CATASTROFICA UNIVERSITA’ - UNIVERSITÀ, RITORNO AL PASSATO - TROPPE UNIVERSITÀ "FAI DA TE" E TELEMATICHE. - SUPPLEMENTO D'ESAME PER LE NUOVE LAUREE - E MERITO NELLA NEBBIA - CON LA RIFORMA PIÙ LAUREATI «IN CORSO» - BOOM DI DOTTORI A 23 ANNI - UNIVERSITÀ LA RIFORMA PERDE PEZZI - CALABRIA, CHIUDERE QUELL'ATENEO PRIVATO - NON ESAGERATE CON LA SCIENZA - RUBBIA: L'ITALIA HA DETTO NO ALLAMIA CENTRALE SOLARE. E IO VADO IN SPAGNA» - MELIS: IL REGNO DI PASQUALE VI HA PERSO LA SUA UNITÀ - SASSARI: NUOVO RETTORE, IL 7 GIUGNO IN CAMPO TRE CANDIDATI - SCELTA DELLA FACOLTÀ: ORA C'È UNA GUIDA PER TUTTI GLI STUDENTI - NELLA PA 3.700 ASSUNZIONI MA SOLO DAL L' NOVEMBRE - CAGLIARI: MASTER FANTASMA, UN ANNO PERDUTO - ======================================================= FA: AZIENDA MISTA ANCORA ALL’ANNO ZERO - IL PRESIDE DI MEDICINA: AZIENDA MISTA, SIAMO IN ALTO MARE - TURCO:BUONO IL VOSTRO PIANO SANITARIO - TURCO: LA DIRINDIN STA LAVORANDO BENE» - CISL E CGIL: LA ASL 8 È DIVENTATA TRASPARENTE» - MARROCU: GRAVE CHE GUMIRATO PARLI AI DIPENDENTI E NON CON I SINDACATI - DALLA SANITÀ NUOVA TEGOLA SUL DEBITO - DIRINDIN: TROPPI LAUREATI, STOP AGLI ACCESSI» - STUDENTI: «IL NUMERO CHIUSO È UNA FALSA SOLUZIONE» - LIVIA TURCO:ABORTO,VIA LIBERA ALLA PILLOLA - PAOLO PANI: CARO FA LE ISTITUZIONI STIANO FUORI - IN CAMICE DA CINQUANT'ANNI - PUNTO D’INCONTRO TRA LE ASL E L’UNIVERSITÀ - L’INFARTO SI STUDIA SUL CUORE DEL MANICHINO - WELFARE: BISOGNA SAPER SPENDERE - MEDICINA DEL LAVORO: 3000 DELEGATI FANNO IL PUNTO SULLA SITUAZIONE - PARTORIRAI SENZA DOLORE - IL BOTOX ELIMINA LA DEPRESSIONE IN 9 DONNE SU 10 - SULLA MALARIA LA BANCA MONDIALE MENTE» - DOPO UN INFARTO IL CUORE SI AUTORIPARA - LA MACCHINA CHE "INSEGUE" IL TUMORE - DAY HOSPITAL ONCOLOGICI, COMFORT SCARSO - TUTTI I TRUCCHI DELLA PESTE - I GENI CHE DAL DENTE PORTANO AL CUORE - IPERTENSIONE ARTERIOSA: IDENTIFICATO UN NUOVO GENE - QUANDO L' ESAME ETNICO DEL DNA DIVENTA UN AFFARE - I MASCHI A RISCHIO DI «ANORESSIA SESSUALE» - ======================================================= ________________________________________________________ La repubblica 23 mag. ’06 CATASTROFICA UNIVERSITA’ Negli ultimi sessanta anni, in Italia, sono accadute molte catastrofi: alluvioni, terremoti, inondazioni. Ma la catastrofe di gran lunga più grave è stata la cosiddetta Riforma Berlinguer, immaginata otto anni fa dal governo presieduto da Romano Prodi. Gli italiani, che hanno la memoria brevissima, se ne sono dimenticati: magli studenti, i professori, il paese ne subiscono il terribile effetto, che andrà moltiplicandosi nei prossimi anni. Mi riferisco alle facoltà di tipo umanistico: non a quelle a carattere sopratutto tecnico. La Riforma Berlinguer ha distrutto e sta continuando a distruggere la probabilità che in Italia si formi quella che chiamiamo un'élite moderna. Non voglio ripetere cose notissime: ma senza un'élite colta e intelligente un paese non vive, non si sviluppa, non si arricchisce. Senza un'élite, un paese è votato alla rovina: specialmente nei nostri anni, quando l'attività industriale si è in buona parte trasferita in Cina o in India, dove si sta diffondendo una cultura specializzata già superiore, per certi versi, a quella italiana. Ma all'onorevole Berlinguer, circondato dal suo radiosissimo alone di gloria, non importa nulla della nostra classe dirigente. La catastrofe si preparava da anni. Ricordo un mediocre studioso di diritto romano lamentarsi dolorosamente, in qualche raduno televisivo, della mortalità universitaria. Non riuscivo a capire. Pensai che la Peste, o il Colera, o il Tifo, 0l’Aids, o Ebola, avessero spopolato i folti banchi della Sapienza. Lo specialista di diritto romano rassicurò il pubblico: no, Ebola non era arrivato fin qui. Il danno era molto più grave. Gli studenti universitari non terminavano le facoltà che avevano iniziato: innumerevoli fuori-corso languivano nei tristi corridoi delle università italiane. Il professore sbagliava. Che soltanto il venti o il trenta per cento degli studenti di lettere giungessero alla laurea era un fatto positivo. Se si fossero laureati tutti, l'Italia avrebbe conosciuto una disastrosa disoccupazione scolastica. Così, invece, decine di migliaia di giovani ritornavano a Barletta o a Fabriano o a Alba o a Sanremo: vi aprivano un negozio di verdure o di formaggi o di tartufi o una piantagione di garofani, e trascorrevano volentieri il resto della vita, con nella memoria un vago ricordo di Omero, di Saffo e di Erodoto. Mi chiedo se, alcuni anni dopo l'applicazione della Riforma Berlinguer, si possa fare qualcosa per diminuirne le conseguenze negative. Il primo fatto, generalmente riconosciuto, è che il corso minor di tre anni non serve a niente: dopo tre anni, lo studente non sa quasi nulla: non può insegnare nelle medie e nei licei; non gli resta (se ha imparato una lingua) che fare la guida turistica o lavorare m un agenzia di viaggi, eventualmente aggiungendo ai tre anni universitari un master privato inutile e costoso. Intanto, il complicato meccanismo di crediti e moduli, che regge l'insegnamento secondo il modello americano, ha dimostrato la propria inefficienza. Gli esami si sono triplicati: il lavoro dello studente è aumentato; salvo che egli impara pochissimo, perché non si può insegnare qualcosa di decoroso su Shakespeare o Petrarca nel corso di poche settimane. Non è possibile che La Sapienza di Roma stabilisca che, durante un modulo, uno studente non debba leggere più di 200 pagine (testi compresi), per evitare che le sue energie psico-cerebralie quelle dei genitori e della fidanzata vengano irreparabilmente logorate ed esaurite. Il sistema dei moduli va limitato o reimmesso nel vecchio equilibrio degli esami annuali, che era molto più efficace. Forse andrebbe ricordato che l'uggioso edificio universitario, con le grandi aule squallide, i melanconici corridoi, le scale sbrecciate, ha un solo aspetto positivo: che visi studi. Dopo i tre anni di insegnamento minore, gli studenti dovrebbero affrontare i due anni di insegnamento specialistico: dico dovrebbe ro, perché coloro che li hanno abbracciati sono, per ora, pochi. Dopo i due anni di specialistica, può avvenire un concorso. Chi lo vince, diventa dottorando per tre anni, e riceve un piccolo stipendio. Ma dopo i tre + due + tre = otto anni di studio, la sua carriera è bloccata. Il dottorando è costretto a diventare, attraverso vari gradini, professore universitario. Ma se, all'Università, non ci sono posti liberi? O se egli preferisce insegnare nei licei? Questo gli è severamente proibito: i dottorandi, vale a dire i più colti e intelligenti tra gli studenti italiani, non devono insegnare nei licei, che pure avrebbero bisogno di loro. C'è soltanto una possibilità. Seguire altri due anni di corsi di didattica: cosa assolutamente idiota, perché per imparare a insegnare basta un corso di due mesi, congiunto con la disposizione naturale per l'insegnamento, senza la quale nessuno diventerà mai professore. Non voglio nascondere che questo è un discorso puramente fantastico, perché per il dottorando non esistono, oggi, né posti nell'università né nei licei. Egli non troverà lavoro. Non farà niente. A meno che una vasta moria (la quale pare prevista dal nostro profetico Ministero) renda libere migliaia di cattedre. Mi piacerebbe raccontare quali nuove cattedre l'onorevole Berlinguer e i successori e i funzionari ministeriali e i rettori di università e i presidi di facoltà e i direttori di dipartimento hanno inventato. Sappiamo che nelle università americane c'è la cattedra di gelato artigianale, di cappellini per signore, di jeans per ragazzi e ragazze, di sandali per i tropici, di computer applicati all'analisi letteraria, di retto uso dei pannolini, di bella conversazione e di corteggiamento erotico. Va benissimo. Quella non è università. Ma non sarebbe inutile ridurre radicalmente il numero delle cattedre insensate, che oggi vengono aperte nelle università italiane. Una recente circolare del Ministro Moratti prescrive che i professori universitari devono fare almeno cento venti ore annue di lezioni frontali. C'è di nuovo, almeno per me, la difficoltà di capire. Cos'è una lezione frontale? Secondo i dizionari, frontale vuol dire: relativo alla fronte come parte anatomica: con la fronte rivolta verso chi osserva: visto di fronte: che avviene nella parte anteriore di uno schieramento militare: sezione realizzata secondo piani perpendicolari all'asse dorso-ventrale: facciata di una chiesa: mensola di un caminetto: piastra di ferro che chiude il fondo di un camino: parte della briglia che passa sulla fronte di un cavallo: antico ornamento femminile (cerchietto o nastro o filo di perle): parte dell'elmo; parte di metallo o di cuoio che copre la fronte del cavallo. Infine, quasi spossato dalla fatica ermeneutica, trovai nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia) la spiegazione giusta: frontale è un metodo di insegnamento, nel quale il professore siede in cattedra, di fronte ai suoi allievi. Non amo molto l'insegnamento fr-ontale: può essere agevolmente sostituito dalla lettura di un buon libro. La vera lezione, sebbene rivolta a non più di trenta studenti, è il cosiddetto seminario: soltanto nel seminario, compiuta in comune, il professore insegna agli studenti a leggere un testo, cercando insieme a loro le fanti e le allusioni e interpretandone le superfici e i segreti. Ma centoventi ore annuali di insegnamento frontale sano troppe: un vero professore deve leggere e studiare per conto proprio; ciò che esige infinito tempo e pazienza. Un ministro o un funzionario ministeriale o un preside pensano che questo sia inutile. È bene, invece, che un professore passi mattine e pomeriggi espletando del lavoro burocratico completamente assurdo, che il Ministero (visionario come tutti i Ministeri) gli impone. Un'altra origine di insensatezza è la distribuzione dei finanziamenti, da parte del Ministero, alle diverse università. I criteri sano molti, e non posso elencarli tutti. Basterà ricordare che la qualità della ricerca è un criterio malto meno importante di criteri esterni, come per esempio il possesso di computer. L'Università Orientale di Napoli è il luogo che, in Italia, dedica più attenzione allo studia delle civiltà orientali. Quale importanza (anche pratica) abbia, oggi, lo studio delle lingue e culture araba e cinese, non è necessaria ricordare. Ma l'Università Orientale ha anche una sezione «occidentale»: un professore di questa sezione ha da poco espresso la seguente opinione: l'Università deve essere più ancorata ai bisogni del territorio; vale a dire, suppongo, che l'Orientale, invece di studiare il buddismo o il manicheismo, dovrebbe dedicarsi allo studia psica- sociologico della camorra a Caserta e Castellamare di Stabia. Come è naturale, gli studenti che imparano la lingua e la letteratura persiana o turca sono meno numerosi di coloro che apprendono la letteratura italiana o inglese. Ma il Ministero provvede. Per il Ministero, non ha alcuna importanza che l'Università Orientale possegga una biblioteca di 200.000 volumi antichi, continuamente aggiornati, e che eccellenti studiosi vengano da Parigi o Tiibingen a parlare ai giovani orientalisti. Ciò che è grave è che gli studenti siano relativamente pochi rispetto ai professori. L'Orientale va dunque punita per eccesso di serietà. Infatti, l'anno scorso, il Ministero dell'Istruzione ha tolto quattro milioni di euro al finanziamento dell'Orientale: una catastrofe. Così l'imprecisione, l'inesattezza, la cialtroneria, la demagogia-questo è per molti italiani la cultura moderna - si diffondono. Non saranno né imprecisi né inesatti i cinesi e gli indiani che, un giorno, verranno a colonizzare la cultura universitaria italiana. Le norme introdotte anni fa distruggono ogni probabilità che l'Italia formi un'élite moderna. La laurea triennale non serve a nulla. Chi la ottiene può lavorare in un agenzia di viaggi o come guida turistica Il complicato meccanismo dei crediti ha dimostrato la propria inefficienza L'anno scorso il ministero ha tolto quattro milioni di euro all'Orientale di Napoli ________________________________________________________ Italia Oggi 26 mag. ’06 UNIVERSITÀ, RITORNO AL PASSATO Il sottosegretario all'istruzione spiega a ItaliaOggi lo stop della riform-a Moratti Modica: 3+2 da rilanciare. E atenei più autonomi - DI IGNAZIO MAIINO La riforma dell'università riparte dal 3+2, triennio di base e biennio di specializzazione. Altro che percorso a «Y» (1+2+2). Che, prima o poi, arriverà negli atenei. Ma solo come uno dei modelli possibili e non l'unico. Insomma per l’esecutivo guidato da Romano Prodi, la riforma Berlinguer-Zecchino ha tutt'altro che i giorni contati. Semmai un futuro ancora da scrivere. Partendo però da un suo restyling in grado di garantire più qualità della formazione e di evitare la proliferazione dei corsi triennali inutili. Ecco perché il neoministro dell'istruzione, Fabio Mussi, nei giorni scorsi ha deciso di «sospendere» una serie di decreti sull'università all'esame della Corte dei conti, a cominciare da quelli sulle classi di laurea. Luciano Modica è stato nominato sottosegretario al Miur. E a lui, dato il suo passato in Conferenza dei rettori delle università italiane (è stato segretario generale e poi, dal 1998 al 2002, presidente Crui), con molte probabilità sarà affidata la delega sull'università. A Italia Oggi ha spiegato perché il percorso a «Y» è stato sospeso. Domanda. Rivincita sul governo Berlusconi? Risposta. Assolutamente no. D. Bloccare i decreti relativi all'università è stato, però, il vostro primo atto... R. Mentre il centro-destra appena arrivato al governo nel 2001 ha abrogato la riforma della scuola, noi non abbiamo intenzione di usare lo stesso metodo. Avremmo potuto ritirare la riforma, invece l’abbiamo sospesa per tre mesi. D. Sospesa in zona Cesarini, però. L'iter legislativo dei due decreti stava per terminare, dato che i dm erano all'esame , della Corte conti... R. La riforma è stata accompagnata da uno strascico di polemiche con la Crui per a la forzatura ar applicare il nuovo modello a Y, seppure in via sperimentale, già dall'anno accademico 2006/2007. Davvero troppo poco tempo per gli atenei. Con la nostra iniziativa abbiamo inteso prendere tempo anche per migliorare la struttura della riforma. D. Quali punti vanno rivisitati? R. Noi crediamo molto nell'autonomia degli atenei. I decreti della Moratti vanno migliorati in questo senso. Il sistema va reso più flessibile e non più vincolante e, quindi, le regole semmai vanno diminuite e non aumentate. D. I dm del Miur prevedono, per i passaggi da una facoltà all'altra, dei vincoli precisi per il riconoscimento dei crediti maturati. Interverrete anche qui? R. Il sistema va completamente rivisto. Ci pare opportuno dare anche maggiori possibilità agli studenti di integrare il piano di studio con diverse materie. D. Sembra che del modello a Y non si salvi nulla... R. L'idea non è di cancellarlo. Anzi. Può andare bene per certi corsi di laurea, ma deve poter convivere con il3+2. Agli atenei la scelta per uno o per l'altro sistema. Oppure per entrambi. È questo che intendiamo per autonomia. Senza dimenticare la qualità dei corsi di laurea. D. Quali modifiche per le lauree triennali? R. È vero che con il3+2 i corsi di primo livello sono cresciuti troppo senza una reale esigenza. Qui interverremo con dei paletti. Vanno , stabiliti dei criteri certi per garantire la qualità dell'insegna- , mento. Non basterà quindi solo la struttura logistica per avviare un corso di laurea. Ma occorrono anche risorse tecniche e accademiche certe D. Insomma un nuovo smalto per la Berlinguer-Zecchino... R. Non si tratta di scegliere un sistema piuttosto che un altro. Ma di mettere gli atenei in condizione di competere fra di loro. A guadagnarne sarà la qualità della formazione ________________________________________________________ EUROPA 24 mag. ’06 TROPPE UNIVERSITÀ "FAI DA TE" E TELEMATICHE. Presto un giro di vite e una moratoria Modica: «Il nuovo ministero interverrà perché bisogna porre un freno a questi atenei dalla scarsa qualità che imbrogliano gli studenti» Non, solo il "Ranieri" di Villa. S. Giovanni e da Lum di Casamassima. Nel mirino anche quelle via web come da. Marconi e la Terma Basta con le piccole università private "fai da " e telematiche, spesso dì scarsa qualità che sono proliferate negli ultimi anni. Nella prossima legislatura ci sarà una specie di moratoria che impedirà il rilascio di ulteriori autorizzazioni ministeriali, Ma non solo. Ci sarà anche uno stretto giro di vite su quelle esistenti al fine dì costringerle a migliorare servizi e offerta formativa. Tutto al fine di proteggere quel, lo che da sempre nel sistema universitario italiano è Fanello debole: lo studente. Per il sottosegretario all'università e alla ri. cerca, Luciano Modica, il nuovo indirizzo del ministero diretto dal diessino Mussi è indispensabile «se si vuole davvero porre un freno a quegli istituti che di fatto imbrogliano gli studenti». Una linea politica preannunciata dal primo atto che il nuovo ministro lunedì pomeriggio ha compiuto: Mussi ha disposto il ritiro del decreto d'istituzione dell'università non statale "Franco Ranieri" con sede a Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria Si tratta di una specie di ateneo ad personam istituito dal rettore-fondatore Franco Ranieri che ha ben poche ragioni d'essere, visto chi si trova a tre chilometri da una università (quella di Messina) e a dodici da un altra (quella d Reggio Calabria). «L',ateneo di Villa San Giovanni è il primo caso di università "elettorale" -sottolinea Modica -perché il decreto d'autorizzazione ministeriale è stato firmato da. l'ex ministro Morattì il 16 maggio scorso, stesso giorno di un comizio elettorale di Berlusconi in Calabria». Ma il caso della Ranieri è solamente l’esempio più fresco ed eclatante di tutto il mondo, quello delle piccole università fatte ir casa, che ogni anno sfornano lauree con valore legale nonostante la qualità dubbia, ingannando così la buona fede degli studenti che si iscrivono. «Ce ne sono tante in Italia - sostiene il sottosegretario - ed il vero problema è che hanno accesso a fondi pubblici. La prima che mi viene in mente è ad esempio la Lutn "Jean Monney' di Casai massima, in provincia di Bari, ma ce ne sono molte altre». Altro punto dolente è la proliferazione delle università telematiche, anch'esse capaci di dare un titolo legale a fronte però di un’offerta formativa non sempre all'altezza. In Italia ce ne sono circa una decina, le più note sono la Marconi, la Nettuno, la Telma e la Iul. «Qui la situazione è un po' diversa - ci spiega Modica -. Questi atenei fortunatamente non hanno diritto alle risorse pubbliche. Tuttavia si sono moltiplicate perché sono sottoposte ad un procedimento autorizzativo particolare e più snello rispetto a quello ordinario. Ad esempio non è indispensabile il parere del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), organismo tecnico che normalmente fornisce consigli al ministro riguardo ai decreti d'autorizzazione. Artefice di questo procedimento ad hoc è l’ex ministro Tremonti, che inserì una norma nella Finanziaria del 2002 che istituiva e regolava questo nuovo iter». Per rilanciare la credibilità e la serietà del sistema universitario italiano, oltre al giro di vite e alla moratoria, Modica propone anche la creazione dì un’autorità indipendente dal ministero che si occupi proprio di dare o meno l'autorizzazione agli aspiranti atenei: «Un organo autonomo è indispensabile, visto che attualmente il Cnvsu è di nomina ministeriale e quindi per quanto autorevole può essere sempre influenzato. Emblematico è il comportamento tenuto riguardo all'ateneo Ranieri. Prima ha dato parere negativo e poi lo ha mutato in uno positivo». Di certo l’attività del comitato è stata osteggiata dal continuo taglio di fondi che il ministro Moratti ha perseguito in questi 5 anni. Per Luciano Guerzoni, ex sottosegretario all'istruzione nei governi Prodi e D'Alema, «negli ultimi tempi il comitato non aveva i soldi neanche per mandare in giro gli ispettori», messo quindi in condizioni tali «da non poter svolgere la propria attività». Guerzonì quindi consiglia al nuovo ministro di «trovare nuove risorse per il Comitato e soprattutto attivare un meccanismo di valutazione per la didattica e la ricerca. 50lo così il sistema universitario italiano potrà essere rilanciato». ________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. ’06 SUPPLEMENTO D'ESAME PER LE NUOVE LAUREE Sperimentazione per il 2006-07 senza chance Il dicastero richiama dalla Corte conti i decreto con la revisione degli ordinamenti ROMA a Quella per riformare gli ordinamenti universitari è stata una lotta contro il tempo, e contro le durissime prese di posizione del mondo accademico, che ha impegnato il Governo Berlusconi fino alle soglie delle elezioni e sì è infranta proprio sul finale. Nei giorni scorsi, infatti, il neoministro dell'Università e della ricerca, Fabio Mussi, ha ritirato i quattro decreti ministeriali che Letizia Moratti aveva inviato alla Corte dei conti a fine marzo. Torna così a viale Trastevere il gruppo di decreti sostitutivi del «3-+-?» con il nuovo modello a «Y», che articola i corsi di laurea in un primo anno comune a cui segue una biforcazione, a partire dal secondo anno. fra un biennio a forte impronta pratica che conduce alla laurea triennale e un quadriennio metodologico per approdare al titolo specialistico. La stesura dei provvedimenti, attuativi del Dm 270120D4, era stato accompagnato da polemiche incandescenti all'interno del mondo accademico, con la minaccia di ricorsi al Tar da parte della Conferenza dei rettori e le dimissioni dai tavoli tecnici di coordinamento dei due portavoce dell'Interconferenza dei presidi di facoltà (cioè i rappresentanti degli atenei nei gruppi di lavoro chiamati a guidare il varo dei decreti). A far sollevare i docenti universitari era stato soprattutto il via libera alla sperimentazione dei nuovi ordinamenti, che riscrivono anche i contenuti delle classi di laurea e istituiscono la classe di Scienze criminologiche e della sicurezza, già a partire dal prossimo anno accademico, la cui offerta formativa era già stata chiusa entro il 31 gennaio. Vista la complessità della riscrittura necessaria, in molti senati accademici si era diffuso il timore che la sperimentazione potesse essere "sfruttata". anche in chiave di marketing, da qualche realtà meno rigorosa a danno di tutti gli altri. aumentando le difficoltà di orientamento per le future matricole. Richiamando a sé i provvedimenti, il ministero dell'Università assicura che il nuovo calendario prevede l'attuazione delle novità «da parte di tutte le università all'anno 2007-08». Resta più difficile da capire se il nuovo passaggio ministeriale comporterà qualche ritocco anche ad altri punti caldi della riforma, in particolare quella che un documento dello stesso ministero aveva definito a marzo ala guerra dei crediti». Una prima versione dei testi imponeva ai regolamenti didattici il riconoscimento integrale dei crediti conseguiti nelle attività di base e caratterizzanti dagli studenti che decidessero di cambiare corso o ateneo, rimanendo tuttavia nella stessa classe di laurea. Leggendo la norma i docenti avevano parlato di «attacco frontale» all'autonomia universitaria, che rendeva di fatto inattuabile la biforcazione fra curriculum pratico triennale e metodologico quinquennale (perché il riconoscimento automatico avrebbe reso facilissimi i passaggi fra i due), e il ministero era corso ai ripari passando dall'imposizione al suggerimento di «riconoscere il maggior numero possibile» di crediti conseguiti dagli studenti. Una formula di compromesso, che il nuovo ministro potrebbe decidere di modificare. Oltre alla riforma degli ordinamenti, tornano a viale Trastevere anche i due decreti (il 216 e il 217) sulla programmazione triennale 20D7-?049 delle Università, firmati da Letizia Moratti il giorno dopo le elezioni politiche. 1 provvedimenti introducono criteri di qualità (ad esempio la percentuale dì corsi che rispondono ai requisiti qualificanti, la presenza di studenti stranieri o provenienti da altri atenei o il numero di borse di dottorato finanziate dall'esterno) nella ripartizione fra gli atenei di una piccola quota di risorse aggiuntive per la programmazione (circa 125 milioni di curo l'anno), Una misura dal ridotto peso economico ma dal forte rilievo strategico, nel difficile processo verso un'assegnazione delle risorse (ordinarie e aggiuntive) che premi gli atenei più avanti nella strada della qualità. In questi provvedimenti il ministro Mussi ha individuato «parti insoddisfacenti o sbagliate». tua dal ministero non trapelano ulteriori chiarimenti. L'unico dato certo è che i tecnici si metteranno subito al lavoro per emanare un nuovo testo entro l'estate. GIANNI TROVATI Il profilo dei laureati 2005 Saranno ridefinite anche le regole dei piani triennali DOPPIO RITIRO E Due gruppi. Sono due i gruppi di decreti che il ministero dell'Università ha richiamato per un nuovo approfondimento IN Gli ordinamenti. Duelli sulla riforma degli ordinamenti introducono il modello a «Y» (primo anno comune e biforcazione dal secondo anno fra iter triennale e magistrale) ridisegnando le attuali classi di laurea • la pianificazione. Quelli sulla pianificazione introducono parametri di qualità nell'assegnazione delle risorse Le conseguenze. I nuovi ordinamenti non partiranno prima del 2007/2008. I decreti sulla programmazione saranno riscritti entro l'estate ________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 mag. ’06 E MERITO NELLA NEBBIA Si può discutere se il valore legale della laurea, che equipara la migliore e peggiore facoltà d'Italia, serva a qualcosa. E si può discutere se la sua abolizione crei anche, oltre all'ovvia maggiore competizione certamente benefica per il soporifero mondo accademico italiano, discriminazioni di classe. Nel senso che i ricchi potrebbero andare nelle università migliori e più care capaci di dare prestigio, e i poveri resterebbero in quelle mediocri. Creando, come afferma il ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi, due categorie di studenti e laureati. I figli di qualcuno. E gli orfani o, peggio, figli di nessuno. Non è chiaro però fino a che punto un titolo con valore legale aiuti davvero i meno fortunati se privo di adeguata sostanza formativa. Così come non li aiuta il tanto generosamente distribuito titolo di dottore, che in Italia si ottiene con la metà degli anni accademici in genere richiesti altrove. Chi non nasce con il cucchiaio d'argento in bocca ha tutto l'interesse a una società più meritocratica. Quella italiana, dove pure raccomandazione e nepotismo non sempre dominano, lo è pochissimo. Nel senso che crede poco al merito specifico. E molto ad altre abilità. Se il ministro è così affezionato al valore legale non gli sarà facile migliorare il tipo di selezione nei concorsi universitari: dove gli automatismi fanno premio sulla reale competizione. E, soprattutto, dove spicca quell'assenza di concorrenza di cui il valore legale è il pilastro. 5e tutti i titoli sono uguali tutte le scuole sono uguali e avere anzianità nella più scassata non impedisce affatto di ambire a un posto nella migliore, con il risultato che alla fine rischiano di essere tutte scassate alla stessa maniera. I figli di qualcuno si salvano sempre. Andando magari, con i soldi di papà, all'estero. Sono i figli di nessuno che, se l’università non migliora nettamente, resteranno alla fine con il cerino in mano. ________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. ’06 CON LA RIFORMA PIÙ LAUREATI «IN CORSO» Almeno un tirocinio per il 57% dei neodottori - Il 78% continua gli studi La laurea arriva prima, ma senza intaccare t risultati agli esami e il voto finale. Cresce decisamente la frequenza alle lezioni, e si moltiplicano anche le esperienze di tirocinio durante gli studi. Alla prima analisi dei suoi risultati "sul campo", condotta da ALmaLaurea con l’ ottava indagine sul Profilo dei laureati, la riforma universitaria del «3+2» mostra di aver centrato alcuni degli obiettivi che l'avevano ispirata. Anche se non mancano i punti deboli, a partire dall'emergere di una quota di fuoricorso e dalla mancata caratterizzazione del titolo triennale, che in genere gli studenti considerano una manna di passaggio più che un punto di arrivo. Ci si laurea in fretta, insomma, ma poi si rimane in università alla ricerca di un titolo più pesante e, almeno nelle speranze, più di successo alla prova del lavoro. Proprio questo aspetto, però, rimane il più controverso perché, come spiega il presidente del consorzio AlmaLaurea Andrea Camanelli, «per gran parte del mondo imprenditoriale l'università riformata rimane ancora un oggetto misterioso». I primi laureati triennali, del resto. si sono affacciati sul mercato del lavoro nell'autunno del 2004. e solo dall'anno scorso hanno cominciato a rappresentare una fetta significativa sul totale dei laureati. Proprio per questo sono importanti i numeri snocciolati dall'indagine AlmaLaurea, che riguardano 38 atenei e 180mila laureati 2005, il 45% dei quali appartenenti al nuovo ordinamento. La presenza di questi ultimi ha ringiovanito i neolaureati (26,9 anni in media, contro i 28 del 20U1), perché tra i triennalisti "puri", quelli cioè che hanno iniziato a studiare dopo la riforma, l'età media alla laurea scende a 24 anni e nel 57% dei casi il titolo di dottore arriva addirittura prima dei 23 anni. Un terzo esatto dei neodottori del 2005, e il 64,4% dei triennalisti puri. del resto è arrivato al titolo senza sforare la durata legale del suo corso di studi, un risultato che cinque anni fa poteva essere vantato solo dal 10.2% dei laureati. Diminuisce anche il gruppo degli universitari "storici" (3 o più anni fuori corso), che nel 2001 rappresentavano più della metà dei laureati e ora sono ridotti attorno al 30 per cento. In questa gara a tempo verso la discussione della tesi primeggiano gli ingegneri, che concludono gli studi prima dei 23 anni, mentre gli studenti più lenti si concentrano nel gruppo dell'insegnamento. Più contenuta nei tempi. l'esperienza universitaria dei laureati post riforma sembra anche arricchirsi di esperienze. Contribuisce a questa evoluzione soprattutto il diffondersi dei tirocini durante gli studi, molto rati nel vecchio ordinamento (interessavano meno del 20% dei laureati, ma in molte facoltà erano praticamente sconosciuti) e diventati maggioritari con il nuovo ordinamento. II 57,2% di chi si è laureato Fanno scorso ne ha svolto almeno uno. e tra gli studenti di area psicologica, agraria, biologica e chimico-fannaceutica la loro diffusione cresce fino a coinvolgere più di 8 studenti su 10. Se il percorso che conduce in aula magna a discutere la tesi si abbrevia e si arricchisce. però, sono in pochi a vivere i minuti trascorsi davanti alla commissione di laurea come una tappa conclusiva. La laurea triennale, insomma non basta e il 78,6% di chi la consegue decide di continuare a studiare. La maggioranza (quasi 8 su 10) passa subito alla laurea specialistica, mentre gli altri si dividono fra master e scuole di specializzazione. A guidare il plotone degli insoddisfatti del titolo triennale ci sono i laureati di area giuridica e psicologica, in cui infatti è stata più intensa la discussione per reintrodurre i vecchi curricula a ciclo unico. mentre la metà dei dottori triennali di ambito linguistico e chimico-farmaceutico decidono di fermarsi alla laurea "semplice". A spiegare queste tendenze sono però soprattutto fattori esterni all'accademia, perché )'attaccamento agli studi diventa più intenso nel Mezzogiorno e nelle Isole. dove il mercato del lavoro si fa più debole e la permanenza sui libri può diventare la conseguenza della mancanza di alternative. GIANNI TROVATI ________________________________________________________ La repubblica 25 mag. ’06 BOOM DI DOTTORI A 23 ANNI Il "Profilo 2005" nell'indagine di Almalaurea. MARIO REGGIO ROMA- Laureati a 24 anni e più della metà addirittura prima di averne compiuti 23. Aumenta la frequenza degli studenti alle lezioni. Cresce la conoscenza della lingua inglese. Sale la soddisfazione per la scelta del percorso di studi. E crolla il numero dei fuori corso. Il primo bilancio reale della riforma universitaria e relativa a 50 mila laureati post riforma, partita nel 2001 e meglio conosciuta come quella del 3 più 2, smentisce le "cassandre" che in questi anni si sono esercitate in un sistematico gioco al massacro. I risultati dell'VIII Profilo dei laureati 2005, messo a punto da Almaurea, che verrà presentato oggi all'università di Verona, parlano chiaro. Certo non mancano i problemi. Se è vero che fino a quattro anni fa l'età media della laurea era bloccata a 28 anni ed il numero dei "fuori corso" si avvicinava all'80 per cento degli iscritti, l'endemico fenomeno degli iscritti oltre il termine previsto per il corso di laurea triennale non è stato cancellato. Un terzo degli studenti "figli della riforma" non ha ancora ottenuto la laurea. Rimane molto elevato il numero dei giovani, oltre il68 per cento, che vuole continuare gli studi iscrivendosi al biennio della laurea "specialistica". E questo potrebbe voler dire che il mercato del lavoro non è in grado di assorbirli in tempi rapidi. «Si è detto che le imprese non apprezzano i laureati di primo livello, ma sino ad ora non li hanno conosciuti-commenta il professor Andrea Cammelli, presidente di Almalaurea -i primi laureati dell'università riformata sono usciti nell'estate del 2004 e in larghissima maggioranza hanno proseguito per la successiva laurea specialistica che stanno portando a termine nel migliore dei casi solo in questi mesi». Eppure una parte dei docenti assieme ad un certo numero di studenti invocano il ritorno al vecchio ordinamento. «La mia sensazione è che ci sia una correlazione molto forte tra il parere della comunità accademica delle singole aree disciplinari - commenta Andrea Cammelli - e la percezione degli studenti. E se questo è negativo e viene riportato in aula è probabile che abbia influenzato i giovani». Soddisfatto Luciano Modica, sottosegretario all'Università, ed ex presidente della Conferenza dei Rettori: «L'indagine di Aimalaurea presenta risultati molto positivi, a conferma che la riforma, sempre migliorabile, funziona». ________________________________________________________ Italia Oggi 25 mag. ’06 UNIVERSITÀ LA RIFORMA PERDE PEZZI Pausa di riflessione per introdurre modifiche alle parti considerate insoddisfacenti dal ministro Mussi blocca tre decreti. Compreso quello sulla laurea a Y DI IGNAZIO MARINO a riforma dell'università perde i pezzi. Il ministro dell'Università, Fabio Mussi ha deciso ieri una pausa di riflessione, sospendendo l'esame alla Corte dei conti di tre provvedimenti: per quanto riguarda il decreto ministeriale 10 aprile 2006, n. 216, recante la «Definizione delle linee generali d'indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2007-2009» e il decreto ministeriale 11 aprile 2006 n.217 su «Individuazione dei parametri e dei criteri per il monitoraggio e la valutazione dei risultati dell'attuazione dei programmi delle Università», il comunicato ufficiale del dicastero parla di una necessità di modifica di parti insoddisfacenti o sbagliate, per una rapida nuova stesura che consenta l'emanazione del nuovo testo entro l'estate. Ritirati anche i decreti relativi alla determinazione delle classi di laurea, laurea magistrale, lauree magistrali sanitarie e scienze criminologiche e della sicurezza, trasmessi con nota prot. n.4540 del 22/3/2006 per una finale registrazione delle norme e per l’attuazione da parte di tutte le Università all'anno 2007-2008. IL22 maggio scorso il ministro Mussi aveva già disposto il ritiro del decreto d'istituzione (datato 16 maggio 2006 e firmato dal predecessore Letizia Moratti) dell'Università di studi europei «Franco Ranieri» non statale, legalmente riconosciuta, con sede a Villa San Giovanni (Rc) per ulteriori valutazioni. Quanto al decreto sulle classi di laurea che passa al restyling il vecchio 3+2, approvato non senza uno strascico di polemiche con gli atenei, dà attuazione al percorso a Y. Cioè un primo anno di attività didattiche comuni, con una netta separazione tra il percorso professionalizzante che conduce alla laurea triennale (1+2) e il percorso metodologico per conseguire la laurea magistrale (1+2+2). Il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha quindi rivisto le 47 classi per le laurea di I livello e le 109 di II livello provvedendo ad alcuni accorpamenti che hanno interessato l'area umanistica e quella delle scienze sociali e gestionali. L'obiettivo, nelle intenzioni del vecchio Miur, è quello di definire percorsi più professionalizzanti per dare un'opportunità di lavoro ai giovani e di mettere un freno ai troppi corsi di laurea, soprattutto triennali, che negli ultimi anni si sono moltiplicati. E che non hanno ampliato l'offerta formativa ma al contrario l'hanno frammentata. Per gli aspiranti consulenti del lavoro, per esempio, le classi di laurea indirizzate alla professione erano state ampliate e più tagliate sulle materie giuslavoristiche. Non solo. Altra novità del provvedimento è quella legata a una definizione, da parte degli atenei, degli ordinamenti didattici specificando gli obiettivi formativi in modo da facilitare l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Con la riforma a Y finisce anche l'era dell'eccessiva parcellizzazione degli insegnamenti. Per ciascun anno di corso le facoltà provvederanno a fare non più di 8 verifiche di profitto, e comunque fino ad un massimo di 10. Attesa per il prossimo anno accademico 2006/2007 la sperimentazione delle nuove classi di laurea. Una previsione che non ha mancato di creare polemiche con la Crui, la Conferenza dei rettori delle università. ________________________________________________________ La repubblica 23 mag. ’06 CALABRIA, CHIUDERE QUELL'ATENEO PRIVATO ROMA - Il Ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi (nella foto), ha disposto ieri il ritiro del decreto d'istituzione dell'Università di Studi Europei «Franco Ranieri», legalmente riconosciuto, con sede a Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Il provvedimento è stato congelato, si legge in una nota, «per ulteriori valutazioni». Lo annuncia un comunicato del Ministero precisando che il decreto era stato emesso il 5-2006 dal precedente Ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti. ________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 mag. ’06 NON ESAGERATE CON LA SCIENZA LIBERTÀ E CONOSCENZA Il rapporto ricerca-società messo d repentaglio dallo scandalismo dei mass-media DI CLAUDIO BORDIGNON Per un ricercatore la domanda: è lecito porre un limite alla scienza?» in un certo senso è mal pasta. Piuttosto, la volgerei in questa: quali condizionamenti si pongono oggi alla ricerca? Nel tentare una risposta, non possiamo prescindere dalla coscienza che la ricerca scientifica ha dei limiti intrinseci al suo stessa svolgimento; si incanala fisiologicamente all'interno di confini, ampi ma che impongono precise direzioni. Per due motivi. Il primo è che la ricerca scientifica è, nel suo stesso attuarsi, condizionata da vari fattori; occorre trovare dove farla, comporta avere a disposizione risorse economiche, individuare le. tematiche e i collaboratori, e così via. Il secondo è che la ricerca va dove la società le chiede di andare e di investire: z soggetta all'evoluzione culturale. e i ricercatori si spostano sulla ricerca di tendenza, perché significa avere più risorse. In questo panorama, una delle "anomalie" più evidenti è il caso dei grandi strumenti bellici: che siano armi di distruzione di massa, o altro, sono stati realizzati per precise scelte politiche di Paesi più o meno totalitari; si tratta dì situazioni estreme in cui le decisioni sana prese al di sopra della collettività. Diversa è la situazione in cui ì1 dibattito si fa violento e. coinvolge vasti segmenti di società. Lo abbiamo visto nel nostro Paese can il problema della fecondazione assistita o della Generazione di sistemi di dia2nostica sull'embrione pre-impianto: emerge la scarsa informazione collettiva, a fronte della quale sorge la radicalizzazione, che non si batte più su temi oggettivi e su scelte etiche profonde, bensì discute di ipotesi o concetti senza lasciare alcuno spazio per la possibilità, giungendo a posizioni che raramente consentono il confronto. Oscurando così la memoria di quanto già sviluppato dalla ricerca e da dibattiti autorevoli. In realtà, c'è un limite intrinseco più forte: la valutazione etica del proprio lavoro da parte dello scienziato. Ma le scelte individuali possono dar vita a linee di ricerca? 0, ancora, può esserci una democrazia che decida le linee di ricerca? Abbiamo evidenziato l'analfabetismo scientifico collettivo: si può allora essere democratici quando una cosa la si sente profondamente sbagliata? La questione, difficile, per certi versi è irrisolvibile. In realtà la scienza stessa spesso ha provveduto alla risposta. Nella storia della fisica o dell'astronomia, di fronte a 'dogmi intoccabili, molto è stato risolto dalla scienza. Come è avvenuto, e come può avvenire ara? Per alcuni casi sembra non esistere soluzione: quelli in cui da una parte si pone il disperato bisogno di guarigione del paziente e dall'altra l'inaccettabile scelta etica, per esempio, di dare alla luce un bambino per una finalità terza, come donatore compatibile. Non la Chiesa, ma alcuni medici, scienziati e pazienti accettano il bambino "sano"; quasi nessuno accetta di dire «lo voglio salo così; altrimenti lo elimino». D'altra parte, nella nostra stessa società, una famiglia può andare incontro a gravidanze e interromperle fino a quando non ottiene il figlio che vuole. Eticamente è inaccettabile, però esistono gli strumenti - tecnici e giuridico-legali - per farlo. Sono, questi, casi affrontando i quali due comitati etici nazionali di cultura affine (è accaduto in Europa in questi anni) possono arrivare, nello stesso momento, a soluzioni diverse. II travaglio di alcuni nodi della ricerca sembra essere al di là di ogni soluzione: essere oggettivi rispetto a questo significa investire contro la scienza che mette a disposizione uno strumento per violare l’ etica? Oppure creare pressione affinché la scienza risolva anche il problema etico? AL di là dei dibattiti più caldi, c'è un aspetto della scienza che tocca le scelte collettive: l'equilibrio fra ricerca privata finalizzata alla scoperta, ricerca non for profit (che affronta la rara malattia genetica che non è nell'interesse dei grandi gruppi farmaceutici), e ricerca pubblica, for profit, finalizzata al guadagno (gran parte del progresso nella salute è dovuto all'industria farmaceutica). Il ruolo della collettività si deteriora qui in opinioni pubbliche dovute all'ignoranza dei meccanismo della cultura scientifica, alla diffidenza legata all'idea che in realtà sia tutto for profit, ai timori per la sopravvivenza dell'umanità quando la scienza è messa a disposizione di dittatori o criminali. I timori sono ammissibili in una linea teorica che afferma che «tutto può succedere»; ma questo non è affatto intrinseco alla scienza, bensì intrinseco alla complessità della natura umana. Entra in gioco a questo punto il ruolo deleterio della stampa, che opera adrertising di grande clamore sulla salute, dando enorme visibilità al morbo della mucca pazza, alla Sars, all'aviaria-. sì, ci sono state vittime, ma le grandi epidemie oggi vengono confinate. e controllate. L'esagerazione è un modo inutile e poco intelligente di sensibilizzare la collettività. 11 grande sforzo richiesto ai ricercatori allora è quello di essere meno clamorosi nei dibattiti. meno attraenti negli articoli, meno catchy; e fare meno notizia e più informazione, se si vuole fare, un servizio alla scienza, alla collettività. e far sì che questi due sistemi interagiscano. Il lavoro del ricercatore richiede da parte della collettività un rispetto derivante dalla conoscenza, una famigliarità che aiuterebbe a mantenere la ricerca entro i suoi confini, unita alla scelta consapevole dei ricercatori di essere "insieme": fondamentale è la partecipazione affettuosa, condivisa. Se noi ricercatori fossimo capaci di "assistere" questo 'lavoro, non soltanto di "farlo",', lo spazio per le radicalizzazioni sarebbe assai minore. Sarebbe più facile investire con convinzione le risorse. i cervelli migliori in quella che in fondo è la promessa di un futura e di un'umanità migliori. Testo raccolto da Chiara Sordi. Dall'intervento tenuto dal direttore scientifico dell'istituto Scientifico San Raffaele, Claudio Bordignon, il 20 marza scorso nel corso del ciclo di incontri «Intelligenza e fantasia» organizzati dall'Università VitaSalute San Raffaele. ________________________________________________________ Newton 23 mag. ’06 RUBBIA: L'ITALIA HA DETTO NO ALLAMIA CENTRALE SOLARE. E IO VADO IN SPAGNA» di Giorgio Rivieccio Il Premio Nobel per la Fisica ha realizzato l'impianto più innovativo per ricavare energia dal Sole. Ma il nostro Paese l'ha rifiutato. E lui si è rivolto altrove. Risultato: 20 nuove centrali stanno sorgendo nella penisola iberica. In questa intervista esclusiva Rubbia spiega perché se n'è andato. E bolla la ricerca italiana: «È il caos» Demoralizzante. Ibernata. Un caos totale, mentre il mondo continua a procedere. Sa come definiscono gli inglesi una condizione del genere? A footnote, una nota a pie' di pagina». Dalla sua stanza al Cern di Ginevra, Carlo Rubbia guarda a Sud-Ovest e descrive così la situazione dell'Italia nella ricerca e particolarmente in campo energetico. Senza usare molta diplomazia, come è sua abitudine. «Ho provato a cambiare un pó di cose, ma non ci sono riuscito». A Sud-Ovest di Ginevra c'è la Spagna. Qui, un gruppo di imprese private sta realizzando la più grande concentrazione di centrali solari del mondo, basate su un brevetto che Rubbia ha sviluppato negli anni scorsi. E che lo scienziato ha inutilmente cercato di far realizzare in Italia, nei cinque anni in cui è stato presidente dell'Enea, prima di esserne allontanato. Conclusasi tra feroci polemiche la sua avventura di dirigente della ricerca pubblica, Rubbia ha proposto il suo progetto al Ciemat, l'Enea spagnolo. In pochissimo tempo il Ciemat lo ha approvato, finanziato e ha creato a Madrid un centro di ricerca e sviluppo da 70 mila metri quadrati sul solare termodinamico e le energie rinnovabili. Adesso, una ventina di nuove centrali solari stanno spuntando in diversi siti della penisola iberica, tutte finanziate dalle maggiori aziende private spagnole dell'energia. «Ora sì che mi sto divertendo come un matto», dice Rubbia. L'Italia che non si è fatta molti problemi a lasciarselo scappare è ormai un capitolo chiuso. Lui non ama guardare indietro, ha troppe iniziative da mettere al fuoco. Goriziano di nascita, 69 anni, Premio Nobel nel 1984 per la scoperta delle particelle che trasportano una delle tre forze fondamentali della natura, quella elettrodebole, Rubbia è uno degli scienziati con la più alta concentrazione di idee nei campi più disparati. Ha realizzato a Trieste il laboratorio di Luce di Sincrotrone, che utilizza fasci di particelle per esaminare la struttura dei materiali, ma anche di virus e proteine, a livello submicroscopico. Ha ideato un sistema rivoluzionario dì propulsione spaziale a fissione nucleare [vedi Newton, novembre l998], che permette di accorciare di dieci volte i tempi per raggiungere altri pianeti. Ha inventato una centrale elettrica unita a un acceleratore di particelle che «brucia» le scorie nucleari [vedi Newton, dicembreZ004], risolvendo tre problemi in uno: la produzione di energia, la sicurezza dell'impianto che si spegne da solo se lasciato a se stesso; inoltre, l'eliminazione dei residui nucleari delle centrali, la cui radioattività altrimenti resta per migliaia di anni. Ha progettato infine un esperimento per la ricerca della materia oscura, il più grande enigma sulla struttura dell'universo, per i Laboratori del Gran Sasso, in Abruzzo. L'energia solare è una delle sue sfide attuali.«Ha idea», dice, «di quanto costeranno i combustibili fossili fra 10 anni? Ci vorrà qualcosa per sostituirli». Che cosa? «Non il nucleare di oggi, dato che produce scorie radioattive da far paura. In realtà avevamo il modo per produrre energia bruciando proprio le scorie, anzi l'Italia era leader nel mondo in questa tecnologia. Ora ce la stanno copiando i giapponesi». Le biomasse, prosegue, «possono dare un contributo limitato. Lo stesso accade per l'energia solare tradizionale, quella fotovoltaica, e l'energia eolica. Anche se passassero dal 2 al 5 per cento della produzione di un Paese non risolverebbero il problema. Perché hanno un limite: ciò che producono non si può accumulare. Per esempio, l'energia fotovoltaica non si produce di notte o quando il tempo è nuvoloso, cioè nei momenti in cui servirebbe di più. E in generale l'energia deve essere a disposizione quando se ne ha bisogno, non quando il buon Dio la manda». II vero problema, sottolinea Rubbia, è quindi la possibilità di accumulare questa energia. «Lo puoi fare in due modi», dice. «O attraverso energia termica, cioè calore, o attraverso la produzione di idrogeno. II primo caso è già realizzabile a livello industriale: l’energia del Sole viene usata per riscaldare un fluido da utilizzare poi per azionare turbine e quindi generatori di elettricità. E si può accumulare sotto forma di calore per giorni, così da essere impiegata quando realmente serve». Nasce così il suo progetto di solare termodinamico, un sistema ispirato, spiega Rubbia, a quanto accadde a Siracusa 212 anni prima di Cristo, quando Archimede utilizzò degli specchi per concentrare i raggi del Sole sulle navi romane che assediavano la sua città. Oggi questa idea si è trasformata in una serie di specchi parabolici dislocati su un chilometro quadrato di superficie. Gli specchi concentrano il calore del Sole in una rete di tubi in cui viene fatta scorrere una miscela di sali, che si riscalda fino a 550 gradi, una temperatura molto più alta rispetto a impianti simili realizzati in passato, così da aumentare sensibilmente il La centrale solare termodinamica di Rubbia è basata su specchi parabolici, con apertura di 5 metri e 76, adatti a una produzione industriale, costituiti da pannelli a nido d'ape di 2 centimetri e mezzo di spessore. Ogni specchio concentra il calore del Sole su un tubo posto nel fuoco della parabola, formato da una struttura coassiale di due cilindri concentrici: un tubo di vetro esterno da 11,5 centimetri di diametro e uno d'acciaio interno da 7 centimetri di diametro all'interno del quale scorre un fluido in grado di immagazzinare elevate quantità di calore. II fluido che scorre all'interno del tubo ricevitore è una miscela di sali, 60 per cento di nitrato di sodio e 40 per cento di nitrato di potassio, che trasporta il calore a 550 gradi. Questo sale, ampiamente usato come fertilizzante, è economico, facilmente reperibile e soprattutto compatibile con l'ambiente. Dal serbatoio, denominato «serbatoio caldo», i sali vengono inviati a uno scambiatore di calore, dove viene prodotto vapore che, come nelle centrali elettriche tradizionali, aziona una turbina e genera energia elettrica. II fluido che ha ceduto parte del suo calore è convogliato in un «serbatoio freddo» a rendimento. «È una tecnologia», osserva Rubbia, «che in dieci anni sarà matura e potrà rendere il solare competitivo». La centrale «Archimede», come era stato battezzato il prototipo, doveva essere realizzata da noi, e proprio vicino Siracusa, a Priolo Gargallo. L'accordo col Comune c'era già e il complesso, 360 specchi parabolici su una superficie di 40 ettari, avrebbe fornito una potenza di 20 Megawatt e un energia di 60 milioni di chilowattora l'anno. Quanto bastava per alimentare l'intera cittadina di 12 mila persone senza far ricorso ad altre fonti energetiche. A un costo coperto quasi interamente con finanziamenti privati. Ma poi l'Italia ha rifiutato questa opportunità. Così Rubbia ha portato il suo progetto in Spagna. In questo Paese», osserva, «la cosiddetta "tassa verde- ha reso appetibili le centrali solari già a livello di sviluppo, tanto da far aprire al Paese un "canale solare- che unisce l'innovazione tecnologica alla risoluzione dei problemi energetici». Effettivamente, in Spagna è stata approvata, nel marzo del 2005, una legge per la promozione del solare termodinamico che prevede sovvenzioni del 300 per cento del costo medio del chilowattora prodotto in questo modo, fino a un massimo di 500 Megawatt. Oggi il chilowattora ottenuto in questo modo costa due volte e mezzo in più di quello prodotto da fonti fossili, ma i dirigenti del Ciemat concordano con Rubbia che nel giro di pochi anni il suo costo sarà meno della metà di quello delle altre fonti rinnovabili. «Un aspetto importante è la spinta all’innovazione che viene da programmi del genere», commenta Rubbia. «Perché senza innovazione ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 mag. ’06 IL REGNO DI PASQUALE VI HA PERSO LA SUA UNITÀ Parla l’avversario che ha incassato il 47% dei consensi CAGLIARI. Quei 205 voti in più acchiappati da Pasquale Mistretta non li prende come uno schiaffo: «La competizione era dura - avverte - soprattutto con Mistretta in quelle condizioni di salute. E poi, io mi candidavo per la prima volta e non è stata una cosa semplicissima». Il giorno dopo le elezioni per il rettore dell’Università a parlare è Giovannino Melis, (nella foto) docente di economia aziendale: si potrebbe chiamare anche il primo degli esclusi, perché con i 432 voti ottenuti s’è piazzato al secondo posto alle spalle di Mistretta e prima di Giuseppe Santa Cruz, anatomopatologo, che ha incassato appena 29 preferenze nonostante la sua indiscussa autorevolezza. «Del risultato personale sono sicuramente soddisfatto - sorride Giovanni Melis - ma prima di tutto il mio pensiero va a Mistretta con cui mi congratulo per la bella vittoria e a cui faccio i migliori auguri: non sta bene, e l’Università ha bisogno d’un rettore forte». Già, Mistretta non sta bene: per un intervento chirurgico è ricoverato all’ospedale Santissima Trinita da più di tre settimane. Così è stato nel letto dell’ospedale che ha saputo della vittoria: 677 voti a favore, che l’hanno incoronato, dopo quindici anni di regno rettore per la sesta volta. Significa che Pasquale Mistretta guiderà l’Università di Cagliari ancora per i prossimi tre anni. Eppure, stando ai risultati, Giovanni Melis è stato un avversario temibile: a conti fatti se Mistretta s’è confermato con il 53 per cento delle preferenze, all’economista è andato il 47 per cento dei voti, una fetta importante che ha spinto qualcuno a non sottovalutare la cosa. «Se il 53% degli elettori preferisce Mistretta - dicono in tanti - ce n’è comunque un altro 47 per cento che la pensa diversamente e questo deve far riflettere». Certo è che per Melis, come lui stesso ha ammesso, la corsa elettorale non è stata semplice. E non solo perché l’avversario era un osso duro come Mistretta: «In assoluto, questa è stata la campagna elettorale più breve che abbia conosciuto» spiega Melis, che i suoi voti ha dovuto così andarseli a cercare alla svelta, presentando un programma articolato in tre punti. Che farà adesso dopo la sconfitta? «Continuerò a lavorare nel consiglio di amministrazione dell’Ateneo - dice Giovanni Melis - e da lì darò il mio contributo all’università. Certo non è il rettorato ma si può fare davvero molto anche da consigliere di amministrazione». (sz) ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mag. ’06 SASSARI: NUOVO RETTORE, IL 7 GIUGNO IN CAMPO TRE CANDIDATI Sfida nell’università di Sassari Alessandro Maida si presenta per la quarta volta, gli avversari sono Giovanni Lobrano e Virgilio Agnetti Pier Giorgio Pinna Due sfidanti per Alessandro Maida. Stavolta all’università di Sassari non c’è un candidato unico. Il rettore uscente si presenta per il quarto mandato. Obiettivo: passare da 9 a 12 anni alla guida dell’ateneo che fu di Cossiga e dei Segni. Sulla sua strada Maida trova però concorrenti decisi. Il primo è il preside di Giurisprudenza, Giovanni Lobrano. Il secondo Virgilio Agnetti, neurologo a Medicina, la stessa facoltà dove Maida dirige l’istituto d’Igiene. Si vota il 7 giugno. Chi vincerà? L’attuale rettore parte favorito: i sostenitori l’accreditano di un vantaggio non colmabile. Ma gli avversari, che così come lui hanno già presentato un dettagliato programma diffuso anche sul sito www.uniss.it, appaiono determinati. E, soprattutto, pronti a convincere i dubbiosi con gli incontri nelle facoltà predisposti a questo scopo. Per farlo, comunque, hanno due settimane. Poi si penserà soltanto a contare le preferenze. Nel frattempo si può riflettere su qualche aspetto. I tre candidati hanno grosso modo la medesima età. Appartengono perciò alla stessa generazione di accademici. La loro estrazione fa capo al centrosinistra, sia pure con sfumature e tratti personali molto differenti. Di più: la matrice culturale e ideologica comune è l’area cattolica. Così la prima volta dopo tanto tempo nella quale si presentano candidature alternative non ci sono in lizza esponenti del centrodestra, del mondo laico o della sinistra radicale. Un caso? O la naturale evoluzione dei criteri adottati negli ultimi trent’anni? La risposta non è semplice né univoca: le indagini per capire meglio sarebbero, con ogni probabilità, complesse e non tutti si ritroverebbero d’accordo sulla stessa analisi. Ma non è forse sbagliato dire che le collocazioni politiche contano poco ed è piuttosto «il partito dell’università» a incontrare i favori di un elettorato del tutto particolare. Con una differenza: c’è qui chi si batte per la continuità e chi si propone per un ricambio. Così le manovre sono cominciate. Da mesi. E c’è poco da stupirsi. Maida guida l’ateneo sassarese dal 1997. Era subentrato al docente di Veterinaria Giovanni Palmieri, che subito dopo venne eletto presidente della Fondazione Banco di Sardegna. In carica nei sei anni precedenti, Palmieri era a sua volta subentrato a un recordman di durata nel mandato, un maratoneta del calibro di Pasquale Mistretta, di recente riconfermato a Cagliari per la sesta volta: si parla di Antonio Milella, docente di Agraria. Fu ininterrottamente rettore dagli anni Settanta al ’91 in un periodo nel quale lo Statuto non poneva limiti alla rielezione. Da quella lontana fase molto è cambiato. E l’università di Sassari ha raggiunto nuove posizioni. Oltre 160 milioni da amministrare ogni anno, 730 docenti, centinaia di dipendenti fra personale tecnico e amministrativo, 16mila studenti. Cifre che parlano da sole. Anche da qui l’estrema attenzione per le scelte che si faranno nei prossimi giorni in un ateneo certo proiettato verso il futuro ma che non dimentica il passato. Un passato che ha visto protagonisti studiosi di valore: persino un Nobel per la Medicina (Daniel Bovet, 1957). Adesso Giovanni Lobrano punta sul cambiamento. E propugna di allargare poteri che oggi gli paiono accentrati. Finora nel Senato accademico in questa battaglia lo hanno sostenuto i presidi di Veterinaria (Sergio Coda) e di Economia (prima guidata da Carlo Ibba, ora da Francesco Morandi). Consensi pesanti ai fini del voto dei prossimi giorni arriveranno proprio da queste tre facoltà. A prescindere da posizioni differenti di singoli professori, infatti, i bene informati spiegano che Economia, Legge e Veterinaria sostengono la candidatura Lobrano. Insieme con alcuni altri rappresentanti degli studenti e del personale non docente. La base elettorale di Lobrano si attesterebbe così tra il 14 e il 16%. In tutto, gli elettori sfiorano gli 800. Mercoledì 7 giugno, per essere eletti, sarà necessaria la metà più uno degli aventi diritto (e non dei votanti). Se nessuno la spunterà in prima battuta, ci saranno altre due consultazioni, sempre con la stessa maggioranza assoluta. Poi si andrà al ballottaggio fra i soli due candidati che hanno ottenuto più consensi. Anche Virgilio Agnetti punta sul rinnovamento. Al di là di diversi sostenitori a Medicina e altrove, più che di aiuti legati ai dipartimenti o alle facoltà Agnetti gode di molti sostegni personali. La stessa considerazione che lo ha portato a ricevere appoggio tra i movimenti cattolici di cui fa parte, come quello dei Focolarini. Difficile calcolare la sua base elettorare in seno all’ateneo, secondo i «sondaggisti» non ufficiali più introdotti ancorata a circa la metà di quella di Lobrano. Maida, infine, si ripropone nel segno della continuità. E’ forte del sostegno di 8 facoltà. Viene accreditato di un buon 75% di consensi fin dalla prima votazione. Solo tra 15 giorni, comunque, si saprà se davvero il quadro è lo stesso delineato in queste ore. E se i gruppi accademici saranno in grado di modificare o no gli attuali equilibri. 9 – La Nuova Sardegna Pagina 33 - Cultura e Spettacoli Maida nel segno della continuità: «Valorizzare la didattica e la ricerca» Alessandro Maida punta molto sulla continuità e su altre alleanze con Sassari e il suo territorio. «Ancora una volta cercherò di riservare la massima attenzione per tutti - sostiene - I punti qualificanti del mio programma, oggi come in passato, sono l’arricchimento della didattica per gli studenti, il reclutamento dei giovani ricercatori, il potenziamento delle risorse, il progetto per la realizzazione dell’azienda mista nel campo della sanità. Intendo battermi anche per una maggiore partecipazione di componenti universitarie ora assenti nel Cda e nel Senato accademico e per valorizzare al meglio dipartimenti e facoltà». Siciliano di nascita, Maida è arrivato a Sassari nel 1968 come giovane docente della facoltà di Medicina. Oggi, a 67 anni, si presenta per un nuovo mandato perché ritiene di poter proseguire, con la lunga esperienza acquisita sul campo, le iniziative intraprese. Anche nella ricerca di nuovi rapporti con le risorse del territorio, in grado di contribuire allo sviluppo sia dell’università sia del Nord Sardegna. «In questo senso - aggiunge - intendo fin da questo momento impegnarmi anche per il pieno utilizzo del nuovo teatro comunale che a Sassari sta sorgendo a Cappuccini. Se adeguatamente valorizzato, può trasformarsi in un volano di sviluppo culturale ed economico, così come tante altre opere già presenti in un coincidente interesse tra noi, il Comune e la Provincia». Sereno, Maida attende il voto del 7 giugno senza patemi d’animo. Ricorda che alcune modifiche statutarie ora al centro di critiche risalgono a un periodo precedente alla sua elezione. Spiega anzi di essersi battuto per un decentramento di poteri e funzioni, per maggiori aperture e ruoli operativi differenti. Ma di non aver trovato grandi consensi, in particolare nei settori che adesso rilevano accentramenti eccessivi. Soddisfatto perché la campagna elettorale si è mantenuta nello spirito di una perfetta discussione accademica, e certo non a caso, il rettore uscente ha presentato un programma che ricalca i progetti perseguiti negli ultimi anni anche con obiettivi differenti: dal potenziamento dell’offerta formativa al miglioramento dei servizi, dalla riorganizzazione dell’amministrazione centrale e periferica all’ultimazione del piano per l’edilizia. «Tutto - afferma - nell’interesse del partito dell’università». (pgp) ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 mag. ’06 SCELTA DELLA FACOLTÀ: ORA C'È UNA GUIDA PER TUTTI GLI STUDENTI Provincia. A Molentargius Previsti anche 4 seminari per presentare le offerte formative dell'Università Sostenere gli studenti degli istituti superiori nel cruciale momento del passaggio all'Università, perché la loro sia una scelta consapevole: è l'obiettivo della manifestazione "Giornate di orientamento Università e ambiente", che si terrà oggi e domani all'interno del parco di Molentargius. la guidaL'iniziativa, promossa dall'assessorato provinciale alla Pubblica istruzione, riunirà venticinque scuole, per complessivi 1900 studenti circa (iscritti agli ultimi due anni della scuola superiore) che potranno ricevere informazioni e materiale sull'offerta formativa dell'Università di Cagliari e sui servizi disponibili. Verrà distribuita una miniguida, progettata dall'Università e stampata a cura della Provincia, con indicazione dei corsi di laurea. i seminari si terranno inoltre quattro brevi seminari, in cui verrà presentata da docenti e ricercatori l'offerta formativa dell'Università di Cagliari per il prossimo anno accademico 2006-07, suddivisa per aree didattico-culturali. Nell'edificio Sali Scelti, in uno spazio adiacente alla sala conferenze in cui si svolgeranno i seminari, verranno poi allestite postazioni di accoglienza, dove sarà presente personale universitario specializzato, con l'obiettivo di offrire a docenti e studenti informazioni individuali sui corsi di studio e sui servizi di Ateneo. l'iniziativa«Per la prima volta», ha spiegato l'assessore provinciale alla Pubblica istruzione Cesare Moriconi, «Provincia e Università collaborano per aiutare gli studenti e favorire un progetto di continuità tra percorso educativo scolastico e formazione universitaria». «Da ottobre prossimo», ha aggiunto Luigi Sotgiu, funzionario dell'Università di Cagliari, «con la nascita di Architettura saranno 11 le facoltà tra le quali gli studenti potranno scegliere». Patrizia Mureddu, delegata del Rettore, ha infine auspicato che «la collaborazione tra Provincia e Università possa diventare permanente». visite guidateNell'ambito della manifestazione sono previste anche visite guidate alla scoperta dei segreti e delle attrazioni del parco naturale. Due gli itinerari prescelti: uno, nella Città del sale, della durata complessiva di 30 minuti circa, con tappe intermedie di sosta che serviranno per illustrare agli studenti gli aspetti di maggior interesse scientifico e naturalistico del parco. L'altro percorso prevede una passeggiata ecologica della durata di 1 ora e 30 minuti circa. A guidare e illuminare i ragazzi sarà il personale che lavora all'interno del parco, unitamente ad alcuni volontari di Legambiente. ________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 mag. ’06 NELLA PA 3.700 ASSUNZIONI MA SOLO DAL L' NOVEMBRE Un Dpr concede le autorizzazioni. per gli ingressi ROMA a È approdato ieri in «Gazzetta Ufficiale» uno degli ultimi decretî presidenziali fumati da Carlo Azeglio Ciampi, che apre 1e porte a 3.619 assunzioni a tempo indeterminato in diversi rami della pubblica amministrazione, a partire dal 1 novembre prossimo. Trovano così attuazione il comma 246 dell'ultima Finanziaria (legge 266/08), che autorizzava l'assunzione di 2.500 persone «da impiegare dìrettamente in compiti di ordine e sicurezza pubblica, di cui 1.500 per la Polizia di Stato». e ì commi 95-97 della Finanziaria per il 2005 (legge 311/04), relativi alle esigenze di servizio degli altri settori della Pa. In questa tornata trova spazio anche la conferma delle 77 assunzioni al Parco nazionale dell'Abruzzo, previste dalla legge 248/O5, e le 50 nel corpo nazionale dei Vigili del fuoco, previste dal Dl 272/DS (convertito dalla legge 49/06) destinate all'aeroporto di Cuneo Levaldigi. II totale dei nuovi ingressi si ferma quindi a quota 3.746, e costerà allo Stato 37,9 milioni di cure nel 2006 e 120 milioni l'anno a partire dal 2007. Il grosso delle assunzioni si concentra quindi nel settore della sicurezza. Oltre ai 1.500 nuovi poliziotti, espressamente previsti dall'ultima manovra di bilancio. 650 persone indosseranno la divisa dei carabinieri, e altre 290 andranno a rafforzare l'organico della Guardia dì finanza. Tra ì ministeri, ai quali sono destinate in totale 707 nuove assunzioni, è il Welfare ad accaparrarsi la fetta più consistente di immissioni (191), seguito dalla Giustizia (154, di cui 100 per l'organizzazione giudiziaria) e infrastrutture (81). Molto atteso {e a costo zero per i bilanci statali} è il via libera all’assunzione dì 107 segretari comunali, che nel provvedimento entrato in Gazzetta si accompagna al trattenimento in servizio di altri 17 segretari fino al 70esimo anno di età, all'interno di una serie di amministrazioni locali che ne avevano fatto richiesta. Trova così una parziale soluzione il grave deficit di queste figure che, al contrario di quanto previsto dal Testo unico degli enti locali (Dlgs 267100), sono ancora assenti in circa 400 enti locali. Soluzione anche per il paradosso vissuto dai 90 vincitori del corso-concorso per i nuovi segretari bandito nel ZOOD> ma rimasto poi impigliato nella rete dei blocchi delle assunzioni. Un piccolo contingente (124 persone), infine, andrà a rafforzare gli enti di ricerca, e in particolare il Cnr (25 assunzioni), l'istituto nazionale di Fisica nucleare (20) e l'Enea (19). Le assunzioni previste dal Dpr potranno comunque partire solo dal I° novembre per non superare nel primo anno il tetto dì spesa dì 40 milioni di euro, fissato dal comma 96 della Finanziaria 2005. GIANNI TROVATI ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 mag. ’06 CAGLIARI: MASTER FANTASMA, UN ANNO PERDUTO La denuncia di un laureato cagliaritano Sono uno studente lavoratore. Ho conseguito nel luglio scorso la laurea specialistica in "Scienze e Tecnica dello Sport", dopo cinque anni di studio in cui vigeva l’obbligo quotidiano di frequenza alle lezioni. Attendevo con ansia l’istituzione di un master post lauream presso l’Università di Cagliari. Master che, premesso, era già "saltato"per due anni consecutivi a causa dell’assenza del previsto numero di iscritti (trenta). Per la terza volta, anche quest’anno, è comparso il bando di quel corso di studi denominato "Attività motoria preventiva ed adattata". Fiducioso della sua attivazione vengo a scoprire che, a causa dell’insufficiente numero di iscritti, si parla di 25 domande su 30 richieste dal bando, anche per quest’anno non sarebbe stato avviato. Nel contempo vengo informato che un intervento da parte del signor Rettore avrebbe potuto sbloccare e dirottare dei fondi, che ammontano ad un totale di circa 25 mila euro, per avvallare e compensare le quote delle iscrizioni mancanti. Tengo a precisare che i 25 mila euro sono frutto di avanzi sul bilancio dei corsi di Scienze Motorie, ovvero quattrini risparmiati dalle nostre salatissime tasse. Unico inconveniente per promuovere questo passaggio era rappresentato da una decisione politico amministrativa. Di buona carriera ed in anticipo di oltre due mesi sulla data di inizio delle lezioni, in qualità ex rappresentante degli studenti ed ambasciatore di quei 25 laureati, contatto telefonicamente la segreteria del Rettorato di Cagliari chiedendo un colloquio di tre minuti col Rettore. Dopo aver ricevuto dal funzionario della segreteria dell’Ente in argomento le direttive su come comportarmi per ricevere un appuntamento col "capo", ho cominciato un iter infinito di telefonate e email con vari dirigenti e segretari. Senza giungere a niente. Oramai dubbioso su questo gioco di scarica barile ed avendo già perso altre opportunità per via delle scadenze dei bandi in altre università mi sono preoccupato di telefonare per un intero mese e con cadenza quotidiana alla ricerca di un buco negli impegni del signor Rettore. Per farla breve: il sottoscritto non è riuscito in due mesi e mezzo a farsi fissare un appuntamento; il master a Cagliari non è stato avviato perché, mancavano cinque domande di iscrizione; venti laureati hanno perso un anno di studio. Io ed altri quattro colleghi, grazie all’interessamento di un professore e per deroga del senato accademico de "La Sapienza" di Roma, per via delle iscrizioni oramai scadute, partiamo ogni fine settimana per seguire le lezioni nella capitale. Simone Liggi - Cagliari ======================================================= ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’06 FA: AZIENDA MISTA ANCORA ALL’ANNO ZERO» Sardegna ultima in Italia: chiesto l’intervento del ministro Nel 2004 è stato firmato un protocollo d’intesa tra Università e Regione per la nascita dell’Azienda mista che è rimasto carta straccia. Sanità. Dure accuse del preside di Medicina Faa: la Regione non ha fatto niente La facoltà di Medicina è pronta a esautorare la Regione e chiedere l’intervento del ministero della Sanità per avviare la nascita dell’azienda mista sanitaria. «Il consiglio di facoltà lo ha chiesto nelle ultime riunioni ? spiega il preside di Medicina, Gavino Faa, - e la legge 517 del ’99 lo permette. Dopo la firma del protocollo d’intesa con la Regione, nell’ottobre del 2004, sembrava che si fosse individuata la strada giusta. Invece non si è più fatto niente e tutte le scadenze sono saltate». La grande incompiuta «Un vero peccato. Se ai presupposti del 2004 fosse seguita una intenzione di far nascere l’azienda mista sanitaria, adesso staremmo per nominare il direttore generale. Invece siamo ancora all’anno zero». Il preside di Medicina ricorda che «non è mai stata nominata la commissione per l’attuazione del piano sanitario dell’azienda». Il programma prevedeva che nell’aprile del 2005 l’azienda fosse qualcosa di concreto, pronta per ricevere il via libera dal ministero della Sanità. Invece? «Invece non è stato fatto nulla. Se si dovesse partire adesso ci vorrebbe un anno e mezzo per fare tutto. Per questo siamo preoccupati». Faa ricorda le critiche avanzate dall’assessore regionale alla sanità Nerina Dirindin, appena insediata, perché «la Sardegna era l’unica Regione a non avere l’azienda mista. Se eravamo ultimi due anni fa, adesso cosa siamo?». Piano sanitario Anche il mondo sanitario universitario si aggiunge al coro di critiche sul modo di operare del manager della Asl 8, Gino Gumirato, nella stesura del piano strategico triennale. «Vengono programmate azioni su cliniche, personale e ospedali, come il Santissima Trinità, che toccano il sistema universitario. Ma l’Università non è stata interpellata. Ne sono venuto a conoscenza in Fiera, quando è stato esposto il piano. Le discussioni - aggiunge Faa - si dovrebbero fare prima. Inoltre non sarebbe sbagliato sentire i medici e gli infermieri che lavorano da decenni nella sanità sarda. Prendo questo piano come una provocazione». Borse di studio Altro capitolo difficile da digerire è quello della riduzione del numero di borse di studio per le scuole di specializzazioni per i laureati nell’Ateneo cagliaritano: «Hanno finito il corso di studio in 170, e a questi dobbiamo aggiungere i 40 rimasti fuori l’anno precedente. Servirebbero 210 borse. Invece - conclude Faa - arriviamo a 136, con le 96 del Ministero e le 40 della Regione. Cosa devo dire ai 70 laureati che resteranno fuori? Di andare a protestare sotto il palazzo di via Roma?». (m. v.) ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mag. ’06 IL PRESIDE DI MEDICINA «AZIENDA MISTA, SIAMO IN ALTO MARE» Fatto il protocollo tutto si è fermato, altro che inaugurazione nel 2007 Alessandra Sallemi CAGLIARI Nessuna azienda mista Regione-Università potrà vedere la luce il 1° gennaio 2007. Lo dice preoccupato il preside della facoltà di Medicina Gavino Faa delegato del rettore proprio per trattare con la Regione sul tema per conto dell’ateneo. Faa tira fuori uno scritto steso due anni fa con i passaggi e i tempi necessari per arrivare ad inaugurare l’azienda e si capisce perché è pessimista: oggi, maggio 2006, l’azienda dovrebbe avere un direttore generale al lavoro per elaborare l’atto aziendale, da presentare a luglio. Invece la commissione si sarà riunita sì e no un paio di volte, naturalmente senza produrre alcunché. L’esordio dell’assessore regionale alla sanità Nerina Dirindin se lo ricordano bene gli operatori: insediata a luglio (2004), a ottobre aveva radunato le parti in rissa da anni per firmare il protocollo d’intesa Regione-Università dove si fissava sulla carta il percorso da seguire per arrivare all’apertura dell’azienda mista. Nel documento non si trascurava di precisare i tempi di lavoro e il preside di Medicina fece per sé un promemoria con le date indicative. Oggi, due anni e mezzo dopo, nulla di ciò che il protocollo prevedeva è stato fatto. Un fallimento, l’ennesimo, se si torna per un attimo alle disposizioni della legge 517 «la quale - spiega Faa - riconosceva che per fare buona didattica bisogna che il sistema metta a disposizione una buona organizzazione dell’assistenza e della ricerca. Ancora oggi invece siamo nell’impossibilità di ottimizzare la didattica con assistenza e ricerca. Inoltre, il Policlinico sta accumulando crediti enormi sia verso la Asl 8 sia verso la Regione, ma non si fa cenno a una soluzione». Ancora un’eredità del passato: circa 13 milioni di euro sono i crediti vantati dal Policlinico per prestazioni erogate fino al 2004 a favore di cittadini di quel territorio sanitario; l’Asl 8 ha cominciato a pagare l’integrazione per l’assistenza garantita dagli universitari solo dal gennaio 2006, fino a quella data l’anticipazione sugli stipendi è stata garantita dall’ateneo stesso. Tanti, insomma, gli argomenti che pressano per arrivare all’azienda mista. Il piano strategico aziendale della Asl 8, poi, per Faa e l’università ha avuto lo stesso effetto di uno schiaffo: il 17 maggio, giorno della presentazione ufficiale, Faa spiega di aver ascoltato il manager di una diversa amministrazione che illustrava quel che si poteva fare in casa sua (pediatrie, neurochirurgie ecc.), ma senza neppure una consultazione. «Il direttore generale della 8 avrebbe dovuto seguire la programmazione del consiglio regionale - dice il preside di Medicina - e se il consiglio regionale era, com’è, in ritardo, ancora di più avrebbe dovuto sviluppare una politica di grande concertazione. Invece io le linee progettuali che coinvolgono l’università le ho sentite per la prima volta lì. Io ho parlato varie volte per le due chirurgie del Binaghi da trasferire al Policlinico, ma il 17 sono state proposte varie fusioni di cui bisognerebbe ragionare assieme». Sui tempi dell’azienda mista. Si doveva costituire una commissione col compito di monitorare l’esecuzione del protocollo, la commissione non è stata formata. Il tavolo tecnico composto dalle parti entro sei mesi dalla firma del protocollo avrebbe dovuto portare alla «definizione puntuale dell’azienda»: il «tavolo» si è riunito due volte, poi più nulla. «Nel protocollo c’era scritto che entro il 10 aprile 2005 c’era l’impegno di presentare la razionalizzazione della rete ospedaliera che serviva per definire esattamente i letti dell’azienda: la razionalizzazione - spiega Faa - non c’è. Definita l’azienda, entro 60 giorni bisognava varare il progetto di scorporo, vale a dire decidere tutto ciò che deve essere conferito nell’azienda: persone, strumenti, strutture. La bozza del piano sanitario c’è, alla luce di questa l’azienda avrebbe dovuto raggiungere il dimensionamento entro giugno 2005. Dopo tale data si poteva costituire l’azienda e quindi procedere alla nomina del direttore generale: secondo le scadenze originarie la nomina doveva avvenire più o meno adesso. Ecco perché il gennaio 2007 non è più una data credibile: con un impegno eccezionale si potrebbe tentare di recuperare parte del percorso perduto, ma non vedo i segni di un impegno del genere». ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’06 TURCO:BUONO IL VOSTRO PIANO SANITARIO Il ministro della Salute Livia Turco in visita a Cagliari plaude alle iniziative della Regione  Ma adesso è necessario un nuovo patto tra Stato e Regioni  CAGLIARI Bagno di folla ieri pomeriggio nella sala Cis per il ministro Livia Turco che ha detto molte cose di sinistra sulla sanità e ha promosso l’assessore Dirindin nel suo operare affinché l’isola diventi terra di buone pratiche mediche organizzate. Turco ha plaudito anche al presidente del consiglio regionale Giacomo Spissu che, politicamente tempestivo, ha annunciato dell’impegno deciso ieri mattina di varare il piano sanitario prima delle ferie estive. «Sono contenta che il presidente del consiglio abbia detto che il piano sanitario sarà approvato in un tempo certo. Il fattore tempo è decisivo: per il cittadino quel che conta è ‘quando’ le cose si fanno». L’appuntamento con Livia Turco è diventato un promemoria Sardegna. L’assessore Dirindin ha spiegato che «nell’isola la sanità ha funzionato nonostante l’assenza di cultura manageriale al livello centrale». Il sindacalista Cgil Giovanni Pinna ha puntato il dito contro la precarizzazione dei medici «senza benefici per i bilanci se è vero che il 30 per cento della spesa sanitaria è in carico ai cittadini». Pinna ha spiegato che «nelle attività esternalizzate gli stipendi sono ridotti anche del 40 per cento rispetto al contratto, nelle case di cura ci sono medici che lavorano per 8 euro l’ora». Ancora: troppi medici per tot abitanti contro troppo pochi infermieri. Sandro Loche, vicepresidente regionale Anaao: la formazione continua dei medici «così com’è non funziona bene». I contratti a tempo «non consentono la crescita professionale dei singoli e delle équipe», «è dimostrato che la perdita di qualità porta allo sperpero delle risorse». Rita Roascio in rappresentanza delle ostetriche: deve essere costruito un percorso che sostenga la maternità prima e dopo il parto. Il percorso deve partire dai consultori, piccolo faro dell’assistenza territoriale dove (esempio) sta trovando risposta la grande domanda di accoglienza delle donne immigrate. Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso: «La convivenza con le industrie ha prodotto una recrudescenza di malattie tumorali e renali, i bambini del nostro territorio hanno malattie respiratorie attribuibili alle emissioni industriali. Ci sottopongono a continui screening, senza che però poi si tenga conto dei risultati. Noi non vogliamo che le industrie vadano via. Chiediamo però che il governo non ci lasci soli nel rivendicare un programma di interventi per limitare i danni». Gavino Faa preside di Medicina di Cagliari e Ausilio Tolu in rappresentanza di Sassari hanno chiesto di rimettere in moto il processo di costruzione dell’azienda mista Regione-Università, il cui unico atto è il protocollo firmato due anni fa. Franca Pretta coordinatrice Tribunale del malato: ha chiesto tra l’altro che venga istituito il fondo sociale per i non autosufficienti, che si impartiscano direttive chiare alle commissioni di invalidità civile, che la terapia contro il dolore «sia percepita come un livello di qualità» e che quindi i centri antalgici siano potenziati (ora capita che debbano imporre liste d’attesa di 4 mesi a malati di tumore). Il ministro: «Il piano sanitario che avete impostato è molto innovativo... anche con questo si mette la vostra regione al centro dell’interesse nazionale. Di fronte alla bancarotta del modello Formigoni dove c’era il fascino della libertà di scelta pubblico-privato ed è finita con ticket, deserto territoriale e spese improprie, si riafferma il modello organizzativo di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria dove si mette al centro la programmazione, che non è un concetto sovietico, ma un modo per anticipare i bisogni del territorio, con la centralità del territorio. In questi anni si è visto che la popolazione, più che libertà di scelta, cerca sicurezza. La battaglia di oggi è per un servizio sanitario nazionale, ci vuole un nuovo patto con le regioni». Contro la devolution: «Si sappia che, tra l’altro, si romperà il sistema pubblico di finanziamento della sanità, ogni regione deciderà quale sarà la fonte di finanziamento e non si potrà parlare di livelli uguali di assistenza... la cifra della nostra sanità dovrà essere invece che le cure primarie e l’assistenza sociale facciano sistema». Poi: fuori la politica dalla gestione della sanità («abrogheremo la norma per la quale 5 anni di legislatura fanno titolo per diventare manager asl»). Si dovrà superare il blocco delle assunzioni; la salute non è un costo, bensì un investimento, ma bisogna capire meglio la natura di certe spese; giusto riprogrammare il numero dei medici e puntare sulle professioni sanitarie. Infine: si cambierà radicalmente «la pessima legge sulle tossicodipendenze fatta dal precedente governo». (a. s.)  ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mag. ’06 TURCO: LA DIRINDIN STA LAVORANDO BENE» Livia Turco in Sardegna per la prima visita da ministro: «Attenti alla devolution, darebbe servizi sanitari diversi» di Alfredo Franchini CAGLIARI. Il ministro della Salute, Livia Turco, esordisce oggi a Cagliari. Due gli appuntamenti (al Cis e al Mediterraneo): un incontro istituzionale (con Soru e l’assessore Dirindin) e poi la presentazione del suo ultimo libro «I nuovi italiani ». «È la prima Regione d’Italia che visito», spiega il ministro, «e ne sono lieta per due motivi: la possibilità di testimoniare l’attenzione per le iniziative da parte dell’assessore Dirindin e perché intendo rappresentare l’impegno, mio personale e di tutto il governo, nell’affrontare le problematiche specifiche della sanità del Mezzogiorno che richiedono particolare attenzione e che per questo abbiamo inserito tra le grandi priorità del nostro programma di governo». — La spesa sanitaria pesa sempre di più sul bilancio regionale. Se continua così serviranno scelte traumatiche o si dovrà cambiare sistema? «La sanità italiana — e voglio dire il mondo degli operatori, le strutture e soprattutto i cittadini che ne usufruiscono — ha bisogno di serenità e certezze rispetto alla garanzia di poter lavorare in ambienti sicuri, idonei, accoglienti dove siano valorizzate le professionalità dei nostri medici, degli infermieri e di tutti gli altri professionisti della salute. E poi, salvaguardia delle garanzie per i cittadini di vedere onorato il disposto costituzionale sul diritto alla salute e sulla necessità di poter contare su risposte appropriate ai nuovi bisogni di salute. A partire dagli anziani, dalle persone non autosufficienti e dalle altre fasce più sensibili». — Ma quindi occorre cambiare il sistema? «No, per far questo non serve cambiare il sistema. Il nostro servizio sanitario regionale è una grande conquista sociale condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione e dalle stesse componenti imprenditoriali della Confindustria che ne hanno riconosciuto il valore anche come fattore di sviluppo economico per il Paese. Il punto è quello di valorizzare questa conquista di civiltà investendo nuove risorse e soprattutto ricreando le condizioni per poter lavorare insieme, Regioni, governo, forze sociali e produttive al fine del miglioramento globale dei livelli di assistenza». — Se dovesse passare la devolution di Bossi avremmo ospedali di serie A al Nord del Paese e di serie B nel Mezzogiorno e in Sardegna? «La devolution della sanità prevista dal testo di riforma costituzionale approvato con il solo voto della precedente maggioranza di centrodestra, rappresenta un indiscutibile pericolo per l’unicità del servizio sanitario. Il rischio è di dare il via a una progressiva parcellizzazione dello stesso diritto alla tutela della salute in base a dove si risiede. Per questo il centrosinistra è ora impegnato nel sostenere il fronte del No al referendun del 25 giugno. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mag. ’06 CISL E CGIL: LA ASL 8 È DIVENTATA TRASPARENTE» Si leva la voce di Cisl e Cgil a difesa dell’innovazione di coinvolgere tutti i lavoratori nel piano strategico Appello al consiglio regionale per il varo del piano sanitario CAGLIARI Il 17 maggio resterà una data storica per la politica sanitaria isolana. Il piano strategico del direttore generale della Asl 8 ha separato le acque della politica da quelle dei dipendenti i quali, attraverso le rappresentanze sindacali o con lettere messe in circolazione, non possono fare a meno di notare come, per la prima volta nella tradizione della Asl, la direzione generale ha inserito i dipendenti tutti, senza la necessità di rappresentanze autorizzate, nell’elenco delle entità da informare sul piano di lavoro dell’azienda per i prossimi tre anni. E così, dopo le serrate polemiche dei giorni scorsi contro un’Asl 8 che non aspetta il piano sanitario, ecco le opinioni di chi chiede con forza che non si abbandoni il metodo inaugurato. Dalla segreteria territoriale della Cisl: «E’ opportuno premettere che lo scorso 10 maggio la stessa Cisl, dopo averlo chiesto formalmente, è stata invitata a partecipare alla conferenza dei sindaci organizzata e coordinata dall’assessore alle politiche sociali Angela Quaquero. Una iniziativa, questa, politicamente rilevante — nota Bizzarro — poiché, avendo chiamato per la prima volta tutti i massimi rappresentanti delle istituzioni cittadine a confrontarsi congiuntamente, getta le basi per aviare tra comuni e provincia il dibattito sulle politiche sanitarie e assistenziali... L’incontro coi sindaci non deve restare un’esperienza isolata e fine a se stessa, ma deve diventare la pratica corrente tra coloro cui compete la gestione dei servizi socio-sanitari, non limitandosi a essere il luogo di mero confronto ma divenendo sede di elaborazioni progettuali aperte anche al contributo delle forze sociali. Altro momento — sottolinea la Cisl — che ha visto partecipe il sindacato risale al 16 maggio scorso quando, a seguito della richiesta avanzata da Cgil-Cisl- Uil, le linee guida del piano sono state formalmente presentate ai sindacati confederali e di categoria. In quell’occasione c’è stata l’assunzione dell’impegno formale di Gumirato a fornire successivamente i dettagli e a rinnovare il dialogo con le forze sociali, delineando il piano come un documento suscettibile di modifiche». Il documento Cisl va avanti: bene i principi enunciati, ma il vangelo deve restare il piano sanitario, giusta l’attenzione che gli esponenti politici hanno dato in questi giorni ai problemi della sanità, speriamo che non sia nata solo per le dichiarazioni «poco felici» di Gumirato. Poi, la Cgil Funzione Pubblica, con un comunicato firmato dal segretario Ugo Pilia dove «si dà atto al Direttore generale della Asl 8 e all’assessore regionale alla Sanità che, per la prima volta, la programmazione della Asl 8 viene adottata con un metodo che garantisce l’esplicita inclusione dei cittadini, degli operatori sanitari, delle associazioni dei malati, delle istituzioni locali e delle forze sociali. Un metodo improntato alla trasparenza nella formazione delle scelte rilevanti sia per la ricaduta che esse hanno sulla protezione della salute dei cittadini sia sotto il profilo economico. Il merito e il valore straordinari di questa scelta sono stati riconosciuti in tutti i numerosi momenti di confronto svoltisi per la presentazione della nuova programmazione della Asl e, per ultimo, in occasione dell’evento tenutosi lo scorso 17 maggio alla Fiera di Cagliari. Un confronto che, come d’intesa, proseguirà nei prossimi mesi per approfondire tutti gli aspetti del piano». La seconda parte del comunicato è un forte altolà contro chi, da un lato non si affretta a mettere in agenda il piano sanitario regionale, ma dall’altro si considera l’unico rappresentante dell’interesse generale dei cittadini: «Chiediamo a coloro che sono intervenuti nei giorni scorsi — continua Pilia — di non utilizzare il sindacato ed i lavoratori della Asl come argomento o come massa di manovra per il dibattito, e stiano tutti tranquilli: le organizzazioni sindacali sono pienamente impegnate nel confronto con l’amministrazione della Asl, che si sviluppa tentando di dare soluzione ai problemi ereditati.. Chiediamo, inoltre, che il consiglio regionale acceleri l’approvazione del piano sanitario regionale, oramai da diversi mesi all’attenzione della commissione sanità, dopo essere stato licenziato dalla giunta regionale a novembre 2005. Questo sì, sarebbe un segnale importante per l’intera Regione da 21 anni senza lo strumento di programmazione della sanità». (a. s.) ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 mag. ’06 MARROCU: GRAVE CHE GUMIRATO PARLI DIRETTAMENTE AI DIPENDENTI E NON CON I SINDACATI Asl 8. Il capogruppo Ds in Consiglio regionale attacca Gumirato «Dirindin, niente complotto» «Non è nostro costume rispondere alle critiche ipotizzando un complotto». Firmato Siro Marrocu, capogruppo Ds in Consiglio regionale. È la prima reazione all’intervista rilasciata dall’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, che aveva detto: «Chi colpisce i manager per indebolire me? Chi ha interesse a conservare lo status quo, a riuscire in progetti che non sono chiarissimi». Adesso Marrocu replica così: «Il complotto non esiste, ribadisco la stima e la fiducia nei confronti dell’assessore. Riconosco alla Dirindin il merito di portare avanti un’azione autorevole per avviare il cambiamento nella sanità pubblica. Però ritengo che il comportamento tenuto dal direttore generale Gino Gumirato vada censurato ». Sul manager dell’Asl 8, il capogruppo Ds ha le idee chiarissime: «È inaccettabile che esprima giudizi che non gli competono sui consiglieri regionali. Certo, mi chiedo anche perché i tre consiglieri del centrodestra abbiano aspettato giovedì scorso per denunciare i problemi del Santissima Trinità, visto che prima la situazione era anche peggiore». Non finisce qui: «Il confronto sul Piano strategico - Piano che apprezzo, sia chiaro - va fatto coinvolgendo i sindacati, le parti sociali, e non con un’assemblea pubblica in cui viene precettato tutto il personale, distraendo i dipendenti dal loro lavoro, peraltro regolarmente retribuito. È gravissimo, Gumirato ha fatto una cosa da Paese dell’Est, quando mai si è visto che il direttore parla direttamente ai dipendenti e non con i sindacati». Ancora più duro: «A spese dell’Asl ha celebrato la propria vanità. Riconfermo la mia stima alla Dirindin, ma sento di prendere le distanze da quello che ha fatto Gumirato. Non vorrei che questo modello fosse esportato anche in altri settori ». C’è da scommettere che lo scontro nel mondo della sanità sia tutt’altro che concluso. ___________________________________________________________ Repubblica 21 mag. ’06 DALLA SANITÀ NUOVA TEGOLA SUL DEBITO Mercoledì vertice tra Regioni e la Turco. Tesoro al lavoro sui numeri — Hanno deciso di ripristinare la regola aurea di ciampiana memoria di «far parlare i fatti» e di non giocare con l’effetto annuncio. Ma certo per il neo ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa e per i suoi due vice, Vincenzo Visco e Roberto Pinza, ogni giorno il quadro dei conti pubblici si fa più preoccupante. Il deficit sembra destinato ad avvicinarsi pericolosamente al 5 per cento, ben lontano da quel 3,8 per cento indicato nell’ultima Trimestrale di cassa, e il debito (la nostra grande zavorra che riduce gli spazi di manovra per lo sviluppo) potrebbe superare l’asticella, già da record, del 106 per cento. Il pericolo, questa volta, arriva dalla spesa sanitaria regionale. E, in particolare, dai crediti sanitari cartolarizzati, ceduti o in via di rinegoziazione che potrebbero trasformarsi da passività a breve termine in debito pubblico. La conseguenze diretta sarebbe quella di far lievitare dell’1 per cento il rapporto debito/Pil: 12-15 miliardi in più. Anche di questo - probabilmente - si parlerà mercoledì prossimo nel vertice convocato dal neo ministro della Salute, Livia Turco, con le Regioni. Ma, soprattutto, si dovrà trovare una soluzione in tempi rapidissimi (entro la fine del mese) per ripianare il deficit della spesa sanitaria del 2005 che sfiora ormai i 5 miliardi. In caso contrario, l’ultima Finanziaria impone alle Regioni di ricavare le risorse aumentando le addizionali Irpef e Irap. Poiché la strada non appare praticabile, prende consistenza l’ipotesi di una dilazione dei tempi per il ritorno in equilibrio. Ed è chiaro che anche la dinamica della spesa sanitaria rientrerà nel nuovo Patto di stabilità interno (la cosiddetta “Maastricht nazionale”), annunciato da Prodi. D’altra parte il meccanismo del tetto alla spesa degli enti locali (il metodo Gordon Brown che piaceva all’ex ministro Domenico Siniscalco) è fallito: nel 2005 la spesa corrente locale è cresciuta del 5 per cento contro una media della pubblica amministrazione del 3,4. L’idea che si coltiva nelle stanze di Via XX settembre è quella di eliminare il tetto sulla spesa storica, che, però, verrebbe accompagnata dalla liberalizzazione delle addizionali fiscali, attualmente bloccate. In sostanza si tornerebbe alla logica dei saldi, dando a Comuni, Province e Regioni un orizzonte temporale per la programmazione, ma anche vincoli concreti di bilancio da rispettare. La stessa logica che ispira, in Europa, il Trattato di Maastricht. Tra una decina di giorni dovrebbe essere concluso il lavoro della “Commissione Faini” per la due diligence sui conti pubblici. Il lavoro tra Ragioneria, Istat e Banca d’Italia è stato sostanzialmente avviato. Le risultanze saranno la base sulla quale prendere ogni eventuale decisione. Ma l’ipotesi di una manovra correttiva prima dell’estate è decisamente scolorita. «A meno che - si osserva tra i tecnici dell’Economia - non sia destinata ad anticipare alcune delle misure strutturali che dovrebbero poi essere completate con la Finanziaria per il 2007». I tempi, però, non sembrano compatibili con questa tesi: il Dpef è ormai alle porte ed è lì che si delineeranno gli interventi per il rientro dal disavanzo. E la partita più delicata, ma per tanti aspetti decisiva, il tandem Prodi-Padoa Schioppa punta a giocarla a Bruxelles dove chiederanno un allungamento (di un anno?) dei tempi per riportare il deficit entro il limite del 3 per cento. (r.ma.) ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’06 DIRINDIN: TROPPI LAUREATI, STOP AGLI ACCESSI» Sanità, gli ordini provinciali chiedono più programmazione  Sabato un convegno con l’assessore Nerina Dirindin  SASSARI. A dare retta ai numeri le facoltà scientifiche dell’università di Sassari dovrebbero chiudere le porte alle matricole per qualche annetto. Si tratta di una provocazione, ma è poco più della realtà dei fatti. Sempre più laureati a caccia di un posto e sempre meno occasioni di lavoro in Sardegna in campo sanitario. Per questo la commissione odontoiatrica in seno all’ordine provinciale dei medici propone un progetto comune da realizzare insieme con l’università e la Regione. Una sinergia che consenta la più funzionale programmazione degli accessi. Il riferimento è ovviamente al numero chiuso, con il quale si regolano da anni nelle facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria gli ingressi degli studenti al primo anno. «Il numero chiuso così come è non dà buoni risultati - commenta il presidente dell’ordine dei medici Agostino Sussarellu -. Ci troviamo con una quota di 100 ammessi in Medicina all’anno e 25 in Odontoiatria: nell’ultimo decennio il numero degli iscritti all’ordine dei medici è aumentato di 947 unità. Si è passati da 2500 sanitari a 3452, una crescita che non corrisponde alla capacità di assorbimento del mercato del lavoro». Gli odontoiatri sono invece aumentati di 104 unità negli ultimi dieci anni, con un trend di crescita superiore al 35 per cento. È sulla base di questi numeri che gli ordini professionali (ci sono anche i rappresentanti degli albi dei Veterinari e dei Farmacisti) pongono l’accento sulla necessità di programmare il numero dei laureati. «La conseguenza dell’eccesso di offerta - dice Pierluigi Delogu, presidente della commissione odontoiatrica che per sabato ha organizzato un convegno sull’argomento - provoca il fenomeno della sottoccupazione. Molti, troppo colleghi sono disposti ad accettare lavori malpagati, a cercare soluzioni di ripiego e comunque a cominciare l’attività lavorativa ben oltre i trent’anni. Ecco perchè è necessario stabilire un tavolo di concertazione con l’università, deputata alla formazione, e con la Regione. Il nostro, come ordine, sarà il ruolo che la legge ci attribuisce: la tutela del livello professionale in vista del diritto alla salute dei cittadini». Ma i problemi relativi al rapporto fra il numero dei laureati e il mercato del lavoro riguardano anche la categoria dei veterinari e dei farmacisti. «A livello nazionale - dice il presidente dell’ordine provinciale dei veterinari Andrea Sarria - ci sono 38 veterinari ogni centomila abitanti, in Sardegna ce ne sono 80». «Noi invece chiediamo l’istituzione del numero chiuso - aggiunge Roberto Cadeddu, rappresentante dell’ordine dei farmacisti - perchè gli iscritti alla facoltà sono stati 60 nel 2000 e 185 nel 2005, un aumento determinato dal fatto che molti esclusi dall’ammissione alle altre facoltà scientifiche “ripiegano” in farmacia».  Insomma, secondo i rappresentanti degli ordini che, ci tengono a dirlo, non svolgono alcun ruolo di tipo sindacale, l’unica via d’uscita sarà un’attenta programmazione. Di questo e di altro si parlerà sabato alle 9 alla Camera di Commercio nel convegno «Accesso programmato razionale alla formazione sanitari». È prevista la presenza dell’assessore regionale alla Sanità Dirindin. Gabriella Grimaldi    ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’06 STUDENTI: «IL NUMERO CHIUSO È UNA FALSA SOLUZIONE»  SASSARI. Agli studenti il numero chiuso non va giù. Lo dice a chiare lettere il rappresentante dell’Ersu di Sassari commentanto la proposta degli ordini professionali sulla programmazione degli accessi alle facoltà scientifiche. «Intanto credo che ognuno debba rispettare il proprio ruolo - dice Simone Campus -. L’università si occupi della formazione e gli ordini della tenuta degli albi. Per quanto riguarda il numero chiuso ritengo che sia una falsa soluzione. È come tenere aperti i centri di accoglienza per arginare l’immigrazione: i problemi vanno risolti a monte».  Campus si riferisce alla necessità di programmare un orientamento efficace già dalla scuola media superiore in modo da prevedere con una certa attendibilità in quali settori si svilupperanno le possibilità occupazionali.  Proprio sulla costituzione di un gruppo di lavoro relativo al Progetto di Orientamento, del quale fanno parte l’università che lo coordina, rappresentanti degli studenti e dirigenti scolastici, si svolgerà oggi alle 10,30 un incontro nel Centro Orientamento di piazza Duomo. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 mag. ’06 LIVIA TURCO:ABORTO,VIA LIBERA ALLA PILLOLA Il ministro della Salute a Cagliari: «Favorirò la sperimentazione» Una spinta alla pillola, un calcio ai politici-manager. Il ministro della Salute, alla fine della sua prima giornata da rappresentante del governo, chiude con una ammissione: «Non bloccherò la sperimentazione della pillola per l’aborto ». Poco prima, dopo un accorato intervento contro la devolution, aveva annunciato: «Fuori i politici dalla gestione della sanità». Il ministro si è impegnato a far abrogare, in tempi brevi, quella norma che permette a chi ha svolto un solo mandato parlamentare o regionale di concorrere per una poltrona di manager nelle aziende sanitarie locali. IL SUO LIBRO. Curiosamente, l’esponente diessina ha evitato di parlare con i giornalisti di questioni non strettamente legate alla salute, includendo il tema del giorno, ovvero il delicato conflitto col Vaticano sul tema dell’aborto. Questioni tabù, che invece lontano dall’Isola fanno parte del confronto quotidiano con la stampa. Solo nel corso della presentazione del suo libro ( I nuovi italiani ), successiva al convegno, la ministra ha scelto la giornalista del Tg3 Bianca Berlinguer (che presentava il volume) per affrontare la spinosa questione della RU486: «La sperimentazione va fatta anche nel nostro Paese, salvo poi fare una valutazione e decidere, con il massimo dei pareri concordi, l’introduzione della pillola con un pieno coinvolgimento della commissione bioetica e con un dibattito politico partecipato». Secondo la Turco, la priorità è «garantire piena applicazione della legge 194, nonostante il governo precedente abbia voluto massacrarla anche istituendo commissioni di inchiesta». «FUORI I POLITICI». L’applauso seguito alla dichiarazione della ministra ha scosso le pareti del Cis: «Nel prossimo consiglio dei ministri utile, presenterò la proposta per abrogare la norma che prevede la possibilità, per parlamentari e consiglieri regionali con almeno cinque anni di legislatura alle spalle, di essere equiparati ai manager nella “corsa” a una poltrona di direttore generale delle Asl». In sintesi, fuori la politica dalla gestione della sanità, questo l’urlo della Turco: «Questa norma sarà cancellata perché è uno scandalo, la politica deve stare fuori dalla sanità, a mio avviso la buona politica deve solo indirizzare, programmare, controllare, non decidere». «NO ALLE BASI». In linea con le dichiarazioni serali del ministro della Difesa Arturo Parisi, pronto a ridiscutere con la Regione sulla presenza delle forze armate in Sardegna, il ministro ha detto: «Salute vuol dire che le basi militari devono andare via, mi pare che la questione sia ben avviata, sarebbe un passo in avanti importante». «VERRÒ A LEZIONE». Non potevano mancare gli attestati di stima alla sua conterranea, la piemontese Nerina Dirindin, assessore regionale alla Sanità: «La bozza del Piano socio sanitario regionale rappresenta una grande svolta, perché al suo interno ho trovato le integrazioni fra sociale e sanitario, con l’accento sulla prevenzione, sul riammodernamento della rete ospedaliera e la valorizzazione del territorio ». Sul tema della salute mentale, e sulle scelte dell’assessorato, la Turco ha aggiunto: «Avete messo in piedi un piano talmente fatto bene che verrò spesso qui a Cagliari per capire come poter esportare questo progetto anche in altre parti d’Italia». «SÌ ALL’EPIDURALE». Dopo il breve colloquio con il presidente Soru e la partecipazione al congresso affollato di rappresentanti del pianeta sanitario regionale, il ministro ha anticipato una delle questioni che affronterà quanto prima: «Cercherò di far introdurre, negli ospedali italiani, l’uso della epidurale, in modo che il dolore del travaglio possa essere scongiurato anche per le donne che non possono permettersi questo analgesico ». L'iniezione epidurale, secondo la Turco, «è anche meno costosa di un parto cesareo ». «NO ALLA DEVOLUTION». Lo avrebbe gridato anche di fronte al senatore Piergiorgio Massidda, se fosse stato ancora presente in sala: «Con lui ho battagliato a lungo, dico no alla devolution, non deve passare », un appello al voto in piena regola motivato così: «Se passasse la proposta del centrodestra, per la Sardegna e per la sanità nazionale sarebbero solo brutti colpi: verrebbero a crearsi un sistema sanitario nazionale e venti sistemi regionali, con strategie e velocità differenti. Ogni regione avrebbe la sua assistenza e non sarebbe garantita la stessa tutela per i cittadini fra Nord e Mezzogiorno». Poi la promessa: «Il mio sarà un ministero partecipato, governerò in sintonia con le regioni». ENRICO PILIA Prima uscita del neoministro della Salute, che annuncia il via alla sperimentazione della pillola abortiva. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mag. ’06 PAOLO PANI: CARO FA LE ISTITUZIONI STIANO FUORI» Al mio Preside, professor Gavino Faa. Riceverà questa mia nota in ritardo. Purtroppo ho ricevuto il Suo invito a partecipare all’incontro fra la Facoltà di Medicina ed il candidato Sindaco, Emilio Floris, solamente il 22 maggio. So che vi sarà un incontro anche con un altro candidato, Gianmario Selis. Io non vi parteciperò. Considero infatti queste iniziative di grave disinvoltura, se non fuori dalle regole (di questo non ho certezze), almeno oltre la prassi istituzionale. Se mi è permesso un confronto è come se i candidati Sindaci esponessero le loro ragioni nella sede del Palazzo di Giustizia di Cagliari, o presso lo stesso Consiglio comunale. Ho sempre considerato auspicabile un confronto fra le istituzioni, fra università ed amministrazione cittadina. Questo può avvenire, ma solo nelle sedi proprie, pubblicamente, senza inopportuni coinvolgimenti istituzionali. Sono queste le ragioni del mio dissenso, a cui aggiungo, Preside, anche un invito di maggior rigore istituzionale, almeno secondo la nostra prassi. Paolo Pani Docente Facoltà di Medicina ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 24 mag. ’06 IN CAMICE DA CINQUANT'ANNI Mezzo secolo in camice bianco, al servizio della salute dei pazienti. Una vita in corsia o in ambulatorio, trascorsa fra stetoscopi e ricettari. Per i medici laureati nel 1956 è arrivato il momento di festeggiare le nozze d'oro: la consorte, naturalmente, è la medicina. Ieri sera il presidente dell'Ordine, Raimondo Ibba, nel corso di una cerimonia che si è tenuta nella sala conferenze dell'Ordine provinciale dei medici, ha premiato i cinquant'anni di attività professionale di Gian Luigi Gessa, Licinio Contu, Anacleto Lecca, Paolo Falconi, Giuliano Massazza, Francesco Adamo, Giorgio Aresu, Contardo Bergamini, Paolo Cherchi, Francesco Barile, Piero Faa, Guido Carta, Salvino Demuro, Greca Cocco, Salvatore Murgia, Giacomina Serpi, Silvio Trincas, Luca Francesco, Maria Cadeddu, Leonello Murgia e Franco Zucca. Poco importa che alcuni di essi abbiano da poco smesso di lavorare dopo una lunga e onorata carriera. Cinquant'anni di professione che hanno reso Ibba «orgoglioso di essere presidente di un Ordine che annovera fra le sue fila personalità di così grande spessore ed esperienza: medici che in questo mezzo secolo hanno contribuito in maniera determinante al miglioramento della qualità di vita dei sardi e, più in generale, al progresso della società nel suo insieme». ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’06 PUNTO D’INCONTRO TRA LE ASL E L’UNIVERSITÀ Azienda sanitaria come punto d’incontro tra Università e Regione, dove la facoltà di Medicina, oltre ai compiti istituzionali della didattica e della ricerca, ha un ruolo fondamentale nell’assistenza. L’azienda mista dovrebbe nascere proprio con questa finalità: coordinare l’attività tra Università e Asl 8, con compiti precisi per i medici universitari e per quelli del sistema sanitario nazionale. L’azienda mista, secondo il protocollo firmato nel 2004, dovrebbe comprendere le strutture assistenziali del Policlinico universitario e quelle attualmente convenzionate con la Asl 8. Altre strutture sono individuate nel piano strategico: «Si parla di accorpamenti di cliniche pediatriche», commenta il preside di Medicina, Faa, «di una nuova chirurgia che dovrebbe nascere dalla fusione di una universitaria con una ospedaliera. E altro ancora, poco chiaro a tutti». A capo dell’azienda ci sarà un direttore generale (nominato con decreto del presidente della Regione, d’intesa con il rettore dell’Ateneo di Cagliari), che sarà affiancato da un organo di indirizzo, nel quale sarà presente il preside della facoltà di Medicina. (m.v.) 3 - L’Unione Sarda ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’06 Novità per i medici neolaureati L’INFARTO SI STUDIA SUL CUORE DEL MANICHINO Sembra un uomo in carne e ossa, in realtà è un sofisticato apparecchio che permette ai medici neolaureati di acquisire esperienza e affrontare al meglio le emergenze provocate dalle malattie cardiache e della circolazione. Il robot ha infatti un cuore che batte, respira, muove le palpebre: si chiama Sam (Simulatore artificiale medico) ed è il più moderno strumento capace di riprodurre i sintomi di numerose patologie. il progettoLa sua anima è il computer: da oggi (e fino a sabato) il simulatore sarà la cavia sulla quale si eserciteranno 200 medici provenienti dalla Asl 8, ma anche dalla 7 del Sulcis e dalla 6 del Medio Campidano nell’ambito del progetto Lifecase: un corso di formazione per i laureati in medicina generale che punta ad aumentare le competenze nella prevenzione del rischio cardio-cerebrovascolare. L’iniziativa è nata dalla collaborazione tra Dies Group, azienda specializzata nel campo socio-sanitario, la casa farmaceutica Pfizer e l’assessorato regionale alla Sanità. Entro il 2007 coinvolgerà 15 mila medici di 75 Asl di tutta Italia. il corsoIn questi giorni, i medici seguiranno in città un corso di cinque ore, diviso tra teoria e pratica sul simulatore: «È uno strumento innovativo che permette di avere un momento formativo concreto», ha spiegato ieri il direttore sanitario della Asl 8 Giorgio Sorrentino. il simulatoreIl simulatore costa 250 mila euro ed è prodotto dalla Dies Group in collaborazione con l’azienda americana Meti: in Italia ne esistono 2 esemplari. I medici possono sentire il polso, ascoltare i battiti, misurare la pressione arteriosa, iniettare farmaci, ma anche intervenire per la defibrillazione, eseguire la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco. (n. p.) ________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mag. ’06 WELFARE: BISOGNA SAPER SPENDERE Mercato del lavoro inefficiente - La scarsa specializzazione penalizza la manodopera Welfare oneroso, non riduce le disuguaglianze ROMA a La sola strada per uscire davvero dalla povertà è puntare tutto sull'istruzione. Ma intanto sarebbe utile riuscire a ridisegnare anche in Italia il sistema di welfare. Ne è convinto Stephen Nickell, 62 anni, professore di Economia alla London School, esponente del Comitato di politica monetaria della Bank of England, speaker al festival dell'Economia di Trento nella giornata dì sabato 3 giugno. Professore, in Italia, secondo i più recenti dati dell'Istat, ci sono 4 milioni di lavoratori che hanno salari molto bassi e un milione e mezzo di loro appartiene a famiglie disagiate. Come spiega la presenza di un numero così consistente di lavoratori poveri? In alcuni Stati la distribuzione dei redditi è estremamente dispersa e credo che questo sia vero per l’ltalia così come lo è per la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Diversamente da quanto accade in Svezia, Danimarca o Finlandia. dove ci sono pochi lavoratori poveri, in Paesi come il mio o come l'Italia c'è molta gente che vive al di sotto della soglia di povertà. Allora ci si può chiedere perché esistono Stati che hanno una distribuzione dei redditi così dispersa. Già. perché? Gli Stati che hanno una forte dispersione nella distribuzione dei redditi di solito hanno anche una forte dispersione dei tipi di abilità professionale. Per esempio negli Stati Uniti. in Gran Bretagna e forse anche da voi c'è molta gente con bassa specializzazione professionale. il che non è il caso appunto dei Paesi del Nord Europa. Grosso modo, queste differenze dipendono dal sistema scolastico, dalla forrnazione. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e penso anche in Italia il sistema educativo non è molto efficace nel fornire una preparazione appropriata alle persone che si trovano in fondo alla scala delle abilità professionali. L'Italia in anni recenti ha sperimentato una crescita economica molto bassa. Si può pensare che questa possa essere una delle concause del peggioramento della distribuzione del reddito? No, perché il problema della distribuzione del reddito viene da lontano, mentre quello della bassa crescita risale ad anni più recenti ed è a mio parere un problema dì tipo macroeconomico. In Italia il costo del lavoro è cresciuto molto più rapidamente che nei Paesi limitrofi, come Germania e Francia. Nei loro confronti. collocandosi all'interno di un'area valutaria unica. l'Italia sta perciò diventando sempre meno competitiva. Per non parlare della crescente competizione dei Paesi extraeuropei. Inoltre, il mercato del lavoro in Italia non è molto efficiente rispetto all'esigenza di contenere il costo del lavoro. Però io non credo che tutto questo abbia a che vedere con il peggioramento dei redditi dei lavoratori poveri. Per i quali il problema principale. che si profila in tutti i Paesi, è la tendenza a diventare dei disoccupati, ad essere espulsi dal mercato del lavoro. per via della scarsa specializzazione. E sotto il profilo delle politiche, qual è la cura migliore? Nel lungo periodo, la sola soluzione sta nel potenziamento dell'istruzione e del sistema educativo. Nel breve, la soluzione, a parte quella di disporre di un'economia più brillante. è puntare su un sistema di benefit o di trasferimenti pubblici per sostenere il reddito dei lavoratori più poveri. Il sistema di welfare italiano non è ben finalizzato, la spesa pubblica non viene orientata nel modo più efficace. Per verificarlo, basta dare un'occhiata ai confronti internazionali fatti dall'Ocse: quando la quota di spesa sociale che viene destinata a quel 30% di persone in età da lavoro che si colloca nella fascia di redditi più bassa è inferiore al 30%. com'è il caso dell'Italia, dove ai più poveri affluisce solo il 20°h della spesa sociale. allora la struttura di questa spesa pubblica è squilibrata, perché non serve a ridurre la povertà. Non pensa che ridurre il cuneo fiscale che grava sui salari possa essere uno strumento efficace anche per il sostegno del reddito dei lavoratori più poveri? La mia impressione è che se si deve ridurre un tipo di tassa, in questo caso la tassazione sul lavoro, solo per finire ad aumentare un'altra imposta. allora questa misura non è utile. E in ogni caso, non sarebbe adatta per fronteggiare il problema specifico dell'impoverimento. Il problema di fondo é che i Governi non vogliono mai ridurre il livello della spesa pubblica. Per risolvere i problemi di welfare è più opportuno concentrarsi su una razionalizzazione della spesa sociale. che consenta di orientarla meglio sull'obiettivo "povertà". ROSSELLA BOCCiARELLt ________________________________________________________ Libero 23 mag. ’06 MEDICINA DEL LAVORO: 3000 DELEGATI FANNO IL PUNTO SULLA SITUAZIONE r.s.) A 100 anni dalla prima edizione del congresso mondiale di Medicina del Lavoro, Milano ospita, dall'11 al16giugno, la 28esima edizione. Tremila delegati faranno il punta della situazione: in 191 Stati sono 850mila all'anno i morti dovuti ai rischi sul lavoro; uffici malati e pericolosi, ma i lavoratori non lo sanno; nel 30°l° degli uffici europei basso comfort per il personale;allergia al nichel per milioni di italiani (disturbo cresciuto del 38% in 10 anni); asma da farina per il 10% dei panificatori. ________________________________________________________ L’Unità 23 mag. ’06 PARTORIRAI SENZA DOLORE 0tto donne su dieci la vorrebbero, ma solo due su dieci vengono accontentare: L'epidurale in Italia è un miraggio: pochissimi la praticano e solo a pagamento, ma adesso sarà gratuita, per legge. Una piccola riforma per una grande svolta: garantire per tutte il parto indolore. Livia turco comincia da qui il suo mandato di ministro della Salute con !'impegno di rendere gratuita in tutti gli ospedali italiani l'anestesia durante il travaglia, ma anche quello di spianare la strada alla pillola RU-486, la soluzione non chirwgica dell'aborto. «Come sono per il parto senza dolore, così sono per l'interruzione di gravi3anza senza dolore». alle minorenni, e una nuova politica che riesca a potenziare e finanziare i consultori oramai sempre più in difficoltà, non solo per ragioni di fondi. Un passo dopo l'altro a cominciare dall'epidurale. cioè l'anestesia che viene inietta nello spazio che circonda il canale vertebrale mentre la donna è già in fase di travaglio e che aiuta a lenire il dolore senza inibire la possibilità di spingere naturalmente la fuoriuscita del neonato. Non tutti lo sanno ma sono pochissimi gli ospedali in Italia che offrono, alla donna, al momento del parto l’anestesia locale. L'ultima ricerca è stata fatta dal club italiano degli anestesisti ostetrici nel lontano 2003 e dice che appena il3,7% dei parti naturali nelle strutture pubbliche avviee con I'epidurale, una percentuale che sale al 5-6% quando la prestazione viene effettuata in regime di intratnoenia, quindi a pagamento. Nel privato si arriva al 15%, ma il rapporto ottimale, secondo le società intenazionali, sarebbe del 25%. Il fatto è che il parto senza dolore costa dai 500 ai 1500 euro per chi la chiede e non conviene alle strutture sanitarie. Un'anestesista pesa sul bilancio per circa 350mila euro all'anno e prevedere una guardia solo per l’epidurale è un investimento che non va. «Chiederemo aiuto alle Regioni - ha detto la Turco - Ho scoperto che questo piccolo intervento non è compreso in modo chiaro nei livelli essenziali di assistenza perché in alcune parti lo fanno e in altre no. Bisogna sostenere la nascita in tutti i suoi aspetti, sono troppi i parti cesarei, e bisogna curare la prevenzione, soprattutto prevenire le nascite premature. Perché credo che si siano fattì dei passi indietro per,quello che riguarda il parto». Poi il problema dell'aborto non cruento. «L'interruzione di gravidanza - ha spiegato il ministro - è già un fatto così traumatico e drammatico per le donne. Difendo le metodiche. meno invasive e dolorose e non opporrò nessun ostacolo alla pillola abortiva RU486, ma all’ interno delle indicazioni della 194 e senza alcuna sperimentazione selvaggia». E sulla questione della pillola del giorno dopo il ministro ha spiegato che la questione verrà esaminata «con calma». Ma l'apertura- sia pure più mite - alla pillola abortiva non è piaciuto alla destra che nei mesi scorsi, proprio con Storace ministro, aveva acceso una campagna elettorale di fuoco sul tema dell'interruzione di gravidanza. «La Turco pensi agli interessi della famiglia- ha commentato il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volontè-. Evidentemente non sa che lo stesso padre della pillola abortiva, Etienne-Emile Baulieu, ha già ammesso alcuni effetti mortali della Ru486, ma il ministro della Salute e la collega titolare per la Famiglia, Rosy Bindi, si rendano almeno conto di aver prestato giuramento nell’ esclusivo interesse del popoolo italiano e non della Sinistra e della Rosa nel Pugn ________________________________________________________ Libero 25 mag. ’06 IL BOTOX ELIMINA LA DEPRESSIONE IN 9 DONNE SU 10 Ma per alcuni medici e' solo una remissione transitoria Un piccolo esperimento pilota, pubblicato su una rivista di chirurgia dermatologica statunitense, ha avanzato l’ipotesi che le iniezioni di botox per spianare le rughe ai lati della bocca e sulla fronte sarebbero in grado di eliminare i sintomi della depressione in 9 donne su 10e ridurli nella decima. Gli autori della scoperta dichiarano di essere molto lontani dall'affermare che il Botox possa essere impiegato come terapia nella depressione, ma i risultati da loro ottenuti autorizzano a verificare con ulteriori indagini questa ipotesi. Secondo I'American Psychiatric Association la depressione clinica colpirà dal 10% al 25% delle donne e dal 5% al 10% degli uomini a un certo punto della loro vita. Diversi psicoterapeuti e psichiatri ritengano che le espressioni facciali abbiano un effetto sul cervello. Vedere allo specchio il proprio volto ringiovanito e senza rughe influirebbe sui centri nervosi interessati dal sintomo depressivo. Secondo altri medici lo studia in questione è una pericolosa bufala, dato che la presunta remissione dei sintomi sarebbe comunque transitoria. ________________________________________________________ PANORAMA 23 mag. ’06 SULLA MALARIA LA BANCA MONDIALE MENTE» SALUTE NEL MONDO UN'ACCUSA Un avvocato e un gruppo di scienziati accusano: l'ente per la sviluppo ha gonfiato i risultati contro la grave malattia. E ha investito in farmaci ormai inutili. • di ANNA JANNELLO e un dottore o un farmacista si comportassero come la Banca «se ignorando i consigli degli esperti e fornendo cure inefficaci per una malattia potenzialmente mortale, sarebbero perseguiti e condannati per negligenza». Amir Attaran, avvocato e professore di diritto all'Università di Ottawa, ha lanciato la provocatoria accusa alla massima organizzazione di finanziamento allo sviluppo dalle pagine della famosa rivista The Lancet lo scorso 25 aprile, proprio nel giorno celebrato come Africa malaria dav. Se il 41 per cento della popolazione, mondiale è esposto al rischio di paludismo (presente in 105 paesi. 500 milioni di persone infettate ogni anno), l'Africa risulta particolarmente colpita: il90 per cento su oltre 1 nvlione di decessi causati dalla puntura dell'Anopheles damlaiae avviene nella fascia subsahariana. KILLER PLANETARIO II tasso di infezione tra la popolazione del pianeta. L'Africa ha il maggior numero di malati. Ogni 30 secondi muore un bambina africano. Per tentare di sradicare questa evitabilissima ma mortale malattia nel 1998 la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale della sanità e il Global fund hanno lanciato il programma Rolt back malaria, che prevede di dimezzare i casi di paludismo entro il 2010. Sull'impegno in termini monetari e sulla scelta dei trattamenti più adatti per la profilassi antimalaria si è scatenato l'avvocato Attaran, alla testa di una dozzina di epidemiologi ed esperti di programmi sanitari. Nel suo pamphlet rimprovera alla Banca mondiale dì non avere rispettato gli obiettivi economici previsti dal piano entro il 2005 (inizialmente, nel 2000, aveva promesso dai 300 ai 500 milioni di dollari soltanto ai governi africani), ma anzi di aver tagliato le spese a 100-150 milioni di dollari da dividersi in tutto il mondo. La manipolazione dei dati statistici è un altro capo d'accusa. Nel Programma di strategia globale e di rilancio del 2005, che la Banca ha pubblicizzato con enfasi, l’intervento in Brasile è visto come una «success story»: i casi di malaria sono scesi del 60 per cento. Però le statistiche del governo brasiliano indicano un calo solo dei 23 per cento. Anche per l’India i dati forniti sulla riduzione del paludismo in Gujarat, Maharashtra e Rajasthan (tre stati dove interviene i1 Malaria control project finanziato dalla Banca mondiale) sono più ottimisti di quelli del governo indiano. Ma la polemica infuria su un aspetta particolarmente delicato: Attaran sostiene che la Banca ha approvato, in cinque occasioni nel 2004, l'acquisto in India di clorochina, un farmaco ormai inutile per combattere il Plasmodium falciparum (il parassita ha sviluppato resistenza), causando quindi la perdita di molte vite. Puntuale, lo stesso giorno, è uscita su The Lancetla risposta della Banca mondiale: punto per punto Jean-Louis Sarbib ne ha difeso l'operato ricordando l'impegno, ribadito dal neopresidente Paul GVolfowitz, di finanziare la lotta alla malaria nei prossimi cinque anni con una cifra da CHE GENI QUELLE ZANZARE Resistenti a! parassita grazie al dna Un aiuto contro la malaria potrebbe venire dalle stesse zanzare portatrici del parassita che trasmette i! paludismo. L'équipe di Kenneth Vernick dell'Università de( Minnesota, insieme con ricercatori dell'Università di Bamako, ha provato, in un'area del Mali dove la malaria è endemica, che molte Anopheles gambiae sono resistenti al parassita (la zanzara femmina contrae il Plasmodium falciparum pungendo una persona infetta e lo trasmette a un altro individuo). I biologi hanno scoperto in una piccola porzione del cromosoma 2l. delle zanzare il gruppo di geni resistenti al Plasmodium: in particolare, il gene Apl1 gioca un ruolo chiave. E fa capacità di resistere al parassita, come spiega la ricerca pubblicata su Science, si trasmette di generazione in generazione. ~~Un Possibile approccio nella lotta antimalaria» suggeriscono gli autori ~~sarebbe quello di accrescere il numero delle zanzare portatrici di questo tipo di geni». j 500 milioni a 2 miliardo di dollari. In Africa, dove la Banca collabora con la Bill & Melinda Gates foundation, sono stati approvati progetti per 139 milioni di dollari. Per conoscere l'esatto esborso di denaro in ogni paese, e seguire il percorso dei finanziamenti, dal 2007la Banca avrà a disposizione un database che segnalerà le aree dove i programmi antimalaria sono in ritardo. Chissà se questo servirà a rassicurare I'avvocato Attaran. Il quale peraltro non è nuovo a questo tipo di denunce: nel 2004 aveva attaccato I'Oms e il Global fund per il ritardo e gli ostacoli posti nel somministrare l’artemisimina, in combinazione con un altro farmaco, al posto dell'ormai inutile clorochina e della pirimetamina-sulfadiazina. ___________________________________________________________ Repubblica 25 mag. ’06 DOPO UN INFARTO IL CUORE SI AUTORIPARA La scoperta al Laboratorio di Biologia Molecolare di Monterotondo L'animale riprende funzionalità cardiaca e ripara tessuti muscolari Staminali, nascono i "super-topolini" ROMA - Topolini con il cuore che si autoripara dopo un infarto. E' la straordinaria scoperta del gruppo di ricerca guidato da Nadia Rosenthal, direttrice del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL) di Monterotondo, intervenuta al V convegno nazionale "Cellule Staminali e Progenitori Emopoietici Circolanti" a Roma. I topolini, spiegano i ricercatori, riescono a riparare, da soli, il proprio cuore dopo un infarto grazie alla produzione di un fattore di crescita che potrebbe divenire determinante nelle strategie di riparazione di organi e tessuti. Il loro segreto è la capacità di produrre in modo continuo nel cuore un particolare fattore di crescita, il fattore insulinico 1 (IGF-1). Così, procurato un infarto al topo, l'animale è in grado di riprendere in modo straordinario la funzionalità cardiaca e alle cicatrici lasciate dall'infarto si sostituisce un tessuto muscolare funzionante. Il sospetto che IGF-1 fosse un fattore di crescita con particolari poteri di rigenerare il tessuto cardiaco, ha spiegato la Rosenthal, è sorto dopo anni di ricerca su diversi fattori di crescita. Dai risultati degli studi è emerso che IGF-1, la cui funzione è importante in tutto il corpo, sembrava "speciale", perché, per esempio, si era visto che in condizioni di carenza di IGF-1 si manifestava atrofia del miocardio. Con queste premesse, continua la ricercatrice, "abbiamo inserito IGF-1 nel Dna del topolino, in modo che il suo cuore lo producesse continuamente, e abbiamo visto innanzitutto che il topo non risente in alcun modo di questa modifica genetica". L'animale, prosegue la scienziata, non si ammala di cancro né di altre malattie in qualche modo collegabili a un fattore di crescita prodotto continuamente. Così, gli scienziati sono passati alla fase successiva: hanno procurato un infarto ai topolini transgenici e hanno notato che dopo pochissimo tempo la loro funzione cardiaca recupera in modo straordinario. Non è tutto, perché il tessuto fibroso e cicatriziale (che nel paziente è alla base dell'insufficienza cardiaca post-infarto) pian piano viene riassorbito e sostituito da tessuto muscolare miocardico. Il recupero visto nei topolini è straordinario "come mai visto prima". Ancora non si è scoperto su quali elementi vada a influire IGF-1 per dare simili risultati: quel che è certo, in ogni caso, è che è un fattore di crescita tra i più promettenti nella rigenerazione cardiaca. È possibile, si ipotizza, che richiami in sede cellule staminali dal midollo o che stimoli quelle cardiache già presenti, oppure che semplicemente comandi la riorganizzazione del tessuto miocardico post-infarto senza una vera e propria costruzione di nuovo tessuto. Questo sarà l'oggetto delle prossime ricerche. Lo studio, conclude la Rosenthal, ha messo in luce due importanti risultati: non solo indica quale sia un fattore di crescita su cui puntare per la rigenerazione cardiaca, ma conferma che se il cuore riceve lo stimolo a ripararsi subito dopo il danno, i risultati della riparazione sono molto più significativi e si può prevenire la formazione di tessuto cicatriziale a tutto vantaggio della funzionalità del cuore. ___________________________________________________________ Repubblica 25 mag. ’06 LA MACCHINA CHE "INSEGUE" IL TUMORE L'apparecchio si chiama IGRT e permette di vedere la neoplasia mentre viene irradiata di Lucia Zambelli Una macchina che consente di "vedere" il tumore nella sua esatta posizione, e anche nei suoi spostamenti, e quindi di inviare il fascio di irradiazione con precisione millimetrica, cogliendo tutto il bersaglio, ed evitando allo stesso tempo i tessuti sani. è l'ultima frontiera della radioterapia oncologica, si chiama IGRT, Image guided radioteraphy (terapia radiante guidata dalle immagini) e, in uso già da qualche anno negli Stati Uniti e in molti paesi europei, è arrivata da pochi mesi in Italia (vedi box). "Nella radioterapia oncologica c'è un conflitto storico tra il bene e il male", spiega Franco Casamassima, ordinario di diagnostica per immagini e radioterapia al Dipartimento di fisiopatologia clinica dell'Università di Firenze, a capo dell'Unità operativa di radiobiologia Clinica dell'Ateno toscano, collocata nella casa di cura Santa Chiara dove dal dicembre scorso è in funzione l'apparecchio. "Il bene è la capacità della radioterapia di agire efficacemente sulle cellule tumorali. Il male è l'esposizione, intorno o vicino alla massa tumorale, di organi e tessuti che vengono danneggiati dall'irradiazione". Negli ultimi anni la radioterapia ha fatto grandi progressi: l'avvento della Tac ha permesso di vedere il tumore e i tessuti sani da salvare, poi tumore e organi circostanti sono stati ricostruiti in 3 dimensioni, poi ancora si è arrivati a modulare l'intensità della radioterapia. Ora, con l'IGRT, un ulteriore passo avanti: la possibilità di vedere il tumore via via che viene irradiato, e "inseguirlo" anche nei suoi minimi spostamenti, dovuti per esempio al respiro del paziente. "Gli organi e il tumore ad essi collegato", chiarisce Casamassima, "mostrano frequentemente una mobilità: respirazione, pulsazioni arteriose, peristalsi. Inoltre la forma della massa tumorale all'inizio della prima seduta di radioterapia probabilmente non è la stessa nelle sedute successive". Una rivoluzione tecnologica che consente di estendere il trattamento anche a forme di cancro finora non curabili con la radioterapia: molti tumori della prostata, del polmone, del fegato, del pancreas, dell'encefalo. I vantaggi: aumento della percentuale di guarigione "dall'attuale 62% dei pazienti", dice Casamassima, "si può arrivare al 90"; riduzione dei tempi di trattamento da otto a quattro settimane; di conseguenza, taglio del 50% delle liste di attesa. "Qui lavoriamo dalle 7.30 alle 23", racconta il radiologo "trattiamo 65 pazienti al giorno e ne abbiamo 185 in lista di attesa". Costo della macchina, 2 milioni di euro: è un "costo alto" osserva Casamassima, "la formula giusta è quella del connubio pubblico-privato. L'imprenditorialità privata può acquistarle, l'Università farle funzionare. Perché la macchina è come una Ferrari, e alla guida ci vuole Schumacher". Dove è utilizzata in Italia La mappa La macchina IGRT (Radioterapia guidata dalle immagini) Elekta Synergy è già in funzione da qualche anno in Stati Uniti e Canada: per esempio, al Formerly William Beaumont Hospital di Detroit, e al Princess Margaret Hospital di Toronto. In Europa è presente in 10 centri, tra cui il Netherlands Cancer Institute (NKI/AvL) di Amsterdam, il Christie Hospital di Manchester, (UK), il policlinico di Wurzburg e l'Università di Friburgo in Germania. In Italia, l'apparecchiatura funziona da qualche mese alla casa di cura Santa Chiara di Firenze (dove è gestita dal responsabile dell'unità operativa di radioterapia del policlinico di Careggi), all'ospedale San Bortolo di Vicenza, alla casa di cura Città di Lecce, sempre con il connubio pubblico-privato. è in fase di installazione - e sarà operativa nell'arco di tre mesi - all'Università Tor Vergata, a Roma, e all'ospedale Ca' Granda a Niguarda, Milano (due apparecchi). La Regione Toscana ne acquisterà 3, per i policlinici ospedaliero-universitari di Careggi, Siena e Firenze. (l. z.) ___________________________________________________________ Repubblica 25 mag. ’06 DAY HOSPITAL ONCOLOGICI, COMFORT SCARSO Il voto dei pazienti di 86 strutture: bene i trattamenti, ma poco dialogo. Iniziativa dei primari del Cipomo di Giuseppe Del Bello Hanno promosso a pieni voti l'assistenza ambulatoriale ma si sono dichiarati parzialmente soddisfatti dell'accessibilità e del comfort. Sono alcuni dei risultati emersi da un'indagine qualitativa, condotta per 12 mesi in 86 strutture oncologiche italiane su un campione di 7037 pazienti curati nei day-hospital. Sotto la lente d'ingrandimento sono finiti aspetti fondamentali come la raggiungibilità territoriale, la comunicazione medico-paziente, l'ascolto infermiere-paziente, la collaborazione fra camici bianchi e infermieri, la presenza dello psicologo, la privacy, i tempi di attesa e le spese sostenute. Promosso dalla Cipomo (Collegio italiano dei primari oncologi ospedalieri) in collaborazione con la Pfizer, per migliorare la qualità di vita nelle divisioni di oncologia, il questionario ha messo in luce le situazioni carenti e le punte di eccellenza secondo gli utenti. I giudizi sull'assistenza ricevuta in day-hospital sono stati complessivamente buoni e, in particolare, le donne si sono dette soddisfatte soprattutto dei tempi di attesa per le terapie. Definita "eccellente", perché chiara e comprensibile, la comunicazione con l'oncologo. Non sono mancate invece le critiche all'accessibilità e al comfort che raggiungono solo la sufficienza. Come scarsa è risultata la partecipazione del paziente nelle decisioni terapeutiche e diagnostiche: solo il 49,8% degli intervistati ha detto di sentirsi coinvolto dai medici in maniera eccellente. Da migliorare anche l'aspetto emozionale che riguarda la condivisione con l'oncologo di ansia, paura, angoscia e depressione: oltre il 70% ha lamentato questi disagi nel corso della malattia, ma solo per il 36% ci sarebbe stato il sostegno dello psicologo. "L'indagine rappresenta un contributo sulla capacità di azione e potenzialità del Cipomo", osserva Guido Tuveri, presidente del Collegio, "ma anche un primo passo verso la volontà di sviluppare un'attenzione globale rivolta non solo alla malattia, ma alla persona malata, alla struttura e alla qualità dei servizi". Mentre, per il coordinatore dell'indagine e primario oncologo a Siena, Sergio Crispino, "nonostante i buoni risultati emersi, c'è ancora molto da fare per il futuro perché l'assistenza al paziente oncologico passi da una valutazione sufficiente a eccellente". ___________________________________________________________ Le Scienze 25 mag. ’06 TUTTI I TRUCCHI DELLA PESTE Grazie a una proteina, blocca il processo di fosforilazione necessario alla risposta immunitaria dell'orgnismo ospite Se qualcuno crede che il batterio che causa la peste bubbonica non possa offrire alcun vantaggio alla ricerca medica dovrà ricredersi: i ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas a Dallas l’hanno sfruttato per comprendere un meccanismo chiave che inibisce il sistema immunitario dell’organismo ospite. Tre specie di Yersinia, noti perché all’origine della peste e di alcune forme gastroeriche, contengono una piccola molecola, chiamato fattore di virulenza, che secondo gli studiosi è in grado di modificare alcuni enzimi critici per il normale funzionamento delle difese immunitarie. Queste difese infatti prevedono che un enzima, secondo un processo noto come fosforilazione, aggiunga un gruppo fosfato a un altro enzima, che a sua volta farà la stessa cosa con un altro enzima, dando luogo a un processo a cascata. Durante l’infezione da Yersinia, il batterio è in grado di impedire il procedere della cascata, poiché una sua proteina esterna, nota come YopJ, lega un gruppo acetile ai siti che dovrebbero invece ospitare un gruppo fosfato. “Questo tipo di modificazione – ha commentato Kim Orth, primo firmatario dell’articolo apparso sulla rivista ‘Science’ – non era mai stato osservato finora nelle cellule e rappresenta un nuovo paradigma della modalità con cui le cellule regolano i propri segnali.” ___________________________________________________________ Le Scienze 25 mag. ’06 I GENI CHE DAL DENTE PORTANO AL CUORE Sono quattro e aiutano il batterio a penetrare nelle cellule delle arterie Il collegamento fra la presenza di alcune patologie dentali e l’insorgenza di malattie cardiache, rilevato ormai da diversi studi, è stato spiegato da una ricerca condotta presso Università della Florida a Gainesville. Il gruppo di ricercatori diretto da Paulo Rodrigues ha in particolare scoperto che il batterio Porphyromonas gingivalis, capace di creare biofilm attorno al dente e all’origine di molte peridontopatie, è in grado di penetrare e sopravvivere all’interno delle cellule delle pareti arteriose. Hanno inoltre identificato quattro geni appartenenti al patrimonio genetico di P. gingivalis che concorrono a questa capacità del batterio. Sfruttando la creazione di batteri mutanti, ciascuno con uno dei quattri geni reso inattivo, hanno infatti constatato che la capacità di colonizazione delle cellule arteriose umane appariva diminuita ma non soppresa. "La conoscenza del modo in cui questo patogeno interagisce con le cellule delle arterie – ha detto Rodrigues presentando la ricerca al convegno annuale della American Society for Microbiology in corso a Orlando, in Florida – ci aiuterà a sviluppare strumenti diagnostici e terapeutici per l’identificazione e la prevenzione di accidenti cardiaci legati alla presenza del batterio." ___________________________________________________________ Le Scienze 24 mag. ’06 IPERTENSIONE ARTERIOSA: IDENTIFICATO UN NUOVO GENE Il Parco del Cilento rappresenta un'area privilegiata per le indagini genetiche Il Parco del Cilento e del Vallo di Diano costituisce per gli studiosi un “isolato genetico”, ossia un’area di ricerca in cui la popolazione, a causa dell’isolamento geografico e della scarsa immigrazione, ha conservato, nel corso dei secoli, caratteri genetici omogenei e chiari. Lo studio di questi gruppi rappresenta un passo avanti per la prevenzione di alcune malattie diffuse quali tumori, Alzheimer, Parkinson, patologie cardiovascolari. L’ultimo studio sul Dna degli abitanti del Cilento, ha portato alla scoperta di un nuovo locus genetico responsabile dell’ipertensione. Analizzando il Dna di 600 abitanti del paesino di Campora si è visto che la maggior parte degli abitanti si ritrova in un unico albero genealogico risalente al 1664, con pochissime immissioni dovute a fenomeni di immigrazione. L’analisi del DNA ha poi dimostrato che l’attuale popolazione discende in realtà da appena 20 linee paterne e 17 linee materne. Il confronto fra dati genetici e parametri ematodinamici (in primis la misurazione della pressione arteriosa) ha poi consentito di individuare la nuova forma di predisposizione all’ipertensione, una delle principali malattie del nostro secolo. La ricerca - presentata oggi a Napoli - è riportata sulla rivista “Human Molecular Genetics”. Pertanto se è vero che per limitare il rischio di contrarre un ictus o altre gravi malattie cardiovascolari è buona norma limitarsi nel fumo, nell’uso di bevande alcoliche e nell’assunzione di grassi animali, è altrettanto vero che questi accorgimenti da soli non bastano se si è geneticamente predisposti all’ipertensione. Questa scoperta, che pone l’Istituto napoletano in una posizione di rilievo a livello internazionale, apre adesso la strada alla ricerca di nuove cure. Il Parco Genetico del Cilento e Vallo di Diano nasce nel 2000, dal “Progetto di ricerca multidisciplinare per lo studio delle popolazioni isolate” promosso dall’Istituto di genetica e biofisica ‘Adriano Buzzati-Traverso’ (IGB-CNR) di Napoli. Nei 12 comuni che aderiscono al progetto, la crescita lenta della popolazione originatasi da pochi fondatori e la mancanza d'immigrazione hanno fatto sì che gli attuali abitanti abbiano le caratteristiche tipiche degli isolati genetici. “Quella del Parco genetico è la grande scommessa”, osserva Maria Grazia Persico, ricercatrice dell’IGB-CNR di Napoli e responsabile del progetto, “che ha e avrà ricadute interessanti per il territorio: sia nel campo scientifico sia in quello della prevenzione. A differenza degli studi tradizionalmente svolti in laboratorio in cui i processi vengono simulati su cavie, la genetica di popolazione conduce le indagini direttamente sul territorio sottoponendo ad osservazione intere popolazioni ed interagendo con gli attori locali coinvolti nel progetto”. Il Parco Genetico si configura come un territorio-laboratorio in cui si sviluppano attività di ricerca e si intraprendono azioni funzionali mirate alla partecipazione attiva delle comunità locali rendendole “protagoniste” del progetto. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 21 mag. ’06 QUANDO L' ESAME ETNICO DEL DNA DIVENTA UN AFFARE Le applicazioni Chi si è scoperto pellerossa per acquistare un casinò e chi rivendica un castello in Scozia NEW YORK - Ashley Klett ha ottenuto una borsa di studio riservata dalle università Usa alle minoranze, dopo aver scoperto di avere il 2% di sangue asiatico nelle vene. Bob Mirren ha sbandierato il suo certificato di "indianità" per bussare alla porta della tribù Mashantucket, reclamando una fetta dei profitti del lucrativo casinò Foxwoods Resort. Ma la più audace è stata Pearl Duncan, che ha scritto ai suoi lontani e ricchissimi cugini scozzesi, pretendendo uno dei loro 11 castelli in regalo, «perché avete fatto fortuna sulla pelle dei miei bis-bisnonni schiavi». Benvenuti nell' America post-Dna, dove la mania del test genetico ad uso privato minaccia di rivoluzionare non solo la vita e le aspirazioni degli individui, ma anche l' equilibrio di una società multietnica, improvvisamente stimolata a pensare in termini di razza. Dietro il boom dei kit del Dna offerti da varie ditte c' è la promessa di fornire il dettagliato identikit etno-ancestrale di ognuno. Lo scopo: soddisfare l' eterno desiderio umano di conoscere le proprie origini ma soprattutto, come scrive nel suo sito la Dna Print Genomics, «aiutarvi a realizzare obiettivi concreti, dall' essere assunti usando le quote per le minoranze, all' esigere la riparazione accordata dal governo agli eredi degli schiavi». Secondo gli esperti il trend rischia di creare contenziosi e querele che finiranno per aggravare il già congestionato sistema giudiziario Usa. Una di queste cause sta dando filo da torcere al governo di Israele, che ha ricevuto un' insolita richiesta di cittadinanza da John Haedrich, il direttore, cristiano, di un ospizio per vecchi in California (in realtà non esiste un profilo genetico ebreo). «Spiacente, ma la legge del ritorno dello stato ebraico stabilisce che soltanto gli ebrei possono emigrare in Israele senza convertirsi all' ebraismo», gli ha spiegato un portavoce del governo di Gerusalemme nel negare la sua petizione. Senza perdersi d' animo, Haedrich ha fatto causa, dopo aver acquistato un' intera pagina di pubblicità sul Jerusalem Post per spiegare le sue ragioni: «Il fatto che sono stato allevato come un goy non cambia il fatto che, secondo il mio Dna, sono un ebreo a tutti gli effetti». Molti temono che questi test finiranno per compromettere i programmi varati dai governi Usa per compensare gruppi e individui veramente svantaggiati a causa della razza. «Se uno che ha vissuto da bianco tutta la vita scopre di avere del sangue nero, ciò non vuole dire che abbia mai sperimentato sulla propria pelle il tipo di discriminazione che l' affirmative action è chiamata a rimediare», teorizza Lester Monts, direttore delle ammissioni all' Università del Michigan. Alessandra Farkas Farkas Alessandra ___________________________________________________________ Corriere della Sera 23 mag. ’06 I MASCHI A RISCHIO DI «ANORESSIA SESSUALE» MILANO - Giovani stanchi del sesso, che manifestano la difficoltá nelle relazioni amorose con vari sintomi: dall'eiaculazione precoce al calo della libido . Sono quelli affetti dalla cosiddetta «anoressia sessuale». Il fenomeno è stato denunciato in Francia dal quotidiano Le Figarò. «Ma, non c'è dubbio che riguardi anche i giovani uomini italiani». A sostenerlo è stato il presidente della Società Italiana di Andrologia (Sia) Vincenzo Gentile a Milano, a margine della presentazione della Settimana della prevenzione andrologica in programma in 200 centri della Penisola dal 5 al 10 giugno. Gli anoressici sessualisono in genere soggetti emancipati e «libertini», che fin da giovanissimi, crescono bombardati da immagini femminili senza veli nè tabù. Ma a 25-35 anni, quando si trovano a fare i conti con i problemi dell'amore adulto, di rapporti intimi non ne possono più. Imboccano il tunnel di una pace dei sensi anticipata. CAMBIA IL CONCETTO DI IMPOTENZA - «Si tratta di una tendenza che la Sia sta registrando da tempo - spiega l'esperto - Ed è anche per questo che dal concetto di disfunzione erettile maschile, l'impotenza vera e propria che riguarda circa il 12% dei maschi del Belpaese, siamo passati a quello di disagio sessuale». «E', questo, un quadro dai contorni più sfumati. Una condizione complessa e legata a più fattori, che secondo i nostri studi riguarda quasi un uomo italiano su tre». Da un lato il problema è «fisiologico», legato ai disturbi medici che si nascondono dietro il disagio sessuale. Ma dall'altro è «sociale», assicura Gentile. La prima ragione all'origine di questa «verginità di ritorno o rivoluzione asessuale», come l'hanno ribattezzata gli specialisti, è da ricercarsi, secondo l'andrologo, nella «precocità dei rapporti intimi». «La liberalizzazione dei costumi da un lato ha giovato moltissimo - ammette il numero uno della Sia - ma dall'altro ha portato allo scoperto una grave lacuna: i tabù sono caduti, ma i giovanissimi che si affacciano al sesso crescono senza svilupparne una conoscenza vera e propria. Sanno poco del proprio corpo, e quando sono chiamati a vivere un rapporto affettivo profondo, con tutte le difficoltá e le incomprensioni derivanti dalla dimensione di coppia, sono impreparati». Un po' come adolescenti diventati grandi senza maturare davvero. Ed «è a questo punto che il disagio scoppia», dice Gentile. Ma «dietro al calo del desiderio c'è anche l'immagine della donna diffusa dalla pubblicitá e dai media. Di fronte a tentazioni continue, il giovane maschio cresce abituandosi a frenare i propri istinti. Si innesca così una cascata di neurormoni dell'inibizione, che li porta a bloccarsi anche quando potrebbero lasciarsi andare». EMANCIPAZIONE FEMMINILE - Non solo. «L'emancipazione femminile ha in un certo senso deresponsabilizzato l'uomo - continua l'andrologo - È venuto meno il ruolo maschile di capofamiglia da cui dipende il sostentamento di partner e figli, i due sessi si sono ritagliati ruoli distinti e difficili da ricongiungere» in una vita sessuale sana. «Tra maschio e femmina, infine, esiste un gap di 10 anni: se a 30 anni la donna si è realizzata professionalmente e si sente pronta a creare una famiglia, l'uomo è disposto ad accontentarla solo dai 40 anni in poi». Alla luce di tutto questo, conclude Gentile, «servono prevenzione ed educazione fin sui banchi di scuola. Ed è questo il difficile ruolo dell'andrologia moderna».