gaskin" è laprima tecnica ostetrica che porta il nome di una donna, i suoi libri vendono milioni di copie in tutto il mondo. E se durante una conferenza sale sul tavolo e mostra i movimenti "hula-hop a 8" che sciolgono i muscoli dei fianchi, è per far passare il concetto che 1a gravidanza non è una malattia, il parto non è una condanna a cui sottrarsi con il bisturi preventivo, ma un'esperienza intensa e rafforzante da vivere in prima persona, meglio se in un ambiente intimo e accogliente, accanto a persone capaci di ascoltare, senza 1a tirannia dell'orologio. Anche perché non nasce solo un bambino, sta nascendo anche una madre. «Nel parto c'è un intero trattato di pedagogia, l’anestesia ti priva di qualcosa di importante, della dialettica dolore/piacere e fatica/successo sempre presente nella vita» spiega 1a psicologa Giuliana Mieli a1 convegno "La nascita nella gioia" organizzato dall'Associazione Felicita Merati (www.associazionemerati.it), che si è chiuso domenica a Milano. Un convegno diverso dal solito, che nel video di apertura, a1 posto di uteri sezionati e sacchi placentari, ha scelto di mostrare la maternità appagata e sognante della Danae di K1imt, il sorriso delle ragazze Masai, il mistero sospeso dei ritratti di Vermeer, i colori caldi delle Natività fiamminghe. Un modo per ricordarci che c'è in gioco 1a totalità della persona. «Cose che i medici dell'Ottocento consideravano ovvie, nella pratica ospedaliera troppe volte sono trascurate», Certo, con il "metodo Gaskin" il fattore tempo è imprevedibile. Non è fatto per chi vuole organizzare tutto (del genere «Voglio il mio cesareo per 1e 18 di mercoledì, così ho il week-end libero»; in Inghilterra le chiamano "too posh to push", troppo chic per spingere) : «La donna non dev'essere lasciata sola, il suo ritmo si svela passo dopo passo: il dolore non è un nemico, ma una guida. C'è chi ha un travaglio lunghissimo, ma una soglia alta del dolore e ha solo bisogno di dormire un po' o di mangiare qualcosa, c'è chi ha bisogno di ridere per allentare 1a tensione o di essere baciata dal marito» spiega Ina. Sembra na1f, ma 1e basi scientifiche ci sono: rilassare viso e bocca ha un riflesso immediato sui muscoli del perineo e 1a vicinanza della persona amata influenza il rapporto endorfina-ossitocina. «C'è chi deve superare paure rimosse, come il ricordo della madre morta di parto, c'è chi ha bisogno di essere "shakerata" un po' con il massaggio. A volte una bugia è risolutiva per una futura mamma esausta: brava sei a 8 centimetri di dilatazione!". In realtà è ferma a 5 da ore, ma il sollievo di aver fatto progressi la fa passare "magicamente" in dirittura d’arrivo. Su 2200 nascite, dal’70 ad oggi, Ina May ha prescritto solo 5 cesarei; nel 95,1% dei casi la sua presenza ha reso inutile l'anestesia. _________________________________________________________ Libero 16 mag. ’06 L’APPENDICITE SI FARÀ PER BOCCA Sottili e flessibili strumenti chirurgici introdotti dalla bocca, per operare appendiciti e in futuro anche altre patologie. La proposta di Nagy Reddy della John's Hopkins University di Baltimora. Lo scienziato ha presentato il suo rivoluzionario metodo nel corso di un recente convegno tenutosi a Roma. Venti le persone operate fin’ora di appendicite con l'introduzione di strumenti chirurgici dalla cavità orale. Se i test preliminari, già in corso in Italia, avranno esito positivo la tecnica sarà adottata anche al Policlinico Gemelli. Secondo Guido Costamagna, direttore dei centro europeo di chirurgia digestiva dell'università Cattolica, la proposta di Reddy « potrebbe diventare una via alternativa all'apertura del l'addome per alcuni interventi molto frequenti». _________________________________________________________ MF 16 mag. ’06 UN CONSULTO? MEGLIO EUROPEO Salute Le ultime conquiste della telemedicina e della teledidattica per l'assistenza in tempo reale Un progetto ha messo in comunicazione sei ospedali internaziomali. Ecco come di Elena Correggia Penne ottiche al posto del bisturi telecamere e monitor a comando vocale entrano in sala operatoria per garantire l’eccellenza anche negli interventi più complessi l;innovazione tecnologica mette infatti a disposizione strumentazioni in grado di offrire servizi di assistenza. medica in tempo reale, coinvolgendo specialisti distanti fra loro migliaia di chilometri. Un esperimento in tal senso è stato condotto con la sessione di Lion 2006, un progetto internazionale di Nidea conferenze nel campo dell'otorinolaringoiatria_ Il programma mette in comunicazione medici degli ospedali di Marsiglia, Béziers, Hannover, Amsterdam, Manchester e Padova. In pratica, i sistemi di audiovideo-conferenza di Polycom collegati alle telecamere dei microscopi in sala operatoria permettono di seguire un'operazione in corso di svolgimento in una sede, trasmettendola tramite l’infrastruttura di France Telecom alle altre sedi collegate, ove una platea di specialisti e specializzandi può interloquire ponendo domande sul caso specifico. «Questo sistema consente un aggiornamento continuo per i medici con un approfondimento didattico molta importante sulle tecniche operatorie», afferma Gregorio Babighian, direttore dell'Unità operativa di otorinolaringoiatria e otochirurgia dell'ospedale di Padova. «La nostra struttura ospedaliera ha inoltre avviato da tempo la realizzazione di un archivio di audiovisivi relativi alle principali tecniche chirurgiche delle diverse specialità, allo scopo di renderle disponibili tramite password nella intranet locale e a chiunque dall'esterno ottenga l'abilitazione». In questo modo si forniscono elementi di didattica e confronto sulle più recenti tecniche operatorie al personale medico di ospedali distanti, senza rendere necessario il trasferimento fisico in loco. La telechirurgia è già diventata realtà da qualche anno all'ospedale San Luigi di Orbassano, dove è stata svolta una positiva attività di telementoring applicata a interventi in video laparoscopia urologica, specialità in cui il centro vanta una particolare eccellenza «Poiché si tratta di una tecnica ea mini-invasiva vantaggiosa per il paziente, ma che necessita di un apprendimento piuttosto lungo per i medici, abbiamo allestito un servizio di tutoraggio sorvegliando a distanza, tramite videoconferenza„ un équipe del Policlinico di Modena all'opera», spiega il professor Roberto Mario Scarpa, ordinario di urologia all'università di Torino e direttore del reparto di urologia all'ospedale San Luigi di Orbassano. In laparoscopia non si effettuano grossi tagli, ma piccole incisioni, e attraverso tubicini si inserisce la strumentazione. Una microtelecamera collegata a un tubicuio consente poi di visualizzare su di un monitor ciò che avviene nella cavità addominale e di guidare l'operazione. Nel progetto di telementoring le immagini proiettate sullo schermo venivano trasmesse ma rete all'ospedale San Luigi, dove gli specialisti consigliavano come proseguire l’intervento tracciando anche le linee dell'incisione sul monitor stesso con una penna ottica. «Seguendo questa metodica anche un ospedale periferico che deve gestire una patologia d'urgenza senza avere una grande casistica alle spalle può valersi delle competenze più aggiornate», afferma Scarpa La digitalizzazione di tutta la refertazione medica facilita infine lo scambio di informazioni e la tempestività delle consulenze all'Istituto clinico Humanitas di Rozzano. Qui, per esempio, il servizio radiologica del pronto soccorso garantisce refertazioni in tempi breAssimi avvalendosi di postazioni pc da remato: collegate in banda larga con Fastweb alla rete dell'ospedale. I radiologi reperibili possono, a domicilio, analizzare esami e radiografie inviando responsi in tempo reale, elemento molto importante quando si tratta di patologie d'urgenza. _________________________________________________________ Repubblica 18 mag. ’06 PROGETTO GENOMA, LETTO L'ULTIMO CROMOSOMA Sequenziato il "numero 1", ci sono voluti dieci anni. L'annuncio ieri, può aiutare a combattere tumori e Alzheimer Il più grande fra quelli dell’uomo, governa oltre 350 malattie ELENA UUSI ROMA La lettura del "libro del1a vita" è arrivata alla parola fine. Con il sequenziamento del cromosoma 1 si è concluso il Progetto Genoma Umano iniziato nel 1990. L'ultimo sforzo è stato anche il più duro. Per leggere il più grande fra i cromosomi umani è servito il lavoro decennale di almeno 150 scienziati. Il risultato pubblicato oggi su Nature è una mole di informazioni che coprirebbero di inchiostro ó0milapagine. Rese disponibili gratuitamente su Internet, aiuteranno medici del mondo intero a identificare e curare centinaia di malattie. Il cromosoma 1 contiene oltre 3mila geni (l’8 per cento del Dna umano). L'alterazione di un frammento anche minimo può provocare 350 malattie fra quelle note, come tumori, Parkinson's, Alzheimer. «Qui si trova - aggiunge Giuseppe Novelli, genetista dell'università di Tor Vergata a Roma - il gruppo di geni che sovrintende alla formazione dell'epidermide. E infatti vi abbiamo individuato alcuni difetti alla base della psoriasi e della dermatite atopica associata all'asma». Concluso il libro della vita, i ricercatori si trovano ora di fronte a una vera e propria enciclopedia. «Abbiamo finito di mettere per iscritto le parole del Dna umano» spiega Chiara Tonelli, genetista dell'università di Milano. «Ma molti dei geni hanno una funzione che ci è ancora ignota. Per non parlare dello studio delle variazioni che uno stesso gene può presentare in individui diversi. Scavando in questo campo sveleremo molti aspetti della nostra natura: come procede l'evoluzione umana, perché a un difetto del Dna è associata una determinata malattia, quali sono i farmaci giusti per sconfiggere una patologia, e quali le dosi ottimali». La lettura del libro della vita è stato in buona parte un lavoro da computer, «ora inizia 1a parte più intrigante dell'avventura» prevede Tonelli. A sedici anni dall'avvio del Progetto Genoma, su Internet si è accumulata una miniera di informazioni. «Una risorsa straordinaria» la descrive Novelli. «Nel nostro ospedale abbiamo appena accolto un bambino con una sindrome sconosciuta. Ha una serie di sintomi che non corrispondono a malattie note. Analizzando il suo Dna abbiamo notato un buco nel cromosoma 8. A quel punto è bastato andare su Internet e consultare la banca dati del genoma umano per scoprire a cosa corrispondono i frammenti danneggiati e capire le cause principali della sindrome. Senza questa risorsa avremmo impiegato anni a capire l’origine del problema _________________________________________________________ Libero 18 mag. ’06 OVAIO CONGELATO E REIMPIANTATO SPERANZA PER DONNE CON TUMORE Un ovaio espiantato in toto, congelato e poi reimpiantato in una pecora, senza perdere la sua funzionalità. Una nuova speranza per evitare alle donne malate di tumore alle ovaie di perdere definitivamente la loro fertilità, e quindi la possibilità di avere figli. L’organo animale utilizzato è infatti molto simile a quello umano. Questa la speranza di un intervento pioneristico illustrato ieri dal chirurgo israeliano Amir Arav, docente dei corso di laurea in Biotecnologie della riproduzione dell'università degli studi dì Teramo. Il medico ha illustrato anche i nuovi esperimenti condotti sulle cartilagini umane prelevate da donatore impiantate successivamente. ______________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 20-05-2005 I DUE MARINAI CHE VINSERO LO SCORBUTO Medicina, trecento anni di lotte di GIUSEPPE REMUZZI Per certe malattie la scienza ha fatto passi avanti straordinari ma per altre non ci sono (o non ci sono ancora) farmaci efficaci. Non per il tumore del colon e del pancreas, non per l'artrite reumatoide, non per tante malattie rare. Ma chi stabilisce in medicina cosa è efficace e cosa no? Una volta c'era qualche conoscenza sulle cause delle malattie (non molte, fino a 60 anni fa) e soprattutto «l'esperienza» del medico. Esperienza era aver visto altri casi simili e cercare di ricordarsi chi, in seguito a quale cura, stava meglio o era guarito e chi no. I nuovi ammalati si curavano con quello che si pensava avesse fatto bene agli altri. Molti medici le loro esperienze le scrivevano in libri o riviste. Altri ne parlavano con altri medici. Si creava una tradizione. Ma questo metodo era molto pericoloso. A metà del '700 James Lind - dottore di Edimburgo a bordo di una delle navi della regina - era in un bel guaio; i marinai sanguinavano dalle gengive e perde vano i denti: scorbuto. C'erano rimedi empirici, ma come distinguere quelli efficaci dagli altri? Lind divise 12 marinai in sei gruppi di due. Ciascuno (dei due della coppia) avrebbe avuto un trattamento diverso da quello delle altre coppie. Solo i due marinai che avevano avuto succo di agrumi (di due arance e un limone al giorno) guarirono. Gli altri no. Lind lo scrisse. Fu probabilmente il primo studio clini co controllato. Ma per duecento anni non se ne fece più niente. Gli ammalati continuavano ad essere curati con l'esperienza e per convinzioni maturate dalla tradizione. A Lind è dedicata la Giornata internazionale della ricerca clinica che si celebra oggi. Il metodo di Lind divenne prassi soprattutto per merito del Clinical Research Council (in Inghilterra) che allora era guidato da Austin Bradford Hill. (Un suo contributo fondamentale è l'aver dimostrato - con Richard Doll - che il fumo di sigaretta provoca il cancro) . Hill aveva ereditato la passione per la medicina dal padre. Nel 1916 era pilota della prima aviazione britannica, ma prese la tubercolosi e fu mandato a casa (con l'idea che sarebbe morto, allora gli antibiotici non c'erano). Sopravvisse, ma era molto debilitato. Non fu più in grado di fare il medico. Però era appassionato di statistica e stabili per primo le regole della ricerca clinica. Si celebra oggi la Giornata internazionale delle sperimentazioni cliniche Si è cominciato a comparare gruppi di ammalati con la stessa malattia assegnandoli al trattamento, di cui si voleva testare l'efficacia, o a un placebo (una pillola uguale ma che non contiene il principio attivo). Gli ammalati dovevano essere assegnati all'uno o all'altro trattamento a caso e nemmeno i medici sapevano quale malato facesse quale trattamento fino alla fine della sperimentazione. La numerosità dei gruppi di trattamento dipende dalla domanda a cui lo studio vuole rispondere. Si devono fare dei calcoli, precisi, perché tutto alla fine abbia un significato statistico e i risultati si possano applicare anche ad ammalati che non hanno preso parte alla sperimentazione. È merito di questi studi se oggi di leucemia si può guarire, se di infarto acuto del cuore non si muore quasi più, se per certe malattie del rene si può evitare la dialisi, se la tubercolosi non fa più paura. Se il virus dell'Aids si può tenere sotto controllo. È precisamente perché nessuno studio controllato ne ha dimostrato l'efficacia che gli scienziati sostengono che «medicine» alternative non sono cure. Oggi non si può mettere in commercio nessun farmaco se l'efficacia non è stata documentata da studi clinici controllati, e ne serve più di uno, e ci sono molte regole da rispettare. Questi studi costano moltissimo e ormai se li può permettere solo l'industria. Che chiede ai medici di collaborare, certo, ma quasi sempre mantiene la proprietà dei dati e si riserva il diritto di fare le analisi statistiche e pubblicare i risultati. Invece ci vorrebbe più ricerca clinica indipendente e più collaborazione fra industria e mondo accademico nel disegnare i protocolli e nel valutare i risultati. Ci guadagnerebbero tutti, gli ammalati per primi, ma anche i medici, che potrebbero sperimentare i farmaci nuovi verso quello che è già disponibile ed efficace e testare ipotesi magari impiegando farmaci non più coperti da brevetto (quelli che l'industria non vuole più studiare). E ci guadagnerebbe anche l'industria che dalla ricerca indipendente avrebbe stimoli per cercare farmaci nuovi (nonostante quella del farmaco sia davanti, per fatturato, all'industria del petrolio di farmaci davvero nuovi e davvero efficaci, negli ultimi vent'anni, ce ne sono stati pochi). ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 mag. ’06 SESSANT'ANNI FA I SARDI ALLA GUERRA DELLA MALARIA Il 14 maggio 1946 nacque a Cagliari il piano antianofele Fu una "Die de sa Sardigna" all'aroma di Ddt Autonomia speciale: 60 anni dopo lo Statuto sono maturi i tempi per una nuova carta Cagliari, 14 maggio 1946. In una stanza del monumentale edificio che ancora oggi è sede delle Scuole Elementari Riva, in Piazza Garibaldi, pochi uomini stanno per decidere il futuro della Sardegna appena uscita dalla guerra. Hanno in mente un'isola libera da una malattia che miete molte vite ogni anno, soprattutto per la facilità di trasmissione: la malaria. Il protozoo responsabile dell'infezione (Plasmodium falciparum) che distrugge i globuli rossi dell'ospite è trasportato da una zanzara (Anopheles labranchiae). Una malattia micidiale, in grado di intervenire nella selezione naturale: i talassemici portatori sani offrono un ambiente meno accogliente al plasmodio, così la malaria ha favorito gli individui affetti da talassemia minor. Un flagello secolare, responsabile di sofferenza e sottosviluppo: con la malaria il turismo, l'agricoltura e la stessa vita nei centri costieri non si sarebbero mai potuti sviluppare. Attorno a un tavolo siedono Giuseppe Brotzu (direttore dell'Istituto d'igiene dell'università di Cagliari), Alberto Missiroli (designato dall'alto commissario per l'igiene e la salute pubblica), Guido Casini (esperto nell'utilizzo del dicloro-difenil- tricloroetano, il famigerato Ddt) e una squadra fatta arrivare dagli Stati Uniti che comprende un entomologo (T.H.G. Aitken) e un esperto in tecniche di eradicazione (D.B.Wilson). Ci sono poi medici, agronomi, tecnici forestali, amministratori locali. È il quartier generale dell'Ente regionale per la lotta antianofelica in Sardegna (ERLAAS), i generali di un esercito di trentamila uomini, che combatterà fino a sconfiggere la malaria nel 1950. In questa guerra, nome in codice "Sardinia Project" furono determinanti il supporto scientifico e tecnico della Fondazione Rockefeller e i fondi dello Stato e dell'UNRRA (il fondo delle nazioni unite nato nel 1943 per sostenere la ricostruzione post bellica). Ne abbiamo parlato con Eugenia Tognotti, docente di Storia della Medicina e Scienze umane alla Facoltà di Medicina dell'Università di Sassari, autrice della più accurata ricostruzione storica di questa vicenda con Americani, comunisti e zanzare (Editrice Democratica Sarda, 1995) e La malaria in Sardegna (Franco Angeli, 1996). È corretto dividere la storia della Sardegna in prima e dopo la malaria? «Non c'è dubbio: l'eradicazione della malaria ha aperto un capitolo nuovo nella storia della Sardegna contemporanea: per la prima volta grandi pianure, prima abbandonate a causa della malattia, sono state recuperate all'agricoltura e all'insediamento umano. Circondata fin dai tempi più remoti dalla triste fama di "isola pestilente", luogo di esilio e di pena, la Sardegna è diventata vivibile». Fino a poco tempo fa sui muri di molte case erano ancora visibili i segni lasciati dalle squadre che irrorarono tutti gli edifici: il DDT è stato scagionato o resta pericoloso? «Proibito ovunque negli anni Settanta, il Ddt, a quanto ho potuto vedere in alcune recentissime pubblicazioni scientifiche, sta subendo un processo di riabilitazione. Che presentasse problemi per la salute, gli americani lo sapevano dal 1946, quando l'esperimento di eradicazione era già avviato. Ho avuto modo di leggere due lettere riservate in cui si sosteneva che veterinari e agronomi avevano segnalato il pericolo di quell'insetticida. Successivamente, nel 1948, una lunga relazione confidential commissionata a un ricercatore della John Hopkins University, segnalava che il fiume di Ddt riversato su acque e campagne minacciava nel tempo una vasta contaminazione ambientale e l'accumulo nei tessuti di molti animali, compreso l'uomo. Ma la determinazione della Fondazione Rockefeller era tale che niente avrebbe potuto fermarli. Il principale problema del Ddt, come segnalava il rapporto, sta nella facilità con cui l'insetticida veniva trasmesso da un organismo all'altro attraverso le reti alimentari, raggiungendo una diffusione estremamente più vasta dell'originario ambiente di applicazione». Le ultime due generazioni non conservano alcun ricordo del flagello: nulla è rimasto nell'immaginario collettivo? «Per i più giovani la malaria è poco più di un nome. Non è così, invece, per le generazioni che hanno conosciuto l'epopea della grande battaglia della fine degli anni Quaranta. L'interesse è sempre vivissimo, come posso constatare in tutte le occasioni in cui mi capita di parlare della malaria. Va anche ricordato che decine di migliaia di uomini trovarono un lavoro stabile e ben remunerato nell'ERLAAS in un periodo di gravissima crisi dell'occupazione». Un raro esempio di sardi uniti. «Esatto, vorrei sottolineare che per la prima volta nella storia della Sardegna, una storia segnata dall'individualismo e dalla disunione, tanti uomini, di paesi e dialetti diversi, si trovarono a lavorare insieme per un obiettivo comune. Se mai c'è stata nella storia dei sardi una Die de sa Sardigna, è stata la guerra alla malaria che ha impegnato disboscatori, spruzzatori, studenti, tecnici, igienisti, agronomi. La facoltà di agraria appena nata a Sassari fu subito coinvolta, e così l'intera comunità regionale». Andrea Mameli ______________________________________________________________ Repubblica 15 mag. ’06 TERAPIA DEL DOLORE UN PASSO INDIETRO DUE passi avanti e uno indietro. Un detto che si addice alla terapia del dolore nel nostro Paese. Se i lettori ricordano, questa rubrica ebbe qualche merito nella approvazione di una legge lungamente attesa per facilitare la prescrizione e l’uso degli oppiacei nei casi di dolore grave, sia nei malati terminali come anche nella sofferenza acuta o cronica dei pazienti affetti da patologie dolorose. Fu uno degli ultimi atti della Camera, prima dello scioglimento nel 2001, con Veronesi ministro della Sanità. Il motivo ispiratore di tutte queste misure consisteva nel separare nettamente la normativa attinente le terapie sanitarie da quelle che sovrintendevano la lotta alla droga come anche le somministrazioni di metadone per dissuefare dalla stessa. Almeno questi punti sembravano acquisiti anche se permanevano residui impedimenti burocratici e, soprattutto, una grave arretratezza culturale degli ambienti medici. Fino a quando la nuova legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti ha di nuovo fatto ricadere la prescrizione degli oppiacei a fini terapeutici sotto l’occhio vigile del controllo penale anti-droga. A proposito di questa legge la Federfarma, organo rappresentativo dei farmacisti, lamenta il fatto che essa «ridisegna l’intero complesso di norme che disciplinano l’erogazione e la preparazione dei medicinali oppiacei, intervenendo nella classificazione delle sostanze, sul tipo di ricetta medica necessaria per i vari farmaci e sugli adempimenti a carico di medici e farmacisti. Il farmacista è tenuto a controllare la regolarità della ricetta: dalle generalità dell’assistito, che deve verificare dietro richiesta di un documento, alle dosi e modalità di somministrazione, ai dati professionali del medico, timbro e firma. Egli deve, inoltre, conservare per due anni copia della ricetta e registrare i farmaci in un apposito registro di entrata e di uscita, controfirmato in ogni pagina da un responsabile dell’Asl. Se commette qualche errore, anche formale, nell’iter procedurale il farmacista può essere sottoposto a una multa fino a 26.000 euro ma anche incorrere nella reclusione da 8 a 20 anni. Il che comprova come si sia tornati a sottoporre la terapia del dolore alle norme penali concernenti la lotta alla droga. Il dott. Claudio Blengini di Dogliani (Cuneo) che, come rappresentante dei medici di famiglia, fa parte della commissione ministeriale di studio sulle terapie del dolore, e che si batte da tempo in maniera encomiabile per renderla possibile, mi scrive: «Che il malato debba essere obbligato a mantenere copia della ricetta per scagionarsi da una eventuale contestazione di abuso mi sembra una umiliazione grave. E poi quale copia deve ritenere? La copia del medico che la precedente riforma aveva esentato dalla conservazione o la fotocopia della copia per il farmacista? Così mentre l’obbiettivo era di semplificare ancor più di quanto avevamo fatto, visto che molti professionisti della sanità seguitano a pensare che il dolore non sia un problema, si torna invece a complicare tutto di nuovo. L’ultima legge va, quindi, modificata al più presto dal nuovo governo». Con ben giustificata puntualità è ora intervenuto il Tribunale per i diritti del malato- Cittadinanzattiva che ha presentato il 28 scorso la Carta dei diritti contro il dolore inutile nella quale, oltre a chiedere una rapida revisione della legge Fini-Giovanardi, rivendica i seguenti principi: il diritto a non soffrire inutilmente, al riconoscimento del dolore, all’accesso alla sua terapia, a una assistenza qualificata e continua, a una scelta libera e informata, a non provare inutilmente dolore durante gli esami diagnostici invasivi e non. Si richiede, infine, di assicurare una corretta terapia del dolore ai soggetti che «non hanno voce», i bambini e gli anziani. Spero davvero che il prossimo ministro della Sanità si attivi per facilitare l’attuazione di questi diritti, ormai entrati nella comune prassi di cura in tutti i paesi civili. Ma non Italia, come scrive nel suo libro “Contro il dolore” (ed. Frassinelli) , scritto in collaborazione col fratello Mario, il prof. Marco Pappagallo, docente alla New York University, considerato il numero uno della terapia del dolore negli Stati Uniti. Il libro si apre con queste parole: «Soffrire non è un obbligo, eppure in Italia sembra che lo sia. Nella cura del dolore, ormai comunemente inquadrato come malattia, il mondo soprattutto negli ultimi dieci anni ha fatto passi da gigante tanto che oggi il 90% di chi soffre può trovare la soluzione al suo problema. L’importante è proporla ». MARIO PIRANI ______________________________________________________________ La Stampa 17 mag. ’06 I FARMACI PERSONALIZZATI «LEGGONO» LE INTERAZIONI DI OGNI CELLULA IPALPABILI come la sabbia che si dissolve nell’oceano davanti a Boston, le 10 tecnologie emergenti sfuggono alle spiegazioni approssimative e si intrufolano dappertutto: si ribellano al peso e alla visibilità e per queste magiche proprietà «eserciteranno presto uno spiazzante impatto globale, dal business alla medicina e anche nella cultura». «E’ la loro caratteristica», annuncia «Technology Review», la rivista del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, uno dei massimi centri di ricerca d’America e del mondo, affacciato sul Charles River, di fronte a Boston e alle sabbie dell’Atlantico tempestoso. La prossima tempesta - spiega l’inchiesta - si abbatterà un’altra volta sulla nostra già vulnerabile quotidianità. Dovrebbe semplificarla, ma non è detto. E’ probabile che le «10 Grandi Idee» - legate a discipline di frontiera, come le scienze delle vita, le nanotecnologie e la prometeica Internet - la complichino ancora, cancellando gli ultimi frammenti di privacy e di spontaneità. E intanto, insinuandosi in noi, dovrebbero trovare le strade per le cellule, le proteine e il Dna, guarendoci con efficacia da fantascienza. Si chiamano Interatomica comparativa, Nanomedicina, Epigenetica, Radio cognitiva, Riprogrammazione nucleare, Diffusion tensor imaging, Autenticazione universale, Nanobiomeccanica, Wireless pervasivo e Silicio modellabile e raggiungono vette di complessità malamente suggerite dai nomi astrusi con cui sono state battezzate. La prima è l’esempio perfetto: l’Interatomica comparativa è la nuova fabbrica dei farmaci personalizzati, confezionati in base alle interazioni all’interno di ogni cellula, in cui i protagonisti sono geni, Rna, metaboliti e proteine. Queste mappe stanno agli studi tradizionali come un film sta a un fotogramma: un’anticipazione, clamorosa, l’ha fornita Trey Ideker, biotecnologo all’Università di San Diego in California: ha confrontato azioni e reazioni delle proteine nel moscerino della futta, nel verme nematodo e nel parassita della malaria, il Plasmodium falciparum, e, pubblicando i test su «Nature», ha spiegato l’obiettivo finale: ideare modelli computerizzati con i quali progettare medicine intelligenti, finalmente prive di effetti collaterali. E’ una rivoluzione, a cui la Nanomedicina vuole dare un contributo decisivo: che cosa c’è di meglio per trasportarle se non missili infallibili come le nanoparticelle? Planano sulla superficie delle cellule malate (tipo quelle cancerose) e ne ingannano le difese, facendosi inghiottire con il loro carico ammazza-tumore. Per affinare la strategia d’attacco proprio all’MIT gli scienziati dediti alla Nanobiomeccanica misurano le metamorfosi fisiche delle cellule, quando parassiti, microbi e virus le invadono e le degradano: quelle malate - ha spiegato Subra Suresh - perdono la naturale elasticità, alterando le loro proprietà conosciute. Curare con logiche simili significherà cambiare da cima a fondo le tecniche delle diagnosi: lo prevede l’Epigenetica, impegnata a esplorare le interazioni chimiche del Dna, un microuniverso di spaventosa complessità: tanto per dare un’idea - ha sottolineato il biochimico Alexander Olek - in ogni cellula sono attivi almeno 20 mila geni e questi si accendono e si spengono, obbedendo a segnali a livello atomico. Anche in questo caso l’hi tech genera visioni sistematiche, superando l’impasse dei vecchi dati parcellizzati: l’ennesima prova è il Diffusion tensor imaging, con la quale frequenze radio e gradienti magnetici tracciano i movimenti delle molecole d’acqua nel cervello, svelando le comunicazioni tra aree diverse e quindi gli enigmi di malattie come la schizofrenia. L’organismo diventa, così, uno spettacolo trasparente, mentre si studiano inedite soluzioni per il super- organismo che ci avvolge, Internet: la Radio Cognitiva e il Wireless pervasivo creeranno reti di sensori per monitorare tutto, dalla temperatura corporea alle condizioni di un campo di grano, l’Autenticazione universale imporrà sistemi di identificazione online a prova di hacker, il Silicio modellabile reinventerà l’utilizzo dell’elettronica e, infine, la Riprogrammazione nucleare esaudirà il sogno al momento più universale: manipolare le proteine per costringere le cellule adulte a comportarsi come cellule staminali embrionali e, salvando l’etica, salvarci dal cancro come dall’Alzheimer. Gabriele Beccaria ______________________________________________________________ Le scienze 19 mag. ’06 UN DANNO AL DNA? È P21 LA PRIMA PROTEINA A INTERVENIRE La proteina era già nota per la sua capacità di bloccare la proliferazione cellulare Gli studi sui meccanismi impiegati dalle cellule per difendersi dai danni al DNA indotti da agenti chimici e fisici costituiscono un punto importante per capire come le cellule che perdono tali capacità di difesa si trasformano da normali a tumorali. Un passo in avanti su queste conoscenze è stato compiuto dall’équipe di Ennio Prosperi dell’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, in collaborazione con il laboratorio di patologia generale dell’Università di Pavia e del Max Delbruck Center for Molecular Medicine di Berlino. Questi risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Cell Science. “I ricercatori hanno svelato un comportamento finora insospettato della proteina ” spiega Prosperi. “Questa proteina viene utilizzata dalle cellule nel processo di riparazione del DNA, perché è in grado di localizzarsi in tempi rapidissimi (insieme ad un’altra proteina, nota come PCNA) nei siti dove è avvenuto il danno. Questa localizzazione di p21 non si manifesta in cellule di pazienti con malattie genetiche in cui la riparazione del DNA è difettosa, né in alcuni tipi di cellule tumorali.” La proteina p21 era già nota per la sua capacità di bloccare la proliferazione cellulare in seguito all’esposizione ad agenti che danneggiano il DNA, un sistema con cui le cellule del nostro organismo ‘prendono tempo’ per riparare tali danni ed evitare che possibili mutazioni del DNA trasformino la cellula normale in tumorale. L’identificazione di questo nuovo comportamento della proteina, però, implica la sua diretta partecipazione al processo di riparazione e quindi alla difesa contro gli agenti cancerogeni. La scoperta permetterà di capire ulteriormente i meccanismi di difesa cellulare contro le alterazioni del DNA e di sfruttare queste nuove conoscenze per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali. Infatti, in alcuni studi clinici già oggi vengono utilizzati farmaci che inducono le cellule tumorali a produrre la proteina p21, che normalmente è poco o per nulla espressa in molti tumori umani. ______________________________________________________________ Le scienze 18 mag. ’06 UNA NUOVA MOLECOLA CONTRO IL GLIOMA Agisce inibendo in due fasi la chinasi PI3 coinvolta nella proliferazione cellulare Si candida a essere il composto più efficace nel bloccare lo sviluppo di un grave tumore cerebrale come il glioma, ed è stato testato sui topi di laboratorio presso l’Università della California a San Francisco. Secondo quanto si legge nel resoconto della ricerca pubblicato sulla rivista “Cancer Cell”, la PI-103, questa la sigla che indica la sostanza, deve la sua straordinaria efficacia al fatto di intervenire in due distinte fasi della trasmissione di segnali mediati dalle proteine chinasi che, com’è noto, sono enzimi coinvolti nella normale proliferazione cellulare e nella crescita tumorale. Esiste anche un altro gruppo di chinasi, note come chinasi dei lipidi, che è stato indicato nella letteratura recente come bersaglio per nuovi farmaci. In particolare, si è riscontrato che la chinasi PI3 alfa è iperattiva nei tumori del cervello, del seno, del colon e dello stomaco. Nei laboratori dell’UCSF si è dimostrato che la PI-103 è in grado di inibire sia la chinasi PI3 sia la proteina chinasi nota come mTOR, che opera a valle della PI3 e fa parte del sistema di rilevazione dei nutrienti della cellula. Secondo William Weiss, che ha partecipato allo studio, l’efficacia nei confronti dei gliomi nei topi fa della PI-103 una candidata per lo sviluppo di farmaci da utilizzare sull’essere umano: i trial dovrebbero cominciare già entro un anno. ______________________________________________________________ Le scienze 17 mag. ’06 STUDI CLINICI: DIFFERENZE FRA PROFIT E NO PROFIT Sui risultati influiscono i differenti end points assunti nelle ricerche I trial clinici in campo cardiovascolare i cui risultati sono stati pubblicati fra il 2000 e il 2005 hanno dato maggiori risultati positivi quando sono stati condotti presso enti con scopo di lucro che non quando sono stati svolti presso enti no profit. È questo il risultato di uno studio condotto da Paul M. Ridker, del Brigham and Women's Hospital, e da Jose Torres, della Harvard Medical School di Boston, e pubblicato sul numero odierno di JAMA (“Journal of the American Medical Association”), che conferma precedenti ricerche randomizzate sulle pubblicazioni avvenute fra il 1990 e il 2000. I due ricercatori hanno analizzato i risultati di 324 trial clinici cardiovascolari pubblicati su “JAMA”, “The Lancet” e “New England Journal of Medicine”. In generale, il 58,6% dei trial riportava evidenze molto favorevoli a nuovi trattamenti, il 34,6% non rilevava differenze e il 6,8% favoriva il trattamento standard. Nei trial condotti da enti no profit, il tasso di quelli favorevoli ai nuovi trattamenti era del 49%, e il 51% non rilevava differenze significative. Fra quelli condotti da enti con fini di lucro, a dare risultato positivo per i nuovi trattamenti era il 67,2% mentre solo il 32,8% non indicava differenze rilevanti. Il risultato dello studio ripropone vecchie questioni e preoccupazioni di carattere etico sulla progettazione delle ricerche, tuttavia secondo gli autori va tenuto presente che almeno parte della discrepanza sembra derivare dalla differenza fra i tipi di end point che prevalgono nei due tipi di struttura, da una parte quelli puramente clinici, dall’altra quelli strumentali, quali per esempio ecografia intravascolare, biomarker plasmatici, e altre misurazioni funzionali che in genere danno risultati maggiormente positivi (67%) rispetto agli altri (51,4%) ______________________________________________________________ Corriere della Sera 18 mag. ’06 TRAPIANTI DI FEGATO, STAMINALI COME CURA ANTIRIGETTO DUE PAZIENTI SU DIECI Per ora il metodo funziona solo su 20 persone che assieme al fegato trapiantato hanno ricevuto staminali dal donatore L' esperimento di un medico italiano che lavora a Miami. «Ora i test anche per i diabetici» DAL NOSTRO INVIATO PAVIA - Cellule staminali come cura antirigetto. Negli Stati Uniti venti persone con un fegato trapiantato sopravvivono da alcuni anni senza bisogno di farmaci immunosoppressori: insieme all' organo hanno ricevuto anche cellule staminali del midollo del donatore. «L' idea - spiega Camillo Ricordi, direttore del dipartimento di trapianto cellulare e di diabetologia all' Università di Miami - è che le staminali del donatore possano rieducare il sistema immunitario del ricevente, eliminando il rigetto e il bisogno di farmaci immunosoppressivi. Succede soltanto nel venti per cento dei pazienti trapiantati e stiamo cercando di capire perché». Ora lo scienziato italiano sta sperimentando questa tecnica anche nei diabetici: due pazienti (uno dei quali è una donna italiana) hanno ricevuto un trapianto di cellule del pancreas che producono insulina e, a distanza rispettivamente di 9 e 3 mesi, non hanno bisogno di farmaci. Non solo: quando le staminali vengono trapiantate nei diabetici insieme a quelle che producono insulina hanno un altro vantaggio: riducono la probabilità che queste ultime smettano di funzionare con il passare del tempo «Se le staminali si confermeranno capaci di impedire il rigetto - ha aggiunto Ricordi - e ridurranno, quindi, il peso degli effetti collaterali legati alla terapia immunosoppressiva, ci saranno in futuro più diabetici, costretti alla terapia con insulina, che vorranno ricorrere al trapianto di isole. I donatori allora non basteranno più e ancora una volta sono le staminali a lasciare intravvedere una possibile soluzione». L' obiettivo dei ricercatori è quello di obbligare le staminali a specializzarsi in cellule produttrici di insulina e di ottenerne in gran quantità. Ricordi, insieme con altri protagonisti della ricerca sulle staminali come gli inglesi Keith Campbell, il vero papà di Dolly e John Gurdon, il pioniere della clonazione con i suoi esperimenti condotti sulle rane, ha partecipato a Pavia a un convegno per il centenario dell' assegnazione del Nobel a Camillo Golgi, un pioniere degli studi di biologia cellulare. «La ricerca sulle staminali - ha aggiunto Carlo Alberto Redi, direttore del laboratorio di Biologia dello sviluppo all' Università pavese, lanciando un appello perché aumentino i fondi ai neoministri della ricerca Fabio Mussi (che ha già risposto favorevolmente) e della salute Livia Turco - rappresenta uno dei motori del progresso sociale ed economico dei Paesi avanzati». Bazzi Adriana ______________________________________________________________ Corriere della Sera 16 mag. ’06 APRIAMO UN MERCATO LEGALE DEGLI ORGANI New York Times e Wall Street Journal: diamo la possibilità di vendere un rene Donazioni da cadaveri o da viventi. Scoppia la polemica sulla proposta lanciata dal Nobel Gary Becker. «Troppi in lista d' attesa per i trapianti» DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - «Vampiri americani» titola, indignato, il San Francisco Chronicle. L' allarme nasce da un «turismo dei trapianti» che è sempre più diffuso, ma anche dal fatto che un atto dettato dalla disperazione, del quale, però, un tempo ci si vergognava (comprare clandestinamente un rene o un fegato all' estero, nel timore di non sopravvivere alle lunghe liste d' attesa della sanità Usa), sta diventando un comportamento socialmente accettato del quale gli interessati arrivano addirittura a vantarsi. Il quotidiano californiano cita varie storie come quella di Eric De Leon, un cittadino americano che ha addirittura creato un «blog» su Internet nel quale racconta la sua esperienza: una trapianto di fegato a Shanghai, costato 110 mila dollari. Il donatore? Un detenuto condannato a morte. De Leon non ha crisi di coscienza, nemmeno davanti al sospetto che le esecuzioni vengano accelerate per rifornire le cliniche dei trapianti (la Cina non dichiara nemmeno quante condanne a morte vengono eseguite ogni anno): «Ho degli obblighi con la mia famiglia», il resto viene dopo. In questo clima non deve stupire che negli Usa si stia cominciando a discutere seriamente della creazione di un mercato legale degli organi da trapiantare. La proposta, avanzata qualche tempo fa dal Nobel per l' economia Gary Becker, è stata rilanciata ieri, con curioso sincronismo, dai liberisti dal Wall Street Journal, ma anche dal New York Times. Il giornale progressista ha aperto la sua pagina dei commenti ad un articolo scritto da Sally Satel, una studiosa dell' American Enterprise Institute, il più celebre tra i luoghi di elaborazione del pensiero «neocon», che ha appena ottenuto (legalmente) un rene «nuovo» ed ora si chiede se non sia giunto il momento di rompere quello che considera un tabù: vendere una parte del proprio corpo. Sul Wall Street Journal Richard Epstein, un professore dell' università di Chicago, non va tanto per il sottile: sostiene che i dubbi etici - se paghiamo per un rene o una parte di fegato non avremo più donatori disinteressati e creeremo un' ulteriore sperequazione a danno dei poveri (impossibilitati ad acquistare organi e, anzi, spinti a diventare donatori) - vanno accantonati davanti alla realtà delle lunghissime liste d' attesa: 18 persone muoiono ogni giorno perché non riescono ad ottenere il rene che potrebbe salvare loro la vita. Il quotidiano della comunità finanziaria critica l' Institute for Medicine, un organismo governativo, per il suo rifiuto di avviare una revisione delle norme attuali che vietano di cedere un organo - da vivo o dopo la morte - in cambio di denaro. «Solo un esperto di bioetica - protesta Epstein - può preferire un mondo con mille altruisti che donano un organo e 6.500 morti per mancanza di un sufficiente numero di persone altruiste, a un mondo nel quale non ci sono altruisti e non ci sono decessi per mancanza di organi». Sally Satel è meno brutale nel suo approccio: riconosce il peso delle ragioni etiche e pratiche che hanno spinto i Paesi avanzati a vietare fin qui il commercio di organi, ma aggiunge che le liste d' attesa legali che oggi condannano a morte molti pazienti in futuro non potranno che peggiorare: le nuove tecnologie rendono operabile un numero crescente di pazienti, mentre la diminuzione delle morti per traumi improvvisi riduce il numero di organi trapiantabili da soggetti non più in vita (quelli di chi muore di vecchiaia o dopo lunga malattia non sono utilizzabili). L' anno scorso dei 70 mila americani in lista d' attesa per un rene, solo 16 mila hanno ottenuto un trapianto. Come evitare attese di molti anni? In primo luogo creando un incentivo a dichiararsi donatore in caso di decesso improvviso (oggi meno del 40 per cento degli americani offre la sua disponibilità). E poi, propone la studiosa dell' Aei, creando un «mercato regolato» degli organi. Una via potrebbe essere quella di offrire non denaro ma assistenza sanitaria gratuita, il finanziamento di una buona scuola per i suoi figli e un' assicurazione sulla vita a chi dona un rene. Il rischio che a vendere gli organi siano soprattutto le persone più povere, spinte dal bisogno, secondo la Satel, potrebbe essere ridotto non solo evitando l' erogazione diretta di denaro, ma anche offrendo, ad esempio, sgravi fiscali di cui si avvantaggerebbe solo chi già oggi gode di un reddito superiore a quello di sussistenza. Anche con tutte queste cautele l' idea del commercio degli organi rimane assai difficile da accettare. Ma nel mondo globalizzato sono ormai molti i Paesi «emergenti» che hanno legalizzato questa pratica e tecnologie e dinamiche demografiche spingono inesorabilmente verso un aumento del fabbisogno di organi da trapiantare. I liberisti sono convinti che le resistenze prima o poi cadranno e sostengono che anche i poveri avranno i loro vantaggi perché con l' apertura al mercato chi può farà da solo e così si accorceranno le liste d' attesa degli ospedali pubblici. Le idee * * * LE CIFRE Nel 2005 solo 16 mila dei 70 mila americani in lista d' attesa hanno ottenuto un trapianto. In America offre la sua disponibilità a donare gli organi in caso di morte improvvisa soltanto il 40% dei cittadini LA SOLUZIONE Il New York Times rilancia l' idea di creare un mercato regolare degli organi. Al posto del denaro, il donatore potrebbe ricevere benefici economici e sociali: assistenza sanitaria gratuita, spese scolastiche per i figli e altro. Per evitare che a «vendersi» siano soltanto i più poveri Gaggi Massimo