MUSSI: «MAI PIÙ TAGLI ALLA RICERCA» - UNIVERSITÀ RETTORI, CONFERENZA AL RESTYLING - «TROPPI RACCOMANDATI» L'IRA DEI CERVELLI CHE TORNANO - SERVE UNA CULTURA UNIVERSITARIA DEL DOPPIO LIVELLO DI LAUREA - ATENEI, LA QUALITÀ IN UNA PERCENTUALE - LA RICERCA IN ITALIA RESISTE SOPRATTUTTO GRAZIE AI «CERVELLI RIMASTI» - NON PIÙ DI 20 ESAMI PER LA LAUREA - SOLO 18 SU MILLE SI LAUREANO IN TEMPO - DOCENTI A TEMPO PIENO (ANCHE NEGLI ATENEI) - LA SINISTRA DI GOVERNO METTE LE MANI SU RICERCA E UNIVERSITÀ - L’UNIVERSITÀ CON LO SCONTO: STUDI TRE ANNI, NE PAGHI DUE - CROCE ROSSA ENEA TRA GLI ENTI INUTILI - IL RISCATTO DELLA LAUREA ADESSO NON CONVIENE PIÙ - LA SARDEGNA PROMUOVE LA QUALITÀ - ELOGIO DELLA PIRATERIA - ======================================================= DIRITTI E DOVERI DELLA NUOVA SANITÀ - TURCO: OBBLIGO D’ESCLUSIVA PER I PRIMARI - «PRIMARI, OBBLIGO DI ESCLUSIVA» - LEO:CONTRO L’OBBLIGO DI ESCLUSIVA - BINDI: È GIUSTO IMPORRE LA SCELTA FRA IL PUBBLICO E IL PRIVATO” - CHIRURGIA DAL BINAGHI AL POLICLINICO - LA TECNOLOGIA NEGLI OSPEDALI INFORMATICA E MEDICINA. - MEDICI MIGLIORI CON LA LETTERATURA - PER I FUTURI DOTTORI MENO LEZIONI IN AULA, PIÙ PRATICA IN OSPEDALE - COSÌ ABBIAMO CAMBIATO IL WELFARE IN AMERICA - IN FUNZIONE IL PRIMO RENE ARTIFICIALE PORTATILE - CON STAMINALI PRELEVATE DALLO STERNO PIORREA KO - IPERTERMIA: FLUSSO MAGNETICO E CALORE METTONO IL CANCRO KO - II MEDICO DI FAMIGLIA CAMBIA PELLE - SPERIMENTAZIONI COMITATI ETICI, TUTTI I REQUISITI DA RISPETTARE - SISTEMA D'ALLARME PER CHIRURGHI DISTRATTI - ALZHEIMER E RICCI DI MARE - INFLUENZA AVIARIA, L'ALLARME È CESSATO - MANOVRE SALVAVITA PER SOCCORRITORI UN CORSO DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA - SCOPERTO L' INGANNO DELLA MALARIA - NEI GENI DEGLI EUROPEI IL SEGRETO ANTI-AIDS - ======================================================= _____________________________________________________ l’Unità 11-08-2006 MUSSI: «MAI PIÙ TAGLI ALLA RICERCA» La sforbiciata del Dpef sarà corretta in Finanziaria. Me ne faccio garante Buoni i primi passi del governo: primato all'interesse collettivo e lotta all'evasione fiscale Ho protestato per quel 10 per cento in meno all'Università. Ormai siamo gli ultimi del G8 di Simone COllini /Roma «SONO QUI PER SOSTENERE l'università e la ricerca, non per abbatterle». Fabio Mussi non ha gradito il taglio del 10% dei fondi per la gestione degli Atenei inserito nel Dpef e approvato con il decreto Bersani-Visco. «Per il 2006 faremo o sforzo eccezionale, ma la cosa non si deve ripetere per gli anni successivi», dice il ministro dell'Università e della ricerca. L'esponente Ds fa un bilancio dell'avvio di legislatura e guarda alle prossime tappe. Ad alleati e colleghi di governo lancia un messaggio: «Ora bisogna correggere in Finanziaria». In caso contrario, «si tratterebbe di un'altra politica». E al quel punto, lascia intendere, ci vorrebbe anche un altro ministro. Prodi intende modificare la legge elettorale. «Anch'io lo vorrei. Spero che ci siano i numeri parlamentari per farlo. Ricordo che provammo, anche in un'altra condizione, ad arrivare al doppio turno di collegio, senza però riuscirci. Naturalmente se si può cambiare è meglio, intanto però dobbiamo impegnarci a finire questa legislatura con questa maggioranza». E come si fa? «Consolidando LA coalizione, senza dimenticare che è indispensabile fino all'ultimo voto, e tenendo unita la maggioranza intorno al governo, che deve procedere con il suo programma». C'è anche chi sostiene che il governo rischia se non nasce il Partito democratico. «Sul tavolo c'è sostanzialmente un'ipotesi di fusione tra Ds e Margherita. E io penso che nello spazio che occupano non ci sia un solo partita. Temo anche che l'operazione possa introdurre elementi di instabilità, nei due partiti e tra i due partiti. E certo non favorirà i rapporti con gli alleati perché stimolerà il desiderio di visibilità». É preoccupato? «Mi pare che fatichi molta questa ipotesi a concretizzarsi. Non è stato sciolto nessun nodo, a partire da quello della collocazione internazionale, che poi vuol dire identità di un partito. Quelli che sottovalutano la questione dell'identità dei partiti non hanno piena consapevolezza di cosa siano i partiti». Dice Prodi che mai un governo ha avuto risultati così importanti in soli due mesi. «Con il decreto sulle liberalizzazioni abbiamo riaffermato il primato dell'interesse collettivo e avviato la lotta all'evasione». La destra sostiene che siete ingenui a pensare che possa bastare per mettere a posto l'economia. «L'evasione fiscale è innanzitutto uno dei principali attentati alla tenuta della società e al funzionamento della democrazia. Le tasse non sono piacevoli, tuttavia sono il premium lifertafis. Noi viviamo liberi in una società perché il prelievo fiscale stabilisce un principio di uguaglianza e un dovere di ciascuno verso tutti. Governi o classi dirigenti che invitano alla disubbidienza fiscale introducono un veleno nell'organismo della società». 11 bilancio per quel che riguarda la politica estera? «È evidente che c'è un nuovo protagonismo dell'Italia nella scena internazionale. Oggi siamo un paese che sta nel quadro delle alleanze europee e atlantiche ma che afferma la sua autonomia, che si sgancia dalle improvvisate coalizioni degli willings, che hanno prodotto effetti oggi sotto gli occhi di tutti». Si riferisce anche a quanto avvenuto a Londra? «La minaccia terroristica è presente e attiva. L'idea di combatterla con la guerra preventiva si è dimostrata assolutamente sbagliata, ha prodotto effetti contrari a quelli annunciati. Come del resto quanti si opposero all'invasione dell'Iraq avevano previsto». Dopo la pausa estiva affronterete la Finanziaria: sarà più leggera del previsto, come chiede il Prc? «La ripresa della produzione industriale e il maggior gettito possono avere effetti sulla manovra, certo. Ma vista che non puntiamo a una politica recessiva bensì allo sviluppo, eventuali risorse possono essere impiegate per gli investimenti». In che settori dovranno essere impiegate, secondo lei? «Prodi ha sempre detta che servono investimenti per la ricerca, per ridurre il lavoro precario e per lo sviluppo. Condivido, e mi aspetto che sia questa l'agenda delle cose da fare». C'è stato però un taglio del 10% alle spese di gestione degli Atenei. «E infatti ho protestato. Non possiamo permetterci il definanziamento della formazione superiore e della ricerca. É avvia che in un regime di relativa penuria i soldi che ci sono vanno spesi bene, senza sperperi né distribuzioni a pioggia. Però noi siamo significativamente sotto 1e medie mondiali. Se ci guardiamo attorno c'è un impressionante boom delle spese per formazione superiore e ricerca». E noi? «Noi siamo un paese paradossale perché siamo ultimi nel G8 per spesa pro capite in ricerca e sviluppo e nonostante questa riusciamo a produrre una qualità che ci fa essere terzi per produttività scientifica». Meglio no? Poca spesa, molto guadagno... «Sì, se non fosse che così rischiamo di diventare una grande cava di materiale umano pregiato. Questa qualità viene prelevata, gratis, ed entra in altri sistemi nazionali». A parte il governo, chi può evitarlo? «L'Italia ha un problema in più rispetta altri paesi: l'investimento pubblico non è molto lontano dalle medie Ocse (ricerca 0,72% del Pil, università 0,88). Manca però l'investimento privato. Per ogni curo che ci mette lo Stato, l'impresa ci mette 0,4. Occorre favorire una più alta propensione delle imprese a investire, anche attuando una politica fiscale adeguata. Ma se non c'è un salto culturale anche degli imprenditori italiani, continuiamo a soffrire questo definanziamento». 1 tagli alla ricerca introdotti nel Dpef saranno in Finanziaria? «Mi rendo conta che in una fase di risanamento dei conti pubblici sia necessario uno sforzo eccezionale, e quindi per il 2006 la situazione è questa. Ma non si pub fare il bis per gli anni successivi. Ulteriori soldi non possono essere tolti, ne va di uno dei principali fattori di qualità e di competitività. L'enfasi posta su questo nel programma dell'Unione, e che ha sempre posto Prodi, non deve perdersi. Bisogna ora correggere in Finanziaria. Altrimenti, diventa un'altra politica. E io sono qui per sostenere l'università e la ricerca, non per abbatterle». _______________________________________________________ Italia Oggi 22 ago. ’06 UNIVERSITÀ RETTORI, CONFERENZA AL RESTYLING La Conferenza dei rettori diventa un'associazione di università. Completamente rinnovato il consiglio di amministrazione della Fondazione. Le battaglie degli atenei, a settembre, riprenderanno con una nuova organizzazione. Ciò contribuirà a rendere ancora più incisiva la sua azione al servizio del sistema universitario. Per entrare in vigore il documento, messo a punto qualche giorno fa, attende la ratifica di tutti gli atenei associati. Nuova rotta anche per la Fondazione Crui. Nata per accompagnare la Crui nella progettazione di iniziative concrete per valorizzare e mettere a sistema le best practice delle università, la Fondazione ha un cda completamente rinnovato. Ne fanno parte Patrizio Bianchi, rettore dell'Università di Ferrara, Giuseppe Dalla Torre (Roma Lumsa), Paolo Luciano Garbarino (Piemonte Orientale), Marco Mancini (Viterbo) e Raimondo Pasquino (Salerno). Le novità principali del nuovo ordinamento sono la presenza nel cda di due membri esterni, ancora da designare, e di un delegato del presidente alla gestione della Fondazione. Questo incarico è stato affidato dal presidente della Crui, Guido Trombetti, al rettore di Ferrara, Patrizio Bianchi. __________________________________________________ l’Unità 17 ago. ’06 «TROPPI RACCOMANDATI» L'IRA DEI CERVELLI CHE TORNANO Non solo quelli «in fuga»: in 500 - specializzati all'estero - sono rientrati E nonostante i fondi per assumerli ci siano, le università li lasciano fuori • di Chiara Affronte RIENTRANO i cervelli dall'estero. Tanti, circa 500, negli ultimi 4-5 anni, grazie ad un decreto ministeriale voluto dal governo di centrosinistra nel 2001. Sono giovani studiosi qualificati, con curricula ricchi di riconoscimenti ed esperienze. Ma le Università se li stanno lasciando scappare, nonostante i docenti non abbondino. Assurdo, se si pensa che la legge mette a carico dello Stato e non delle Università fino al 95% del costo delle retribuzioni. Perché? Uno degli ostacoli alla valorizzazione di queste figure, e quindi ad una stabilizzazione nei rapporti di lavoro con gli atenei, sono «consorterie accademiche locali», accusano alcuni di questi studiosi. Si parla spesso della «fuga» dei cervelli; poco del loro «rientro»: del progetto che prevede il reinserimento «in casa» dei molti giovani italiani che si sono formati all'estero. Facciamo un passo indietro, al 26 gennaio 2001, quando l'allora ministro Zecchino vara il provvedimento finalizzato a richiamare studiasi dall'estero con l'obiettivo di arricchire l'attività didattica e rinnovare i programmi. Con l'ex ministro Moratti i cervelli iniziano a tornare in Italia, chiamati direttamente dalle Università, per portare avanti progetti di 3-4 anni, con l'obiettivo di essere poi contrattualmente stabilizzati. «In 4- 5 anni ne arrivano quasi 500 racconta Marco Galli, professore a contratta in Archeologia classica a La Sapienza di Roma. Nel novembre 2005 arriva la legge che riordina i vecchi precedenti provvedimenti. Ma il futuro di questi ragazzi (nel frattempo diventati quarantenni) è molto incerto, se non funesto: sono tornati con la promessa di un posto che probabilmente non avranno. L'Università lamenta la mancanza di fondi: ma perché - si chiedono gli studiosi - quando un posto può essere garantito da una retribuzione statale, si respinge l'occasione? Motivazioni e timori avanzati sono, a dire dei docenti, «in molti casi pretestuosi». Gira e rigira, la storia italiana dei favoritismi torna inesorabilmente a galla. I professori a contratto in questione stanno preparando una lettera aperta da inviare al presidente della Repubblica, ai segretari di partiti, alle Regioni, al Ministero e al Cun (Consiglio universitario nazionale), in questo momento l'osso più duro con cui ragionare. Alcuni di loro, infatti (che hanno già raggiunto i 3-4 anni di programma di ricerca stabilito per il rientro) si vedono sbattere la porta in faccia; molti temono la stessa sorte. Per più motivi. Uno di questi la posizione «assolutamente restrittiva» presa dal Cun nell'ultima seduta ordinaria, come si legge in una richiesta di incontro al ministro Mussi e al sottosegretario Modica da alcuni di questi docenti. II Cun, di fatto, sostiene che la chiamata dei cervelli sarebbe ammissibile solo per docenti di ruolo e stabilmente incardinati. Ma la legge recita «Non si può applicare il requisito dell'idoneità accademica di pari livello» , per ovvi motivi legati, tra l'altro, alla diversità dei sistemi universitari. «Riteniamo questa posizione strumentale e volta unicamente a impedire l'inserimento di chi è stata chiamato attraverso una rigorosissima selezione per merito», sostengono i «cervelli». Alessandro Schiesaro, docente di Letteratura latina a La Sapienza di Roma, è membro della commissione ministeriale che gestisce la chiamata dei cervelli: «L'incarico fu affidato a me e a 4 colleghi dal governo di centro-sinistra e da allora siamo rimasti gli stessi. Posso tranquillamente dire che la qualità di chi ha vinto, ma anche di chi ha solo partecipato, è sempre stata molto alta. Importante è che questi progetti abbiano continuità, per essere credibili nel mercato internazionale della docenza, che deve essere libero e trasparente: il blocco dei finanziamenti attuato con il decreto Moratti ha causato una situazione paradossale per cui chi ha inoltrato domanda per la proroga del contratto si trova oggi a spasso, senza stipendio; chi contava di poterla inoltrare non potrà farlo e il suo futuro è assolutamente incerto». Hanno scritto una lettera a Napolitano e ai politici: «Contro di noi una opposizione pretestuosa» _______________________________________________________ Il RIformista 23 ago. ’06 SERVE UNA CULTURA UNIVERSITARIA DEL DOPPIO LIVELLO DI LAUREA CLASSI DIRIGENTI. MEGLIO IL PRAGMATISMO DI ROOSEVELT DELL'UTOPIA DI JEFFERSON DI CARLO CARBONI L'idea di democrazia di Thomas Jefferson fu influenzata dalla rivoluzione francese ed era per molti aspetti utopica. IL terzo presidente statunitense - successore di Franklin - era del parere che obiettivo della giovane democrazia americana fosse l'elevamento di tutta LA società. Di conseguenza, Jefferson elaborò un piano per rendere l'istruzione (compresa quella universitaria) ac cessibile a tutti i cittadini. Nel suo pensiero, la mobilità sociale avrebbe fatto il resto, inducendo un miglioramento anche delle classi dirigenti del Paese. Non a caso Noah Webster rilevò che nel periodo jeffersoniano - all'inizio dell'Otto cento - il livello medio di scolarizzazione e di diffusione della cultura era maggiore in America che nella home, l'Inghilterra. Oltre cento anni più tardi, dopo LA Grande Crisi, ED. Roosevelt, nettamente più realista del suo predecessore, riteneva indispensabile per LA democrazia disporre di classi dirigenti adeguate in competenza e senso di responsabilità per elevare il tono dell'intera società. Entrambi i Presidenti vedevano nell'università il , luogo elettivo per formare la classe dirigente ' ed ambedue sottolineavano 1o stretto legame di corresponsabilità tra classe dirigente e società: l'una è specchio dell'altra. L'una tende a nascondersi nei difetti e nei pregi dell'altra. Tuttavia, mentre Jefferson pensava che LA ricetta migliore per avere una buona classe dirigente fosse incentivare il progresso dell'intera società, Roosevelt era del parere che LA formazione e LA selezione della classe dirigente fosse una pre-condizione indispensabile per migliorare LA società statunitense. Roosevelt, con LA sua visione panpolitica e pragmatica che lo avrebbe condotto a reclutare i migliori indistintamente tra repubblicani e democratici, lasciò un'impronta indelebile nella cultura politica americana, contribuendo - come aveva fatto Jefferson - a rendere 1e università statunitensi 1e migliori del mondo, nelle quali vige LA cultura del merito che è quanto occorre per selezionare adeguatamente una classe dirigente. Questa quindi, secondo Roosevelt, andava reclutata facendo in modo che chi per diritti proprietari vi apparteneva, ricevesse comunque un'istruzione nelle migliori università, in modo da esibire non solo un credito ereditario ma anche una competenza ed un accountability soddisfacenti. Alla classe dirigente dovevano appartenere anche i meritevoli delle classi sociali inferiori. Anzi, 1e alte tasse di iscrizione pagate dai rampolli de1l’upper-middie class, generosa anche per donazioni, sarebbero servite a consentire ai meno fortunati di cogliere 1e opportunità di merito mediante borse di studio consistenti. Questo è ciò che di meglio ci può suggerire il liberalismo democratico americano in tema di formazione delle classi dirigenti. Le tre parole chiave sono università, merito e senso di responsabilità. Purtroppo, il nostro Paese, ma forse gran parte dell'Europa Continentale, sta ancora coltivando qualcosa di simile all'utopia sociale jeffersoniana e all'egualitarismo della rivoluzione francese, senza per altro disporre di mezzi e risorse per accostare questi ideali. Infatti, le nostre università di massa non sono adeguate né a formare né a selezionare classe dirigente, ma non hanno neppure troppo successo come contesti formativi dell'intero tessuto sociale e civile visto LA critica ricorrente per l'elevato abbandono «di massa» a cui sono soggette. IL risultato amaro è che nel Belpaese LA mobilità sociale langue e il boccaporto che conduce nella stanza dei bottoni è troppo spesso chiuso al merito. Se mai vi accedono yesman interessati, astuti fedeli, insomma 1e cosiddette volpi che vanno a dare man forte ai leoni che detengono una forza durevole e non un potere sporadico. Morale: prima di avere pretese di cambiamento radicale bisognerebbe dimostrare di essere almeno un buon riformista che sa fare i conti con LA realtà, almeno per ciò che riguarda LA selezione della classe dirigente. Speriamo quindi che Mussi, il nuovo ministro, incentivi una cultura universitaria di doppio livello: lauree triennali al fine di garantire un progresso dell'intera società in termini di educazione superiore; lauree specialistiche, caratterizzate da criteri di competizione e merito, per selezionare al meglio quadri dirigenti. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 ago. ’06 ATENEI, LA QUALITÀ IN UNA PERCENTUALE UNIVERSITÀ D'ECCELLENZA CONFRONTI L'Italia ha un professore ogni 24 studenti, mentre il college di Princeton ne ha uno ogni cinque: una differenza fondamentale nella competizione del sapere di Andrea Casalegno S piegando perché l'Università di Princeton ha battuto Harvard, conquistando ìl primato tra gli atenei americani, Maurizio Viroli sul Sole-24 Ore di ieri insiste su due elementi: la meritocrazia nella scelta dei docentì e degli allievi (è ammesso solo l’u% dei candidati) e «la cura quasi religiosa della didattica e della formazione dei giovani». Il punto chiave è il rapporto tra docenti e icritti: «a Princeton è un professore ogni cinque studenti, a Harvard uno a sette; ecco spiegata una delle ragioni del vantaggio». Perché non applicare lo stesso criterio alle università italiane, in sintonia con il documento che Confindustria e altre 16 associazioni imprenditoriali hanno dedicato la scorsa primavera ai nostri atenei? Gli imprenditori chiedono più meritocrazia nelle assunzioni e soprattutto di «mettere gli studenti al centro dell'università», aumentando borse di studio e prestiti d'onore (a Princeton le rette sono alte ma il 55% degli iscritti è sostenuto dall'ateneo) e favorendo la mobilità anche internazionale degli allievi. Consapevoli della scarsa competitività del. nostro sistema di istruzione superiore (la prima università italiana è al 125* posto della classifica del «Times Higher Education Supplement» e al97°della graduatoria elaborata dalla Università Jao Tong di Shangai) gli imprenditori chiedono «uno sforzo straordinario e un'eccezionale concentrazione di energie». AL rapporto fra docenti e studenti nei nostri atenei il sole ha dedicato un'inchiesta (14 novembre 2005) che ha evidenziato gravi squilibri fra ateneo e ateneo (dai 14,5 studenti per docente di Trieste ai 115,7 di Aosta) e facoltà e facoltà (dai 7,6 di statistica ai 69 di psicologia). Ma anche la media italiana generale - 24 allievi per docente - è ben lontana da quella dei migliori campus americani. Scendendo a un esame più capillare, le anomalie si moltiplicano. Nella facoltà di agraria dell'Università di Bari un docente ha in media 3,3 studenti a testa: un rapporto da lezione individuale, ma a quali costi! In compenso i docenti di giurisprudenza a Reggio Calabria insegnano a 95,4 studenti a testa, quelli di lettere dello Iulm di Milano a 128 studenti (nella graduatoria però non sono compresi i docenti a contratto, assai numerosi nelle università private)> e nella seconda Università di Napoli i professori di psicologia hanno in media 130 studenti a testa. Difficile con simili numeri ottenere, come a Princeton, che un numero consistente di allievi conquisti il premio Nobel. Naturalmente il rapporto tra studenti e docenti non è l’unico indicatore di eccellenza e di efficienza di un ateneo. Sul Sole-a4 Ore del 13 agosto Larry Siedentop ha sostenuto che l'Europa non tiene il passo con le migliori università americane innanzitutto perché investe troppo poco: gli Usa destinano all'istruzione superiore il 2,6% del Pil, contro l’1,2% della media Ue. La media Ocse è di poco superiore: 1,4 per cento; ma ancora una volta l'Italia è in difetto con un misero 1% del Pil. Poco più di un terzo degli Usa: come competere in queste condizioni? È forse il caso di ricordare che, in compenso, spendiamo assai più della media Ocse per le nostre scuole primarie e secondarie, a causa dell'alto numero dei docenti. Qui sì che il rapporto docenti/allievi è da record: circa io allievi a testa (ma con risultati di apprendimento, come risulta dalle prove internazionali, poco soddisfacenti). Un'altra anomalia italiana è la divisione della spesa tra pubblico e privato. Negli Usa l’1,4% del Pil è investito dai privati, e in Giappone lo 0,6 per cento: in Italia solo lo 0,2% del Pil. Non per nulla gli imprenditori chiedono agevolazioni fiscali e crediti d'imposta per le aziende che intendono investire sugli atenei. Per competere sulla scena internazionale il nostro sistema di istruzione superiore ha bisogno però non soltanto di maggiori risorse ma anche di drastici cambiamenti qualitativi. I finanziamenti, raccomandano gli industriali e gli stessi rettori, vanno concentrati sulle facoltà più avanzate nella didattica e nella ricerca. Ma neppure questo servirà senza una svolta profonda a favore del merito e dell'impegno; tra i docenti, certo, ma anche e soprattutto tra gli allievi, che devono abituarsi a scegliere la facoltà per la qualità dell'insegnamento e non per la vicinanza al paese natale. STRATEGIE Serve meritocrazia nella selezione I finanziamenti vanno concentrati sulle facoltà più avanzate nella didattica La classifica Il rapporto studenti/docenti negli atenei italiani*, secondo la classifica Cnvsu STUDENTI PIÚ SEGUITI Siena stranieri 10,2 Trieste 14,5 Genova 15,6 Pavia 16,0 Pisa e Roma Campus 16,7 Sassari 17,0 Siena 17,3 Cagliari 17,6 Milano S.Raffaele 17,8 Firenze 18,0 Messina 18,7 Torino Politecnico 19,3 Camerino e Venezia luav 19,8 Modena 19,9 STUDENTI MENO SEGUITI Bergamo 54,7 Roma Luiss 57,8 Catanzaro 58,2 Milano Bocconi 60,9 Liuc Castellanza 65,1 Bolzano 65,2 Perugia Stranieri 70,2 Casamassima (Ba) Lum 81,2 Napoli Parthenope 92,3 Roma Lumsa 110,4 Aosta 115,7 Milano Iulm 117,4 Napoli Suor Orsola 275,2 MEDIA ITALIA 24,6 _______________________________________________________ L’Unità 24 ago. ’06 LA RICERCA IN ITALIA RESISTE SOPRATTUTTO GRAZIE AI «CERVELLI RIMASTI» Cara Unità, cogliamo l'occasione delle interessanti osservazioni riportate da Andrea Crisanti nella sua lettera pubblicata su l'Unità del 22 agosto a proposito dei «cervelli rientrati» e del «baronismo» italiano, che si inseriscono nel solco dei numerosi interventi che negli ultimi anni hanno avuto per tema la cosiddetta questione dei «cervelli in fuga». Vorremmo far anche presente che oltre ai «cervelli rientrati» e ai «cervelli in fuga» ci sono anche i «cervelli rimasti»: quei tanti giovani e non-più-giovani che lavorano da anni in condizioni di estrema difficoltà e incertezza (postdoc, assegnisti, contrattisti, ... ) e che hanno peri-nesso e permettono a tutto il loro gruppo di ottenere risultati pregevoli e di acquisire autorevolezza e prestigio. «Cervelli rimasti», appunto, che hanno consentito alla ricerca italiana di non venir meno. Nel caso del Consiglio Nazionale delle Ricerche, per esempio, si stima siano almeno duemila i ricercatori senza posto fisso che lavorano nel Cnr da almeno cinque anni e che al prestigio scientifico del Cnr hanno dato un contributo determinante, e nel caso delle Università italiane il numero è decisamente molto maggiore. Carlo Bernardini, Rino Falcone, Francesco Lenci, Giulio Peruzzi, Osservatorio sulla Ricerca _______________________________________________________ Il Sole24Ore 5 ago. ’06 NON PIÙ DI 20 ESAMI PER LA LAUREA Freno alle convenzioni e alla proliferazione dei corsa Gianni Trovati MILANO Gli ordinamenti universitari trovano l'assetto definitivo. Il ministro dell'Università Fabio Mussi ha firmato ieri i decreti sulle nuove classi di laurea e di laurea specialistica, attuativi del Dm 270/2004, mettendo la parola fine à una piccola odissea legislativa. I decreti, infatti, erano già stati varati dal Governo Berlusconi, dopo un difficile braccio di ferro con gli atenei, ma Mussi aveva deciso di richiamare dalla Corte dei conti i provvedimenti perché a suo giudizio contenevano «parti insoddisfacenti o sbagliate». «Con questa nuova versione sostiene il sottosegretario Luciano Modica - salvaguardiamo l'autonomia universitaria ma anche diritti fondamentali degli studenti». Se non cambia molto il numero delle classi (43 quelle di primo livello, mentre le magistrali scendono da 104 a 94), subiscono modifiche profonde i meccanismi interni ai curricula. Le lauree triennali non potranno contare più di 20 esami, mentre le magistrali dovranno fermarsi a 12. Si inasprisce, così, il tetto previsto dai vecchi decreti (8-10 esami all'anno a seconda delle discipline) e si accolgono in pieno le richieste degli studenti che negli ultimi anni hanno visto calendari sempre più scanditi da esami. Una spinta all’interdisciplinarità dei curricula, poi, viene dalla previsione che almeno ra crediti siano riservati alle attività formative autonome, e 18 alle discipline integrative. La querelle sulla "blindatura" dei crediti per gli studenti che si trasferiscono trova una soluzione di compromesso. Il riconoscimento obbligato, previsto dai decreti Siliquini, aveva creato la sollevazione del mondo accademico, determinando un repentino passo indietro del ministero, ma il provvedimento firmato da Mussi non tralascia il problema degli ostacoli posti da molti atenei alla mobilità universitaria: agli studenti che cambiano sede o corso va riconosciuto «il maggior numero possibile di crediti», e se il trasferimento avviene nell'ambito di una stessa classe il via libera deve riguardare «almeno il 50% dei crediti maturati». Il limite non si applica però agli studenti che provengono da università telematiche. Un altro paletto importante, frutto anche delle polemiche di questi mesi, è quello posto al riconoscimento delle «abilità professionali certificate», cioè alle lauree agevolate perle categorie professionali che siglano convenzioni con gli atenei per «laureare l’esperienza»: l'esperienza, appunto, non potrà valere più di 6o crediti, e questo imporrà di rivedere al ribasso molte delle convenzioni stipulate negli ultimi anni. Un freno deciso, poi, è posto alla proliferazione dei corsi di laurea (che oggi toccano la cifra record di 5.400): per entrare nei nuovi ordinamenti, i corsi di laurea dovranno garantire che almeno metà degli insegnamenti (90 crediti su 180) siano tenuti da professori di ruolo, Una norma di serietà che costringerà molti atenei, soprattutto privati o di nuova istituzione; a correre ai ripari. Per adeguarsi ci sorio quattro anni di tempo. Saltata l'idea morattiana della sperimentazione,i nuovi ordinamenti muoveranno i primi passi nel 2007/08, e diventeranno obbligatori per tutti dal 2010. Fabio Mussi __________________________________________________________ LA STAMPA 23 ago. ’06 SOLO 18 SU MILLE SI LAUREANO IN TEMPO INDAGINE DELL'ISTAT: IL 4% DI CHI SI ISCRIVE ALL'UNIVERSITÀ CONCLUDE IN TRE ANNI Raphael Zanotti Più anni i ragazzi italiani armeggiano con squadre, cartelle e libri di scuola, meno l'economia del Paese cresce. I tempi lunghi nel percorso di studi significano due cose: in primo luogo, ogni studente pesa sul portafoglio delle famiglie che quindi non possono spendere m altro; m secondo, il mercato del lavoro è costretto ad aspettare più a lungo un altro produttore mancato. Se questa è la premessa, la conseguenza è che il futuro economico del Bel paese rischia grosso. Perché la puntualità scolastica non è proprio una delle caratteristiche della Penisola. Anzi. Secondo l’Istat solo l’1,8 per cento degli studenti riesce a compiere il proprio percorso di studi entro l'arco temporale previsto. Il resto, o si perde per strada o abbandona. L'istituto di statistica è giunto a questa conclusione incrociando i propri dati. Prima ha preso il numero dei ragazzi che, nel 1996, erano iscritti al primo anno di liceo. Quindi lo ha confrontato con quanti, otto anni dopo, nel 2004, si erano laureati e scalpitavano per entrare nel mondo del lavoro. Un disastro: su mille che partivano, solo in 18 riuscivano a farsi bastare i cinque anni delle superiori e i tre (la maggior parte delle lauree è ormai triennale) dell'università. Migliaia di giovani si sono fatti bocciare al liceo e sono dunque arrivati al diploma anni dopo, altrettanti si sono persi tra i corridoi degli atenei italiani. Nel 2001 poco più di 7 diplomati su 10 hanno concluso gli . studi nei tempi previsti. Più di un quarto, il 27 per cento, è arrivato all'agognato traguardo della maturità con un'età superiore ai 19 anni. Ma anche una volta agguantato il diploma, le cose non sono andate meglio. Appena il 62 per cento ha continuato: :gli studi andando all'università. Molti cercano un lavoro, altri vedono l'università ancora troppo costosa. Quelli che proseguono, poi, subiscono un'ulteriore scrematura: solo il 4 per cento riesce a laurearsi in tre anni. È vero che l’11,5% abbandona, ma la vera piaga è quella dei fuoricorso: sono l’84,5 per cento. Numeri che certo non incoraggiano, soprattutto considerato che la lotta alla dispersione scolastica è uno degli obiettivi che gli Stati europei si erano dati nel 2000 per diventare quella che, forse un po' pomposamente, veniva definita L'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo». Il consiglio europeo, riunitosi a Lisbona, aveva stabilito che entro il2010 era necessario centrare sei obiettivi primari per riuscirci. Il primo era proprio la drastica riduzione della dispersione scolastica. Non a caso, proprio da allora, i governi che si sono succeduti hanno cercato di riformare la scuola in,modo tale da accorciare il percorso scolastico. Prima ci ha provato il ministro Berlinguer, LA cui strategia era stata quella di accorciare l'intero tragitto elementare-media-superiori di un anno, portandolo da 13 a 12. Poi è arrivata anche la riforma dell'ordinamento universitario introdotta dal ministro Letizia IVioratti che ha spezzato il percorso accademico in laurea triennale e specializzazione biennale. I risultati non "sono certo all'altezza delle attese. L'Italia resta ancora piuttosto indietro e, le famiglie non sorridono. Secondo un altro studio dell’Istat uno studente iscritto alle superiori, nell'anno scolastico 2001-2002, costava in media 1.173 euro mensili. Uno all'università 2:311 euro. Forse l'immagine del giovane italico mammone fa più rabbia che tenerezza alle stesse mamme. _______________________________________________________ L’Unità 26 ago. ’06 DOCENTI A TEMPO PIENO (ANCHE NEGLI ATENEI) Luzzatto Alcuni importanti iniziative governative, in particolare quelle promosse dai ministri Bersani e Turco, tendono al contempo a colpire privilegi, il che ha un significato positivo in termini di etica pubblica, e a rendere disponibili risorse, come è necessario nelle attuali condizioni finanziarie. La realtà universitaria presenta forti analogie con quella ospedaliera, sulla quale intende intervenire Livia Turca. I professori hanno un rapporto «a tempo pieno» ovvero «a tempo definito»; questi ultimi sono autorizzati a svolgere attività professionali private, mentre chi opta per il tempo pieno deve operare salo tramite il Dipartimento di appartenenza. I Dipartimenti, infatti, possono stipulare convenzioni con Enti pubblici e privati e svolgere consulenze e attività «in conto terzi»; i relativi utili competono in parte a coloro che hanno svolto la prestazione e in parte all'Università. Il sistema appare ragionevole (anche se, in prospettiva, si deve auspicare l'obbligatorietà del tempo pieno per chi è di ruolo, con l'adozione di contratti temporanei per i professionisti esterni). Esso funziona però in termini del tutto insoddisfacenti per due motivi: A) solo poche delle consulenze effettivamente svolte dai docenti si svolgono nella forma di attività universitaria in conto terzi; B) anche queste poche apportano un beneficio economico al Dipartimento interessato, ma non all’Ateneo globalmente inteso. Circa il punto A), è accaduto infatti che da quando, nel 1980, la normativa è stata introdotta si sono progressivamente allargate a dismisura le autorizzazioni ad attività private per docenti a tempo pieno; sicché ormai è a tempo definito solo f8% circa dei docenti (chi ha uno studia privato per professioni che richiedono l'iscrizione in un Albo). Va pertanto prescritto (in realtà, ribadito) che per il docente a tempo pieno le attività private sono escluse - senza se e senza ma! - e ogni introito, a qualsiasi titolo, derivante da proprie attività deve essere acquisito dai docenti a tempo pieno solo in termini di partecipazione ai proventi di una attività ad essi commissionata tramite il loro Dipartimento. Possono essere esclusi i diritti d'autore (ma non somme forfettarie fomite a titolo di compenso per la rinuncia a tali diritti: uno degli espedienti più frequenti per acquisire lucrose consulenze consiste nella presentazione di esse come cessione dei diritti di pubblicazione dei relativi elaborati!). Circa il punto B), la regolamentazione un tempo era nazionale e disponeva che i proventi devoluti all'Ateneo venissero attribuiti al Dipartimento dove si svolge fattività, e neppure in parte al bilancio centrale; un po' per inerzia, molto per la forza degli interessi settoriali in gioco a fronte della debolezza della govemance di Ateneo, la normativa delle singole università ha confermato tale situazione (salve poche eccezioni, e in questi casi con una quota centrale molto modesta). È stato cioè ignorato il fatto che l'istituzione nel suo complesso, con i suoi investimenti e con le sue spese generali, è determinante per consentire ai Dipartimenti di esistere, e in particolare li dota di personale docente. Nelle attuali condizioni finanziarie delle università si hanno spesso Dipartimenti doviziosi in un Ateneo ai limiti della sopravvivenza. Occorre pertanto una norma-quadro nazionale che, pur lasciando ampi margini alla normativa autonoma degli Atenei, garantisca una adeguata quota al bilancio universitario centrale: esso potrà così riequilibrare le disponibilità a favore delle strutture scientifiche che per la loro stessa natura hanno minori possibilità di acquisire finanziamenti. Quanto si è detto finora concerne la regolamentazione interna al sistema universitario; occorre però anche una coraggiosa scelta politica dell'intero governo, pienamente in linea con quanto esso cerca di fare per ottenere la migliore produttività della spesa. Una apposita norma dovrebbe disporre che tutte le amministrazioni pubbliche, ogni volta che intendono servirsi della consulenza di un professore universitario (sia a tempo pieno sia a tempo definito), sono tenute a commissionarla tramite la struttura di appartenenza e non a titola privato. I vantaggi per la finanza pubblica globalmente intesa, ed anche l'effetto di moralizzazione, sarebbero enormemente maggiori di quelli ottenibili con i pur apprezzabili provvedimenti di riduzione di qualche Commissione e di qualche auto blu. _______________________________________________ Secolo d'Italia 27 ago. ’06 LA SINISTRA DI GOVERNO (E DI POLTRONE) METTE LE MANI SU RICERCA E UNIVERSITÀ Le lotte intestine rendono ancora più evidente la fame di nomine in enti e istituti. Contro 11 governo si scagliano pure le "intelligenze" che appoggiarono l'Unione alle politiche MAMO MASI Ronaa. Sparano ricette a raffica, nel tentativo di ottenere l'effetto dei fuochi d'artificio. Ma finiscono per lanciare in aria cerini annacquati, che deludono le aspettative persino dei fedelissimi. Quando gli esponenti del governo parlano di università, medicina e ricerca riescono nell'impresa di scontentare tutti, dall’opposizione di centrodestra agli addetti ai lavori, dai docenti e dai ricercatori "indipendenti" a quelli che si sono schierati con l'Unione in campagna elettorale. Troppe le contraddizioni, troppa l'approssimazione. t'atteggiamento de( ministro Fabio Mussi in occasione della "gaffe" europea sulle cellule staminali appare perfettamente in linea con quello del ministro Livia Turco e lo spoil system che ha portato alla rimozione da direttore sanitario del Regina Elena del professor Francesco Cognetti, luminare a livello internazionale. Ma la cosa grottesca è che con questo atteggiamento l'esecutivo non ottiene neppure il consenso di chi lo sostiene. Sulle aperture alla ricerca sugli embrioni, infatti, le proteste sono giunte soprattutto dalla Margherita. Per l'affaire Cognetti, invece, le proteste più dure sono giunte da Marco Rizzo, del Pdci: «È difficile applicare la discontinuità con il vecchio governo se si commettono così gravi errori». Non solo, Contro il ministro Pier Luigi Bersani e il suo taglio del dieci per cento aì finanziamenti per università ed enti di ricerca hanno tuonato l’Associazione nazionale docenti universitari e la Rete nazionale ricercatori precari, movimenti certo non di destra, coniando l'inequivocabile slogan "Aridatece la Moratti". Si è 2ssociato pure l'ex-senatore diessino Fulvio Tessitore, che ha parlato di «scivolone del governo». Così, Mussi ha dovuto fare la sua parte minacciando le dimissioni se l'articolo 22 del provvedimento bersaniano non veniva modificato. Il malumore non cessa. Per tutti, un titolo dell'organo del Prt, liberazione, "Università e ricerca, quando il governo smentisce il suo programma". II 29 luglio, poi, li governo ha avviato la procedura per il ritorno del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Fabio Pistella, all'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Una decisione presa su proposta di Bersani, durante un venerdì di vigilia dell'esodo vacanziero, in una riunione che ha trattato molti argomenti rilevanti - intercettazioni, siccità nel Po, ricongiungimento familiare degli immigrati - e un ampio pacchetto di nomine nodali, dal direttore generale dei Tesoro al Ragioniere generale dello Stato, dal capo di Stato maggiore dell'Aeronautica al direttore generale dei Monopoli di Stato, dal capo del Dipartimento per l'immigrazione a quello per la giustizia minorile. Il tutto mentre i media erano distolti dalle priorità dei Medio oriente, dell'indulto e delle liberalizzazioni. Ad essere maliziosi, c'è da pensare che sì sia approfittato di un momento di generale distrazione per trovare, con la nomina di Pistella alfAutorithy, una maniera appena "garbata" di mettere le mani sul maggiore ente di ricerca italiano, che conta ottomila dipendenti, oltre tremila collaboratori, un milione di euro di budget, undici dipartimenti e più di cento istituti. Ma dopo che il sottosegretario Luciano Modica, in un'intervista al settimanale Lefi, ha palesato le intenzioni del ministero, un movimento spontaneo costituito da ricercatori, dirigenti e esponenti del mondo della ricerca ha espresso le sue perplessità, soprattutto per l’assicurazione che Pistella «non sarà più alla guida del CNR» in quanto, sempre per Modica, «il Consiglio deì ministri lo ha nominato membro dell'Autorità per l'energia». L'intendimento del governo era del resto ben chiaro già da quando il ministro Vannino Chiti ha cercato di inserire nei decreto "spacchetta ministeri" un emendamento volto ad azzerare tutti i vertici degli enti di ricerca e le commissioni ministeriali. Il blitz non andò a buon fine per te proteste dell'opposizione, in particolare de! senatore di An Giuseppe Vaiditara, e ne ora conferma che l'opposizione continuerà a opporsi allo spoil system e al trasferimento di Pìstella, mancando adeguate garanzie per il futuro del Cnr: «La rimozione e quindi la nomina di un nuovo presidente al Cnr prevedono precisi passaggi parlamentari previsti dalla legge e pertanto l'avvio di un dibattito sul futuro dell'Ente». I timori delta Cdl e di "Ricerca e dintorni" sono che, mediante l'operazione, si voglia procedere a un commissariamento de fatto del Cnr, data l'impossibilità di procedere a quello de iure. Il sottosegretario Modica auspica infatti che il nuovo presidente pur «senza cambiare la legge» la «possa correggere» e ne «ripensi la filosofia» a livello applicativo, «a partire dal sistema per cui ogni ricercatore deve inserirsi in una commessa come fosse un'attività industriale». Cioè proprio il sistema con cui l'attuale Consiglio di amministrazione guidato da Pistella ha consentito all'ente di sopravvivere f finanziamenti diretti del ministero ormai non coprono che la metà del budget). L intenzione paventata da Modica di «tornare» sulle «nomine un po' frettolose» dei nuovi direttori di istituto conferma poi che all'attuale governo risultano sgraditi due aspetti del nuovo bando per direttori: il limite di 67 anni di età e l'obbligo, di esclusiva tra tale carica e gli incarichi universitari. «Ci pare invece che tali requisiti vadano nel senso del ringiovanimento e della trasparenza che tutti dovrebbero condividere, in particolare chi li ha sostenuti in campagna elettorale», commenta "Ricerca e dintorni". Non ultimo, il sottosegretario prende di mira l’attuale vicepresidente, Roberto de Mattei: «Il suo caso verrà affrontato in un secondo momento». La necessità di arginare questo movimentismo autoreferenziale è anche per Valditara improrogabile: «Il governo intende modificare le regole del Cnr introdotte nella passata legislatura che, collegando progetti interni a commesse esterne, hanno incentivato ì rapporti fra ricercatori e finanziatori facendo arrivare ben 250 milioni di euro di commesse. Si rischia poi di rimettere in discussione il processo di semplificazione della struttura avviato coordinando fattività degli istituti in undici macroaree coordinate dai dipartimenti e riducendo a meno della metà i centri di spesa, ora controllati con un sistema full costing. Stupisce infine l’accanimento contro il professor De Mattei da parte di chi ha già dimostrato di intendere il Cnr "cosa nostra". La politica del nuovo governo nel settore ricerca manca di strategia. In compenso ha tentato in piú occasioni di azzerare i vertici degli enti perché "non rispondono politicamente". Dopo aver tanto accusato la Moratti, ora si leggono affermazioni sul taglio delle risorse del dieci per cento per fanno in corso e dei venti per cento per i prossimi anni e sull'opportunità che i dirigenti degli enti siano eletti con il concorso del 7 base». In realtà, proprio la scelta di Mussi, anticipata dal suo vice, di individuare il nuovo presidente del Cnr fra i nomi segnalati da un'apposita "commissione di saggi"> ha suscitato altre perplessità del "Manifesto della ricerca", gruppo peraltro assai critico verso l'operato di Pistella e che - spiega Franco Miglietta, dirigente dell’ibimet-Cnr- «ha avanzato, dal(e colonne della rivista le Scienze, una proposta di primarie "per un nuovo presidente". L'idea è che i ricercatori possano indicare, attraverso una semplice consultazione, un elenco di nomi di scienziati ritenuti capaci di assolvere l'incarico, lasciando poi il compito di scegliere a chi ne ha effettiva competenza». La proposta del search commitee, insomma, non convince se non si chiariscono «i criteri con cui verrà formato tale comitato. Esso dovrà infatti essere una espressione vera della comunità scientifica e cioè essere composto da scienziati di alta qualificazione comprendenti una rappresentanza significativa di ricercatori Cnr». Un compito, dunque, non facile aspetta il governo che deve stare attento a non tradire le immediate aspettative del gruppo di ricercatori che in questi anni hanno sollecitato il cambiamento. In più, il governo dovrà affrontare il paradosso di un Pistella ferocemente bersagliato dai centrosinistra all'epoca dei governo Berlusconi, accusato addirittura di falso in merito ai titoli scientifici dichiarati alle Camere in occasione della sua nomina, e oggi proposto dallo stesso centrosinistra in un ruolo nodale come quello del controllo delle politiche energetiche, A preoccupare è soprattutto il futuro del Cnr. Valditara: continueremo ad opporci con forza allo spoil system _____________________________________________ La Repubblica 21 ago. 06 L’UNIVERSITÀ CON LO SCONTO: STUDI TRE ANNI, NE PAGHI DUE Da Bari a Milano corsi gratis per le matricole GIUSEPPE CAPORALE ROMA — C’è già chi le chiama «Università tre per due». Dove, tre sono gli anni di corso e solo due quelli in cui pagare le tasse. Il primo, dunque, è completamente gratis, sino ad estendersi, in casi specifici e per particolari meriti, anche ad alloggio, computer portatili in prestito (per tutta la durata dell’anno accademico) e naturalmente libri. Tutto ciò accade già all’Università di Camerino, alla Libera Università di Bari e a quella della Calabria (che ha sede a Cosenza). E anche alla Federico II di Napoli, ma solo per gli studenti meritevoli. «Forti sconti», invece, sono previsti all’Università Statale di Milano. Ma quello che per gli studenti universitari può rapp r e s e n t a r e un’occasione di risparmio, nel mondo accademico ha messo in moto una raffica di polemiche. Poco importa se le iscrizioni gratis e gli sconti riguardino solo ed esclusivamente le matricole delle facoltà di chimica, fisica e di altre discipline s c i e n t i f i c h e poco appetibili in base a recenti statistiche e dunque da incentivare grazie ad un fondo ministeriale ad hoc. C’è chi vede, in queste iniziative promozionali, l’aprire le porte al «modello americano ». Il rischio che l’Università si trasformi in un «discount del sapere», stile Ikea. Definizione cruda, ma che rende l’idea sul pensiero sfavorevole che circonda questo tipo di iniziative. Di rimando, il rettore dell’Università di Camerino, Fulvio Esposito, tuona contro quelle che definisce le «banalizzazioni » dell’operazione. «L’università che offre l’iscrizione gratuita per le lauree s c i e n t i f i c h e , attraverso un c o n s a p e v o l e sacrificio del proprio budget, dà concreta attuazione al dettato della Costituzione. Non è un caso — continua — che le università milanesi o la Federico II° di Napoli, le quali non hanno certo bisogno di aumentare i numeri di studenti, si muovano in questa identica direzione». E poi ancora. «Proviamo un po’ a riflettere sulla disomogeneità sociale ed economica del nostro Paese. Nelle mie classi sono sempre presenti proporzioni elevate, spesso addirittura maggioritarie, di ragazze e ragazzi che, per mantenersi agli studi, svolgono attività lavorative (di regola part-time o occasionali, anche se non mancano persone che svolgono attività a tempo pieno). In questo contesto, l’università che offre l’iscrizione gratuita (o meglio, una borsa di studio d’importo pari a quello delle tasse) per alcune lauree d’importanza strategica per lo sviluppo del Paese, cercando così di contrastare i luoghi comuni legati alla presunta bassa occupabilità dei laureati scientifici e di far accostare a certe discipline (come la matematica, la fisica, la chimica) anche chi appartiene a strati sociali per i quali 800 e u r o a n n u i rappresentano un deterrente, non fa altro che dare (attraverso un consapevole sacrificio d e l p r o p r i o budget) concreta attuazione al dettato della Costituzione. Bollare c ome c ommerciali queste iniziative mi sembra soltanto un’ulteriore dimostrazione di superficiale r a d i c a l c h i c - cheria, tanto diffusa quanto perniciosa». Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, d a s emp r e molto attento al mondo universitario, la pensa diversamente e punta l’indice contro le università «supermercato». Quelle università, cioè, che offrono maxi sconti e promozioni per le iscrizioni. «Restiamo in attesa che comincino a regalare anche telefoni cellulari. Invece te il le ragioni per le quali i nostri giovani non si scrivono ad alcune facoltà forse risiedono altrove» scrive Walter Passerini, «magari anche nella bassa remunerazione di un titolo scientifico faticoso e avaro». Così la polemica sull’università «comme r c i a l e » s i estende al dibattito sull’università «facile » e colpisce anche le lauree honoris causa. I titoli consegnati nelle mani di personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport come Roberto Benigni, Luciano Ligabue, Valentino Rossi, Vasco Rossi e anche il fischietto Pierluigi Collina (laurea in scienze) non sarebbero altro che «iniziative di marketing per promuovere gli atenei» come le ha recentemente defini- Venerdì di Repubblica. CHI SALE Nell’a.a. 05-06 123.353 le matricole iscritte al corso di laurea in economia e gestione aziendale Economia Lo scorso anno accademico erano 123.906 le matricole del corso in scienze giuridiche Giurisprudenza Sono 53.004 i futuri camici bianchi che si sono iscritti al corso della facoltà di medicina e chirurgia Medicina CHI SCENDE 6.599 le matricole di matematica della facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali Matematica 704 erano l’anno scorso gli iscritti al corso di laurea in scienze e tecnologie agrarie Agraria Il corso meno frequentato della facoltà di ingegneria con 147 immatricolati Ingegneria navale _______________________________________________________ Italia Oggi 23 ago. ’06 CROCE ROSSA ENEA TRA GLI ENTI INUTILI Alla Ragioneria la scelta su privatizzazione e accorpamento DI ALESSANDRA RICCIARDI C i hanno provato in tanti, da almeno un ventennio, a sopprimere gli enti pubblici inutili. La partita, per tutti i governi che si sono susseguiti, è stata quanto mai ardua, e ha ottenuto ben pochi risultati. La resistenza sulle poltrone di consiglieri, presidenti e direttori, e delle rispettive cordate, è sempre stata a oltranza. Ora ci riprova il ministro dell'economia, Tommaso Padoa Schioppa, a rimettere mano alla galassia degli organismi pubblici. La prossima legge finanziaria dovrà prevedere la soppressione definitiva di molte di queste strutture arrivate al capolinea della propria mission, la privatizzazione di altre oppure il loro accorpamento, dove possibile. La parola d'ordine è razionalizzare e risparmiare. E così, se da un lato la Ragioneria generale dello stato ha ricevuto dal sottosegretario all'economia competente in materia, Paolo Cento, il mandato a verificare la reale necessità di comitati e commissioni ministeriali in eccesso, come prevede la manovrina Visco-Bersani, dall'altro dovrà anche stilare l'elenco dei vari enti pubblici non economici da rivedere. Indicando la soluzione, tra eliminazione, fusione e privatizzazione. In primo piano c'è la Croce rossa italiana, finita sugli altari della cronaca per presunte irregolarità nella gestione amministrativa e contabile, per il periodo che va dal 2002 al 2005. L'accertamento avviato dal ministero dell'economia ufficialmente non è ancora concluso. Probabilmente, qualche risultato, però, sul tavolo del ragioniere generale dello stato, Mario Canzio, è già arrivato. Dal nutrito pacchetto di documenti ( si veda ItaliaOggi dell'8 giugno scorso) era possibile stimare un buco nei bilanci dell'ente presieduto da Massimo Barra di circa 60 milioni di euro. Cifre, del resto, ritenute attendibili anche da Maurizio Scelli, commissario straordinario della Cri per il periodo sotto esame. Scoperchiato il pentolone della Croce rossa, il dicastero guidato da Padoa Schioppa pare propendere per una privatizzazione della struttura, oggi ente pubblico non economico. L'istituto uscirebbe così dall'alveo del governo per ricadere in una gestione privatistica, al pari di quanto ~ avviene negli altri paesi. «La Cri non può essere, come invece purtroppo è, ~ un ente pubblico non economico, soggetta al controllo di tanti ministeri», dice Barra, favorevole alla privatizzazione, che spiega: « Il balletto dei controlli dei tanti ministeri le è stato fatale. Sarebbe stata più , efficiente una verifica affidata a società di revisione private». L'operazione di privatizzazione si accompagnerebbe anche a una sanatoria dei disordini contabili e amministrativi a oggi registrati. Ancora da decidere la conferma dell'attuale vertice o il suo commissariamento. Nel mirino della Rgs ci sono anche i vari enti di ricerca. Per esempio l'Enea, l'ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, e l’Icram, l'istituto di ricerche applicate al mare, che potrebbero essere accorpati al Cnr. Gestione unica, dunque, via la duplicazione dei vertici e delle strutture di supporto burocratico e informatico. Un indubbio beneficio economico che però deve essere conciliato con le scelte di politica energetica e scientifica. Il ministro dell'università, Fabio Mussi, per esempio, ha annunciato in controtendenza che tornerà ad avere vita autonoma l'istituto per la fisica materiale che era stato accorpato. La partita degli enti, insomma, non si gioca solo al tavolo dell'economia. Fusione allo studio anche per l’Indire, l'istituto nazionale per l'innovazione e la ricerca educativa, e l'Invalsi, l'istituto nazionale di valutazione. Entrambi dipendenti dal ministero dell'istruzione, svolgono ruoli abbastanza affini e potrebbe confluire in un soggetto unico. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 ago. ’06 IL RISCATTO DELLA LAUREA ADESSO NON CONVIENE PIÙ L'esperto risponde. Le pensioni del futuro Il riscatto della laurea perde appeal per i giovani. Per coloro che avranno domani una pensione calcolata con il sistema interamente contributivo la convenienza dell'operazione si è molto ridimensionata. Prima di prendere una decisione è bene perciò considerare anzitutto gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Tenendo conto che, se lo scopo è un'uscita anticipata dal lavoro, il riscatto serve a poco 0 nulla. In base alla norma attuale, infatti, gli anni di laurea non possono essere utilizzati per maturare i 4o anni di contribuzione, raggiunti i quali si può andare in pensione a qualsiasi età. Restano invece dubbi (visto il silenzio in proposito della riforma Maroni) sulla possibilità di utilizzare i 35 anni di contributi necessari per la nuova anzianità. Ma, pure in caso positivo, il vantaggio sarebbe modesto, anche tenendo conto, in prospettiva, del progressivo avvicinarsi dell'età per anzianità e vecchiaia. Se lo scopo è poi l'incremento della futura pensione,vale la pena di confrontare il vantaggio fiscale (le somme versate per il riscatto sono interamente deducibili e il beneficio cresce in proporzione al reddito) con i rendimenti di forme alternative di impiego, prima fra tutte quella in un fondo pensione integrativo. _______________________________________________________ Italia Oggi 26 ago. ’06 LA SARDEGNA PROMUOVE LA QUALITÀ Rintracciabilità, ricerca e fiere gli obiettivi dei finanziamenti Pagina a cura DI ROBERTO LENZI Pronti gli aiuti per la valorizzazione e internazionalizzazione dei prodotti agricoli di qualità. Attualmente sono operativi due bandi di contributo che vanno ad agevolare interventi di internazionalizzazione e valorizzazione di prodotti tipici e di qualità, dall'acquisizione di sistemi di rintracci abilità, ricerche di nuovi prodotti, alla partecipazione a fiere e ricerche di mercato. Commercializzazione dei prodotti agricoli. Le domande di aiuto riguardanti l'acquisizione di sistemi di rintracciabilità, riconoscimento del marchio di origine e ricerche di mercato possono essere presentate entro il 7 ottobre. È quanto stabilito dal bando relativo alla misura 4.11 del POR Sardegna 2000-2006 «Commercializzazione dei prodotti agricoli di qualità» approvato con det. n. 675 del 18 luglio 2006. Al momento sono stati destinati all'iniziativa 2,5 milioni di curo, ai quali si andranno ad aggiungere i fondi eccedenti degli scorsi bandi, al momento non quantificabili. La misura è finalizzata a incentivare il miglioramento della qualità della produzione agricola e ad aumentare il suo valore aggiunto. Questo obiettivo viene perseguito attraverso il finanziamento di tre interventi, il primo di questi consiste nell'introduzione di sistemi e tecniche di assicurazione della qualità del prodotto e del processo produttivo, mentre il secondo riguarda la predisposizione della documentazione necessaria ad ottenere il riconoscimento del marchio di origine e j dell'attestazione di specificità. Il terzo ed ultimo intervento è relativo invece a udi per la definizione ed implementazione di sistemi di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari, a studi per la definizione ed implementazione di sistemi di rintracciabilità nelle aziende, nonché allo studio di nuovo packaging e ricerche di mercato. I destinatari delle singole azioni del bando sono diversi: imprenditori agricoli singoli e associati, imprese di trasformazione e commercializzazione, cooperative di produzione, consorzi di imprenditori agricoli e loro forme associate, associazioni dei produttori, società consortili di imprenditori agricoli. Si specifica che i contributi non vengono concessi per investimenti di carattere materiale, ma solo per spese relative a spese di consulenze, costi di certificazione, spese per la formazione del personale. II livello di aiuto è fissato nella percentuale del 100% della spesa ammessa, per gli interventi sulla rintracciabilità, e del 75% per le ricerche di mercato e lo studio del nuovo packaging. L'aiuto non può comunque essere superiore ai 100 mila euro per beneficiario e per triennio. Per le piccole e medie imprese la soglia massima totale di 100 mila euro può essere superata, ma in tal caso il valore dell'aiuto non potrà essere superiore 50% dei costi ammissibili. Aiuti all'internazionalizzazione delle produzioni di qualità. L'assessorato all'agricoltura e alla riforma agro pastorale ha dato attuazione ad un bando di contributo che prevede la concessione di contributi fino al50% per la realizzazione di progetti di ricerca di nuovi prodotti e iniziative di internazionalizzazione delle produzioni tipiche e di alta qualità. Sono incentivati gli studi riguardanti nuovi prodotti e confezionamento, la partecipazione a fiere ed esposizioni, attività di promozione e pubblicità e ricerche di mercato. Gli aiuti possono essere richiesti solo per le produzioni tipiche e di qualità pregiata (Dop e Igp). Possono richiedere le agevolazioni i consorzi di tutela a rilevanza nazionale delle produzioni zootecniche sarde a marchio Dop e Igp, con incarico di vigilanza e tutela sulle medesime produzioni da parte del ministero delle politiche agricole e forestali. Le domande di contributo devono essere presentate entro il 17 settembre presso l'assessorato all'agricoltura e riforma agro pastorale. La disponibilità finanziaria del bando è di circa 1,5milioni di euro. 1. Introduzione di sistemi e tecniche di assicurazione della qualità del prodotto e del processo produttivo, qualora sia imposta dalla legislazione comunitaria o decisa volontariamente dall'azienda produttrice 2. Predisposizione di tutta la documentazione necessaria a ottenere il riconoscimento del marchio di origine Dop.llgp (Reg. Ge n. 510106), Attestazione di specificità - As (Reg. n. 509/O6), o Doc/IgUDocg (Legge n. 164192 e Reg. Ce 1493/99) e nello specifico, lo studio delle caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche, delle caratteristiche del logo, l'elaborazione dei disciplinari di produzione e delle relazioni storico-tecniche 3. Studi per la definizione e implementazione di sistemi , di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari in base alla normativa vigente (Norma Uni 10939:2001/Norma Uni 11020:2002). Studio di nuovo packaging e ricerche di mercato. l- Studio per la ricerca di nuovi prodotti e nuove confezioni 2. Partecipazione a fiere ed esposizioni 3. Altri interventi di promozione e pubblicità 4. Ricerche di mercato _____________________________________________ Corriere della Sera 14 ELOGIO DELLA PIRATERIA ARTE & SCIENZA: L' epistemologo Michel Serres, Accademico di Francia Giorello Giulio e NUCCIO ORDINE No ai segreti, le conquiste vanno condivise Soltanto la libertà fa avanzare il sapere Michel Serres, professione filosofo. Ma lui, Accademico di Francia che dal 1990 siede tra gli «immortali», tiene subito a precisare: «All' inizio ero un matematico: ho esordito con le scienze esatte e poco dopo ho scelto lettere all' Ecole Normale Supérieure». Nel suo elegante appartamento di rue de Montreuil, placida strada di Vincennes alle porte di Parigi, Michel racconta come il futuro filosofo fosse all' inizio destinato a solcare i mari. Dopo il diploma in matematica «ero stato ammesso all' Ecole Navale. Sono stato ufficiale di marina per due anni ma poi » navigare stanca, per parafrasare Cesare Pavese. «È stata Hiroshima - dichiara - a spingermi alla filosofia. Allora noi studenti stavamo apprendendo che scienziati europei emigrati negli Usa e anche studiosi americani, tutti legati al progetto Manhattan, si ponevano questioni morali». E non si trattava solo del fatto che l' arma atomica, inizialmente pensata da ricercatori antifascisti per essere impiegata contro la Germania di Hitler, fosse poi stata destinata a piegare il Giappone! «Ancora negli anni Cinquanta - ricorda Serres - certi problemi erano tabù. In Francia, guru come Gaston Bachelard o Georges Canguilhelm sembravano inconsapevoli degli intrecci tra epistemologia, storia della scienza ed etica della ricerca. Quando ho cominciato a trattare questioni del genere, l' establishment filosofico mi ha emarginato, relegandomi a insegnare storia, non filosofia!». Così, per diverso tempo, proprio gli scienziati sono diventati gli interlocutori privilegiati: «Ho conosciuto Jean Dieudonné e André Weil, eccellenti matematici del gruppo Bourbaki. E poi ho frequentato biologi straordinari, come i due premi Nobel Jacques Monod e François Jacob, che hanno dischiuso con la biochimica nuovi strumenti intellettuali per la comprensione del vivente. E, infine, c' era tutta quella galassia di ricercatori, dai logici agli ingegneri, intenta a scoprire quanto fosse importante la nozione di informazione che tanto peso doveva assumere anche in biologia». Un percorso atipico per un filosofo: «I miei colleghi forse non se ne accorgevano, ma io ho avuto l' occasione straordinaria di attraversare tre rivoluzioni: in matematica, in fisica e nella scienza della vita. Dovessi scegliere uno slogan per la mia autobiografia, direi: ogni volta che le varie discipline scientifiche mutano il loro orizzonte dal punto di vista filosofico c' è sempre una nuova conquista di senso». Si tratta di questioni che negli ambienti universitari i filosofi, e gli umanisti in generale, sembrano sottovalutare. Non è casuale, per Serres, la vorticosa caduta, in Europa e negli stessi Stati Uniti, delle iscrizioni alle facoltà scientifiche, anche se ci sono settori come informatica e biotecnologie che riscuotono un certo successo. Commenta Michel: «Si tratta di un punto veramente critico. Sembra che le discipline scientifiche, specie quelle note come scienze esatte, non abbiano più attrattiva per le giovani generazioni. Ed è un' autentica crisi anche sotto il profilo politico: l' intera società, infatti, si basa sulla scienza. Quale sarà il nostro avvenire se non troviamo più dei candidati per la ricerca o per la didattica del sapere scientifico? Ma vorrei fare una piccola confessione al Corriere della Sera». Prego, professore, riveli il suo segreto: «Credo che l' università stia morendo. È stata una grande istituzione che ha radici fin nell' antica Grecia e nell' Islam dei secoli d' oro, per non dire del suo splendore nel Medioevo cristiano. Poi è andata in crisi col Rinascimento, per ricomparire trasformata nell' Ottocento europeo Oggi un sintomo della sua malattia fatale mi pare il fatto che più ci si investe del denaro meno essa funziona. Non sarà un po' come quelle stelle di cui riceviamo ancora la luce, ma di cui gli astrofisici ci dicono che sono morte da anni, se non da secoli? Forse l' università saprà rinascere ancora una volta dalle proprie ceneri come la Fenice. Probabilmente occorre guardare alle nuove tecnologie, al sapere diffuso che esse consentono, alla messa in rete delle conoscenze». E qui Serres, il «navigatore» - di fronte al tentativo, nel privato e nel pubblico, di tener segrete le conquiste della scienza - non esita a tessere l' elogio della «pirateria» (soprattutto quella informatica). Se le scoperte vengono «segretate» in nome di interessi privati, che ne sarà della scienza? «La pubblicazione è l' elemento dinamico della scienza moderna. Se non si ha il coraggio di praticare questa libertà, l' impresa scientifica corre un pericolo mortale. Nel suo Saggiatore (1623), del resto, Galileo aveva dichiarato che la natura è un grande libro scritto in caratteri matematici. Ancora ai tempi di Kant si pensava che ciò non fosse possibile per la chimica o per la biologia, ma oggi abbiamo fatto esperienza del contrario (c' è persino una sorta di sistema di stampa nel meccanismo del Dna!). La natura sa scrivere e a noi non resta che leggere, decifrare, decodificare quella scrittura. Natura deriva dalla stessa radice del verbo latino nascor. Dunque, natura è ciò che sta per nascere. E questa natura, come insegna la biologia almeno da Darwin, è evolutiva. Ma perché non rileggere Lucrezio, il grande poeta latino che ha cantato, con il suo mito di Venere, la generazione delle cose? La natura è sempre intenta a scrivere». E qui Michel Serres ritrova la convergenza (altrimenti perduta) tra scienza e letteratura - lui che ha scritto libri meravigliosi su Emile Zola, ma anche su Lucrezio e Jules Verne. «Le scienze nel loro insieme non sono un' enciclopedia, come si credeva ai tempi di Diderot. Sono un fiume dal corso imprevedibile e contingente. Per descriverlo ci vuole la parola di narratori come Dante, Boccaccio o Balzac. La scienza ha scoperto la dimensione del racconto: l' astronomia è diventata astrofisica che ci spiega nascita, crescita e morte delle stelle; la biologia, a sua volta, ci ha fatto dono della storia delle specie viventi, un tempo considerate fisse per l' eternità; la geologia ci ha rivelato origine e trasformazioni del nostro globo e ci ha convinto che persino i continenti si muovono; per non dire del romanzo dell' universo che è oggi la cosmologia. La nostra scrittura data da qualche migliaio di anni prima di Cristo. Ma il gran Libro del Mondo ha almeno tredici miliardi di anni. Il ricercatore, come l' arbitro nelle partite di calcio, deve saper seguire gli eventi, essere pronto a cogliere qualsiasi infrazione. Poi la scoperta arriva, come un ladro nella notte». Alla scienza, però, non spetta risolvere solo i problemi specialistici. Rientrano nel suo dominio anche le preoccupazioni che affliggono l' umanità: la fame nel mondo, la salvaguardia della diversità biologica, l' inquinamento. E, soprattutto, il bisogno di risorse idriche, «per cui oggi nel mondo si registrano otto guerre su dieci». Temi, forse, ben più «incandescenti» della questione del petrolio. Ma sapranno parlarsi politici e scienziati? Proprio qui si insinua il filosofo come mediatore. «Spetta a lui - ci dice Michel - svolgere il ruolo del celeste Hermes, dio degli scambi e della comunicazione». Lo stesso Hermes, sotto il cui segno idealmente Serres colloca non solo tutta la sua opera ma l' intera avventura della conoscenza. Giorello Giulio, Ordine Nuccio ======================================================= _____________________________________________ Repubblica 25 ago. 06 DIRITTI E DOVERI DELLA NUOVA SANITÀ Così il programma del ministro Livia Turco: "Più partecipazione" Patti, tavoli, accordi, commissioni, consulte nazionali: tutto questo abbonda nel testo dell'audizione del ministro della Salute, Livia Turco, alla commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, il vero programma del nuovo governo sulla sanità. E ovunque, nelle 45 pagine, 11 capitoli più le conclusioni, impera la parola "Nuovo". Il "New Deal" "Contrarre un nuovo Patto per la salute, un vero e proprio "New Deal" per la sanità italiana che sappia raggiungere e coinvolgere tutte le componenti del sistema finalizzandone l'operato verso un unico grande obiettivo: ridefinire modi e forme del sistema perché esso sia finalmente orientato verso i bisogni e le esigenze dei cittadini": questa la premessa. Le parole chiave Fiducia, qualità, unitarietà di sistema, responsabilità, legalità, cultura dei risultati, politica delle alleanze, Europa e Mondo sono le parole chiave. A fine ottobre, annuncia il ministro "vogliamo promuovere gli stati generali degli operatori e delle operatrici della salute". Lotta alle disuguaglianze e diritti sono centrali ma senza dimenticare i doveri: "Esiste anche un'altra responsabilità. Quella dell'appropriatezza e della lotta agli sprechi (...) L'unico ticket che oggi ha un senso è proprio quello sulla negligenza e l'inappropriatezza. Un ticket che dovrà essere quantificato e pagato dal sistema (in forma di penalizzazioni) ma anche dal cittadino" (quasi una multa per i danni al sistema). La valutazione e il monitoraggio diventano essenziali. Una consulta permanente con tutti gli attori della sanità è annunciata. Sarà potenziata la rete degli Ospedali italiani all'estero. La cattiva politica "La scelta di un Direttore Generale di un'azienda sanitaria o di un ospedale deve essere il curriculum e l'esperienza documentata, non la fedeltà a questo o quel partito", così la Turco che rivendica l'abrogazione della norma di fine legislatura che garantiva ad ex deputati regionali o nazionali la possibilità di diventare manager Asl o d'ospedale. Risorse e spesa Certezza di risorse e controlli sulla spesa: attento riesame dell'appropriatezza dei Lea, il 6,6% del Pil per il triennio 2007/2009 come "punto di partenza per la programmazione, cui affiancare un fondo "straordinario" per le Regioni che presentano grandi criticità finanziarie con l'obiettivo dell'azzeramento del debito entro il 2009". Se una Regione va in rosso "deve finanziare le spese eccedenti con risorse proprie". Qualità e appropriatezza saranno determinanti. Si prevede la riforma del sistema dell'Ecm (educazione continua in medicina) e del corso universitario nelle lauree nelle scienze mediche e sanitarie, la ridefinizione del rappporto Università-Servizio sanitario. "Precariato e "lavoro nascosto", come nel caso degli specializzandi", vanno superati. Va costruito un nuovo sistema concorsuale per l'attribuzione degli incarichi dirigenziali all'interno delle strutture sanitarie (...) Partecipazione Cittadino al centro della sanità: per prima cosa con più informazione, poi con una partecipazione attiva. E qui riappare la "consulta permanente delle associazioni che rifugga dalla occasionalità ed episodicità.... un primo incontro aperto alla più ampia partecipazione, da svolgere a settembre". Ricerca Logica di rete, stop al duopolio Milano/Roma; trasparenza e rigore nell'attribuzione dei fondi; nuove modalità nei bandi; un piano nazionale triennale; diversi incentivi alle aziende farmaceutiche che assumono ricercatori e fanno investimenti e ricerca clinica in Italia. Tempi di attesa "Abbiamo già sperimentato, in diverse aree territoriali, soluzioni di successo e di maggiore equità, anche a parità di risorse investite, per esempio attraverso la utilizzazione degli accessi differenziati per codice di priorità", afferma la Turco. Meridione Un "progetto mezzogiorno": capire e "contare" l'esistente per distinguere (e aiutare anche con accordi interregionali) l'"oggettiva" e giustificata mobilità sanitaria; disincentivare invece i viaggi "inutili" attraverso "un particolare regime di autorizzazioni". Certo, investire nel Sud, senza però ignorare il "malaffare spesso emergente" e quindi attrezzarsi con trasparenza. E la Turco chiude: "La lezione politica è che per il Sud non si tratta tanto di "copiare" il Nord ma di specificare le proprie caratteristiche con un proprio progetto". Oncologia Difficili diagnosi certe e interventi chirurgici in tempi brevi, accesso alla radioterapia, assistenza adeguata al proprio domicilio. Carenze di unità di radioterapia nel Sud, ma, sottolinea il ministro, "quasi la metà delle risorse messe a disposizione restano, a tutt'oggi, non spese". Malati terminali ancora abbandonati in gran parte alle famiglie, terapia del dolore non garantita ovunque. Casa della Salute Sembra essere un obiettivo strategico che unifica, sul territorio, i servizi: "Nella Casa della Salute devono potere essere effettuati tutti gli accertamenti diagnostico-strumentali di base 7 giorni su 7 e per almeno 12 ore al giorno. Nella Casa della Salute deve trovare implementazione la gestione informatizzata di tutti i dati sanitari". Le 4 sicurezze Errori in sanità e relative contromisure; elaborazione di un testo unico della normativa nel campo dell'igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, revisione della normativa sulla sicurezza dei prodotti e per la realizzazione di una normativa ad hoc per gli ambienti di vita; incentivi per l'utilizzo di dispositivi di sicurezza; normativa sull'amianto e sostanze tossiche (e applicazione immediata della diretttiva europea Raach); bonifica e controllo delle discariche, più controlli delle Asl; un piano pluriennale (entro il 31 dicembre) sulla sicurezza alimentare. (m. pag.) _____________________________________________ Repubblica 6 ago. 06 TURCO: OBBLIGO D’ESCLUSIVA PER I PRIMARI + MARIO REGGIO ROMA — Reintrodurre l’obbligo del rapporto esclusivo per i primari ospedalieri. Potenziare i consultori. Modificare radicalmente la legge Fini sulle droghe. Lanciare la campagna contro l’obesità infantile. Raggiungere l’accordo con le Regioni sul finanziamento del Fondo sanitario nazionale e i livelli essenziali di assistenza. L’agenda di lavoro del ministro della Salute Livia Turco è piena di scelte impegnative. Una delle questioni sul tappeto è l’aborto. «Le anticipo alcuni dati della relazione sulla legge 194 che presenterò in Parlamento alla ripresa dei lavori. Le interruzioni volontarie della gravidanza sono diminuite di oltre il 6% nel 2005 rispetto all’anno prima, e quasi del 45 rispetto al picco del 1982. Ma c’è ancora molto da fare. Le donne extracomunitarie ricorrono all’aborto tre volte di più delle italiane. Voglio trasferire i modelli di eccellenza dei consultori piemontesi, toscani, emiliani e umbri nelle Regioni dove l’informazione e l’assistenza alle donne è ancora deficitaria ». Un’altra questione di rilievo riguarda la carriera medica, tra pubblico e privato. Torna il rapporto esclusivo per i primari? «Non voglio in alcun modo intaccare il diritto dei medici all’esercizio della libera professione. Ma nel disegno di legge sul governo clinico, che presenterò in autunno, ci sarà una norma che prevede per i primari e i capi dipartimento il rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale. Nel caso scegliessero il lavoro privato esterno, dovranno lasciare l’incarico. Oggi la scelta, senza perdere alcuna prerogativa, si può fare ogni anno. Con le nuove norme verrà mantenuta la reversibilità, ma con i tempi legati al contratto». E per la libera professione intramoenia? «Le Aziende sanitarie locali hanno un anno di tempo per adeguare le strutture. La storia si trascina da troppi anni, ben 412 milioni di euro previsti in bilancio non sono mai stati richiesti dalle Regioni per adeguare gli spazi sanitari. Segno che qualcosa non ha funzionato. Un altro punto basilare è che l’attività intramoenia non può mai superare quella ordinaria svolta nei reparti ospedalieri». Droga e legge Fini. Qual è la sua linea? «Scorrendo la relazione sugli effetti della legge Fini sulle droghe ho scoperto che gli arrestati per i provvedimenti delle forze di Polizia sono 5.515. Oltre la metà di queste persone sono restate in carcere in media 11 giorni. Che senso ha? È la conferma che la sola repressione non ha alcuna efficacia. Molti giovani sono finiti in carcere per la prima volta, un duro scotto e senza nessun percorso di recupero. Questo mi convince ancor di più che dobbiamo fare presto a modificare la legge». Altra emergenza: l’obesità sempre più diffusa. Una malattia sociale anche in Italia. «I dati più recenti che mi sono stati forniti sono agghiaccianti. Le stime parlano di 23 miliardi di euro spesi ogni anno e tra questi 14 miliardi legati ai ricoveri ospedalieri. In gran parte sono risorse impegnate per curare le patologie legate all’obesità: cardiovascolari, diabete, fegato, cancro, ipertensione e sindromi depresssive. Inquietanti anche i dati relativi al fenomeno tra bambini e adolescenti: tra i 7 ed i 9 anni il 36 per cento è in sovrappeso. Assieme al ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni lanceremo una campagna d’informazione nelle scuole indirizzata a studenti e famiglie per una corretta alimentazione ». Con i farmacisti è finita la guerra? «L’accordo è stato raggiunto. E le farmacie dovranno garantire il presidio della comunità assistenziale. Ripenso alle piccole farmacie dei paesi del Cuneese dove sono nata, bisognerà rivedere la dislocazione territoriale assieme a Regioni e Comuni per assicurare la loro valenza sociale». Resta ancora da definire l’accordo con le Regioni sui finanziamenti del Servizio sanitario nazionale e i Livelli essenziali di assistenza. «Stiamo lavorando al patto per la salute. Da un lato combattere gli sprechi rivedendo e uniformando i criteri di accreditamento delle strutture private, dall’altro far uscire il Sistema sanitario nazionale dal clima di continua emergenza». Non sarà semplice. «Il meccanismo di finanziamento è già stato delineato nel Dpef. Si parte dalla valutazione condivisa con le Regioni del fabbisogno finanziario, nel gruppo di lavoro che comprende anche il ministero dell’Economia. Le previsioni tendenziali del Fondo sanitario per il 2007 parlano di 103 miliardi di euro. Si dovranno valutare i meccanismi di razionalizzazione per ridurre la spesa globale, permettendo così di finanziare i Livelli essenziali di assistenza». Ma sei Regioni sono in grave crisi da anni e accumulano debiti. «Abbiamo concordato un piano triennale di rientro del deficit. Ma non basta. Le Regioni non avranno più vincoli per raccogliere risorse. Ma lo strumento su cui contiamo è l’équipe di esperti di Sanità, Regioni, ministeri economici che dovrà studiare i modelli sanitari delle Regioni in crisi». Può spiegare meglio? «Se il deficit è cronico vuol dire che la politica sanitaria deve cambiare. Quindi le regioni virtuose possono e devono trasferire il loro know-how organizzativo a quelle che non ce la fanno. È l’accompagnamento fuori dalla crisi di cui si è più volte parlato. Gli standard sui posti letto, l’assistenza ospedaliera, la medicina sul territorio, le nuove tecnologie, come funzionano in molte regioni del centronord possono essere assunte anche da quelle in difficoltà. Altrimenti scatterà il commissariamento ». Un giudizio sui primi due mesi di lavoro. «C’è ancora molto da fare, ma non siamo stati a guardare. A partire dal parto indolore introdotto nei livelli essenziali di assistenza, alla revisione dei finanziamenti sulla ricerca oncologica, dalle nomine dei direttori degli Istituti di ricerca, ricovero e cura, all’abolizione di 28 commissioni ministeriali inutili. Fino alla creazione della Commissione d’integrazione socio-sanitaria. In due mesi non è poco». PRIMARI Presenterò un ddl: nel caso optino per il lavoro privato esterno, sarà interrotto l’incarico ospedaliero ABORTI Sono in calo del 6% l’anno Ma al Sud, dove ci sono meno servizi, il fenomeno è più rilevante che al Nord CONSUMO DI DROGA La legge Fini va cambiata subito. Oltre 5mila finiti in carcere, la repressione da sola non ha alcuna efficacia PREVENZIONE Spendiamo 23 miliardi di euro per patologie legate all’obesità. Pronta una campagna nelle scuole _____________________________________________ Corriere della Sera 7 ago. 06 «PRIMARI, OBBLIGO DI ESCLUSIVA» Scontro sul piano del ministro agosto tranquillo, Livia Turco. Non ancora quietate le polemiche per la deposizione del professor Cognetti dalla direzione scientifica del Regina Elena, ecco che il ministro della Salute torna ad animare la settimana politica di preferragosto. Con un’intervista a Repubblica in cui tra l’altro progetta di ristabilire, con disegno di legge, l’obbligo di esclusiva per i circa 10.000 primari italiani. «Basta col doppio lavoro, devono scegliere tra sanità pubblica e privata», ha dichiarato ieri la Turco. «Non vogliamo intaccare in alcun modo il diritto dei medici all’esercizio della libera professione, però primari e capi dipartimento in tal caso dovranno rinunciare all’incarico ospedaliero». PROTESTE — Una riforma che non piace per niente a gran parte dell’opposizione. E se è per questo nemmeno al verde Tommaso Pellegrino: «Non vedo perché il problema dell’incompatibilità debba porsi solo per i medici, sarei d’accordo se fossero eliminati i doppi incarichi per tutte le professioni, politici compresi. I medici che fanno bene il proprio mestiere non rubano soldi a nessuno». «Ecco, dopo avvocati, farmacisti e tassisti, il governo ha già individuato la prossima vittima », osserva Italo Bocchino di An. Indignato per l’attacco ai professionisti: «La Turco chiede l’esclusiva senza riflettere sull’esiguità dei loro stipendi». E immagina il fuggi fuggi dei camici bianchi gallonati: «Così le strutture pubbliche si svuoteranno delle migliori professionalità a vantaggio di quelle private, dove magari poi investiranno le coop rosse». Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Forza Italia: «Le affermazioni del ministro Turco sono di una gravità straordinaria. Siccome gli stipendi dei medici sono quello che sono è evidente che questo è un attacco non solo La professione e i primari «Primari, obbligo di esclusiva» Scontro sul piano del ministro Bocchino (An): ci sarà una fuga dei professionisti dagli ospedali Vietti dell’Udc: principio dirigista Forza Italia: attacco alla sanità pubblica. La Cgil: si applichi a tutti i medici DROGHE LEGGERE all’élite medica ma anche alla sanità pubblica. Oltre che ai ceti più poveri che solo negli ospedali possono permettersi cure di qualità». Adotta la metafora barbarica Francesco Giro: «La Turco sembra Attila, proprio vero che al peggio non c’è mai fine, aridatece la Bindi con tutti i suoi disastri». Cerca di aizzare i primari il portavoce dell’Udc, Michele Vietti: «Alle categorie bistrattate da Prodi mancavano soltanto loro. Prontamente ci ha pensato la Turco. Ancora una volta a sinistra prevale il principio dirigista, ci auguriamo che anche i medici prendano atto dell’ostilità nei loro confronti e della sottovalutazione delle loro esigenze da parte di questa maggioranza ». Al contrario per Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp-Cgil Medici, il programma della Turco è ancora poco. «L’esclusività del rapporto deve valere non solo per i primari ma per tutti i medici con la possibilità della libera professione intramuraria, ponendo fine all’attività negli studi privati». DROGA —Più apprezzata, giusto nella maggioranza, l’intenzione della Turco di cambiare subito la legge Fini sulle droghe leggere. Condivide in pieno il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi. «Urge una riforma o si vanifi- ca l’indulto con una legge assurda che, per dosi minime, parifica un consumatore ad uno spacciatore», spiega invece l’eurodeputato radicale Marco Cappato. Un «drastico superamento» della normativa «repressiva» è quel che si augura Pino Sobio del Pdci. G. Ca. L’annuncio: cambieremo anche la legge Fini sulle droghe leggere S LA PROPOSTA Livia Turco, ministro della Salute, propone di reintrodurre l’obbligo del rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale per i primari ospedalieri e i capi dipartimento S LA SCELTA Secondo il «progetto» Turco chi fra i 10 mila primari italiani sceglierà il lavoro privato esterno dovrà lasciare l’incarico nella struttura pubblica. Oggi la scelta, senza perdere alcuna prerogativa, si può fare ogni anno. Con le nuove norme verrà mantenuta la reversibilità, ma con tempi legati al contratto S L’INTRAMOENIA Oggi quasi tutti i primari hanno scelto l’intramoenia, che significa svolgere la professione solo ASL _____________________________________________ Repubblica 7 ago. 06 LEO: CONTRO L’OBBLIGO DI ESCLUSIVA Ermanno Leo dell’Istituto tumori di Milano “Devastante per i pazienti vanno via i medici migliori” L’INTERVISTA/1 PAOLO BERIZZI MILANO — Dice che il meccanismo dell’esclusiva è devastante, pericolosissimo: soprattutto per i pazienti. Perché svuota gli ospedali dei medici migliori, quelli con più anni di esperienza, che, dovendo scegliere dove stare, ovviamente opteranno per il privato. «E così si torna al primariato di Stato, dove si diventa primari solo se si accetta l’esclusiva. Le sembra una cosa ragionevole?». Ermanno Leo, 55 anni, chirurgo oncologo, è primario all’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Sarebbe anche un fan di Livia Turco, a ben vedere, ma la proposta del ministro della Salute — «o di qua o di là, i primari devono scegliere» — proprio non gli va giù. Come mai, professore, non la convince? «Subordinare la bravura di un primario all’accettazione dell’esclusiva è grave e controproducente ». Spieghi perché. «Mettiamo ci sia un primario eccezionale. Che non accetta di lavorare solo nel pubblico. Con questo meccanismo che succede? Succede che viene scavalcato da uno magari meno bravo, o addirittura non bravo, solo perché quest’ultimo accetta l’esclusiva. Non avendo, aggiungo io, ancora l’esperienza per esercitare la libera professione». Ma il governo non vuole intaccare il vostro diritto all’esercizio della libera professione. Semplicemente vi dice di scegliere: se preferite il lavoro privato esterno, dovete lasciare l’incarico in ospedale. «Già, e questo secondo lei che cosa provocherà?». È lei l’esperto.. «Il privato è sempre a caccia di medici bravi e scontenti. È ovvio che a un primario di 60 anni, bravo, molto bravo, non gliene frega niente di prendere 500 euro di “premio esclusiva”. Non ne ha bisogno. Sceglie il privato, senza pensarci un attimo. E l’ospedale pubblico lo perde. E il paziente che ha bisogno di lui resta lì, in mano a uno giovane e inesperto che l’esclusiva la accetta quasi in automatico. È normale: è la sua occasione. Se posso vorrei dire una cosa a Livia Turco. La dica. «Ma vogliamo giocare a favore del pubblico o del privato? Io sono primario da dieci anni, se vuole le faccio vedere la mia busta paga: 2.800 euro». Ma con l’attività di studio molti suoi colleghi raddoppiano. «Vero. Però ripeto: con l’esclusiva si danneggiano gli ospedali pubblici. Si ingolferanno ancora di più. La qualità dei servizi si abbasserà. E non ci vengano a dire che si può visitare “intramoenia”, perché le strutture non ci sono. Per le visite mancano gli spazi». Il ministro vuole combattere il doppio stipendio, e anche l’evasione fiscale. «Scusi, se un bar non dà lo scontrino del caffè gli mandi la Guardia di Finanza, mica fai il caffè di Stato. O no?». Professore, sugli altri punti della rivoluzione Turco che cosa pensa? «Sono d’accordissimo. Io stimo molto questo ministro. Ho votato questo governo. Ma sull’esclusiva è scivolata. Credo sia il frutto di un compromesso becero con qualche organizzazione sindacale. E le riforme non si fanno parlando coi sindacati. Si fanno sedendosi al tavolo con chi sta nella medicina da anni, con chi conosce le esigenze dei pazienti perché i pazienti si fidano di loro. Non dell’ultimo medico arrivato, che per diventare primario accetta di lavorare in ospedale e basta». SCAVALCATO _____________________________________________ Repubblica 7 ago. 06 BINDI: È GIUSTO IMPORRE LA SCELTA FRA IL PUBBLICO E IL PRIVATO” Rosy Bindi, ex titolare della Sanità e autrice della precedente riforma MARIO REGGIO ROMA — «Non dimentichiamo che tra la mia riforma e quella annunciata da Livia Turco ci sono cinque anni di governo di centrodestra che ha compiuto passi molto seri verso la privatizzazione della sanità pubblica. Ha cancellato le regole, ai medici ha detto fate quello che volete, ha dato mano libera ai privati. Oltre al non governo del sistema ha abbandonato il Sud e bloccato gli investimenti. La proposta di Livia Turco è buona. Adesso si torni a lavorare sul serio». Rosy Bindi, per quattro anni ministro della Sanità, plaude all’iniziativa di Livia Turco. Perché condivide l’annuncio dell’attuale ministro della Salute? «Perché ripristina l’esclusività del rapporto per chi ha responsabilità di struttura, perché si annuncia un controllo serio sul rapporto tra attività intramoenia e la riduzione delle liste d’attesa. È necessario riaffermare il principio che il medico non è il destinatario degli ordini di servizio ma deve essere coinvolto in prima persona nelle scelte che riguardano la politica e la programmazione sanitaria. Il direttore generale gestisce, ma l’autonomia della professione è dei medici». Ma il centrosinistra ad un certo punto la abbandonò. «Dobbiamo avere l’onestà di dire che in mezzo c’è stata anche la mia sostituzione con il professor Veronesi. Su quella riforma ci fu una sorta di timidezza nell’applicazione, non venne rinnegata, ma nella prima fase prevalse la cautela, ridimensionando di fatto la portata complessiva della riforma. E questo ha portato, anche prima della vittoria del centrodestra, ad una serie di storture nel sistema sanitario. La legge parlava dell’attività intramoenia legata però all’impegno di abbattere le liste d’attesa. Si è prorogata all’infinito l’intramoenia allargata, quella che prevedeva l’attività negli studi privati. Mentre il primo impegno di un medico è quello di abbattere le liste d’attesa e non svolgere l’attività privata». Poi i due ministri del governo Berlusconi hanno fatto il resto. «La loro gestione è stata caratterizzata dal non governo assoluto del sistema sanitario. Sirchia ha pensato alla dieta degli italiani. Storace ha fatto solo propaganda. Ora il governo Prodi non potrà non impegnarsi per il rilancio del sistema pubblico, il che non vuol dire solo risorse economiche. La destra farebbe bene a tacere, perché la situazione difficile nella quale ci troviamo è colpa delle loro scelte sbagliate e delle loro non scelte. Non si erano mai visti tanti scioperi nel settore della sanità come durante il governo Berlusconi. I medici avevano capito che l’obiettivo era lo smantellamento del Servizio sanitario nazionale». Chi si oppone alla riforma dice che i più bravi se ne andranno. «È una pura falsità e lo dimostra che i medici sono rimasti anche durante i cinque anni in cui era in vigore il rapporto esclusivo. Quelli bravi restano perché nessuno gli nega la possibilità di fare attività libero-professionale all’interno dell’ospedale. Ai medici va restituita la grande dignità che si meritano, ma ognuno deve fare il proprio dovere». Livia Turco ha annunciato anche una campagna sull’educazione alimentare. «Se tra i destinatari c’è anche la famiglia sono sicura che Livia Turco e Giuseppe Fioroni coinvolgeranno anche il ministro della Famiglia». MANO LIBERA Il governo di centrodestra ha cancellato le regole, ha dato troppa mano libera DENTRO L’OSPEDALE Nessuno gli nega la possibilità di fare attività liberoprofessionale nell’ospedale Rosy Bindi, ex titolare della Sanità e autrice della precedente riforma “È giusto imporre la scelta fra il pubblico e il privato” L’INTERVISTA/2 _____________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 ago. 06 CHIRURGIA DAL BINAGHI AL POLICLINICO La Asl 8 conferma: il primo settembre sarà completato il trasferimento della Chirurgia generale dal Binaghi al Policlinico universitario di Monserrato, in vista della nascita dell'Azienda Asl-Ateneo, fissata fine anno. L'équipe del primario Giuseppe Casula (universitario) avrà sale operatorie nuove. _____________________________________________ Corriere della Sera 24 ago. 06 LA TECNOLOGIA NEGLI OSPEDALI INFORMATICA E MEDICINA. Nessuno si sognerebbe di far partire un aereo senza computer, in nessuna parte del mondo, nemmeno nel più piccolo aeroporto. E non dovrebbe essere così anche negli ospedali? Tutte le pratiche relative al ricovero per esempio (e questo qualche volta succede) ma anche alla cartella clinica (che quasi dappertutto in Italia e in Lombardia si compila a mano). L' informatica servirebbe per tutto quanto è relativo ai farmaci, dalla gestione del magazzino alla distribuzione ai reparti e a quanto arriva all' ammalato, ai farmaci della dimissione, ma non succede quasi mai. Ed è così anche negli Stati Uniti: l' informatica è stata applicata agli aspetti amministrativi del lavoro degli ospedali e a quelli finanziari. Poco o nulla a migliorare le cure. Così un gruppo di esperti e di medici di diverse Università della California ha preso in esame tutta la letteratura. Ha trovato 257 buoni lavori. Fatti prevalentemente in ospedali che hanno studiato l' impatto dei sistemi informatici sulla qualità delle cure. Si è visto che il computer aiuta il medico a curare bene e ad aderire alle linee- guida (sono indicazioni su come si debbano curare le malattie). Anche le complicazioni legate al ricovero in ospedale erano di meno dove c' erano buoni programmi informatici, e lo stesso vale per gli effetti collaterali dei farmaci e le infezioni ospedaliere. In qualche ospedale il computer riduceva gli errori medici e almeno in uno si sono ridotti considerevolmente i costi. E i tempi delle prestazioni? Non si allungano quasi mai. Questi studi hanno messo in evidenza un fatto fondamentale. Là dove il computer davvero aiuta a curare è perché i sistemi informatici sono stati sviluppati da chi li usa. Sono medici- ricercatori che hanno saputo adattare l' informatica alle esigenze dei loro colleghi. Dove si è cercato di fare il contrario, le cose non funzionano e nessuno è riuscito finora a documentare se sistemi commerciali - poco flessibili e in generale pensati per applicazioni non mediche - messi in un ospedale, con l' obbligo, per i medici di usarli, abbiano qualche effetto favorevole sulla cura degli ammalati. L' informatizzazione in ospedale costa. Prima di spendere questi soldi ci si dovrebbe chiedere se serve. Se si utilizzano le esperienze che ci sono già, i vantaggi ci saranno e saranno probabilmente enormi. Se si fa tanto per farlo, con progetti che sono già falliti altrove, si spenderà moltissimo (e chi installa questi sistemi, avrà grandi profitti) ma non è detto che questo serva agli ammalati. Remuzzi Giuseppe ___________________________________________ il Giornale 18 ago. ’06 MEDICI MIGLIORI CON LA LETTERATURA da New York Rita Charon ha una cattedra di Medicina Clinica presso la Columbia University di New York. Qualche hanno fa; quando la sua carriera di medico e di insegnante era già al culmino, ha preso un dottorato in letteratura inglese, con una tesi su Henry James. Si era messami mente che la grande letteratura le avrebbe insegnato a diventare un medico migliore, perché, in sostanza, non esisterebbe grande differenza tra le storie inventate e le storie dei malati. Sempre di fiction si tratta. Oggi, nella stessa università, Rita dirige il programma in «Narrative Medicine» ed è editor-in chief della rivista Literature and Medicine. D suo libro Narrative Medicine.. Honoring the Storzes of Illness è uscito la scorsa primavera per Oxford University Press. La incontro nel suo studio, al 24° piano di un ex albergo, dalle parti di Washington Square. Mentre mi tolgo la giacca, Rita mi invita a guardare fuori dalla finestra. E quasi sera. L'Empire State Building è illuminato dei colori della bandiera e il cielo è stupendamente limpido. Sulla parete della finestra spicca un celebre ritratto di Henry James. Incominciamo con la domanda più importante: che cos'è una storia? «Be' diciamo prima di tutto che è molto dibattuto se dobbiamo parlare di storia o di narrazione. Io tendo a preferire il termine "storia". Intuitivamente tutti sanno che cos'è una storia. Tutti hanno sentito una storia e usano il termine senza pensarci su tanto. Ti devo raccontare una storia... Senti che storia... Una bella storia... Una brutta storia... Ecco che cos'è una storia: qualcuno che racconta a qualcun altro che qualcosa è successo. La lista della spesa non è una storia. Una barzelletta lo è. Una storia è un evento comune ed è un racconto che accomuna. Le storie non esistono in astratto. Sono organismi viventi: Cambiano di continuo. Non esiste mai la stessa storia. Basta che cambi il narratore perché si abbia un'altra storia.. Lo vedo benissimo in ospedale. Il medico inesperto non mette il paziente nelle condizioni di raccontare tutta la storia. E poi, quando legge quello che lo stesso paziente ha raccontato al medico più esperto, si stupisce e dice: "A me questo non l'ha raccontato!". Quali sono gli elementi distintivi di una storia? «Perché ci sia storia occorrono: un narratore, un ascoltatore, una durata, una trama, un tema. Non tutti però ritengono che il tema e la trama siano indispensabili. Pensiamo alle storie di Beckett. Di che cosa parlano? In che rapporto reciproco stanno quelle voci che si intrecciano, vengono da lontano, quasi immateriali?». Chi è l'autore di una storia? «Chi racconta! Una storia può essere raccontata da più voci. Henry James l'ha dimostrato benissimo ú1 Giro di vite. Lì chi racconta? La governante, il bambino, la bambina? 0 Henry James in persona.?». Non pensa che un medico esperto corra il rischio di far dire al paziente ciò che si aspetta di sentirsi dire? Insomma, di condizionare lo svolgimento della storia con le sue aspettative? «Certo, è un rischio, un pericolo. Bisogna proteggersi dalla prevedibilità. La disponibilità alla sorpresa è l'atteggiamento migliore di chi ascolta una storia. Quando incontro un nuovo paziente, gli dico solo due cose... Potrei dirgliene moltissime, fargli centinaia di domande... Invece mi limito a dire: io sarò il tuo medico. Dunque dovrò sapere molto di te. Dimmi quello che pensi che io debba sapere. Così imparo in che modo questo completo estraneo inserisce la sua malattia in una cornice. C'è chi ti dice per prima cosa: Sono nato in Montana. E chi ti dice: I dolori al petto mi sono cominciati l'estate scorsa. D punto è che io so di assistere a un evento narrativamente fondamentale: l'inizio. Ciò che segue va studiato come i narratologi studiano,i testi. Occorre capire i modi espressivi (il dialogo piuttosto che la diegesi continua), il genere letterario, le analessi, l'utilizzo dell'emotività... Cerco con tutte le mie forze di sorprendermi. Io non domando mai: Fumi? Questo impedirebbe la sorpresa. Che cosa potrei aspettarmi dopo una simile domanda? Si, no. E allora io dovrei domandare: Quanto? Risposta: Un pacchetto. E così via. E la storia dov'è andata a finire? Mi impegno anche a non prendere appunti mentre il paziente parla. Osservo. Poi trascriverò tutto. A proposito, ha mai visto una cartella clinica? (si alza e va a prendere un grosso quaderno, ndr) Vede quanto è alto? Un librone! Lo si legge come un romanzo. Qui ha la storia di vite intere. Guardi! Torniamo indietro agli anni Settanta. Vede, ogni tot pagine, la scrittura cambia. Ecco, questa è la mia. Qui è finito tutto: ciò che mangi, ciò che puoi fare e ciò che non devi fare> il tempo... Ah, ff tempo è fondamentale: Guai tornare indietro e aggiungere dati o notizie fuori dall'ordine cronologico... La cartella clinica ha regole ferree - di stile struttura, cronologia». Torniamo a Henry James. È l'autore che più ha contato per lei... «Sono pazza di Henry James. Lo conosco profondamente. Lui conosce me altrettanto bene. Ho penetrato ogni sua pagina e lui ha penetrato ogni fibra del mio cervello. Ha depositato in me il suo seme. Sì, siamo amanti. Posso dire così? Mi parla. Conosco i suoi segreti. Lo nomino nei ringraziamenti del mio libro. Henry James è il mio autore. Tutti dovrebbero avere un loro autore. Lei ne hai uno? Sono certa che lei ne abbia uno. Come si può vivere senza avere intimità con qualcuno nel più profondo dei modi, attraverso il linguaggio?». Che cosa ha da insegnare Henry James a un medico? «Da dove posso incominciare? James Wsegna ad ascoltare. Le sue infinite prospettive, le sue specificazioni, le sue parentesi, le sue angolazioni mutevoli... Ciò che fa nei suoi libri non è diverso da ciò che fa un medico diagnosta». Gli studi letterari hanno molto da insegnare a un medico. E la medicina che cosa ha da insegnare a un letterato? «La domanda è importantissima. L'esperienza della medicina permette ai letterati - scrittori o studiosi che sia no - di ricollocare il loro sapere nel mondo. Lei neanche s'immagina quanti scrittori siano desiderosi di frequentare i seminari che organizzo, di parlare con gli studenti di medicina... Di recente abbiamo avuto Paul Auster... La medicina dà allo scrittore un ambito ideale in cui riportare la parola alla vita». Quali sono i libri che hanno contato di più per lei? «Gli ultimi romanzi di Henry James, i romanzi della Woolf, di Faulkner, le prime cose di James Joyce, Ivan IIic, qualcosa di Kafka...». Chi di questi ha capito la malattia meglio di chiunque altro? «Tolstoj». Non Mann? «Mann ha considerato la malattia una forma suprema di alienazione. Tolstoj ha capito che cosa si prova quando si muore». _______________________________________________________ Libero 23 ago. ’06 PER I FUTURI DOTTORI MENO LEZIONI IN AULA, PIÙ PRATICA IN OSPEDALE di LUIGI FRIGERIO* Le recenti dichiarazioni del Ministro Livia Turco sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale hanno aperto una discussione sui meccanismi del nostro sistema sanitario. Al di là di qualsiasi polemica, dobbiamo ricordare che la sanità italiana è oggi generalmente una buona sanità. Un'organizzazione invidiata da molti Paesi perchè spendiamo poco e abbiamo risultati apprezzabili. Un sondaggio realizzato dall'agenzia Stethos nel 2005 ha rivelato che i medici italiani, con 32.000 euro netti all’anno, sono fra i meno pagati d Europa. Le leggi di mercato stabiliscono il prezzo in ragione del rapporto domanda-offerta e queste regole valgono anche in ambito sanitario. In Italia ci sono 6 medici ogni 1000 abitanti, a fronte di una media dei paesi dell'Unione Europea di 3,2 ogni 1000. L'età media dei medici ospedalieri in Italia è di poco inferiore a 50 anni e il ricambio generazionale appare difficile visto che solo una esigua minoranza ha un'età inferiore a 35 anni. Il notevole rallentamento del ricambio generazionale appare oggi come l’amaro frutto delle iscrizioni di massa alla facoltà negli anni 1970-80. Mancano nella sostanza circa cento milioni di euro per coprire i costi differenziali del nuovo contratto di formazione-lavoro. Problema non secondario perché oggi negli ospedali italiani vi è carenza di specialisti. Molti professionisti preferiscono lavorare in ambito privato oppure optano per la medicina di base che offre migliori garanzie economiche a fronte di impegni lavorativi più contenuti. E allora che fare? Nel nostro Paese esistono molti ospedali ad alta specializzazione che potrebbero contribuire a formare nuovi specialisti di cui abbiamo urgentemente bisogno. L'assistente in formazione deve imparare il mestiere non dai libri, ma dall'esempio e dalla pratica quotidiana in ospedale. Questo purtroppo attualmente non accade. Responsabile di questa situazione è soprattutto l'Università che detiene il monopolio della formazione. Per consentire agli specializzandi di eseguire tutte le prestazioni contemplate dal curriculum formativo europeo le università si convenzionano con gli ospedali. Le strutture dota - te di casistiche numerose sono in grado di svolgere un ruolo formativo, ma dovrebbero poter utilizzare almeno il25% delle risorse dedicate oggi al pagamento dei medici strutturati per finanziare la presenza di assistenti in formazione. L'ospedale dovrebbe così avere la possibilità di erogare borse per gli specializzandi che potranno lavorare presso il reparto ospedaliero convenzionato per ll mesi all'anno. L'aspetto cruciale è che lo specializzando deve sapere "e deve anche "saper fare". Occorre perciò dare agli ospedali responsabilità e capacità di operare nell'ambito di un insegnamento qualificato. La `borsa di studio per medico in addestramento"dovrà così essere sostituita dalla "borsa di studio per assistente in formazione". La preparazione degli specializzandi potrà in tal modo essere assegnata al Sistema Sanitario Nazionale, rompendo il monopolio formativo dell'Università. Si dovranno prevedere più docenti per la formazione dei futuri specialisti, utilizzando la disponibilità di medici ospedalieri qualificati. Bisognerà definire quali ospedali sono realmente in grado di svolgere funzioni di insegnamento tenendo. Si potrà così stabilire quanti postici sono per gli specializzandi in un ospedale e quanti per i medici strutturati previsti dal contratto. Le Regioni, nell'ottica della programmazione, svolgeranno un ruolo decisivo per garantire il rapporto di collaborazione fra Università e Ospedale. Questa proposta potrebbe anche non piacere. Ma il nodo degli specializzandi resta centrale in una riforma del sistema sanitario che si rivolga al contratto di impiego dei medici. Ora spetta al nuovo governo di sinistra, vedremo. Luigi Frigerio *Primario ospedaliero eDocente universitario _____________________________________________ La Repubblica 23 ago. 06 COSÌ ABBIAMO CAMBIATO IL WELFARE IN AMERICA DIECI anni fa firmai l’Atto di riconciliazione sulla responsabilità personale e le opportunità di lavoro. Era già da tempo che mi dedicavo alla riforma del welfare. Nel millenovecentottanta, in qualità di governatore, avevo sovrinteso in Arkansas ad un esperimento di workfaree avevo rappresentato l’Associazione nazionale dei governatori durante i lavori con il Congresso e l’amministrazione Reagan per la stesura del disegno di legge per la riforma del welfare che nel millenovecentottantotto venne convertita in legge. Eppure, quando mi candidai alla presidenza – nel millenovecentonovantadue – per i contribuenti e coloro che si proponeva di aiutare, il nostro sistema ancora non funzionava. Nel mio discorso sullo Stato dell’Unione avevo promesso di «porre fine al welfare così come lo intendiamo» e fare in modo che questo rappresentasse una seconda opportunità anziché uno stile di vita. Esattamente la svolta che la maggior parte di coloro che ne beneficiavano si aspettava. La maggioranza dei Democratici e dei Repubblicani erano desiderosi di approvare la legislazione sul welfare, trasferendo l’enfasi dalla dipendenza alla responsabilizzazione. Dal momento che avevo già concesso a quarantacinque Stati il permesso di istituire un proprio progetto di riforma, avevamo una certa idea di cosa avrebbe potuto funzionare. Ma restavano delle divergenze filosofiche da superare. I Repubblicani volevano obbligare a lavorare chi ne fosse fisicamente in grado, ma si opponevano all’idea di mantenere le garanzie statali – sotto forma di cibo e assistenza medica per i figli – e di investire a sufficienza nell’educazione, l’addestramento, i trasporti e l’assistenza all’infanzia necessari per mettere le persone in condizioni di svolgere delle occupazioni a basso reddito senza che questo danneggiasse i loro figli. Il ventidue agosto millenovecentonovantasei, dopo aver posto un veto a due proposte precedenti, firmai la riforma del welfare che divenne legge. BILL CLINTON ALL’EPOCA venni ampiamente criticato: dai liberali, secondo i quali i requisiti richiesti per lavorare erano troppo rigidi, e dai conservatori, che ritenevano troppo generosi gli incentivi dati a chi avesse lavorato. Alla fine, in segno di protesta, tre membri della mia amministrazione si dimisero. Fortunatamente una maggioranza di Democratici e Repubblicani votarono la legge, perché ritenevano non accettabile un sistema che aveva portato ad una dipendenza che si perpetuava di generazione in generazione. Gli ultimi dieci anni hanno dimostrato come noi riuscimmo – di fatto – a porre fine al welfare come lo conoscevamo, e ad offrire a milioni di americani la possibilità di ricominciare. Nell’ultimo decennio il numero degli iscritti alle liste del welfare è calato significativamente, passando dai 12,2 milioni del millenovecentonovantasei ai 4,5 milioni di oggi. Contemporaneamente, la quantità di richieste è scesa del cinquantaquattro per cento. Superando di gran lunga le previsioni degli esperti, il sessanta percento delle madri che hanno rinunciato al welfare hanno trovato un impiego. Con la “Associazione dal welfare all’impiego”, istituita dalla mia amministrazione per velocizzare il passaggio al mondo del lavoro, oltre ventimila imprese assunsero 1,1 milioni di ex- beneficiari dei sussidi sociali. La riforma del welfare si è dimostrata un grande successo, e sono riconoscente a quei Democratici e quei Repubblicani che hanno avuto il coraggio di lavorare insieme per compiere un passo tanto audace. Il successo della riforma del welfare è consolidato da altre iniziative anti- povertà, tra cui il raddoppio dei rimborsi fiscali sul reddito da lavoro nel millenovecentonovantatré per i lavoratori nella fascia di reddito più basso; il “Decreto sul pareggio di bilancio” del millenovecentonovantasette, che prevedeva tre miliardi di dollari per far accedere al mondo del lavoro chi da tempo riceveva sussidi sociali e quei padri che svolgevano un lavoro a basso reddito e non avevano la custodia dei propri figli; l’iniziativa “Accesso al lavoro” ha aiutato alcune comunità a creare dei servizi innovativi di trasporto che permettessero agli ex beneficiari del welfare e ad altri lavoratori a basso reddito di raggiungere i loro nuovi posti di lavoro; e il rimborso fiscale “Dal welfare al lavoro”, che ha dato incentivi fiscali per incoraggiare le imprese ad assumere chi da molto tempo riceveva sussidi sociali. Ho anche firmato la legge che rappresenta la più rigida imposizione della storia in materia di contributi dovuti dai genitori separati per il mantenimento dei figli, che ha portato ad un raddoppio del denaro versato; un aumento del minimo salariale nel millenovencentonovantasette, un raddoppio dei finanziamenti federali per la cura dell’infanzia – con cui abbiamo aiutato i genitori a prendersi cura di un milione e mezzo di bambini – nel millenovecentonovantotto, ed abbiamo quasi raddoppiato i finanziamenti alle iniziative Head Start. I risultati: nel duemila la povertà infantile era scesa al 16,2 percento: il tasso più basso dal millenovecentosettantanove; lo stesso anno, la percentuale di americani che percepivano sussidi sociali ha toccato il livello più basso in quarant’anni. Complessivamente, nel corso dei nostri otto anni, cento volte più persone sono passate dalla povertà alla classe media che nei precedenti dodici anni. Naturalmente, la fase espansiva dell’economia ha contribuito, ma le politiche di responsabilizzazione hanno determinato una sostanziale differenza. Dai principi che hanno animato la riforma del welfare possiamo trarre un grande insegnamento, soprattutto oggi, nel nostro mondo iper-partigiano, dove la maggioranza repubblicana al Congresso approva decreti senza neanche l’ombra di un atteggiamento bipartisan. In poche parole, la riforma del welfare ha funzionato perché vi abbiamo lavorato tutti insieme. La legge sul welfare del millenovecentonovantasei dimostra quanto sia possibile compiere quando entrambi i partiti contribuiscono ai negoziati con le loro migliori idee e si dedicano ad agire nell’interesse del paese. I recenti emendamenti alla riforma del welfare – iniziative quasi esclusivamente repubblicane – hanno ridotto la capacità degli Stati di ideare programmi propri. Inoltre, impediscono che le ore trascorse a costruirsi un’educazione vengano computate nell’ambito delle ore di lavoro settimanali. Dubito che sortiranno lo stesso l’impatto positivo ottenuto con la legislazione originale. Occorrerebbe riguardare le inadeguatezze dell’ultima riautorizzazione del welfare con stile bipartisan, concedendo agli Stati un margine di flessibilità nel calcolo del livello scolastico alla stregua di categoria di “lavoro”, e sforzandoci di aiutare le persone a raggiungere il livello di scolarizzazione a loro necessario e ottenere il lavoro che meritano. E forse, ancor più che di ulteriori riforme del welfare, avremmo bisogno di aumentare il minimo salariale, creare buone posizioni di lavoro impegnandoci in un futuro fatto di energia pulita e di implementare misure fiscali, o di altra natura, per sostenere le famiglie nel campo del lavoro e della crescita dei figli. Dieci anni fa, nessuno ottenne esattamente quanto aveva sperato. Pur accettando di scendere a compromessi al fine di raggiungere un accordo, non siamo mai venuti meno ai nostri principi e abbiamo approvato una legge che ha funzionato, superando la prova del tempo. Questo stile di governo, all’insegna della cooperazione, non è certo un segno di debolezza. È un indice di forza, profondamente radicato nella nostra Costituzione e nella nostra storia ed essenziale per il futuro migliore che tutti gli americani, Repubblicani e Democratici, meritano. (Bill Clinton, ex presidente degli Stati Uniti , dirige la Clinton Foundation) Traduzione di Marzia Porta _______________________________________________________ Libero 19 ago. ’06 IN FUNZIONE IL PRIMO RENE ARTIFICIALE PORTATILE E' l'unico apparecchio finora sperimentato in Europa. Il paziente lo indosserà come una cintura e potrà effettuare il ricambio del sangue anche rimanendo al suo posto di lavoro Una soluzione per i malati in dialisi: il rene artificiale portatile. Una cintura ultra sofisticata che, applicata alla vita, consentirebbe di svolgere le comuni attività quotidiane senza lo stress di dover recarsi in ospedale 3 volte alla settimana per circa 4 ore al giorno. La prima fase sperimentale, condotta presso l'ospedale San Bortolo di Vicenza, si è conclusa positivamente. Sei i pazienti coinvolti, ognuno dei quali ha indossato il rene artificiale portatile (battezzato "la cintura di Batman") per 6 ore: ognuno dei partecipanti al test ha dato prova di potere muoversi e lavorare agevolmente mentre il sangue veniva privato dei liquidi nocivi. COME FUNZIONA La sigla Wak sta per Whearable artificial kidney. Questo è il nome ufficiale del rene artificiale portatile. Gliel'hanno dato gli studiosi vicentini in collaborazione con un'equipe medica di Los Angeles guidata da Victor Gura. Da un punto di vista tecnico il rene artificiale corrisponde a un sistema di tre circuiti elettro idraulici da fissare come una cintura sopra al bacino. Funziona così. C'è un catetere predisposto per raccogliere il sangue proveniente dalla vena giugulare: quest'ultima corrispondente a un grosso vaso venoso che attraversa obliquamente la regione laterale del collo, dalla base cranica fino all'apertura superiore della cassa toracica dove confluisce con la vena succlavia. FRA 3 ANNI IN VENDITA Entra poi in azione una pompa. Il suo ruolo: quello di filtrare il sangue e liberarlo quindi dalle impurità. Ultima fase. Questo liquido viene raccolto in una sacca all'altezza della gamba. Mentre il sangue proveniente dalla giugulare viene trattato con l'eparina (un farmaco anticoagulante, estratto dal fegato e dal polmone di bue o dalla mucosa intestinale di suino). La sostanza, impedendo al liquido ematico di coagulare, permette infine allo strumento di reintrodurre senza rischi `il sangue nel circolo sanguigno. A parte il compito dei sénsori: quello di segnalare che tutto vada per il meglio. «Siamo solo all'inizio - spiega a Libero Claudio Ronco, direttore del Dipartimento di Nefrologia dell'ospedale San Bortolo di Vicenza - ma abbiamo tutte le carte in regola per migliorare, entro qualche anno, le condizioni di vita di tanti dializzati. Oggi abbiamo stabilito la fattibilità del progetto. Entro l'anno concluderemo i test definitivi sull'uomo». Ma quando si potrà finalmente contare sul rene artificiale indossabile? «Tra due o tre anni - continua Ronco -. Entro il 2009, diciamo, il rene potrà essere disponibile sul mercato. Entro 5 anni si giungerà a una ottimizzazione del prodotto. In dieci possiamo quindi seriamente sperare, affidandoci anche alle nanotecnologie e alla tecnologia spaziale, di sviluppare un rene addirittura "impiantabile", da inserire cioè direttamente nell'organismo umano, esattamente come accade per il pacemaker». Notevoli sono anche i risparmi economici che si prospettano, con l'applicazione ai nefropatici del rene artificiale portatile. In effetti, oggi i pazienti che si sottopongono a trattamento dialitico vengono a spendere dai 40 ai 50 mila euro all'anno. GIANLUCA GROSSI _______________________________________________________ Libero 19 ago. ’06 CON STAMINALI PRELEVATE DALLO STERNO PIORREA KO Imminente il primo intervento Al San Gerardo di Monza ORE Piorrea è il termine popolare che indica lo stato d'infiammazione cronica dei tessuti che circondano e sostengono i denti. Provoca dolore, arrossamento e gonfiore delle gengive. Se non curata, si conclude con la caduta totale dei denti. Soluzioni? Fino a oggi salo palliative. Ora però una nuova tecnica potrebbe risolvere completamente il problema. AL San Gerardo di Monza infatti si aspetta solo il via del Ministero della Salute per procedere alla terapia sistematica della paradontite cronica (questo il vero nome della piorrea) attraverso le cellule stamina li. AL progetto partecipano anche studiosi dell'università Milano-Bicocca, La Sapienza di Roma e l'università di Cagliari. Il primo passo sarà di isolare e estrarre tramite una siringa le cellule staminali adulte dallo sterno o dalla cresta iliaca (bacino) del paziente. Raccolte in misura sufficiente, le staminali vengono poi messe in un terreno di coltura. Qui si accrescono, si dividono e moltiplicano per essere poi iniettate direttamente nella bocca. In tale sede, per il processo noto in biologia come induzione, esse perdono la loro "indifferenziabilità" e si trasformano in tessuto osseo. Il traguardo è a questo punto vicino. L'osso lentamente si riforma, riprende spessore, finché non è di nuovo in grado di reggere denti e gengive. Un dato: nessun rischio di rigetto. Avendo a che fare con staminali autologhe (prelevate cioè dal paziente stesso) il problema non può sussistere. Prima di arrivare a questi risultati gli specialisti hanno testato, con successo, le staminali sui topi. Ora si spera di poter definitivamente dire stop a una malattia che solo in Italia riguarda il 60-70% degli over 50. Purtroppo, sono sempre più coinvolti dalla patologia anche giovani e giovanissimi. MARiO GALVANI _______________________________________________________ Libero 20 ago. ’06 IPERTERMIA: FLUSSO MAGNETICO E CALORE METTONO IL CANCRO KO Nuova frontiera dell'oncologia. La nuova frontiera dell'oncologia è la cosiddetta ipertermia. Con questo termine si indica una speciale cura per i tumori che sfrutta il calore. Due piastre metalliche vengono poste a contatto con la pelle del paziente. Di solito una sulla schiena e l'altra all'altezza del torace. Dalle due piastre si sviluppa un flusso magnetico che provoca un innalzamento della temperatura dell'organo interessato dalla malattia. IL trattamento dura circa un'ora, finché la temperatura dell'organo raggiunge i 43 gradi. Le onde elettromagnetiche utilizzate sono di solito quelle comprese nell'intervallo di frequenze che va dalle microonde alle onde corte, sino alle onde lunghe. Attualmente si usa principalmente la frequenza di 13,56 MHz. Molteplici sono i vantaggi della cura. Primo. Il tumore rallenta la sua crescita. Il calore eccessivo interferisce infatti con la mitosi (la divisione cellulare), impedendo quindi al tumore di accrescersi rapidamente. Secondo. L'innalzamento della temperatura corporea sollecita il sistema immunitario, che di solito in chi è colpito da neoplasia è fortemente compromesso da pratiche terapeutiche quali la radioterapia e la chemioterapia. Terzo. È possibile affiancare l'ipertermia a qualunque altra cura senza avere effetti collaterali. Non è quindi una terapia sostitutiva di altre e può, per esempio, convivere con la tradizionale chemioterapia. L'interesse per l'ipertermia è andato dunque crescendo, in questi ultimi anni, soprattutto in oncologia: è stato infatti dimostrato che i farmaci comunemente usati nella cura dei tumori possono avere una maggiore efficacia a parità di dose, oppure conservare la stessa efficacia con dosi inferiori, se somministrati in associazione alle pratiche ipertermiche. In tal caso è quindi del tutto lecito pensare a chemioterapie meno invasive, i cui effetti collaterali, dalla perdita di capelli alla nausea, risulterebbero più contenuti. La sperimentazione clinica e l'avvio dei primi studi clinici randomizzati hanno portato alla formazione, in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone di società di ipertermia affiliate alle organizzazioni per la ricerca ed il trattamento del cancro. Per chi interessato alla ipertermia esiste a Roma un centro di ipertermia che tratta tutte le parti del corpo possibili. È il Centro di Ipertermia Oncologica in Roma. Altri ospedali che usano oggi l'ipertermia e la radioterapia in Italia: Agropoli (SA), Oncologia dell'Ospedale Civile di Acropoli; l'Ospedale di Avellino, Reparto Unità fegato. - GIANLUCA GROSSI _______________________________________________________ Panorama 31 ago. ’06 II MEDICO DI FAMIGLIA CAMBIA PELLE MEDICINA DI BASE UN CONVEGNO MONDIALE A FIRENZE II dottore della mutua? Uno stereotipo sorpassato. Il suo nuovo ruolo è quello di uno specialista «trasversale», che alle sfide lanciate dal ministro Livia Turco risponde alzando il tiro. • di CHIARA PALMERINI e FABIO TURONE P er una volta anche il medico di famiglia potrà dire di «essere via per un congresso», come spesso fanno altri specialisti. Sarà il fascino turistico della città, ma Firenze, dal 27 al 30 agosto, attirerà da 53 paesi del mondo più di 3 mila clinici per il primo congresso italiano dell'Organizzazione mondiale dei medici di famiglia (Wonca), il più grande finora realizzato, dal titolo «Verso un Rinascimento medico. Costruire un ponte tra la biologia e le scienze umane». La rappresentanza italiana, con circa 150 presenze e 240lavori scientifici, non è tra le più numerose, ma è composta da professionisti determinati a rivendicare per il loro lavoro, che spesso si svolge senza i lustrini di altri settori della medicina, un ruolo fondamentale. Maggiore attenzione rispetto al passato l'ha promessa il ministro della Salute Livia Turco, invitata a intervenire al congresso. In un'intervista nel numero scorso di Panorama, Turco ha dichiarato di voler investire, a partire dall'autunno, proprio sui medici di famiglia. Ai diretti interessati la cosa fa piacere. «Siamo contenti» dice Massimo Tombesi, generalista a Macerata e presidente del congresso, «se qualcuno si decide a considerarci una risorsa del Sistema sanitario nazionale e non, com'è stato finora, una sorta di tappabuchi per contenere la richiesta pressante e i costi di assistenza sanitaria da parte della popolazione». I medici di famiglia italiani sono 47 mila e svolgono circa 300 milioni di visite l'anno. Una mole di lavoro consistente. E decisiva, perché nella visita si determinano quelli che saranno i passi terapeutici successivi. Nonostante ciò, la medicina generale è una cenerentola rispetto ad altri settori della nostra assistenza sanitaria, dominata da una visione «ospedalocentrica», come la definisce Mario Falconi, segretario nazionale della Fimmg, il principale sindacato della categoria. La mancanza di un ruolo e di una identità precisa per la medicina generale è causa di disagio in molti paesi. In Italia il malessere ha cause tutte sue. I vecchi «medici della mutua» rivendicano una qualifica di specialisti a tutti gli effetti. «Uno specialista trasversale, che affronta le malattie a fianco degli altri medici, le segue nel tempo ed è capace di valutarle nel contesto psicologico, sociale e culturale» spiega Tombesi. «Le conoscenze scientifiche sono fondamentali ma non bastano: occorre anche attenzione al paziente e a come vede le cose». Una delle proposte su cui si dibatte, e che anche il ministro della Salute sembra considerare tra le ipotesi di miglioramento, è creare studi associati di medici di famiglia, magari con varie specialità e con qualche macchinario per gli esami più semplici, per garantire la reperibilità 12 o addirittura 24 ore al giorno. «Proposta positiva, ma quello che noi chiediamo è di sederci a un tavolo e fare presenti le vere difficoltà, cosa che non è mai avvenuta » osserva Falconi. «Tutto va bene» aggiunge Tombesi «purché risponda a una reale esigenza di salute e non a una mera comodità: per le emergenze, che noi non siamo preparati né attrezzati per gestire, c'è il pronto soccorso, per quelle che non sono emergenze si può aspettare l'apertura dello studio. L'associazionismo, poi, è già una realtà, solo che mancano la normativa e le risorse per farlo funzionare. Quanto al computer, di cui il ministro dice che dobbiamo dotarci, lo usiamo molto più noi che specialisti e ospedali. E per numero di visite a domicilio siamo i primi al mondo. Forse Turco deve aggiornare le sue informazioni. Il nostro problema è il tempo consumato da burocrazia e compiti impropri, e sottratto ai pazienti». Molto è già cambiato. Secondo lo stereotipo, il medico della mutua era uno specialista mancato. Invece, una recente indagine del Censis evidenzia che tre italiani su quattro sono soddisfatti del proprio medico, che definiscono «bravo» od «ottimo»; solo per sette su cento è insufficiente. «Rispetto ad altri paesi, la medicina generale italiana è stata abbastanza produttiva nel campo della ricerca, ma meno aperta al confronto con i colleghi stranieri» dice Vittorio Caimi, medico a Monza e membro del comitato scientifico del congresso. «Questa è forse una delle ragioni della limitata partecipazione italiana, oltre agli ostacoli legati alla lingua (inglese), e al costo dell'iscrizione». Già, perché il medico di famiglia da sempre deve pagare di tasca propria le spese di aggiornamento: solo da poco il nuovo Testo unico sui farmaci permette ai professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale di ricevere finanziamenti dalle aziende farmaceutiche per partecipare ai congressi internazionali, come è consentito agli specialisti dell'ospedale. È solo una tra le varie novità degli ultimi anni. Oggi, tra l'altro, il medico di medicina generale per esercitare deve completare un corso di specializzazione di tre anni dopo la laurea. In più, è coinvolto nella valutazione di tutti i giovani che devono accedere alla professione. «Purtroppo, spesso i neolaureati arrivano impreparati al tirocinio valutativo nello studio del medico di famiglia, perché nella maggioranza delle università non si insegna quasi nulla sulla specificità della medicina generale» dice Caimi, da qualche anno professore a contratto di medicina generale all'Università di Milano Bicocca. Le autorità sanitarie pretendono sempre più che il medico di medicina generale si sforzi di contenere la spesa, ma ci sono altri fattori che possono suggerire di rinviare o evitare cure o esami di dubbia utilità. Non a caso all'estero è stata coniata per il generalista la definizione di «gate keeper» (guardiano del cancello), che ha il compito di dire l'ultima parola su ciò che i vari specialisti prescrivono, sulla base della migliore conoscenza dei malato, della sua storia clinica e della sua situazione familiare e sociale. «Ciò che il paziente racconta al proprio medico deve essere valutato sullo stesso piano di un esame dei sangue o una tac» esemplifica Tombesi. «E può essere altrettanto importante per giungere a una diagnosi. Senza contare il fatto che per essere davvero efficaci gli interventi del medico devono essere condivisi dall'interessato». Da qui il tema centrale del congresso, «costruire un ponte tra la biologia e le scienze umane»: «Non si tratta di tornare al passato, quando le qualità umane erano una delle poche risorse del medico» conclude Tombesi. «Ma di applicare le conoscenze scientifiche prestando attenzione agli elementi finora trascurati. Cultura e comportamento fanno parte della biologia umana». _______________________________________________________ Italia Oggi 26 ago. ’06 SPERIMENTAZIONI COMITATI ETICI, TUTTI I REQUISITI DA RISPETTARE DI SARA MONETA CAGLIO I comitati etici devono rispettare precisi requisiti per quanto riguarda la sperimentazione clinica dei farmaci. Ossia, sono chiamati a garantire non solo la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione. Ma, devono anche fornire pubblica garanzia di tale tutela. È approdato in Gazzetta Ufficiale (n. 194 del 22 agosto scorso) il decreto 12/5/ 2006 del ministero della salute con tutte le indicazioni e i requisiti minimi per la loro istituzione, organizzazione e funzionamento. Nello specifico, il provvedimento, che consta di 14 articoli, elenca la disciplina relativa alla composizione, all'indipendenza e all'organizzazione dei comitati etici. Che potranno essere istituiti nel~ l'ambito di una o più strutture sanitarie pubbliche o a esse equiparate, o anche negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privati, conformemente alla disciplina regionale o delle province autonome in materia. Possono svolgere una funzione consultiva in relazione a questioni etiche connesse con le attività scientifiche e assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona umana. _______________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 05-08-2005 SISTEMA D'ALLARME PER CHIRURGHI DISTRATTI Presto i ferri del chirurgo saranno dotati di un piccolo congegno in grado di segnalarne lo «smarrimento» nel corpo del paziente. Nel corso di un'operazione chirurgica vengono utilizzati decine di strumenti - pinze, forbici, tamponi - e ogni 10 mila interventi almeno un oggetto - spesso la garza - non viene recuperato a fine operazione. A volte l’«oggetto smarrito» non dà alcun disturbo al paziente e viene scoperto casualmente dopo un esame per altri motivi, altre volte causa complicazioni così gravi da rendere necessario un altro intervento per rimuoverlo. Il sistema, messo a punto dalla Stanford University, consiste in un segnalatore radio e in uno scanner: prima che il chirurgo esegua le procedure conclusive, viene passato lo scanner sopra la ferita per rilevare il segnale radio. Il sistema funziona: durante esperimenti di prova nessuna delle garze nascoste appositamente dal medico è sfuggita al controllo. ______________________________________________________ L’UNIONE SARDA 22 ago. ’06 ALZHEIMER E RICCI DI MARE Lo studio delle cause dell'Alzheimer fa registrare importanti passi avanti grazie al dialogo tra diverse discipline. Descritta per la prima volta nel novembre del 1906 dal neuropatologo tedesco Alois Alzheimer, questa malattia, considerata una delle maggiori emergenze sociali degli ultimi decenni, è all'origine di oltre la metà delle demenze senili. La sua azione neurodegenerativa è causata principalmente da placche che distruggono i neuroni. Si sapeva che queste placche sono costituite da fibrille, a loro volta generate dagli oligomeri, aggregati di proteine beta-arni loidi (A), ovvero prodotti di scarto del metabolismo cellulare, generalmente eliminati dall'organismo. Neurologica. Ma il 3 luglio la rivista internazionale Faseb Journal Express ha pubblicato uno studio italiano, secondo il quale i responsabili dell’Alzheirner non sarebbero le fibrille che la proteina A forma sui neuroni, bensì gli oligomeri stessi. Dunque la causa della malattia sarebbe da ricercare in un'iper produzione della proteina. La nuova interpretazione della degenerazione cerebrale indotta dal morbo di Alzheirner può finalmente essere compresa con un livello di dettaglio mai raggiunto prima. La scoperta è avvenuta al CNR di Palermo grazie alla collaborazione tra medici, biologi e fisici degli istituti di Biofisica (Ibf) e di Biomedicina e Immunologia Molecolare (Ibirn). E il campione biologico (scelto perché le sua struttura cellulare è simile, relativamente alla biochimica molecolare dei suoi costituenti, a quella dei mammiferi) era un embrione di riccio di mare. I ricercatori, coordinati da Pier Luigi San Biagio (Ibf) e Marta Di Carlo (Ibim), hanno analizzato embrioni trattati con oligomeri, attraverso l'impiego di tecniche spettroscopiche e di scattering di luce (tipiche dei laboratori di fisica). Secondo lo studio l'aggregazione in fibrille non sarebbe altro che un meccanismo di difesa dagli oligomeri. Ora è necessario individuare le cause dell'iperproduzione di beta arniloide nel riccio per capire come contrastarla. In proiezione futura si pensa alla ricerca di sostanze capaci di rallentare la formazione delle fibrille e quindi di aggredire l’Alzheimer alla radice. ANDREA MAMELI _____________________________________________ L’Unione Sarda 23 ago. 06 INFLUENZA AVIARIA, L'ALLARME È CESSATO Il virus un anno dopo. Il virologo La Colla spiega come prevenire pericoli. Pronte migliaia di dosi di antinfluenzale «Niente emergenza, ma in autunno è meglio vaccinarsi» «Il mondo scientifico lavora per essere pronto a produrre un vaccino in tempi brevi». Il consiglio: «Disinfettare le uova, nel caso fossero sporche, con ipoclorito di sodio prima di sistemarle in frigo». L'allarme era già alto a febbraio quando in Germania morì un gatto. La paura latente da mesi diventò incubo: il virus, si pensò, sta mutando, può attaccare l'uomo. La psicosi dell'influenza aviaria, per quanto ingiustificata, assunse proporzioni apocalittiche nonostante, in tre anni, i morti siano stati solo 140 e per di più concentrati in zone dell'Asia, dalla Thailandia all'India, dove l'igiene è un optional poco diffuso. «Il virus si trasmette dall'animale all'uomo», si diceva. I consumatori smisero di acquistare carne di pollo, ai centralini delle Asl arrivavano decine di segnalazioni ogni giorno di uccelli morti, nonostante del virus nell'isola non ci fosse traccia. Gli allevatori e i venditori di carne bianca, colpiti duro dal calo dei consumi, accusarono i media di creare il panico. Alimentato dal fatto che il ministero della salute, mesi prima, avesse fatto uno sforzo senza precedenti per la prevenzione, acquistando e distribuendo nel Paese 36 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale. Allarme cessato. Ora l'allarme è cessato, come era giusto che fosse. Era ingiustificato prima, lo è ora. Ma Paolo La Colla, virologo dell'Università di Cagliari, personalità di spicco nel mondo scientifico internazionale, invita comunque a vaccinarsi per tempo contro l'influenza. Non perché la pandemia sia alle porte o il vaccino protegga dall'aviaria visto che, ricorda, «non è possibile produrre un vaccino fino a che non si isola il virus, e il virus, non essendo mutato, non può essere isolato». C'è un'altra ragione: «Per quanto il rischio sia lontano e numericamente limitato, l'Italia sta facendo di tutto per evitare che il virus H5N1 possa adattarsi all'uomo. E siccome il virus, per mutare, deve combinarsi con quello animale, più persone si vaccinano minore è la quantità di virus in circolazione che possono ricombinarsi dando origine a una pandemia. Dunque, vaccinando uomini e animali si riducono le probabilità che un virus aviario infetti l'uomo». Infatti anche per polli e tacchini sono stati prodotti 20 milioni di vaccini. 700 mila dosi di vaccino. In Sardegna di quei 36 milioni di dosi ne sono arrivate 700 mila. Meno della metà sono state utilizzate, le altre sono a disposizione. «Grazie allo sforzo del ministero, siamo tra i più protetti al mondo», spiega La Colla. Il senso dello sforzo è evitare che il virus aviario possa, adattandosi all'uomo, essere capace di moltiplicarsi nella specie umana e generare epidemie come la Hong Kong nel '68 (un milione di morti), l'Asiatica del '57 (due milioni) e, ancora prima, la più temibile Spagnola, che nel 1918 fece tra 20 e 100 milioni di vittime. «Due anni fa scoprirono che quello della spagnola era un virus aviario che si era adattato all'uomo dopo aver subito una serie di mutazioni. L'evento fu eccezionale perché unendo le mutazioni avvenute a carico di un gene a quelle degli altri si formò un'arma micidiale in grado di moltiplicarsi nell'uomo e di dare luogo a infezioni gravi e letali». Lo sforzo senza precedenti. Ecco perché l'influenza aviaria dal 2004 in poi stata sorvegliata come non mai, nonostante abbia contagiato in paesi lontani 240 persone e causato solo 140 morti, «mentre ogni anno a causa delle conseguenze dell'influenza umana ci sono centinaia di migliaia di vittime». Ecco perché sono state investite enormi risorse nella profilassi e nell'acquisizione dei farmaci per prevenire l'infezione nell'uomo. «Ciò che abbiamo fatto in questi anni è stato continuare a lavorare per migliorare la nostra capacità di produrre un vaccino efficace nel tempo più breve possibile». I farmaci antivirali. C'è un altra possibilità di intervento: i farmaci antivirali. Ne sono stati prodotti 6 milioni di cicli, anche in questo caso con un investimento importante: 100 milioni di euro, 50 garantiti dallo Stato, 50 dalle Regioni. «Si tratta del Tami Flu e del Relenza, due farmaci attivi sul virus influenzale umano e aviario, la cui importanza nell'ambito delle iniziative di profilassi contro l'influenza, giustifica gli enormi sforzi economici compiuti». «Disinfettate le uova». La Colla dà un altro consiglio utile per la prevenzione. «Considerato che le feci dei volatili sono un veicolo di contagio, è utile disinfettare le uova, nel caso fossero sporche, con ipoclorito di sodio (tipo Amuchina o Phymeclor) prima di sistemarle in frigo». Fabio Manca _____________________________________________ La Nuova Sardegna 23 ago. 06 MANOVRE SALVAVITA PER SOCCORRITORI UN CORSO DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA Progetto aperto di università, prefettura e questura CAGLIARI. «La sicurezza nel soccorso» è il tema del progetto formativo che ieri è stato esaminato in una riunione tra il prefetto e i rappresentanti della facoltà di Medicina. Nel corso della riunione cui hanno partecipato delegati delle forse dell’ordine e di vari comuni, il preside di Medicina Gavino Faa e il direttore della cattedra di anestesia Gabriele Finco hanno illustrato il progetto formativo che si pone l’intento di promuovere l’apprendimento, l’applicazione e l’approfondimento delle tecniche di primo soccorso sanitario in un contesto divulgativo «volto ad assicurare nel territorio una presenza significativa di soccorritori occasioni in grado di eseguire tecniche corrette di sostegno vitale». Nella nota diramata dalla prefettura si spiega come il progetto sia fortemente «ancorato alla realtà per rendere un servizio più efficace ed efficiente alla popolazione, è indirizzato principalmente al personale operativo delle forze dell’ordine e delle amministrazioni comunali che svolge servizio su strada. Sono, infatti, questi - si spiega nella nota - gli operatori che sovente intervengono per primi in occasione di incidenti o nei casi in cui è necessario prestare i soccorsi di prima necessità. Pertanto, la conoscenza delle tecniche di primo soccorso può essere decisiva per la salvaguardia della vita umana. E’ esperienza comune, infatti, che un intervento poco corretto determina l’aggravamento del danno in chi necessita del soccorso - si spiega ancora -, cosicché risulta essenziale che colui che ha il primo contatto con le persone bisognose di soccorso debba conoscere le tecniche salvavita immediate». _____________________________________________ Corriere della Sera 13 ago. 06 SCOPERTO L' INGANNO DELLA MALARIA Ricerca «Fotografata» una fase cruciale dell' infezione Il parassita si «camuffa» per sfuggire al nostro sistema immunitario In questo periodo di vacanze chi è in partenza per Paesi esotici è spesso alle prese con la profilassi antimalarica, lunga e impegnativa per l' organismo e che, per di più, pur riducendo considerevolmente il rischio di contrarre l' infezione, non è in grado di garantire una completa sicurezza contro il contagio. Per questo dovremo attendere un vaccino che è allo studio da anni. Il fatto è che la malaria, vero flagello dell' Africa SubSahariana è, da centinaia d' anni, abituata a imbrogliare il nostro sistema immunitario, che reagisce all' attacco infettivo in maniera inefficace. Ora, però, grazie a moderne tecniche di "imaging", i ricercatori sembrano aver scoperto uno dei trucchi che il parassita della malaria usa per ingannare l' organismo, e non venire scoperto, proprio in uno dei momenti più cruciali del suo ciclo di sviluppo (vedi disegno). Robert Ménard dell' Howard Medical Institutes negli Usa e Roger Amino dell' Istituto Pasteur di Parigi hanno, infatti, filmato il parassita della malaria nel momento in cui, dopo aver infettato le cellule del fegato, attacca quelle del sangue. Il parassita studiato, il Plasmodium falciparum (responsabile della forma più grave di malaria, che può anche causare la morte) si serve di quello che Ménard definisce «un cavallo di Troia». Il meccanismo è degno di una spy-story. Il plasmodio ha un ciclo vitale complesso: dalla saliva della zanzara anofele si trasferisce nel sangue umano e da lì raggiunge il fegato dove infetta e uccide le cellule epatiche. Dopo di che ritorna nel flusso ematico dove infetta e distrugge i globuli rossi. Ed è in questo momento che si manifestano i sintomi classici: febbre alta e brividi. «Finora - spiega Francesco Castelli, direttore della Scuola di specializzazione in Medicina tropicale dell' Università di Brescia - si è ritenuto che la forma del parassita capace di infettare i globuli rossi nel sangue - in termini tecnici: merozoite - fosse semplicemente rilasciato dalle cellule del fegato che la inviavano libero nel torrente sanguigno dopo la loro morte. «Non era tuttavia facile comprendere perché i merozoiti liberi non cadessero facile preda delle difese immunitarie». Ora il mistero è stato chiarito. Si è infatti visto, affermano Amino e Ménard, che sulle cellule del fegato (in questo caso, il fegato di un ratto appositamente infettato) si formano delle minuscole protrusioni (chiamate merosomi) che catturano il plasmodio e lo nascondono, creandogli attorno una specie di "velo" che lo rende invisibile al sistema immunitario. Non solo. L' astuto plasmodio è anche in grado di silenziare quel sistema automatico di difesa dell' organismo che porta a spazzare via le cellule morte come sarebbero quelle del fegato. Come il parassita convinca il fegato a formare questi merosomi e come questa struttura di copertura sparisca una volta che il plasmodio nel sangue è ancora da chiarire. Ma per la prima volta delle immagini prese in tempo reale dall' animale da esperimento (vedi disegno) (di)mostrano l' esistenza di questo meccanismo di "camouflage". Se, dicono Amino e Ménard, riuscissimo ad interferire con questo astuto meccanismo impediremmo al plasmodio di tornare nel flusso ematico dove fa i danni più gravi. Ma da questo a parlare di vaccino per la malaria, sfruttando questa scoperta, il passo è ancora lungo. Daniela Natali _____________________________________________ Corriere della Sera 15 ago. 06 NEI GENI DEGLI EUROPEI IL SEGRETO ANTI-AIDS Sono i sieropositivi che vivono di più. Mappa del Dna per nuove cure DAL NOSTRO INVIATO TORONTO - E' una specie di «condom genetico»: è una mutazione del Dna che protegge dal virus dell' Aids. Ron Rosenes, 59 anni, canadese, gay e attivista nel comitato locale che ha collaborato all' organizzazione della XVI conferenza mondiale sull' Aids in corso a Toronto, ce l' ha: l' ha ereditata dai suoi antenati europei, ebrei askenaziti, e da 25 anni sopravvive con il virus. Nel frattempo ha visto morire moltissimi suoi amici, il partner con cui conviveva e un cugino stretto. Da tempo i ricercatori sono alla caccia delle resistenze naturali al virus; qualcuna, come quella di Rosenes, l' hanno già identificata e ora lanciano l' idea di costruire una mappa genetica dei sieropositivi per capire come mai gli europei, in genere, sono meno vulnerabili al virus rispetto agli africani, a prescindere dai pur importanti fattori socio- economici, come la ricchezza o una migliore educazione sanitaria. La mutazione che assicura a Rosenes una protezione contro l' Hiv riguarda il gene Ccr5 e si chiama delta 32: grazie a questa il virus trova più difficoltà a entrare nelle cellule del sistema immunitario (i linfociti T) e a distruggerle. In Europa e in Asia occidentale la diffusione di questa variante «protettiva» nella popolazione arriva al 10-15 per cento e si riduce andando da Nord a Sud dove tocca il quattro per cento: in Danimarca è al massimo, in Corsica al minimo. In Africa è al superminimo, come pure nei Carabi, dove sono arrivati gli schiavi africani, nel Sudest asiatico e fra i nativi americani. Questa «geografia genetica» corrisponde, in maniera inversamente proporzionale, alla diffusione dell' Aids. La malattia, nell' Africa subsahariana è 400 volte più frequente che in Scandinavia e in Canada fa molte più vittime fra gli Inuit (come si chiamano oggi gli Esquimesi) che fra i discendenti degli europei. L' americano Montgomery Slatkin, genetista all' università di Berkeley, avanza anche un' ipotesi per spiegare l' elevata diffusione in Europa di questa variante: probabilmente rappresentava una difesa anche contro le grandi epidemie del passato, come quelle di peste bubbonica, di tifo e, soprattutto, di vaiolo che non ha mai raggiunto l' Africa sub-sahariana. La variante delta 32 non è l' unica a proteggere dall' Hiv. E' stata identificata anche un' altra mutazione (si chiama in sigla Ccl3l1) di un gene che serve per produrre chemiochine, sostanze che controllano il sistema immunitario: chi ha più copie del gene, si difende meglio dal virus, chi ne ha poche si infetta di più e ha una malattia più grave. Da qui l' idea, lanciata da un consorzio internazionale di università, il Chavi (Center for Hiv/Aids vaccine immunology), di studiare il genoma di almeno 600 sieropositivi di razza caucasica (europei e australiani) e, successivamente, un gruppo di africani o di loro discendenti così da confrontare le caratteristiche del loro Dna con una «mappa genetica dei sieropositivi protetti» che farà da riferimento, chiamata mappa degli aplotipi. Questa mappa è già a disposizione dei ricercatori e ha permesso di schedare le differenze genetiche che rendono gli uomini tutti diversi fra loro, anche nei confronti delle malattie. «Queste ricerche - ha commentato il canadese Mark Wainberg della McGill university di Montreal che è anche co-presidente della conferenza - ci permetteranno di studiare nuovi bersagli per i farmaci (è già in sperimentazione un composto contro la proteina prodotta dal gene Ccr5) e per i vaccini. Non devono però costituire un alibi, per chi ha una genetica favorevole, per adottare comportamenti a rischio». LA PROTEZIONE NATURALE Ron Rosenes, omosessuale canadese, è sieropositivo da 25 anni. Il suo è il caso più evidente di «resistenza genetica» all' Aids. Non è una vera immunità, ma una forma di protezione naturale superiore a quella farmacologica IL CONDOM GENETICO La mutazione che protegge il corpo dall' Aids riguarda una proteina della superficie delle cellule immunitarie dell' uomo (i linfociti T), e si chiama Ccr5: è la porta d' ingresso del virus nella cellula La mutazione agisce come un condom genetico LA MAPPA GEOGRAFICA Gli europei sono particolarmente protetti da questa mutazione (soprattutto i danesi, meno i corsi: la protezione si perde andando verso Sud). Nel mondo le aree meno protette sono il Sub Sahara, i Caraibi e il Sud Est asiatico