COME SI UMILIA LA RICERCA ITALIANA - MUSSI: «L'UNIVERSITÀ? È UN BORDELLO - RICERCA, LA VIA VIRTUOSA DEL MODELLO FRANCESE - È LA CONOSCENZA CHE CI FA EUROPEI - I RAGAZZI SENZA UNIVERSITÀ - RECORD NEGLI ATENEI: DUEMILA I MASTER - STUDI GONFIATI E FALSE SCOPERTE - USA, L' UNIVERSITÀ PUBBLICA BATTE HARVARD E YALE - SCUOLA ED E-LEARNING: IL PARADISO NON PUÒ PIÙ ATTENDERE - L’OCSE BOCCIA LA SCUOLA ITALIANA - FUGA DALL'UNIVERSITÀ NUORESE - MEDICINA STUDENTI IMPREPARATI, QUIZ DISASTROSI - MA NON SIAMO UN POPOLO DI ASINI - MANCANO INIZIATIVE PER L’ORIENTAMENTO- SÌ, ASINI STUDENTI E PROF - SCUOLA SARDA BOCCIATA: ULTIMA IN ITALIA - TUTTO CAMBIA, MISTRETTA RIMANE - ======================================================= I SOLDI DEGLI ATENEI PER LA SANITÀ - FAA: SELEZIONE MIGLIORE E PIÙ MATRICOLE - CAGLIARI: PLATONE DÀ UNA MANO A IPPOCRATE - ARTE SCIENZA FILOSOFIA: NOVE ANTIPASTI PER LA NOSTRA MENTE - IL TEST PER MEDICINA DI SASSARI DEVE ESSERE ANNULLATO - GIULIO ROSATI: «STOP AI TAGLI ALLA SANITÀ- NO AI TAGLI ALLE SPECIALIZZAZIONI IN MEDICINA - STOP EQUIPOLLENZA FISIOTERAPIA E SCIENZE MOTORIE - IL FARMACISTA È PIÙ RARO DEL MEDICINALE DA BANCO - BARCELLONA VALORIZZA L'IMPIEGO DEGLI STENT METALLICI - MEDICI SARDI IN AGITAZIONE CONTRO LA DIRINDIN - SÌ ALLA MERITOCRAZIA PER LA SALUTE - CURE ALL’ESTERO, LA CAMPANIA SPENDE PIÙ DI TUTTI - CALABRIA, PIÙ ASSISTITI CHE ABITANTI - IL RICCIO DI MARE SVELA I SEGRETI DELL'ALZHEIMER - RISONANZA MAGNETICA LOW COST - TRAPANO ADDIO, CONTRO LA CARIE ARRIVA L’«AGO DI PLASMA» - EPATITE C, IL 3% DEGLI ITALIANI È ENTRATO IN CONTATTO CON IL VIRUS. - I GIOVANI? CONDANNATI ALLA SORDITÀ CON TRENT'ANNI DI ANTICIPO - LA MARIJUANA COME LA PENICILLINA - INTIMITA’ SENZA DISAGI - EPATITE C: GUERRA AL VIRUS SILENZIOSO - CHIRURGIA: È SEMPRE MEGLIO CONSERVARE IL RENE - IN CROAZIA O IN ROMANIA PER RIFARSI LA DENTIERA - CURE DENTARIE, È VERA EMERGENZA - ======================================================= __________________________________________________ Il Sole24Ore 24 sett. 06 COME SI UMILIA LA RICERCA ITALIANA di Sylvie Coyaud Si è visto alla presentazione romana di Una dote per il merito: il ministro Mussi è d'accordo con le analisi sui guai della ricerca italiana e con molti dei rimedi che il libro propone. Pensa, come Giovanni Tognonnella sua introduzione, che «quella del merito sia una cultura trasversale che non si alimenta soltanto di correttezza e di rigore... ma anche di cultura politica... Ha bisogno di un contesto istituzionale che garantisca e promuova il merito e di leadership credibili che guidino la società verso la creazione di quel contesto». «Le prospettive non potrebbero essere più nere», scrivono gli autori, perché oggi prevale il demerito. Invocano d'urgenza incoraggiamenti ai giovani, valutazioni severe e indipendenti, rispetto della qualità e delle re gole, trasparenza delle procedure, fine dell'impunità per gli incompetenti; agenzie autonome per certificare i corsi e altre misure sensate. Bisogna ribellarsi all'uinvadenza del potere clientelare» (Giorgio Parisi), chiamare stranieri a dirigere enti importanti, se sono più capaci (Giovanni Bignami); far rientrare e valorizzare i cervelli (Alessandro Schiesaro, Jacopo Meldolesi); «liberare la professione accademica» dai meccanismi di promozione e dalle gabbie salariali della funzione pubblica (Giliberto Capanno). Solo così sarà possibile sottrarre la ricerca alle interferenze dei politici, eliminarne gli immeritevoli e i baroni che considerano la promozione di una mediocrità un diritto irrinunciabile, la misura del proprio potere. Certo, ma dov'è la Giovanna d'Arco che rischierà il rogo pur di buttar fuori gli abusivi dagli atenei e dai centri di ricerca? Nei Paesi anglosassoni le "Community Foundations" distribuiscono borse con efficacia e saggezza, e Franco Mosconi e Francesco Clementi ne ritengono il modello esportabile in Italia. Certo, ma da cent'anni ha successo altrove e qui non è ancora attecchito? Giovanni Salvatori auspica il coinvolgimento delle Regioni nella politica e nella "governance" della ricerca. Certo, ma non sanno governare nemmeno i fondi europei per la formazione e approvano centinaia di corsi scriteriati. Per gli autori è indubbio che la ricerca di base generi sviluppo economico purché si educhi la forza lavoro e si trasferiscano le conoscenze alla sfera produttiva. È dubbio che la sfera sia adatta, finora l'industria ha puntato sull'innovazione solo se riceveva apposite sovvenzioni da Stato o Regioni, e troppe start-up nate con fondi pubblici sono svendute ad aziende straniere che le vendono con profitto a qualche multinazionale che le chiude. Com'è appena accaduto alla Vicuron di Gerenzano. La settimana prossima, al congresso della Federazione italiana per le scienze della vita, a Riva del Garda il suo presidente Jacopo Meldolesi proporrà di creare un singolo istituto per i vari rami della biologia, simile a quello per la fisica nucleare (Infn), per la fisica della materia (Infm) e per l'astrofisica (Inaf). Se il primo sé la cava, il secondo in vita per un pelo e il terzo dilaniato da risse interne non paiono buone fonti di ispirazione. Nel suo progetto, ragionevole e lungimirante, Meldolesi prevede consulenze a "biotech companies" e rapporti con l'industria, come in questo libro. Vicuron non docet. Prevede anche collaborazioni con l'Istituto italiano di tecnologia di Genova. Tuttavia i criteri di merito praticati da quest'ultimo sono tuttora ignoti: solo il bilancio aoo6 rivelerà quanto spende in dirigenti, e quanto in giovani ricercatori: Oggi. gli scienziati lamentano che il loro ministro abbia fatto poco per garantire la cultura del merito dandole un "contesto istituzionale" e "leadership credibili". D'altronde, con la coalizione di governo che si ritrova..: Mettiamo che alla presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche chiami il fisico Luciano Maiani. Siccome l'ex direttore generale del Cern di Ginevra è "vicino" ai Democratici di sinistra, la Margherita esige un proprio "Acino" a capo dell'Agenzia spaziale italiana. Non l’astrofisico Giovanni Bignami, per esempio, che dirige il Centre national des études spatiales di Tolosa, presiede il comitato scientifico dell'Agenzia spaziale europea e intrattiene ottimi rapporti con quella americana, ma ha la "vicinanza" sbagliata. Troppa familiarità con il presidente Jacques Chirac, si presume, che gli ha appena conferito la Legion d'onore. ______________________________________________ l’Unità 20-09-2005 MUSSI: «L'UNIVERSITÀ? È UN BORDELLO» Dal palco di Confindustria attacco del ministro alle baronie: «C'è un sistema di governo degli atenei che va cambiato: serve una rivoluzione che metta mano al vertice, faremo tutto in un anno» di Massimo Franchi /Roma SCEGLIE UN CONVEGNO di confindustria il ministro Mussi. Lì, di fronte agli industriali che lo chiamano a parlare di ricerca, risponde in modo franco. «Entrando nell'Università italiana ho trovato solo un discreto bordello». Da toscano qual è, Mussi non va per il sottile, senza sconti per nessuno. E per rendere meglio l'idea va precisato che l'aggettivo («discreto») in "slang" piombinese (terra di origine del ministro) significa "tanto". «C'è un sistema di governo degli atenei e dell'insieme del mondo universitario che va cambiato». Il ministro dell'Università e della Ricerca chiama tutti «ad una vera e propria rivoluzione che rimetta mano alla governance, al vertice del sistema universitario italiano», fatta però «ricercando il confronto e il consenso più ampio». Si dà «un anno» per farlo e nel frattempo promette di «dare il via all'agenzia della valutazione per i docenti e alla riforma del reclutamento». Altra novità di portata capitale nel mondo dei "baroni" è la proposta «di contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei docenti universitari», visto che ora in cattedra si sta in gran parte a vita. Altro capitolo, quello dei ricercatori, dei cervelli in fuga, dei giovani ricercatori italiani da meno di mille euro al mese: «Bisogna pagarli di più», afferma Mussi. Quanto al discusso spail-svstem nella ricerca «è un delitto e dunque non ci sarà; per ie prossime nomine importanti - ha annunciato Mussi - intendo perciò seguire il metodo dei comitati di ricerca che presentano al ministro una terna di nomi entro cui scegliere». Quelle di Mussi non sono sparate, non sono piaggerie nei confronti della Confindustria che lo ospitava. Agli industriali che lo ascoltano interessati Mussi ricorda «che le imprese italiane sono le ultime in Europa per investimenti in ricerca e questo non dipende solo dal ritardo dell'Università». In più Mussi spiega che su questa sfida è intenzionato a giocarsi tutto, e lo dice chiaramente: «Resterò al mio posto solo se non ci si discosta dal programma dell'Unione e ci saranno le condizioni per cambiare i numeri della ricerca e della formazione». La sintonia con la Confindustria è comunque palpabile e parte dall'impegno sulla finanziaria, la cui entità (1,5 miliardi) è stato confermato in serata anche dal ministro Bersani. «Un miliardo e mezzo che saranno investiti su tre capitoli: Università, ricerca e incentivi alle imprese». Quest'ultimo naturalmente è il capitolo che più interessa agli industriali. «Si tratta - ha commentato il vice presidente di Confindustria Pistorio - di poco più dello 0,1 per cento del pil, ma secondo le nostre stime, se queste proposte fossero interamente attuate, la ricerca industriale potrebbe raggiungere l’attuale media Ue dell'1,9% del pil nell'arco della legislatura». In Finanziaria 1,5 miliardi per ricerca e incentivi alle imprese Gli industriali: così si può tornare a livelli Ue Subito l'agenzia per la valutazione dei docenti Sulle nomine consulterò i comitati di ricerca Contrattualizzare il rapporto di lavoro dei docenti universitari, ora spesso in cattedra a vita __________________________________________________ Il Sole24Ore 19 sett. 06 RICERCA, LA VIA VIRTUOSA DEL MODELLO FRANCESE Attilio Geroni PARIGI. Dal nostro corrispondente Il manager di un grande gruppo industriale - privato - alla testa di un'agenzia pubblica per promuovere l'innovazione delle imprese. A prima vista sembra un ibrido, frutto di un compromesso trai vecchi vizi dirigisti e le forze di mercato. In realtà sembra funzionare, tanto che la Francia 'e convinta di aver creato un "modello d'esportazione". Jean-Louis Beffa, l'uomo scelto dal presidente Jacques Chirac alla fine del 2004 per guidare l'Agenzia dell'innovazione industriale (Aii), non è per niente disturbato dalla presenza pubblica. Anzi. «Quando si parla di ricerca, il ruolo dello Stato può essere utile, se non indispensabile», dice Beffa in questa intervista al Sole-z4 Ore. Sessantacinque anni, ingegnere minerario di formazione, il manager, presidente e amministratore delegato di Saint-Gobain, fa alcuni esempi in cui la partnership pubblico-privato nell'innovazione ha prodotto risultati positivi: «Un modello è quello americano. Gli Usa, attraverso svariate agenzie, finanziano massicciamente la ricerca e lo sviluppo delle imprese. Spesso ciò avviene in campo militare, ma le ricadute civili di questa azione sono senza dubbio importanti». La Francia, però, per strutturare la sua agenzia ha guardato di più al Giappone. Che, come dice Beffa, «finanzia poco, almeno direttamente, la ricerca delle imprese, ma svolge un'attività determinante di coordinamento eprospezione, orientando in questo modo gli sforzi innovativi delle aziende». Ci tiene a sottolineare l'approccio bottom-up, dal basso verso l'alto, dell'Aii. Non è il partner pubblico a farsi avanti, «ma sono le imprese, o ancora più spesso i consorzi dì imprese, a presentare i loro progetti attraverso i cosiddetti Programmi mobilizzatori di innovazione industriale». All'Agenzia spetta il compito di definire gli orientamenti e di selezionare i progetti. L'Aii finanzia fino al 50% delle spese di ricerca e sviluppo dei consorzi sotto forma di sussidi o anticipi rimborsabili: I requisiti generali perché si possa accedere allo schema di finanziamento sono: un mercato di riferimento europeo o mondiale e l'obiettivo di aggiudicarsene una quota significativa; una forte componente d'innovazione tecnologica che implichi spese in R&S da uno a decine di milioni di curo; il ruolo propulsivo di un'industria capofila, responsabile di un programma e del coordinamento diun sistema che coinvolga istituti pubblici di ricerca, aziende partner e clienti; infine, un orizzonte di sviluppo di medio-lungo termine, da cinque fino a 5 anni. In un passato recente, sostiene il presidente dell'Agenzia, i grandi programmi d'investimento hanno reso la Francia forte in alcuni settori come aeronautica, aerospaziale, nucleare civile. «Ma il tempo del trittico ricerca pubblica-impresa pubblica commesse pubbliche è finito a causa dell'apertura dei mercati internazionali e delle regole dell'integrazione europea». Ecco quindi che l’Aii si propone di finanziare progetti innovativi nelle tlc, nelle biotecnologie, nei trasporti e nell'industria delle costruzioni: «Sono convinto che il modello, con gli opportuni adattamenti al taglio delle imprese, possa funzionare anche in Italia ed essere esteso ad altri Paesi europei. Lo stesso presidente Chirac - conclude Beffa - è convinto che la nuova politica industriale abbia bisogno di una quadro europeo di riferimento intergovernativo. Ma finora Bruxelles si è mossa lentamente e la Francia ha deciso di partire comunque con l'Agenzia. Con la Germania siamo a buon punto per sviluppare progetti congiunti, sono fiducioso che anche con l'Italia si potrà fare lo stesso». Progetti delle imprese valutati e co-finanziati da un ente pubblico guidato da un manager IL RUOLO PUBBLICO __________________________________________________ Il Sole24Ore 27 sett. 06 È LA CONOSCENZA CHE CI FA EUROPEI OBIETTIVI DI LISBONA COME RAGGIUNGERLI Per un nuovo sapere é necessario un contesto che favorisca ricerca innovativa e sperimentazione - Centralità a meritocrazia e trasparenza di Luca Majocchi Lo sviluppo dell'Europa quale società della conoscenza fu posto dalla Commissione europea al centro del proprio disegno strategico con l'Agenda di Lisbona del 2ooo. Da allora, il progresso verso questo obiettivo è stato parziale e a "macchia di leopardo", ma il recente dibattito europeo ha confermato che lo sviluppo come "società della conoscenza" è l'unica opzione che l'Europa ha per continuare a coniugare crescita, solidarietà e sostenibilità. L'Italia è uno dei Paesi in ritardo nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona e si trova a dover decidere se investire per partecipare a questo disegno, oppure se mantenere l'atteggiamento degli ultimi anni e vedere aumentare il distacco dai Paesi migliori. Di questi temi si è discusso alla fine di agosto a VeDrò, una community of interest che si occupa del futuro di medio- lungo termine dell'Italia e dell'Europa. Una società della conoscenza è una società in grado di produrre e di utilizzare nuova conoscenza su una scala di massa. In questo, essa guarda non solo al saper fare (la capacità tecnica, i brevetti), ma anche al saper essere (la cultura e i valori che determinano le scelte e le attitudini verso la vitae il lavoro delle persone), al saper coesistere (dialogando al sua interno e con le altre culture), al sapersi sviluppare in modo equilibrato e sostenibile (nella coesione sociale, nell'utilizzo delle risorse naturali). Favorire lo sviluppo di un Paese quale società della conoscenza richiede politiche di indirizzo a livello macro e regole in grado di attivare dinamiche virtuose a livello micio. In particolare, come insegna la recente crescita economica cinese, fare le riforme giuste a livello macroeconomico può essere anche più importante delle decisioni sul piano macroeconomico, in quanto determina gli incentivi e le possibilità individuali di fare impresa. È questa la prospettiva di questo contributo al dibattito in atto. Il capitale umano è l’asset fondamentale sul quale poggia la società della conoscenza perché sono le persone che generano nuovo sapere : grazie alla propria creatività, competenza e motivazione. Su questo piano, l'Italia, che già sconta una struttura demografica peggiore di altri Paesi europei, ha una bassa scolarità media e un sistema formativo poco efficace ed efficiente. Per questo, è indispensabile realizzare una discontinuità nel nostro sistema educativo, agendo sui meccanismi che regolano dal basso il funzionamento delle università e il comportamento degli studenti. È necessario introdurre meccanismi oggettivi di valutazione dell'attività di università e centri di ricerca, strumenti d’uso comune in Europa, ed elevare gli standard per finanziare le eccellenze e non la mediocrità. Bisogna diffondere tra gli studenti l'idea che selettività e meritocrazia sono nel loro interesse e fissare limiti temporali all'ottenimento delle lauree, per evitare che l'università possa essere un'area di parcheggio, liberando risorse a beneficio degli studenti migliori e più motivati Creare nuovo sapere richiede un contesto che favorisca e premi la ricerca del nuovo e la sperimentazione. L'Italia è, invece, affetta da una bassa propensione al rischio e dalla demonizzazione del fallimento. Bisogna creare un ambiente culturale e regole che incentivino le persone a innovare, per creare nuove imprese e per trasformare e quelle esistenti. È necessario completare la revisione del diritto fallimentare per farsi che il fallimento di un'impresa, non per dolo ma per la naturale dinamica del mercato, non si traduca nell'espulsione dal sistema dell'imprenditore, perché le persone sono la risorsa scarsa. Più che in altri Paesi, la nostra società è un insieme di silos (il pubblico, il privato, le imprese, le professioni, l'università, la politica ecc.) tra loro distinti per valori, regole,cultura. Questi mondi hanno poca permeabilità l'uno con l'altro e in ciascuno di essi conformarsi alla cultura dominante è premiante rispetto all'innovazione e alla rottura degli schemi. La selezione meritocratica è indebolita dal valore delle relazioni personali come difesa a fronte di risultati non adeguati. Persone, anche capaci, sono indotte ad assumere un atteggiamento difensivo, in cui legarsi alla cordata vincente e non commettere errori appare più importante che prendersi rischi per ottenere risultati migliori. Per valorizzare il capitale umano di cui disponiamo è necessario riportare le persone a credere che impegnarsi per ottenere risultati sia il miglior modo per vedersi premiati e per crescere. La meritocrazia, per funzionare, richiede il rispetto delle regole e in Italia, più che in altri Paesi, vi è poca fiducia nel fatto che leggi, che esistono e sono nella maggior parte dei casi ben fatte, vengano effettivamente fatte rispettare. Questo fatto genera frustrazione e comportamenti distorcenti nelle persone (creando una sorta dì premio ad essere furbi, piuttosto che onesti) e tiene spesso lontani gli stranieri. È necessario cambiare questo stato di cose, rafforzando i valori della trasparenza e della responsabilità individuale, promuovendo il rispetto delle leggi e, in ultima analisi, riaffermando che professionalità e correttezza sono i migliori strumenti per una carriera di successo. L'Italia deve rientrare nei processo di costruzione dell'Europa come una società della conoscenza, moderna e competitiva In questo processa, è necessario prestare attenzione al fatto che dedicare più risorse alla ricerca o aumentare il numero di laureati non sono strumenti efficaci se non si migliorano i meccanismi che, dal basso, orientano e incentivano comportamenti virtuosi a livello individuale. In grande misura, le cose da fare sono quelle indicate dall'agenda europea e dai Paesi europei più virtuosi del nostro e la discussione sulle specificità italiane è giusta, ma non deve diventare una scusa per non fare e per rimandare decisioni e riforme. Amministratore delegato Seat Pagine Gialle __________________________________________________ La Repubblica 27 sett. 06 I RAGAZZI SENZA UNIVERSITÀ Perché Milano perde il confronto con quasi tutte le capitali europee Perché l'università dimenticagli studenti e retrocede in Europa A Milano i ragazzi hanno un rapporto faticoso e scoraggiante C’è una università che rimane sempre aperta, giorno e notte. Gli studenti possono frequentarla quando vogliono: hanno una tessera elettronica, ogni studente ha un numero di codice. Se uno di loro vuole andarci a studiare dalle 2 alla 4 del mattino può farlo, nessuno glielo impedirà. Questa università non è a Milano: è a Stoccolma. C'è un'altra università, la cui biblioteca rimane aperta fino alle 23. Fino a quell'ora tutte le postazioni Internet sono accessibili agli studenti. Questa università non è a Milano: si trova a Luminy, alla periferia di Marsiglia. A Stoccolma alla biblioteca comunale uno studente può chiedere, in prestito gratuito, fino a sei libri che potrà tenere per tre mesi. Il sistema di prelievo e restituzione è del tutto automatizzato. Libri, giornali, fumetti, dvd e periodici sono alla portata di tutti. Non c'è alcuno sportello, alcuna trafila burocratica, non c'è personale: il sistema si basa su una rigorosa autogestione da parte degli utenti. La regola è che degli studenti ci si può fidare. A Milano non funziona cosi. Prendiamo la biblioteca del Politecnico. Dopo le 19 chiude. Il sabato e la domenica è inaccessibile. Si possono prendere in prestito solo due volumi per volta, dopo una trafila burocratica abbastanza complessa, per tenerli un mese soltanto. Questa biblioteca è rimasta chiusa, come annunciava un allegro cartello esposto all'entrata, fino al 4 settembre: se si considera che gli esami riprendevano il10 settembre si può valutare il grado di efficienza e utilità della struttura rispetto alle esigenze degli studenti. Nella stessa biblioteca c'è un testo in cinque copie, ritenuta importante per gli studi dei futuri architetti. Tutte e cinque queste copie di punto in bianco sono sparite: sono state mandate a rilegare tutte insieme, nello stesso momento. A Stoccolma in tutta l'università gli studenti possono navigare in Internet, gratis, attraverso un collegamento wireless. In tutti i corridoi e in tutte le aule ci sono prese elettriche per i portatili. Gli universitari hanno salette per lo studio, una mensa funzionante in Università e una cucina con fornelletti, forni e forni a microonde per prepararsi il pranzo. A Milano, al Politecnico, fino all'anno scorso c'era una cinquantina di postazioni fisse con Internet, con accesso limitato al sito dell'ateneo. La mensa è a venti minuti dalla sede centrale, non ci sono forni a microonde, fuori un panino costa minimo 3 euro e 50. In compenso, nei bagni manca sempre la carta igienica. A Milano lo studente ha un rapporto faticoso con la città, che lo munge come una vacca da latte,come hanno ben documentato ieri i ragazzi del collettivo Unisurfers (200 euro al mese per un posto letto, 226 per mangiare, 18 euro per i trasporti e via dicendo, per un totale di oltre 700 euro al mese). Non è meno liscio il rapporto con professori e segreterie: i primi molto spesso non si fanno trovare o danno "buca" ai rari appuntamenti che fissano. Le seconde, raramente accompagnano gli studenti nel loro rapporto con l'ateneo. E il più delle volte questi si devono arrangiare con il passaparola. Fuori dell'università, una realtà ostile: cinema e teatri cari, divertimenti ancor più cari e nessun peso sociale. A Marsiglia succede il contrario: quando la municipalità ha deciso di studiare la nuova illuminazione per la Ville radieuse di Le Corbusier, ha bandito un concorso al quale hanno partecipato gli studenti di Architettura, compresi gli stranieri. Marsiglia, Stoccolma, Milano: realtà agli antipodi. Non è difficile comprendere perché su 180mila universitari qui da noi gli stranieri siano solo quattromila. E perché la denuncia degli Unisurfers contro il caro-studia abbia lasciato attoniti i pochi docenti presenti. __________________________________________________ Il Sole24Ore 20 sett. 06 RECORD NEGLI ATENEI: DUEMILA I MASTER Un master per tutti. Con 2054 corsi le università italiane mandano definitivamente in soffitta l'alone elitario che circondava il titolo. Secondo i dati forniti dagli atenei al Sole-24 Ore del lunedì, i corsi proposti per il 2oo6/07 sono suddivisi tra i 1095 1 livello e i 959 di 2. Il 24,3% in più dei 1.653 attivati lo scorso anno accademico. Amplissima la scelta: 556 quelli di area sanitaria, seguiti dai corsi di area economica (290) e di ingegneria e architettura (247). Il Dossier allegato ne delinea l’identikit completo uno per uno con durata, costi, scadenze ed eventuali borse di studio. Il master sta dunque diventando "normale" nel percorso universitario dei giovani tanto che, nel 2005, l’hanno prescelto in 26.207. Senza contare tutti quelli che optano per la frequenza a un corso di enti privati oppure all'estero. La spinta a questa forma di completamento degli studi è spiegata dai dati raccolti dal consorzio AlmaLaurea: oltre il 6o% dei laureati che si iscrivono vuole arricchire la propria formazione, mentre più del 2o% si propone di acquisire ulteriori competenze nell'ambito professionale. Nella maggioranza dei casi optano per percorsi coerenti con il titolo già acquisito e (per oltre la metà) lavorano già. Difficile valutare appieno i costi benefici della partecipazione a un master. È certo che l’impegno varia da qualche migliaio di curo ai 30-32mila necessari per un Mba, a fronte di un incremento di stipendio rispetto a chi non ha acquisito questo titolo - riscontrabile solo dopo un master di 2°livello. Gli interessati,però, sono mediamente soddisfatti e assegnano un punteggio di 6,7 (su dieci) al corso prescelto ai fini dell'utilità sul lavoro. ____________________________________________________ Corriere della Sera 28 Sett. 06 STUDI GONFIATI E FALSE SCOPERTE «Ma il sistema ricerca è sano: chi inganna viene cacciato» Ammette che nell' ambiente circolano colleghi con la tendenza a barare. Riconosce che il suo è un mondo abitato da molti furbi. Ma infine assolve il sistema-scienza: «Chi bara viene escluso dalla comunità, finisce per fare il taglialegna, con tutto il rispetto per la categoria. Si innesta un meccanismo di autopulizia per cui i millantatori devono uscire per forza». Alberto Mantovani, immunologo dei tumori, direttore scientifico dell' istituto Humanitas e docente all' università di Milano, uno degli uomini di scienza nazionali più apprezzati a livello internazionale, ama il suo lavoro e ne analizza le magagne. Critico ma in fondo indulgente. L' analisi parte dall' ultimo caso. Dall' americano Robert Lanza che in un articolo pubblicato su Science ha forzato i dati relativi ad un esperimento su embrioni umani. Ne avrebbe ricavato cellule staminali senza distruggerli dando l' illusione di aver trovato la strada per risolvere problemi etici. Poi si è scoperto che, al contrario, quegli embrioni non erano sopravvissuti. E gli attacchi non sono stati clementi sebbene il suo studio, meno rivoluzionario di quanto sembrasse, abbia comunque dato un contributo importante. Annunciare false scoperte è uno sport molto diffuso fra i ricercatori? «Dobbiamo distinguere tra errori in buona fede e frodi volontarie». Cominciamo dagli errori in buona fede. «Può capitare che alcuni dati si rivelino non riproducibili, cioè che non sia possibile ripeterli in tutti i loro dettagli così come sono stati presentati dall' autore. Gli errori vengono subito sgamati. Per questo io dico che il sistema si autopulisce e si autogarantisce». A maggior ragione non è possibile passarla liscia per una frode, è così? «Chi sbaglia involontariamente perché interpreta male o enfatizza i risultati dei propri esperimenti viene perdonato. È umano che ognuno tenda a dare importanza esagerata alla sua scoperta. Invece chi specula volontariamente e sparge clamore viene cacciato per sempre dal nostro mondo. Ho conosciuto colleghi che sono letteralmente spariti dalla circolazione, hanno cambiato mestiere. La messa al bando è irreversibile quando viene intaccata l' etica di un mestiere basato sull' onestà intellettuale. Ecco se un intervento si può fare per moralizzare il settore, credo che bisognerebbe imporre delle regole nella comunicazione delle notizie, prevedendo una sorta di silenzio stampa». Ricorda un flop scientifico particolare? «Clamoroso anni fa quello che è successo per un farmaco omeopatico. Uscì un lavoro su Nature a firma del francese Benveniste dove si annunciava che l' acqua era capace di mantenere la memoria di una molecola, presupposto che avrebbe dovuto confermare il principio dell' omeopatia, basata sulla diluizione. Tutti hanno provato a ripetere l' esperimento senza riuscirci. La rivista ha chiesto all' autore di riprodurre i suoi dati in laboratorio e si è capito che li aveva alterati». La riprova che sono episodi frequenti? «No, io credo siano l' eccezione. Certo ci sono diversi stratagemmi per cercare di forzare i risultati per dimostrare l' efficacia di una molecola. Si può ad esempio fare in modo di pubblicare solo gli studi clinici positivi e di nascondere quelli negativi. Vuol dire mostrare solo la faccia luminosa della luna, a tutto vantaggio dell' industria farmaceutica che vuole vendere il prodotto. Ora però il meccanismo è stato corretto perché è obbligatorio registrare tutti gli studi, anche quelli che restano inediti». Nel suo curriculum vengono citati almeno trenta lavori comparsi nelle riviste più importanti, «Nature», «Nature medicine», «Science» o «New England Journal of Medicine». È così facile superare le griglie della selezione per arrivare su quelle pagine? «La trafila prevede che un articolo venga innanzitutto sottoposto al primo screening dell' editor. Se passa il primo scoglio, va all' esame di tre arbitri anonimi e autorevoli. Anch' io vengo utilizzato come arbitro per lavori di colleghi. Il meccanismo del giudizio tra pari è il fondamento di un' impresa scientifica. In genere gli arbitri sono molto esigenti, ti chiedono integrazioni, è difficile passarla liscia. Il 90% degli articoli vengono respinti. Il 10% passano di nuovo all' editor al quale spetta l' ultima parola». Ma allora, alla luce dei precedenti falsi celebri, dobbiamo pensare che anche arbitri ed editor vengano sottoposti a pressioni per agevolare questo o quell' autore? «No, non è tutto marcio. Il sistema è prevalentemente pulito. Ho fatto l' arbitro diverse volte e non mi è mai capitato sotto gli occhi un lavoro taroccato». Non ci dica che l' istituto per il quale lavora non spinge per non finire in prima pagina... «Più che della spinta dell' istituto bisogna parlare di quella del sistema ricerca fondato per sua natura sul "successo" della pubblicazione. Gli articoli accettati sulle riviste sono uno degli strumenti per misurare la produttività. Io queste pressioni non le ho mai avvertite. È chiaro che questo gioco è più frequente laddove il salario percepito è legato ai grant, cioè ai finanziamenti, come negli Usa o in Gran Bretagna». Esiste secondo lei uno strumento per vaccinare la ricerca dalle frodi? «L' unica salvaguardia è l' esistenza di un sistema di ricerca pubblica, indipendente e competitiva, capace di autofinanziarsi». L' Italia è un Paese immune da questo punto di vista? «Parliamo sempre male dell' Italia, ma non dimentichiamo che vanta una grande tradizione nel campo della ricerca clinica indipendente, condizionata solo dalla curiosità scientifica dell' investigatore. L' agenzia nazionale del farmaco, l' Aifa, ha emesso un bando per finanziare questi studi. Credo stiamo andando nella direzione giusta». CHI È Nato nel 1948, Alberto Mantovani è immunologo dei tumori, professore ordinario di Patologia Generale all' Università degli Studi di Milano e dall' ottobre 2005 direttore scientifico dell' Istituto Humanitas. Ha lavorato in Gran Bretagna e Usa. Ricercatore di fama internazionale, è tra i cento immunologi più citati dalla letteratura scientifica negli ultimi vent' anni del Novecento De Bac Margherita ____________________________________________________ Corriere della Sera 22 Sett. 06 SORPRESA USA, L' UNIVERSITÀ PUBBLICA BATTE HARVARD E YALE Secondo uno studio di «Spencer Stuart» la grande maggioranza dei «chief executive officer» viene da atenei statali E' la rivincita delle università statali contro le blasonate Ivy league. Secondo una ricerca della società americana di cacciatori di teste Spencer Stuart, solo il 10% degli amministratori delegati (ceo) delle 500 maggiori aziende Usa ha studiato in uno dei college più antichi ed esclusivi degli Stati Uniti, un club di otto istituzioni, tutte private e carissime, dalla Brown university a Yale. La grande maggioranza ha frequentato un college pubblico, che mediamente costa meno della metà di un istituto privato qualsiasi e una frazione di un Ivy league. «Pensare, comunicare, essere un leader, ottenere risultati: sono le qualità che contano in un candidato a un posto di lavoro. Io le ho imparate all' Hamilton college di Clinton, New York. Qualsiasi università le può insegnare», ha commentato il ceo di Procter&Gamble A.G.Laffrey. Una consolazione per le famiglie disposte ormai a follie per assicurare ai loro rampolli un posto nella università più prestigiose, dove il potente network degli ex allievi dovrebbe essere il lasciapassare per far carriera in tutti i business. E' vero che gli attuali ceo sono di un' altra generazione, ma quando selezionano giovani per le loro aziende non tendono a preferire chi ha un pedigree più nobile. «Non mi interessa dove uno è andato a scuola, è un fattore che non mi ha mai fatto assumere qualcuno o concludere un affare», ha dichiarato il guru degli investimenti Warren Buffett, ceo di Berkshire Hathaway, laureato all' università statale del Nebraska. Bill Green, ceo di Accenture, ha studiato al Dean college, una "community school" che dura solo due anni e fornisce una sorta di "laurea breve". Green ancora ricorda con gratitudine l' attenzione che i professori dedicavano agli studenti, «perché non erano impegnati a fare ricerca e scrivere libri come i docenti delle altre università». Ora Green è un membro del consiglio di amministrazione del Dean college e si arrabbia quando incontra genitori «che hanno vergogna di dire che i loro figli hanno frequentato una scuola come la mia». Altri ceo di illustri gruppi hanno conseguito la laurea in istituti «normali», come Lee Scott di Wal-Mart alla Pittsburgh university nel Kansas e Paul Otellini di Intel alla University of San Francisco. E la University of Wisconsin ha sfornato più leader aziendali di Harvard __________________________________________________ Il Sole24Ore 19 sett. 06 SCUOLA ED E-LEARNING: IL PARADISO NON PUÒ PIÙ ATTENDERE "Ogni volta che affronto il tema della tecnologia applicata a un qualsiasi ambito della vita quotidiana mi viene in mente che il futuro è come il paradiso - tutti lo esaltano ma nessuno ci vuole andare adesso, come diceva lo scrittore afro-americano James Baldwin". Così dice Roberto Liscia, Voce Presidente AITech Assinform e Presidente della Commissione servizi e contenuti multimediali ANEE, e prosegue: "cosi è stato anche leggendo i risultati della ricerca KIWI sull'utilizzo di Internet ed e-learning, condotta presso gli studenti delle scuole superiori. Finora l'osservatorio di ANEE, la Commissione Servizi e contenuti multimediali che oggi fa parte della nuova AITect-Assinform, aveva affrontato il tema dal punto di vista delle aziende, della Pubblica Amministrazione e dell'Università. L’idea di sondare l'argomento anche dal punto di vista della scuola è nata proprio in tale ambito. Questa ricerca è stata condotta congiuntamente da tre importanti Atenei italiani: Politecnico di Milano, Università degli Studi Milano Bicocca e Università Cattolica". E continua liscia: "lo studio ha permesso di indagare la conoscenza, la familiarità e l'utilizzo dell'ICT in ambito formativo da parte del mondo giovanile. Ci sì aspettava che i giovani tra i 16 e i 18 anni fossero particolarmente avvezzi all'uso di queste modalità. E, in effetti, quello che si è scoperto è una profonda competenza nell'uso dei nuovi media, che però non corrisponde a una analoga propensione al loro utilizzo in ambito formativo. Gli studenti utilizzano normalmente la tecnologia per l'interazione con i coetanei e per lo svago, ma solo in percentuali modeste vi ricorrono quando si tratta di studiare". I RAGAZZI SONO PIÙ "TECNOLOGICI" RISPETTO AI DOCENTI lo studio ha considerato anche l'utilizzo da parte dei docenti e liscia ha osservato che: "non meno preoccupante è la situazione dei docenti. Le risposte, infatti, indicano che, nonostante l'istituzione scolastica non si dimostri del tutto chìusa all'utilizzo delfICT nella formazione, essa pone maggiore attenzione ai limiti piuttosto che ai vantaggi che le nuove tecnologie possono offrire. D'altronde Internet è un eccezionale serbatoio non solo di informazioni utili a svolgere i compiti, ma anche di compiti già svolti. Le ragioni di questa scollatura tra vita domestica e scolastica sono da ricercare in parte nella non conoscenza delle potenzialità di interazione che le nuove modalità formative consentono, in parte nella ancora eccessiva resistenza da parte dei docenti. L'aspetto più paradossale è il gap tra la percezione dell'e-learning da parte degli studenti e l'offerta già esistente". E che cosa vorrebbero i ragazzi? "1 giovani, interrogati su come vorrebbero fosse strutturata la loro formazione in aula, la descrivono esattamente come già esiste nella realtà - dice liscia - . II loro, però, è solo in parte un problema di percezione, la vera piaga è, a mio avviso, l'eccessiva "arretratezza della scuola". Qui sta il nodo della questione. Nella scuola si sta vivendo un grave paradosso che vede maggiormente alfabetizzati in materia di tecnologie i ragazzi che sono nati e cresciuti in un mondo multimediale, i cosiddetti "nativi digitali", rispetto ai loro docenti che invece hanno da sempre un approccio monomediale basato esclusivamente sul libro". E Liscia conclude: "la scuola deve "rivedere" pesantemente il proprio approccio didattico se non vuole aggravare sempre di più questo iato culturale e comunicativo rispetto ai ragazzi che intende formare. Non si può lasciare che il divario di competenza tecnologica tra studenti e insegnanti diventi cronico, non si può più accettare che nelle scuole i computer rimangano reperti da laboratorio. La formazione dei giovani è una leva strategica di crescita del nostro Paese e tutti gli attori istituzionali devono prenderne atto e agire con un deciso e coraggioso piano di informatizzazione della scuola, destinando a questo fine le risorse necessarie. Un appello in tal senso, quindi, va fatto anche al nuovo Governo perché - e questa ricerca lo dimostra - il paradiso non può più attendere: ne va della competitività stessa del nostro sistema Paese". ____________________________________________________ La Repubblica 25 Sett. 06 L’OCSE BOCCIA LA SCUOLA ITALIANA Tanti costi, pochi risultati In coda nelle classifiche internazionali. “Serve una riforma” SALVO INTRAVAIA ROMA — Per il secondo anno consecutivo l’Ocse boccia la scuola italiana. Il sistema d’istruzione e formazione nazionale — stando ai dati del rapporto 2006 — risulta molto costoso e dagli scarsi risultati. Quello delineato dall’Ocse è un sistema inefficiente che necessiterebbe di un approfondito restyling: scuola, istruzione post-secondaria e università arrancano, sfornando studenti che non riescono reggere il confronto con i giovani degli altri paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nonché laureati che spesso, disoccupati di lusso, restano al palo. Ma il corposo volume pubblicato qualche giorno fa (con dati aggiornati al 2004), attraverso il confronto fra i diversi sistemi d’istruzione, consente d’individuare alcuni dei possibili mali che affliggono la scuola italiana e una possibile via d’uscita. L’Ocse ci ricorda che tra i 30 paesi membri l’Italia è al penultimo posto per numero di laureati: appena 11% delle persone tra i 25 e 64 anni. Solo la Turchia è sotto di noi. Il divario fra Italia e media dei paesi dell’Unione europea (a 19 Stati) è vasto anche per numero di laureati nelle facoltà scientifiche: 1.227 ogni 100mila giovani fra i 25 e i 34 anni contro i 2.128 della media Ocse. Stessa cosa per quel che riguarda i diplomati: appena 48 su 100 rispetto alla media Ocse che si attesta sui 67 ogni 100 abitanti fra i 25 e i 64 anni. Piuttosto scarse le performance dei 15enni in Matematica e Lettura: i nostri ragazzi sottoposti ai test Pisa- Ocse (il programma per la valutazione internazionale dell’allievo) rimediano una figuraccia. Eppure, in Italia, le condizioni per fare funzionare la “macchina scolastica” paiono esserci: le classi sono mediamente meno affollate rispetto alle altre realtà europee e non, il numero medio di ore di lezione rivolte agli alunni è più alto che negli altri paesi e il rapporto alunni insegnanti è piuttosto favorevole; fattori che fanno lievitare i costi. Prendendo in considerazione i 13 anni del percorso scolastico dalle elementari al superiore, si viaggia verso i 100mila dollari per alunno contro i 77mila della media Ocse. Eppure gli investimenti indirizzati verso la scuola e l’università, in termini di percentuale sulla spesa pubblica totale e in rapporto al Pil, ci vedono sotto la maggior parte dei paesi. E gli investimenti nella scuola dell’infanzia (l’ex scuola materna), leva strategica secondo la Commissione Ue, sono irrisori. Per quel che riguarda gli insegnanti, quelli italiani percepiscono salari decisamente bassi rispetto ai loro colleghi stranieri e poi sono tra i più anziani in assoluto: solo 1 su mille ha meno di 30 anni; altrove si supera spesso il 10%. Scarseggiano anche computer (77 per scuola, contro i 115 dei paesi Ocse) e collegamenti internet. Ma, siccome secondo il rapporto entro il 2015 l’Italia dovrà assistere a un calo della popolazione scolastica (tra il 10% della materna e il 4 delle superiori), ciò produrrà un impatto positivo sulla spesa per l’istruzione: si dovrebbe risparmiare il 6%. Il Commissario europeo per l’Istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Ján Figel’, avverte: «Sistemi d’istruzione e di formazione efficienti possono avere un notevole impatto positivo su economia e società ma le disuguaglianze nell’istruzione e nella formazione hanno consistenti costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di contabilità pubblica. Se dimentichiamo la dimensione sociale dell’istruzione, rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Sett. 06 FUGA DALL'UNIVERSITÀ NUORESE Allarme per il calo d'interesse degli studenti verso le facoltà scientifiche, il futuro ora è a rischio Solo sei matricole al corso di Scienze ambientali A Nuoro è allarme rosso per le facoltà scientifiche. Una sofferenza non facilmente celabile soprattutto per Scienze ambientali, corso di laurea in cui quest'anno le immatricolazioni non superano le sei unità (dodici l'anno scorso, 23 nel precedente, in un chiaro percorso in discesa), un po' meglio invece se la passa quello di Scienze forestali, dove i nuovi iscritti sono almeno una ventina. Il futuroDalle alte sfere buttano acqua sul fuoco e gli uffici, dal canto loro, ribadiscono che è presto per dichiarare lo stato di allerta perché ? assicurano ? «è prevista una riapertura dei termini», dalle trincee arrivano alcuni importanti segnali di preoccupazione. A rompere il silenzio per primo e stigmatizzare il malessere, facendosi portavoce di una parte degli insegnanti, è Giancarlo Carta, docente a contratto: «Non stiamo ancora morendo - premette il professore - ma di sicuro rischiamo di chiudere i battenti nei prossimi anni se continua così». I problemiLo specialista non si sbilancia sulle possibili cause di questa moria, ma non può fare a meno di esprimere tutto il proprio disappunto «nel constatare una certa indifferenza della classe politica, soprattutto regionale, che - afferma - da una parte annuncia di voler investire sullo sviluppo economico del nostro territorio, dall'altra non fa niente per contribuire alla creazione di vere possibilità occupazionali per questi ragazzi che impiegano tempo ed energia per formarsi in loco, e scelgono Nuoro piuttosto che emigrare. Ma ciò che li aspetta dopo la laurea è l'assenza totale di concorsi o attività specifiche che li riguardino, e anche le stesse amministrazioni pubbliche non prevedono ancora al loro interno figure con la loro specializzazione». Il ConsorzioUn segnale in grigio, quindi, per l'attività del Consorzio per la promozione degli studi universitari nella Sardegna centrale, che meriterebbe di essere analizzato con la dovuta attenzione. Battuta d'arresto, forse, nel grande sogno di un terzo polo universitario isolano a Nuoro. Forse anche a causa di una certa noncuranza: «Come si può far crescere un ramo formativo in una cronica mancanza di strutture adeguate? - aggiunge Carta - noi possiamo avere un futuro solo se ci mettiamo in testa di formare ricercatori che poi hanno la possibilità di reinvestire le proprie competenze su questo territorio». E invece è per esempio ancora ben lungi dal divenire realtà il progetto di un campus. Eppure per la realizzazione della nuova sede universitaria nuorese la Regione ha già stanziato circa 20 milioni di euro. (fr. gu.) Nuoro e Provincia Pagina Il presidente Russo: «Ma le iscrizioni non sono chiuse» L'architetto Sergio Russo, da maggio presidente del Consorzio universitario per la Sardegna centrale (è anche alla guida dell'Ailun, Libera università nuorese) ridimensiona l'allarme per la fuga dal corso di Scienze ambientali e ribatte rimarcando più volte che «le iscrizioni non sono ancora chiuse». Allora, tanto rumore per nulla? «Diciamo che ora non ho i numeri alla mano e quindi non sono in grado di fare commenti». Ma le immatricolazioni sono scese rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Forse qualche debolezza nella campagna promozionale? «Abbiamo fatto né più né meno come si faceva gli altri anni». Cosa succederà se nei prossimi mesi si dovesse confermare il calo di studenti? «Non è possibile al momento fare ipotesi, ma se così dovesse essere non potremmo che prenderne atto e pensare, ad esempio, a un riorientamento del corso». Secondo i progetti, Scienze ambientali sarebbe dovuta essere veicolo privilegiato di inserimento nel mondo del lavoro in un territorio a vocazione naturalistica. «Finora la storia è andata in altra direzione». (fr. gu.) ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 06 MEDICINA STUDENTI IMPREPARATI, QUIZ DISASTROSI http://pacs.unica.it/graduatorie/statsmed06.htm Università. Cagliaritani agli ultimi posti nel confronto con gli altri ragazzi della Penisola. La facoltà: negli anni si recupera Pessimo risultato nei test d’ammissione a Medicina I ragazzi cagliaritani che arrivano dalle scuole superiori, secondo i test, hanno una preparazione inferiore a quelli del resto d’Italia Solo gli studenti di Catanzaro, Campobasso e Salerno hanno fatto peggio di quelli cagliaritani. Ancora una volta il test d’ammissione al corso di laurea di Medicina e Chirurgia ha dato il suo verdetto: i ragazzi che arrivano dalle scuole superiori hanno una preparazione inferiore a quelli del resto d’Italia. Il punteggio medio (27,3) ottenuto nei quiz è di molto inferiore alla media nazionale. La fortuna per gli studenti di Cagliari è che la graduatoria nazionale non verrà applicata: partirà il prossimo anno. Altrimenti il massacro sarebbe stato devastante: dei 170 posti nella facoltà di Cagliari soltanto 87 sarebbero stati occupati da ragazzi cagliaritani. Gli altri 83 (peggior dato dopo quello di Catania) sarebbero finiti a studenti del resto della Penisola. molte lacune Il preside di Medicina, Gavino Faa, conferma che il problema esiste e che è grave: «Ma non riguarda solo le scuole medie e superiori - spiega - perché, per esempio, negli ultimi decenni è cambiato l’atteggiamento delle famiglie verso l’istruzione. C’è meno attenzione e controllo. Insomma tutto il sistema formativo dovrebbe essere rivisto». Le lacune che gli studenti si portano dietro, una volta usciti dalle superiori, si riflettono in modo negativo soprattutto nei primi due anni di Università: «I ragazzi fanno fatica - commenta Faa - e di conseguenza i docenti dei primi anni si trovano davanti a un lavoro gravoso». Per rimediare vengono attivati anche dei corsi di recupero. «Chi si laurea in medicina - aggiunge il preside - ha comunque un elevato livello di preparazione. Chi prosegue il corso di studi è molto motivato: la percentuale di laureati con ottimi voti e in tempi regolari è infatti elevata». corsa a ostacoli Una mole di lavoro maggiore. Dunque uno stress doppio. Per docenti e studenti. Il ritardo accumulato negli anni delle scuole elementari, medie e superiori si fa sentire. «Un percorso - dice Mario Piga, presidente del corso di laurea di Medicina e Chirurgia - che inizia con un handicap, e che si deve rimarginare subito. I colleghi dei primi anni sono sottoposti a una notevole dose di stress per far recuperare le nozioni perse negli anni scolastici». Visti i risultati dei laureati in Medicina, la rimonta avviene proprio negli anni di Università: «Non è stato abbassato il metro di giudizio», si affretta a precisare Piga. «Conta molto la volontà dello studente. Chi si iscrive e passa il test, sa di dover lavorare sodo, e di dover affrontare una strada tutta in salita». Gli esami del primo anno confermano comunque che i futuri medici cagliaritani riescono a colmare il gap iniziale: «Tra gli studenti che si sono immatricolati l’anno scorso, circa l’80 per cento ha dato, entro la sessione estiva, gli esami di chimica e biochimica. Il 70 per cento ha superato fisica». E poi ci sono i dati relativi ai laureati: «La media di chi conclude il corso di studi in sei anni, è soddisfacente». i rimedi «Ci rendiamo conto dei problemi - evidenzia Roberta Vanni, docente di Biologia e Genetica nella facoltà - e uno dei primi interventi è quello di far capire l’importanza dei concetti di base, in materie come fisica e matematica, nell’applicazione pratica. Se poi le nozioni non sono conosciute si organizzano piccoli corsi. I docenti inoltre sono a disposizione per ogni chiarimento». In futuro ci dovrà essere un raccordo molto stretto tra Università e scuole superiori. L’obiettivo è comune: dare un futuro ai ragazzi cagliaritani. Matteo Vercelli ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 06 MA NON SIAMO UN POPOLO DI ASINI I primari: «La rivincita in sala operatoria» Entrano all’Università con molte lacune. Si laureano avendo recuperato il terreno perso. Poi i medici cagliaritani tagliano prestigiosi traguardi, arrivando a conquistare importanti poltrone nelle università e negli ospedali del mondo. Proprio la fuga di professionisti sembra essere uno dei problemi che la classe medica deve fronteggiare. Il segreto è il confronto e l’apertura verso l’estero. pochi posti «I medici bravi ci sono - commenta Valentino Martelli, direttore del dipartimento cardio toraco vascolare all’ospedale Brotzu - ma a volte non trovano un valido posto di lavoro. Basti vedere cosa capita nel mio ramo, la cardiochirurgia: non c’è una scuola di specializzazione. Non solo: perché ci sono tre cattedre in reumatologia e nessuna in cardiochirurgia? Se la scuola è indietro, anche l’Università ha qualche colpa: dovrebbe capire dove sta andando la medicina». Insicuri Una crescita continua, che si completa con un periodo di studio all’estero. È il commento di Salvatore Piu, primario del Pronto soccorso dell’ospedale Marino. «All’Università i ragazzi ottengono una preparazione valida, come confermano la qualità e la competitività dei medici cagliaritani, stimati all’estero». Insomma il difficile impatto con l’Università viene assorbito con gli anni in Ateneo: «Nelle scuole medie e superiori - spiega Piu - c’è molto isolamento. La comunicazione è più complicata, e siamo restii a accettare metodi che arrivano dal fuori, come dimostra la scarsa predisposizione per i test a risposta multipla importati dagli Stati Uniti». La crescita avviene durante il percorso universitario e subito dopo: «Diventiamo competitivi quando ci buttiamo sul campo. Io ho un esempio in casa. Il pronto soccorso del Marino è frequentato da studenti, anche stranieri. C’è un ragazzo polacco che quando è a contatto con i pazienti si sente a suo agio, e si comporta con grande personalità. I nostri sono molti più timidi e titubanti. Ci vorrebbe più coraggio. È una lacuna che si portano dietro proprio per l’insicurezza che arriva dagli anni scolastici». Estero Anche per questo il consiglio dei medici scafati è di provare un’esperienza all’estero. «Chi è bravo ha avuto quasi sempre un confronto con realtà diverse, soprattutto in altri paesi. Anche io ho fatto questo passo - racconta Marco Songini, primario di Diabetologia al Brotzu - e quando è possibile lo faccio fare a chi ha delle potenzialità». Per diventare un buon medico, oltre a una preparazione universitaria, servono soprattutto tre cose: «Apertura, scambio e competitività». Songini torna poi sul problema dei test d’ammissione alla facoltà di Medicina: «Il risultato disastroso non è certo colpa dei ragazzi. Va colpevolizzata la classe docente che si dovrebbe licenziare da sola. La stessa cosa vale per l’Università. Io ho avuto la fortuna di avere professori di valore. Dopo ho provato un’esperienza all’estero. Fino a quando non si mette in moto la selezione di docenti la comunità sarda rischia di restare indietro». Per il primario del Brotzu infatti «negli ultimi anni stiamo assistendo a un progressivo calo della classe docente». Un allarme da non sottovalutare. (m. v.) ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 06 I DATI. GLI UNIVERSITARI: «MANCANO INIZIATIVE PER L’ORIENTAMENTO» Da tre anni sempre in coda Salvati dai posti riservati ai sardi Anche nel 2006 il test d’ammissione alla facoltà di Medicina si è dimostrato ostico per gli studenti cagliaritani, risultati ancora una volta tra i più scarsi d’Italia. Il punteggio medio ottenuto in città è 27,32, uno dei più bassi in assoluto, che colloca Cagliari al 34° posto su 37. Peggio di noi hanno fatto soltanto gli aspiranti medici di Salerno, Catanzaro e del Molise; i migliori sono stati invece quelli di Udine (37,27). E meno male che i 170 posti disponibili sono stati riservati tutti agli studenti cagliaritani, perché se fosse stata applicata la graduatoria nazionale Cagliari avrebbe perso 83 posti a vantaggio di altre città (come si evince dalla simulazione sul sito http: //pacs. unica. it/graduatorie/statsmed06. htm). 1101 iscritti per 170 posti A Cagliari gli iscritti al test 2006 sono stati 1101 contro i 3728 per 632 posti di Roma (La Sapienza). Il numero di iscrizioni più basse è stato registrato a Vercelli (331) mentre la località con meno posti a disposizione si è rivelata essere il Molise (numero chiuso per soli 50 studenti). I punteggi migliori sono stati ottenuti a Napoli; quelli inferiori in Molise. ultimi posti Da quando è stato istituito, il test ha sempre rappresentato uno scoglio quasi impossibile da superare per gli studenti cagliaritani e la città si è sempre classificata agli ultimi posti: penultima nel 2005, terzultima nel 2004 e nel 2003. «Le cause sono da ricondursi alle scarse iniziative all’orientamento», spiega Lorenzo Espa, rappresentante del gruppo Università per gli studenti. «Dopo il diploma i ragazzi raramente hanno le idee chiare sul futuro, si sentono spiazzati e spesso scelgono la facoltà a caso. Il risultato è che non passano i test oppure si accorgono troppo tardi di aver sbagliato ramo e si ritirano o restano parcheggiati senza dare esami o quasi». Orientamento scuola-ateneo Cosa fare allora? «Bisogna prendere atto che la situazione non è rosea e far sì che scuole e università collaborino maggiormente per orientare meglio i ragazzi». Solo così si eviterà che uno studente si accorga di aver sbagliato facoltà a 25 anni: spesso troppo tardi per cambiare il futuro. «Le difficoltà maggiori derivano dal fatto che le domande sono molto specifiche e riguardano argomenti che non vengono trattati a scuola», commenta Andrea Bullegas (del Gruppo Ichnusa) che ha organizzato un pre-corso (per vari corsi di laurea) per 376 ragazzi: dei 170 che hanno seguito le lezioni per il test di Medicina in 51 hanno superato la prova. «A differenza di altri noi abbiamo organizzato due pre-corsi, uno di base (marzo-giugno) e uno intensivo (giugno-settembre) », informa Davide Matta, presidente dell’associazione Dictatum Discere . «Il 38 per cento dei ragazzi che hanno frequentato entrambi ha superato il test». Paolo Loche ____________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Sett. 06 SÌ, ASINI STUDENTI E PROF Dall’università la conferma al Sole-24 Ore di Lucio Salis Studenti sardi asini? Sì, e i loro insegnanti, qualche volta, sono anche peggiori. L’allarme lanciato dalla ricerca Ivalsi, (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione) pubblicato sul "Sole-24 Ore", trova conferma all’Università. «Purtroppo non è una novità. Negli ultimi vent’anni, i diplomati denunciano un progressivo peggioramento delle conoscenze». Soft ma amaro il professor Roberto Crniar, preside della facoltà di Scienze, (che comprende pure Matematica). «Tre le lacune principali: poca dimestichezza con la lingua italiana, incapacità di esprimersi correttamente anche nelle forme più semplici e scarsa padronanza degli strumenti matematici più elementari. La situazione peggiora di anno in anno». E scusate se è poco. L’analisi del professore (insegna Fisiologia generale a Cagliari da 27 anni) corrisponde perfettamente a quanto emerso dallo studio Ivalsi. «Ciò che sapevano gli studenti della mia generazione 30 anni fa, quando uscivano dal liceo, non è confrontabile, né per quantità, né per qualità, con ciò che sa un ragazzo diplomato oggi da un liceo di Cagliari». È sconsolato, il professor Crniar, sa che il problema esiste ma non è facilmente affrontabile. «Ne abbiamo parlato anche con la Regione, ma i mali della scuola non li può risolvere l’Università. La mia facoltà, come altre, organizza pre-corsi, per accertare le carenze dei ragazzi, ma la matematica che un ragazzino non ha imparato in cinque anni non la si può insegnare in tre settimane. Ci sono carenze di fondo che poi danno vita, con effetto domino, al fenomeno dei fuoricorso e degli abbandoni». Come mai la scuola si è ridotta così male? Anche su questo Crniar ha le idee chiare: «In parte per responsabilità delle famiglie, sempre pronte a giustificare lo scarso impegno dei figli». Ma qualche colpa potrebbero averla i professori delle medie? «In qualche misura anche questo è vero. Gli insegnanti di oggi, che hanno tra i 30 e i 50 anni, sono gli studenti degli anni 70 - 80 e 90, che stavano già scadendo, come qualità, rispetto ai loro colleghi degli anni 50. È un avvilimento culturale che parte da lontano. La scuola è come un ghiacciaio che si sta sciogliendo. Difficile invertire la tendenza». Analisi quasi senza speranza, confermata anche da Francesco Ginesu, preside della facoltà di Ingegneria, titolare della cattedra di Costruzioni di macchine: «Dall’analisi nazionale, emerge l’immagine di una scuola sarda che non è certo delle migliori». Ma ai dati del Sole 24-Ore il professore aggiunge i risultati di una ricerca di estremo interesse. «Ogni anno, le facoltà italiane di Ingegneria sottopongono gli studenti a un test d’ingresso per valutarne il livello di preparazione. L’anno scorso abbiamo confrontato i dati: è emerso che i nostri ragazzi non sono i migliori, ma neppure i peggiori. Non possono misurarsi con alcune realtà del Nord, ma reggono il confronto coi colleghi del Sud». I test hanno una sezione di logica, comprensione verbale, matematica, fisica e scienze. Andando sullo specifico, riguardo alla matematica, Cagliari figura al quart’ultimo posto, stessa posizione per scienze. Invece per matematica 2 (quella di livello più elevato) l’ateneo cittadino ne precede altri otto. Ma è dall’esame del punteggio medio finale che arrivano i dolori: «Cagliari si trova nella fascia bassa, seguita solo da Reggio Calabria, Basilicata, Sannio, Lecce, Napoli, Cosenza. Non raggiunge neppure il voto medio nazionale». In cifre: la prima della classe è Trieste, con 27, mentre Cagliari deve accontentarsi di un 17 - 18, che all’università non è proprio un voto brillantissimo. Conclusione: «Siamo indietro, soprattutto rispetto a certe città del Nord, che hanno scuole a carattere scientifico di livello decisamente superiore al nostro. E con una scarsa preparazione, anche le scelte dei futuri professionisti potrebbero essere viziate da ignoranza». Burriccus in aeternum. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 12 Sett. 06 SCUOLA SARDA BOCCIATA: ULTIMA IN ITALIA Un’indagine del ministero colloca l’isola in fondo alla classifica Il riepilogo delle valutazioni Invalsi, i test distribuiti dal ministero per valutare la qualità della scuola, pone gli istituti sardi all’ultimo posto tra le regioni italiane. Difficoltà sulle materie scientifiche Partono bene, ma si perdono per strada. Il percorso scolastico degli studenti sardi, che da dopodomani torneranno sui banchi, è fatto di alti e bassi. Soprattutto bassi. Tanto da far piombare le scuole sarde agli ultimi posti delle graduatorie nazionali sul grado di preparazione degli studenti e sulla qualità dell’istruzione. A dirlo è un’indagine del ministero della Pubblica istruzione, resa nota ieri dal Sole 24-Ore, che ha raccolto le valutazioni Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione), ossia i test somministrati agli studenti negli istituti italiani per dare una pagella alla qualità della scuola. L’indagineIl ministero ha messo insieme tutte le schede di valutazione distribuite lo scorso anno nelle scuole italiane. Dall’indagine emerge una chiara frattura tra il Nord e il Sud del paese, soprattutto se si guarda con attenzione alle materie scientifiche. E la Sardegna si colloca agli ultimi posti della graduatoria nazionale, anche se le scuole elementari e quelle medie mantengono punteggi non troppo distanti dal dato complessivo. Alle elementari, gli studenti sardi soffrono più per le materie letterarie (il punteggio è di 76,92 su 100 contro l’84,62 dell’intero paese) che per quelle scientifiche (60,71 in matematica e 84,62 in scienze, mentre i dati nazionali fanno segnare rispettivamente il 67,86 e 88,46 su 100), in controtendenza con quanto avviene a livello nazionale. La media nell’isola, alle elementari, si attesta a 75,11 su 100, mentre la media nazionale è di 79,86. Alle medie, i risultati cambiano: la Sardegna, infatti, finisce per essere in linea con i dati nazionali per quanto riguarda l’italiano (60 su 100 in entrambi i casi), mentre la matematica (43,33 su 100) e le scienze (57,69) creano problemi: la media nazionale infatti si attesta su 50 su 100 per quanto riguarda la matematica e 57,69 per le scienze. Alle superiori, infine, i punteggi dell’Invalsi segnano 30 su 100 per la matematica e 38,34 per le scienze, mentre le medie nazionali arrivano rispettivamente a 38,33 e 41,66. Anche in italiano i diplomandi isolani soffrono e non vanno oltre un punteggio di 41,67 su 100 contro i 47,22 della media nazionale. Infine, i capoluoghi delle vecchie province sono agli ultimi posti della graduatoria, con Sassari ultima (punteggio di 37 su 100), Oristano in terzultima posizione (36,93), Nuoro al 100° posto (39,91) e Cagliari al 99° (40,05). L’analisiIl problema, dunque, è serio, per quanto lo stesso ministero abbia dubbi sull’Invalsi. Tanto che il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni ha già deciso di rimettere mano al sistema di valutazione. C’è però da dire che spesso i test, soprattutto nelle scuole superiori, vengono presi sottogamba dagli studenti, anche se poi le prove di ammissione all’Università (lo scorso anno appena quattro sardi su venti superarono il test di ammissione in Odontoiatria) li riportano alla realtà. Nonostante i progressi degli ultimi anni sul fronte della dispersione scolastica, la qualità dell’istruzione non cresce. Lo riconosce lo stesso direttore dell’Ufficio scolastico regionale Armando Pietrella, che ricorda le percentuali di abbandono delle lezioni appena cinque anni fa: il 30 per cento degli studenti non andava a scuola. Ora, quel dato è sceso al 23 per cento, ad appena due punti di distanza dalla media nazionale (21%). «In ogni caso», spiega Pietrella, «il quadro tracciato dal Sole-24Ore registra una situazione che denuncio da tempo». Serve un maggiore coinvolgimento delle famiglie «per far sì che gli studenti non solo vadano a scuola, ma studino anche di più e meglio», aggiunge Pietrella. La strada da fare è lunga: si devono migliorare ad esempio gli insegnamenti scientifici, «spesso troppo teorici», osserva la massima autorità scolastica regionale, «ma anche abituare i ragazzi all’utilizzo dei test come metodo di valutazione». Un primo passo è stato già fatto: quest’anno, le matricole dell’Università di Cagliari saranno seguite da tutor e potranno frequentare corsi di ripasso delle materie scientifiche. È un primo passo per scalare le classifiche e mettersi al passo con il resto del paese. Insomma, studiare di più, ma anche meglio. E per fare questo, conclude Pietrella, non è possibile mantenere in vita le «microscuole che offrono poco sul fronte della qualità. Meglio fare qualche chilometro per andare a scuola, ma frequentare un istituto dove gli insegnanti siano di ruolo e che offrano garanzie di qualità». Giuseppe Deiana ____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 23 Sett. 06 TUTTO CAMBIA, MISTRETTA RIMANE Il veterano. Al via l'anno accademico 2006-2007. Il quindicesimo per il “magnifico ” cagliaritano «La mia sfida è l'azienda mista» Ma il rettore precisa: «Piena autonomia per lo svolgimento della ricerca scientifica» la funzionalità cliniche e biomediche ed il terzo sul personale », per il quale il rettore rivendica, almeno per la componente universitaria, «piena autonomia per lo svolgimento della ricerca scientifica all’i nterno del sistema». E dalle cure del fisico a quelle del sapere il passo, al Rettorato, è breve. In base agli studi nazionali Pisa gli studenti sardi giacciono in fondo alla classifica delle conoscenze di base. E per Mistretta questo è «un dato allarmante che evidenzia un problema so- Ennio Neri ca g l i a r i @ e p o l i s Azienda mista, miglioramento della preparazione di base degli studenti e potenziamento della ricerca scientifica. Attorno a questi tre poli gravitano le riflessioni del rettore cagliaritano Pasquale Mistretta, giunto al 15° anno della sua gestione. Comodo e sicuro nella sua poltrona, Mistretta ha illustrato ieri le novità dell'anno accademico 2006- 2007. In primis l'avvio dell'Azienda mista, previsto a gennaio, poi le altre sfide dell'Ateneo: l'incremento del livello delle conoscenze di base degli studenti e la ricerca scientifica. E tutto con un fiore rosa all'occhiello sulla giacca del Rettore. Il boom delle donne in facoltà. È UNA SFIDA complicata per Pasquale Mistretta quella dell'azienda mista tra Università e azienda ospedaliera. C'è una data ora, i primi di gennaio, e c'è un dato: si dovrà attendere l'approvazione del piano sanitario regionale, in aula, forse, a metà ottobre. «In un incontro profi- cuo con l'assessore della Sanità, Nerina Dirindin», ha detto Mistretta, «abbiamo deciso di includere il progetto dell'Azienda mista all'interno del piano sanitario regionale, attivando intanto tre tavoli tecnici. Il primo relativo alle questioni economiche e giuridiche, il secondo per ciale da non sottovalutare, in quanto le difficoltà e i disagi pe r la formazione coinvolgono l’intera società, compresi genitori ed insegnanti. Per questa ragione l'Università ha messo a disposizione un bando di 180.000 euro per instaurare un dialogo più forte fra studenti e corpo docente. Anche per questo», prosegue, «ho firmato col direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale Armando Pietrella, un protocollo d’in t es a per un programma comune, volto a consentire alle matricole di orientarsi nella scelta del corso di studi e delle attività integrative e di acquisire», sottolinea Mistretta, «mediante le discipline integrative, quei saperi necessari per iniziare pro- ficuamente il percorso di studi, beneficiando dell’assistenza tutoriale ». MA DI BEN altra collocazione gode invece l'università cagliaritana nella "Graduatoria di Shanghai", la classifica che annovera le prime cinquecento facoltà al mondo. Cagliari si conferma al 18° posto a livello nazionale, mantenendo «stabile» la posizione, formulata sull a qualità della formazione e i prodotti della ricerca. E poi le donne. I dati confermano come il gentil sesso stia invadendo le aule dell'Ateneo. «Le donne studiano di più e meglio», h a detto il rettore, «e sono più codificate nello studio. Molto h a fatto, a partire dagli anni ottanta, l’emancipazione femminile e la liberazione dei costumi». E sulle file in segreteria il rettore ha troncato le polemiche: «Le pratiche si possono fare on- line. Gli studenti si fidino». ======================================================= __________________________________________________ Il Riformista 27 sett. 06 I SOLDI DEGLI ATENEI PER LA SANITÀ IL PARADOSSO DEI NOSTRI POLICLINICI UNIVERSITA. SENZA FONDI E DI ALESSANDRO FIGA TALAINANCA E difficile intervenire sull'università dopo il bellissimo saggio in tre puntate di Alberto Abruzzese, pubblicato alla fine di agosto su queste colonne. La tesi di Abruzzese, efficacemente argomentata, è che i principi fondatori del sistema universitario, in Italia come nel resto del mondo, siano entrati in una crisi totale e irreversibile. Non servono a nulla quindi le richieste di maggiore attenzione (e più cospicui finanziamenti) che il mondo accademico rivolge continuamente alla politica, né i molti tentativi di adeguare la realtà italiana a modelli "internazionali" che soffrono della stessa irreversibile crisi. La risposta può solo venire da profondi ripensamenti che Abruzzese affiderebbe a una mitica Fondazione Due, che lavorerebbe (e forse, in segreto, sta già lavorando) per rifondare il sistema con idee talmente nuove che non siamo nemmeno in grado di anticiparle. La tesi è certamente avvincente, se non del tutto convincente. Ma a chi, come il sottoscritto, non partecipa al lavoro segreto della Fondazione Due, non resta che continuare, nel tentativo forse completamente inutile, di proporre e discutere piccoli passi per migliorare (ammesso che questo verbo abbia ancora senso) il sistema. A malincuore, dobbiamo quindi prescindere dalla tesi molto attraente di Abruzzese, per tornare a discutere sull'azione del governo e del ministro Mussi. In questo quadro terra-terra, mi sia consentita un'autocitazione. In un mio articolo apparso, su queste colonne, il 4 maggio scorso, alla vigilia della formazione del governo, si diceva testualmente: «Un dato macroscopico mancante [sul sistema universitario] è una stima precisa del contributo indiretto che il sistema universitario fornisce al sistema sanitario nazionale, attraverso l'opera del personale sanitario inquadrato nei ruoli universitari e l'utilizzazione di attrezzature acquisite con fondi per la didattica e la ricerca». Non oso presumere che il ministro abbia letto il mio articolo. Ma certamente egli si è mosso nella direzione da me auspicata, incaricando il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, di svolgere «una analisi approfondita per valutare le quote di attività [delle facoltà di medicina e chirurgia] attribuibili a funzioni prettamente assistenziali e, per questo motivo, impropriamente sostenute con il finanziamento ordinario delle università». Vale la pena di chiarire che il problema che il ministro ha affrontato non è irrilevante in termini finanziari, perché come afferma lo stesso ministro, il costo dei soli stipendi del personale universitario impegnato anche in attività assistenziali raggiunge un miliardo di euro. Non è nemmeno irrilevante dal punto di vista politico perché pone l'accento sull'acquisizione di dati che consentiranno una migliore utilizzazione di risorse attualmente impegnate da due ministeri per le stesse finalità, con il pericolo di inutili duplicazioni. Dobbiamo a questo punto chiederci per quale ragione l’«analisi approfondita» che il ministro chiede oggi non sia mai stata fatta prima. Come mai i rettori che, negli ultimi anni, non hanno fatto altro che piangere miseria e invocare più cospicui finanziamenti non hanno mai fatto presente al mondo politico che una parte non indifferente del finanziamento delle università andava in effetti al sistema sanitario nazionale? Come mai chi è sempre pronto a invocare il confronto con l'America, non ha mai detto, ad esempio, che negli Stati Uniti le facoltà di medicina costituiscono, per le università che le ospitano, una fonte d'entrata ben superiore al costi, e che le entrate in eccedenza vanno spesso a finanziare le facoltà più povere delle stesse sedi universitarie? AL contrario, in Italia, le università che stanno boccheggiando per mancanza di fondi, sono quelle che gestiscono giganteschi policlinici. La spiegazione di questa reticenza è semplice. Fino a ieri, i rettori temevano che anche una semplice analisi, come quella che il ministro ha richiesto, avrebbe finito per incidere su una male intesa «autonomia» delle facoltà di medicina. Se l'assistenza medica fornita dalle sedi universitarie deve essere conteggiata, se non pagata, da fonti diverse da quelle del finanziamento ordinario, è naturale che questo servizio sia pienamente inserito nella programmazione regionale e nazionale della sanità. Non si potrà più eludere l'esigenza di programmazione invocando l'autonomia della scienza e della cultura. Bisogna allora riconoscere che la prima mossa nella direzione giusta è stata fatta proprio dal presidente della Conferenza dei rettori Guido Trombetti, il quale, a differenza dei suoi predecessori, ha direttamente affrontato il problema, chiedendo esplicitamente che si calcolasse il contributo che le università danno al sistema sanitario, e accettando implicitamente che questo contributo sia soggetto a una programmazione nazionale e regionale. AL di là delle chiacchiere sull'autonomia, o delle invocazioni dell'intervento salvifico del "dio mercato", al di là dei confusi progetti di una miracolosa «agenzia esterna di valutazione», ecco quindi, per merito del professor Trombetti e dell'onorevole Mussi, un passo concreto verso una razionalizzazione della spesa che può portare vantaggi alle università e al sistema sanitario e quindi a tutti i cittadini. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Sett. 06 FAA: SELEZIONE MIGLIORE E PIÙ MATRICOLE Nel futuro di Medicina In riferimento alle recenti lettere pubblicate in relazione ai Test di Medicina, preciso che la Facoltà di Medicina e Chirurgia, ha già preso atto degli insoddisfacenti risultati degli studenti sardi. Infatti già da un paio di anni, sono operative alcune commissioni tese a verificare la possibilità e necessità di integrare i normali programmi scolastici con materie di settori disciplinari di cui si è riconosciuta la criticità. Il progetto, da attuare in collaborazione con le scuole medie superiori dell'Isola, prevede corsi orientativi e di preparazione ai quiz d'ingresso, tesi a migliorare le performances dei possibili futuri iscritti ai nostri corsi di laurea. Il numero chiuso, previsto e quantificato dal Ministero dell'Università e della ricerca scientifica per ogni sede universitaria, rimane comunque una misura indispensabile a garantire, in rapporto alla quantità-qualità, un buon inserimento lavorativo ai futuri medici isolani. È pur vero che il sistema di selezione è perfettibile; infatti, l'attuale selezione, così come è strutturata, è difficilmente indicativa delle attitudini dei candidati a intraprendere la professione medica. Bisogna ragionare su nuove modalità di selezione per individuare e scoprire veramente chi vale attraverso prove di ammissione che diano il riscontro reale della propensione allo studio della Medicina. Io stesso auspico che per i prossimi anni accademici vengano presi in considerazione anche altri parametri, e non ultimo un curriculum indicativo della carriera scolastica dello studente relativamente agli ultimi tre anni di scuola media superiore, in modo da assicurare agli studenti una valutazione più oggettiva. Infine, è proposito della Facoltà riuscire ad aumentare al più presto possibile il numero delle matricole da 170 a 200. Gavino Faa Preside della Facoltà di Medicina Università di Cagliari ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 06 CAGLIARI: PLATONE DÀ UNA MANO A IPPOCRATE Università. Per la prima volta nella storia dell’Ateneo cagliaritano un corso di Filosofia della medicina Gavino Faa: dobbiamo fare i conti con la bioetica Per la prima volta nei 380 anni di vita dell’Ateneo si inaugura questo pomeriggio il corso universitario di Filosofia della Medicina. Lo frequenteranno 34 studenti di diverse facoltà, dando così corpo a un progetto sul quale da anni è impegnato il preside di Medicina, Gavino Faa, direttore dell’Istituto di Anatomia patologica impegnato soprattutto nella ricerca scientifica ma anche molto attento alle trasformazioni culturali e sociali della professione medica. «Da tempo-spiega il professor Faa, 54 anni, da quattro preside - sento l’esigenza di riflettere sul modo di fare il medico. Ci spinge su questa frontiera non soltanto la centralità delle questioni bioetiche, a partire dalla questione della ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma una riflessione più complessiva. Vedo intorno a me uomini e donne che corrono troppo, assorbiti dalla routine dell’ambulatorio, della sala operatoria, del laboratorio». C’è forse troppo mercantilismo nella professione? «Al di là di questo aspetto, sento il bisogno di rifettere su ciò che facciamo e su come lo facciamo. Torna prepotente la lezione di Karl Popper, straordinario filosofo, e la necessità che il progresso della scienza si fondi sulla falsificazione delle verità accertate. Popper ci insegna che la conferma delle verità date, ad esempio la classificazione dei cigni di colore bianco, non fa progredire la scienza, mentre la scoperta di un cigno nero, falsificando le precedenti verità, consente la svolta». Ma da quando la medicina si occupa di cigni? «L’immagine mi fa pensare ai tanti clinici che hanno pazienti inquadrati in certe malattie, e tendono a confermare il quadro noto piuttosto che a porsi dal punto di vista del paziente. Popper ci insegna a cercare il cigno nero, a scoprire il caso nuovo, quello diverso da quelli conosciuti e descritti in precedenza». Lei propone la messa in discussione delle certezze acquisite, una rivoluzione copernicana della medicina... «È in atto una profonda trasformazione, e noi dobbiamo esserne all’altezza. Nel mio lavoro di ricercatore ogni mattina devo osservare i risultati delle biopsie, dare i nomi a eventuali tumori. Uso le classificazioni esistenti, ma il mio obiettivo è di scoprire la diversità, il tumore diverso, non ancora conosciuto. Allo stesso modo sta cambiando a medicina, che va mettendo al centro non già il medico e il suo rapporto con l’organo malato, ma il paziente, la sua sofferenza, la sua capacità di partecipare attivamente alla guarigione». I medici sono pronti a questa trasformazione? «Non possono farne a meno, e non soltanto per le rivendicazioni dei pazienti e di organizzazioni che fanno da portavoce ai malati. In realtà sono cambiate le patologie, con la diminuzione dei casi acuti e la crescita di patologie croniche, quali quelle cardiovascolari e la depressione, vera e propria epidemia del Duemila. Per combattere queste malattie è fondamentale la comunicazione, la collaborazione, la condivisione di decisioni fra medico e paziente. Fondamentale è come dimostra spesso il successo di medicine alternative, la motivazione alla guarigione dell’individuo malato. Ecco perché non è più sufficiente la preparazione classica del medico». Vuole forse trasformare i camici bianchi in psicologi o filosofi? «Non fraintendiamo. Non si può né si deve abbandonare la medicina tradizionale, tanto che ho inserito già al primo anno un corso di pronto soccorso, per dare strumenti immediati di interventi nelle patologie acute. Il nodo vero è che il medico deve guardare non più soltanto all’organo malato ma al paziente nella sua interezza, che deve diventare protagonista della sua guarigione. Certo, tutto questo presuppone ospedali funzionanti, senza brande in corsia o scarsità di personale, ma al di là e insieme agli aspetti tecnici occorre una poderosa svolta culturale». Ed ecco nascere un corso nel quale docenti di filosofia e pedagogia quali Antonio Cadeddu, Alberto Granese e Giancarlo Nonnoi siedono a fianco di storici della medicina come Alessandro Riva, medici legali come Ernesto D’Aloja, psicologi come Pietro Rutelli, pediatri come Vassilios Fanos, capace di tenere insieme la terapia intensiva di neonati prematuri del peso di cinquecento grammi e il rapporto con le loro mamme. Originale, anche se non inedito, è l’utilizzo di un percorso cinematografico a fianco dei seminari classici. «C’è dietro anche un pezzo della mia formazione giovanile nei circoli del cinema-ricorda ancora il professor Faa- ma soprattutto un’intuizione del professor D’Aloja, che ha insistito su questo strumento di analisi e discussione». E c’è un altro elemento: un’interdisciplinarietà spesso evocata ma raramente praticata. Platone e Ippocrate tornano finalmente a braccetto. Giancarlo Ghirra ____________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Sett. 06 Oggi Alberto Granese ARTE SCIENZA FILOSOFIA: NOVE ANTIPASTI PER LA NOSTRA MENTE "Platone aiuta Ippocrate. Seminari di Filosofia in Medicina, ovvero nove antipasti per la mente fra filosofia, cinema e realtà per studenti e dottori non solo in Medicina". Ha questo lungo titolo il corso di Filosofia della medicina che il preside della facoltà di Scienze della formazione Alberto Granese aprirà questo pomeriggio alle 18 nell’Aula Costa di Anatomia patologica con un seminario introduttivo condotto insieme al professor Antonio Cadeddu. La lezione sarà incentrata sulla "Medicina fra arte, scienza e filosofia: profili umanistici della pratica". Il secondo seminario sarà tenuto giovedì 21 settembre dal professor Ernesto D’Aloja (Medicina legale), che spiegherà "Scopi e limiti della medicina". Il 28 settembre sarà la volta del professore di Anatomia Alessandro Riva ("Dall’olismo al riduzionismo"), mentre il 5 ottobre il professor Mauro Carta (Psichiatria) terrà un seminario sul passaggio "Dalla medicina centrata sull’organo alla medicina centrata sul paziente: considerazioni filosofiche". Sarà proprio un professore di Filosofia, Giancarlo Nonnoi, a tenere il 19 ottobre il seminario conclusivo, seguito d una tavola rotonda con tutti i relatori su "Epistemologia e fondamenti filosofici in medicina". Altro appuntamento quello del 12 ottobre, quando il professor Vaissilios Fanos (Pediatria) terrà il seminario su "Madre e neonato nel mondo antico fra filosofia, medicina e società". Fanos è anche il responsabile scientifico della discussione su "Blade runner", uno dei tre film intorno al quale sono previste discussioni sui temi analizzati nei seminari. Le altre due pellicole sono "Le invasioni barbariche" (responsabile scientifico per la discussione il professor Nonnoi) e "Gattaca" (responsabile scientifico il professor D’Aloja). Ognuna delle facoltà interessate (Medicina, Filosofia, Lettere, Scienze della formazione) definirà quanti crediti assegnare ai 34 partecipanti al corso, che sono stati selezionati attraverso un bando. «I risultati attesi - spiegano gli organizzatori - sono ambiziosi. In particolare, si punta a far sì che studenti, medici, operatori sanitari siano in grado di avvicinarsi al mondo del malato e al suo modo di rappresentare la propria condizione. L’obiettivo è far sì che ogni operatore consideri il malato non solo come un corpo da curare e possibilmente guarire ma un io alla ricerca di un equilibrio diverso». G.G. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Sett. 06 TEST SOSPETTO IN MEDICINA: ESPOSTO DI MAIDA Un test al di sotto di ogni sospetto. È quello che si è svolto il 5 settembre all'Università di Sassari per accedere alla Facoltà di Medicina. Il rettore, Alessandro Maida, ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica «per chiedere che siano svolti tutti gli accertamenti necessari a verificare la regolarità delle prove concorsuali». All'esposto saranno allegate le lettere anonime e i documenti firmati con i quali sono state segnalate presunte irregolarità nello svolgimento del test. L'esposto, preparato dall'ufficio legale dell'Ateneo, sarà questa mattina sulla scrivania del Procuratore della Repubblica Giuseppe Porqueddu, che già ieri è stato informato telefonicamente dal Rettore. La commissione concorsuale, presieduta dal professor Giuseppe Delitala, sta esaminando proprio in questi giorni i test svolti dai 583 candidati che si contendono i 100 posti disponibili. Fra le segnalazioni giunte al Rettore, alcune lettere che denunciavano la presenza in aula di genitori e parenti dei candidati, ufficialmente anche loro impegnati nei test, in realtà, secondo voci malevole, impegnati a fornire sostegno non solo morale ai propri congiunti. Il test d'ingresso è stato istituito sei anni fa insieme al numero chiuso per limitare la corsa all'iscrizione alla facoltà di Medicina nonostante le opportunità professionali abbiano subìto una forte contrazione. Da sempre sono caratterizzati da sospetti ispirati per lo più dalla partecipazione di «figli d'arte», non sempre all'altezza dei loro genitori ma idonei per accedere al primo anno di Medicina. Il rettore ha comunicato ufficialmente la sua decisione di presentare un esposto alla Procura nel suo intervento che ieri mattina ha aperto, nell'aula magna della Facoltà di Scienze, la Seconda conferenza sulla didattica. Gibi Puggioni ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 Sett. 06 GLI STUDENTI: IL TEST PER MEDICINA DI SASSARI DEVE ESSERE ANNULLATO» Il Forum degli studenti chiede trasparenza SASSARI. Il Forum degli studenti chiede l’annullamento del concorso per l’ammissione al numero chiuso della facoltà di Medicina. L’iniziativa arriva dopo l’annuncio del rettore Alessandro Maida che l’università farà un esposto alla Procura della Repubblica per verificare la regolarità della prova basata su test scientifici. Il preside della facoltà Giulio Rosati: «Il numero chiuso è assurdo, viola i diritti dei cittadini». Pagina 19 - Sassari Si allarga a macchia d’olio la polemica sui test per l’accesso alla facoltà di Medicina «Chiediamo l’annullamento del concorso» Il Forum degli studenti vuole trasparenza Giulio Rosati: «Il numero chiuso è assurdo» SASSARI. «Visto che il rettore ha deciso di rivolgersi al magistrato perchè faccia chiarezza sullo svolgimento dei test di accesso a Medicina ci aspettiamo che il concorso venga annullato». Non fa che allargarsi a macchia d’olio la polemica sulle irregolarità che si sarebbero verificate durante la prova di selezione per diventare futuri medici. Dopo le tante segnalazioni di studenti esclusi dalla graduatoria arriva la presa di posizione del Forum degli studenti dell’università di Sassari. Mentre il preside della facoltà Giulio Rosati commenta: «Il numero chiuso è una follia». Come già l’anno scorso l’ormai famigerato test di accesso, che si è svolto a Sassari il 5 settembre, ha provocato una valanga di proteste per il modo in cui le prove si sono tenute. Un esame “burla” così è stato definito da parecchi candidati che hanno riferito della presenza di cinquantenni e sessantenni, alcuni dei quali noti medici, impegnati a rispondere alle domande elencate nella scheda per conto di figli e nipoti. Si è parlato con indignazione della totale mancanza di qualunque tipo di sorveglianza sulle comunicazioni fra candidati e fra i candidati e l’esterno attraverso telefoni cellulari non requisiti all’ingresso. In molti hanno dedotto che la selezione non si è svolta all’insegna dell’equità e che diversi aspiranti studenti sono stati largamente avvantaggiati rispetto a chi non si era portato l’esperto da casa o ce l’aveva in collegamenti via cavo. Sulla scorta delle tantissime segnalazioni giunte anche in rettorato Alessandro Maida ha annunciato che l’università, con il conforto dell’avvocato di fiducia dell’ateneo, ha deliberato di presentare un esposto alla Procura della Repubblica «in modo che venga verificato se nello svolgimento della prova si siano verificate irregolarità». Una decisione confermata anche ieri davanti agli studenti nel corso della conferenza sulla didattica. «Se il rettore ha deciso di compiere un passo del genere - afferma Simone Campus, componente del Forum - evidentemente è in possesso di informazioni su violazioni relative al concorso. In questo caso la conseguenza più logica sarebbe l’annullamento della prova». E gli studenti alzano il tiro aggiungendo che al momento opportuno visioneranno gli atti depositati e chiederanno loro stessi l’annullamento. Un polverone che non sembra destinato a placarsi. Sulla spinosa questione interviene anche il preside della facoltà di Medicina Giulio Rosati. «La decisione di rivolgerci alla magistratura - dice - è stata presa l’altro giorno in una riunione alla quale hanno partecipato anche i presidenti dei corsi di laurea. La necessità è quella di difenderci da atteggiamenti incivili che si sono ripetutamente verificati durante le prove, considerata anche l’impossibilità di vigilare capillarmente sulla massa di candidati, quest’anno quasi seicento. Un medico anziano si presenta in aula per rispondere ai test? Non è detto che i commissari lo conoscano, d’altra parte nelle segreterie al momento dell’iscrizione viene chiesto soltanto il titolo della maturità. L’intenzione, per il prossimo anno, è di verificare anche l’eventuale conseguimento di una laurea. La verità - conclude Rosati - è che il numero chiuso è un provvedimento assurdo. Non è vero che i medici in Italia sono troppi, inoltre è profondamente ingiusto negare ai cittadini il sacrosanto diritto di diventare medici». Sulla inutilità del numero chiuso è d’accordo anche Simone Campus («accesso limitato, aumento delle tasse e impoverimento dei servizi: quella delle professioni sanitarie è sempre più una casta chiusa») ma sulla questione dell’esposto le frecciate all’estabilishment universitario non mancano: «Insomma, l’impressione è che il provvedimento invece che tutelare gli studenti penalizzati serva piuttosto a proteggere una commissione che non è stata in grado di garantire una vigilanza adeguata e il conseguente principio di equità. Noi comunque su questo increscioso episodio non abbasseremo la guardia». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 Sett. 06 GIULIO ROSATI: «STOP AI TAGLI ALLA SANITÀ» SASSARI. Sanità e Università: forze di un territorio in crisi, per colpa di chi «non si rende conto dell’importanza degli investimenti. Per raggiungere l’eccellenza bisogna agire per ottenere il migliore risultato possibile per la singola persona». Giulio Rosati, preside della facoltà di Medicina, ha bacchettato la Regione «che va contro quanto dice lo stesso assessore alla Sanità. I tagli ai finanziamenti non vanno d’accordo con l’urgenza di adeguare il patrimonio tecnologico. Che, a Sassari, è in preda al tracollo totale. È impensabile avviare una politica di contenimento delle spese senza avviare contemporaneamente un progetto per l’elevazione della qualità dell’assistenza». A farne le spese sono i pazienti ma anche i medici. «Sempre più demotivati - ha detto Rosati -, convivono con l’ansia di operare in condizioni precarie». Anche per patologie gravissime, alla Asl 1 mancano le strumentazioni: «Doveva arrivare la Pet per la diagnosi tumorale, invece i pazienti sono obbligati ad andare a Cagliari o a Milano. È ora che la Regione si attivi per fare crescere il nostro territorio, tanto conclamato polo d’eccellenza». (si. sa.) ____________________________________________________ L’Unione Sarda 29 Sett. 06 STUDENTI E NEO LAUREATI: «NO AI TAGLI ALLE SPECIALIZZAZIONI IN MEDICINA» Sono novantotto i giovani laureati in Medicina e Chirurgia rimasti senza borsa di studio per frequentare le scuole di specializzazione dell'università di Cagliari. Rischiano che il loro percorso didattico-formativo rimanga interrotto. Neo laureati, ma anche chi la laurea l'ha presa negli anni scorsi, si sono ritrovati nell'aula di Anatomia patologica dell'ospedale San Giovanni di Dio per un'assemblea che è servita a fare il punto della situazione. Sono state avanzate nuove proposte, e mosse delle critiche alla Regione per il taglio delle borse. All'incontro, promosso dai rappresentanti degli studenti della facoltà di Medicina (Giuseppe Frau e Lorenzo Espa Università per gli studenti, e Fabio Medas per il gruppo Ichnusa) nel consiglio di amministrazione dell'ateneo, hanno partecipato anche il rettore, Pasquale Mistretta, e il preside di Medicina, Gavino Faa. Nell'introduzione ai lavori i rappresentanti hanno ricordato i numeri. Quest'anno la Regione, a fronte delle 98 borse assegnate all'università di Cagliari dal ministero per la Salute, ne ha fornito soltanto 40, per un totale di 138 borse complessive. Ma gli aspiranti a un posto i scuola di specializzazione sono risultati 236. «Negli anni passati - hanno spiegato - il numero di borse concesse dall'assessorato alla Sanità era nettamente superiore: si è passati dalle 72 borse del 2004 alle 56 del 2005 fino ad arrivare alle 40 di quest'anno». La graduale riduzione preoccupa non poco chi ha già in tasca la laurea, ma anche chi sta per completare il percorso di studi universitario. Accanto ai malumori e alle critiche ai tagli della Regione, anche una proposta per le future azioni: creare un fronte comune tra studenti che si stanno laureando, specializzandi e spacializzati. «Si tratta - hanno continuato i rappresentanti - di un problema che riguarda tutti». Mistretta, nel suo intervento, ha ricordato che la questione è importante soprattutto perché all'orizzonte c'è la nascita dell'Azienda mista (probabilmente i primi mesi del 2007): «Sarà un'occasione di crescita professionale per gli studenti, ma anche per gli specializzandi», ha sottolineato il rettore. Gli studenti si sono dati appuntamento per una nuova assemblea a giovedì prossimo (alle 18 sempre nell'aula di Anatomia). Saranno presenti tutte le parti interessate. Invitati, come l'ultima volta, anche l'assessore Dirindin e il presidente Renato Soru. (m. v.) _____________________________________________________________ ItaliaOggi 28-09-2006 SANITÀ, STOP ALL'EQUIPOLLENZA UN FUTURO DIVISO PER FISIOTERAPIA E SCIENZE MOTORIE Patta (Salute) e Dalla Chiesa (Miur) mettono i paletti sui percorsi universitari DI IGNAZIO MARINO Equipollenza tra la laurea in scienze motorie e quella in fisioterapia ha le ore contate. Dopo le dure critiche dei fisioterapisti dell'Aifi e la presentazione di più di un disegno di legge per l'abrogazione dell'articolo 1-septies della legge n. 27 del 3 febbraio 2006, scendono in campo due sottosegretari che potrebbero arrivare a una soluzione del problema in tempi brevi. Si tratta di Gian Paolo Patta (salute) e di Nando Dalla Chiesa (università e ricerca). Che l'altro ieri si sono incontrati presso il Miur per analizzare le problematiche di comune interesse tra l'amministrazione sanitaria e il ministero dell'università. Trai vari argomenti trattati, anche la questione dell'equipollenza tra le due lauree, disciplinata dall'art. 1-septies della legge n. 27 del 3 febbraio 2006, come reso noto da un comunicato stampa, «ha avuto una particolare evidenza nel fattivo appuntamento di lavoro tra i due sottosegretari». In particolare sono state esaminate le reali conseguenze della legge osservando che è la prima volta che due percorsi accademici, uno sanitario e uno non sanitario, vengono resi equipollenti da un provvedimento normativo. «Oltretutto,la laurea in Fisioterapia è direttamente abilitante all'esercizio della professione sanitaria di fisioterapista e una equipollenza ex lege non garantirebbe un'adeguata preparazione professionale con dirette conseguenze sulla salute dei cittadini. Va rilevato, inoltre, che i contenuti didattici del corso di laurea in scienze motorie non sono stati elaborati in osservanza del profilo professionale sanitario del fisioterapista e, dunque, assolutamente carenti dal punto di vista clinico e, soprattutto per quanto attiene al tirocinio professionalizzante, che risulta essere fondamentale nella formazione degli operatori sanitari». L'incontro si è quindi concluso con l'appoggio del ministero dell’università e della ricerca e del ministero della salute alla proposta di legge, d'iniziativa di Titti De Simone (Rifondazione comunista), che prevede l'abrogazione appunto dell'articolo 1-septies della legge n. 27 del 3 febbraio 2006. «La dichiarazione congiunta di Patta e Dalla Chiesa conferma ancora una volta l'inutilità dell'equipollenza, la sua potenziale dannosità, la necessità di abrogarla immediatamente». Commenta così Vincenzo Manigrasso,presidente dell’Aifi, Associazione italiana fisioterapisti. «Sappiamo che su questo tema», spiega una nota dell'Aifi, «è stato avviato un cielo di audizioni in VII commissione cultura della camera. Ma riteniamo che i tempi per giungere alla cancellazione della norma, approvata nella passata legislatura, siano stati fin troppo lunghi. Noi chiediamo che si arrivi in fretta alfabrogazione, senza perdere altro tempo prezioso». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Sett. 06 IL FARMACISTA È PIÙ RARO DEL MEDICINALE DA BANCO Il caso. L'aspirina arriva al supermercato ma all'università restano posti vacanti Su 120 posti a numero chiuso, hanno passato i test in 118. Ora si ripescano i bocciati Arrivano le aspirine nei supermercati. ma gli aspiranti farmacisti sono sempre di meno. E se da una parte la politica delle liberalizzazione apre il mercato del mondo farmaceutico, dall'altra l'Università di Cagliari è costretta a riciclare i non ammessi per coprire tutti i posti disponibili: 120 quelli stabiliti, per la facoltà del capoluogo, dal cosiddetto “nume ro chiuso”. In realtà alla prova di ammissione hanno partecipato circa 450 studenti, ma solo 118 hanno superato l'esame. Sulla carta solo due posti vacanti, ma in realtà i posti liberi sono più numerosi. Perché, come informa la stessa facoltà, non tutti i candidati che hanno passato la selezione hanno poi esercitato il diritto all' iscrizione. Ecco perché per una parte dei 330 bocciati alla selezione preliminare si riaprono le porte della facoltà. E la possibilità di diventare un futuro farmacista. LA RINUNCIA da parte degli ammessi può essere causata da diversi fattori. Ad esempio, la possibilità di intraprendere una carriera universitaria con più facili sbocchi professionali. Ma anche lo spettro di un futuro di disoccupazione o sottoccupazione per quelli che sperano di diventare titolari di un esercizio. In Italia le norme prevedono una farmacia ogni 5 mila abitanti nei comuni con una popolazione fino a 12.500 abitanti, mentre nei comuni più grandi è possibile realizzare una farmacia ogni 4 mila abitanti. La legge stabilisce anche la distanza minima tra un'attività e l'altra, fissata almeno a 200 metri. A Cagliari le farmacie sono 48, circa 200 in tutta la provincia. In città, tenuto conto del progressivo spopolamento, la possibilità di aprire nuove attività è molto remota. Il perché lo spiega Paolo Diana, presidente provinciale dei farmacisti: «Il numero di farmacie operanti nel territorio di Cagliari è già superiore rispetto alla popolazione attuale ». Meglio rinunciare quindi al sogno di diventare farmacista? Niente affatto. Per Diana, la riapertura delle ammissioni al corso di Farmacia dell'Ateneo cagliaritano, non significa sfiducia nella professione: «Il numero degli aspiranti farmacisti è sempre elevato. La rinuncia da parte di alcuni è dovuta al fatto che gli studenti che desiderano intraprendere studi in campo scientifico “t en ta no ” tutti i test e poi, in base al risultato, decidono dove iscriversi ». Scettico anche sullo spauracchio della disoccupazione: «La professione del farmacista è quella che da lavoro entro sei mesi dalla laurea». Farmacie, ma non solo. Si può trovare impiego nelle Asl, negli ospedali o in campo industriale.Ma il presidente precisa: «Al sud le cose sono più complicate, il mercato non è in grado di assorbire domanda e offerta. Il risultato del test e la conseguente disponibilità dei posti lo conferma: 120 sono troppi» __________________________________________________ il Giornale 30/09/2006 BARCELLONA VALORIZZA L'IMPIEGO DEGLI STENT METALLICI AL CONGRESSO Di CARDIOLOGIA Gloria 8accani L’ allungamento della vita del nostro tempo è il risultato di molteplici fattori: scoperte mediche, chirurgiche, tecnologiche; interventi di sanità pubblica; determinanti culturali ed altro ancora. Un posto fondamentale è occupato dalla innovatività nel trattamento di alcune importanti patologie. Nell'ambito delle malattie cardiovascolari, la cardiologia ha subito negli ultimi anni uno sviluppo straordinario, sviluppando oltre al settore tradizionale diagnostico, quello cosiddetto Interventistico, che di anno in anno evita in un numero sempre più grande di pazienti la necessità di un intervento chirurgico a cuore aperto. Basti pensare al ruolo fondamentale che oggi ha assunto l’angioplastica nell'infarto, del miocardio, la cui prima scelta terapeutica era un tempo esclusivamente affidata alla, terapia medica e, nei casi più complicati, all'intervento cardiochirurgico. Mediante l’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA) con impianto di stent è possibile liberare l'arteria coronaria malata dalla placca aterosclerotica che ne ostruisce il flusso e può provocare l'infarto del miocardio, tante volte ancora fatale. Negli ultimi quindici anni, l'utilizzo di questa metodica ha, avuto ima crescita esponenziale, non senza complicanze, come il rischio di restenosi, cioè la riformazione della placca ostruente il lume del vaso. Per ridurre il fenomeno della restenosi attualmente si utilizzano prevalentemente stent a rilascio di farmaco detti «medicati» (Drug Eluting Stent - DES), i quali hanno dimostrato una marcata riduzione della necessità, a breve termine, di una nuova rivascolarizzazione (con ulteriore intervento di angioplastica o di cardiochirurgia) rispetto agli stent non medicati, come evidenziato dallo studio RAVEL presentato al Congresso Europeo di Cardiologia di Stoccolma nel 2001. A cinque anni di distanza, però, durante il Congresso Mondiale di Cardiologia recentemente svoltosi a Barcellona (settembre 2006), sono state presentate due indipendenti metanalisi (studi che raggruppano a. loro volta decine di ricerche sullo stesso tema) che indicano per la prima volta che questi risultati potrebbero, a medio temine, avere un prezzo. Non solo, infatti, i DES hanno un costo economico sensibilmente più alto degli stent non medicati (BMS = bare metal stent) ma, a quattro anni dal trattamento con DES, i risultati di questi due studi confermano la riduzione a breve termine della, restenosi, però con un aumento significativo nel rischio, dopo i primi 12 mesi, di trombosi e di infarto del miocardio e quindi di mortalità, nel complesso dei pazienti studiati. II dibattito è stato molto acceso: secondo il prof. Salim Yusuf (Canada) si tratta di un risultato della massima importanza perché milioni di persone sono state trattate con DES senza conoscerne la sicurezza e l'efficacia a lungo termine. Uno dei due relatori, il prof. Alain Nordmann (Svizzera), ha infatti illustrato come in USA ed in Svizzera i DES costituiscano oggi più del 90% degli stent impiantati. Sarebbe probabilmente opportuno, ha avvertito l'altro brillante relatore, il prof. Edoardo Camenzind (Svizzera), prolungare, dopo l'impianto di DES, l'impiego della terapia combinata di farmaci anti aggreganti piastrinici, pur non esente dall'aumentato rischio emorragico. Un altro presidio a disposizione del cardiologo interventista potrà essere costituito dagli stent metallici non medicati di nuova generazione> ad alta tecnolog~'a (minimo profilo ed impatto endoteliale), come quelli al cromo-cobalto, anche di produzione italiana («Numen»). Per il prof. Remi Virmani (USA), si sta sottovalutando gravemente il problema; potrebbero essere gli stessi materiali utilizzati (come i polimeri) a ritardare il processo di guarigione e provocare l'infiammazione cronica dell'endotelio coronarico, determinando, nel medio termine, la maggior incidenza di eventi maggiori, quali trombosi e infarto del miocardio. «Finché non saranno pubblicati altri studi scientifici, questi dati - ci spiega il prof. Carlo Gaudio, Direttore del Dipartimento Cuore e Grossi Vasi dell'Università "La Sapienza" di Roma vanno visti oggi come un invito alla prudenza rispetto ad un uso indiscriminato ed assoluto di alcuni tipi di DES. L'importante - precisa Gaudio - è di ritornare ad un sereno e motivato giudizio clinico personalizzato per ciascun paziente sulla base delle sue caratteristiche, dei fattori di rischio, delle patologie associate e del tipo di lesioni coronariche individuate. Certamente pazienti diabetici e pazienti con lesioni multiple dei piccoli vasi continueranno a trarre benefici dagli stent medicati. Pertanto, gli studi presentati al recente Congresso Mondiale di Cardiologia devono rappresentare uno stimolo allo studio di nuove strategie terapeutiche nell'ottica di una medicina sempre più innovativa, che non deve però mai fare a meno della ricerca e del giudizio clinico degli operatori sanitari». ____________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 28 Sett. 06 MEDICI SARDI IN AGITAZIONE CONTRO LA DIRINDIN «È ora che i cittadini sappiano che la mancata soddisfazione della loro legittima aspettativa di salute non può essere attribuita alla volontà, all’i mpegno e alla professionalità dei medici e degli operatori sanitari, ma alla cronica carenza di risorse e all’insufficiente capacità programmatoria e manageriale ». L’intersindacale medic a (Anaao Assomed, Anpo, Cimo Asmd, Usmped, Cgil, Cisl e Uil Medici) contesta la politica sanitaria della Regione, elencando i programmi non realizzati dall’assessore Dirindin: sviluppo delle reti territoriale e oncologica, delle procedure di approccio alle malattie rare, d el l’organizzazione ospedaliera per le malattie cardiovascolari, l'approvazione del Piano sanitario, la soluzione ai problemi del precariato, l'istituzione delle Aziende miste. L’In t e r - sindacale denuncia la mancat a o parziale applicazione del contratto scaduto nel 2000 della dirigenza medica e veterinaria e anche quello del 2001-2005 e minaccia di proclamare lo stato di agitazione della categoria. ____________________________________________________ La Repubblica 19 Sett. 06 SÌ ALLA MERITOCRAZIA PER LA SALUTE Dopo il “caso Cognetti”, trenta professori, da Veronesi a Garattini, si dicono a favore dell’iniziativa del ministro lettera dei medici italiani alla Turco ROMA — Bandi di concorso e selezione basata sulla meritocrazia scientifica — da subito — per nominare i direttori degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Con la politica a fare un passo indietro. A chiedere più meritocrazia e meno politica, in una lunga lettera di appoggio e stima scritta al ministro della Salute Livia Turco, trenta tra i più conosciuti medici e docenti italiani. Da Umberto Veronesi, ex ministro e direttore scientifico dell’Istituto europeo di Oncologia a Luigi Frati, preside della Facoltà di Medicina de La Sapienza. Da Enrico Garaci, presidente dell’Istituto superiore di Sanità a Francesco Musumeci direttore di cardiochirugia del San Camillo di Roma a Silvio Garattini dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Solo per citarne alcuni, visto che l’elenco dei docenti e presidi di facoltà va da Chieti a Napoli, da Firenze a Reggio Emilia. La lettera arriva sull’onda delle polemiche provocate dal “caso Cognetti”. Polemiche scatenate prima dalla revoca da parte del ministro Turco dell’incarico al direttore dell’istituto Regina Elena Francesco Cognetti e di altri direttori scientifici: «nominati o riconfermati due giorni prima delle elezioni ». E rinfocolatesi nei giorni scorsi col reintegro del professore deciso dal consiglio di stato con un ordinanza nella quale si dice che, «data la natura dell’incarico di direttore scientifico, questa nomina non rientra nelle cariche amministrative per le quali si applica lo spoil system», in altri termini gli incarichi su base politica fatti dopo la vittoria alle elezioni. «Io voglio separare la politica dalla gestione sanitaria, per questo ho proposto il nuovo criterio che prevede un bando, una commissione presieduta da personalità scientifiche e poi il ministro che sceglierà entro una rosa di tre nomine », ha ripetuto nei giorni scorsi la Turco che ha sottolineato di aver ricevuto il plauso alla sua proposta persino dal professor Cognetti. E la lettera che ieri è arrivata dal mondo accademico e della ricerca va proprio in questa direzione. Professori, docenti, studiosi scrivono di essere preoccupati. Perché «il clamore suscitato dalla vicenda dell’istituto Regina Elena rischia di farci allontanare dai criteri con i quali, in ambito internazionale, si conferiscono incarichi dirigenziali negli istituti di ricerca». E per il ministro hanno solo parole di stima. «Con sensibilità lei si è fatta interprete di queste regole del mondo scientifico, proponendo che vi siano un bando e una selezione su criteri scientifici nell’ambito della quale, e non al di fuori di essa, la politica possa esercitare le sue corrette prerogative». I medici chiedono che questi criteri vengano messi in pratica da subito, a partire dall’istituto Regina Elena «con una selezione fondata sulle meritocrazia scientifica». (c.p.) Secondo i firmatari, non ci si deve allontanare dai criteri con i quali in ambito internazionale vengono conferiti gli incarichi ____________________________________________________ Corriere della Sera 16 Sett. 06 CURE ALL’ESTERO, LA CAMPANIA SPENDE PIÙ DI TUTTI L’Italia rimborsa 150 milioni l’anno per i viaggi della speranza. La Francia è la meta preferita ROMA — Tra le fatture c’è anche quella inviata dall’ospedale di Marsiglia, intestata al signor Troia Gaspare, operato nel 2003 alla prostata, 1.500 euro. Quando si è scoperto che dietro questo nome si nascondeva il boss Provenzano, arrestato quest’anno ad aprile, il ministero della Salute ha chiesto chiarimenti all’Asl di Palermo ed ha ricevuto un attestato dove Troia dichiarava di non essersi mai mosso dalla Sicilia né tantomeno di aver sostenuto un intervento in Francia. La fattura è stata contestata e non verrà mai pagata. 400 MILA PRATICHE — E’ una delle 400 mila pratiche esaminate dall’ufficio mobilità internazionale del dicastero di Livia Turco. Un anno e mezzo fa è stato avviato per la prima volta un lavoro approfondito per organizzare un sistema che permetta di conoscere e controllare il fenomeno delle trasferte sanitarie degli italiani all’estero. L’attenzione è concentrata sulle cure ad alta specializzazione, per le quali è necessaria l’autorizzazione dell’Asl. Quindi non il caso Provenzano che si fece ricoverare nell’ospedale marsigliese con la scusa dell’urgenza. Ma i cosiddetti viaggi della speranza intrapresi per saltare una lista di attesa o per trovare un rimedio alla malattia che si ritiene non possa essere offerto dall’ospedale vicino casa. Cinquemila all’anno, secondo un calcolo approssimativo, valutato dai tecnici di Paola Di Martino, direttore generale per i rapporti internazionali. Ancora troppi per un Paese che, al contrario, potrebbe utilizzare la sanità made in Italy per attirare stranieri. Troppi se si considera poi che parte delle trasferte sono ingiustificate perché le stesse terapie sono disponibili nella città di residenza. Le Regioni finora non si sono preoccupate di calmierare questo esodo: il rimborso delle prestazioni spetta direttamente al ministero e non grava sul loro bilancio. LA SPESA — Ogni anno si spendono almeno 150 milioni per la mobilità internazionale (compresa l’assistenza a cittadini italiani residenti all’estero e turisti), quasi il doppio rispetto a un fondo di 80 milioni. Ma la parte più consistente delle uscite riguarda l’alta specialità. Il flusso migratorio si muove soprattutto da Campania, Sicilia, Lazio. La prima frontiera è la Francia, di cui siamo i migliori clienti. Parigi per i trapianti di fegato e cure oncologiche, Lione per l’ortopedia. Poco più in là c’è il Belgio, mèta particolarmente battuta da chi negli anni scorsi non ha voluto sottostare alle liste di attesa per un trapianto di rene. Meno lontane, specie per i lombardi, sono le cliniche di Losanna, tristemente note ai malati di tumore. La Germania ci accoglie per la neurochirurgia ed è molto fiscale e precisa nell’esigere i rimborsi. Al ministero è arrivata una fattura di 10 euro, per una medicazione. FUORI DALLA UE — E c’è chi purtroppo affronta viaggi della speranza negli Stati Uniti, richiamato da presunte terapie innovative contro il cancro, non sostenute da prove di efficacia, che poi si rivelano inutili. Il ministero ha girato ai Nas una segnalazione del consolato italiano a New York su un medico che promette la guarigione con un tipo di radioterapia contestata dalla comunità scientifi- ca internazionale. Diverse famiglie americane lo hanno denunciato. «Il nostro sistema punta molto sul coinvolgimento delle Regioni — dice la Di Martino —. L’obiettivo è ridurre le spese per i rimborsi perché gran parte di questi viaggi non hanno significato. Bisognerebbe poi verificare la qualità delle prestazioni ricevute all’estero e i risultati ottenuti. Dall’esame delle prime schede emerge un dato preoccupante. Si parte per la Francia o in Belgio anche per esami di diagnostica oncologica, per la Tac o la risonanza magnetica. In questo caso non c’è davvero nessuna ragione di andare lontano». Margherita De Bac ____________________________________________________ La Repubblica 17 Sett. 06 CALABRIA, PIÙ ASSISTITI CHE ABITANTI Persone morte da anni o pazienti trasferiti altrove mai cancellati, figurano negli elenchi per i medici di famiglia Denuncia della Regione: “Nella sanità 400mila utenti fantasma” GIUSEPPE BALDESSARRO CATANZARO—In migliaia di casi si trattava di persone morte da anni, in altri di pazienti che si erano trasferiti da tempo al nord o all’estero, poi c’erano gli assistiti che semplicemente avevano deciso di cambiare dottore. Complessivamente 400 mi l a “ u t e n t i fantasma”, mai cancellati dagli elenchi dell’assistenza sanitaria regionale, per i quali la Calabria ha continuato a pagare il medico di famiglia. Le prime stime parlano di trenta milioni di euro l’anno che, erroneamente, venivano accreditati a 3 mila e 500 medici territoriali. L’ennesimo buco nero della sanità calabrese è stato scoperto dall’assessore regionale Doris Lo Moro, che al suo insediamento tra i primi provvedimenti aveva chiesto la verifica dell’anagrafe sanitaria e la relativa meccanizzazione di un settore “dimenticato”. Così ora si è scoperto che quegli elenchi erano gli stessi dal 1982, vecchie liste alle quali venivano aggiunti nuovi nomi, a seconda delle richieste, ma da cui non si cancellava praticamente nessuno. Che ci fosse qualcosa di poco chiaro Doris Lo Moro l’ha capito subito, quando ha scoperto che la Regione pagava l’assistenza per 2milioni 396 mila e 875 persone a fronte di una popolazione che non supera i 2 milioni. Da qui la scelta di dare un’occhiata agli elenchi. La prima scrematura c’è stata quando gli uffici dell’assessorato alla Sanità hanno preteso che gli assistiti venissero identificati attraverso l’uso del codice fiscale al posto dei semplici dati anagrafici. Con questo metodo sono emersi subito centinaia di casi di omonimia, di pazienti che, avendo il doppio nome, erano registrati ora con l’uno ora con l’altro. Il grosso però è saltato fuori quando i tecnici hanno incrociato i dati regionali con quelli dei comuni. Lì è venuto fuori di tutto. Gente che era morta da dieci anni, famiglie intere trasferitesi al nord Italia o anche nella stessa regione: ogni nuovo domicilio un nuovo medico, senza che nessuno si preoccupasse di farlo sapere alle Asl che tenevano i registri. Si è scoperto che inconsapevoli cittadini risultavano in cura da più medici di base. Spiega l’assessore Lo Moro: «I professionisti, per quanto ne sapp i amo , n o n c’entrano nulla. Altri hanno fatto l’errore di non aggiornare gli elenchi. Ora abbiamo il dovere di avviare le procedure per recuperare almeno cinque anni di crediti versati ingiustamente, è una questione di legalità. Lo faremo assieme alle associazioni dei medici di base, facendo attenzione a non creare problemi. Il dato più importante è che, da subito, la Regione risparmierà alcune decine di milioni di euro». __________________________________________________ Aqua 19 sett. 06 IL RICCIO DI MARE SVELA I SEGRETI DELL'ALZHEIMER Uno studio in vitro e vivo condotto dall'Università di Palermo scopre l'origine della terribile malattia PALERMO - Uno studio condotto sull'embrione di riccio di mare dai ricercatori di due istituti del CNR,l'Istituto di biofisica (Ibf) e l'Istituto di biomedicina e immunologia molecolare di Palerrno, hanno scoperto che i responsabili dell'Alzheimer sono gli oligomeri della proteina beta-A e non, come si pensava, le fibrille che la proteina beta-amiloide (beta-A) forma sui neuroni dei malati. «Lo studio in vitro e in vivo attuato per evidenziare nuovi aspetti legati all'aggregazione di questa sostanza e alla sua incidenza patologica, mediante tecniche spettroscopiche e di scattering di luce - precisa Pier Luigi San Biagio dell'Ibf - ha permesso di comprendere le basi molecolari del meccanismo di formazione delle fibrille (fibrillogenesi). Nell'osservazione in vivo effettuata sull'embrione di riccio di mare, il cui funzionamento cellulare da un punto di vista biochimico è simile a quello dei mammiferi, è emerso poi che i monomeri e gli oligomeri di beta-A producono un maggior numero di malformazioni negli embrioni rispetto alle iibrille e che talvolta arrivano a causare la loro morte cellulare (apop tosi)». La ricerca, dunque, avvalora l'ipotesi che siano gli oligomeri più che le fibrille la causa primaria del disturbo; le fibrille possono anzi essere considerate un meccanismo di difesa messo in atto dall'organismo per ridurre l'azione tossica degli oligomeri. a cura di Tatiana Cafarelli . __________________________________________________ Repubblica 19 sett. 06 RISONANZA MAGNETICA LOW COST scoperto un nuovo procedimento che rende gli apparati anche trasportabili Risonanza magnetica low-cost e portatile. La scoperta, fatta all'Università della California, Berkeley, non avrà, almeno per il momento, immediate ricadute nel mondo della medicina, come invece ci si aspetterebbe. L'innovativo macchinario ha invece ampie possibilità di applicazioni nelcampo della biotecnologia, della geologia e dell'industria, soprattutto quella petrolifera. Sembra paradossale, in realtà dipende proprio dal fatto che Alexander Pines e Dmitry Budker, i due scienziati di Berkeley che hanno realizzato il nuovo apparecchio, hanno scelto una pproccio che ha aperto una strada completamente differente rispetto alla rilevazione del segnale utilizzata nella risonanza magnetica tradizionale, come ha commentato Andrew Webb, specialista del settore alla Penn University, a Technology Review, del Mit di Boston, che seleziona e divulga i progetti hi-tech più innovativi del mondo. La risonanza magnetica, Mri nella sigla internazionale, si avvale di scanner che creano immagini delle strutture interne dei tessuti viventi, dello scorrere di fluidi nei tubi, o della struttura di oggetti come rocce e fossili: Richiede campi magnetici ad elevata potenza, generati da magneti con proprietà superconduttive, in grado di produrre un segnale che sia rilevabile: è la base della sua efficacia che rende però questo tipo di diagnostica molto costosa e difficile da utilizzare ad ampio raggio anche per le dimensioni dei macchinari. Pines e Budker hanno imboccato la strada opposta: hanno puntato su magneti a bassa potenza e costi proporzionalmente ridotti, sì parla dì poche migliaia di dollari. Siamo ancora agli inizi; mai] team di Berkeley sta già lavorando per trasformare il prototipo attualmente realizzato in uno portatile, alimentato da batterie e che può essere dunque utilizzato ovunque. La risonanza magnetica è una diagnostica che rientra nel campo della medicina nucleare.- Alla base del procedimento, infatti, c'è la sollecitazione degli atomi di idrogeno interni a un paziente o a un campione, che mandano un impulso che può essere letto dalla macchina e trasformato in una immagine. Il nuovo apparecchio, invece, é un "magnetometro atomico ottico", progettato per creare immagini di sostanze fluide come i gas e l'acqua. L'apparecchio usa infatti un segnale luminoso, mentre la risonanza tradizionale usa una spirale magnetica. I campi di applicazione sono notevoli. A partire dalla geologia, cui può offrire uno strumento economico per studiare campioni di rocce che contengono impurità che interferiscono con la risonanza magnetica ad alta potenza. Anche l'industria petrolifera può avvantaggiarsene per studiare nuovi filoni di riserve petrolifere con impurità magnetiche. di PAOLA DELUCA __________________________________________________ Libero 24 sett. 06 TRAPANO ADDIO, CONTRO LA CARIE ARRIVA L’«AGO DI PLASMA» Elio ionizzato per uccidere ì batteri di MARIO GALVANI È l'idea di un team di ricercatori dell'univeisità dell'Iowa: un "ago di plasma" con il quale sconfiggere la carie. Una soluzione che potrebbe in futuro sostituire le tradizionali tecniche odontoiatriche adottate per uccidere i batteri responsabili della malattia. Lo studio è stato condotto da John Goree. Lo scienziato - prendendo spunto da un precedente esperimento compiuto in Olanda - ha creato uno strumento in tungsteno (metallo grigio durissimo) lungo 5 centimetri e con 0,3 millimetri di diametro contenente al suo interno elio ionizzato: la novità sta nel fatto che questa è la prima volta che si riesce a utilizzare del plasma a temperatura ambiente. In particolare il compito dell'elio ionizzato è quello di distruggere il batterio Streptococcus mutans, che si annida nella bocca minacciando la salute dei denti. Dalla ricerca pubblicata sulle pagine della rivista "Journal of Physics" emerge che l'esperimento di Goree ha avuto un esito positivo: i batteri posti su una superficie vetrosa sono infatti stati uccisi e :quindi resi inoffensivi proprio dall'azione del plasma. «Questa tecnica è meno invasiva del trapano e consente di raggiungere gli stessi risultati - ha detto, il microbiologo Clark Stanford, riferendosi in particolare a coloro che provano una specie di idiosincrasia per gli strumenti impiegati dal dentista - dunque questa è senz'altro la strada migliore da seguire per arrivare a soddisfare al meglio le esigenze dei pazienti». _____________________________________ l’Unità 25-09-2005 EPATITE C, IL 3% DEGLI ITALIANI È ENTRATO IN CONTATTO CON IL VIRUS. E spesso non lo sa CAMPAGNA II primo ottobre una giornata mondiale dedicata ad una patologia subdola, ma preoccupante: se non curata può portare a cirrosi e tumore di Paola Emilia Cicerone un organo subdolo il fegato: spesso continua a funzionare, incurante delle aggressioni di virus, alcol, alimentazione sbagliata o stress, e i problemi emergono quando il danno è già grave. Ecco l'importanza di individuare eventuali fattori di rischio, per correre quando possibile ai ripari. È questo il tema centrale della giornata mondiale dell'epatite, fissata per il l ottobre prossimo e arrivata alla terza edizione. Con l'obiettivo di sensibilizzare i cittadini sul rischio rappresentato dalle epatiti B e C, infezioni virali che si trasmettono attraverso il contatto con il sangue infetto (e nel caso dell'epatite B anche di altri fluidi corporei) e colpiscono il fegato provocando danni anche gravi come cirrosi e tumori. Patologie entrambi temibili, anche se il problema più serio è oggi rappresentato dall'epatite C per la quale non esiste un vaccino, mentre secondo i dati disponibili - tutt'altro che esaurienti in Italia il 3% circa della popolazione è entrato in contatto con il virus e circa un milione di persone è cronicamente infetto. Ecco il perché della campagna informativa lanciata proprio in coincidenza con la giornata mondiale dall'associazione di pazienti Epac (info wwww.epac.it) con il sostegno della Roche, e con lo slogan «II tuo fegato non dimentica nulla. L'epatite C è». «La diagnosi precoce serve a limitare i contagi e garantisce migliori possibilità di guarigione», spiega il presidente di EPAC Ivan Gardini. Dal 1 ottobre partirà un campagna sui media e dal 2 sarà attivo un numero verde - 800 903 722 - cui rivolgersi per informazioni e assistenza medica e legale. «Molti ci chiamano quando scoprono di essersi contagiati, per sapere che fare: li aiutiamo a trovare il centro specializzato più vicino, ma anche a risolvere problemi sul lavoro e ad ottenere eventuali risarcimenti», spiega Gardini. Per capire se si è stati contagiati basta spesso un semplice esame del sangue, da completare con analisi più specifiche se i valori risultano alterati. «È importante che si facciano controllare le persone che possono essere a rischio - spiega Massimo Colombo, ordinario di gastroenterologia al Policlinico di Milano - familiari di pazienti, operatori sanitari, tossicodipendenti. Ma anche persone che in passato hanno effettuato interventi chirurgici importanti, oppure subito trasfusioni prima del 1990, o sono in dialisi». Oggi nel nostro paese il sangue delle trasfusioni è considerato sicuro, mentre c'è ancora una piccola percentuale di rischio per procedure mediche invasive come endoscopie o piccoli interventi in day hospital, mentre un pericolo reale è rappresentato dai tatuaggi e soprattutto dal piercing, che spesso è effettuato in condizioni igieniche scadenti. Cosa fare se si è infetti? «Risultare positivi al virus non vuol dire star male - spiega Colombo - ci sono persone contagiate del tutto asintomatiche che hanno anche la funzione epatica nella norma». In questo caso, si può decidere di monitorare il paziente per valutare se e quando intervenire con la terapia. Basata su una combinazione di antivirali, interferone e il bavirina, che servono a stimolare il sistema immunitario, renderlo più aggressivo nei confronti del virus e proteggere il fegato dai danni. Le possibilità di guarigione sono buone, soprattutto per alcune varianti del virus. «Molto dipende anche dalla situazione generale del paziente, l'età, la progressione della malattia, la presenza o meno di altri fattori di rischio come danni da alcol o diabete», spiega Colombo. «Oltre che della capacità di seguire la cura fino in fondo». Questi farmaci possono avere infatti effetti collaterali pesanti, come sintomi parainfluenzali, affaticamento, riduzione del numero di piastrine e globuli bianchi o disturbi dell'umore. Va ricordato, comunque, che in Europa, tutto sommato, siamo fortunati: «L'infezione da noi è in diminuzione. Mentre nei paesi in via di sviluppo, dove non ci sono farmaci, la malattia è in costante aumento a causa delle trasfusioni di sangue infetto e della presenza di altre infezioni come quella da Hiv o da tubercolosi». __________________________________________________ Libero 26 sett. 06 I GIOVANI? CONDANNATI ALLA SORDITÀ CON TRENT'ANNI DI ANTICIPO di GIANLUCA GROSSI Ascoltano musica 28 ore alla settimana LONDRA I giovani d'oggi? Diverranno sordi con trent'anni d'anticipo rispetto a genitori e nonni. I ricercatori della Deafness Research hanno in particolare esaminato un campione di giovani tra i 16 e 34 anni. Ecco i risultati: il 14% degli intervistati ascolta musica con i lettori Mp3 per 28 ore alla settimana. Il 50% ascolta musica per più di un'ora al giorno. Oltre il 30% accusa fischi alle orecchie, segnale di un deficit dell'udito. Il 40% non è minimamente al corrente dei pericoli che corre. Conclusione: la cosiddetta "generazione Mp3" è a forte rischio sordità. «Vent'anni fa i problemi di sordità arrivavano a partire dai sessanta, settanta anni. Questi ragazzi sono invece destinati a diventarlo intorno ai quaranta, decenni prima dei loro genitori», dicono gli studiosi. wienne Michael, responsabile della ricerca, precisa che un Mp3 raggiunge tranquillamente i 120 decibel, esattamente lo stesso volume provocato dal decollo di un jet. II troppo rumore in particolare ha il potere di provocare la morte di quelle cellule dell'orecchio che servono a percepire e "filtrare" i suoni. Secondo gli scienziati queste cellule sono naturalmente più disposte a perdere la loro autonomia con il passare degli anni ma questo processo può essi fortemente velocizzato appunto dall'uso improprio degli, parecchi Mp3 o anche dal frastuono di una discoteca. L'audiologo statunitense Dean Gstecki specifica che «i giovani sfruttano l'enorme autonomia dei lettori audio di ultima generazione e non danno mai tregua alle orecchie, ascoltando musica a livelli altissimi per ore ore». ____________________________________________________________________ il manifesto 27-09-2006 LA MARIJUANA COME LA PENICILLINA Marina imallomeni Roma «Non si può più negare l'alto valore terapeutico della cannabis». Intervista a Lester Grinspoon, psichiatra e docente all'Università di Harvard Lester Grinspoon, psichiatra e professore emerito dell'Università di Harvard, è uno dei maggiori studiosi della canapa e dei suoi usi, tra i quali quello terapeutico. A quest'ultimo ha dedicato «Marijuana: la medicina proibita», una pietra miliare per il movimento americano e internazionale che si batte per vedere riconosciuto il diritto dei malati di curarsi con la canapa senza dover ricorrere necessariamente ai derivati sintetici o semi-sintetici, come il Marinol o il Sativex, acquistabili in farmacia. Grinspoon ha tenuto un seminario ieri a Roma per iniziativa di Forum droghe-Fuori luogo, in collaborazione con la Regione Lazio. Professor Grinspoon, perché ha paragonato la cannabis alla penicillina? Per me è sempre più chiaro che la marijuana è un farmaco meraviglioso. Quando la penicillina fu scoperta per la prima volta, nel 1928, il suo valore terapeutico non era stato ancora riconosciuto, e fu compreso solo nel 1941. Essa aveva tre qualità La prima era il suo bassissimo livello di tossicità; allo sesso modo, la marijuana ha una tossicità molto bassa, e non ha mai causato un singolo caso di morte per overdose. In secondo luogo, la penicillina era estremamente versatile; così anche la marijuana, che è indicata per trattare il glaucoma, il morbo di Crohn, la sclerosi multipla, l'emicrania, e l'elenco potrebbe continuare a lungo. In terzo luogo, la penicillina, una volta entrata in produzione, si è rivelata poco costosa. Lo stesso vale per la marijuana, se togliamo quella che io chiamo la «tassa della proibizione». Negli Usa, un'oncia di marijuana sul mercato nero può costare anche 300 dollari (un'oncia è pari a 28,35 grammi, ndr). Se non fosse proibita, costerebbe al massimo 30, 40 dollari. E un'oncia è tanto! Ma c'è di più: la marijuana può essere inalata e quando la si fuma, va subito nei polmoni e fa effetto in pochi minuti. Questo è molto importante per il paziente, perché gli consente di valutare qual è la dose sufficiente a lenire il dolore o a produrre l'effetto desiderato. II paziente è la persona che si trova nella condizione migliore per giudicare e regolare la dose a seconda del bisogno. Ma secondo la sua esperienza clinica, i pazienti sono in grado di autoregolarsi? Si, ci riescono molto bene. Alcuni di loro assumono cannabis solo due volte alla settimana e gli basta. La necessità varia a seconda del tipo di disturbo di cui il paziente soffre, e anche da persona a persona, ma le persone imparano a capire quel è la dose di cui hanno bisogno. II fatto che il paziente abbia il controllo su ciò che assume è un bene. Lei ha parlato di «farmaceuticalizzazionea> della marijuana. Cosa intende? Prendiamo la GW Pharmaceuticals (casa farmaceutica inglese produttrice del SativeY, uno spray sublinguale, ndr). Nel Sativex non c'è niente che non sia presente anche nella marijuana fumata. Mancano però degli ingredienti che a mio parere possono contribuire all'effetto terapeutico insieme al Thc. La GW è andata dal governo inglese e ha detto: «Noi possiamo produrre una marijuana che non rappresenta una minaccia per i due principali effetti tossici: il danno polmonare e l'effetto psicoattivo». Per me questo non ha senso, perché chiunque può avere un effetto psicoattivo assumendo il Thc, che è il principale principio attivo della marijuana. Inoltre, con il Sat ivex, è molto più difficile adattare la dose alle proprie esigenze. In teoria dovrebbe fare effetto in una ventina di minuti, ma è difficile valutare quanto principio attivo venga assorbito attraverso la lingua, e quanto venga ingerito involontariamente, con un assorbimento molto più lento. Vi è poi un'altra considerazione. Non sono affatto sicuro che l'effetto psicoattivo costituisca un problema. Che c'è di male se un paziente malato di sclerosi multipla riferisce di sentirsi meglio? Tra le altre cose, la cannabis è un antidepressivo. Secondo me il governo federale teme che la gente veda con i propri occhi gli effetti benefici della marijuana. Vedendo che assumendola non succede niente di terribile, le persone si chiederanno perché negli Usa vengono arrestate quasi 800.000 persone all'anno per uso di cannabis, quando perdiamo ogni anno 150.000 persone per il tabacco e 50.000 per l'alcol, e nessuno per la marijuana. Sugli effetti medici della canapa c'è chi chiede ulteriori sperimentazioni cliniche, nonostante esista già una mole enorme di evidenze aneddotiche. Qual è il valore di queste ultime? Quelle che adesso sono chiamate evidenze aneddotiche, fino all'inizio degli anni 60 venivano chiamate evidenze cliniche. Le persone facevano osservazioni empiriche sui pazienti, ed è così che abbiamo scoperto tante cose sulle medicine. Poì sono arrivati gli «studi controllati a doppio cieco», diventati la misura dell'efficacia del farmaco. Ma questi studi non sono infallibili, come dimostra ad esempio il caso del Vioxx, un farmaco simile all'aspirina, ritirato dal mercato perché aveva fatto registrare una maggiore incidenza dei casi di infarto. Altri farmaci approvati dalla Food and Drug Administration si sono rivelati dotati di una efficacia molto bassa. Inoltre, i criteri con cui stabiliamo se un farmaco è accettabile sono due: l'efficacia e la tossicità, più o meno bassa. A suo parere l'approvazione della cannabis da parte della Food and Drug Administration dovrebbe essere o no un obiettivo per ll movimento americano? No, penso che non sia necessario. Che cosa fa la Fda? Essa garantisce al paziente che una sostanza sia efficace e sicura. Ma migliaia di anni di uso della marijuana hanno dimostrato, in particolare negli ultimi duecento anni, che è un farmaco efficace ed è infinitamente meno tossico, ad esempio, dell'aspirina. __________________________________________________ Il MF 19 sett. 06 INTIMITA’ SENZA DISAGI Salute Presentata al Congresso di andrologia un'innovativa molecola senza disagi Dapoxetina incrementa i livelli di serotonina nel sistema nervoso centrale, e così ritarda il momento dell'eiaculazione un disturbo diffuso che genera notevole imbarazzo. Colpisce il 30% degli uomini, soprattutto giovani e crea difficoltà serie nei rapporti sessuali. Per coloro che soffrono di eiaculazione precoce, però, è in arrivo una nuova molecola in grado di curare questa disfunzione sessuale maschile. Gli andrologi italiani riuniti in questi giorni in occasione del XXIII° Congresso nazionale della Società italiana di andrologia (Sia) hanno reso noti i dati relativi a due studi americani su dapoxetina, una molecola in grado di ritardare l’insorgenza dell'orgasmo e quindi dell'eiaculazione. La fase III (ossia clinica) su oltre 1000 pazienti ha mòstrato come nel 60% di essi la disfunzione si sia risolta completamente. II restante 40% è composto da coloro che hanno avuto un beneficio, ma non risolutivo e pazienti invece sui quali il farmaco non ha avuto effetto. «Si tratta della prima molecola specifica per l’eiaculazione precoce», ha affermato Bruno Giammusso, responsabile de113Jnità operativa di andrologia dell'università di Catania e membro del consiglio direttivo della Sia, «fino a ora infatti venivano utilizzati farmaci concepiti per altre patologie, come la depressione. In questo caso la molecola agisce direttamente nel sistema nervoso centrale incrementando i livelli di serotonina, neuro trasmettitore che migliora l’umore e che agisce da freno naturale all'eiaculazione». II farmaco, di cui si attende l’approvazione presso la Fda americana e l’Enea, non deve essere assunto tutti i giorni come accadeva per gli antidepressivi, ma da una a tre ore prima del rapporto sessuale e dura circa sei ore. «La molecola ha un'emivita piuttosto breve, quindi esaurisce rapidamente la sua presenza nel sangue. Per questo motivo risulta ben tollerata. Non dà dipendenza come gli altri psicofarmaci e solo il 5% di coloro che l'hanno assunta ha accusato modesti fastidi come la nausea». Uno studio osservazionale europeo presentato al Congresso ha coinvolto 1.115 uomini con o senza questo problema e le loro partner. I dati mostrano un disagio di coppia che sfocia spesso nell'interruzione del rapporto e, addirittura, nella disfunzione erettile di tipo psicologico. Anche le cause dell'eiaculazione precoce sono raramente organiche, più spesso sono psicologiche o legate al sistema nervoso che non riesce a controllare le sensazioni erotiche che precedono l’orgasmo. «L’arrivo del farmaco è stato ritardato da un episodio grave accaduto durante una prima sperimentazione, ma le inchieste hanno accertato la non correlazione delle due cose, e quindi ci si aspetta un'introduzione sul mercato a breve, forse entro il 2007», ha concluso Giammusso. ______________________________________________ MF 26 sett. 06 EPATITE C: GUERRA AL VIRUS SILENZIOSO Salute È allo studio una nuova molecola per la cura dell'epatite C somministrabile oralmente Blocca l HCTr che danneggia il fegato, e inibisce un enzima che lo fa "licare di Elena Correggis Colpisce circa 1 milione di italiani, molti dei quali non hanno ancora scoperto di essere ammalati l’epatite C rappresenta un'insidiosa patologia causata dal virus HCV, che danneggia il fegato. L’infezione determina la morte delle cellule epatiche che vengono sostituite da un nuovo tessuto fibrotico incapace però dì svolgere le funzioni dell'organo sano. Se non curata in tempo la fibrosi può evolvere in insufficienza epatica e cirrosi epatica, aumentando il rischio di tumore. La terapia per l’infezione cronica si basa sull'interferone pegilato, una proteina che interferisce con la replicazione dell’HCV, associato alla ribavirina, un composto sintetico che coadiuva l’interferone nell'eliminazione del virus HCV dal sangue. Ma nuove speranze, specie per i pazienti refrattari alla terapia standard, provengono dagli studi su di una molecola, la valopicitabina, scoperta dal professor Paolo La Colla, dell'università di Cagliari, e ora in corso di sperimentazione in trials clinici di fase 2b condotti negli Usa dalla Idenhc pharmaceuticals in collaborazione con Novartis. Questa molecola blocca il virus HCV inibendo la HCV RNA polimerasi, un enzima indispensabile per la replicazione del virus. In particolare, una sua dose giornaliera in combinazione con interferone pegilato si sta dimostrando efficace nella soppressione dell'HCV di genotipo i, una delle forme più diffuse in Occidente. «La terapia standard già in uso prevede l’assunzione di un farmaco una sola volta alla settimana, invece delle tre abituali, mediante iniezione sottocutanea perché la pegilazione, una modifica chimica dell'interferone, ha permesso di rendere la sostanza più tollerabile e con una maggiore durata d'azione rispetto all'interferone convenzionale», spiega il professor Massimo Colombo, ordinario di gastroenterologia e direttore della divisione di gastroenterologia, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena di Milano. «La cura è tanto più efficace quanto più tempestivo è il trattamento, di qui l'importanza fondamentale della diagnosi precoce». II contagio dell'epatite C avviene attraverso il sangue. Valori elevati degli enzimi epatici transaminasi segnalano uno stato di infiammazione del fegato e rendono necessaria la ricerca degli anticorpi contro l’HCV. In caso di positività di questi ultimi si valuta la presenza di particelle virali nel sangue per una diagnosi definitiva Un 26-40% di portatori del virus spesso non accusa i sintomi tipici della malattia e possiede valori delle transaminasi nella norma La maggior parte di questi malati asintomatici in realtà non è un portatore sano, ma sta già subendo un danno al fegato che deve essere trattato con antivirali ____________________________________________________ Corriere della Sera 24 Sett. 06 CHIRURGIA: È SEMPRE MEGLIO CONSERVARE IL RENE Togliere tutto il rene quando c' è una lesione tumorale circoscritta aumenta la sopravvivenza? La risposta, che viene da un ampio studio eseguito negli Stati Uniti, è negativa. La probabilità di andare incontro a disturbi renali cronici entro tre anni è del 65 per cento con l' asportazione totale, del 20 con la rimozione parziale. Perciò, conclude Paul Russo, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, in definitiva il rischio della formazione di un nuovo tumore è minimo rispetto al beneficio di conservare il rene. «Questa ricerca dà ulteriormente ragione ad un atteggiamento conservativo ampiamente seguito nel nostro Paese e in Europa - commenta Francesco Rocco, direttore della Cattedra di Urologia dell' Università di Milano - . Già parecchi anni fa si era osservato che al di sotto di una certa dimensione, 4-5 centimetri, il comportamento biologico del tumore è molto favorevole. Ma, soprattutto, esiste una specie di pseudocapsula tra il tumore e il rene che consente di separare il tessuto sano da quello malato con un elevato grado di sicurezza». Guido Tanganelli Tanganelli Guido ____________________________________________________ Corriere della Sera 24 Sett. 06 IN CROAZIA O IN ROMANIA PER RIFARSI LA DENTIERA Turismo odontoiatrico Costi inferiori, ma con quali garanzie? «Chiama per farti dare i numeri di chi è già stato nostro cliente... Pensiamo a tutto noi: alberghi, ristoranti... Sarai seguito da un' équipe di medici che si sono specializzati in Germania e Italia. Contattaci, in 24 ore organizziamo le tue vacanze-cura in Romania». Non è l' offerta per un viaggio turistico, ma la pubblicità di uno studio odontoiatrico di Bucarest che, con un annuncio abbinato ad una compagnia aerea charter, cerca di reclutare clienti al di qua delle Alpi. E ci riuscirà, grazie ad un argomento di sicura presa. I prezzi scontati. Anzi, scontatissimi. Protesi, impianti o altro a meno della metà rispetto agli studi di casa nostra. Poche centinaia di euro e in più il diversivo di una vacanza, trattamento incluso. Fenomeno più diffuso di quanto si creda quello del «turismo dentale». Odontoiatri dalle credenziali tutte da verificare che operano in Croazia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Grecia hanno trovato un nuovo business penetrando nel mercato italiano. E per chi ha voglia di spendere di più in cambio di luoghi indimenticabili c' è anche l' India, dove un' otturazione costa quanto da noi l' affitto di lettino e ombrellone. Basta consultare Internet per rendersi conto di quante siano le proposte all inclusive. I numeri della mobilità odontoiatrica non sono definibili. Ma è certo che in tanti ormai si muovono per le cure low cost da Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna. Quasi inesistente, invece, l' esodo dal Centro sud; forse perché i costi di viaggio per raggiungere i Paesi dell' Est sono più onerosi, o perché la propaganda degli studi stranieri è meno insistente. Ma le conseguenze delle cure al risparmio si pagano dopo pochi mesi. Dentiere che si scollano, granulomi, infezioni, emorragie. Non sempre è così, ma succede spesso. «Possiamo immaginare le condizioni in cui lavorano fuori confine - afferma Gianantonio Favero, Università di Padova - perché constatiamo i risultati sui pazienti che ci chiedono di riparare i danni di quegli interventi. Vengono visitati da operatori senza titolo, che utilizzano materiale scadente. È così che un programma terapeutico viene a costare magari sui 3mila euro, anziché i 10mila che costerebbe da noi». Un caso recente: una signora alla quale avevano fatto in Croazia una protesi fissa di porcellana con lega non preziosa, priva di certificazione; non le avevano devitalizzato i denti sottostanti e ha sviluppato dei granulomi. Ora deve ricominciare tutto daccapo. A partire sono in genere persone con bassa istruzione. In Friuli il flusso turistico-dentale è particolarmente sostenuto. «L' odontoiatria italiana è di ottima qualità e la qualità costa - dice Nick Sandro Miranda, segretario sindacale dell' Associazione nazionale dentisti in questa regione - . Più di una volta nell' ambulatorio pubblico di Tarvisio mi sono trovato ad intervenire per emorragie seguenti ad estrazioni fatte all' estero. Ricordo, per esempio, il caso di una signora alla quale, in uno studio sloveno, avevano tolto un dente senza accertare preventivamente quali farmaci prendesse. Il consiglio è quello di diffidare delle cure a buon mercato e di ricordarsi che il rapporto fiduciario e continuo tra medico e paziente è fondamentale per avviare un programma terapeutico». Carlo Guastamacchia, dentista milanese, premette di non avere nulla a priori contro queste iniziative, «tranne per un particolare: sappiamo purtroppo che in quei Paesi non esistono spesso condizioni igieniche sufficienti. Inoltre, le strumentazioni utilizzate sono il più delle volte obsolete. Prima di accettare le proposte del turismo odontoiatrico, occorre ricordarsi che intraprendere una cura non è come comprare un pacco di zucchero: è importante che il paziente abbia la garanzia di essere seguito nei mesi successivi». Margherita De Bac ____________________________________________________ Corriere della Sera 24 Sett. 06 CURE DENTARIE, È VERA EMERGENZA Sistema sanitario Sempre meno gli italiani che si sottopongono agli indispensabili trattamenti per la salute della bocca Ridottissima l' offerta pubblica, troppo costosi gli studi privati Sempre meno persone si siedono sulla poltrona del dentista. Ma non solo perché abbiamo i denti più sani (nel ' 79 i dodicenni avevano in media 6.9 denti curati, oggi hanno solo un dente che ha avuto bisogno di cure; gli ultrasessantacinquenni che hanno perso denti sono scesi al 18%). Purtroppo gli italiani curano meno la salute della bocca perché «non se lo possono permettere». Il Servizio sanitario nazionale limita l' offerta delle cure alle categorie «più deboli» (vedi tabella) e le cure private costano, mentre il nostro portafoglio non è certo più ricco di prima. «Almeno due terzi degli italiani non va periodicamente dal dentista - conferma Laura Strohmenger, professore ordinario di di odontostomatologia dell' Università degli Studi di Milano -. Un po' influisce la "classica" paura, un po' la scarsa consapevolezza che la prevenzione sia vantaggiosa. Maggiormente incide il fatto che solo il 2 per cento della popolazione riesce a trovare assistenza nel Servizio sanitario. Quindi, chi può paga le cure private, ma chi non può rimanda, o va in cerca di offerte più economiche, magari all' estero». L' Associazione nazionale medici dentisti (Andi) parla di un calo di pazienti del 10 per cento negli ultimi 5 anni; un' indagine di Altroconsumo (2005) dice che la scarsa frequentazione degli studi dentistici è motivata dal costo delle parcelle nel 34% dei casi. Ma le cure dentarie pesano parecchio anche su coloro che, volenti o nolenti, sborsano di tasca propria: 10 miliardi di euro totali all' anno, secondo l' Andi; molto di più secondo altre stime. Le parcelle dei dentisti sono così salate «sia a causa degli alti costi delle procedure imposte dalla legge per igiene e sicurezza - spiega Roberto Borlani, presidente dell' Istituto stomatologico italiano (Milano)- , sia per le esigenze del cliente che vuole oggi materiali di grande impatto estetico». La cura dei denti, di fatto, sarebbe troppo onerosa per la Sanità pubblica, che, infatti, si è fino ad ora defilata. Le strutture sono storicamente poche e i Livelli essenziali di assistenza (Lea) non sono certo di manica larga. Nel 2001 lo Stato ha deciso nell' ambito dei Lea di offrire cure odontoiatriche solo ad anziani a basso reddito, malati gravi, disabili, nonché la prevenzione ai bambini. Questo anche per migliorare i tempi di attesa che raggiungevano anche i 5 mesi. Adesso, le Regioni che, come la Lombardia, avevano deciso di offrire qualche cosa di più, sono state invitate dal Ministero a rientrare nei ranghi (vedi tabella). I denti, peraltro, sono un terreno minato pure per le Assicurazioni. Pressocché nessuna polizza malattia personale prevede la copertura odontoiatrica. Due i motivi, spiegano gli assicuratori: si iscriverebbero soltanto persone che hanno bisogno del dentista e sarebbe difficile distinguere fra cure e prevenzione. In pratica, un rapporto premi-esborsi poco conveniente. Morale, gli assistiti languono in coda, si dissanguano o si tengono le carie (ma sono in aumento nella popolazione le patologie paradontali, che necessitano di trattamenti ben più complessi) e i dentisti vedono lo spettro degli studi sempre più vuoti. Tentativi per superare lo stallo? Qualche cosa si muove. In recenti incontri tra Ministero, Regioni e odontoiatri si è espresso il proposito di rendere effettivo il diritto alle cure previste dai Lea e di studiare la possibilità di allargarle. «Noi abbiamo chiesto al Governo che, per venire incontro agli assistiti, - spiega Roberto Callioni, presidente dell' Andi - si aumenti l' aliquota di detrazione fiscale, ora del 19%, o si conceda la completa detraibilità delle spese dentistiche. Oppure, che si favoriscano i finanziamenti attraverso le banche. Comunque, se la salute della bocca degli italiani è complessivamente a un buon livello, è grazie alla qualità delle nostre prestazioni». Intanto, si prospettano altre soluzioni «calmieratrici», come l' alleanza tra aziende sanitarie e imprenditori per la gestione dei servizi di odontoiatria, o come l' associazionismo tra professionisti per ridurre le spese di amministrazione e di manutenzione degli apparecchi. E anche i pazienti cercano soluzioni: il mutuo in banca, il più moderno «credito al consumo», o addirittura il turismo dentistico (vedi sotto), per unire l' utile al dilettevole. Si fa per dire. Edoardo Stucchi