LA SCUOLA SENZA QUALITÀ - ATENEI, SOLDI POCHI E LAUREE FACILI - LIBERALIZZARE L'UNIVERSITÀ. PERCHÉ VIVA - UNIVERSITÀ: IL SOLITO VIZIO DI NON VOLER CAMBIARE - EPPUR SI PROMUOVE - NON RIDUCIAMO LA FINANZIARIA SUGLI ATENEI AL TAGLIO DEGLI STIPENDI - C’E SEMPRE TEMPO PER UNA UNIVERSITÀ MERITOCRATICA - MUSSI: SUI CONCORSI SI CAMBIA ANCORA - NASCE IN SARDEGNA IL SUPER TELESCOPIO - ACCESSO ALL'ALBO SOLO CON LA LAUREA - FORZA DELLA SCIENZA E FORZE DELL'IGNOTO - GLI STUDENTI IGNORANO LE TRE CARAVELLE - STUDENTI, IMPARATE A CHIEDERE DI PIÙ - ATENEO. AVERE LA LAUREA COSTA SEMPRE DI PIÙ - MARIA DEL ZOMPO È LA PRIMA ITALIANA AI VERTICI DELL’ISPG - CAGLIARI: EMORRAGIA DI MATRICOLE IN ATENEO - MISTRETTA: CON INFORMATICA E BIOMEDICINE ATTIREREMO PIÙ SOLDI E STUDENTI - IL FLOP DEL “MASTER AND BACK” - MEDICINA: SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE SENZA FONDI - LA SARDEGNA SPENDE POCO IN ATTIVITÀ DI RICERCA E SVILUPPO - IL CASO DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: 400 PRECARI SU 2550 DIPENDENTI - I PAESI ISLAMICI? ULTIMI NELLA RICERCA SCIENTIFICA - LE TV A SCHERMO PIATTO CONSUMANO DI PIÙ E AUMENTANO IL RISCALDAMENTO - ======================================================= GLI ACCESSI DI OGGI E I MEDICI DI DOMANI - PIANO SANITARIO, BATTAGLIA SUI POSTI LETTO - CAGLIARI COME VENGONO DISTRIBUITI I FONDI PER LA RICERCA SANITARIA? - TURCO: MIGLIORARE LA SANITÀ SENZA FALSI ALLARMISMI - ERRORI MEDICI, IN CALO LE DENUNCE - SANITÀ. IL PARLAMENTO FARÀ CHIAREZZA SULLE «MALPRACTICE» - TORNA L'ALLARME MALASANITÀ IN CORSIA 90 MORTI AL GIORNO - 50MILA MORTI L'ANNO E DANNI PER 10 MILIARDI - DA RIVEDERE LE LAUREE SANITARIE - PRESTO UNA VALVOLA CARDIACA DA APPLICARE A TORACE CHIUSO - OSPEDALE: L’HI-TECH CHE EVITA GLI ERRORI - GEL E NANOTECNOLOGIE: GUARIRE IN 15 SECONDI - MEDICINA NUCLEARE, LE MACCHINE "IBRIDE" - IL BATTERIO CHE SI NUTRE DI PETROLIO - IL DENTIFRICIO CHE CURA LA PLACCA E LE CARIE - DENTISTI VERI E FALSI ALLA CORTE DI EGITTO - VESCICA RADIOCOMANDATA, NOVITÀ DAL SAN RAFFAELE DI MILANO - IL VINO ROSSO ARMA ANTI-OBESITÀ - DI TALASSEMIA SI GUARISCE SENZA GLI EMBRIONI - CUORE, RENI, OSSA QUANTO COSTA L'UOMO AL PEZZO - SESSO, PRIMO STUDIO MONDIALE PIÙ DA SPOSATI CHE DA SINGLE - ======================================================= ________________________________________________ Corriere della Sera 30 Ott. ’06 LA SCUOLA SENZA QUALITÀ di ANGELO PANEBIANCO Poiché le vicende della scuola suscitano sempre scarso interesse, pochi hanno lamentato che la contestata Finanziaria del governo Prodi preveda l'assunzione in tre anni di centocinquantamila precari. Negando così due esigenze: ridurre la spesa pubblica e assumere insegnanti bravi anziché «collocare» precari. A onor di verità, qualche commentatore aveva colto per tempo l’esistenza del problema. È giusto ricordare, ad esempio, che quest’estate un importante sostenitore del governo, Eugenio Scalfari ( La Repubblica, 25 agosto), considerato il numero abnorme di docenti (rispetto agli altri Paesi europei), sollevava l’esigenza di «parametrare il numero degli insegnanti nelle scuole medie sulla consistenza degli alunni». Sul Corriere del 27 ottobre Gianna Fregonara ha riportato i dati Ocse sullo stato dell’istruzione nei diversi Paesi e il giudizio impietoso che dall’Ocse arriva sulla qualità della scuola in Italia. In un altro Paese ciò sarebbe materia di scandalo, l’opinione pubblica fremerebbe e la classe politica cercherebbe un rimedio. Ma siamo in Italia: qui il governo vero della scuola, da almeno un trentennio, è delegato a un’alleanza di ferro fra burocrazia ministeriale e sindacati. Con risultati pessimi e nel disinteresse generale. Per capire come viene trattata l’istruzione basti considerare che nella Finanziaria è contenuta, nel silenzio o nella disinformazione di quasi tutti, una vera e propria riforma occulta della scuola (un’eccellente analisi è reperibile nel sito dell’Associazione docenti italiani). Non è prevista solo l’assunzione di un esercito di precari, che rende inutile ciò che è stato fatto in questi anni dalle Università, con le scuole di specializzazione, al fi- ne di formare insegnanti di qualità. Si liquida, nel silenzio, gran parte della riforma Moratti, anche in ciò che aveva di più valido (come il doppio canale, scolastico e professionale, tanto detestato da sindacati e sinistra estrema). Si innalza poi l’obbligo scolastico (e non dovrebbe certo essere la Finanziaria a farlo), come previsto, è vero, dal programma dell’Ulivo, ma soprattutto con l’evidente intento, comprovato da dichiarazioni in tal senso di esponenti del governo, di salvaguardare e ampliare i già gonfiatissimi organici. Si lascia infine al Ministero la possibilità di fare della scuola tutto ciò che vorrà, demandandogli il compito di intervenire con venti decreti attuativi sui temi più disparati. A parte la scorrettezza di affidare alla Finanziaria la riforma della scuola lasciando all’oscuro il Paese, è la sostanza che deve preoccupare. Viene abbandonata ogni ipotesi di professionalizzazione degli insegnanti e di innalzamento della qualità dell’insegnamento e della preparazione degli alunni. Addirittura (c’è anche questa perla), si arriva di fatto a ingiungere agli insegnanti del biennio di ridurre del dieci per cento il numero dei bocciati al fine di contenere i costi. La scuola resta, anche con questo governo, ciò che è da un trentennio: una mastodontica e inef- ficiente struttura al servizio più della corporazione che vi lavora (ma con grande frustrazione degli insegnanti bravi che pure ci sono) che degli utenti. Una struttura nella quale, con i fallimentari risultati che l’Ocse documenta, non si deve muover foglia che il sindacato non voglia. Se si vuole un’ulteriore prova della sconfitta, culturale e politica, dei riformisti dell'Ulivo, è suf- ficiente leggere gli articoli della Finanziaria dedicati alla scuola, alla sua occulta riforma. ________________________________________________ Repubblica 30 Ott. ’06 ATENEI, SOLDI POCHI E LAUREE FACILI LA MIA posta elettronica si è rapidamente riempita di e-mail di plauso ma anche di critica dopo l’articolo del 26 ottobre dedicato a «Le mille università dalle facili cattedre». Pur confortato dalla positiva risposta del ministro Mussi (27 us) credo doveroso rispondere ai tanti docenti che hanno scritto. Tralascio le espressioni di consenso anche se mi permetto di citare quella del prof. Antonio Ragozzino, ordinario «di non so più che cosa» (così si firma) alla Facoltà di agraria della Federico II di Napoli, il quale mi informa che al suo Consiglio di Facoltà si discuterà un contratto di insegnamento di «Psicologia degli alimenti». In proposito osserva: «A 70 anni di età e 46 di insegnamento non mi era mai capitato di imbattermi in assurdità del genere, anche dal punto di vista lessicale. Mi chiedo se gli alimenti hanno una interiorità, una psiche? Visto che la si vuole insegnare sarebbe stato almeno più corretto chiamarla “Psicologia dell’alimentazione”». Posso solo dire che si tratta di uno dei tanti esempi della strabiliante moltiplicazione delle tipologie di laurea (da 81 a 153) e dei corsi (passati da 2.500 a 5.400) avvenuta dopo la riforma dei cicli di studio (il 3+2). Commenta sull’ultimo numero del “Mulino” il prof. Alessandro Monti, autore del Rapporto sull’istruzione universitaria in Italia (Angeli 2003): «In molti casi sono state le esigenze di impiego del personale docente e le aspirazioni di carriera a trainare la creazione dei corsi... Il raddoppio solo in apparenza ha diversificato l’offerta formativa e fronteggiato adeguatamente le esigenze evolutive del mercato del lavoro e delle professioni». Vi è, per contro, un passaggio secondario del mio articolo su cui si concentrano invece molte critiche, quello sulla riduzione dell’adeguamento automatico degli stipendi, che paragonavo ad «una specie di scala mobile». Mi sono fidato di un tecnico della materia che mi aveva fornito l’informazione e sono incorso, quanto meno, in una imprecisione di cui mi scuso. Scelgo fra le tante rettifiche quella del prof. Stefano Varricchio dell’Università di Roma-Tor Vergata che spiega: «I meccanismi di adeguamento sono due, uno calcolato dall’Istat secondo cui gli stipendi vengono aumentati di una percentuale pari all’aumento medio del pubblico impiego nell’anno precedente; un altro meccanismo, basato su scatti biennali automatici, che assicurano ad un ricercatore, ad inizio di carriera, uno stipendio netto mensile di 1.171 euro e ad un ordinario a fine carriera di 2.700 euro. I tagli della Finanziaria non riguardano l’adeguamento Istat ma gli aumenti biennali previsti dallo stato giuridico. Negli altri paesi non vi sono adeguamenti automatici ma le retribuzioni si collocano ben al di sopra delle nostre. Quando ho iniziato avevo uno stipendio da fame e guadagnavo la metà di un collega francese di pari livello. Ho scelto di restare perché pensavo che lo stato giuridico mi avrebbe garantito nel tempo livelli più adeguati». Molte altre e-mail fanno notare come «a causa del meccanismo perverso della Finanziaria le nuove generazioni di docenti e ricercatori soffriranno a regime una riduzione dello stipendio pari al 30%» (prof. Rosario Ceravolo del Politecnico di Torino). Altre, specie donne, fanno notare l’aggravio per un docente fuori sede di dover pagarsi le spese di trasferta, in base al principio che il professore deve risiedere dove insegna, «una norma che riflette l’idea arcaica secondo cui il professore universitario è maschio, con moglie che non lavora e famiglia che lo segue». (Silvia Niccolai, ordinaria di diritto costituzionale a Cagliari). Torno, infine, al saggio sul “Mulino” del prof. Monti che tratta invece la questione centrale, l’elargizione delle lauree facili: «La disposizione, introdotta dal centrosinistra nel 1999 e rafforzata dal governo di centrodestra... concede ai dipendenti pubblici il diritto di vedersi riconosciuti come crediti universitari, i cicli di studio superati nelle scuole interne dell’Amministrazione, attraverso convenzioni con atenei disposti a stipularle... che si stanno rivelando un meccanismo scardinante della fede pubblica nell’imparzialità dell’istituzione universitaria... La norma, oltre che dai ministeri per favorire gli avanzamenti di carriera di categorie di impiegati... è stata utilizzata dai più disparati enti (Ordine dei giornalisti, Comune di Roma, Corte dei Conti, associazioni professionali di ragionieri, periti agrari, consulenti del lavoro, promotori finanziari, vigili urbani)». Secondo il prof. Monti il tetto di 60 crediti riconoscibili, ribadito ora dal ministro, non sarebbe vincolante per i rettori. Spero si sbagli. MARIO PIRANI ___________________________________________________ Il Giornale 29 Ott. ‘06 LIBERALIZZARE L'UNIVERSITÀ. PERCHÉ VIVA Stefano Zecchi L’università è sul piede di guerra; scioperi e blocchi dimostrativi dell'attività didattica sano nell'aria. Il fatto sembra paradossale soltanto ricordando quello che accadeva neppure due anni fa: professori, ricercatori, studenti, inveivano contro i barbari di centrodestra che, timidamente, tentavano di sburocratizzare l'amministrazione degli atenei e di introdurre principi di merito. Adesso nel governo, professori e ricercatori trovano il meglio (...) (...) possibile per i loro sogni: un ministro dell'Università vicinissimo alle esigenze sindacali del corpo accademico e un ministro dell'Economia che non scrive una riga della legge finanziaria se non ha l'approvazione dei dirigenti di Rifondazione comunista. Cosa succede allora? È finito un sogno, il sogno ingenuo e antistorico dei docenti che speravano nel governo di sinistra. 1 due ministri litigano tra loro (quello dell'Università. ha minacciato le dimissioni se verranno confermati i tagli della Finanziaria alla gestione degli atenei) e i docenti litigano con il loro ministro di riferimento, promettendogli lo sciopero, spalleggiati dai sindacati. L'esigenza del ministro del Tesoro di tagliare le spese dell'università è corretta da un punto di vista strettamente ragionieristico. Con criteri sommari, però con riferimento a dati statistici, cerca di riportare le spese universitarie all'interno dei parametri europei. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, il problema. non è risolvibile, perché il ministro credeva di tagliare i rami secchi di un bel giardino all'inglese, e invece si è trovato nel mezzo di una boscaglia cresciuta da un trentennale groviglio di leggi volute sia da un sindacalismo che ha logorato le basi meritocratiche della vita universitaria, sia dai poteri municipali che hanno preteso il frazionamento e il decentramento delle sedi con pure e semplici finalità clientelari. II localismo, associato al corporativismo, ha generato quella boscaglia universitaria insidiosa per chiunque si addentri con l’intenzione di dare un po' di razionalità gestionale agli atenei. Eppure i due ministri, Padoa-Schioppa e Mussi, erano quanto di meglio si potessero aspettare i docenti universitari che avevano duramente contestato le iniziative del precedente ministro di centrodestra. Ma, appunto, il sogno finisce all'alba. della prima Finanziaria, un sogno che si augurava di modernizzare l'università attraverso un'azione dirigistica con cui riclassificare dall’alto i ruoli, le competenze, l'assegnazione dei fondi per l'università. Un puro e semplice modello giacobino modernizzatore degli atenei che esplode per le sue contraddizioni, non perché male interpretato dai due ministri, ma, al contrario, perché essi si sono mostrati fedelissimi interpreti del modello gestionale centralista. La conseguenza di tutto questo sarà che l'università, e con essa la scuola in ogni suo ordine, si dovrà rassegnare a vivere un periodo di grandi incertezze causate dalle contraddizioni sia della sinistra sindacale, sia del localismo. sia della rigidità della programmazione economica. E ciò comporterà là paralisi della vita accademica con il blocco dei concorsi per i docenti. con la sospensione delle immissioni in ruolo, con inevitabili tagli finanziari. E la boscaglia accademica crescerà sempre più florida. I docenti che hanno visto i loro sogni infranti, dovrebbero prendere coscienza che i problemi dell'università non si risolveranno mai attraverso decisioni verticistiche e centralistiche. ma mediante una strategia. alternativa che conferisca la piena autonomia agli atenei per avviare una vera e propria competizione tra. le singole università. Questa nostra fase storica ricorda da vicino la crisi attraversata dall'Inghilterra negli anni Settanta che ha avuto effetti devastanti per l'università. Le difficoltà, gravi e strutturali, sono state superate proprio con opportune liberalizzazioni che hanno introdotto differenze di qualità tra. gli atenei, differenze economiche tra i docenti, differenze tra gli studenti sulla. base del merito. Noi abbiamo università che possono ritrovare l'eccellenza se vengono lasciate libere di competere tra loro e contro quelle nate dal localismo e dal clientelismo. È soltanto necessario - ma la cosa è complicatissima - introdurre ragionevoli incentivi economici per i docenti migliori e respingere le pressioni corporative sindacali che nulla hanno a che vedere con la ricerca scientifica. Dubito che il governo di sinistra abbia il coraggio di procedere sulla strada delle liberalizzazioni del mondo universitario, mentre invece un eventuale prossimo governo di centrodestra, rafforzato dal fallimento della politica accademica della sinistra, potrà riprendere con più convinzione di prima la riforma dell'autonomia dell'università. Stefano Zecchi ___________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Ott. ‘06 UNIVERSITÀ: IL SOLITO VIZIO DI NON VOLER CAMBIARE di Alessandro Schiesaro Il presidente della Repubblica ha premiato questa settimana i 25 studenti universitari migliori d'Italia; domani, a Milano, aprirà fanno accademico della Bocconi. In questo modo Giorgio Napolitano prosegue giustamente sulla strada segnata dal suo predecessore, di cui era ben noto l'interesse appassionato per l'università, la ricerca, la formazione. Spesso, purtroppo, si ha l'impressione che l'unanime riconoscimento di importanza attribuito a scuola e università sia scaduto in stereotipo prima ancora di diventare un credo. Società della conoscenza, ricerca dell'eccellenza, spinta all'innovazione, sono slogan ormai sovrabbondanti: manca> però> la consapevolezza diffusa di quali scelte è indispensabile compiere per avvicinarsi a risultati tangibili. Negli scorsi anni si è assistito a una trasformazione del sistema universitario cui sarebbe ingiusto negare anche aspetti positivi, ma di cui è altrettanto vacuo ignorare i limiti. In assenza di un dibattito pubblico intenso e concreto, si continua nei fatti a gestire un sistema profondamente schizofrenico. Alcuni piccoli settori protetti sono stati messi in sicurezza ma il resto è stato lasciato allo sbando. Cosi a fianco di alcuni corsi di studio a numero chiuso, a una laurea in legge che per motivi inspiegabili è riuscita a ritagliarsi uno statuto sui generis, a poche realtà di eccellenza vera o presunta, l'università "di massa" resta quella di sempre. Ammette più studenti di quanti possa utilmente istruire; rinuncia a richiedere, come pure prevedeva l'architettura iniziale del «3+2», percorsi coerenti tra superiori e università; continua in fondo ad applicare largamente - solo su numeri più ampi e con qualche abbandono in meno la logica della sopravvivenza del più forte che caratterizzava lo scenario pre-riforma. Eppure è ovvio che un Paese di quasi 6o milioni di abitanti specie mentre si profila come sfida e opportunità la richiesta di integrare un numero ampio di immigrati - non può continuare a illudersi che merito, valutazione e ricerca dell'eccellenza in tutti gli ambiti della formazione riguardino solo una minoranza sparuta. Anzi, invece di parlare di eccellenza, termine ormai abusato (soprattutto quando viene conferito a priori), sarebbe bene concentrarsi sull'obiettivo di innalzare la qualità del sistema, non delle sue eccezioni. Farlo non è facile, ma neppure impossibile, a patto che la politica sia consapevole della posta in gioco, e si riveli disposta a impegnarsi fino in fondo. Nei sistemi pubblici, le grandi trasformazioni delle università sono sempre state avviate e guidate dal mondo politico, che in questo campo ha spesso saputo trascendere gli schieramenti: cosi è accaduto negli ultimi vent'anni in Gran Bretagna, un Paese che ha oggi tra le migliori università d'Europa; cosi è da qualche tempo in Germania, dove prima il governo Schroeder e oggi la grande coalizione hanno avviato una riforma radicale per rimettere in moto un sistema ormai invecchiato. Segnali importanti in questa direzione arrivano anche dalla Spagna. In Italia si stenta invece a individuare una vera spinta riformatrice, che, inutile dirlo, imporrebbe scelte decise e sacrifici non piccoli. Come ogni anno, il dibattito autunnale si è prevedibilmente concentrato sui saldi finanziari, senza che dalle rappresentanze del mondo universitario siano arrivate proposte credibili di riqualificazione della spesa. Anzi, sembra ora a rischio uno dei pochi spiragli di vera novità contenuti nella finanziaria, che preannuncia una svolta nel reclutamento di nuove leve di studiosi: non pochi preferiscono, evidentemente, conservare l'attuale formula della cooptazione su base feudale. Il decreto collegato promette tempi rapidi all'istituzione di una Agenzia per la valutazione (non, almeno per ora, una vera e propria «Autorità»), ma mentre alcune sigle sindacali già gridano alla violazione della carta costituzionale, non ci si può nascondere che gli effetti della valutazione richiedono comunque anni per dispiegarsi in concreto, soprattutto se si decide di applicarne i risultati non alla spesa storica, ma solo all'incremento futuro. Tutti ricordiamo com'è andato a finire, qualche anno fa, il tentativo di introdurre elementi di carriera per merito nelle scuole, un tema ormai dimenticato. Naturalmente non è mai troppo tardi per cambiare registro: ma è bene aver chiaro che prezzo dell'inerzia è l'esclusione dalle traiettorie di sviluppo su cui punta il resto del mondo. Alessandro Schiesaro ___________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Nov ‘06 EPPUR SI PROMUOVE La ricerca ha bisogno di attenzione pubblica. A Genova la trova. È una strada per rilanciarsi DI GUIDO ROMEO A Genova si è dato appuntamento un nuovo popolo assetato di sapere e scoperte, ma anche di divertimento e spettacolo. Sono le decine di migliaia dei visitatori del «Festival della Scienza» in corso in Liguria fino al 7 novembre con 350 tra eventi, conferenze, dibattiti e laboratori nel capoluogo e in altri comuni. Curiosa e interessata ai progressi della ricerca, questa comunità multiforme vuole aggiornarsi sul teletrasporto e sulle origini dell'uomo, scoprire i segreti della fisica delle arti marziali, di cosa sono composti i cibi che mangiamo e delle eruzioni vulcaniche, ma anche guardare in faccia gli scienziati che stanno cambiando la nostra conoscenza del mondo e soprattutto far loro domande. I primi dati del 2006 indicano che i visitatori di questa quarta edizione supereranno probabilmente le 5omila persone che fanno scorso hanno compiuto circa ai6mila visite a mostre, laboratori conferenze e spettacoli nell'arco delle due settimane del Festival. Un fenomeno che mostra un interesse inaspettato per la scienza in un Paese come l'Italia dove la ricerca è cronicamente sotto finanziata. Ma come è fatto questo popolo del Festival? I risultati del primo studio su chi partecipa alla manifestazione e del suo impatto sul territorio saranno disponibili tra una settimana, ma un primo profilo già esiste. «È un popolo composito, sia per età che per preparazione culturale e classe sociale - spiega Vittorio Bo, direttore del Festival che per il secondo anno ha raggiunto un budget di 3 milioni di euro (per il 70% provenienti da sponsor tra i quali Telecom Italia e Compagnia di San Paolo) -. Le scuole rappresentano complessivamente il 52% dei visitatori, ma nei fine settimana, quando si registrano le affluenze maggiori, prevalgono le famiglie, i giovani e gli anziani». E uno su quattro proviene da regioni diverse dalla Liguria. «L'afflusso a questo genere di manifestazione è il segnale della diffusione di quella che chiamo la "terza cultura", prodotta dalla fusione del sapere umanistico e scientifico-osserva il newyorkese John Broclnnann, agente letterario di molti grandi scienziati ed editore della rivista online di idee "Edge", a Genova per intervenire alla manifestazione -. Oggiviviamo in un'epoca particolare, ci sono più ricercatori in circolazione che in qualsiasi altro momento della storia umana. Molti di essi sono anche grandi pensatori, in grado di offrire nuove risposte sulla natura umana e la domanda per incontrare questi scienziati sembra in crescita in Italia e in Europa più che negli Stati Uniti». La cifra comune più forte di questo popolo di curiosi, composto da scolari, pensionati, professionisti e giovani universitari, sembra però la ricerca di un'esperienza diretta, di un confronto in prima persona non con i divulgatori che appaiono proposti da tv e giornali, ma con i "veri" scienziati e con gli esperimenti. Quest'anno a Genova si possono incontrare, tra gli altri, il Nobel per l'economia Daniel ICahnemann, oggi impegnato nella messa a punto di un «indice del benessere nazionale» che possa sostituire il reddito come indicatore standard, e Robert Trivers, il biologo evoluzionista considerato dalla rivista «Time» una delle ioo persone più influenti del mondo per le sue idee sullo studio della mente umana. Allo stesso modo, nelle mostra-laboratorio come "Guarda che crosta" sulla geologia terrestre non è raro imbattersi in ragazzini di 10-12, anni che strillano «ho fatto eruttare il vulcano» senza accorgersi di aver seguito a una vera e propria lezione di scienze. « Sono loro che chiedono di venire qui - osservano due mamme che accompagnano i figli al primo anno di scuola medie -perché a scuola imparano la teoria, ma qui trovano esperimenti, computer, filmati e molta interazione. E divertendosi, imparano». Nel Festival ci sarebbe dunque l'embrione di un sistema educativo parallelo, in grado di offrire ciò che la scuola pubblica non può, o non vuole, permettersi? «La scuola rimane un luogo di formazione insostituibile per assicurare la continuità dell'insegnamento -- avverte Bo -. Il Festival dura 15 giorni all'anno e si muove invece in ma dimensione un po' "corsara" perché deve stare sempre all'avanguardia del sapere, un po' come la ricerca, per offrire sempre cose nuove. Il suo successo indica però che questo tipo di manifestazioni è ormai un pezzo del sistema e che il pubblico italiano è culturalmente maturo». La ricaduta culturale complessiva del Festival sarà misurabile solo nel medio- lungo periodo, ma l'impatto più visibile in quattro anni di Festival è forse proprio tra i laureandi e neolaureati delle facoltà scientifiche che vi hanno lavorato come animatori. In 400, per otto euro lordi l'ora, quest'anno danno vita, e voce, a laboratori ed esperimenti coinvolgendo il pubblico. Ma da semplici collaboratori a progetto quest'anno diversi animatori sono diventati anche fornitori di contenuti, proponendo i propri progetti di divulgazione. Come Omar Valentino, studente di ingegneria civile, che nell'atelier della "Fisica del Samurai" mostra, scaraventandovi sul tatami, che non si possano padroneggiare le arti marziali senza conoscere baricentro, leve e momenti di forza, o Gabriele Filippelli, che con "Il Rame e la Seta" fa scoprire ai più giovani le leggi dei campi elettromagnetici. «Quest'anno è stata anche avviata una scuola di formazione alla divulgazione scientifica con il sostegno dell'Infn - spiega Andrea Sessarego, 24 anni e laureando in biologia molecolare e uno dei tre responsabili dell'animazione scientifica - con moduli di formazione alla teatralità, ma anche alla comunicazione e alla storia della scienza, alla sicurezza e alla psicologia del lavoro di squadra. Molti ragazzi hanno scoperto una nuova professione e vogliono continuare su questa strada». Dopo quattro anni il Festival non ha solo trovato un popolo, ma anche diversi figli che non chiedono altro che farlo crescere. guido. romeo @gmail.com ___________________________________________________ IL Riformista 3 Nov ‘06 NON RIDUCIAMO LA FINANZIARIA SUGLI ATENEI AL TAGLIO DEGLI STIPENDI I docenti universitari sono nuovamente sul piede d' guerra. II disegno di legge finanziaria per il 2007 non 1 l’ soddisfa sotto molti aspetti. L'aumento del fondo per il personale e per il funzionamento degli atenei è molto limitato; è stato confermato il taglio sulle spese per i consumi intermedi stabilito nel luglio scorso; è prevista una riduzione del 50% su uno dei due incrementi stipendiali automatici. Si sono levate critiche furenti, tanto che sono passate in secondo piano altre norme della finanziaria decisamente più favorevoli ' come il forte aumento dei fondi per la ricerca: 300 milioni di euro che corrispondono a un aumento del 150% in un solo anno. Non vi è dubbio, comunque, che il mondo universitario si attendesse di più dal nuovo governo anche sulla base del fatto che tutte le analisi del voto mostrano con chiarezza che i consensi per il centrosinistra sono in questo mondo decisamente maggioritari. La linea governativa per la manovra finanziaria per il 2007 è tanto chiara quanto difficile da perseguire. Dopo un quinquennio di continui sfondamenti si è scelto di rientrare in un solo anno entro i parametri economici virtuosi stabiliti dall'Unione europea, operando una colossale riduzione delle spese, la più ampia degli ultimi quattordici anni, ma non rinunciando a reinvestirne una parte in interventi di sviluppo. Sotto quest'ultimo aspetto, era lecito sperare che l'università e la ricerca - che tutti definiscono come i motori di una nuova fase di crescita economica e L sociale basata sulla migliore formazione del capitale umano e sull'innovazione pilotata da nuove conoscenze - potessero ricevere maggiori risorse nel capitolo investimenti, naturalmente senza sottrarsi, al pari delle altre amministrazioni pubbliche, a dare il proprio contributo alla razionalizzazione della spesa. Ma il cammino della finanziaria è ancora lungo e la proposta di legge sarà certamente migliorata nel confronto parlamentare e nel riesame governativo. Per quanto riguarda la riduzione degli incrementi stipendiali - che comunque tocca tutte le categorie non contrattualizzate del pubblico impiego le quali godono di particolari automatismi di legge sia per gli avanzamenti economici di carriera che per gli adeguamenti al costo della vita - è stato un errore non tener conto del caso particolare dei docenti universitari appena reclutati o promossi. Sia nel caso dei ricercatori che dei professori, come già acutamente osservato da Figà Talamanca su questo giornale, essi hanno stipendi iniziali decisamente bassi rispetto alla qualità e quantità del lavoro che svolgono e alle responsabilità culturali e sociali di cui sono investiti. In una società che già penalizza molto i giovani ricercatori e che ha generato l'incredibile spreco della fuga dei cervelli, non è giusto ridurre toro la velocità di accrescimento di uno stipendio iniziale di soli 1.300 euro. Ci siamo subito impegnati a sanare almeno questa anomalia ma sarebbe opportuno rivedere l'intero impianto della norma. Cosi come sarebbe opportuno ripensare l'intero impianto delle carriere dei docenti universitari. Attualmente divise in tre tronconi (ricercatori, associati, ordinari) con tre diversi concorsi senza distinzione tra reclutamenti e promozioni, con tre periodi di prova, con tre differenti carriere intersecate economicamente tra loro. Il tutto senza che, all'interno di ogni singola carriera, alcuno valuti mai effettivamente il lavoro didattico e di ricerca svolto. È quindi possibile, in particolare per i fortunati che vincono precocemente un posto di professore ordinario, trascorrere l'intera vita lavorativa e percorrere l'intera carriera economica, fino a stipendi rilevanti, senza nessuna valutazione di merito. Nel decreto-legge fiscale che accompagna la finanziaria, il governo ha inserito una norma che pone un primo fondamentale tassello per istituire un vero e nuovo sistema di valutazione, cioè un'agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca, indipendente dal ministero come da università ed enti di ricerca. Ma occorre dire - ed è consolante osservarlo rispetto a un'opinione pubblica che reagisce ai troppi scandali universitari riversando un indistinto generale discredito sui docenti, anche sui moltissimi che si dedicano con passione e impegno al loro lavoro - che la proposta di taglio degli incrementi stipendiali ha generato nel mondo universitario anche una reazione riformatrice interessante. Alcuni hanno osservato che avrebbero accettato una ridefinizione del trattamento economico purché all'interno di un nuovo modello di carriera fortemente meritocratico, che recuperi comunque all'università l'attuale spesa per il personale docente ma che permetta finalmente di premiare, anche economicamente, i docenti più meritevoli. Walter Tocci, responsabile per l'università dei Ds, si è fatto promotore di emendamenti alla finanziaria in questo senso. Sarebbe comunque un errore ridurre tutta la finanziaria su università e ricerca a una questione di stipendi e di naturali reazioni sindacali. Molte altre norme devono essere discusse e valutate. Come nell'esempio del taglio degli incrementi stipendiali se ne potrebbe trarre una prospettiva politica. L'università e la ricerca meriteranno l'attenzione economica che giustamente reclamano nella stessa misura in cui riusciranno a dimostrare ai cittadini che sono pronte a riformarsi profondamente negli aspetti più controversi del loro funzionamento. C'è un patto virtuoso che va stipulato tra università, ricerca e società: nessuno può chiedere riforme senza nuove risorse, ma nessuno può chiedere nuove risorse senza riforme. Cerchiamo sottoscrittori. Sottosegretario all'Università e alla ricerca scientifica ___________________________________________________ IL Riformista 3 Nov ‘06 C’E SEMPRE TEMPO PER UNA UNIVERSITÀ MERITOCRATICA REPLICA A FIGA TALAMANCA aro direttore, ho apprezzato il tono costruttivo dei commenti del professor Figà Talamanca sullo stato dell'università italiana. Apprezzo anche il suo - benché rapido - accordo nel ritenere auspicabile (e doveroso?) un contenimento delle spese negli atenei italiani. Ma non è argomento da trattare en passant bensì su cui battere e ribattere, specialmente con la conferenza dei rettori che sembra credere che non è possibile effettuare ulteriori massicce dosi di razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi contenendo i costi. I soldi risparmiati, non pochi, possono ben essere indirizzati a stimolare la ricerca. Ma il disaccordo col professor Figà Talamanca permane per quanto riguarda la nuova governance da dare all'università italiana. Ricordo la mia proposta brevemente per il lettore: «Un sistema in cui il30% (e non l'uno per cento come oggi) dei fondi totali all'università siano ripartiti ai singoli dipartimenti solo ed esclusivamente in funzione della qualità della ricerca, valutata oggettivamente. È un sistema fattibile, visto che è da anni portato avanti con successo nel Regno Unito in un'ottica a predominante carattere pubblico. Ciò permetterà di abolire i concorsi e lascerà libere le università di assumere chi vogliono, differenziando i salari tra docenti come vogliono facendosi concorrenza e pagando in proprio le conseguenze di scelte malsane. Queste università diverranno famose nel mondo per la qualità della loro ricerca e per i suoi dottorati di ricerca di altissima reputazione. Alle rimanenti università senza fondi non resteranno che due alternative: chiudere (in fondo non ci si lamenta tutti del proliferare di atenei inutili?) o trovare i fondi sul territorio tramite fondazioni, banche e contributi privati se questi riterranno utile farlo. Pagheranno salari più bassi di quelle di ricerca che avranno budget certamente più ampi, ma riusciranno certamente ad attrarre buoni o ottimi insegnanti e competeranno tra di loro sulla base della qualità dell'insegnamento non tanto a livello di dottorato ma di lauree. Si verrà a creare un sistema dove accanto a grandi università di ricerca convivono ottime piccole università specializzate in buona didattica». II professore Figà Talamanca ci ricorda che 1e origini delle università inglesi in università di ricerca e università di insegnamento già esisteva dagli anni Sessanta. Bene, non vedo la rilevanza di ciò. Quello che conta è l'esito della riforma inglese avviata nel 1986 per far fronte alla improduttività del sistema britannico allora molto simile al nostro odierno quanto a risultati. Al contrario di quel che sostiene il professor Figà Talamanca, la valutazione della ricerca e il trasferimento di fondi sulla base del merito ha sconvolto in un decennio il sistema universitario inglese rispetto a quello prevalente prima. In esso, ora, le università si strappano le migliori menti scientifiche con offerte contrattuali competitive che ricordano un mercato calcistico, senza nessun eccesso in termini di bilanci taroccati. È inoltre un sistema dove nulla impedisce che una università decida di diventare di ricerca e non di didattica: basterà che si getti con successo nella mischia della competizione. Un sistema, quello britannico, che ha ormai superato il sistema italiano che negli anni Settanta e Ottanta era ancora in vantaggio. Lo testimoniano molti dei nostri giovani ricercatori più brillanti che non rientrano in Italia a causa della mancanza di gruppi di ricerca paragonabili a quelli inglesi e delle basse remunerazioni contrattuali data la loro qualità. Lo testimoniano le migliaia di studenti stranieri che si battono per entrare in una università inglese senza che pensino nemmeno per un istante di venire qui da noi. Lo testimonia lo stato delle infrastrutture delle università dei due paesi. Basterà guardare alcuni dati sulla ricerca per dollaro speso: 16 lavori scientifici contro 9; 70 citazioni contro 9. E poi 11 lavori scientifici per ricercatore contro 5,6 e 4,5 citazioni per ogni lavoro contro le 3,8. Sempre a favore del Regno Unito. E queste sono statistiche di fine secolo, le cose è probabile siano andate peggiorando di recente. Le statistiche aggiornate (per esempio quelle dell'istituto di educazione superiore di Shanghai) sulle migliori università europee colloca quattro università inglesi tra le prime cinque. Otto tra le prime venti. Trentatré tra le prime cento. Per vedere la prima italiana bisogna spettare il 34° posto. Cene sono solo sette tra le prime cento. Che cosa c'è ancora da dire? Non è un caso che il sistema italiano produca questi risultati. È un sistema che paga tutti in maniera uguale, fannulloni e geni. Vero, alcuni geni fanno consulenze private ma è tempo che viene detratto agli studenti e all'università in genere. Cosi facendo, con la sua politica salariale non meritocratica, lascia al di fuori dei nostri confini tantissimi giovani che sanno di valere ben di più, di quel che viene corrisposto a tutti. E un sistema che non alloca (se non marginalmente) fondi di ricerca in base alla qualità delle pubblicazioni dei singoli e che quindi non stimola la competizione su progetti di ricerca. Figà Talamanca sostiene che mentre in Inghilterra i geni si concentrano in poche università, in Italia ogni università ha qualche genio. Vero. Peccato che i movimenti di capitale umano, quando remunerati, sono guidati dai poli di eccellenza: i più bravi vanno dove sono i più bravi perché renderanno ancora di più in un ambiente stimolante. Da noi, visto che il capitale umano non è remunerato, nessuno si muove da nessuna parte e le nostre università stagnano lasciando che i geni dialoghino con i fannulloni, senza creare valore aggiuntivo. Per produrre la diversificazione tra università di ricerca e di didattica, conclude il professor Talamanca, «bisognerebbe trasferire a forza o con costosissimi incentivi, i docenti da una sede all'altra» (en passant: quello che è stato fatto finora in Italia con il quasi-obbligo di andare a insegnare almeno un triennio fuori di casa prima di tornare alla città natia). E perché mai? Nel sistema inglese i traslochi sono volontari e costituiscono momenti di grande gioia per i ricercatori bravi che, sulla base di offerte allettanti di università in competizione tra loro, si muovono verso mete economicamente ed intellettualmente più stimolanti. Non so perché il professor Talamanca, parlando del sistema italiano, dice «non si può più tornare indietro». Mi sovvengo della frase di Kant che il ministro Padoa Schioppa ha apposto come incipit del suo Dpef di quest'anno: «Coloro che dicono che il mondo andrà sempre come è andato finora contribuiscono a far si che l'oggetto della loro predizione si avveri». Su una cosa però il professor Figà Talamanca ___________________________________________________ Il Sole24Ore 3 Nov ‘06 MUSSI: SUI CONCORSI SI CAMBIA ANCORA Alessia Tripodi ROMA Il ministro Fabio Mussi annuncia nuovi concorsi per i ricercatori. E lo stesso ministero dell'Università, insieme con i dicasteri dell'Istruzione, dell'Innovazione e dei Beni culturali, lancia il «Gruppo di lavoro per la cultura scientifica e tecnologica», una task force governativa per combattere la crisi delle vocazioni scientifiche nel nostro Paese. Le nuove procedure di reclutamento per chi fa ricerca nelle università «dovranno garantire - ha detto ieri Mussi, intervenendo a Roma alla presentazione del comitato intermininisteriale celerità nella valutazione di curricula e titoli, più trasparenza e maggiore aderenza agli standard europei. I concorsi saranno organizzati per grandi aree - ha aggiunto Mussi - mentre dovrebbe essere escluso il doppio canale, cioè i concorsi nazionali e quelli all'interno delle università». La delega al ministro per la riforma delle procedure di reclutamento è contenuta in un emendamento governativo alla Finanziaria - attualmente all'esame della Commissione Bilancio della Camera - mentre i dettagli sulle procedure saranno stabiliti da un decreto ministeriale che, una volta approvata la manovra di bilancio, dovrà essere emanato entro il 31 marzo 2007. Secondo le previsioni; il ministero dell'Università assegnerà agli atenei fondi vincolati all'assunzione di nuovi ricercatori e gli stessi atenei avranno il compito di bandire i concorsi, sulla base, però, di criteri stabiliti a livello nazionale. «I commissari dovranno essere esterni agli atenei dove si svolgono i concorsi-ha spiegato ancora Mussi J- e assumersi la responsabilità dei lo ro giudizi». Successivamente, poi, sarà la nuova Agenzia di valutazione a giudicare l'efficienza del lavoro svolto dai nuovi assunti. Intanto, però, nel nostro Paese la carriera scientifica non riscuote gran successo tra i giovani. Quest'anno le immatricolazioni alla facoltà di Matematica sono calate del 50% e anche le iscrizioni a Ingegneria hanno registrato, per la prima volta, una battuta d'arresto. In generale, secondo dati forniti da Viale Trastevere, solo il 2% degli studenti sceglie un corso di studi a carattere scientifico. Anche gli studenti delle superiori hanno poca confidenza con matematica e scienza: nell'ultima indagine Pisa (Programme for international student assessment), realizzata dall’Ocse per valutare le performance dei 15enni, gli italiani mostrano risultati decisamente scarsi in matematica. Sarà compito della task force ministeriale presentata ieri a Roma dai ministri Mussi e Fioroni - insieme con Luigi Berlinguer, chiamato a presiedere il gruppo di lavoro - intervenire per ridare appeal al settore, attraverso azioni che riguarderanno i contenuti della formazione scolastica e universitaria e l'aggiornamento dei docenti. Le attività coinvolgeranno direttamente il mondo delle imprese (nel gruppo di lavoro siederà anche un rappresentante di Confindustria) e punteranno anche al potenziamento della divulgazione scientifica, attraverso i mezzi di comunicazione di massa. «Le imprese dovranno fare la loro parte e puntare,su assunzioni più qualificate» ha fatto presente Fioroni, sottolineando che «il 38% degli assunti nel zooó possiedono al massimo la terza media», mentre Mussi ha ricordato «il potenziale enorme dell'Italia, con ricercatori che, tra i paesi del G8, sono al terzo posto per produttività». -DECENTRAMENTO ___________________________________________________ AVVENIRE 28 Ott. ‘06 NASCE IN SARDEGNA IL SUPER TELESCOPIO Si tratta del più grande progetto italiano e sarà operativo nei prossimi due anni DA CAGLIPARI ANDREA MAMEELI Per ascoltare la voce delle stelle serve un posto al riparo dal vento e l'umidità. E lontano da ripetitori tv e antenne per cellulari. Cosi, per collocare il più grande radiotelescopio italiano, l'Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf) ha impiegato 5 anni. Alla fine la scelta e caduta su Pranu Sanguni, in Sardegna: una località a 700 metri di quota che deve il suo nome (in italiano: «altopiano del sangue») alle distese di erbe che in primavera si tingono di rosso. Qui, a 35 chilometri da Cagliari, è in corso la meticolosa posa dei binari circolari che permetteranno alla gigantesca parabola (64 metri di diametro, formata da 1008 panelli mobili, controllati da computer) di inseguire i segnali radio su una banda compresa fra 300 Mega Hertz e 100 Giga Hertz. Il Sardfflian Radio Telescope (Srt) sarà ultimato entro il 2008 e opererà singolarmente o in connessione con altri radiotelescopi per effettuare numerose misurazioni, dalla composizione chimica del mezzo interstellare alla geodinamica, e per osservare le sonde interplanetarie. «I risultati delle osservazioni verranno condivisi in tempo reale - ha spiegato il presidente dell'Inaf Giovanni Benvenuti - con gli istituti di astrofisica di tutto il mondo, grazie all'Università di Cagliari». Un radiotelescopio nel cuore della Sardegna che diventerà nel tempo una finestra privilegiata per guardare in profondità le stelle e scoprire il mistero di questo mondo sconosciuto ai più. «La radioastronomia per approfondire la conoscenza dell'universo usa la banda radio - spiega Nicolo D'Amico, direttore dell'Osservatorio astronomico di Cagliari - usa la banda radio, riuscendo così a captare segnali altrimenti non visualizzabili. Per esempio le pulsar». Un mezzo che permetterà alla Sardegna di essere terra d'avanguardia nel campo delle tecnologie. «Per eseguire le misure di segnali deboli usiamo strumenti elettronici cosi sofisticati - prosegue - da richiedere una realizzazione su misura. Da questo genere di tecnologie d'avanguardia si generano a loro volta innovazioni applicabili all'industria». La Sardegna dunque, nel corso degli anni, diventerà un crocevia di dialogo tra scienza e territorio. «Dove si creano punte d'eccellenza nascono poli di attrazione per il circuito scientifico internazionale della ricerca. - annota - Qui possiamo contare su un tessuto già attivo. Il capitale umano cresce grazie al continuo scambio e noi stiamo utilizzato il programma regionale "Master and Back che finanzia la formazione dei giovani fuori dalla Sardegna e prevede agevolazioni per il loro successivo rientro.» Il cantiere si aprirà all'esterno, coinvolgendo la popolazione locale con attività di divulgazione scientifica, e dando vita al progetto «Evento SRT»: la sezione cagliaritana dell'Inaf (sul modello dei «cantieri evento») sta documentando ogni fase di costruzione e organizzerà visite guidate al cantiere. Un progetto dunque quello avviato in Sardegna che permetterà di avvicinare i giovani al mondo della scienza. «H nostro progetto potrebbe aiutare a riavvicinare i giovani alle materie scientifiche. - riflette infine Nicolò D'Amico —Per farlo bisogna condurre azioni di divulgazione ad alto livello, toccando tutti gli aspetti dalla fisica di base alla cosmologia. Dobbiamo riaccendere un entusiasmo che manca in tutta Italia.» ___________________________________________________ Italia Oggi 31 Ott. ‘06 ACCESSO ALL'ALBO SOLO CON LA LAUREA Intervista a Cesare Damiano, ministro del lavoro, sull'importanza strategica dei consulenti Titolo di studio coerente con l'evoluzione della professione Le polemiche sulla riforma delle libere professioni non tendono a placarsi. II tema è stato oggetto di uno dei periodici contatti tra il ministro del lavoro, Cesare Damiano, e il presidente del Consiglio nazionale, Marina Calderone. Il titolare del dicastero ci ha rilasciato un'intervista di cui pubblichiamo uno stralcio; il testo integrale si trova sul n. 9 della rivista Il consulente del lavoro, fruibile anche dal portale di categoria (www.consulentidellavoro.it) «I liberi professionisti svolgono un ruolo indispensabile per la crescita economica, sociale e culturale del nostro paese», esordisce il Ministro Damaino . È perciò necessario che sappiano interpretare i cambiamenti della società, con la crescente richiesta di servizi professionali sempre più interdisciplinari e qualificati. Quello del governo non è stato un atto di chiusura bensi un segnale chiaro e inequivocabile per riportare il tema della riforma al centro di un dibattito che ha ormai raggiunto un sufficiente grado di maturità. Peraltro, il recente avvio delle consultazioni da parte del ministero della giustizia sta li a dimostrare la nostra reale volontà concerEativa che, sono sicuro, porterà ad una modernizzazione del settore e a favorire l'ingresso dei giovani nelle attività professionali». 121 mila consulenti del Lavoro rappresentano oggi in Italia una enorme banca dati del lavoro, assistono oltre 1 milione di aziende che occupano oltre 8 milioni di addetti. Quali le prospettive per una categoria che opera in uno dei settori nevralgici del paese*? «La vostra professione richiede una costante formazione e un quotidiano aggiornamento, data la continua evoluzione della legislazione sul lavoro e il fatto di operare "sul campo". Per questo, fin dal mio insediamento, ho voluto incontrare i vertici della categoria e stringere un rapporto di reciproca collaborazione e dialogo che prosegue anche in que sti giorni sulla materia dell'asseverazione contributiva. Sono convinto che i consulenti sapranno fornire al ministero informazioni, dati e spunti utili per migliorare la legislazione del lavoro. Ritengo inoltre che il titolo di studio per l'accesso alla professione debba essere coerente con l'evoluzione avuta dalla vostra professione. Il requisito della laurea dovrà essere introdotto prima possibile. La situazione attuale è assolutamente anacronistica. Peraltro, se non ricordo male, persino disapprovata dalla Comunità europea. Infine, è auspicabile che i consulenti tornino a ragionare attorno le possibilità offerte da una maggiore sinergia tra le professioni che guardano ai settori economico, giuridico e lavoristico. Le aziende sono sempre più alla ricerca di servizi professionali forniti a 360 gradi, meno parcellizzati e per questo stesso semplificati. Ritengo che la ricerca di sempre maggiori azioni combinate possa riguardare anche le Casse di previdenza dei professionisti, anche in chiave unificatrice, e che lo stato la debba sostenere e incentivare». Marina Calderone e Cesare Damiano Pagina a cura DELL'UFFICIO STAMPA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ORDINE DEI CONSULENTI DEL LAVORO __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 1 nov. ’06 FORZA DELLA SCIENZA E FORZE DELL'IGNOTO di EDOARDO BONCINELLI Poiché non amo le polemiche, avevo scritto sul Corriere di lunedì un breve articolo sulla realtà della scienza e sulle sue diverse dimensioni, di ieri come di oggi. Avevo affermato che la scienza ha molti nemici, ma non avevo accusato nessuno. O per meglio dire avevo accusato un complesso di forze vecchie e nuove che militano contro la scienza e i suoi metodi. Ma qualcuno si è sentito accusato e si è vi.. sto costretto a replicare. Su Avvenire di ieri è comparso un editoriale a firma di Francesco D'Agostino che commenta, le mie parole, mentre all'interno della stesso giornale si può trovare una pagina tutta dedicata al Festival della Scienza di Genova e alla sua vocazione troppo «laicista», che ospita le dichiarazioni di due ricercatori secondo i quali la ricerca avrebbe bandito la parola «mistero». Andiamo per ordine. Dopo avere riassunto correttamente i punti della mia argomentazione, D'Agostino fa alcune osservazioni. Innanzitutto concede che la scienza abbia prodotto conoscenze preziosissime ma che «non produce né sarà mai in grado di produrre, tutte le conoscenze, esistono dimensioni del sapere ... che non sono riducibili alle conoscenze scientifiche». Gli esempi di dimensioni del sapere citati sono quelle dell'estetica, della morale e dell'affettività. Non è proprio della scienza voler spiegare tutto; come non le è proprio usare avverbi totalizzanti come «mai» o «sempre». Se qualcuno ha affermato il contrario, non è certo uno scienziato. Una teoria che spiega tutto, hanno detto tante volte gli scienziati, non è scienza, è metafisica. In secondo luogo, «la scienza non è in grado, di per sé, di discriminare un'applicazione pratica che promuova il bene umano ... da un'applicazione pratica che gli faccia invece violenza». Certamente. Per questo c'è la società con le sue diverse sedi di discussione e il potere politico per metterne in pratica le decisioni. La scienza propone solo nuove soluzioni e nuovi strumenti, talvolta rivoluzionari, che la società deve vagliare con spirito aperto e informato. Più sotto si rimprovera a Galileo, che pure si era mosso nello spirito di Socrate, di avere aggiunto a questo spirito qualcosa «che, mentre potenzia la scienza come potere oggettivo, la impoverisce come sapere umano». II fatto è che essa «coglie dei fenomeni solo la dimensione estrinseca e lascia cadere la domanda di senso». Non si rende conto D'Agostino quale sofferta rinuncia è questa per la scienza, che consapevolmente si sforza di occuparsi delle questioni più appassionanti nella maniera più spassionata? 5i tratta, tra l'altro, di una rinuncia improntata alla massima modestia. La passione è fondamentale nella vita del singolo, ma può annebbiare la vista della collettività. E la scienza cerca di farsi annebbiare la vista il meno possibile. Solo cosi facendo è riuscita a capire e a modificare tante cose che sono rimaste per secoli minacciose e inspiegate. E veniamo infine all'argomento dell’atteggiamento della scienza rispetto al mistero. La scienza non ha bandito affatto il mistero dal suo mondo. Se è vero che ha chiarito tanti misteri esistenti in passato, è anche vero che ne ha pro posti almeno altrettanti, se non di più. Ogni nuova scoperta scientifica genera nuove domande e propone nuovi problemi. Non c'è proprio da temere di rimanere senza misteri. Misteri ce ne saranno sempre. Quello che non posso avallare, però, è l'atteggiamento di coloro che sembrano dispiacersi quando si chiarisce un nuovo mistero, come se facessero il tifo per le forze dell'ignoto. Chiarire il maggior numero possibile di misteri è il nostro compito e qualcosa o Qualcuno ci ha dato la mente e la forza d'animo per farlo. __________________________________________________________ Avvenire 1 nov. ’06 GLI STUDENTI IGNORANO LE TRE CARAVELLE La maggioranza degli studenti italiani ignora l'esatta destinazione delle tre caravelle di Cristoforo Colombo, facendole sbarcare in India, in Cina o A America Settentrionale. Solo il 16% dei ragazzi delle medie e il 28% delle superiori indica le Antille e l'America Centrale. Preferisce non rispondere il 25% degli studenti delle medie e il 29% delle superiori. Risulta da un sondaggio dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea dei Cnr di Cagliari. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Ott. ‘06 STUDENTI, IMPARATE A CHIEDERE DI PIÙ di Marco Demarie L’università italiana ha bisogno di cambiare. L'affermazione è condivisa, dentro e fuori l'università. Meno condiviso è come fare. C'è una domanda da parte degli studenti? Essi non sono soltanto clienti, consumatori del servizio universitario, ma anche investitori di tempo ed energia per il loro futuro personale e, in modo aggregato, quello nazionale. La loro domanda è importante è dovrebbe contribuire a guidare il cambiamento. L'università, invece,, sembra privilegiare le istanze dell’offerta: organizzazione dei saperi e degli insegnamenti, ricerca, status del personale. Con qualche buona ragione: l'università è infatti il luogo della ricerca e del sapere di base, la cui responsabilità è principalmente degli accademici. Le altre funzioni dell'università-la formazione della classe dirigente e la crescita dèl capitale umano - dovrebbero, invece, essere più attente alle richieste che provengono dagli studenti, come dall'economia e dall'organizzazione sociale: Una domanda consapevole di università da parte degli studenti non è un dato ovvio. T giovani sembrano chiedere oggi soltanto un decente livello di qualità dei servizi e un buon ambiente per coltivare relazioni gratificanti tra pari. Può bastare? Gli studenti debbono imparare a chiedere di più: non garanzie, ma strumenti. Se cominceranno a esigere competenze serie e strumenti per continuare ad apprendere nella futura vita professionale, questa domanda potrebbe diventare una forza rilevante di riconfigurazione del sistema. Va costruita la figura dello studente consumatore e investitore informato del bene università. Spesso si giunge all'università con cognizioni scarse sul percorso di studio, e con altrettanto scarsa consapevolezza degli obiettivi culturali e professionali che esso dovrebbe rendere accessibili. Una migliore azione di orientamento alla scelta universitaria già nella scuola secondaria potrebbe servire a qualcosa? Più chiari sono gli obiettivi degli studenti, maggiore forza rivendicativa essi potranno avere. Si parla oggi di ridisegno della maturità: perché non formalizzare la tesina che la maggior parte degli studenti prepara per l'esame anche all'orientamento universitario, richiedendo che in essa sia inserita una disamina delle facoltà e università che offrono il corso di studio ambito dallo studente, magari integrata da interviste a studenti e/o docenti universitari di quella stessa arca di studio? La domanda cambiai mercati e, mutatis mutandis, potrebbe contribuire a mutare anche una struttura contraddittoriamente tanto mutevole quanto immobilistica come l'università. Il principio della domanda è importante. Una piccola innovazione quale quella suggerita potrebbe contribuire ad attivarlo. *Direttore Fondazione Giovanni Agnelli _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 3 nov. ’06 ATENEO. AVERE LA LAUREA COSTA SEMPRE DI PIÙ: le cifre oscillano tra 175 e 1300 euro Il salasso dell’Università tra tasse, bolli e contributi Penale per chi è fuori corso: pagherà tra il 5 e il 30 per cento di quanto dovuto annualmente Il salasso delle tasse universitarie Un incubo che per gli studenti dell’ateneo cagliaritano si presenta puntuale ogni settembre. E che può arrivare alla cifra record di 1332 euro per anno accademico, esclusi gli altri contributi dovuti all’Ersu, e le varie imposte di bollo. Un ’università che per l’anno appena iniziato presenta un amaro conto, fatto di significativi aumenti rispetto ai periodo precedenti: se per il 2004- 2005 il minimo della rata era di 170 euro, quest’anno si parte da una cifra superiore a 175 euro. Il massimo della contribuzione invece, prevista per chi supera i 66mila euro o per chi non intende dichiarare il reddito equivalente percepito, si attesta quest’anno sui 1100 euro, contro i 1065 di due anni fa. Questo se si parla di lauree triennali o del vecchio ordinamento. PER CHI FREQUENTA un corso di laurea specialistica di durata biennale il conto si presenta più salato, anche questo ripartito in quattro principali fasce di reddito che partono da 191,67 euro fino a 533,17 per una fascia di reddito che arriva sino ai 41mila euro. Superata questa cifra, il conto lievita di circa 15 euro ad ogni scatto di 500 euro, sino ad arrivare a 1332 euro. E fin qui ognuno accetta, anche se a malincuore, le ferree regole dettate dalla propria fascia di reddito. Ma non è finita: ci sono i contributi aggiuntivi, una miriade di tasse piccole e grandi che vengono pagate insieme a quelle di iscrizione. È a questo punto che l’istruzione diventa davvero proibitiva per molti. La cifra più corposa è quella per il contributo allo studio dovuto all’Ersu, 62 euro. A parità o quasi si posiziona il tanto contestato contributo di facoltà di recente introduzione: da un minimo di 20,67 euro a un massimo di 73,37. I fattori che contribuiscono a questa variazione sono il tipo di corso di studi e naturalmente la fascia di reddito. Vengono poi i 14,62 euro dell’imposta di bollo, i 5,33 euro per contributi alla mobilità internazionale, ossia ai programmi Socrates- Erasmus, e come se non bastasse ci si mette anche la Siae che per la tutela dei diritti d’autore dei testi fotocopiati nelle biblioteche universitarie chiede al povero studente 2,15 euro. Se poi disgraziatamente quest’ultimo decidesse di cercarsi un lavoro per far fronte alle spese e per questo motivo finisse fuori corso, le cose non migliorerebbero di certo. Anzi. Dal terzo anno fuori corso dovrebbe pagare il 5 per cento in più rispetto alle normali tasse, e la cifra raddoppia per ogni ulteriore anno, fino ad arrivare al 30 per cento per il sesto anno. E a svuotare le tasche degli aspiranti dottori. Ritardatari nel mirino Il salasso arriva anche per i ritardatari. Dopo la scadenza delle iscrizioni gli studenti dovranno sborsare 15 euro in più per un ritardo compreso tra un giorno e un mese. Chi invece salda la prima rata in ritardo, ma entro la fine dell’anno, dovrà aggiungere 40 euro. Lo studente che supera la data fissata per la presentazione dell’autocertificazio - ne del reddito dovrà pagare una mora di 60 euro. ________________________________________________ L’Unione Sarda 2 nov. ’06 MARIA DEL ZOMPO È LA PRIMA ITALIANA AI VERTICI DELL’ISPG Prestigioso riconoscimento La studiosa cagliaritana nel direttivo dell’Istituto internazionale di genetica psichiatrica Maria Del Zompo: viene da Cagliari la prima donna italiana a salire ai vertici della Società internazionale di genetica psichiatrica. La psicofarmacologa cagliaritana, che da un anno è anche prorettore dell’Università di Cagliari, è entrata a far parte del prestigioso Ispg su decisione del Comitato direttivo che l’ha cooptata per acclamazione a conclusione del XIX Congresso mondiale di genetica psichiatrica, che si è svolto in città (e per la prima volta in Italia) con la partecipazione di oltre mille studiosi. È stato il presidente della prestigiosa istituzione, Ming Tsuang, dopo aver annunciato che il prossimo Congresso si terrà a New York dal 7 all’11 ottobre 2007, a invitare la professoressa Del Zompo a una riunione del Direttivo, chiedendole di accettare la proposta d’ingresso nel Comitato esecutivo come membro effettivo. «Il vostro invito - ha detto Del Zompo - significa che la comunità scientifica apprezza il lavoro del nostro gruppo di farmacologia e ne premia i risultati». Maria Del Zompo, 55 anni, nata a Cagliari da una famiglia originaria di San Benedetto del Tronto, dirige da quattro anni il centro di Psicofarmacologia clinica (sezione di Farmacologia clinica) del Dipartimento di Neuroscienze «B.B. Brodie» dell’Università di Cagliari. Nutrito il suo curriculum: in passato ha lavorato alla Biological psychiatry branch, National institute of mental health a Bethesda, negli Usa, diretto da Robert M. Post, cinque anni fa ha avuto l’incarico della Regione Sardegna (assessorato della Sanità) di responsabile dell’Unità di valutazione Alzheimer, nel 2002 è stata nominata direttore della Scuola di specializzazione in Farmacologia, mentre da tempo è responsabile del Centro per lo studio e la terapia delle cefalee primarie e responsabile delle segreterie scientifiche di due Comitati etici. La sua attività di ricerca si è concentrata sulle neuroscienze cliniche, studi di genetica molecolare delle malattie complesse, studi di associazione di geni candidati con alcune malattie neuropsichiatriche, disturbo bipolare. Fra i suoi progetti di ricerca, si ricordano: The sardinian affective disorder and schizophrenia study, svolto in collaborazione con il laboratoire de Genetique moleculaire de la neurotransmission e des processus neurodegeneratifs, Cnrs, Hopital de la Pitiè Salpetriere di Parigi; Geni di suscettibilità nella schizofrenia deficitaria: studio di associazione con geni candidati (DRD2, GDNF, NRG1); e infine Emicrania: educazione Sanitaria, analisi dei costi diretti e indiretti e impatto delle terapie farmacologiche sulla qualità della vita di pazienti, epidemiologa genetica dell’emicrania in Sardegna. _______________________________________________ Il Giornale di Sardegna 2 nov. ’06 CAGLIARI: EMORRAGIA DI MATRICOLE IN ATENEO Università. Quest’anno solo 5.126 iscrizioni, nel 1998 erano state 6.378 attivare nuove lauree non basta Su oltre 36mila studenti, appena poco più di 14mila sono in regola con gli esami del corso Un numero sempre maggiore di corsi attivati e una quantità sempre minore di neodiplomati che decide di tentare la carriera universitaria. Il primo dato ad emergere nelle nuove tendenze dell’ateneo cagliaritano è senza dubbio l’enorme divario tra un’offerta formativa sempre maggiore e diversificata per ogni facoltà, e la diminuzione, quasi a picco, del numero delle immatricolazioni. Una situazione che si fa sempre più desolante col passare del tempo: per l’anno in corso sono state 5.126 le domande di immatricolazione pervenute alle segreterie studenti, su un totale di 36.847 iscritti. Di questi solo in 14.291 appartengono alla categoria, ormai quasi in estinzione, degli studenti regolari nel loro corso di studi. A dominare la classifica dei corsi più gettonati è Scienze giuridiche, con 584 nuovi studenti. Al secondo posto si piazza Scienze dell’economia e della gestione aziendale, che per il 2005/2006 ha contato 515 nuove reclute. Seguono Scienze politiche e delle relazioni internazionali, Lettere, Scienze e tecniche psicologiche, rispettivamente con 269, 265 e 232 matricole. Se la scelta del corso di studi si mantiene su dati da sempre costanti, balza subito agli occhi invece l’enorme differenza con gli anni precedenti per quanto riguarda il numero delle immatricolazioni. Nella sessione 1998/99 erano stati 6.378 gli studenti che dopo il diploma avevano scelto la strada dell’università scegliendo tra i 51 corsi di laurea a disposizione. Passa appena un anno e già si intravede un’emorragia di ben 290 immatricolazioni su un totale di 39.857 iscritti. Intanto i corsi salgono a 53. Le cose non sono andate meglio durante l’anno accademico 2003/2004 quando si è registrata non solo una netta diminuzione delle immatricolazioni, ma anche del totale degli studenti iscritti. A entrare nel mondo universitario stati 4.750 studenti, il minimo storico dal 2000. Il conto è fin troppo facile: in sette anni il polo universitario di Cagliari ha perso 1.628 potenziali dottori. Intanto il numero dei corsi, frutto della riforma scolastica, è balzato a 75. Un dato eccezionale? Niente affatto se confrontato con la media nazionale diffusa questa settimana dall’Istat. Secondo l’istituto di statistica nel resto della penisola si registra un calo del 4,5 per cento delle immatricolazioni. Per la precisione, l’anno scorso si sono iscritti all’università 332mila giovani, 16mila in meno rispetto all’anno scorso. Il capoluogo non smentisce. Silvia Casula VINCE SCIENZE GIURIDICHE A dominare la classifica delle preferenze degli studenti è il corso di laurea in Scienze giuridiche con 584 matricole. Seguono Scienze dell’economia e della gestione aziendale (515 nuove iscrizioni), Scienze politiche e delle relazioni internazionali (269), Lettere (265) e Scienze e tecniche psicologiche (232). I progetti. Mistretta punta all’incremento della ricerca in aree di sicuro rientro economico «CON INFORMATICA E BIOMEDICINE ATTIREREMO PIÙ SOLDI E STUDENTI» Occhi puntati sul policlinico di Monserrato dove nascerà l’azienda mista con la Asl 8 Per il quindicesimo anno consecutivo sulla poltrona più ambita di via Università prenderà comodamente posto Pasquale Mistretta. L’ormai “eterno Magnifico” è giunto al sesto mandato dopo aver sconvolto a suon di modifiche lo statuto accademico. E come ha annunciato all’ultima conferenza stampa non si arrende e punta a limitare la dispersione degli studenti e all’incremento dell’attività di ricerca, privilegiando aree di sicuro rientro economico come l’informatica e le biomedicine. In questi anni Mistretta ha puntato dritto alle domande del mercato aprendo a big delle multinazionali come Mario Polegato della Geox calzature e Jean Pierre Sommadossi, il presidente della Idenix, il colosso farmaceutico americano. E se i suoi detrattori gli rimproverano il cattivo funzionamento democratico del Senato accademico e la mancanza di programmazione nella qualità dell’istruzione e della ricerca, il fiore all’occhiello della sua gestione resta il boom dell’edilizia universitaria, con in testa il policlinico di Monserrato. È lì che convergerà il nuovo obiettivo del Rettore: l’azienda mista ospedaliero- universitaria. L’approvazione del piano sanitario regionale non è ancora arrivata ma forse già da gennaio tutta l’attività didattica e di ricerca della facoltà di Medicina si svolgerà nelle nuove aule del Policlinico di Monserrato. Nella nuova struttura - che sta per essere raddoppiata - opereranno inoltre quasi tutte le cliniche universitarie cagliaritane. L’altra novità dell’anno accademico è il piano contro la dispersione universitaria. Considerato che il 18 per cento delle matricole abbandona gli studi prima di arrivare alla laurea, l’Università ha stanziato 180mila euro per un programma d’orientamento insieme all’ufficio scolastico regionale, volto a consentire alle matricole di conoscere meglio i corsi di studio, le attività integrative e le nozioni da acquisire mediante le discipline integrative. Ovvero tutti quei saperi necessari per iniziare il percorso di studi al meglio, beneficiando dell’assistenza di un tutor. Ma Pasquale il Rettore non si ferma certo qui. E affacciandosi dal Bastione del Balice, mira viale La Playa dove sorgerà il futuro Campus universitario. Ennio Neri La scheda IL RETTORE IN POLITICA Pasquale Mistretta, urbanista cagliaritano originario del quartiere di Castello, siede sulla poltrona principale di Palazzo Belgrano dal 1991, quando subentrò a Duilio Casula. Quindici anni spesi per l’ateneo cagliaritano, durante i quali tuttavia il Magnifico rettore ha trovato anche il tempo di sfidare Emilio Floris nella corsa per il sindaco nel 2001, guidando le liste del centrosinistra in Consiglio comunale. In questi anni l’Università di Cagliari ha conosciuto significative svolte come la riforma universitaria, la rivoluzione digitale e l’apertura dell’Ateneo alla ricerca, con un occhio particolare alle dinamiche del mercato. IL DICIOTTESIMO ATENEO DEL MONDO Nella "Graduatoria di Shanghai", la classifica che annovera le prime cinquecento Facoltà al mondo, l’università cagliaritana si conferma al diciottesimo posto. Mantiene «stabile» la posizione, ottenuta sulla base della qualità della formazione e degli investimenti nella ricerca. ________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Ott. ’06 IL FLOP DEL “MASTER AND BACK” I finanziamenti per la formazione dei giovani laureati promessi e mai elargiti La Regione: «Ridurre gli importi è il male minore» Fabio Pisanu NUORO. Da fiore all’occhiello dell’offerta regionale ai giovani a risorsa quasi inutilizzata, fonte di contestazioni e polemiche. È il travagliato percorso del “Master and Back”, il programma della regione per la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro dei laureati sardi. Per diverse ragioni l’attuazione del progetto si è scontrata, sin dalla sua partenza, con difficoltà oggettive. Dal grido d’allarme dei vertici regionali (“Non si riescono ad assegnare le ingenti risorse”) alla segnalazione di “crepe” nel sistema di conteggio dei contributi. Graziella Uras, giovane architetto nuorese, nello scorso aprile inoltra alla Regione la propria richiesta. Riceve la risposta positiva ai primi di luglio: riceverà un voucher per la partecipazione ad un Master di 12 mesi organizzato ad Orvieto dall’Università “La Sapienza” di Roma. La ragazza inizia a frequentare, confidando nel conferimento delle somme indicate nel bando: il rimborso totale dell’intera quota di iscrizione, la copertura dei costi di vitto ed alloggio (fino a 1000 euro al mese) e di viaggio (fino a 1000 euro all’anno). Ad ottobre l’amara sorpresa. L’importo delle anticipazioni offerte è ben lontano dalle aspettative. Pensando ad un errore contabile, Graziella si mette in contatto con l’ufficio competente (l’Agenzia regionale per il lavoro). La risposta la lascia di sasso: nessun errore, solo una “riparametrizzazione” dei contributi. Il linguaggio burocratico è freddo e spesso incomprensibile, ma Graziella è sdegnata. «Avevo deciso di seguire questo master - racconta - proprio perché potevo beneficiare dei contributi della Regione; adesso, a corsi già iniziati mi offrono un quinto di quello che mi doveva spettare secondo il bando. È intollerabile». Come lei, decine di colleghi stanno per ricevere questa cattiva notizia a mezzo posta. Ragazzi che, spesso, hanno rifiutato altre opportunità di corsi o borse di studio, riponendo la propria fiducia nell’offerta della Regione. «Ho scoperto - incalza Graziella - che anche il mio stage al comune di Nuoro è stato escluso dal computo dei contributi perché si svolge in Sardegna. Se dal bando fosse emersa una cosa del genere, avrei scelto di farlo da un’altra parte». «Gli importi cui si riferisce il bando - spiegano all’ufficio contabilità e bilancio - sono da ricollegare ai cosiddetti master “full time”, cioè quelli che necessitano di un impegno e una frequenza costante da parte dell’alunno. Non è questo il caso di specie, prevedendo il master di Orvieto una frequenza di pochi giorni al mese. L’Unione Europea pretende un rendiconto preciso delle somme concesse; non possiamo conferire certe somme a chi sta fuori dalla Sardegna per due giorni alla settimana o per una settimana al mese». La tanto temuta riparametrizzazione si concretizza, dunque, in un’assegnazione proprorzionale dei contributi, basandosi sulla certificazione dell’attività svolta. Le somme indicate nel bando regionale sono state divise per i giorni lavorativi e moltiplicate per i giorni di frequeza effettiva. E così chi si aspettava di usufruire di 1000 euro ne potrà ricevere, a seconda dei casi, anche meno di 200. Una sorte che, preannunciano i responsabili della contabilità, toccherà a diverse decine giovani. «L’alternativa alla riduzione degli importi - concludono - sarebbe la revoca totale per inesistenza dei requisiti». Una scelta non facile, che lascia comunque delle ombre sulla prima formulazione del bando. «Stiamo lavorando per perfezionare il meccanismo». ________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Ott. ’06 MEDICINA: SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE SENZA FONDI CAGLIARI. Mancano i soldi e le scuole di specializzazione della facoltà di Medicina dell’Università dimezzano gli studenti beneficiari con il conseguente blocco della fase finale della formazione post lauream. A lanciare l’allarme è il preside Gavino Faa che ritiene esigue le 40 borse di studio per l’anno in corso a fronte di uno stanziamento da parte dell’assessorato regionale della Sanità di 2 milioni e 500 mila euro. Una borsa di specializzazione per uno studente costa, infatti, circa 11 mila euro all’anno, ossia un milione e 100 mila euro per almeno 100 studenti in un anno. «Sono veramente preoccupato perchè sotto la spinta del presidente Soru che ha giustamente puntato il dito sulla percentuale troppo bassa di laureati in Sardegna, abbiamo velocizzato il processo formativo, pur mantenendo standard qualitativi elevati», dice Faa. «Ora che riusciamo a far laureare 200 persone all’anno su 170 iscritti (con più della metà che finisce il corso in 6 anni)», aggiunge, «i ragazzi devono restare fermi per due, tre anni se non di più. E’ una politica per i giovani che non mi vede d’accordo». Il percorso formativo di un medico non si esaurisce con la laurea, che permette quasi esclusivamente di effettuare guardie mediche o turistiche, ma con i cinque anni di specializzazione. Nel 2005 i posti disponibili nelle scuole di specializzazione erano 56, nel 2004 72 e nel 2003 98. «Con questa politica si rischia di dover reclutare all’estero i medici che servono nelle strutture sarde», sottolinea ancora Faa. «Ho paura che nella progettazione manchi chi sta già attuando gli stessi interventi con grandi sforzi. Parlo in particolare del mondo universitario (38 mila studenti, oltre al personale e all’indotto) che è sottovalutato nelle grandi decisioni. Vedo molta efficienza e poca efficacia nel cambiare veramente le cose». Il preside della facoltà di Medicina di Cagliari si chiede anche il perchè le aziende sanitarie locali continuino a non assumere medici. «Dal 1994 non si fanno concorsi per medici a tempo non definito e vi è quasi un salto di generazione», osserva. «Eppure in Sardegna molti ospedali sono privi ad esempio di anatomia patologica». Infine, Faa solleva dubbi sul progetto Master and Back. «Ci vuole un progetto finale, perchè questi giovani quando tornano dall’estero dovrebbero avere prospettive di lavoro ________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Ott. ’06 LA SARDEGNA SPENDE POCO IN ATTIVITÀ DI RICERCA E SVILUPPO A garantire l'attività sono soprattutto gli atenei: imprese in difficoltà In Sardegna la spesa in ricerca e sviluppo, fattore decisivo della competitività del sistema economico, nel 2004, è stata di soli 198,7 milioni di euro, in diminuzione rispetto al 2003 e in controtendenza rispetto alla crescita nazionale. Lo rileva l'Istat con l'indagine sulla spesa in ricerca e sviluppo "intra muros" pubblicata qualche giorno fa. La spesa sarda è effettuata soprattutto nelle università (145,8 milioni), nelle istituzioni pubbliche (42 milioni) e molto poco nelle piccole imprese: 10,5 milioni (nel 2003 era di 15,8 milioni). È pur vero che in Italia la ricerca è condotta per il 74% dalle imprese con oltre 500 addetti e la Sardegna difetta proprio di medie e grandi imprese. Diminuiscono anche i ricercatori sardi, passati dai 2.693 del 2003 ai 2.638 del 2004 con riduzioni nelle imprese (dai 247 a 180) e nelle università (da 1840 a 1821). La spesa nazionaleLa spesa nazionale per la ricerca e sviluppo elle imprese, delle istituzioni pubbliche comprese le università e delle istituzioni private non profit, è stata di 15,25 miliardi di euro, in crescita del 3,3% rispetto al 2003 in termini monetari, +0,3 in termini reali. L'incidenza sul prodotto interno lordo (Pil) si è ridotta lievemente passando dal 1,13% del 2002 all'1,1 del 2004. Lontano dall'obiettivo del 3% del Pil fissato con l'agenda di Lisbona, da raggiungere nel 2010. Le imprese hanno speso il 4,5% in più, circa 7,2 miliardi di euro, pari 47,8% del totale della spese delle aziende. Le istituzioni pubbliche hanno invece incrementato la spesa del 5,4%, tranne che le Università, che comunque spendono 5 miliardi all'anno, il 32,8% del totale, alimentando così la ricerca soprattutto nel Sud. In forte aumento la crescita annua dalle istituzioni non profit (+12%). I settoriLa R&S é concentrata in alcuni settori produttivi: in primo luogo nella fabbricazione di apparecchi radio e tv e nelle telecomunicazioni ( 947 milioni); nei prodotti chimici e farmaceutici (849 milioni); negli autoveicoli ( 827); nelle macchine e apparecchi meccanici (793), nelle attività di ricerca e sviluppo (768) e nella fabbricazione dei mezzi di trasporto. I settori utilizzatori sono le industrie chimiche e farmaceutiche, la fabbricazione dei veicoli e delle apparecchiature radio-tv e le telecomunicazioni. Ma anche l'elettronica, la gomma, la plastica, l'agroalimentare, le costruzioni, il tessile, il cuoio e le calzature. Gli addettiIl personale addetto alla ricerca e sviluppo in Italia, misurato sotto forma di "unità equivalenti a tempo pieno" è pari a 164.026 persone. Un dato in crescita del 1,4% rispetto al 2003, di cui 72 mila unità con la qualifica di ricercatore. Gli addetti alla ricerca crescono nelle università (2,2%), nelle istituzioni pubbliche (+3%) e nelle istituzioni non profit (13,7), ma diminuiscono, per il secondo anno consecutivo, nelle imprese (-0,6). Distribuzione territorialeIl Nord-ovest spende il 36,9% della spesa complessiva: in particolare la Lombardia raggiunge quota 21,2% del totale, seguita dal Piemonte 12,4%. Nel Centro Italia si spende il 26,6% del totale, nel Nord-est il 18,3% e nel Mezzogiorno il 18,2%. La spesa delle imprese è concentrata in Lombardia, Piemonte e Lazio che assorbono da sole il 60% della spesa totale. Nel Sud la spesa in ricerca e sviluppo è sostenuta soprattutto dall'università e dalle istituzioni pubbliche e la Sardegna non fa eccezione a questo quadro: nell'isola sono poche le imprese, soprattutto quelle più piccole, che riescono a dedicare tempo e risorse alla ricerca e sviluppo. Gabriele Calvisi ________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 Ott. ’06 IL CASO DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: 400 PRECARI SU 2550 DIPENDENTI Riflessioni sul mercato del lavoro in un convegno internazionale Il fallimento della flessibilità CAGLIARI. «La flessibilità nel mercato del lavoro per aumentare l’efficienza dell’economia è una leggenda». Parole di Gianni Loy, docente di diritto del lavoro all’Università di Cagliari, che insieme all’Associazione italiana di diritto del lavoro ha organizzato un convegno internazionale, tenutosi ieri a Cagliari, sui temi del lavoro e della flessibilità dal titolo “Concertazione e incentivi alla stabilità: una svolta nella legislazione spagnola?” ‹‹In realtà - ha spiegato Loy - non esiste una dimostrazione empirica sulla causalità tra aumento della flessibilità e sviluppo economico. In Europa vi sono situazioni economiche simili nonostante grandi differenze normative in fatto di lavoro››. E proprio per capire cosa succede negli altri stati europei che alcuni esperti provenienti da varie università della Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo e Italia si sono dati appuntamento a Cagliari. In Italia la flessibilità esasperata introdotta dal decreto Maroni, che si è voluta attribuire al defunto Marco Biagi, non ha portato a un maggiore sviluppo economico e ha prodotto numerosi problemi occupazionali e sociali legati alla precarietà selvaggia, favorita dai differenziali salariali a favore dei contratti temporanei o atipici. In Italia la precarietà è molto diffusa anche nelle pubbliche amministrazioni, in cui il lavoro atipico o temporaneo è diventato un espediente per l’abbattimento dei costi del lavoro. Nella sola università di Cagliari su 2500 dipendenti di ruolo 400 sono precari. Secondo il rettore Mistretta il problema è legato semplicemente alla mancanza di fondi. L’università attinge i suoi finanziamenti dal fondo unico destinato per il 90% agli stipendi dei dipendenti. Se si volessero assorbire i precari lo si potrebbe fare solo per non più di 80 unità. Questo risponde anche a una lettera inviata lo scorso 6 ottobre dalla segreteria provinciale della Cgil per sensibilizzare il rettore sul tema del precariato nell’università, di cui si era parlato in un precedente incontro lo scorso marzo. Anche in Spagna la flessibilità in tutti i settori produttivi e della pubblica amministrazione aveva raggiunto una portata consistente, e per l’Italia la Spagna era diventata un modello da seguire. Ma proprio in Spagna da qualche anno a questa parte il modello di flessibilità che ha portato a una precarietà patologica è entrato in crisi, e proprio da li è partita una riforma che può essere un esempio anche per l’Italia. Oggi in Spagna si è abbandonato il concetto di flessibilità e la legge ha introdotto incentivi per la creazione di occupazione stabile. A questo risultato si è giunti grazie ad un grande lavoro di concertazione con le organizzazioni del lavoro e al dialogo sociale. ‹‹La Spagna - ha concluso Gianni Loy - è un grande paese da cui noi abbiamo molto da imparare››. Stefania Siddi ________________________________________________ Corriere della Sera 2 Nov. ’06 I PAESI ISLAMICI? ULTIMI NELLA RICERCA SCIENTIFICA Uno studio di «Nature»: investono solo lo 0,4% del Pil. Segnali positivi da Giordania, Iran e Pakistan C' è qualcosa di intrinsecamente avverso al progresso scientifico nel mondo islamico di oggi. Eppure il suo passato è costellato di filosofi, astronomi e matematici. Lo sostiene la rivista inglese Nature che per la prima volta pubblica un' inchiesta sullo stato dell' arte della ricerca nei 57 Paesi del mondo che fanno parte dell' Organizzazione della Conferenza islamica (un miliardo e trecento milioni di persone). I numeri dipingono un Islam arretrato: stando agli indicatori di sviluppo della Banca mondiale, questi paesi dal 1996 al 2003 hanno speso in ricerca meno dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo (la media mondiale è 2,36 per cento). Ancora più sconsolanti i numeri forniti dalla National Science Foundation statunitense: nel 2003 la produzione mondiale di articoli scientifici per milione di abitanti è stata in media di 137, ma nei Paesi islamici si è attestata su un modestissimo 13 e nessuno di questi, nemmeno la più avanzata Giordania, è andato oltre il 107. I motivi? Complessi; religiosi, anzitutto: per l' Islam la scienza deve perseguire obiettivi che siano al servizio di Dio e che rinforzino la fede, anzi tutti gli scienziati devono leggere il Corano, dal quale possono trarre indicazioni per i loro studi. Ma le ragioni sono anche economiche - i fondi dedicati agli armamenti sono sproporzionatamente elevati in questi Paesi - e socio-culturali: l' isolamento nei confronti della scienza occidentale è ancora la regola e non c' è circolazione di idee. Ciononostante si avvertono segnali, anche contraddittori, di mutamento: le ricerche prodotte dalla Turchia sono passate dalle 500 del ' 98 a più di 6.000 nel 2003. Altri paesi in crescita «scientifica» sono l' Iran, il Pakistan e la Giordania, mentre l' Egitto ha perso l' egemonia detenuta per molti anni. Di pari passo sono aumentate le università e le donne ne varcano finalmente le porte: in Iran gli studenti di ingegneria e di facoltà scientifiche oggi sono al 70% di sesso femminile. E a Karachi, in Pakistan, le donne per diventare ricercatrici sfruttano una formula del contratto di matrimonio ammessa, ma finora mai utilizzata, che concede loro il lavoro fuori dalle mura domestiche, purché in luoghi separati rispetto agli uomini. Ma spesso alla formazione non fa seguito un inserimento di lavoro adeguato: secondo un report del Centro di studi strategici del Cairo, i paesi arabi perdono ogni anno il 50% dei loro neomedici e il 23% dei laureati in ingegneria. Emigrazione verso gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna. Non solo, il 45% degli ragazzi arabi che va a studiare altrove non torna a casa; è significativo che i due Nobel, il pakistano Abdus Salam, premiato per la fisica nel ' 79, e l' egiziano Ahmed Zewail, per la chimica nel ' 99, abbiano condotto i loro studi all' estero. Porciani Franca ________________________________________________ LA STAMPA 02-11-2005 LE TV A SCHERMO PIATTO CONSUMANO DI PIÙ E AUMENTANO IL RISCALDAMENTO ICERCA INGLESE: COLPA DELLE GROSSE DIMENSIONI «Le tv a schermo piatto aumenteranno il surriscaldamento terrestre»: una ricerca condotta in Inghilterra dai Liberai Democratici rivela che il boom di acquisti di tv a schermo piatto potrà incrementare l'emissione di gas a effetto serra. Secondo i dati, infatti, i televisori al plasma e Icd aumenteranno entro il 2010 le emissioni di oltre 700 mila tonnellate l'anno solo in Gran Bretagna, provocando gravi danni all'ambiente. Già oggi si può constatare che i televisori hi-tech consumano tre volte l'elettricità dei normali tv con il tubo catodico. Più per le dimensioni maggiori degli schermi che per la tecnologia utilizzata. Perora la percentuale dei possessori di tv di nuova generazione è trascurabile, ma con il crollo dei prezzi il boom è destinato ad aumentare. Oggi i 63 milioni di televisori inglesi producono un milione di tonnellate di emissioni. Nel 2010 si stima che i televisori saranno 67 milioni (un 6 percento in più), ma le emissioni quasi raddoppieranno passando a 1.700.000 tonnellate l'anno, ben il70% in più. Secondo l'associazione «Friends for Earth», alcuni televisori di ultimo modello sono più efficienti di quelli vecchi. II problema è che avendo lo schermo molto più grosso finiscono con il consumare di più. ======================================================= ___________________________________________________ Italia Oggi 24 Ott. ‘06 GLI ACCESSI DI OGGI E I MEDICI DI DOMANI DI GIUSEPPE SCALERA* Come un metronomo, a cadenze cicliche, si torna a parlare del futuro della medicina italiana. Succede soprattutto quando si sventola la bandiera a scacchi sugli accessi alla facoltà di medicina, mescolando polemiche e malumori che attraversano tutto il paese. Il mese canonico che apre la discussione è settembre ma l'analisi si proietta tradizionalmente verso l'intero autunno. Ci iscriviamo al dibattito per offrire un'ulteriore riflessione. Muovendoci da un principio: il tema dei colleghi di domani non è certamente svincolato dai medici di oggi. Tutti, in effetti, conosciamo il confuso quadro della situazione legata agli eccessi. In questi ultimi anni l'ingresso a medicina è diventato un autentico business. Variegate scuole di perfezionamento, vasta e qualificata editoria di riferimento con quiz per tutti i gusti e per tutte le tasche. C'è un primo rischio, palpabile, concreto. A vincere, in questo contesto, non è sempre il migliore ma, in molti casi, colui che ha una famiglia economicamente più forte alle sue spalle. Un primo principio di pari opportunità che viene clamorosamente meno. Ma non basta. La data di effettuazione delle prove è comune in tutta Italia ma ognuno può partecipare dove vuole. Ecco, quindi, esperti di analisi che misurano percentuali e statistiche, traducendo su carta variabili di partecipazione e conseguenti indici di successo. Nascono su queste basi strane migrazioni che vedono, soprattutto nel Mezzogiorno, Chieti e Perugia come valide, positive alternative. Che cosa conta la qualità dei docenti, che cosa conta l'ipotesi di riorganizzare la propria vita altrove? L'obiettivo va raggiunto, senza troppe incertezze. E al di là della data fatidica sono in molti a peregrinare tra Roma (Campus Biomedico) e Milano (Bocconi) alla ricerca di un qualsiasi spazio utile. Ma veniamo alle prove, ai cosiddetti quiz della discordia. Molte domande affrontano temi di cultura generale. Qualcuna è ai confini dell'ironia. Pensate, ci si interroga sul colore del vino, sui colori di una bandiera straniera, su realtà che poco o nulla hanno a che fare con la realtà medica. Ma, soprattutto, si consuma un'ulteriore assurda contraddizione. La data delle prove è ministeriale, identica in tutto il paese, la programmazione dei posti idem, i quiz sono gli stessi dappertutto. Ebbene, in questo scenario d'insieme un punteggio più alto può lasciarti fuori, magari a Napoli, e uno più basso può tranquillamente consentirti di vincere, magari a Genova. Con tanti saluti all'applicazione di una qualsiasi giustizia comparativa. Attenzione, qui non è in discussione la logica del numero chiuso, come qualcuno ha erroneamente interpretato, ma il filtro, il metodo di accesso che appare illogico e pretestuoso. In questa chiave, senza alcuna velleità personalistica, abbiamo avanzato un'idea, proponendola tanto al ministro dell'università (Mussi), tanto al ministro della sanità (Turco), attraverso una mozione parlamentare che non si colora politicamente ma vuole essere un contribuito alla risoluzione del problema. Semplice il testo: libero accesso a un biennio, o anche a un anno, comune ad altre facoltà scientifiche (chimica, biologia), e poi, al termine di questo breve periodo, per coloro che hanno raccolto i risultati migliori, possibilità di optare per la facoltà di medicina. Stop ai quiz, stop agli inutili trasferimenti, stop a quella fabbrica di sbandati che, spesso, l'esclusione da una determinata facoltà troppo spesso crea. Ma, soprattutto, avanti la meritocrazia, avanti i più capaci e non i più fortunati o, magari, i più ricchi in grado di indottrinarsi meglio. È una proposta che ha sollevato enorme interesse nell'opinione pubblica nazionale. L'ultimo, entusiastico assenso ci è pervenuto ieri dal sottosegretario alla sanità, Gaglione. Il dibattito, ovviamente, resta aperto. Sarà utile capire anche che cosa ne pensa la classe medica italiana. Rispetto a un'idea semplice che ha la forza di una piccola rivoluzione. *componente commissione università e ricerca scientifica del senato ________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Nov. ’06 PIANO SANITARIO, BATTAGLIA SUI POSTI LETTO Vertici a ripetizione tra i partiti e l’assessore per decidere i tagli Quattro nuovi ospedali e centinaia di posti letto in meno. È il paradosso del piano sanitario, su cui la maggioranza sta consumando le ultime, spinose trattative. C’è chi scommette che il documento approvato dalla Giunta un anno fa, e parcheggiato in commissione Sanità per contrasti interni alla coalizione, diventerà legge a dicembre. Ma prima ci sono da sciogliere alcuni nodi. POSTI LETTO. Se ne taglieranno più di 700. È inevitabile: sono troppi rispetto agli standard della normativa nazionale. Il problema è dove tagliare. L’eccesso riguarda i posti per casi acuti, mentre vanno incrementati quelli per le lungodegenze. A rimetterci saranno soprattutto Sassari e Cagliari. Da alcuni giorni i consiglieri di maggioranza della commissione sono praticamente in seduta nonstop con l’assessore Nerina Dirindin (martedì l’ultimo incontro, fino a sera, e oggi si rivedranno). Per mesi le incertezze nell’Unione hanno bloccato il piano: ora si cerca di correggerlo per procedere. Non ci saranno grandi scarti dalla tabella approvata dalla Giunta a giugno (pubblicata a lato). Avrà qualcosa in più il Medio Campidano. Ma i partiti vogliono capire bene i dettagli. Anche alcuni reparti saran- L’Unione cerca di accelerare l’iter del piano sanitario regionale: potrebbe diventare legge a dicembre. no accorpati, con prevedibili malumori. Cagliari è un caso a parte. La Giunta pensa a un nuovo ospedale, forse sulla 554. Ma dismettendo il Marino e Is Mirrionis, mentre il San Giovanni di Dio va verso un ridimensionamento. Così il capoluogo rischia di non avere più un ospedale nel centro urbano. I PICCOLI OSPEDALI. Saranno riconvertiti, non proprio chiusi (a parte il Crobu di Iglesias). La Maddalena e Sorgono si salveranno per il loro isolamento. Ma per alcuni (come Ittiri e Thiesi) si ipotizza una rivoluzione, nata da un’idea di alcuni consiglieri fatta propria dall’assessore. Diventerebbero ospedali di comunità, come avviene in Toscana e non solo. In pratica, là dove non c’è la massa critica per un ospedale vero e proprio, si lascia una struttura di tipo ospedaliero - non una residenza sanitaria - ma snella. Con un medico-direttore, pochi specialisti, gli infermieri. Nell’ospedale “leggero” il paziente può tornare (seguito magari dal medico di famiglia) quando è stato ricoverato in un centro più grande, e pur avendo superato la fase acuta ha ancora bisogno di un’assistenza di tipo ospedaliero. NUOVI OSPEDALI. Oltre Cagliari, sono previsti a Sassari, Olbia, San Gavino. E c’è un progetto su Alghero. In Gallura arriverà il San Raffaele di don Verzè, che spaventa i centri vicini perché potrebbe attrarre parte di quel che ruota attorno alle altre strutture. Da qui la richiesta alla Giunta di definire in anticipo che cosa potrà fare il San Raffaele. LE RISORSE. Un altro dei problemi per la maggioranza sono le priorità per gli obiettivi di salute. Il piano ne prevede molti, ma per perseguirli servono risorse vere, già nella prossima Finanziaria. È in corso il tentativo di “strappare” concessioni importanti: ma per cosa? Tra le priorità rientreranno sicuramente il diabete e le cardiopatie. Secondo dati a disposizione della commissione, oggi chi è colpito da infarto ha otto volte più probabilità di salvarsi a Cagliari piuttosto che a Sassari. Figurarsi il divario rispetto ad altre zone dell’Isola. Ma senza soldi non si possono potenziare le unità di terapia intensiva e migliorare i tempi di intervento. Ma la vera, grande incognita del piano - segnalata dall’opposizione ma anche in maggioranza - è la sua presunta vaghezza: essendo un piano-quadro, spesso affida alla Giunta i progetti attuativi che conterranno le vere scelte. L’Unione non vuol dare deleghe in bianco: la recente legge sui servizi sanitari ha sancito il passaggio in commissione Sanità di tutti i provvedimenti d’attuazione. Ma forse, da qui all’approvazione del piano, i partiti vorranno ulteriori rassicurazioni. ________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Ott. ’06 CAGLIARI COME VENGONO DISTRIBUITI I FONDI PER LA RICERCA SANITARIA? Con una recente delibera (numero 34/24 del 2 agosto 2006) la Regione ha stanziato un finanziamento per la ricerca sanitaria finalizzata (un milione e mezzo di euro). Nei criteri del bando, è stabilito che l’Università può presentare un massimo di dieci progetti di ricerca e che questi devono essere il risultato di una pre- selezione interna all’Ateneo. In una lettera al Presidente Renato Soru e all’Assessore alla Sanità Nerina Dirindin ho espresso le mie forti perplessità in merito a tale criterio. Capisco l’esigenza che sta dietro questa decisione e ne condivido la filosofia di fondo, ma mi sono permesso di osservare che, stante la realtà concreta delle cose, si tratta di una decisione pilatesca che rischia seriamente di vanificare tutte le buone intenzioni del programma di finanziamento alla ricerca sanitaria in Sardegna che il Governo Regionale cerca di incentivare. Ho posto infatti alcune domande. Chi avrebbe dovuto operare la selezione interna? Forse lo avrebbe dovuto fare un gruppo di Esperti? E comunque chi li avrebbe individuati? Oppure i migliori tra i ricercatori? Ma questi, ammesso che fossero facili da individuare, sarebbero entrati subito in conflitto di interesse qualora avessero incluso, legittimamente, i loro progetti tra quelli selezionati. Oppure infine il Rettore in persona? Non ne avrebbe avuto le competenze, visto che è un ingegnere. Ho sottolineato come la nostra Università funzioni (io aggiungo «purtroppo»), come una famiglia, in cui tutti si considerano figli, fratelli, o perlomeno cugini; ci sono anche, ovviamente, le pecore nere, seppure tendenzialmente isolate. È difficile che, date queste premesse, i criteri di selezione interna possano rispondere a un reale principio di obiettività, in quanto sarà predominante una componente, chiamiamola così, di tipo «affettivo». Tutto questo avveniva subito dopo il bando, quando si sarebbe ancora potuto intervenire. Non ho avuto risposte o chiarimenti dalle Istituzioni chiamate in causa. A cose fatte, si arriva al paradosso di un Preside della Facoltà di Medicina, che, potendo legittimamente presentare un suo progetto, viene valutato da una Commissione da lui stesso individuata e approvata da un Consiglio di Facoltà da lui stesso presieduto. Si tratta di una situazione sicuramente imbarazzante per tutti i protagonisti. Sia chiaro che l’Università non ha responsabilità in questa vicenda, se non una, peraltro particolarmente pesante: quella di aver accettato di operare una selezione interna, sapendo che questa non avrebbe potuto essere obiettiva, pur fatta salva naturalmente la buonafede dei Commissari. Credo che in futuro l’Amministrazione Regionale si debba assumere la responsabilità piena di queste selezioni, se si vuol fare qualcosa di veramente serio. Mi permetto intanto un suggerimento per il presente: visto che il numero complessivo di progetti presentati dall’Università di Cagliari è relativamente contenuto, propongo di ammetterli tutti al finanziamento Regionale. Un eventuale riesame del lavoro della Commissione universitaria non farebbe infatti altro che aggiungere imbarazzo all’imbarazzo. Si tratterebbe, lo capisco, di una sorta di sanatoria. Ma questa soluzione avrebbe tuttavia il merito, che non è da poco, di rendere più credibile quella volontà di cambiare rotta espressa dal Governo Regionale. Sarebbe un segnale importante di sensibilità verso chi è convinto ancora di poter lavorare seriamente nel campo della ricerca. Enzo Laconi Associato di Patologia Generale Università di Cagliari ________________________________________________ La Repubblica 26 Ott. ’06 TURCO: MIGLIORARE LA SANITÀ SENZA FALSI ALLARMISMI CARO direttore, milioni di italiani si sono giustamente preoccupati per le notizie di questi ultimi due giorni sulle presunte migliaia di morti causate dagli errori dei medici. E’ bene chiedersi, prima di qualsiasi altra considerazione, in quale misura sia stato messo in discussione il loro rapporto di fiducia nei confronti della sanità del nostro Paese ma anche a chi giova procedere a colpi di cifre allarmistiche. I cittadini non hanno il dovere di sapere di prevenzione della mortalità evitabile, di malpractice, di risk management ma hanno bisogno, invece, di fidarsi degli ospedali ai quali si rivolgono quotidianamente e dei medici che si prendono cura di loro. Pur in presenza di polemiche sulla attendibilità delle stime, ho dichiarato subito che qualunque sia la dimensione del fenomeno, se anche si dovesse accertare un solo caso all’anno, sento il dovere di affrontare il problema con decisione per garantire la sicurezza dei pazienti, oltre che per scongiurare la deriva conflittuale dei rapporti tra cittadini e medici. A distanza di qualche giorno, resto fermamente convinta di quella affermazione. Ma avverto il bisogno, e il dovere, di rivolgermi alla opinione pubblica per fare chiarezza. In primo luogo sulla attendibilità delle stime proposte alla attenzione della opinione pubblica. Sono state considerate, pressoché unanimemente, eccessive. È bene che i cittadini sappiano che non esistono dati ufficiali sul fenomeno, né in Italia né nel resto del mondo. Disponiamo, piuttosto, di diversi studi a livello internazionale, che offrono stime alquanto difformi. Lo studio più recente a nostra disposizione, del luglio 2005, è stato prodotto dal servizio sanitario della Gran Bretagna, un Paese con popolazione, dati epidemiologici e servizio sanitario pubblico sovrapponibili a quelli italiani. I risultati parlano di una cifra consistente di eventi avversi, 572.000 in un anno, cui fanno riscontro 840 decessi, sempre in un anno, sul totale dei ricoverati. Come si vede numeri molto diversi da quelli forniti dall’Aiom, e non ci sono, fino a prova del contrario, elementi oggettivi né ragioni per ritenere che nel nostro Paese si verifichino più errori che nelle altre realtà europee. Le stime diffuse nei giorni scorsi, al contrario, si avvicinano in valore assoluto, a quelle riferite da uno studio agli Stati Uniti, che hanno una popolazione sei volte superiore a quella del nostro Paese e un numero di ricoveri e di prestazioni erogate in proporzione. È piuttosto strano, inoltre, che non sia stato esplicitato il metodo utilizzato per la rilevazione, il numero delle strutture sanitarie prese in esame, l’arco temporale oggetto di verifica, come è buona norma e consuetudine della comunità scientifica e professionale. Bene ha fatto il senatore Ignazio Marino, nella sua qualità di Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, a chiedere conto proprio delle fonti e del metodo utilizzati, in considerazione della particolare delicatezza delle questioni di cui si parla. Nessuno, sia chiaro, ha intenzione di sottovalutare il problema né tanto meno l’urgenza di affrontarlo garantendo la massima sicurezza possibile ai cittadini che ogni giorno si rivolgono alle strutture sanitarie del nostro Paese. Per questo ho provveduto ad istituire, ai primi di ottobre, presso il Ministero della salute, il Centro di riferimento per la sicurezza dei pazienti, che in Italia non esisteva ancora, e che entrerà in rete con gli altri centri analoghi già esistenti in Europa. Per questo è al lavoro la Commissione ministeriale per il rischio clinico e la sicurezza dei pazienti, che ha avviato una rilevazione nazionale sulle iniziative di prevenzione dei fattori di mal practice già esistenti, messo a punto un protocollo sperimentale per il controllo e il monitoraggio degli eventi avversi e dei decessi ed elaborato precise raccomandazioni per la prevenzione degli errori. Per queste stesse ragioni istituiremo il primo Osservatorio nazionale sugli errori nella pratica medica ed assistenziale in maniera da disporre finalmente di elementi oggettivi di valutazione del problema, della sua dimensione e delle priorità di intervento. E infine promuoveremo un provvedimento di legge apposito per il governo clinico e la responsabilità professionale, in maniera da assicurare, tra l’altro, la promozione di forme di gestione del contenzioso più agili, garantire maggiore serenità agli operatori e combattere i fenomeni di medicina difensiva. In altre parole agiremo su due fronti contemporaneamente: investiremo in prevenzione, per fare in modo che sempre meno cittadini si trovino di fronte ad un sospetto errore professionale, e gestiremo il contenzioso in maniera più vantaggiosa per tutti, cittadini e operatori. L’autore è ministro della Salute ________________________________________________ L’Unione Sarda 5 Nov. ’06 ERRORI MEDICI, IN CALO LE DENUNCE L'istituzione dell'ufficio sul rischio clinico sembra pagare: ora costa meno anche il premio assicurativo Meno 30 per cento nel 2006 secondo i dati Asl Se chiedete a un medico cos'è la malasanità vi risponderà che non esiste. Esiste solo la sanità. Che purtroppo non è immune da difetti e contempla dunque anche l'ipotesi dell'errore umano. L'unica soluzione allora è ridurre al minimo la percentuale di fallibilità. In due parole: prevenire il prevedibile. In gergo tecnico si chiama "gestione del rischio clinico" e su questo fronte la Asl di Nuoro, l'unica in Sardegna ad avere istituito un apposito ufficio, è decisamente all'avanguardia. Errori in caloE a quanto pare con risultati sino ad oggi più che soddisfacenti: stando ai dati forniti dalla stessa Asl, rispetto allo scorso anno, il numero dei sinistri in ambito sanitario (oltre all'errore medico sono contemplati anche gli incidenti tipo le cadute all'interno della struttura) è in calo del 30 per cento, mentre nel 2006 il premio assicurativo che l'azienda paga per coprire i danni a lei addebitabili è sceso del 12 per cento, passando da un milione e 200 mila euro a poco più di 900 mila. Riguardo le morti sospette in corsia che finiscono sui tavoli della magistratura penale, non si supererebbe invece la media di un caso all'anno. Il convegnoDella questione rischio clinico si è parlato anche sabato scorso al Marina Beach di Orosei, in occasione del quarto congresso nazionale della Simeup (Società italiana di medicina emergenza - urgenza pediatrica). Un'ora e mezzo di tavola rotonda dedicata al tema della gestione dell'errore in medicina tornato d'attualità dopo le recenti polemiche sui dati diffusi dall'Associazione italiana oncologia medica (Aiom), secondo cui in Italia ci sarebbero 90 morti al giorno per colpa medica. «Cifra assolutamente inattendibile e sovrastimata - è il parere di Francesco De Stefano, medico legale e docente all'università di Genova - perché si basa su una tipologia di calcolo applicata nei paesi anglosassoni che valuta il comportamento non appropriato del medico a prescindere dal fatto che lo stesso sia effettivamente la causa di un evento dannoso». Linea difensivistaIl problema però esiste ed è inutile ficcare la testa sotto la sabbia. Ne è profondamente convinto Luigi Arru, presidente dell'ordine dei medici della provincia di Nuoro, che durante l'incontro del Marina Beach ha duramente bacchettato qualche suo collega che spostava continuamente l'attenzione sulla presunta distorsione della realtà messa in atto dai media quando si parla di malasanità. «Ho alzato il tono - spiega Arru - perché la mentalità di molti colleghi, soprattutto quando si parla di pronto soccorso pediatrico, è inutilmente difensivista. Invece bisognerebbe avere il coraggio di dire una volta per tutte che l'errore in medicina è per una certa percentuale incomprimibile e il nostro compito è esattamente quello di ridurlo al minimo». I rimediE la strada è solo una: creare una struttura che si occupi esclusivamente della gestione del rischio clinico. «Noi - prosegue Arru - sappiamo che in media l'errore è per il 15 per cento umano e per il restante 85 per cento dovuto a carenze organizzative. Ecco, la struttura di un sistema complesso come l'ospedale dovrebbe essere in grado di attutire il problema, di limitare i danni ma anche di conoscere anticipatamente quali sono le falle del sistema stesso». Come? «Gli uffici di risk managment dovrebbero funzionare sul modello dell'aviazione, dove piloti e personale possono compilare report anonimi in cui riferiscono errori e pecche in modo che si possa intervenire preventivamente. Noi vogliamo sposare questa filosofia e presto anche per i medici dell'Asl di Nuoro sarà possibile compilare anonimamente delle schede, via internet o in cartaceo, attraverso cui segnalare il quasi errore, visto che per l'errore vero e proprio c'è l'obbligo di denuncia». In modo che non capiti mai più, come purtroppo è accaduto in passato, che ad un paziente venga amputata la gamba sbagliata. Massimo Ledda _______________________________________________ Il Sole24Ore 25 Ott. 06 SANITÀ. IL PARLAMENTO FARÀ CHIAREZZA SULLE «MALPRACTICE» Medici sotto accusa per gli errori in corsia CONOSCERE PER PREVENIRE La Commissione sul rischio clinico del ministero sta elaborando la lista dei casi avversi più frequenti in ospedale Manuela Perrone Sara Todaro ROMA I dati (vecchi e controversi) sugli errori medici finiscono in Parlamento. Dopo le isolate contrarietà di due giorni fa, le cifre diffuse dall'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica, si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri) hanno suscitato una levata di scudi a tutto campo. Fino a smuovere la commissione Igiene e sanità del Senato: il presidente, Ignazio Marino (Ulivo), ha inviato ieri una lettera agli oncologi, chiedendo chiarimenti. «I dati sono allarmanti e la qualità del Servizio sanitario nazionale rischia di essere messa in discussione, scuotendo la fiducia dei cittadini», spiega Marino. Annunciando che la commissione acquisirà al più presto la documentazione utile per approfondire. Affila le armi anche la commissione Affari sociali della Camera: i capigruppo dell'opposizione - Domenico Di Virgilio (Fi), Ugo Lisi (An) e Francesco Paolo Lucchese (Udc) - hanno sollecitato l'avvio di un'indagine conoscitiva. «L'obiettivo - afferma Di Virgilio - è quello di fornire dati documentati e documentabili e dare serenità a cittadini e operatori». Il concetto di allarme sociale è stato il filo conduttore di tutte le reazioni. Da camice bianco e sottosegretario alla Salute, Serafino Zucchelli è duro: «Novanta morti al giorno per errori medici? L'allarmismo va ridimensionato. Non ci sono statistiche e gli sbagli non sono così numerosi come si vuol far credere. La medicina, poi, non è onnipotente». Di «procurato allarme» - oltre all'Associazione per i medici accusati ingiustamente di malpractice, che ha presentato una denuncia alla Procura - parla anche l'Anaao, il maggior sindacato dei medici ospedalieri: «Gli italiani penseranno che in ospedale si muore come a Baghdad. Il danno è grave e ne farà le spese un servizio pubblico già martoriato e una categoria che nel festival di numeri rischia la retrocessione». Le sigle mediche fanno fronte comune. «I medici italiani non sono killer, ma professionisti tra i più preparati a livello internazionale», proclama Stefano Biasioli (Cimo). «Il problema esiste, ma le accuse generiche e poco documentate sono ingiuste», gli fa eco Giuseppe Garraffo (Cisl medici). Per Achille Passoni (Cgil), ha ragione il ministro della Salute, Livia Turco: « Nessuna certezza sui dati, ma anche se solo una persona muore non si può far finta di niente». Per Salvo Calì (Cumi- Aiss), si assiste ogni sei mesi a «una caccia alle streghe in cui i medici rischiano quasi l'accusa di genocidio: meglio fare un osservatorio». Se gli ortopedici della Siot annunciano un'indagine in proprio, i chirurghi della Sic parlano di «accuse grossolane» e i medici di famiglia della Fimmg, per bocca del segretario Giacomo Milillo, ricordano «le migliaia di vite salvate ogni giorno dal Ssn», la Federazione degli Ordini dei medici si rammarica. «È inutile scavare trincee e fare del sensazionalismo», dice il presidente, Amedeo Bianco: «Il fenomeno va analizzato e prevenuto». Proprio quello che sta facendo la Commissione sul rischio clinico del ministero della Salute. Che si prepara a sfornare la lista dei dieci eventi avversi più frequenti in corsia. _______________________________________________ Corriere della Sera 24 Ott. 06 TORNA L'ALLARME MALASANITÀ IN CORSIA 90 MORTI AL GIORNO Gli errori più frequenti in sala operatoria. I settori: ortopedia e oncologia Margherita De Bac ROMA - Artroscopie al ginocchio inutili, farmaci oncologici scambiati o somministrati in seguito ad una diagnosi non corretta. Sempre in agguato per medici e infermieri il rischio dell'errore. Una nuova ricerca conferma i contenuti di quella presentata nel 2004, segno che il fenomeno malgrado la presa di coscienza non accenna a calare, oppure che è troppo presto per rilevare la tendenza al miglioramento. LE VITTIME - Gli sbagli a danno dei malati causano più vittime degli incidenti stradali, dell'infarto e dei tumori. Novanta morti al giorno, tra 14 e 50 mila all'anno secondo i dati diffusi durante il convegno organizzato dall'Aiom (associazione italiana oncologia medica) in collaborazione con Dompè Biotec all'Istituto Tumori di Milano. Ma sono cifre contestate dal ministero della Salute che le ritiene poco attendibili e sostiene che dovrebbero essere perlomeno dimezzate. Le branche specialistiche più esposte sono ortopedia (16,5% degli errori complessivi), oncologia (13%), ostetricia (10,8%) e chirurgia (10,6%). Il 50% sono evitabili e nello sforzo di ridurli alcune aziende sanitarie si sono o si stanno organizzando con un servizio di risk management, la gestione del rischio. La casistica è ricavata da varie fonti, letteratura internazionale, anestesisti ospedalieri, Tribunale del malato, Assinform. Tutti i dati sono stati incrociati e si è arrivati a questi numeri. Le strategie messe in atto per prevenire la malpractice oppure la semplice disattenzione umana sono a volte anche banali (doppia verifica della terapia prescritta, controllo dell'identità del paziente prima e dopo essere entrato in sala operatoria, accertamenti ripetuti per avere la certezza che determinati esami appartengano proprio a quel malato). E il ministro della Salute Livia Turco è intervenuta dicendo che è urgente «affrontare il fenomeno degli errori» e necessario «garantire la massima sicurezza ai cittadini». «Qualunque sia il numero giusto, anche se vi dovesse essere solo un morto all'anno per cause evitabili in ospedale - ha sottolineato il ministro - abbiamo il dovere di affrontare il problema con decisione». SALA OPERATORIA - Gli errori più frequenti vengono commessi in sala operatoria (32%), quindi nei reparti di degenza (28%), nei dipartimenti di urgenza (22%) e negli ambulatori (18%). Nel campo dell'oncologia riguardano lo scambio di farmaci dal nome simile e sono dovuti a vari fattori, l'ambiente di lavoro, la fretta, la confusione di una corsia, le diagnosi tardive, frutto di lunghe liste di attesa. Secondo l'Aiom gli sbagli dovuti alla malpractice, all'imperizia vera e propria, sono in netta minoranza e malgrado questo ricevono sulla stampa un rilievo esagerato ancor prima che l'autorità giudiziaria valuti le eventuali responsabilità del personale sanitario o del medico. E sta emergendo una nuova fonte di errori, legata al cosiddetto quicker and sicker, le dimissioni precoci di pazienti non guariti. ORTOPEDIA - Alfredo Carfagni, primario ortopedico del San Carlo-Idi a Roma, individua il problema che riguarda la sua specialità «nel cambiamento del sistema di rimborso delle prestazioni che spinge le case di cura convenzionate a ricercare patologie inesistenti e a effettuare interventi inutili, forzati. Un fenomeno che aumenta la possibilità dell'errore. Inoltre gli ospedali pubblici e le strutture universitarie non sono dotate a volte di adeguate apparecchiature diagnostiche _______________________________________________ Il Sole24Ore 24 Ott. 06 50MILA MORTI L'ANNO E DANNI PER 10 MILIARDI Sanità. Si stima che le «malpractice» provochino fino a 50mila morti l'anno e danni per 10 miliardi Allarme sugli errori dei medici La FnomCeo chiede un monitoraggio con criteri condivisi LA DIFESA Per le organizzazioni dei camici bianchi i dati non corrispondono alla realtà e occorre verificare le sentenze di colpevolezza Manuela Perrone Sara Todaro ROMA Dieci miliardi l'anno, l'1% del Pil: tanto costerebbe alla collettività affrontare gli effetti degli errori commessi dai medici o derivanti dalla disorganizzazione delle strutture sanitarie. A lanciare ancora l'allarme sul contenzioso in sanità è stata l'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), nel corso di un convegno nazionale organizzato in collaborazione con Dompé Biotec all'Istituto tumori di Milano. I dati forniti dagli oncologi - tra 14mila e 50mila decessi l'anno, di cui il 50% evitabile, e 320mila persone danneggiate - in realtà non sono nuovi: le "stime", così definite dalla stessa Aiom, provengono da varie fonti (Aaroi, Assinform, Tribunale dei diritti del malato più varie proiezioni ricavate dalla letteratura internazionale) e sono già state al centro di numerosi meeting promossi negli ultimi anni (si veda «Il Sole-24 Ore» del 18 settembre 2004). Tanto che lo stesso presidente Aiom, Emilio Bajetta, ha precisato: «Sui dati c'è molta confusione e molte cifre vanno ridimensionate o interpretate». «È doveroso sottolineare che non esistono dati ufficiali sul fenomeno, né in Italia, né nel resto del mondo: disponiamo piuttosto di studi che offrono stime difformi con indici di eventi avversi (e non di morti) che oscillano tra il 3,7% e il 16,6% dei ricoveri», ha commentato il ministro della Salute, Livia Turco a tarda sera, quando sui numeri sono ritualmente esplose le polemiche. «Continuano a contrabbandare dati finti ma la verità è che non c'è un osservatorio sul fenomeno», ha tuonato Maurizio Maggiorotti, presidente Associazione per i medici ingiustamente accusati di malpractice. Che annuncia: «Sporgeremo denuncia per procurato allarme alla Procura della Repubblica contro chi ha nuovamente diffuso queste cifre». Alessandro Faldini, presidente della Società italiana di ortopedia, ha ironizzato: «Apprendo con stupore una notizia vecchia di anni: gli ortopedici sarebbero gli specialisti che sbagliano di più. Con altrettanto stupore apprendo che nessuno è andato a controllare quante denunce sono finite con una sentenza di colpevolezza del medico». Di cifre non convincenti ha parlato anche il presidente della Federazione degli Ordini dei medici, Amedeo Bianco, che chiede «uno studio a livello nazionale basato su un protocollo di valutazione e criteri condivisi». A tirare le fila è stata la stessa Turco: «Qualunque sia il numero giusto, anche se ci dovesse essere un solo morto all'anno per cause evitabili in ospedale, abbiamo il dovere di affrontare il problema». Dai primi di ottobre, al ministero, è attivo il Centro di riferimento per la sicurezza dei pazienti, che si affianca alla Commissione ministeriale per il rischio clinico. E in cantiere c'è anche il primo Osservatorio nazionale sul fenomeno. Ancora una volta a mettere tutti d'accordo è la necessità di una dose massiccia di risk management in corsia, per prevenire invece che risarcire. ___________________________________________________ Italia Oggi 3 Nov ‘06 DA RIVEDERE LE LAUREE SANITARIE Le professioni sanitarie chiedono la revisione dei corsi di laurea. Visto che il ministro dell'università, Fabio Mussi, ha dato il via libera agli atenei affinché avviassero la procedura senza però includere nella documentazione i corsi delle professioni sanitarie. Questo, in sostanza, il motivo per cui le federazioni e le associazioni del settore (tra cui igienisti dentali, fisioterapisti, podologi, tecnici di audiometria, della prevenzione, di neurofisiopatologia e tanti altri) hanno scritto una lettera a Mussi e al ministro della salute, Livia Turco, chiedendo di riparare all'omissione. A seguito della comunicazione del 12 settembre 2006, infatti, le università hanno avviato la procedura per la revisione dei rispettivi corsi secondo il dm Miur 22 ottobre 2004, n. 270. «Purtroppo», si legge nella lettera, «nella suddetta documentazione mancano i riferimenti e i documenti dei corsi di laurea delle professioni sanitarie e pertanto non risulta che sia stata attivata analoga procedura.» ___________________________________________________ Il Giornale 4 Nov ‘06 PRESTO UNA VALVOLA CARDIACA DA APPLICARE A TORACE CHIUSO UNA CONQUISTA DELLA TECNOLOGIA ITALIANA Ignazio Mormieo Sta per essere realizzata in Italia. una valvola «percutanea» che rappresenterà un'autentica rivoluzione nel delicato settore della cardiochirurgia. Lo ha comunicato l'ingegner Francesco Vallona, durante le celebrazioni del cinquantesimo anno di attività di Sorin, un'azienda italiana leader mondiale nelle tecnologie cardiochirurgiche. La grande innovazione tecnologica sta nel fatto che la nuova valvola verrà inserita senza aprire il torace e senza fermare il cuore. Un catetere la posizionerà attraverso un accesso mini-invasivo. La valvola si dilaterà come una molla, ancorandosi alle pareti della radice aortica. Questa elasticità permetterà di risparmiare i tempi di sutura e di evitare la circolazione extracorporea. Il professor atta-0o Alfieri, cattedratico di cardiochirurgia nell'Università Vita-Salute di Milano, ha sottolineato i vantaggi della nuova tecnologia, che «permetterà di effettuare interventi sul cuore sempre meno invasivi, curando anche quei pazienti che non possano essere sottoposti alla cardiochirurgia tradizionale».Un grande clinico, il professor Mario Condorelli dell'Università di Napoli, ha elogiato l'attività di ricerca come «motore fondamentale del progresso scientifico», sollecitando la formazione di un pool europeo che possa competere con i colossi americani e giapponesi. Il professor Umberto Rosa, che è stato tra i fondatori di Sorin, ha ripercorso le tappe che portarono questo gruppo dalla produzione di energia a base nucleare allo sviluppo biomedicale, con una sempre maggiore affermazione. «Dal 1977 ad oggi», ha detto «questa azienda ha prodotto oltre un milione di valvole cardiache, che sono state impiantate, senza complicazioni, in pazienti di tutto il mondo». E l'amministratore delegato Drago Cerchiari ha illustrato i vantaggi d'una stretta collaborazione ira produzione e ricerca. Sorúi opera in ottanta Paesi con cinquemila dipendenti ed attraverso i suoi marchi rifornisce migliaia di strutture ospedaliere, pubbliche e private. Nello stabilimento piemontese di Saluggia lavorano 1.200 persone. ___________________________________________________ MF 24 Ott. ‘06 OSPEDALE: L’HI-TECH CHE EVITA GLI ERRORI Salute Gli ultimi dispositivi tecnologici adottati dagli ospedali per limitare il rischio clinico Braccialetti informatizzati etichette a radiofrequenza e carrelli intelligenti di Valeria Panigada Armadi e braccialetti informatizzati, carrelli intelligenti e cruscotti per percorsi di cura sono alcuni degli strumenti tecnologici adottati in diverse strutture ospedaliere per limitare il rischio di errore umano in medicina In Italia, infatti, le cifre degli errori commessi dai medici o provocati dalla cattiva organizzazione dei servizi si aggirano a 14 e 15 mila decessi ogni anno, cioè circa 90 al giorno. « Il tema del rischio clinico si propone come un argomento di grande attualità, con un forte impatto socio-sanitario», afferma il professore Emilio Bajetta, presidente nazionale dell’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica). «Allo scopo di migliorare la prestazione sanitaria e garantire la sicurezza del paziente oncologo, si sono individuate delle linee guida come salvaguardia contro ogni errore». oncologia, infatti, si posiziona al secondo posto, dopo l'ortopedia, nella classifica delle specialità dove si commettono maggiori errori. «Gli eventi avversi possono derivare sia da errori terapeutici che da imperfezioni organizzative», dichiara il dottore Marco Venturini, primario di oncologia all'ospedale di Negrar (Verona), «quelli relativi al farmaco sono fra gli errori più frequenti e per limitarli serve una più accurata organizzazione della catena di dispensazione e somministrazione dei medicinali». A questo riguardo, la tecnologia viene in aiuto. Il braccialetto informatizzato riporla in forma digitale i dati necessari per un'analisi completa, comprese le informazioni su patologie particolari e allergie. Stesso principio, ma che riguarda i medicinali, sta alla base dell'etichetta a radiofrequenza applicata sulla confezione del farmaco che permette di identificarlo senza possibilità di sbaglio. II carrello intelligente, dotato di computer portatile e software dedicato, lettore ottico e strumentazione medicale elettronica, consente al personale medico e infermieristico un supporto attivo e costante a garanzia della sicurezza del paziente in ogni fase della cura dalla prescrizione di farmaci ed esami alla preparazione di terapie farmacologiche, fino alla somministrazione del farmaco al letto del paziente. Questi dispositivi rientrano nel progetto Drive dell'ospedale San Raffaele di Milano iniziato da qualche anno ma ancora in piena evoluzione e sperimentazione. Il Foglio unico di terapia è invece stato già adottato all'ospedale Cà Grande di Milano e ora si sta procedendo alla realizzazione della cartella clinica informatizzata. «II Foglio unico di terapia obbliga i medici a scrivere il trattamento sulla stesso foglio che viene utilizzato poi dagli infermieri per la somministrazione dei medicinali», afferma la dottoressa Luciana Bevilacqua, responsabile del servizio di qualità all'ospedale milanese, «dopo un processo lungo e complesso da poco concluso, si è riuscito a eliminare completamente il rischio di trascrizione errata». Nel reparto di rianimazione e unità intensiva coronarica dell'ospedale Sant'Eugenio di Roma invece sono in uso gli armadi informatizzati che registrano le scadenze, controllano le scorte e possono essere usati soltanto dagli operatori in possesso di un codice personale, permettendo cosi un controllo costante e accurato de) percorso del farmaco. Uno degli ultimi dispositivi introdotti a fronte del rischio clinico è il Cruscotto per percorsi di cura (Cpc, Tehsana), che è grado di gestire la documentazione di ogni paziente utilizzando le linee guida riconosciute dalla comunità scientifica ed è configurato in maniera da attivare anche meccanismi di allarme. Ultimo progetto, infine, riguarda il processo di robotizzazione per la produzione dei farmaci presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano. In funzione nel 2007, eviterà qualsiasi tipo di errore nel dosaggio dei componenti farmacologici e assicurerà un maggior numero di controlli. (riproduzione riservatale procedure di somministrazione attuali, inoltre, non procurano ___________________________________________________ Italia Oggi 26 Ott. ‘06 GEL E NANOTECNOLOGIE: GUARIRE IN 15 SECONDI In caso di ferita. Le piastrine bloccano l'emorragia "impacchettandosi" una sull'altra Il liquido potrà ridurre fino al 5o% la durata delle operazioni chirurgiche S mettere di sanguinare in r5 secondi grazie alle nanotecnologie. È questo il frutto di un esperimento congiunto tra l'Università di Hong Kong e il Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston. I ricercatori, guidati da Rutledge Ellis-$ehnke, hanno prodotto un liquido che, dopo essere stato applicato sulla ferita, forma in breve tempo una pellicola capace di bloccare l'emorragia. La soluzione, ottenuta attraverso tecniche di nano-ingegneria, riproduce quanto avviene naturalmente a opera delle piastrine. Nel liquido sono contenuti dei frammenti di proteina chiamati peptidi, che si autoassemblano formando una barriera protettiva di gel che agisce come un sigillante, bloccando la ferita e impedendole di sanguinare. Il gel ha anche la funzione di favorire la ricostruzione del tessuto danneggiato, in quanto le molecole di cui è composto sono usate in una seconda fase dalle cellule sottostanti come mattoni per ricostruire la parte offesa. Questo cerotto nanotecnologico è stato applicato su una varietà di differenti tessuti: da quello dell'epidermide all'intestino, nonché su organi come il fegato. «In quasi tutti i casi - come ha spiegato lo stesso Ellis-Behnke -, siamo riusciti a bloccare istantaneamente l'emorragia». Fin o a oggi il liquido è stato tuttavia applicato solo su cavie di laboratorio, ma presto dovrebbe iniziare la sperimentazione anche su esseri umani. Il problema è che, come ammettono gli stessi ricercatori, non è ancora ben chiaro il meccanismo di funzionamento di questa soluzione, sebbene l'ipotesi più probabile sia quella che i peptidi interagiscano con la matrice che connette le cellule del tessuto da riparare. Saranno quindi necessari ulteriori studi per dimostrare la fattibilità pratica di questo cerotto liquido, le cui prime applicazioni, comunque, sono sicuramente interessanti. Elli Behnke è a tale proposito molto ottimista e ritiene che questo liquido rappresenti una tecnica potenzialmente in grado di «rivoluzionare il controllo delle emorragie» e che permetterà, ad esempio, di accorciare «fino al 50% la durata delle operazioni chirurgiche. ANDREA CAROBENE ___________________________________________________ Repubblica 26 Ott. ‘06 MEDICINA NUCLEARE, LE MACCHINE "IBRIDE" di Alessandra Marqreth Guardando la radioattività è alleata della salute. Si tratta della medicina nucleare, una specialità fino ad oggi frettolosamente considerata "di nicchia", ad altissima tecnologia e dai costi molto elevati. È tempo di cambiare e di sapeme di più. Un'occasione è arrivata da congresso nazionale dell'Aimn (l'Associazione italiana di medicina nucleare e imaging molecolare), che si è tenuto nei giorni scorsi a Torino. Chiarisce Emilio Bombardieri, presidente dell'Aimn: «È un settore in crescita costante, che negli ultimi anni ha avuto un boom, ma dove si registrano ancora molti problemi: abbiamo poche strutture, poco personale e scarsa strumentazione rispetto aie necessità. Mentre la medicina nucleare è ormai uscita da tempo dalla fase pionieristica. Oggi non esiste un settore che non preveda la medicina nudeare nei suoi protocolli per la diagnosi e la terapia ». Esame di un paziente con la Pet (Positron Emission Tomography) Nata decine di anni fa per studiare e visualizzare la distribuzione di traccianti radioattivi nell'organismo, questa specialità è in rapida evoluzione. Mentre la radiografia si limita a "fotografare" la situazione di una certa parte del corpo, la medicina nucleare permette di capire se e come questa parte funziona. Questo grazie ai radiofarmaci, molecole radioattive che permettono di visualizzare le lesioni all'interno di un organo, descrivendone le caratteristi che biologiche (vengono utilizzate in caso di tumori, malattie del sistema nervoso, malattie cardiovascolari, disturbi endocrini....). Le tecniche che permettono di ottenere immagini (scintigrafie) si servono di strumentazioni estremamente sofisticate come ad esempio le SPET (gamma-camere topografiche) o la PET (tomografia a emissione di positroni). La medicina nucleare, oltre che in campo diagnostico, viene impiegata anche nella terapia di alcuni tipi di tumori (tiroide, linfomi...). A Torino molto spazio è stato riservato ad aggiornamenti sull'utilizzo di macchine "ibride", che abbinano cioè strumenti come Pet o Spet con la Tac, una delle ultime "frontiere" della medicina nucleare. Centri di Eccellenza a Bergamo per la neurologia, Milano per l'uso della Pet, Novara per cardiologia e Padova per pediatria; ma in Italia i centri dove si utilizza la medicina nucleare sono circa a5o, tra pubblici e privati, gli specialisti sono circa 1.300. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Ott. ‘06 IL BATTERIO CHE SI NUTRE DI PETROLIO La salvezza degli oceani può arrivare da batteri marini. Uno studio condotto dall'Istituto per l'ambiente marino costiero del Cnr di Messina (Iamc) ha dimostrato che un particolare microrganismo, l’Alkanivorax borkumensis SKa della famiglia dei Bic (batteri idrocarburoclastici), è il più attendibile, versatile e promettente spazzino del mare. Questo ceppo in buona sostanza si nutre e vive grazie al consumo di idrocarburi; di più, sembra proprio specializzato fin dalle sue origini a questo scopo. Questi microrganismi consumano idrocarburi come unica fonte di sostenta mento, e i risultati di studi condotti grazie a finanziamenti italiani e europei ti pon-Sabie e Commode inclusi ne 2006 insieme a Germania, Inghilterra, Israele, Grecia, Russia), hanno dimostrato che i Bic sono molto diffusi nel mondo e, in presenza di quantità opportune di nutrienti, proliferano in aree contaminate da petrolio, mentre sono assenti in zone pulite. Questa prerogativa è in parte spiegabile dalle singolari caratteristiche del genoma di questa specie: ridotto in dimensione rispetto ad altri microrganismi, altamente specializzato, e orientato alla degradazione degli idrocarburi. Le ricerche che hanno portato a questi risultati sono il frutto di studi eseguiti non solo i n laboratorio, ma in vasche della capacità (di 15 mila litri, sperimentalmente più vicine all'ambiente naturale, dove è stato dimostrato che alla proliferazione dei I3ic corrisponde un abbattimento sensibile dell'inquinante. :Dopo otto giorni dalla contaminazione indotta artificialmente mediante l'aggiunta di petrolio e nutrienti, il ceppo in questione rappresentava il 40% della popolazione microbica e la quantità di idrocarburi si era ridotta del 50 percento. Inoltre l'Istituto per l'ambiente marino costiero del Cnr di Messina insieme a un gruppo tedesco è arrivato a conclusioni affascinanti. Il completo sequenziamento del genoma del batterio, oltre alla comprensione dei meccanismi deputati alla biodegradazione, ha messo in evidenza che la scelta da parte del batterio dello strato di inquinante da consumare non è casuale, ma «ragionata» in funzione del particolare corredo enzimatico del batterio stesso e stimolata dalla tipologia dell'idrocarburo da eliminare, una sorta di intelligenza genetica selettiva. Di qui la prospettiva di utilizzare per le aree inquinate un consorzio di batteri ciascuno predisposto verso l’eliminazione un componente preciso. «Per passare dall'esperimento alle applicazioni sul campo occorrono tuttavia altri passi importanti-afferma Renata Denaro del gruppo di ricerche di Messina-, tra cui la costruzione di "batterioteche", lo sviluppo di tecnologie per la conservazione dei batteri, l'ottimizzazione dei tempi di degradazione degli idrocarburi e dei processi di biostimulation pelak. Bie. Occorre soprattutto chele eindustrie interessate mettano a disposizione risorse a integrazione di quelle disponibili da parte dell'istituto». Si tratta in fondo di cifre modeste, circa 370mila euro per portare avanti un progetto che il gruppo di Messina ritiene indispensabile per l'acquisizione del know how necessario per procedere ad applicazioni su vasta scala. LUDOVICA MANUSARDI CARLESI ___________________________________________________ Repubblica 30 Ott. ‘06 IL DENTIFRICIO CHE CURA LA PLACCA E LE CARIE All'università dei capoluogo isolata una sostanza che interviene sulle piccole scalfitture nello smalto Abbiamo sentito parlare di L, tutto, dai chewing gum che sostituiscono lo spazzolino quando non c'è, agli stick sbiancanti fai date. Ora dalla ricerca industriale, accademica e medica arrivano i dentifrici in grado di "curare i denti". Uno dei primi esempi è italiano, e fa parte della linea BlanX BioRepair della Guaber, nata dalla collaborazione tra il LEBSC (Laboratorio di Strutturistica Chimica Ambientale e Biologica), del Dipartimento di Chimica "G. Ciamician" dell'Università di Bologna, e dei Laboratori di Ricerca BlanX. L'innovazione è stata spiegata la settimana scorso m una conferenza da Norberto Roveri, ricercatore e professore ordinario di chimica generale e inorganica dell'Università di Bologna, nonché direttore del laboratorio LEBSC, che ha studiato e per primo messo in evidenza le proprietà curative sui denti delle micro particelle di idrossiapatite biologica mente attive, brevetto che ora sarà sfruttato commercialmente della Guaber. Le minuscole e impercettibili scalfitture dello smalto e della dentina, dove si accumulano placca, batteri e pigmenti, provocando sono invisibili ad occhio nudo ma a lungo andare provocano danni anche gravi, e come minimo carie, perdita di luminosità, deterioramento del dente. Ed è proprio a questo livello che Blanx BioReapir agisce. Il dentifricio infatti contiene il 15% di Microrepair (i miccocristalli brevettati dalla Guaber dopo due anni di ricerca in laboratorio) in grado di legarsi allo smalto dei denti, e quindi di riparare e ricostruire le abrasioni invisibili. II merito della ricerca scientifica è di aver scoperto e ottimizzato le proprietà delle micro particelle di idrossiapatite biologicamente attive nella cura dei denti, realizzando un composto chimico (chiamato "carbonato- idrossiapatite - zinco sostituita") simile per struttura e composizione al minerale di cui sono principalmente costituiti i denti. Un'intuizione brillante: «Si tratta di un'innovativa modificazione e applicazione di un materiale che, in passato, abbiamo studiato per altri settori come quello ortopedico. La novità è essere riusciti a sintetizzare Microrepair su scala industriale e utilizzare le sue peculiari proprietà bioattive in un prodotto di largo consumo», spiega Paolo Gualandi, numero uno della Guaber. «L'azienda voleva fare un dentifricio innovativo, tecnologicamente avanzato, e noi avevamo le competenze e l'esperienza scientifica giusta per realizzarlo», aggiunge il professor Roveri. Cosi è nata la linea Blanx BioRepair, che oltre ad assicurare una funzione di prevenzione delle carie, rivendica un'opera desensibilizzante, antitartaro, antiplacca, rinfrescante. «Il dentifricio può essere usato dai bambini perché possono deglutirlo non contenendo fluoro. L'azione riparatrice di smalto e dentina è dovuta alla reattività chimica superficiale dei Microrepair mentre lo zinco con la sua azione antisettica contrasta la formazione della placca batteri ca», continua il professore. «I risultati sono immediati nel caso di alitosi e rapidi per curare l’ipersensibilizzazione dentale (dopo i primi 20 giorni di utilizzo). Anziché assopire momentaneamente il dolore, Blanx lo cura«. In futuro, si prospetta un maggiore utilizzo dei microcristalli Microrepair anche nelle linee farmaceutiche specifiche peri dentisti. _________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 31/10/2006 DENTISTI VERI E FALSI ALLA CORTE DI EGITTO Scoperte le tombe di tre specialisti di 4.500 anni fa Dentisti veri e falsi alla corte d'Egitto Anche i faraoni soffrivano di mal di denti e anche loro si rivolgevano al dentista, anzi al «capo dei dentisti reali». Sono diversi i personaggi dell'antico Egitto che ci hanno lasciato iscrizioni in cui dichiarano la loro specializzazione in odontoiatria, ma questa volta gli archeologi hanno trovato addirittura le tombe di Iy Mry, un «capo dentista», e di due suoi colleghi di rango inferiore, Kem Mesew e Sekhem Ka. Tutti e tre meritevoli di farsi seppellire in belle tombe dipinte nell'area sacra che circonda la piramide a gradoni di Saqqara, 25 chilometri a sud del Cairo. La scoperta è stata effettuata dagli archeologi egiziani diretti da Zahi Hawass, Segretario generale dell'Alto Consiglio delle Antichità, che pare siano stati messi sulla pista giusta da alcuni tombaroli che avevano già cominciato a scavare di nascosto. L'esame delle iscrizioni geroglifiche incise sulle pareti - ha dichiarato Hawass - ha permesso di assegnare le sepolture a un periodo compreso tra il2500 e il 2200 avanti Cristo, cioè tra la fine della quarta dinastia e l'inizio della quinta. Sulla porta che sbarra l'ingresso della tomba del più importante dei tre personaggi è scolpita una lunga iscrizione con la quale il defunto avverte minaccioso: «Chiunque entrerà nella mia tomba sarà mangiato da coccodrilli e serpenti». Ma questo non ha impressionato gli archeologi che sono penetrati all'interno delle camere dipinte con scene di offerte agli dei e con iscrizioni in cui compaiono i due segni che indicano la professione del defunto: un occhio e un dente appuntito come un canino animale. Cioè, dentista. La presenza delle tre tombe all'interno del recinto sacro indica l'alta considerazione di cui godettero i tre specialisti, che furono comunque sepolti in tombe realizzate prevalentemente con mattoni di fango. Secondo Zalú Hawass, questo suggerisce che non fossero particolarmente benestanti ricchi, nonostante la loro professione. Nell'antico Egitto i dentisti Godevano di un notevole prestigio e qualcuno sospetta che, in alcuni casi, i defunti si autodefinivano dentisti anche se non lo erano affatto. Sospettato in questo senso è il nobile Hezire, uno scriba della terza dinastia che nelle iscrizioni della sua tomba sembra attribuirsi la qualifica di capo dei dentisti del faraone. II tutto, però, potrebbe essere spiegato con un'errata interpretazione delle iscrizioni tombali. Nonostante la fama dei dentisti egiziani, gran parte dei sudditi del faraone soffrivano di mal di denti e questo è drammaticamente dimostrato dal pessimo stato delle dentature delle mummie. Proprio a partire dalla quarta dinastia, cioè all'epoca dei nostri tre dentisti, la carie era diffusa prevalentemente tra l'aristocrazia, mentre col passare dei secoli si estese a tutte le classi sociali. Questo sembra imputabile al diffondersi di un'alimentazione più abbondante e qualitativamente più ricca, e al consumo di cibi cotti. 1 dentisti egizi erano convinti che la carie fosse provocata da un verme annidato tra denti e per riparare i danni che provocava, praticavano otturazioni con una pasta a base di polvere di pietra, miele e resine vegetali. Per curare una non meglio precisata «ulcera del dente» consigliavano di masticare per nove giorni un impasto di latte di mucca, datteri freschi e carrube secche; il tutto esposto per una notte alla rugiada. Diffusa fra tutte le classi sociali, invece, la forte usura della superficie masticatoria di molari e premolari, da mettere in relazione alla nascita dell'agricoltura. Causa principale di tale problema, che spesso portava alla totale distruzione dei denti, fu certamente il consumo di focacce contenenti polveri abrasive rilasciate dalle macine di pietra- utilizzate per la 'preparazione della farina. Testimonianze più interessanti circa la sviluppo della scienza odontoiatrica ci vengono dagli Etruschi, che realizzarono ponti e protesi in oro, e dagli abitanti della Valle del], Indo che, per combattere la carie, praticavano vere trapanazioni novemila anni fa. Viviano Domenici __________________________________________________________ Libero 1 nov. ’06 VESCICA RADIOCOMANDATA, NOVITÀ DAL SAN RAFFAELE DI MILANO Basta un piccolissimo apparecchia di GIANLUCA GROSSI La vescica radiocomandata promette di contrastare come non si è mai fatto finora un male che in Italia colpisce una persona su dieci: l'incontinenza urinaria. AL San Raffaele di Milano è stato recentemente impiantato su una donna di 68 anni uno strumento grande come una moneta di due euro, capace di risolvere il fastidioso problema. Si tratta di un elettrocatetere che, collocato all'altezza dei nervi che controllano l'attività della vescica e posizionato all'altezza dei glutei consente lo svuotamento della stessa vescica grazie a un telecomando impugnato dal paziente. Basta un clic, e il disturbo che col passare del tempo può diventare molto peggio di una malattia, ma una mortificazione, anzi, un'umiliazione, possiamo considerarlo guarito. In pratica si tratta di un neurostimolatore, un pacemaker, che sostituisce la funzione dei nervi e dei muscoli della vescica che progressivamente hanno perduto la loro capacità di trattenere l'urina. L'unico svantaggio della vescica telecomandata è che le batterie non durano più di 3 0 5 anni. Per tale motivo è necessario ogni 3 anni circa recarsi di nuovo in ospedale per la sostituzione del pacemaker: un'operazione che comunque dura pochi minuti e avviene in anestesia locale. La proposta del San Raffaele tornerà utile a molte persone che soffrono di incontinenza urinaria. A essere colpite dal male sono soprattutto le donne. Si parla in particolare di "stress incontinence" o di "urgence incontinence". La prima forma può colpire tutti, la seconda è invece tipica delle persone anziane. L' "urgence incontinence" benefica di trattamenti farmacologici e comportamentali. La "stress incontinence" necessita, invece, specie se associata a prolasso degli organi pelvici, di trattamento chirurgico. Il trattamento classico per la "stress incontinence" è la cosiddetta plastica colporrafia anteriore, in sostanza la plastica della vescica, un intervento che anche oggi e nei nosocomi più moderni risulta tutt'altro che indolore. Anche in questo caso il telecomando inventato e applicato al San Raffaele, si rivelerà un toccasana per il paziente, oltre che costituire un elemento di tranquillità per chi è incaricato di assisterlo. ___________________________________________________ Il Giornale 1 Nov ‘06 IL VINO ROSSO ARMA ANTI-OBESITÀ II vino rosso arma contro l'obesità. I I segreto sarebbe nel resveratrolo, una molecola il cui effetto favorevole alla longevità è già stato dimostrato sugli animali. La scoperta, annunciata sulla rivista «Nature», si deve a David Sinclair, lo stesso scienziato Usa che ha scoperto il resveratrolo e ora ne sta svelando tutti i portentosi poteri. La molecola, pur non aiutando i topi a perdere peso, è capace di contrastare le conseguenze dell'obesità in roditori ipemutriti con una dieta ricca di grassi. La loro fisiologia risulta infatti motto simile a quella di topolini di peso normale: vivono più di topi grassi cui non è stato somministrato il resveratrolo, hanno una funzione epatica migliore e sono più coordinati nei movimenti. ___________________________________________________ Avvenire 2 Nov ‘06 DI TALASSEMIA SI GUARISCE SENZA GLI EMBRIONI Andrea Galli Con queste prospettive di cura, voler insistere sulla selezione degli embrioni per sconfiggere la talassemia mi sembra un non senso». Guido Lucarelli, ematologo di fama mondiale, pioniere del trapianto del midollo osseo e di quella metodica clinica nota a livello internazionale come «Protocollo di Pesaro», dice di non sentirsela di fare il «filosofo» sulla questione degli embrioni. Lo sa per esperienza ed evidenza che una «blastula diventa un feto e poi un bambino»: insomma, che si tratta di vita umana. E scuote la testa sull'idea di usare la selezione embrionale per far nascere un bambina sano donatore su dieci «gettando via gli altri nove malati, e senza contare î margini di errore della diagnosi». Dal suo studio nel nuovo Istituto Mediterraneo di Ematologia a Roma, sostiene che la strada da battere è certamente un'altra. Professore, come si batte la talassemia? «In sinstesi, la talassemia si può curare con il trapianto di cellule staminali che correggono il difetta genetico dei malato. Le staminalî si prelevano dal midollo, o dal sangue periferico dopo averle costrette a uscire dal midollo. Le si inseriscono quindi nel ricevente, al quale è stato distrutto il midollo malato. IL procedimento dura poca ore». Ma é sempre necessario un donatore... «Certo, questa terapia richiede un donatore compatibile. Noi siamo partiti con lo standard più elevato, usando un donatore cosiddetto "HLa istocompatibile nella fratria" - cioè un fratello o una sorella del malata di talassemia. Nella nostra area di riferimento, il Mediterraneo, ci sono ancora famiglie abbastanza ampie, per cui 36 bambini talassemici su 100 hanno una probabilità di avere un fratellino o una sorellina che possono essere donatori». E per gli altri 64 cosa si fa? «Bisogna ampliare il pool dei donatori. La prima cosa da fare è cercare un donatore nell'apposito registro internazionale, che oggi ha circa nove milioni di iscritti e offre un 40% di probabilità di trovare un donatore compatibile. Ma non è l'unica via: ce ne sono altre in corso di sperimentazione». Ovvero? «Il nostro centro, L'Ime, sta procedendo in una direzione ben precisa: usare la madre come donatrice. Le paria di dati effettivamente pubblicati. Sono tornato da poco dal Natianal Institutes of Health, negli Stati Uniti, dove si è discusso di questo tema. Perché la madre? Perché lei ha già fatto questo "trapianto" con il proprio bambino durante la gravidanza. E perché non c'è stato un rigetta? Perché nello sviluppa si attua una tolleranza immunologica. Noi allora ci siamo chiesti: vuoi vedere che questa tolleranza viene "memorizzata" e rimane anche dopo la nascita? È una strada già percorsa nella cura delle leucemie, e adesso viene percorsa anche nei riguardi della talassemia: si chiama "Protocollo 30" e apre, appunto, un altro frante per coprire i 64 talassemici su 100 che si ritrovano senza un donatore». Altre strade terapeutiche? «Una soluzione attualmente in fase di sviluppo è quella del ricorso al cordone ombelicale, ovvero alle cellule staminali emopoietiche del neonato. Il cordone ombelicale potrà avere in futuro un grande valore se sarà dimostrata quella che adesso è ancora un'ipotesi di studio: cioè che si può usare anche un cordone non compatibile, richiedendolo a un apposito registro internazionale». Ma se non è compatibile come lo si potrà utilizzare? «Sembra che le cellule del cordone ombelicale, più immature delle staminali del bambino, possano funzionare senza creare problemi. Ma siamo ancora in fase sperimentale». Cosi c'è chi tira fuori la diagnosi preimpianto... «Si, ma le attuali conoscenze scientifiche rafforzano la convinzione che l'embrione sia vita umana, che come tale va rispettata. Ho passata due terzi della mia vita a studiare lo sviluppo della emopoiesi (cioè la produzione degli elementi del sangue, ndr), dall'embrione al feto al neonato, nell'animale come nell'uomo. La scienza non fa altro che confermare quello che viene rilevato dai senso comune: sin dai primo istante della gravidanza una donna aspetta un bimbo, non un semplice ovulo fecondato». Il pressing mediatico per aprire alla selezione embrionale però è molto forte. «La preimpiantazione mette il medico di fronte alla tentazione: fecondare dieci ovuli, salvarne uno se è compatibile con il malato talassemico, buttando via gli altri nove. Ma mi chiedo: è proprio necessaria una cosa del genere? Le faccio un esempio. Il registro dei donatori volontari della Sardegna offre 80 probabilità su 100 a ciascun sardo di trovare un donatore ad alta risoluzione. Non vedo, insomma, il contributo che la selezione preimpianto può dare alla risoluzione del problema tentando di guarire una malattia che, tra l'altro, concede tutto il tempo per la ricerca del donatore giusto senza pericolo di morte imminente». La ricerca ha portato ad altre scoperte? «Certamente. C'è un altro ramo della ricerca che vale la pena di conoscere. La cura radicale della talassemia con le cellule staminali è oggi "allogenica", fa ricorso cioè a un donatore esterno. Ma all'Istituto San Raffaele di Milano le professoresse Roncarolo e Ferrari sono in prossimità di un importantissimo traguardo: prendere la cellula staminale malata del bambino, modificarla, moltiplicarla e usarla per un trapianto Outologo, cioè sullo sesso paziente. Cosi ogni talassemico diventerebbe donatore per se stesso». C'è un rischio nei trapianti di midollo? «La mortalità è compresa tra il 5 e il 10 per cento. Un rischio che non viene , nascosto ma discusso con i genitori. E con loro che il medico deve prendere una decisione». Perché un Istituto «mediterraneo» di ematologia? «Come dice il nome, ci apriamo a un'area geografica dove sono centinaia di migliaia i bambini talassemici. In Egitto nascono 30 mila nuovi casi all'anno perché c'è una percentuale altissima di portatori che si sposano tra di loro. Avendo l'Italia un'offerta di cura all'avanguardia nel mondo noi cerchiamo, oltre che di curare, anche di formare personale specializzato dei Paesi più colpiti e di seguirlo in loco, in modo che questi specialisti possano gestire autonomamente centri per il trapianto del midollo. Lo facciamo anche per risolvere problemi drammatici. Al Cairo un centro solo deve trasfondere ogni giorno 100 ragazzini su 2000 iscritti: ecco, li oggi si ha l'impressione di entrare in un girone dantesco. In questo momento noi abbiamo in cura 190 persone, tra bambini e familiari, alloggiati gratuitamente, provenienti da Kurdistan, Libano, Egitto e Maldive». ___________________________________________________ Libero 3 Nov ‘06 CUORE, RENI, OSSA QUANTO COSTA L'UOMO AL PEZZO Il polmone vale 57.500 euro, la cornea 1.150, il midollo da 20.500 a 73 mila di GIANLUCA GROSSI MIUNO Oggi praticamente ogni organo può essere trapiantato, consentendo la sopravvivenza (anche di molti anni) di individui altrimenti spacciati. Ma con l'aumento dei trapianti si è avuta anche la necessità di quotare ogni organo, in base alle difficoltà di ?spianto e trapianto, e all'importanza che investono singolarmente in un corpo umano. E cosi adesso - come si evince da un servizio recentemente pubblicato sulla rivista esplora - per ogni pezzettino del nostro corpo esistono tariffe e prezzi ben precisi. Veliamo i più importanti. Partiamo dai capelli: un grammo costa 50 curo. E per rifare una chioma medio lunga occorrono circa 200 grammi. Una vena o un'arteria costano circa mille euro. La cornea, l'organo in assoluto più trapiantato, costa 1.150 curo. Frammenti di ossa hanno un prezzo di circa 2 mila euro. La pelle costa da 3.200 a 12 mila euro. Un rene 20.500 euro umo dei trapianti più eseguiti in Italia e nel mondo. Il midollo osseo ha tariffe molto vaie: si va da 20.500 curo a 73 mila euro. Il fegato costa 53 mila euro. Qui, in particolare, la probabilità di trovare donatori compatibili è quanto mai scarsa: si parla di un rapporto di uno a 40 mila. Infine tra gli organi più cari abbiamo il polmone, con un prezzo di 57.500 euro, e il cuore, circa 70 mila euro, mentre le valvole cardiache costano intorno ai mille curo. Ma chi spende concretamente questi soli? I cittadini italiani grazie al servizio pubblico possono accedere a un intervento di trapianto senza pagare nulla, mentre in molti altri Paesi, dove non sono disponibili le risorse per questo tipo di interventi, sono gli stessi pazienti a farsi carico dei costi del trapianto. Ma in questo modo spesso finiscono con l'alimentare il mercato nero degli organi. A questo proposito si sta facendo largo la proposta di Eli Friedman, specialista in malattie renali della State University di New York e Amy Friedman, esperta in trapianti della Yale University: rendere legale il commercio degli organi umani per soddisfare i bisogni di tanti pazienti. I due medici suggeriscono pertanto di consentire la vendita di organi come i reni, anche perché le campagne per aumentare le donazioni stanno fallendo e il mercato nero degli organi umani sta aumentando. Problemi che certamente non esistevano nel 1902, quando il chirurgo Alexis Carrel fece il primo tentativo per far vivere un cane con un rene proveniente da un altro animale. Poi arrivarono gli esperimenti sull'uomo. Nel 1954 Harrison e Murray trapiantarono con successo un rene in un gemello omozigote. Nel'63 furono eseguiti i primi trapianti di polmone e di fegato. E nel '64 Hardy e Webb eseguirono il primo trapianto di cuore xenogenico scimmia-uomo. Nel 67 a Citta del Capo Christian Barnard effettuò il primo trapianto di cuore uomo-uomo. Kelly è Lillehei furono i pionieri del trapianto del pancreas e di li a poco fu la volta dell'intestino. Mentre oggi, come abbiamo detto, si può trapiantare praticamente tutto. ________________________________________________ Corriere della Sera 1 Nov. ’06 SESSO, PRIMO STUDIO MONDIALE PIÙ DA SPOSATI CHE DA SINGLE Ricerca su come si fa l' amore in 59 Paesi. La prima volta tra i 15 e i 19 anni La rivista «Lancet»: domina la monogamia Altro che sesso libero. L' eros è dei monogami, degli accoppiati con l' esclusiva: sono loro, conviventi o maritati, ad avere una vita più attiva sotto le lenzuola. Da New York a Timbuctu. A fugare lo scetticismo di quanti credono che il matrimonio sia la tomba dell' amore arrivano i dati della prima ricerca mondiale sui comportamenti sessuali, pubblicata dalla rivista inglese Lancet. «La monogamia è dominante in tutto il mondo, l' attività sessuale tra i single anche giovani è sporadica, soprattutto nei paesi non industrializzati», rivela l' indagine che ha scandagliato le abitudini intime degli abitanti di 59 nazioni. Dopo anni in cui si parlava di rapporti sempre più precoci, si registra un' inversione di tendenza: un ritardo della prima volta soprattutto tra le ragazze, che si sposta verso i 17-18 anni. Tra i giovanissimi resiste invece la cattiva abitudine di non proteggersi, cosa che spiega gli alti tassi di gravidanze indesiderate, aborti, malattie sessualmente trasmesse in questa fascia d' età. A sorpresa lo studio indica che la promiscuità non è di casa nei paesi poveri più di quanto non lo sia in Occidente. Anzi la poligamia è spesso più diffusa nella parte ricca del pianeta. Sembrano dunque altre le cause che portano al proliferare di malattie come l' Aids nel Sud del mondo. L' uso del preservativo risulta tuttavia in aumento nei paesi in via di sviluppo, Uganda in testa. «Le cose stanno cambiando meno velocemente di quanto pensassimo» commenta al Corriere della Sera Kaye Welling, della London School of Hygiene & Tropical Medicine. Tant' è che l' attitudine ad avere rapporti paralleli continua ad essere più diffusa tra gli uomini. Solo in alcuni Paesi sviluppati le proporzioni tra maschi e femmine con più partner tendono ad avvicinarsi. Un fenomeno che comunque rimane irrisorio. A scoraggiare il nomadismo erotico c' è, certo, la paura: «Il sesso insicuro è il secondo fattore di rischio di malattia e morte nei paesi poveri e il nono in quelli sviluppati» sottolinea la ricercatrice. «In tempi di grandi incertezze e paure dell' altro un rapporto sicuro è più appagante di relazioni una tantum - spiega la sessuologa Gianna Schelotto -. L' intesa è qualcosa che si costruisce poco a poco». L' epoca dell' amore libero sbandierato dopo il ' 68 sembra lontana anni luce. «Oggi regna la coppia-porto: bistrattata per anni, è quella che alla lunga sta vincendo. Non siamo attrezzati mentalmente per avere partner multipli. Un' unione stabile che dura nel tempo alla fine lascia un' impronta nell' identità di ciascuno». Non si meraviglia che il mondo sia monogamo nemmeno Chiara Saraceno, docente di sociologia all' università di Torino: «Non è un problema di moralità, il fatto è che le coppie aperte non sono durate». Una considerazione che non impedisce al filosofo francese Jacques Attali di recitare il De Profundis della monogamia: «È una convenzione sociale, entro cinquant' anni scomparirà, per lasciare posto a relazioni multiple e simultanee». Una previsione non condivisa dal sociologo Franco Ferrarotti: « Non bisogna confondere il numero dei divorzi con la crisi della famiglia. La famiglia come patto sociale resta centrale, piuttosto se ne costruiscono due, una da giovani e un' altra più avanti». Lidia Ravera, che ai rapporti amorosi ha dedicato il suo ultimo romanzo, «Eterna ragazza» (Rizzoli), distingue: «Non mi stupisce questo aggrapparsi alla coppia: ci si sistema in una relazione, che diventa un comodo pavimento sotto i piedi. Altro è la monogamia duratura che si alimenta del rilancio amoroso». * * * I DATI LA PRIMA VOLTA *** Smentita la tendenza a cominciare sempre prima: le ragazze scoprono il sesso fra i 17 e i 18 anni *** IL PRESERVATIVO *** In Africa l' uso è in aumento: dal 5% del ' 93 al 19% Muglia Alessandra