CRUI: PER GLI ATENEI RISCHIO PARALISI - RETTORI IN RIVOLTA: BASTA TAGLI, NON CE LA FACCIAMO PIÙ - UNIVERSITA’: QUEGLI «IDIOTI SAPIENTI» TRAVESTITI DA SPECIALISTI - DRAGHI: LA SCUOLA È IL VERO MOTORE DELLA CRESCITA - BALLIO: COSÌ SI DEVASTA LA RICERCA UNIVERSITARIA - SULLA RICERCA UN NO DA NOBEL - RETTORI, CAMIONISTI E FELUCHE TUTTI IN RIVOLTA CONTRO I TAGLI - UNIVERSITÀ, SE SI TAGLIA SI PREMI ALMENO IL MERITO - UNIVERSITÀ MIGLIORI CON LA LEVA DEL MERITO - EGIDI: I FONDI ALLE UNIVERSITÀ IGNORANO IL MERITO - LO SCANDALO DEGLI ATENEI SENZA QUALITÀ - L'ATTRATTIVITÀ INTERNAZIONALE DEGLI ATENEI ITALIANI - DIMINUISCONO LE MATRICOLE - LA SCIENZA DEI PRIMI MINISTRI - CAGLIARI: VITTORIA DALLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA SUL MIUR - SASSARI: TEST DI MEDICINA TRUCCATI? TUTTO IN REGOLA - BIOINFORMATICA, UN LABORATORIO A PULA - SORU, POLARIS E IL CONFLITTO DI INTERESSI BIOINFORMATICO - INVENZIONI: ECCO LE CENTO PIÙ UTILI - FORMAZIONE, L ADDIO SENZA UN PROGETTO - LE PAROLE D’ORDINE PER GOVERNARE LA RETE - ======================================================= IL 63% DEL DEBITO SANITARIO È IN TRE REGIONI - PUBBLICO E PRIVATO COSTRUIRANNO LA SANITÀ DEL FUTURO - ASL E UNIVERSITÀ SS, LITE SUL MATTONE - MAIDA NEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA SANITÀ - L'IRCC PREMIA IL RE DELL'EPIGENETICA - LAZIO: SCANDALO SANITÀ, SPUNTA LA MASSONERIA - STORIA DELLA MEDICINA: IL PARTO, COSA DA «PRATICHE» - EMBRIONE-CHIMERA: COSÌ CADONO I DUBBI ETICI - RICERCA ONCOLOGICA, STRATEGIE UNITARIE PER RISPARMIARE - CLINICA OSTETRICA: «COSÌ SALVIAMO I BIMBI DAL DIABETE» - UN LEGAME PREOCCUPANTE TRA FARMACI ANTI-AIDS E LEBBRA - CON IL VINO ROSSO IL TOPO GRASSO VIVE DI PIÙ - DENTI SIMILI AI VERI CREATI AL COMPUTER - TUMORE AL SENO, CHE RISCHIO C'È - TERAPIA GENICA PER PREVENIRE L'EPILESSIA - BIOMARCATORI PER IL LUPUS - SANITÀ: I NOSTRI ERRORI? ECCO PERCHÉ SBAGLIAMO - ======================================================= ___________________________________________________ Il Sole24Ore 10 nov. ’06 CRUI: PER GLI ATENEI RISCHIO PARALISI La relazione annuale della Crui Alessia Tripodi ROMA Rischio di paralisi per gli atenei se non saranno modificati i tagli in Finanziaria. «Non ci sono soldi per la gestione quotidiana e in queste condizioni non si tratta più di stringere la cinghia, perché si rischia il soffocamento». È il grido d'allarme lanciato ieri a Roma da Guido Trombetti, presidente della Conferenza dei rettori (Crui), che - in occasione dell'annuale relazione sullo stato delle università - ha elencato tutti i numeri della crisi. «L'illogico decreto Bersani taglia le spese degli atenei per 250 milioni di euro, quando ne servirebbero tra i 500 e i 550 per garantire il funzionamento del sistema-ha detto il presidente Crui, ricordando che «per tornare al punto di partenza di cinque anni fa occorrerebbe un miliardo di euro». Solidale con i rettori il ministro dell'Università, Fabio Mussi: «Il taglio ai consumi è un errore madornale, una batosta pesantissima - ha dichiarato il ministro intervenendo alla relazione - e va modificato». Ma per Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di An, «si tratta di una clamorosa retromarcia, perché già a luglio Mussi aveva annunciato che in assenza di correzioni al decreto Bersani si sarebbe dimesso. Siamo disposti a collaborare per trovare le risorse necessarie - ha aggiunto - ma se l'obiettivo non sarà raggiunto Mussi dovrà agire coerentemente con le sue dichiarazioni». Mentre per Rocco Buttiglione (Udc) «Mussi non può dire che i tagli sono colpa della situazione dei conti pubblici, perché la manovra necessaria era di soli 15 miliardi di curo e ne è stata fatta una che vale tra il doppio e il triplo». Alla Crui sono giunti anche i messaggi del presidente del Senato Franco Marini («L'università è fondamentale per affrontare la sfida del cambiamento»), e di quello della Camera Fausto Bertinotti («Primario il ruolo della conoscenza per superare i divari sociali)». L'Italia spende 7.241 euro per ogni studente, contro i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania. Sul fronte della ricerca, poi, il nostro Paese, secondo l’Istat, ha speso nel 2003 appena l’1,14% del Pil, addirittura meno di Repubblica Ceca e Slovenia. Ma non si tratta solo di mancanza di fondi. La riforma universitaria, che ha introdotto nel 2001 2002 il "3+2", ha prodotto buoni risultati ma anche «disfunzioni», dice la Crui. Prima della riforma si immatricolava il 70% dei diplomati, nel 2004 2005 si è arrivati a quota 76,8 per cento. I laureati sono passati dai 161mila del 2000 ai 300.300 del 2005, ma quasi il 95% di chi ha conseguito la laurea triennale prosegue negli studi. Nell'anno accademico 2005 2006, poi, si registra una percentuale di studenti fuori corso pari al46 per cento: «Se venisse confermata - dice la Crui - sarebbe la più alta dell'ultimo decennio». Su alcuni effetti negativi della riforma i rettori fanno autocritica: con i nuovi ordinamenti i corsi sono aumentati del 122,3%, mentre l'eccessiva frammentazione degli insegnamenti ha portato il numero medio dei docenti di ruolo per corso da 21 unità a 11 ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’06 RETTORI IN RIVOLTA: BASTA TAGLI, NON CE LA FACCIAMO PIÙ L' UNIVERSITA' FONDI E RICERCA 75 GLI ATENEI Il numero complessivo degli atenei presenti sul territorio nazionale 18 LE MATRICOLE L' aumento in percentuale delle matricole dal 2000 (295.500) al 2004 (350mila) 87 I LAUREATI Percentuale di crescita dei laureati dal 2000 (161.000) al 2005 (301.300) Servono 250 milioni o rischiamo il baratro. Mussi: la norma Bersani è un errore madornale ROMA - L' Università batte cassa: servono 250 milioni di euro in più per il 2007 ed è necessario recuperare i tagli del decreto Bersani, altrimenti «ci saranno Atenei che non riusciranno a chiudere il bilancio». Parla di «baratro», di sacrifici «mortali», il presidente dei rettori Guido Trombetti della Federico II di Napoli, presentando il rapporto annuale sullo stato delle Università italiane. IL GOVERNO - Dal ministro Fabio Mussi, che rompendo il cerimoniale ha chiesto di poter parlare per spiegare il perché «di quest' anno così magro» i rettori ottengono solo comprensione, qualche promessa, un' ammissione di colpa a nome del governo («La norma Bersani, per le Università, è stata un errore madornale») e una battuta: «Mi impegno a insistere per la cancellazione, perché altrimenti finisce che la papera non galleggia». Ma intanto per ora si va avanti così: Mussi che parla davanti a una platea attenta ma poco disposta a fare sconti - e a sorridere quando il ministro li elogia perché con «quattro lire sono riusciti a cavare il sangue dalla rapa» -, chiede anche all' opposizione di «dare il suo contributo» per cambiare le norme proposte dall' Unione e dal suo compagno di partito Bersani. Poi rientra in Parlamento e protesta con il capogruppo di Rifondazione Franco Giordano: «Ti sei preoccupato per tutti, i precari, le pensioni, contro i tagli, ma non hai speso una parola per difendere i fondi della ricerca». Le promesse sono rinviate all' anno prossimo. E ridimensionate: «Mi accontento in cinque anni di arrivare ad avere stanziamenti per l' Università pari all' 1,2 per cento del Pil e all' 1,5 per la ricerca scientifica - spiega Mussi -, certo saremo comunque molto lontani dall' obiettivo europeo dell' agenda di Lisbona che imporrebbe il 3 per cento». LA DENUNCIA - La fotografia dell' Università italiana tracciata da Trombetti è abbastanza nitida: si è raddoppiato in cinque anni il numero dei laureati, da 161 mila nel 2000 a 301 mila nel 2005. Ma gli abbandoni dopo il primo anno sono superiori al 20 per cento: una matricola su cinque lascia e gli studenti fuori corso sono ormai sulla soglia del 50 per cento. Gli studenti delle superiori che proseguono sono ormai i tre quarti, ma i corsi universitari - denuncia Trombetti - sono troppo «dispersivi (erano 2.444, dopo la riforma sono diventati 5.434) e frammentati». E' sceso il numero dei docenti di ruolo per ogni corso, da 21 a 11, ma il sistema della laurea tre più due non si è dimostrato così efficace, perché il 95 per cento degli studenti prosegue dopo il triennio. Con il ministro Mussi i rettori concordano che deve cambiare «il metodo di reclutamento dei ricercatori, si devono modificare i concorsi» e bisogna procedere con l' Agenzia per la valutazione «dei risultati delle Università». Il capitolo più nero risulta essere quello dei finanziamenti pubblici, scarsissimi: perché, spiega Trombetti, «ogni anno è la stessa storia: ci propongono tagli che dicono essere congiunturali e diventano strutturali, non ce la facciamo più, ormai scontiamo un decennio di sottofinanziamento». E le statistiche sono impietose: la spesa pubblica per l' Università vede l' Italia fanalino di coda dei Paesi Ocse insieme alla Repubblica Slovacca, così come la percentuale di spesa pubblica per le Università è la più bassa dei Paesi sviluppati. Ma basteranno i fondi pubblici a far risalire l' Italia, che attualmente è in fondo - con l' 11 per cento di laureati nella popolazione adulta -, penultimo Paese della classifica Ocse, seguita solo dalla Turchia? * * * I casi Ecco lo stato di sofferenza di tre grandi atenei alle prese con i pochi fondi A NAPOLI Periodicamente piove dal tetto nel museo-laboratorio di zoologia dell' università Federico II. Finora l' ateneo si è potuto permettere soltanto interventi tampone, ora sarà difficile finanziare anche quelli A ROMA I laboratori di fisica e chimica della Sapienza risalgono agli Anni ' 50 e non ci sono fondi per rinnovarli A MILANO Tagli drastici in Statale all' acquisto di libri, periodici, banche dati e apparecchiature scientifiche. Rinviata la nascita della nuova sede per il dipartimento di informatica Fregonara Gianna ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’06 UNIVERSITA’: QUEGLI «IDIOTI SAPIENTI» TRAVESTITI DA SPECIALISTI Nella scuola e nell' università l' offerta vuole plasmare la domanda Andreina Ricci è un' autorevole archeologa che in un recente saggio (Attorno alla nuda pietra, ed. Donzelli) demistifica i criteri che ormai connotano «quasi unicamente come strumento di opposizione» le politiche per la tutela del patrimonio culturale. Questa «strategia di interdizione» che rifiuta «ogni responsabilità diretta sul presente e sul futuro» del territorio è nata per reazione all' uso politico dell' antico promosso dal fascismo e si fonda quindi su «una separazione netta, radicale, tra gli specialisti (detentori e depositari di particolari saperi) e i comuni cittadini», tale da determinare «l' autorità, l' ascolto, il potere, del tutto inediti, che tali figure professionali hanno guadagnato». Per la verità il fenomeno non è del tutto inedito. Si ripropone in quasi tutti i contesti in cui è previsto un accesso di massa a prestazioni professionali di alto contenuto specialistico. In questi casi c' è qualcosa di più dell' asimmetria fra offerta e domanda di servizi sociali che caratterizza tutti i sistemi di welfare. C' è quasi un assolutismo dell' offerta, che pretende di plasmare la domanda a sua immagine e somiglianza. Capita più evidentemente nei settori, come quello indagato dalla Ricci, in cui la domanda è più generica. Ma capita anche, con diversa intensità, nella scuola, nell' università, nell' organizzazione sanitaria, nell' amministrazione della giustizia. Forse dipende dalla lentezza del turnover degli operatori, che si riflette nella rigidità e nella relativa obsolescenza della qualità dei servizi offerti. Oppure dal centralismo burocratico con cui questi stessi servizi vengono erogati. Senza dire della parcellizzazione della formazione universitaria, che produce sempre più «idiots savants» travestiti da specialisti. Sta di fatto che in Italia la capacità di innovazione delle organizzazioni è inversamente proporzionale al contenuto intellettuale delle loro prestazioni. Perfino le Poste, in pochi anni, hanno sostituito gran parte dei portalettere con operatori telematici. Ma i siti archeologici continuano ad occupare più custodi che architetti del territorio, e d' altronde fino a pochi anni fa nelle scuole c' erano ancora gli insegnanti di stenografia. Ovviamente è più facile adeguarsi a una nuova tecnologia che dar luogo a un nuovo indirizzo scientifico o ad un diverso orientamento culturale. Ma è dall' innovazione scientifica e culturale, non dal consumo di tecnologie, che dipende lo sviluppo di una società. Covatta Luigi ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’06 DRAGHI: LA SCUOLA È IL VERO MOTORE DELLA CRESCITA LA CRESCITA BANKITALIA PIU' STUDIO, PIU' LAVORO A parità di ogni altra circostanza, nel nostro Paese la probabilità di partecipare al mercato del lavoro aumenta del 2,4% per ogni anno di scuola frequentato» L' ESEMPIO DI DON MILANI Troppo spesso la laurea dipende ancora dall' istruzione di famiglia: poco è cambiato da quello che diceva don Milani, forte dell' esperienza con i ragazzi della scuola di Barbiana Il deficit di istruzione è alla base della nostra mancanza di competitività ROMA - Bisogna far progredire l' istruzione che «è diventato il fattore più importante della crescita». Quella crescita che il «vivace spunto di ripresa congiunturale a cui stiamo assistendo» non basta a consolidare. A sollecitare «unità di intenti» e una «politica efficace» per scuola e università così da riavviare la produttività è il governatore della Banca d' Italia, Mario Draghi, chiamato dal preside della facoltà di Economia e commercio dell' Università La Sapienza, Attilio Celant, a svolgere una lectio magistralis all' inaugurazione del 100° anno accademico. La scuola è un tema «inusuale» per un governatore, riconosce Draghi, quasi riconoscendo un' invasione di campo. Ma il fatto di «essere stato un professore» e di sapere «quanto sia importante il livello di istruzione nel progresso dell' economia» scioglie ogni perplessità a riguardo. Prima di iniziare il proprio intervento, di fronte a un' affollatissima platea di studenti, professori e personalità fra le quali spicca l' ex capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, Draghi accenna al suo passato di studente, proprio lì a Economia e commercio, allievo di Federico Caffè. «Nel ' 70 mi laureai con lui con una tesi sulla moneta unica che concludeva con la constatazione che la moneta unica era una follia. Assolutamente da non farsi» ricorda divertito. E poi, a ritroso, è la volta di Fausto Vicarelli: «A lui devo il primo trenta e la decisione di continuare a studiare, dopo i risultati deludenti dell' avvio degli esami» rivela per nulla imbarazzato. E quindi il ricordo di Ezio Tarantelli «al quale devo la spinta all' esperienza al Mit negli Usa dove ho scoperto un nuovo mondo». Ma è sulla necessità di rilanciare l' istruzione, recuperando i ritardi accumulati, che Draghi si sofferma, esponendo stime e cifre. Significative quelle elaborate dalla stesso ufficio studi della Banca d' Italia: «A parità di ogni altra circostanza, nel nostro Paese, la probabilità di partecipare al mercato del lavoro aumenta di 2,4% punti percentuali per ogni anno di scuola frequentato». Nelle regioni meridionali «questo valore sale a 3,2 indice di una maggiore scarsità relativa di lavoratori qualificati». L' Italia ha comunque complessivamente un deficit d' istruzione rispetto agli altri Paesi industrializzati: nel 2005 la quota di diplomati tra i 25 e i 64 anni era solo del 37,5% e quella dei laureati raggiungeva appena il 12%, la metà della media dei Paesi Ocse. Sempre all' Università restava alto, il 60% il tasso di abbandono, e nonostante l' aumento del numero dei laureati per l' introduzione dei nuovi percorsi triennali, «l' Italia resta sotto la media dei principali Paesi Ocse». Eppure, possedere un elevato livello di istruzione, prosegue il governatore, consente di «ridurre i rischi insiti in percorsi di carriera frammentari e quelli connessi con la perdita dell' occupazione», oggi «più elevati che in passato a causa del crescente ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato». Senza contare il legame tra titolo di studio e reddito da lavoro che sale in proporzione. In Italia, secondo Draghi, non c' è un problema di scarsità di risorse pubbliche destinate all' istruzione, ma di distribuzione: troppi docenti ed eccessivo sbilanciamento verso i gradi scolastici più bassi. L' università e lo studio specialistico e di qualità risultano penalizzati mentre è cambiato poco o nulla sul superamento delle condizioni della famiglia e dell' ambiente di provenienza, dice Draghi, richiamando don Milani e la sua scuola di Barbiana. Che fare dunque? Bisogna dare più informazioni alle famiglie, occorre privilegiare qualità e merito garantendo però a tutti le opportunità di apprendimento. Si deve aumentare la concorrenza tra gli istituti, privati e pubblici, finanziando da un lato le scuole e le facoltà migliori (non quelle che hanno più iscrizioni) e dall' altro direttamente le famiglie e gli studenti. «Una più esplicita, consapevole apertura al merito evita che siano mortificati i talenti migliori, se assistita da opportune misure di sostegno degli studenti meritevoli non abbienti». Il riconoscimento del merito «non è garanzia di equità ma, senza, la società è sicuramente più iniqua, perché accentua la discriminazione generata dalle condizioni di partenza; allo stesso tempo è anche più povera, perché spreca le sue risorse».2,4 per cento *** l' aumento della possibilità di trovare lavoro per ogni anno di scuola in più, 3,2 punti in più per il Mezzogiorno *** 50 per cento *** la quota di diplomati sul totale della forza lavoro tra i 25 e i 64 anni d' età nel 2005. I laureati erano il 12%, la metà della media ocse *** 37 per cento *** la quota di maggiore retribuzione di chi possiede una laurea specialistica rispetto a un diplomato nell' area Ocse Tamburello Stefania ___________________________________________________ Il Giornale 7 nov. ’06 BALLIO: COSÌ SI DEVASTA LA RICERCA UNIVERSITARIA Il rettore del Politecnico di Milano contro le misure dell'esecutivo. E Mussi viene contestato a Cosenza da Roma Una Finanziaria «devastante» per l'Università e dunque per il futuro dei giovani e del Paese. A dirlo senza eufemismi è il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'ateneo a 144 anni dalla sua fondazione. «La nostra reputazione e le alleanze con le altre università non possono rischiare di essere compromesse da brutte figure internazionali di cui non siamo responsabili», attacca Ballio. Il rettore, dopo aver ricordato i risultati raggiunti dall'ateneo in questi anni punta il dito contro la politica del governo Prodi. «La Finanziaria avrà un impatto devastante -denuncia - il denaro dello Stato non sarà sufficiente per trasmettere le conoscenze di cui il sistema produttivo ha bisogno». Come in passato anche oggi, dice Ballio «il sistema delle aziende e delle istituzioni deve convincersi che non basta comprare applicazioni della ricerca, bisogna investire in ricerca aiutando la nostra gestione quotidiana». Insomma se non si investe nella ricerca e nell'università non si investe sul futuro. «Dobbiamo essere capaci di spiegare che soltanto chi aiuterà la nostra gestione quotidiana potrà avere il diritto di pretendere giovani italiani preparati e responsabili», conclude il rettore. Ad ascoltarlo anche il ministro delle Riforme e innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais. Di fronte allo scenario drammatico dipinto da Ballio per il futuro dell'Università Nicolais ha cercato di gettare acqua sul fuoco spiegando che la finanzia ria di Prodi «ha dovuto tenere conto della necessità di recuperare 15 miliardi per mantenere l'Italia nei parametri di Maastricht», assicurando pure che «è un una tantum, non è quello che avverrà ogni anno». Ma evidentemente di finanziarie così ne basta una per mandare alla rovina la ricerca. E mentre da Milano si levava il grido d'allarme del rettore del Politecnico a Cosenza il ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi, ribadiva alla platea riunita per l'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università della Calabria, che questo sarà «un anno magro per tutti». Prima di entrare nell'aula magna ff ministro era stato pure bersaglio di una dura contestazione da parte di un grup petto di studenti di sinistra. «Mussi o Moratti, stesse parole e pochi fatti», avevano scritto su uno striscione gli studenti che si sono detti delusi dalla politica portata avanti dal centrosinistra calabrese e dal governo. ___________________________________________________ Il Manifesto 11 nov. ’06 SULLA RICERCA UN NO DA NOBEL La rivolta dei fisici contro i tagli della Finanziaria. Rita Levi Montalcini: «Così non la voto» Eleonora Martini Roma Se l'Università dovrà fare a meno di circa 250 milioni di euro, gli enti di ricerca che fanno capo al Miur subiranno, con la manovra finanziaria in discussione alla Camera, un taglio di circa 300 milioni di euro sul fondo di 1,6 miliardi stanziato per il 2006. «Con un taglio così grave, l'unico modo di risparmiare sarà chiudere i laboratori e le infrastrutture di ricerca, non potendo comprimere le spese sul personale e dovendo onorare gli impegni presi in ambito internazionale per ricerche congiunte pianificate su base pluriennale». Non è solo, Roberto Petronzio, presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), a prevedere un futuro così buio per la scienza italiana. Con lui ieri, nella sede dell'Infri di Roma, a lanciare l'allarme che segue di un giorno quello dei rettori universitari, erano riuniti i direttori di tutti i principali enti di ricerca italiani - Cnr, Inaf e Asì -, i premi Nobel, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, e alcuni tra i grandi nomi della Fisica italiana di fama internazionale. «Questi tagli, i più irrazionali e inoculati che abbia mai visto, avranno l'effetto di un'esplosione universale con conseguenze sulla scienza in tutti i paesi civili a cui oggi la ricerca italiana è profondamente legata, come dimostrano i laboratori sotterranei del Gran Sasso», prevede Carlo Rubbia in teleconferenza dal Cem di Ginevra, facendo riferimento ai laboratori abruzzesi dell'Infri che, a rischio chiusura, attualmente funzionano con 8-9 milioni di euro l'anno. Mentre la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, a capo di una fondazione che lavora per agevolare il rientro dei «cervelli» in fuga, avverte: «Non potrei mai votare una finanziaria che taglia i fondi alla ricerca e distrugge così il nostro paese». «La scienza è come un albero, una volta tagliato ci vogliono vent'anni per fame crescere un altro», aggiunge Rubbia che ci tiene a testimoniare: «Io non avrei mai potuto vincere nel 1984 il premio Nobel senza il contributo dell'Infri, una specie di G8 della scienza, che mi ha permesso di portare avanti un programma altamente competitivo con gli Usa. Ora il governo dovrà spiegare al resto del mondo perché intende chiudere con la ricerca e lo sviluppo in Italia». E in aula riecheggiano le parole pronunciate giovedì dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi-Alla cifra di circa 300 milioni di euro si arriva considerando le riduzioni del 20% sui consumi pe cosiddette «spese intermedie») imposte dal decreto Bersani, che si applica anche all'università e in forma retroattiva, e il taglio del 12,7% previsto dall'articolo 53 della legge finanziaria da applicare solo agli enti di ricerca. «Un taglio tanto più grave perché arriva dopo la penalizzazione, inflitta solo agli enti di ricerca, del blocco delle assunzioni vincolato al turn oven>, ricorda Petronzio. In questo modo l’Infii vedrà ridursi di 50 milioni di euro il fondo stanziato dal Miur (nel 2006 era di 270 milioni, di cui 140 spesi per i salari, 130 per i laboratori, che non vivono senza energia elettrica, e 70 per gli investimenti tecnologici). Finanziamenti che nel 2001 erano pari a 286,6 milioni e via via sì sono ridotti fino a toccare nel 2006 i 263 milioni (mentre se fossero stati costanti, ma adeguati all'inflazione, avrebbero dovuto raggiungere i 321,1 milioni). Se l’attuale manovra finanziaria non venisse ritoccata precipiteranno invece a 210 milioni di euro. Similmente il Cnr, che ogni anno spende 1.100 milioni di euro e riceve dallo stato un contributo di circa 540 milioni, vedrà ridursi i fondi di 70 milioni. «Nel 2007 ci ritroveremo a non poter pagare gli stipendi per i quali spendiamo circa 520 milioni: ce ne mancherebbero 50», spiega il presidente Fabio Pistella che ricorda anche l'impossibilità di dare un futuro a quei 3 mila precari in forza al Consiglio nazionale della ricerca e a quei 1.500 giovani che ogni anno preparano le tesi di laurea nei loro laboratori. Secondo la Corte dei conti, ricorda il presidente del Cnr, «per mantenere la stessa capacità di acquisto del 2000, l'anno scorso avremmo dovuto avere 750 milioni di euro invece dei 540». «Tagli incredibili se si pensa che la manovra è di circa 35 miliardi di euro», fa notare Pistella che si dice offeso dallo strumento legislativo utilizzato, l'articolo 53, che «colpisce allo stesso modo i ministeri elefantiaci e quelli piccolissimi come il Miur». «E ora - aggiunge il capo del Cnr - la ricerca italiana rischia di essere totalmente emarginata dalle iniziative previste dal VII Programma quadro Ue». «Il taglio si tradurrà poi in un costo aggiuntivo dovuto alle penali da pagare per il mancato rispetto degli impegni - secondo il presidente dell’Inaf Piero Benvenuti - senza contare che perderemo il ruolo predominante che l'astrofisica italiana si è costruita nel mondo». «Tutto ciò è in contrasto con l'interesse del paese, col programma elettorale del centrosinistra e col buon senso. I soldi ci sono, ma sono allocati male: è inutile acquistare un bel lampadario se poi non ci sono i soldi per l'elettricità», replica il deputato diessino Walter Tocci che in serata firma uri appello assieme agli onorevoli Ghizzoni, Volpini, Sasso, Rusconi, De Biasi, Bindi e Tessitore dal titolo eloquente «Salviamo Università ed Enti di ricerca». Uno spiraglio viene aperto anche dal ministro Bersani, autore del contestato decreto, che annuncia: «Non mi opporrei se in parlamento si trovasse una soluzione per un maggiore equilibrio a vantaggio delle università». Ma le proteste degli scienziati italiani vengono in parte respinte, in serata, dal sottosegretario all'Economia, Nicola Sartor, secondo cui gli effetti del decreto Bersani sono già stati compensati e le «attività di ricerca hanno avuto adeguati stanziamenti crescenti nel tempo». Posizione difesa qualche giorno fa dallo stesso Mussi che aveva affermato: «Ci sono 1,5 miliardi di euro stanziati per la ricerca dal 2007 al 2009, non era mai successo prima». ____________________________________________________ La Repubblica 10 nov. ’06 RETTORI, CAMIONISTI E FELUCHE TUTTI IN RIVOLTA CONTRO I TAGLI Gli atenei: è il baratro. Draghi: l’istruzione è fondamentale BARBARA ARDÙ MARIO REGGIO Mussi: servono almeno le cose essenziali per passare la nottata, bisogna ridurre la sforbiciata ROMA — Gli autotrasportatori promettono di fermare l’Italia per due giorni. Negozi vuoti, pompe di benzina a secco, fabbriche chiuse. Ma i camionisti, che sospettano lo scippo delle risorse previste per loro in Finanziaria, sono solo i più temibili tra i lavoratori che giudicano irricevibile i tagli in Finanziaria. I rettori delle università annunciano che di questo passo saranno costretti a chiudere i battenti. I diplomatici hanno promesso di scendere in piazza il 7 dicembre. La polizia penitenziaria incrocerà le braccia il 15 novembre. I sindacati dei metalmeccanici riuniranno le segreterie per decidere se accogliere o meno la proposta della Uilm di fermare le fabbriche per due ore. Protesta anche Farmindustria, per i tagli ai ticket, che finiscono per aumentare la spesa delle Regioni e in caso di sfondamento finiscono per ricadere in parte sulle aziende. E mentre la Confcommercio prevede un Natale al risparmio, gli unici a rinunciare alla battaglia sono, per ora, i magistrati, che hanno accantonato l’idea di scioperare contro i tagli agli stipendi. Al pari degli statali, che sì hanno portato a casa il contratto, ma aspettano di vedere l’accordo nero su bianco prima di sciogliere ogni riserva. È una marea montante quella contro la manovra, che prevede tagli alla pubblica amministrazione per 4.572 milioni di euro nel 2007, 5.031 nel 2008 e 4.922 nel 2009. Ci sono però alcune esclusioni, tra cui scuola, protezione civile, enti territoriali e previdenziali, organi costituzionali, che non dovranno risparmiare sulle spese intermedie (quelle di sopravvivenza come luce, carta, telefono, trasporti). L’università invece c’è dentro fino al collo. «Si è varcata la linea d’ombra. Ma dopo non c’è il mare calmo di Conrad. C’é il baratro », ha detto il presidente della Conferenza dei rettori Guido Trombetti, all’assemblea annuale che si è tenuta ieri a Roma e dalla quale è partito l’ultimo messaggio al governo. «Chiederemo agli studenti di non togliersi il cappotto in aula e di portarsi l’acqua da casa — conclude Trombetti — comprendiamo le difficoltà economiche del Paese, il governo ci chiede di tirare la cinghia per il 2007. Poi nel 2008 la musica cambierà. Resta da vedere se ci arriveremo al 2008». E anche il ministro dell’Università Mussi non ha nascosto di condividere la protesta. «La luna non si può avere ma le cose essenziali per passare la nottata sì — ha dichiarato — c’è ancora qualcosa da modificare, ed è soprattutto il taglio del 20 per cento ai consumi intermedi». L’istruzione, tema caro anche al governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che ieri alla lectio magistralis tenuta all’università La Sapienza ha sottolineato come «l’istruzione è il fattore più importante per la crescita». Si dicono allo stremo anche i diplomatici. Enrico Granara, presidente del Sindacato nazionale dipendenti della Farnesina giudica «gravissimi i danni» arrecati da una manovra che «riduce di altri 83 milioni di euro le risorse per il servizio estero» e assottiglia del 42 per cento i fondi per l’Unità di crisi. E non ci stanno i poliziotti della polizia penitenziaria, perché in Finanziaria non sono previste «misure strutturali di sostegno» al provvedimento dell’indulto e perché si sentono discriminati rispetto ai loro colleghi del comparto sicurezza. E anche la scuola si avvia allo sciopero, ma sul contratto. ____________________________________________________ La Repubblica 10 nov. ’06 UNIVERSITÀ, SE SI TAGLIA SI PREMI ALMENO IL MERITO Luigi Frati Prof. Università La Sapienza MARIO Pirani il 30/10 ha fotografato, con la consueta lucidità, le ignominie degli ultimi anni nella sprogrammazione delle sedi universitarie (proliferazione selvaggia di sedi consentita da requisiti di accreditamento infimi: un Corso di Laurea con 8-10 docenti, a fronte di 36 corsi-esami, e 0.5 aule per anno di corso). Il ministro Mussi ha meritoriamente alzato i requisiti e bloccato i corsi di laurea fuori sede: con più coraggio basterebbe un unico provvedimento, solo sui requisiti minimi, da raddoppiare (come dire almeno 3 ruote ed un ruotino, facendo così scomparire Corsi di Laurea attivati più per interesse di qualche docente che degli studenti). La finanziaria poi ci ha messo del suo, prevedendo il dimezzamento degli scatti di classe e di anzianità per i docenti universitari: un ricercatore in ruolo dal 1980 (oltre i 2/3) a tempo pieno all’ultima classe di stipendio deve aspettare 20 anni per avere un aumento netto di 100 euro mensili. Perché non prevedere invece che quel 50% sia corrisposto non in modo ugualitario, ma come indennità di risultato sulla base di impegno ed efficacia nella ricerca e nella didattica? Avremmo professori più disponibili per gli studenti ed uno stimolo alla ricerca. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’06 UNIVERSITÀ MIGLIORI CON LA LEVA DEL MERITO di Giacomo Vaciaeo Il Governatore Mario Draghi ha ricordato l'importanza del capitale umano e, quindi, della qualità del sistema formativo, per il progresso economico e sociale del Paese. Ha sviluppato temi che aveva già trattato il 31 maggio scorso nelle sue Considerazioni finali. Ricordiamo le conclusioni di allora perché sono perfette ancora oggi: «La gravità del ritardo ci impone di guardare all'esperienza di altri Paesi europei, quali Svezia, Finlandia, Regno Unito, che hanno sperimentato strumenti per migliorare il rendimento del sistema di istruzione e di ricerca, rafforzando la competizione fra scuole e fra università; prima ancora che maggiori spese, occorrono nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori». Questa è la migliore risposta che si possa dare a quanti lamentano che i fondi pubblici per l'università sono insufficienti. Ma quando cominceremo a seguire i consigli del governatore e cercare di imparare dall'esperienza di Finlandia, Regno Unito e Svezia? Dopotutto, è questo il metodo che ci siamo impegnati a seguire già nel 2000 con l'Agenda di Lisbona: la crescita in Europa la realizzano i Paesi che emulano i comportamenti virtuosi altrui. A ben guardare, la proposta di Draghi di introdurre «regole che premino il merito di docenti e ricercatori» è rivoluzionaria: è esattamente il contrario di ciò che in Italia è stato fatto negli ultimi quarant'anni. Dopo il "Sessantotto", che fu una rivoluzione libertaria, un po' lotta di classe e un po' guerra tra generazioni, l'università italiana è infatti cresciuta molto nelle dimensioni, abbandonando ogni strumento divalutazione dell'attività dei docenti e dei ricercatori. Non solo non abbiamo premiato il merito, ma abbiamo persino smesso di valutarlo. Mi limito ad alcuni esempi, con riferimento alla valutazione dell'attività didattica. I regolamenti universitari prevedono che per gli esami degli studenti i voti siano espressi in trentesimi. Perché tre sono gli esaminatori: uno èil docente titolare dell'insegnamento, mentre gli altri due sono cultori della materia. Se tre esaminatori, tra loro indipendenti, valutano un'intera classe di studenti, è chiaro che stanno anche valutando la qualità del docente. Ma da tempo l'università italiana ha rinunciato a tutto ciò. O meglio, abbiamo conservato la forma (perché il voto è ancora espresso in trentesimi), ma non è più vero che ci siano sempre commissioni di tre esaminatori tra loro indipendenti a valutare l'intera classe. Perché gli studenti fanno gli esami quando vogliono, anche durante l'anno accademico (unico caso al mondo: neppure nelle peggiori università dei Paesi in via di sviluppo questo può accadere), e il voto è comunque deciso dal docente titolare dell'insegnamento (che, se mediocre, ovviamente promuoverà di più). Lo stesso vale per le lauree: i voti sono ancora in centodecimi, perché undici erano gli esaminatori, ma anche qui forma e sostanza non coincidono più. Come si fa oggi a correggere tutto ciò, tornando a essere un Paese normale? Se ci provassimo - cioè se gli studenti tornassero a fare tutti gli esami nella seconda metà di giugno come succede in tutto il mondo; se le loro prove fossero valutate da più esaminatori indipendenti e così via - scopriremmo che le risorse necessarie non le abbiamo più. In altre parole, che per anni abbiamo aumentato l'offerta di servizi formativi senza le necessarie risorse, accettando uno scadimento della qualità media. Lo stesso si può dire per la qualità dell'attività di ricerca, che ha ancora punte di eccellenza, ma anche quando è oggetto di valutazione (come si è iniziato a fare) ciò non rileva per "premiare il ricercatore". Il fatto che ogni tanto qualche Governo parli di "riforma dell'università" non dovrebbe dunque trarre in inganno. Perché riformare significa cambiare direzione, cioè fare cose diverse. Ad esempio> decidere di differenziare le università a seconda della loro qualità (media e soprattutto marginale), come è nella tradizione anglosassone e come nell'ultimo anno è stato deciso sia a Parigi sia a Berlino (dieci università di eccellenza in Francia, sedici in Germania). Ma noi dobbiamo anzitutto tornare normali, cioè far coincidere forma e sostanza, riprendendo a valutare in modo corretto l'attività svolta. Scopriremmo così che ci sono università che meritano risorse in più e altre che meritano di essere chiuse. Scopriremmo anche che ci sono docenti che meritano di essere premiati e altri che meritano di essere mandati a casa. Soprattutto scopriremmo che i primi a essere contrari a tornare normali sono tanti docenti e ricercatori. Giacomo Yaciago ___________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’06 EGIDI: I FONDI ALLE UNIVERSITÀ IGNORANO IL MERITO Alessia Tripodi ROMA Competitività ed efficienza sono gli obiettivi da perseguire per aumentare la qualità del sistema universitario». Il giorno dopo l'allarme sul deficit dell'istruzione lanciato dal Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, e le proteste dei rettori della Crui contro i tagli in Finanziaria (si veda «Il Sole- z4 Ore» di ieri), interviene Massimo Egidi, 63 anni, rettore della Luiss di Roma. Quali sono i motivi dell'inefficienza del nostro sistema ' formazione? Dopo la riforma di Berlinguer del "3+2" le università sono state lasciate libere di decidere, ma 1a distribuzione dei fondi pubblici avviene ancora sulla base del rapporto tra studenti e docenti, u indicatore che non spinge a comportamenti virtuosi. Mentre sarebbe opportuno legare i finanziamenti al rispetto di parametri più numerosi e diversificati. II Governatore Draghi nella sua lectio magistralis ha puntato l'indice contro l'esiguo numero dei laureati italiani. C'è un problema di non corrispondenza tra domanda e offerta. Il sistema produttivo italiano è fatto di piccole imprese che non hanno un elevato bisogno di tecnologie avanzate, mentre le università, da parte loro, noi sempre hanno saputo sviluppare percorsi mirati ai settori più innovativi. n Nella lectio magistralis si sostiene e anche la necessità di premiare il merito, pur garantendo pari opportunità di accesso agli studi. Come realizzare questo obiettivo? Nei nostri atenei il merito prevale solo parzialmente, perché il sostegno agli studenti che, per esempio, scelgono di frequentare un'università fuori sede è ancora insufficiente. Bisogna aumentare i fondi per il diritto allo studio, anche facendo pagare tasse più alte a chi guadagna di più. Il sistema universitario è pronto a misurarsi con una distribuzione dei fondi basata sul merito? I migliori atenei sono pronti. Se l'Agenzia di valutazione diventerà effettiva, i comportamenti si adegueranno di conseguenza. Cosa pensa delle polemiche sui tagli in Finanziaria? Il decreto "taglia spese" credo che si possa evitare, perché provoca gravi effetti e non produce un reale risparmio. Dalla manovra ci si aspettava di più per l'università, ma oltre a lanciare grida di allarme gli atenei devono impegnarsi a combattere le sacche di inefficienza che ancora esistono. ____________________________________________________ La Repubblica 7 nov. ’06 LO SCANDALO DEGLI ATENEI SENZA QUALITÀ SALVATORE SETTIS HA RAGIONE Mario Pirani (La Repubblica del 26 ottobre) di stigmatizzare alcuni mali endemici dell’università italiana: in particolare, la proliferazione delle sedi universitarie (sia per fondazione di nuovi atenei, sia per “gemmazione” in sedi periferiche, o meglio occupazione del territorio, da parte di quelli preesistenti), la pessima concessione di crediti formativi, senza controlli né esami, a chiunque abbia esperienze lavorative. Infine, uno spirito corporativo diffuso fra quelli che lavorano nell’università, dai rettori ai bidelli, tutti assai poco inclini all’autocritica e pronti a mettersi sul piede di guerra ogni volta che i “diritti pregressi” (veri o finti) di una qualche categoria vengano messi in forse. Sarebbe facile rincarare la dose, riprendendo quanto anche altri hanno denunciato (per esempio, Gian Antonio Stella sul Corriere): ricordando le nuove università ad personam, generate dal nulla, da questo o quel politico, nei rispettivi collegi elettorali; la sciatta retorica delle “scuole d’eccellenza”, che si autodefiniscono tali prima ancora di avere uno studente, un professore, un laboratorio, un libro; l’indecente localismo delle carriere, per cui passare da dottorando a ricercatore, associato, ordinario senza spostarsi di un metro è diventato non l’eccezione (come anche in Italia era fino a pochi anni fa), ma la regola. Eppure, ahinoi, non è tutto. È vero che gli atenei italiani sono passati in pochi anni da 41 a 78, ma quale sarebbe il numero “giusto” per un Paese di quasi 60 milioni di abitanti? Nel sistema universitario più dinamico del mondo, quello americano, le università sono circa 3.800, una per ogni 80.000 abitanti: se in Italia si dovesse rispettare questa proporzione, i nostri atenei dovrebbero essere più o meno 725. In Germania le istituzioni universitarie sono più di 300, in Spagna 73, in Svezia 47, in Svizzera più di venti. Il problema non è dunque il numero degli atenei, ma la loro caratterizzazione e la qualità del lavoro che fanno. La moltiplicazione delle sedi universitarie è un fenomeno generale del XX secolo, risponde alle profonde trasformazioni della società che hanno trasformato l’università da istituzione di élite a istituzione di massa. MA IN altri sistemi nazionali vige una rigida distinzione fra research universities e teaching universities: in America, almeno l’80% delle università appartengono al secondo tipo, e l’evoluzione di una teaching university in università di ricerca, se e quando accade, accade lentamente, partendo da un progetto e raccogliendo intorno ad esso consensi e fondi. L’Italia ha risposto a questo fenomeno in modo approssimativo e volontaristico, generando – è vero – molti nuovi atenei, ma sulla base del principio non scritto che ogni università è in grado di fare tutto, e tutto al massimo livello: anche quando mancano fondi, libri, laboratori, aule. Il valore legale dei titoli di studio, ignoto non solo in America ma in quasi tutti i Paesi, ha incoraggiato il radicarsi di questa doppia verità: tutti sanno che la laurea in ingegneria dell’ateneo x vale un centesimo di quella dell’ateneo y, ma i due titoli sono equivalenti a ogni effetto; e i due atenei reclamano dallo Stato fondi commisurati non ai risultati conseguiti, ma al numero degli studenti e dei docenti. A un problema vero, si è data una risposta del tutto inefficiente. Per giunta, la congenita mancanza di fondi spinge le università a creare nuovi corsi di laurea e sedi distaccate anche allo scopo di attrarre nuovi studenti (dunque nuovi introiti da tasse d’iscrizione): il deprecato abbassarsi del livello della formazione, che è sotto gli occhi di tutti, è effetto non solo della riforma Berlinguer che introdusse in modo affrettato e sgangherato il sistema “tre più due”, ma anche di questa rincorsa irragionevole. Già, le risorse. L’Italia spende in università e ricerca intorno a l l ’ 1 , 5 0% d e l proprio Pil. Confrontiamo questo dato non solo con gli Stati Uniti (5,43%) o il Giappone (3,71%), ma coi nostri partner europei: secondo le statistiche Eurostat 2003, la Francia spende il 5,91%, la Gran Bretagna il 5,38%, la Germania il 4,71%, la Spagna il 4,29%. Per non dire della Svezia (7,47%), della Finlandia ( 6 , 5 1%) , d e l l a S v i z z e r a (6,04%). Dobbiamo dunque fare i conti al tempo stesso con due problemi: è vero che l’università qualche volta spreca le proprie risorse e che funziona male, ma è altrettanto vero che essa soffre di una congenita mancanza di risorse. I tagli ulteriori proposti dalla Finanziaria di quest’anno (a cui sembra che il ministro Mussi riesca a porre un argine) sono inaccettabili non perché la strategia di spesa delle università sia particolarmente virtuosa, ma perché essi incidono su una voce di bilancio che vede il nostro Paese straordinariamente indietro rispetto ai propri partner europei. Questa scarsezza di fondi (che si riflette anche negli stipendi di docenti e ricercatori, indecorosamente bassi se confrontati con quelli dei Paesi con cui dovremmo saper competere, come la Germania o gli Stati Uniti) viene trattata in Italia, con pervicacia degna di miglior causa, come un problema congiunturale, mentre è diventato invece un dato strutturale del vacillante “sistema Italia”. Perciò si è ripetuto, col governo di centro- sinistra, l’identico scenario del governo Berlusconi: un ministro dell’Economia (prima Tremonti, oggi Padoa Schioppa) taglia i fondi all’università, un ministro dell’Università (ieri Moratti, oggi Mussi) minaccia le dimissioni se i tagli non vengono mitigati; e alla fine si trova un aggiustamento, si mette sul problema un’italica pezza, si fa finta di aver trovato una soluzione: tutti contenti, tutti gabbati. Parallelismo preoccupante, un vero boomerang per il governo Prodi se non vi si pone velocemente rimedio. Da questo governo speravamo (e speriamo ancora) ben altro: e cioè una decisa inversione di tendenza, la capacità di comprendere, e di far comprendere, che la spesa in università e ricerca non è un lusso, ma un investimento necessario a costruire il futuro del Paese. Un piano per la crescita degli investimenti, che sappia incidere profondamente anche sul sistema universitario italiano allineandolo quanto meno con le migliori esperienze europee, e cancellando quanto in esso vi è di asfitticamente provinciale (ed è molto). Perché fra le disfunzioni della nostra università e la sua strutturale mancanza di risorse c’è un nesso: quanto meno le università sono messe in grado di “pensare in grande” progettando il proprio futuro (che è il futuro delle nuove generazioni, cioè dell’Italia), tanto più esse tendono a ripiegarsi in giochetti accademici miseri e autoreferenziali, dalla “nuova sede” senza strutture (pur di raccattare qualche studente in più) al nuovo corso di laurea, con tematiche troppo spesso ridicolmente pretestuose, alle nuove materie, cattedre e centri di ricerca con fondi inconsistenti, dunque destinati al fallimento certo nel momento stesso in cui nascono. C’è una bussola, per trovare la via d’uscita da questo buio labirinto, dal lungo autunno dell’università italiana: ed è l’Europa. Adeguarsi ai migliori standard europei vuol dire in primo luogo saper progettare una crescita delle risorse, evitandone ogni spreco. Vuol dire modificare radicalmente i meccanismi di reclutamento (non solo di ricercatori, ma anche di docenti) puntando esclusivamente sul merito e non su quote preferenziali per questa o quella categoria ed estirpando il parrocchiale localismo che affligge le università. Vuol dire creare un sistema di regole, che magari qualche volta esiste sulla carta ma è largamente disatteso, per trasformare le proliferazioni indiscriminate in progetto di crescita commisurata alle esigenze italiane ed europee (si vedrebbe allora dove c’è davvero da tagliare). Vuol dire promuovere la progettualità degli enti di ricerca, piuttosto che mortificarli (come prova a fare il seminascosto comma 143 nel maxi-emendamento alla Finanziaria) sottoponendoli all’arbitrario «scorporo di strutture, accorpamento, fusione e soppressione » da parte del governo, e cioè facendone terreno di caccia per lo spoil system del prossimo ministro. Da questo governo e da questo Ministro abbiamo il diritto di attenderci non una serie di interventi slegati e di natura “correttiva” rispetto alla legislatura pregressa (centro-destra) o “confermativa” rispetto alla stagione Berlinguer-Zecchino, bensì un provvedimento di sistema che mostri la capacità di progettare il futuro. In questo progetto (che ad oggi manca) dovrebbe via via iscriversi, con massima trasparenza, ogni singolo intervento normativo o regolamentare, a partire da un piano organico, esplicito e credibile per la graduale crescita delle risorse. Il contesto europeo, e a maggior ragione quello globale, è caratterizzato da fortissima competitività internazionale e da una crescente flessibilità e permeabilità fra i sistemi di insegnamento e ricerca dei vari Paesi: da questo vasto orizzonte gli italiani che non fuggano altrove rischiano di essere esclusi, se non si vorrà capire in tempo che il problema della nostra università non è nella congiuntura (invariabilmente drammatica) della Finanziaria di ogni governo e di ogni anno, ma richiede profondi, mirati interventi di struttura. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 8 nov. ’06 PIÙ STRANIERI ALL'UNIVERSITÀ L'ATTRATTIVITÀ INTERNAZIONALE DEGLI ATENEI ITALIANI Loredana Oliva Vorrei venire a vivere in Europa perché è bella, sicura, elegante, colta, ma scusatemi se vado a studiare in Australia». Gli studenti di Cina, India, Brasile, Messico, Russia e Tailandia,hanno espresso la loro percezione dell'istruzione superiore in Europa, per una ricerca di Academic Cooperation Association voluta dal Commissario europeo all'Istruzione e la Cultura, Jan Fiegel. II risultato è che gli studenti dei Paesi terzi vedono l'Europa come una luogo ideale in cui vivere (il sei per cento dei brasiliani sceglierebbe in particolare l'Italia), ma diventano ben presto consapevoli che incontreranno ostacoli linguistici, difficoltà a trovare lavoro dopo la laurea, un relativo dinamismo e scarsa capacità d'innovazione nei nostri campus universitari. I cinesi, in particolare, scelgono le destinazioni valutando il prestigio delle università e l'offerta di borse di studio. Nell'indagine che ha coinvolto quasi duemila intervistati tra ragazzi delle scuole superiori, iscritti ai primi anni dell'università e studenti post laurea, il gruppo più rappresentato è quello dei cinesi e dei tailandesi con 2500 partecipanti per ciascun paese. In un ideale confronto tra Europa, Stati Uniti e Australia, gli studenti interpellati subiscono il fascino dell'Europa, conoscono l'evoluzione del sistema educativo americano, e in tanti sono convinti dalie politiche d'inserimento attuate dall'Australia. Oggi più di due milioni di universitari studiano in atenei fuori dai loro Paesi d'origine, Del 2025 gli esperti ne prevedono 7,6 milioni. Sono quei talenti di cui l'Europa ha assoluto bisogno, in cerca di un master, o di una specializzazione internazionale post laurea. Secondo lo studio Aca oltre il 20% di cinesi, russi e tailandesi identificano la destinazione migliore per i loro studi in ingegneria, informatica, business e management negli Stati Uniti, mentre per scienze umanistiche (meno del 5%), lingue, arte e architettura penserebbero alle università europee. «Sognano l'Europa ma poi si scontrano con la realtà»> avvertono gli analisti autori dell'indagine di Academic Cooperation. Cosi il 25% cambia la destinazione finale. Per mancanza d'informazioni sui costi per frequentare università europee o per problemi legati ai visti d'ingresso. Hanno più possibilità di realizzare il loro "sogno" gli studenti che progettano di andare in Germania, Francia, Olanda e Australia. E l'Italia? Gli ultimi dati Ocse indicano una percentuale sotto il due per cento di studenti stranieri iscritti nelle nostre università, a fronte del u% del Regno Unito, del 10 % della Germania e della Francia. «Nel 2000 eravamo sotto l'uno per cento, abbiamo fatto un balzo in avanti del 66 per cento», riferiscono dalla Conferenza dei Rettori. Le università italiane cominciano a darsi da fare, ciascuna in ordine sparso, non senza iniziative di valore. La Sapienza con più di 43mila iscritti vanta una percentuale de14,6% di studenti internazionali. Sui 6700 stranieri iscritti, oltre il venti per cento sono albanesi, e le altre percentuali rilevanti riguardano la Grecia, la Romania e la Polonia. IL dato 2005 degli stranieri laureati è di 414 su quasi 5mila che hanno conseguito una laurea alla Sapienza. Sono in arrivo i primi dieci laureati cinesi con borse di studio di oltre i 3mila euro ciascuno, attribuiti dalla Sapienza, vengono dalla facoltà di lingue della Beijing Unìversity, e arriveranno anche gli ingegneri geotecnici della Chongqing University e i patologi sperimentali della Fudan di Shanghai. «Un investimento per accogliere profili di qualità e inserirli nei dipartimenti di ricerca dove potranno crescere e lavorare con i nostri», dice Federico Masini, preside della Facoltà di Studi Orientali, impegnato negli accordi con le università cinesi. Nella Cittadella della Sapienza da quest'anno c'è un ufficio visti all'interno della questura, per istruire e concludere le pratiche per il permesso di soggiorno, nelle segreterie tre sportelli sono dedicati agli stranieri, che da agosto a dicembre possono comunicare con collaboratori madrelingua in inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo, russo e rumeno. Il problema più grosso è costituito dagli alloggi, lo ammette anche il rettore Renato Guarini. «Entro il 2010 - annuncia il rettore - contiamo di mettere a disposizione oltre z4oo posti letto> con una larga fetta destinata agli studenti internazionali, residenze universitarie di proprietà dell'ateneo realizzate nella zona di Pietralata, per un investimento totale di 480 milioni di euro, da ricavare con un mix di finanziamenti pubblici e privati». Il. PROBLEMA EUROPEO Solo il 2% di chi frequenta le nostre facoltà proviene dall'estero, contro il 10% di Francia e Germania e l’11% del Regno Unito MichaRle Jean, governatrice generale del Canada dal 2005 (qui è con Condoleeza Rice), giornalista tv, una laurea in lingue e letterature ispaniche e italiane, ha studiato a Firenze e a Perugia ___________________________________________________ La Discussione 10 nov. ’06 DIMINUISCONO LE MATRICOLE L'ANNUARIO STATISTICO PRESENTATO A ROMA DALL'ISTAT CONFERMA IL TREND POSITIVO TRANNE CHE PER L'UNIVERSITÀ Aumenta la scolarizzazione e in forte crescita sono soprattutto le iscrizioni alle scuole secondarie di WALTER D'AMARIO ROMA - Aumenta la scolarizzazione degli italiani: sono stati $.872.546 gli studenti iscritti all'anno scolastico 2004 - 2005, circa 21 mila in più rispetto all’anno precedente. quanto emerso dall'Annuario Statistico Italiano 2006 dell'Istat pubblicato ieri, secondo il quale è confermato 'sl trend positivo registrato a partire dal 2001 - 2005. In forte aumento in particolar modo gli alunni delle scuole dell'infanzia e quelli delle scuole secondarie di secondo grado. II tasso di scolarità è intorno al 1000/o nelle scuole d'infanzia, elementari e medie mentre è in continuo aumento quello della scuola secondaria superiore che si attesta su un ottimistico 92,2%. Quasi tutti i nostri ragazzi, sembra chiaro dal dato, proseguono gli studi dopo le scuole medie. Per ciò che concerne i dati universitari, per i risultati definitivi dell'indagine, i giovani che si sono iscritti per la prima volta all'università nell'anno accademico 2004 - 2005 sono circa 332 mila, circa 5 mila in meno rispetto all'anno precedente (1,8%). Questo dato in controtendenza, da quando è in atto la riforma universitaria, dipenderebbe - stando all'analisi dell'Istat - da una diminuzione dell'ottimismo da parte degli studenti nei confronti della riforma: quando la riforma è stata varata molti studente avevano la percezione che tale percorso di studi avesse permesso loro un più facile percorso di studio, cosa successivamente risultata infondata. La popolazione universitaria cresce leggermente attestandosi a oltre 1.820.000 unità. Nonostante il mondo universitario richiami sempre un numero maggiore di giovani, ogni anno circa sei studenti universitari su 100 decidono di abbandonare gli studi universitari. Le ragazze sono le più disposte a continuare gli studi dopo la scuola secondaria e allo stesso tempo a portare a termine gli studi universitari. Dai dati emerge anche come gli studenti in possesso di un titolo universitario nei confronti di quelli con uno di scuola secondaria abbiano molte più possibilità di impiego: dopo tre anni dal conseguimento il 76,1 per cento dei primi lavora a differenza del magro 47,3 dei secondi. Le migliori opportunità di inserimento professionale dei laureati si presentano, com'era prevedibile, ai giovani provenienti dai corsi dei gruppi di ingegneria. Un dato curioso è che nonostante il maggior rendimento nello studio, le laureate incontrano più difficoltà dei loro colleghi maschi nel trovare lavoro. ___________________________________________________ Il Sole24Ore 9 nov. ’06 LA SCIENZA DEI PRIMI MINISTRI MARCO MAGRINI Tutti dicono che senza la scienza non c'è più crescita economica. Tutti dicono che siamo entrati nell'era della Conoscenza, dove idee, creatività e ingegno sono il motore della crescita, il sale della competizione globale, la cornucopia del profitto. Tutti dicono che, senza l'innovazione, neppure la Cina riuscirà mai a diventare la superpotenza che vorrebbe essere. Ma fra il dire e il fare, si sa, c'è un sacco di acqua nel mezzo. Lo sa bene anche la Ue che nel 2000, a Lisbona, aveva lanciato un piano per fare dell'economia europea «la più dinamica e competitiva al mondo», entro il 2001. A poco più di tre anni dal quel dimenticato appuntamento, diamo la parola - senza commenti a tre primi ministri europei, con citazioni tratte da tre celebri riviste scientifiche internazionali: Science, Nature e New Scientist. w Primo ministro numero uno. «Per il futuro dell'economia, la scienza è importante quanto la stabilità economica. Se non raccogliamo le opportunità che la scienza ci offre, non potremmo costruire un'economia prospera e moderna: i Paesi con un basso costo del lavoro ci batterebbero. È nelle vette più alte della scienza, che il nostro capitale umano può essere meglio sfruttato, nell'interesse del Paese. Dobbiamo trasmettere alla gente più fiducia, sulla scienza e sul suo ruolo nel futuro. Siamo stati molto bravi nelle invenzioni e nelle scoperte, ma non altrettanto nel loro sfruttamento commerciale. Per me, le due cose devono andare insieme». «Più si coltiva interesse e passione nei confronti della scienza, più la gente comprenderà che le applicazioni pratiche della ricerca sono affascinanti e remunerative. Voglio creare un clima dove tutti coloro che si dedicano alla ricerca, abbiano la chiara sensazione che avranno un rilevante tornaconto economico». Primo ministro numero due. «Con il nostro programma da 6 miliardi di euro per finanziare progetti innovativi, stiamo investendo più che mai nella ricerca di alto livello. Entro il 2010 vogliamo che la spesa in ricerca e sviluppo arrivi al 3% del prodotto interno lordo». «Inoltre, abbiamo un piano per dare più mano libera alla scienza. II governo vuole creare le condizioni per stimolare e coltivare la ricerca. Questo vuol dire che le nostre università e i nostri istituti di ricerca dovranno in ultima analisi - godere di maggiore indipendenza. Devono avere la libertà di scegliersi gli studenti e lo staff, di sviluppare i propri talenti, di cooperare con l'industria e di spendere i fondi come meglio credono». Primo ministro numero tre. «Se per salvare la ricerca del Paese voi aveste 400 milioni di euro in più all'anno, per cinque anni, da allocare durante i primi cento giorni di governo cosa fareste?». È la domanda che - secondo una delle tre riviste - un candidato alla guida del governo ha po' sto a una ventina di scienziati indipendenti, prima delle elezioni generali. La I risposta, dopo breve consulto, è stata semplice e ferma: «Bisogna raddoppiare il numero dei ricercatori». Se non avete capito chi sono i tre primi ministri (e se vi piacciono gli indovinelli) la risposta è a pagina z. marco.magrini@ilsole2qore.com www.nature,mm www.sciencemag.org www.newscientist.com ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 nov. ’06 CAGLIARI: VITTORIA DALLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA SUL MIUR Atenei e crediti formativi, il preside piega il ministero CAGLIARI. I giudici amministrativi gli hanno dato ragione per poi dargli torto. Nonostante l’altalena giudiziaria, il preside della facoltà di Giurisprudenza Massimo Deiana ha spuntato una piccola vittoria: ha obbligato il ministero dell’Università a rivedere i percorsi formativi degli atenei d’Italia. E a dare maggiore risalto alle discipline «minori» -i vecchi esami complementari- che per la nuova laurea magistrale devono essere pianificate dagli atenei. Nella riforma che l’ex ministro Letizia Moratti aveva varato per ritoccare il suo 3+2, il potere decisionale delle facoltà (di Legge, in questo caso) era stato ridotto all’osso. Ma con la sua piccola battaglia giudiziaria, il professore di diritto della navigazione ha rivendicato il diritto degli atenei a scegliere un maggior numero di esami specifici sul totale di quelli imposti da Roma. Deiana si messo a capo del gruppo di docenti di diritto della navigazione della Penisola che ha impugnato al Tar del Lazio le tabelle attuative del nuovo percorso quinquennale, introdotto dall’ex ministro. In barba al decentramento accademico, con la laurea magistrale Roma aveva impostato un percorso rigido, con tabelle che assegnavano la maggior parte dei crediti necessari per diventare dottori alle materie «superiori», i cui esami garantivano 216 punti sul totale di 300. Se si aggiungevano i 24 concessi agli studenti per la tesi, ne restavano soli 60 per le discipline ex complementari. Tradotto in esami, voleva dire che il ministero imponeva il superamento di 26 esami di base, come diritto penale, costituzionale o civile, e bloccava a 8 quelli derivanti da crediti riservati all’autonomia universitaria. «Chi non faceva parte del novero di quelle discipline - spiega Deiana - rischiava di non sopravvivere». Così, con i colleghi di tutta Italia, ha impugnato le tabelle dei crediti e il Tar gli ha dato ragione con la sentenza del 7 giugno, pubblicata il 26 settembre. La notizia divulgata ad inizio corsi ha gettato gli studenti di Viale Fra Ignazio nella confusione, perchè di fatto la decisione dei giudici amministrativi congelava la laurea magistrale. Chi voleva ottenere la laurea completa aggiungendo qualche esame a quelli gi superati nella triennale sembrava doverci rinunciare. Ma l’allarme è rientrato il 31 ottobre, quando il Consiglio di stato ha sospeso la sentenza. Tutto come prima? «No - assicura il preside - Ora il ministero dell’Università sta modificando le tabelle dei crediti». Presto gli Atenei potranno rivedere i piani di studi per aumentare il numero dei vecchi esami complementari. E riaffermare la propria autonomia. (e.la.) ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 nov. ’06 SASSARI: TEST DI MEDICINA TRUCCATI? TUTTO IN REGOLA Conclusa l’indagine interna svolta dall’ateneo cittadino Fra i candidati un medico laureato nell’81 Ma il suo compito era fra i peggiori SASSARI. Tutto in regola nei test di ingresso alla facoltà di Medicina. Lo hanno stabilito i vertici dell’ateneo sassarese dopo un’indagine sulla correttezza delle procedure che hanno portato a formare la lista degli iscritti per l’anno accademico 2006-2007. In effetti uno dei partecipanti era laureato in Medicina, ma si è classificato in posizione “meno venti”. Come ogni anno al test d’ingresso, che si tiene ai primi di settembre, erano seguite furiose polemiche per presunte irregolarità nello svolgimento della prova. Erano stati oltre seicento i concorrenti che si erano presentati nell’aula con la speranza di piazzarsi fra i primi cento classificati che accedono al corso di studi. Molti di loro, però, attraverso lettere e proteste verbali, avevano contestato lo svolgimento dell’esame. Si era parlato della presenza, fra i banchi delle aule, di persone ben oltre i 18 anni di età. In pratica, a sentire i concorrenti esclusi, si era trattato di una sfilata di zii, padri e fratelli maggiori andati appositamente a rispondere alle domande proposte dal ministero ai candidati per conto dei loro congiunti. Il fenomeno non era passato inosservato neppure ai componenti della commissione, che avevano provveduto a separare i “giovani” dalle persone nate prima di un certo anno. Nonostante gli accorgimenti, però, i candidati avevano notato strani passaggi di fogli e informazioni, oltre all’uso disinvolto del telefonino che invece era vietato portare in aula. Le contestazioni avevano indotto il rettore dell’università sassarese Alessandro Maida a presentare un esposto-segnalazione al procuratore della Repubblica sulle presunte anomalie nello svolgimento dell’esame. «Intanto la commissione ha proceduto a verificare quali e quante fossero le irregolarità - ha detto il preside della facoltà di medicina Giulio Rosati -. Abbiamo rilevato che in effetti uno dei partecipanti era laureato in medicina dal 1981. Per il resto non ci sono stati rilievi. È ovvio - aggiunge Rosati - che però si dovranno utilizzare nuovi accorgimenti perchè non si verifichino più inconvenienti così imbarazzanti. Chiederemo almeno che al momento dell’iscrizione la segreteria verifichi che la persona non sia laureata in Medicina». Una verifica che ha dato risultati riguardo a un medico che ha partecipato alla prova. La sua presenza in aula tuttavia, non è stata considerata fondamentale ai fini dell’annullamento del concorso, visto che il professionista non è stato in grado di rispondere ad alcuna domanda del test. «I ricorsi sono stati soltanto tre - aggiunge Giuseppe Delitala, presidente del corso di laurea in Medicina e responsabile dei test d’ingresso -, ma dopo un attento esame dei compiti, fatto assieme ai ragazzi che contestavano i risultati, anche loro si sono resi conto di non aver risposto correttamente». Tutto a posto, dunque, almeno fino al test del prossimo anno che, se non ci saranno correttivi, è destinato a provocare nuove polemiche e ricorsi. Gabriella Grimaldi ____________________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. ’06 BIOINFORMATICA, UN LABORATORIO A PULA Il Consorzio Ventuno ha presentato le nuove iniziative che verranno inaugurate domani Nasce una struttura che fornirà servizi online alle imprese Nel Parco scientifico di Polaris, a Pula, nasce un nuovo laboratorio di Bioinformatica. Offrirà alle imprese il supporto tecnico nella ricerca sulla Biomedicina, scienza che punta, ad esempio, a elaborare nuovi farmaci per curare malattie come la sclerosi multipla, le talassemie e il diabete mellito partendo dallo studio degli elementi alla base della vita come il Dna e il Rna. «Si tratta di materie apparentemente astratte, ma che in realtà danno molti risultati concreti», ha spiegato il presidente del Consorzio Ventuno, che coordina le attività, Giuliano Murgia, «e in questo campo siamo tra i primi in Italia e direi anche un passo in avanti». La nuova struttura, presentata ieri a Cagliari, sarà gestita dal Crs4 e diventerà un centro all'avanguardia in Italia. Sarà diretta da Anna Tramontano, docente di Biochimica all'Università la Sapienza di Roma. Il laboratorio sarà inaugurato domani. Darà lavoro a 25 addetti e fornirà sistemi operativi e dati alle 5 imprese già insediate a Pula, più quelle assistite a distanza. banda larga Una nuova rete a banda larga (utile ad esempio per simulazioni a distanza in campo ingegneristico) e nuovi laboratori contribuiranno allo sviluppo del centro: il futuro della medicina sono proprio le biotecnologie, come ha ricordato il presidente del Crs4 Paolo Zanella. «Si va verso una medicina personalizzata», ha spiegato il dirigente, «in grado di studiare le malattie partendo dal singolo individuo. Tra vent'anni, forse, si potrà leggere l'intero genoma». E la Sardegna non resta a guardare: secondo l'ultimo rapporto della Blossom associati (società di consulenza) sullo stato delle industrie farmaceutiche, l'isola è al sesto posto in Italia per numero di aziende impegnate nella Bioinformatica. Il fatturato del Crs4 stimato per il 2007 è di circa 12 milioni di euro. Ogni triennio riceve un finanziamento di circa 8 milioni. google sardo Un programma che mostra sul computer ogni angolo della Sardegna. È l'ultima invenzione del Crs4, che sarà presentata oggi a Bologna in occasione del ComPa, salone europeo della Comunicazione pubblica dei servizi a cittadini e imprese. Le immagini tridimensionali del territorio, ottenute dai satelliti, potranno essere visualizzate attraverso il portale della Regione: il sistema, chiamato «Sardegna 3d», punta a offrire una maggiore qualità rispetto al già apprezzato «Google heart». Nicola Perrotti (Unioneonline) ______________________________________________ _______________________________________________ Mercoledì 8 novembre 2006 SORU, POLARIS E IL CONFLITTO DI INTERESSI BIOINFORMATICO INTERROGAZIONE DIANA – LIORI, con richiesta di risposta scritta, sul master in tecnologie bioinformatiche in corso di svolgimento presso il parco scientifico- tecnologico Polaris e sul nuovo laboratorio di bioinformatica che sarà inaugurato all’interno del parco I sottoscritti, PREMESSO che - Negli ultimi due anni, grazie anche all’impegno della Regione che ha investito una quantità significativa di risorse, il parco scientifico-tecnologico Polaris ha intensificato i propri sforzi nei campi della genetica e delle biotecnologie, ritenuti strategici nello sviluppo scientifico della medicina; - Rientra tra tali sforzi l’organizzazione di un master in tecnologie bioinformatiche applicate alla medicina personalizzata, attualmente in corso di svolgimento presso il parco scientifico-tecnologico; - A quanto si apprende dal sito Internet di Polaris, tale master risulta essere stato finanziato dall’Assessorato regionale agli Affari generali; - E’ prevista l’erogazione di una borsa di studio di 4.000 Euro per ciascuno dei partecipanti, a patto che questi rispetti il regolamento del master e non abbia accumulato più del 10% di ore di assenza dalle lezioni e dai seminari che hanno costituito la prima parte del corso, dedicata alla didattica; CONSIDERATO che - Il programma del master prevede, per i mesi di ottobre, novembre e dicembre, la partecipazione degli studenti a stage di apprendimento e sperimentazione presso le più importanti aziende operanti nel settore, come Shardna S.p.A.; - Nella presentazione del master reperibile sul sito Internet di Polaris si legge che “i partecipanti potranno trovare adeguata collocazione presso tutte le aziende che necessitano di professionisti in grado di condurre la progettazione e gestione di banche dati di tipo biologico, analisi di biosequenze, modellazione di strutture proteiche, esperimenti di genomica strutturale e funzionale, sviluppo di tecnologie avanzate nel settore delle biotecnologie e medicina molecolare, sviluppo di microarrays specifici per l’analisi funzionale e la diagnostica”; - Per citare un esempio, gli obiettivi della ricerca di Shardna S.p.A., estrapolati dal sito Internet dell’azienda, sono i seguenti: identificazione dei geni responsabili delle malattie multifattoriali comuni, identificazione delle componenti ambientali coinvolte nell’insorgenza delle malattie multifattoriali comuni; caratterizzazione di proteine; identificazione di target genomici per farmaci; - Se ne può facilmente dedurre che gli studenti che avranno terminato con profitto il master saranno in possesso delle capacità professionali necessarie per inserirsi in aziende come quella citata; PRESO ATTO che - Domani, 9 novembre, nel corso del workshop ‘Verso una biomedicina dell’informazione’ avrà luogo l’inaugurazione del nuovo laboratorio di bioinformatica, realizzato in collaborazione con la Regione e a disposizione del mondo della ricerca e delle imprese; - Nel corso dell’workshop è previsto un intervento del Presidente della Regione; RAMMENTATO che - Le aziende private che operano nel settore delle biotecnologie godono di contributi regionali; - Per citare un esempio, Shardna SpA ha potuto usufruire in più occasioni di tali contributi per una somma complessiva di diversi milioni di Euro; - Tali aziende operano nell’ottica di realizzare elevati profitti attraverso il deposito dei brevetti relativi ai risultati delle loro ricerche; CHIEDONO DI INTERROGARE il Presidente della Regione e l’Assessore agli Affari generali affinché riferiscano - A quanto ammontano le risorse stanziate dalla Regione per finanziare il master in tecnologie bioinformatiche applicate alla medicina personalizzata attualmente in corso di svolgimento presso Polaris; - Quali sono le esatte prospettive occupazionali degli studenti che frequentano il master; - Se, da parte delle aziende che ospitano gli studenti del master per gli stage di apprendimento e sperimentazione, sono stati sottoscritti impegni ad assumere almeno una quota degli studenti che avranno terminato il master con profitto; - A quanto ammontano le risorse stanziate dalla Regione per finanziare la realizzazione del nuovo laboratorio di bioinformatica; - Se le imprese che chiederanno di utilizzare il nuovo laboratorio di bioinformatica saranno tenute a corrispondere a Polaris un corrispettivo economico e a quanto esso dovrebbe ammontare; - Se è previsto che una parte di tale corrispettivo venga versata nelle casse regionali al fine di rifondere, anche parzialmente, l’investimento effettuato dalla Regione nella realizzazione del laboratorio; - Se, nel caso in cui non fosse possibile soddisfare tutte le domande di utilizzo del laboratorio provenienti dalle aziende, sono previsti dei criteri di selezione; - Se, nell’accesso al laboratorio, le aziende private avranno priorità rispetto agli enti pubblici; - A quanto ammontano i contributi finora erogati dall’Amministrazione regionale in carica alle aziende operanti nel settore delle biotecnologie e, in particolare, a Shardna SpA; - Se il Presidente della Regione intende partecipare al workshop ‘Verso una biomedicina dell’informazione’ nelle sue vesti istituzionali o in qualità di azionista di maggioranza di Shardna SpA. ___________________________________________________ Libero 10 nov. ’06 INVENZIONI: ECCO LE CENTO PIÙ UTILI Dal laptop studiato apposta per i bambini dei Paesi in via di sviluppo creato dal Mit, al mini-satellite, grande poco più di un frigorifero ma ad alta risoluzione, che permette di scandagliare la terra dallo spaziO a prezzi contenuti Dai super-chiodo anti tsunami, che aumenta sensibilmente la resistenza di case e fabbricati di fronte alla furia della natura, alla vescica artificiale perfettamente funzionante, ricreata in laboratorio, a prova di rigetto. Sono alcune delle 100 invenzioni più innovative dell'anno, quelle che hanno migliorato la nostra vita quotidiana e per le quali il 2006sarà ricordato. La classifica è stata stilata dalla rivista Popular Science, che per ognuna di queste ha scelto un vincitore: l'oggetto che si è distinto maggiormente e ha portato il contributo più significativo:Come"hurriquake",il chiodo a prova di uragano che eccelle nella categoria tecnologia domestica. Il chiodo - inventato dall'ingegnere americano Ed Sutt - non si spezza neppure se viene investito da una raffica a oltre 270 chilometri all'ora. E costa solo 15 dollari in più rispetto a quelli normali, per una quantità sufficiente per tutta la casa. Per gli appassionati di astronomia, la rivoluzione si chiama Celestron: basta puntarlo verso il cielo, individuare una stella e attraverso un sistema Gps, l'apparecchio portatile, simile a una macchina fotografica, indica che cosa si sta inquadrando (Marte, Giove o la via lattea). Dà anche una descrizione dettagliata via audio, in cuffia, del pianeta scelto. Costo: 400 dollari. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 nov. ’06 FORMAZIONE, L ADDIO SENZA UN PROGETTO Le scelte economiche della Regione L INTERVENTO LA SINTESI Estendere ad ogni settore questo schema equivale a rendere irreversibile il declino dell isola WWDI ROBERTO MALAVASI *WW l problema: che nella formazione professionale vi fossero non trascurabili sacche di inefficienza e di clientelismo era un dato conosciuto da tutti e non solo dai politici che nel tempo, progressivamente lo avevano determinato. Ciascuno per la sua parte, infatti, partiti, sindacati, organizzazioni profit e non ed anche qualche categoria imprenditoriale, aveva contribuito a creare un vero e proprio carrozzone per accedere a quello che ad un certo punto appariva come un mercato incontrollabile, dove sembrava possibile ottenere fondi sempre crescenti e pressoch illimitati, presentando, spesso solo sulla carta, progetti di formazione sempre pi fantasiosi ed avveniristici, anche se, fatto del tutto trascurato, l economia regionale segnava il passo e continuava ad insistere su settori sempre pi tradizionali. Ma ecco la svolta: in una situazione inaccettabile dal punto di vista quantitativo e qualitativo, si azzera l intera attivit di formazione. Come ovvio, ci si aspetterebbe che pregiudizialmente, o almeno in concomitanza con tale decisione, si programmi un riassetto dell intero settore che porti ad una valorizzazione di ci che di buono certamente presente nel sistema, ma anche ad una eliminazione degli sprechi e delle rendite non finalizzabili in alcun modo alla attesa progettualit in campo economico. Ma, per fare ci , bisognerebbe prevedere, valutare, prendere posizione, esercitando anche scelte escludenti, ed accompagnare il sistema ad un ritorno a condizioni normali di mercato. Al blocco non segue tuttavia alcun intervento attivo del tipo sopra indicato, da cui le ben note proteste di piazza. Ecco allora la soluzione del tutto innovativa data al problema: nell immediato cassa integrazione, poi possibilit di un transito agevolato del personale verso le amministrazioni locali e fors anche verso altri enti regionali, che gravati come so- I no da eccedenze strutturali non potranno certo accorgersi di qualche migliaio di dipendenti in pi , infine l accompagnamento alla pensione. A questo punto, che si voglia spiegare l accaduto come un errata valutazione delle proprie e delle altrui forze in campo (difetto di programmazione), oppure come un rimando consapevole alla piazza (alibi) per realizzare una salvaguardia di massa di posizioni altrimenti non giustificabili agli occhi dei contribuenti, gli scenari che si delineano non possono non giudicarsi allarmanti. Tra il necessario cambiamento fondato su nuovi principi che privilegino la competenza, il merito, l economicit , la limitazione del prelievo fiscale, ma ancor pi la semplificazione della burocrazia, la maggiore flessibilit del mercato del lavoro, e la liberalizzazione del mercato dei prodotti, si continua a privilegiare - per inadeguatezza o per ideologia - la difesa dell esistente non pi economico, a tutto danno, in ultima analisi, della possibile creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani e, dunque, per la crescita economica di medio- lungo periodo. Valga al riguardo un solo richiamo, di fonte Ocse, ai tempi necessari in Italia per costituire un impresa, che rendono oltremodo costoso e difficile l ingresso nel mercato delle nuove imprese pi efficienti: 62 giorni e 16 diverse pratiche, contro i 3 giorni della Danimarca, ed i 4 giorni e 4 pratiche degli Usa. Immaginare ora di operare per estendere ad ogni settore di attivit economica lo schema interpretativo utilizzato per risolvere il problema della formazione professionale, istituzionalizzando la concentrazione di tutta l attivit programmatoria nelle mani di chi ha comunque dimostrato cos grandi limiti, appare veramente come scelta da adottare solo in un caso: ove si voglia rendere certo ed irreversibile il declino economico della Sardegna. * Universit di Cagliari ___________________________________________________ L’Unità 6 nov. ’06 LE PAROLE D’ORDINE PER GOVERNARE LA RETE Si è appena concluso l'Internet Governance Forum, cento Paesi e oltre partecipanti. Un passo avanti nella consapevolezza dei problemi da affrontare di Vincenzo Vita Si è svolto ad Atene nei giorni scorsi (30 ottobre- 2 novembre) l’Internet Governance Forum, dedicato al delicato tema della governance della rete. Si è trattato di un momento certamente utile, denso di spunti emersi da molti dei delegati dei quasi cento paesi presenti e da tanti dei tremila partecipanti, una discreta parte dei quali espressi dalle associazioni e dagli organismi non governativi interessati a quella che Adama Samassekou - presidente dell'Accademia africana dei linguaggi - ha chiamato l’appropriazione sociale delle tecnologie della rete". Una bella, variegata e articolatissima platea, forse persino più interessante degli stessi risultati ancora da verificare del Forum. L'incontro ateniese, non a caso il luogo più simbolicamente espressivo della prima democrazia e dell'agorà, scaturiva dalla decisione assunta dal WSIS (World Summit ori the Information Society) di Tunisi 2006 di demandare ad una specifica occasione il capitolo davvero decisivo della governance di Internet. Vale la pena ricordare che a Tunisi, come del resto nel precedente vertice di Bilbao promosso dalle municipalità, le opinioni al riguardo erano tutt'altro che univoche. In controluce stava e continua a rimanere il ruolo di una curiosa entità, l'Icann, nata alla fine degli anni novanta in California su input di Bill Clinton e Al Gore per presiedere alla definizione dei domini e ad alcune regole essenziali della rete, in rapporto con il Dipartimento di Stato. Il dibattito si è acceso con pareri assai diversi: dalla difesa dello status quo perseguita dagli Stati Uniti per mantenere al centro la propria creatura o su ben altro versante da paesi tuttora chiusi come purtroppo la Cina, restii a far mettere il becco a chicchessia per evitare critiche ai non occasionali interventi censori; all'ipotesi caldeggiata da una parte consistente delle organizzazioni non governative e da numerosi paesi di immaginare un superamento processuale di Icann creando un ambiente multilaterale e multi stakeholders con una vasta partecipazione della società civile, delle università e augurabilmente dei governi locali; all'idea, ancora forse prematura ma certo la più strategica, di collegare tutto questo - se è vero che siamo nel secolo della rete e della ipermodernità post-fordista e immateriale - con l'irrinunciabile riforma delle Nazioni Unite. A cominciare da quell'Uit (l'Unione internazionale delle telecomunicazioni) che nel tempo dei media classici aveva una funzione di rilievo, ma che nell'era digitale pare un luogo alquanto superato, non bastando più ovviamente occuparsi della distribuzione delle frequenze o delle orbite satellitari. Ad Atene si è andati avanti, grazie soprattutto alla passione e alla lucidità di interventi quasi mai banali, bensì coinvolti nella riflessione sulle nuove opportunità regolatorie che la rete delle reti offre ad una politica che finalmente si affranchi dal predominio persino linguistico della vecchia televisione generalista. C'è parecchio da ridire sulla scelta dei relatori, con una marcata bilancia a favore dei paesi del Nord e, comunque, del genere maschile (il pensiero femminile è invece molto più in osmosi con il carattere non gerarchico e non centralistico di Internet). Equità e libertà dovrebbero diventare, secondo l'inviato speciale delle Nazioni Unite Nitin Desay che ha concluso i lavori, i due momenti fondamentali dello sviluppo futuro. Seguiranno altri quattro incontri creatisi anche per iniziativa di spontanee "coalition"-spicca quella sulle questioni di genere - per arrivare al prossimo vertice di Rio De Janeiro nel novembre del 2007. Non mancherà, poi, un luogo di ritrovo virtuale per aprire correttamente (se si seguisse tale metodo per altre cose della politica...) il forum a chi non può parteciparvi fisicamente. II metodo è sostanza. Opportunamente la delegazione italiana ha proposto con la Sottosegretraria Magnolfi un appuntamento europeo da tenersi nella prossima primavera in Italia, mentre l'Unione delle province italiane (UPI) ha suggerito di affiancare l'appuntamento dei governi con uno più specifico rivolto alle autonomie locali. In un bellissimo panel costruito dagli italiani Stefano Rodotà ha insistito giustamente sull'urgenza della Carta dei diritti per Internet, visto che il territorio delle nuove tecniche è la massima espressione del conflitto. E, finalmente, ha fatto capolino in svariati interventi il punto cruciale della libertà di accesso e del free software, ritenuto quest'ultimo dagli esperti anche più efficiente in termini di sicurezza. Così la questione essenziale del copyright. Abbiamo avuto la triste conferma che le libertà sono spesso calpestate in Cina e non solo, con la complicità dei gruppi di maggior fama come Google, Yahoo! e con un semipentimento di Microsoft. Si è avuta la tragicissima conferma del digital divide, se è vero che cinque miliardi di persone si sognano accessi liberi e bande larghe. Finanche il banale allaccio del telefono. O se - come ha rilevato il delegato cubano - interi paesi sono strangolati nei costi dalle compagnie telefoniche, poche e concentrate. C'è proprio tanto da lavorare sul piano del locale. Un passetto è stato fatto, più nella consapevolezza che nella piattaforma concreta individuata. Ma qui Italia ed Europa hanno il diritto e il dovere di battere un colpo. Volenti o nolenti la gerarchia della priorità nel nuovo millennio è cambiata. ======================================================= ___________________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. ’06 IL 63% DEL DEBITO SANITARIO È IN TRE REGIONI Per uno studio Cergas-Bocconi i maggiori disavanzi sono concentrati in Lazio, Campania e Sicilia Roberto Turno ROMA Piero Marrazzo l'ha già deciso tempestivamente, poco prima di denunciare il maxi disa vanzo da io miliardi ereditato per il 2ooi-2oo5 dal centrodestra: nel 2007 le addizionali Irpef e Irap nel Lazio resteranno al massimo. Ma anche per le altre quattro Regioni con pesanti deficit sanitari 2005 il prossimo anno si annuncia tutto in salita; i maxi prelievi fiscali sono pressoché garantiti. Per Campania, Abruzzo, Molise e anche Sicilia, insomma, il 2007 non porterà con sé l'addolcimento della stangata fiscale locale. Anzi. La Finanziaria, addirittura, potrebbe riservare sorprese anche più salate: addizionali anche oltre i livelli massimi di oggi. Decisioni che eventualmente arriveranno soltanto cammin facendo. Ma che, allo stato attuale del confronto con l'Economia sui piani per il rientro dal deficit, sembrano ormai scontate. La ricetta del Governo per riportare in carreggiata la spesa sanitaria, del resto, non nasce a caso. E neppure è un caso che a finire nella tagliola siano state quelle che vengono definite "Regioni canaglia". Uno studio appena elaborato dal Cergas-Bocconi per il suo «rapporto Oasi», anticipato dal settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità» conferma anzi una volta di più che a far pendere verso il rosso l'asticella della spesa sanitaria pubblica siano sempre le stesse Regioni. Guarda caso, in grandissima parte proprio quelle costrette per legge ad aumentare le addizionali fiscali (e a varare i piani di rientro con tanto di affiancamento da parte del Governo) per il buco del 2005. Cifre eloquenti, quelle elaborate dallo studio della Bocconi. Che dimostrano, cifre alla mano (di più: senza considerare l'eventuale extradeficit aggiuntivo del Lazio), come basti un pugno di Regioni per superare di gran lunga la metà del deficit sanitario nazionale. Per la precisione: tra il 2001 e il 2005 tre Regioni da sole sono riuscite ad assorbire oltre il 63% del debito complessivo. I nomi? Sempre quelli: Lazio (z8%), Campania (23%) e Sicilia (12%). «Il disavanzo si concentra su poche Regioni, aspetto che rende più problematiche le relazioni interregionali e quelle tra Regioni e livello centrale di Governo», scrivono gli autori dello studio, Claudio Jommi e Francesca lecci. Una notazione, questa, che vale in qualche modo anche per la partita su cui i governatori saranno impegnati domani e giovedì nel vertice per definire il riparto dei 96 miliardi del Fondo sanitario nazionale 2007. Ancora più pesante si fa poi la situazione se si valuta il disavanzo pro-capite cumulato nel 2001 2005 (al lordo delle assegnazioni a copertura previste dalle ultime leggi Finanziarie). I cittadini del Lazio si trovano sulle spalle disavanzi per 1.480 euro, in Campania per 788 euro, in Abruzzo per 570 euro. Mega disavanzo da coprire anche per gli abitanti dei Molise, a dispetto di un valore assoluto non elevato: ben 804 euro. E poi la Sardegna: 547 euro. E infine 1a Sicilia: 482 euro. Chissà perché, in cima alla lista nera stanno sempre le stesse Regioni. ~ MAXI-PRELIEVI GARANTITI ___________________________________________________ Tutto Scienze 8 nov. ’06 PUBBLICO E PRIVATO COSTRUIRANNO LA SANITÀ DEL FUTURO NEL NUOVO MODELLO «ESTESO» LA RICERCA E LE CURE SI AFFIANCANO, MENTRE L’ASSISTENZA DIVENTA FLESSIBILE E PIU' UMANA Claudio Zanon ALL'INIZIO del celebre film «Il senso della vita» dei Monty Phyton il direttore di un ospedale britannico spinge la barella con una partoriente, seguito da un nugolo di giornalisti. Dopo aver spalancato una trentina di porte, arriva in sala operatoria, dove durante il parto pubblico dell'esterefatta neo-mamma elogia ai giornalisti l'eccellenza dell'assistenza e la convenienza del servizio, dato che l'ospedale è dotato della «macchina che fa ping». Sono passati 30 anni da quell'esilarante opera cinematografico-filosofica, ma la scena non si discosta da un dilemma sempre attuale: che cosa dovranno offrire gli ospedali del Terzo Millennio? Con quali risorse? E con quale logistica? E, inoltre, quale comunicazione scientifica renderà trasparente un servizio di enorme importanza sociale? E' indubbio che nei prossimi anni l'aumento dell'età media comporterà l'incremento delle patologie croniche, come quelle tumorali e cardiovascolari: ciò significa l'impossibilità di un trattamento puramente ospedaliero. Oggi le remore per una cura domiciliare o territoriale di malattie importanti derivano dall'impossibilità di offrire al di fuori dell'ambiente ospedaliero le medesime garanzie offerte all'interno. Ma con il progresso delle tecnologie informatiche la pratica del teleconsulto e del telemonitoraggio dei pazienti cresce esponenzialmente. Contemporaneamente cresce l'estensione delle cure al di fuori dell'ospedale grazie al coordinamento degli specialisti con la medicina di base, decentrando la diagnostica e le terapie di media complessità e concentrando negli ospedali quelle acute e di alto impatto tecnologico. Il modello viene chiamato a livello europeo «Extended Hospital» e rappresenta la speranza di un'erogazione di alto livello di numerosi servizi, compatibilmente con le risorse economiche disponibili. Risorse che dovranno essere imperniate su una liberalizzazione del nostro servizio sanitario che veda il cittadino al centro del sistema. E' infatti prevedibile che senza una partecipazione del privato difficilmente l'equità e la solidarietà del nostro «Health care system» possa essere mantenuta. C'è la necessità di integrare la virtuosità di gestione tipica delle aziende private con l'etica e la responsabilità sociale di quelle pubbliche, dando vita a «public company» nelle quali si possa finalmente coniugare l'efficacia all'efficienza, considerando l'efficacia il requisito fondamentale per l'efficienza. II bilancio delle spese per la salute dovrà essere considerato un investimento nazionale. Ospedali, quindi, di eccellenza, nei quali si realizzi una crescente raccolta di dati, un controllo di gestione ottimale, una visione e un piano di sviluppo che aggiorni l'offerta al progresso medico, basandosi su procedure di «technology assesment» e, quindi, sulla ricerca finalizzata al trasferimento tecnologico. Anche il modello gestionale, inoltre, dovrà mutare, passando dal modello gerarchico a quello «a pettine», dove il merito e le iniziative vengano valorizzati. Quindi dovranno nascere dipartimenti ospedalieri 0 ospedaliero- universitari articolati secondo obiettivi precisi, con moduli assistenziali multispecialistici e agili, con un numero contenuto di posti letto e con più sale diagnostiche e operatorie: moduli in cui il percorso diagnostico e terapeutica del paziente continua anche dopo che ha lasciato l'ospedale. Da un punto di visto logistico, poi, l'ospedale del futuro dovrebbe essere progettato intorno a un «cuore» diagnostico e direzionale connesso con strutture assistenziali flessibili e, quindi, adattabili a tipi diversi di trattamenti. L'ospedale deve diventare accogliente e umano, nel quale l'accesso, l'informazione e la comunicazione paziente-operatori siano garantite al massimo grado e i servizi «normal life» (ristoranti, librerie, negozi, cinema, oltre ai luoghi di incontro e cultura) vengano considerati uno strumento fondamentale per scongiurare la spersonalizzazione. E' importante, infine, che la comunicazione sui temi della salute sia sempre trasparente e veda la pubblicizzazione delle caratteristiche degli ospedali e della loro affidabilità in base a parametri che facilitino la libertà di scelta del cittadino. Un ospedale, insomma, dove si forniscono le prestazioni della «macchina che fa ping», ma che evita il ping pong dell'utente. Ospedale S.Giovanni Antica Sede - Torino ____________________________________________________ L’Unione Sarda 10 nov. ’06 ASL E UNIVERSITÀ SS, LITE SUL MATTONE Sassari. Nessuno dei due enti ha intenzione di investire denari e strutture fuori dal perimetro cittadino Futuro urbanistico: istituzioni vicine allo scontro Ieri in Commissione urbanistica comunale, Ateneo e Azienda sanitaria hanno dettato al Comune le richieste per il futuro Puc (Piano urbanistico comunale), e hanno disegnato ciascuna una Sassari diversa Università e Asl vicine allo scontro sullo sviluppo futuro di Sassari. Ieri in Commissione urbanistica comunale, Ateneo e Azienda sanitaria hanno dettato al Comune le richieste per il futuro Puc (Piano urbanistico comunale), e hanno disegnato ciascuna una Sassari diversa. Di sicuro nessuno dei due enti ha intenzione di investire denari e strutture fuori dal perimetro urbano: la Asl ha detto no all'eventualità di costruire un nuovo ospedale con tutti i servizi annessi in un'area periferica, da individuare con il Puc; l'Università preferirebbe accantonare l'idea di un vero e proprio campus fuori città, optando invece per una presenza più incisiva nel capoluogo e nelle altre città (vedi Alghero) dove hanno sede le sue facoltà. Dopo avere marcato visita alla convocazione della scorsa settimana, i rappresentanti di Asl e Università ieri si sono presentati puntuali alla riunione della Commissione urbanistica comunale. Puntuali e con l'intenzione di mettere subito in chiaro programmi e urgenze dei due enti. Alle 9 arrivano nella sala Consiglio di Palazzo ducale i tecnici dell'Azienda sanitaria sassarese, con in testa il direttore amministrativo, Giovanni Mele. Al cospetto della Commissione, presieduta dal diessino Gian Paolo Mameli, Mele elenca i progetti dell'Azienda: dal recupero delle strutture nell'ex manicomio di Rizzeddu, al potenziamento degli ambulatori dell'ospedale Conti (fra poco sarà inaugurata una nuova ala), al ridimensionamento progressivo del complesso sanitario di San Camillo. «Non abbiamo bisogno di grandi spazi», puntualizza Mele. A esporre in maniera più esplicita le urgenze Asl davanti al nuovo Puc è il responsabile dell'Ufficio tecnico, Gianmario Caria: «Con il Puc il Comune deve darci una mano sul versante parcheggi. Si potrebbero individuare una serie di aree attorno agli ospedali da vincolare a parcheggi. In questo modo noi potremo trattare la cessione di queste aree senza rischiare speculazioni». Il riferimento è all'area di proprietà dell'Università in viale Italia, a lato del parcheggio Atp. Solo che lì Maida annuncia di voler realizzare un centro di accoglienza e orientamento per gli studenti. Sollecitati dal consigliere della Margherita, Alberto Galisai, «serve che il Puc individui una zona da destinare a città della salute, una soluzione per il futuro», Mele e Caria precisano che la cittadella sanitaria esiste già, «si tratta solo di riconoscerla e perimetrarla. È compresa fra viale Italia e viale San Pietro e lì è necessario disciplinare la viabilità con una zona semipedonale». Alle 10 è il turno dell'audizione con l'Univerità, e a rappresentarla arriva addirittura il rettore, Alessandro Maida, accompagnato dal preside di Architettura, Giovanni Maciocco, e dal responsabile dell'ufficio tecnico, Giuseppe Gaeta. Le richieste sono ancora più esplicite. L'università punta molto sul Parco scientifico e tecnologico a Piandanna, e sulle strutture che stanno sorgendo attorno all'orto botanico. L'Ateneo ha investito molte risorse su quel sito, ma ora si trova di fronte un tappo: la presenza delle ferrovie blocca lo sviluppo del Parco e tutta l'idea di città che ruoterebbe attorno. Vincenzo Garofano ____________________________________________________ L’Unione Sarda 9 nov. ’06 MAIDA NEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA SANITÀ Rettore di Sassari Il ministro della Salute Livia Turco ha firmato ieri il decreto di nomina del nuovo Consiglio Superiore di Sanità che sarà insediato ufficialmente il prossimo 23 novembre e resterà in carica per un triennio. Fra i cinquanta componenti c'è anche il rettore dell'università di Sassari, Alessandro Maida. «Abbiamo operato le nostre scelte sulla base della professionalità, della competenza nelle diverse discipline di interesse per la sanità pubblica italiana ed anche con attenzione alla valorizzazione delle donne in questo alto consesso che - ha sottolineato il ministro Turco - rappresenta il momento più alto di consulenza scientifica in campo sanitario al Governo nazionale del nostro Paese». «Oltre che nell'espressione dei diversi pareri obbligatori previsti dalle leggi ordinarie su specifiche materie e provvedimenti, il Consiglio Superiore di Sanità - ha proseguito il ministro della Salute - sarà impegnato nell'esame di delicate e importanti questioni di interesse sanitario a partire dalle grandi innovazioni scientifiche e terapeutiche che si presentano alla nostra attenzione con sempre maggiore evidenza, ma anche su aspetti connessi all'evoluzione del sistema sanitario e alla necessità di dare risposte ai nuovi bisogni di assistenza». ____________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’06 LAZIO: SCANDALO SANITÀ, SPUNTA LA MASSONERIA Coinvolti funzionari delle giunte Badaloni e Storace. Nel provvedimento del gip citato anche il sottosegretario alla Difesa Verzaschi (Udeur) Le accuse di Lady Asl: arrestato Antonio Palumbo, ex direttore generale del S. Filippo Neri Spunta anche la massoneria nell' inchiesta su Lady Asl, l' imprenditrice che in una decina d' anni, insieme a politici e manager, avrebbe strappato al servizio sanitario regionale una somma che ormai sfiora gli 88 milioni. Ieri le manette sono scattate ancora una volta, quando il citofono di un elegante appartamento vicino a via Veneto ha squillato a un' ora insolita: i carabinieri del Nucleo operativo hanno arrestato Antonio Palumbo, 63 anni, ex direttore generale delle Asl A e B e del San Filippo Neri. «Palumbo - si legge nell' ordinanza di custodia cautelare del gip Luisanna Figliolia - aveva riferito a Mazzocco (Mario Mazzocco, ex direttore generale della Asl Rm A, arrestato nei mesi scorsi, ndr.) che importanti componenti della massoneria erano interessate a favorire le aziende della Iannuzzi. Tramite il loro intervento Palumbo avrebbe potuto ottenere un valido appoggio per la sua futura carriera nell' ambito della struttura sanitaria». Era questo il patto scellerato proposto ai complici dal manager (che ieri la Regione Calabria ha sospeso dall' incarico di direttore generale dell' azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro ottenuto il 28 novembre 2005): carriera in cambio dell' aiuto all' amica Anna Iannuzzi. Perchè fra i due, come Lady Asl ha riferito ai pm Giancarlo Capaldo e Giovanni Bombardieri, i rapporti non erano solo d' affari: i sentimenti, ricorda il gip, «erano di simpatia e amicizia». L' imprenditrice ha confessato di aver pagato Palumbo «fin dai primi anni Novanta», anche se nei capi di imputazione è precisata una sola la cifra: un miliardo di lire che il manager avrebbe «in parte consegnato a funzionari della presidenza della Regione Lazio allo stato non identificati». Siamo tra il 1999 e il 2000, all' epoca della giunta guidata da Piero Badaloni. La tangente occorre per far ottenere alla Ikt il budget più alto possibile: quasi sette miliardi e mezzo di lire, che il servizio sanitario rimborserà per le prestazioni erogate nel ' 98. La somma stanziata dalla Regione è il coronamento del piano avviato quando la Iannuzzi e il marito, Andrea Cappelli, hanno rilevato una scatola vuota, la Ikt, e «con la complicità dei massimi dirigenti delle Asl Rm A e Rm B» sono riusciti a «far risultare legittimo il trasferimento dell' accreditamento tra le due aziende sanitarie». Trasloco e accreditamento sono fuorilegge, poichè la società non è operativa. Ma Mazzocco si fa convincere quando Palumbo gli lascia sul tavolo una busta con cinque milioni di lire e un orologio di valore. In un' altra occasione i milioni sono dieci, accompagnati dalla promessa, da parte dell' ex manager del San Filippo Neri, di aiutare il collega nella carriera. E alla fine il gruppo riesce a ottenere il tetto di spesa che desidera «in violazione di ogni criterio normativo stabilito dalla Regione». L' ex direttore generale è accusato, con altri, di associazione per delinquere «con funzioni di organizzazione e direzione» del gruppo «criminale». Reato contestato dal ' 97 a febbraio di quest' anno. E ancora di corruzione, peculato e falso. In base alle dichiarazioni di Lady Asl, nel 2005 si sarebbe speso anche con l' allora assessore alla Sanità, Marco Verzaschi, per farle ottenere l' autorizzazione e l' accreditamento per la clinica San Michele, dove l' imprenditrice avrebbe gestito 168 posti letto in convenzione con l' università di Tor Vergata. Nell' ordinanza si ricorda che Lady Asl a un certo punto teme che Verzaschi, indagato nell' inchiesta, non sia disponibile. Palumbo interviene e riferisce all' amica che l' assessore «le manda a dire di stare tranquilla», che però «non può schierarsi troppo apertamente in suo favore avendo dei legami e dei rapporti con altri soggetti interessati a un progetto sanitario analogo». Sono però dichiarazioni de relato, che Verzaschi, difeso dall' avvocato Titta madia, non ha mai confermato. * * * IL VERBALE «I corrotti? Ho strappato l' agenda» Dall' interrogatorio del 7 giugno Pm: «Dove sono le agende? Io continuo a pensare che...». Lady Asl: «Io ho fatto chiedere a mio marito e mio marito ha detto: "Non ci sono più"». Pm: «Se le ha strappate, però, lei lo sa...». L.A.: «Lei pensa che queste agende ci sono? Mi crea un grosso problema, perchè pensa di tenermi qui finchè non le dico questa cosa». Pm: «No, la sua custodia è indipendente...». L.A.: «Le agende non ci sono più». Pm: «Agende rosse». L.A.: «Bordeaux». Pm: «Fino a quando le ha conservate in cassaforte?»: L.A.: «Fino a quando si è saputo che stavate per arrivare e noi le abbiamo strappate. Se però mio marito ne ha una copia...» Di Gianvito Lavinia ___________________________________________________ La Stampa 7 nov. ’06 L'IRCC PREMIA IL RE DELL'EPIGENETICA II ritorno dei cervelli Dagli Stati Uniti all'Europa Gabriele Beccaria TORINO «E' tempo che i ricercatori europei tornino dagli Usa, perché anche nel Vecchio Continente ci sono strutture scientifiche, e molte altre stanno nascendo, assolutamente competitive». Per Manel Esteìler, medico catalano, fresco di una trasferta alla Johns Hopkins Medical School di Baltimora, il complesso di inferiorità rispetto ai cugini d'oltreAtlantico è relegato ai brutti ricordi, La ricerca d'avanguardia si fa anche senza clamorose fughe all'estero. Lo dice dal palco dell'Ircc di Candiolo, l'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro alle porte dì Torino. E non è solo per dovere di ospitalità che indica l’IRCC come un esempio. «Qui si fa ricerca di punta», spiega con convinzione e ci ta subito dopo un altro centro, il Cnio di Madrid, dove è direttore del «Laboratorio di epigenetica oncologica. Nonostante non abbia ancora 40 anni, è già un personaggio, ha pubblicato un centinaio di studi e il suo laboratorio è uno dei primi in Europa focalizzati su una nuova scienza, ancora poco nota oltre le stanze dei camici bianchi, l’epigenetica, appunto. Collabora con l’IRCC e ieri ha ricevuto da Allegra Agnelli, presidentessa della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, lo «Xoung Investigator Award»: è il riconoscimento che ogni 24 mesi incorona un giovane che si è distinto nella ricerca oncologica e viene scelto da un giuria presieduta Paolo Comoglio, il direttore scientifico dell’IRCC. Con lui c'era un gruppo molto" «global» di scienziati, come David Livingston della Harvard Medical Sehool di Boston, Mariano Barbacid del Czdo e Peter CarTneliet dell'Istituto di Biotecnologie di Lovanio, che compongono il «board» incaricato di controllare la qualità degli studi a Candiolo. «Esteller - è la motivazione - ha scoperto che allo sviluppo del cancro contribuiscono le modificaziozai della struttura della cromatina». Tradotto per non specialisti: la cromatina è l'involucro che avvolge il Dna e i tumori sono legati anche alle sue alterazioni. Perché appaia il cancro, =atti, occorrono due lesioni genetiche. La prima - ha spiegato Esteller - è l’attivazione degli oncogeni, quelli che danno il segnale alla cellula di crescere. La seconda è l’inattivazìone dei geni oncosoppressori, che danno il segnale di stop. 5e la prima, tecnicamente, è una mutazione, la seconda lo è raramente: spesso consiste nell'alterazione della cromatina, un processo che studia l’epigenetìca; sotto. l'occhio degli scienziati passa «la modificazione dell'espressione dei geni che non coinvolge le mutazioni della struttura dei geni stessi». Si tratta di una modificazione perché è reversibile, indotta da una serie di enzimi, su cui si sta imparando ad agire e ora - ha spiegato Esteller - «alcuni tumori, come quelli del cervello, beneficiano di un trattamento con un farmaco che attiva di nuovo i geni oncosoppressori. A Madrid gli studi continuano e si punta a intercettare altri cervelli. E lo fa anche l’Ircc con il suo «Award»: tra i duecento ricercatori che vanta, molti sono giovani «in fuga» dagli Usa. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 nov. ’06 STORIA DELLA MEDICINA: IL PARTO, COSA DA «PRATICHE» In un saggio il racconto di come si partoriva nella Sardegna della prima metà del Novecento Storia della medicina e antiche tradizioni popolari Un incredibile armamentario di filtri e amuleti, sopravvissuto sino all’altroieri di Eugenia Tognotti Ad ogni società la «sua» nascita. In quella sarda della seconda metà del Novecento - prima che prendesse il via il tumultuoso processo di ospedalizzazione - la scena del parto in casa era dominata dalla levatrice, cui la comunità paesana attribuiva il ruolo di demiurgo. A lei - provvista di un sapere ostetrico definito, codificato, trasmesso nelle sedi della formazione medica - spettava il compito di completare l’opera della natura: aiutare la donna durante il travaglio, aspettare il secondamento, controllare la placenta, pinzare il cordone ombelicale del neonato. Poche le complicazioni che esigevano lo spostamento all’ospedale cittadino o la chiamata del medico, che interveniva solo in caso di difficoltà (emorragie, distacchi di placenta, ecc.): riconoscerle subito e chiedere aiuto rientrava tra le sue competenze, che comprendevano anche rudimenti di pediatria e puericultura. «Garante» di fronte all’autorità civile e religiosa, la levatrice teneva il registro delle nascite e degli aborti, e somministrava, in casi d’emergenza, il battesimo. E’ significativo, e ricco di implicazioni, il fatto che il libro di Pier Luigi Cherchi, di Pina Roggio, di Maria Domenica Piga e di Salvatore Dessole «Il parto domiciliare nella Sardegna della prima metà del Novecento. Tradizioni e sapere medico» (Edizioni Edes) esca da una clinica universitaria e dal corso di Laurea in ostetricia. Frutto della ricerca sul campo di una neo laureata ostetrica, Pina Roggio, il libro racconta «un’altra storia» del parto, quello a domicilio. La suggestiva scena del parto che rappresenta - col supporto di una serie di interviste ad alcune anziane levatrici condotte che hanno operato nel Sassarese e nel Nuorese - non sembra lontana una manciata di decenni, ma anni luce. Anche se, a sua volta, rappresenta una realtà «avanzata» rispetto ai secoli passati. Ad assistere le partorienti erano allora le «pratiche», le «maestre di parto», provviste solo di un sapere empirico che derivava dall’esperienza di precedenti maternità in cui entravano preghiere e formule incantatorie, amuleti e bevande, riti e pratiche. A metà degli anni Cinquanta ne restavano solo poche tracce, liquidate dalle levatrici professionali come «stupidaggini»: le forbici infilate di soppiatto sotto il materasso; i cassetti aperti nella convinzione che così si eliminassero i dolori del parto, i giri intorno al letto della puerpera appena alzata (usanza, questa, osservata a Sassari). Al tempo, la battaglia contro le «empiriche» - che rientrava in generale in quella condotta dai medici regolari contro chi non aveva titolo ad esercitare l’arte della cura - era ormai vinta. In Sardegna, era cominciata nella seconda metà del Settecento, dopo la trasformazione degli studi di Medicina che accompagnarono la «restaurazione» delle due Università isolane. Per avere il permesso di esercitare - cioè la «patente» - le «empiriche» dovevano apprendere qualche rudimento da medici titolati e presentare un certificato che dimostrasse capacità, «buona vita e costumi». In un «Manifesto» del protomedicato di Sardegna, datato 15 luglio 1765, si proibiva tassativamente a quelle «che fin ad ora non ne hanno ottenuto il permesso di esercitare tal mestiere, sotto pena pecuniaria e ed in difetto, di carcere». La situazione però non migliorò e negli anni Settanta del XIX secolo - in un clima scientifico nuovo - il mondo medico professionale e accademico condannava duramente il fatto che «per un malinteso pudore un ramo così importante della medicina (l’ostetricia) fosse in mano alle donne». La «Scuola per ostetriche», biennale, istituita nei primi anni Ottanta dalle Università di Cagliari e di Sassari rappresenta una svolta: le maestre di parto dei paesi devono lasciare il posto alle ostetriche che hanno affrontato l’iter dell’addestramento teorico e pratico sotto la guida dei professori universitari. All’inizio sono soprattutto «continentali»: nei registri della Facoltà si ritrovano nomi come, per farne uno, Borgonovo Clelia, proveniente da Novara, la cui tesi di 6 pagine tratta della «condotta della levatrice richiesta di assistere una donna in travaglio di parto». Il fatto è che nella società tradizionale sarda era disconosciuta alla donna qualunque attività che non fosse coerente con il suo ruolo sessuale di moglie-madre-casalinga. Se aiutare una donna a partorire rientrava nel bagaglio del «saper fare» di una buona «meri ‘e domo», esercitare un «mestiere» fuori delle protettive mura di casa, assumeva un altro significato. Le cose cominciano a cambiare soltanto nel dopoguerra. Le levatrici sarde che frequentano la Scuola sono ormai in maggioranza. La conquistata autonomia e auctoritas professionale emerge con tutta evidenza dalle interviste del libro. Le ex ostetriche condotte prendono le distanze dalle cosiddette empiriche e rivendicano orgogliosamente il percorso di formazione all’Università come allieve, interne o esterne, le lezioni teoriche e pratiche, il bagaglio delle conoscenze e delle tecniche che si portavano dietro, nelle case, con la borsa ostetrica completa di tela cerata, guanti, garze, stetoscopio, pinza ad anelli, forbici ricurve, pinze per il cordone ombelicale, farmaci, ecc. Le loro testimonianze sono assai istruttive e la dicono lunga sul ruolo sociale che rivestivano nel tutelare la salute di madri e bambini, nonché sulla loro autonomia rispetto ai medici (molti dei quali non sapevano quasi nulla di parti). Prima ancora di questi, rappresentarono, di fatto, in ambienti rurali, le portabandiera della medicina: mai, forse, nelle povere case in cui entravano per far nascere un bambino, si era sentito parlare di sterilizzazione, di lisoformio, di pratiche di igiene e di profilassi. L’empirismo e tutta la possente stratificazione di superstizioni, tradizioni, credenze che circondavano la gravidanza e il parto non rientrano nel loro orizzonte. Professioniste del parto, garanti delle condizioni sanitarie in cui si svolgeva, le levatrici professionali rifiutavano i rituali che rimandavano al tempo in cui il parto era un «affare di donne» ed erano le mammane a dominare l’ambiente della nascita. Così una di loro racconta di essersi rivolta ad un marito per allontanare dalla stanza della partoriente due parenti che cantavano accanto al suo letto una nenia in sardo. Un’usanza che aveva attraversato i millenni: secondo la tradizione le sacerdotesse che accompagnavano le levatrici ateniesi cantavano e recitavano per alleviare le doglie. E’ forse inevitabile che nelle testimonianze delle levatrici risuoni la nostalgia per il parto domiciliare, quasi totalmente scomparso dalla scena e il cui ritorno, contro la disumanizzazione del parto in ospedale, è rivendicato da gruppi di donne, soprattutto negli Stati Uniti. E’ difficile non riconoscere i vantaggi delle nuove certezze assicurate dall’assistenza in ambito ospedaliero, come rileva, nell’introduzione, Pier Luigi Cerchi, presidente del Corso di laurea in ostetricia. E, tuttavia, non c’è dubbio che il prezzo da pagare per un’assistenza di qualità ha comportato la perdita dell’intimità, della spontaneità, della naturalità della straordinaria esperienza della nascita: la riflessione aperta sui valori perduti del parto a domicilio da parte dei «professionisti» del parto ospedalizzato non può che far sperare. ____________________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’06 EMBRIONE-CHIMERA: COSÌ CADONO I DUBBI ETICI Sezione: biologia genetica - Pagina: 025(8 novembre, 2006) Corriere della Sera I ricercatori inglesi chiedono il via libera. Angelo Vescovi: progetto presuntuoso. Carlo Alberto Redi: nessuna apprensione Dna umano in un ovulo bovino per creare staminali. Ma gli scienziati si dividono ROMA - La chimera evoca sempre immagini mostruose, uscite dalla mitologia. D' istinto, si è tentati di rispolverarle adesso che ci vengono riproposte in un ambito tutt' altro che mitologico, la scienza. Ricercatori inglesi vorrebbero creare in laboratorio un embrione misto, in parte umano in parte bovino, per estrarne staminali da sperimentazione. La richiesta di autorizzazione è stata sottoposta all' Hfea, l' autorità per la fecondazione ed embriologia umana, con sede a Londra. I test in caso di via libera avrebbero la durata di tre anni. L' obiettivo è ottenere le cellule potenzialmente «riparatrici» di tessuti «senza sollevare troppe discussioni bioetiche», per sopperire alla scarsa disponibilità di ovociti femminili donati. La chimera verrebbe infatti ottenuta prendendo una cellula uovo di una mucca, svuotandola del suo nucleo e inserendovi quello di una cellula umana adulta. Se ne trarrebbero staminali compatibili con l' individuo che si intende curare. INTERSPECIE - Il risultato di questa insolita mescolanza interspecie verrebbe fatta crescere al massimo entro il 14º giorno (lo stesso termine temporale previsto dagli inglesi per gli esperimenti sugli embrioni «tradizionali») e poi distrutto. Come era immaginabile però l' iniziativa del gruppo di ricerca del King' s College e del North East England Stem Cell Institute, Università di Newcastle, diretto da Lyle Armstrong, ha già messo in allerta le associazioni cattoliche. Alle dispute di carattere morale, se ne aggiunge una tecnica. Se cioè rientri tra le competenze dell' Hfea quella di decidere su protocolli che riguardano, sia pur in minima parte, animali. L' autorità britannica ha concesso già due licenze per clonazione terapeutica, rispettivamente al Roslin Institute di Edimburgo e al Newcastle Center for Life. La chimera risulterebbe composta al 99,9% da materiale genetico umano e allo 0,1% da materiale bovino. «La nostra equipe al King' s College è ottimista - spera Stephen Minger, direttore del laboratorio sulle staminali dell' università londinese -. Pensiamo che lo sviluppo di cellule embrionarie con tecniche alternative servirà a stimolare la ricerca di base e lo sviluppo di cure per malattie cerebrali devastanti». LE REAZIONI - In Italia reazioni pro e contro. Per Angelo Vescovi, San Raffaele di Milano, «si tratta di un approccio poco scientifico. Si otterrebbero cellule embrionali ibride, con Dna in parte bovino, sconosciute dal punto di vista fisiologico e funzionale. Come si può concepire di utilizzarle nell' uomo? Sono esperimenti che con presunzione vengono proposti come superamento del problema etico ma che nella realtà ne pongono di ancora più gravi. Progetto difettoso in partenza». Possibilista invece Carlo Alberto Redi, direttore scientifico dell' Irccs San Matteo: «Credo che il disco verde ci sarà. Il chimerismo è stato sempre uno strumento di lavoro degli scienziati. Non bisogna nutrire apprensione. L' aspetto mostruoso deve restare nell' immaginario, la pratica biologica è altra cosa. È solo un artifizio tecnico per espandere staminali impiegando un ovocita di altra specie. Non dobbiamo temere sviluppi sconcertanti». Da Londra Josephine Quintavalle, direttrice del gruppo Comment on Reproductive Ethics, afferma: «Ripugnante. Scienza folle. Umani e animali non devono essere mescolati. La gente rimarrà scioccata». Calum McKellar, Scottish Council of Human Bioethics, grida allo scandalo: «Nella storia dell' uomo specie umane e animali sono state sempre separate. In questo tipo di procedura la distinzione viene meno ed è molto grave». De Bac Margherita ___________________________________________________ Italia Oggi 9 nov. ’06 RICERCA ONCOLOGICA, STRATEGIE UNITARIE PER RISPARMIARE Si apre a Chieti il XXXII Congresso nazionale della società italiana tumori Di tumore ci si ammala di più ma si guarisce di più. Anche grazie agli investimenti fatti in campo diagnostico. Il Servizio sanitario nazionale italiano spende infatti ogni anno solo in campo diagnostico 101 milioni dì euro, a cui l'attuale legge finanziaria, che prevede una maggiore partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria per prestazioni diagnostiche, ma anche una riduzione delle tariffe applicate da laboratori e centri specializzati, ha aggiunto altri 3 miliardi per investimenti finalizzati alla creazione di nuove strutture e 80 milioni per la ricerca sanitaria. In particolare, 56 milioni saranno stanziati per gli screening preventivi al Sud sulle malattie oncologiche. Fondamentali quindi gli esami sistematici e diagnostici in sostanza per prevenire ancor prima di curare. Delle nuove opportunità terapeutiche si parlerà al XXXII Congresso nazionale della Società italiana tumori (Sit) «Dalla prevenzione alla terapia. Una strategia unitaria per la cura dei tumori» che si tiene, a partire da oggi e fino a sabato, all'università Gabriele D'Annunzio di Chieti e all'Hotel Villa Maria di Francavilla al Mare (Ch), nel corso del quale si farà il punto su una delle patologie più temute. «Un congresso», come spiega a ItaliaOggi Rocco Sacco, direttore della clinica chirurgica dell'università di Chieti e presidente del Congresso della Società italiana tumori, che vedrà la presenza di tutti i professionisti del settore che si occupano delle varie fasi della malattia, dalla prevenzione alla cura. «Ci saranno i medici che partono dallo screening dei tumori», spiega Sacco, «fino a quelli che seguono la fase terminale del tumore stesso. Una stretta cooperazione di più specialisti nel tracciare il percorso di cura è la parola d'ordine», sottolinea Sacco, ma soprattutto l'obiettivo è scegliere la terapia migliore per guarire i malati e consentire loro di vivere meglio. Ma anche per generare risparmi per le casse del Servizio sanitario nazionale. «Integrazione, ovvero la cooperazione di più specialisti nel tracciare il percorso di cura, ~ la parola d'ordine», spiega Sacco. «L'obiettivo naturalmente è comunque quello di scegliere la terapia migliore per guarire i malati e consentire loro di vivere meglio». E nuove sfide attendono la guerra ai tumori, come quella della sostituzione dei chemioterapici con farmaci a bersaglio molecolare, molto costosi e che per questo potrebbero portare a sostanziali differenze tra una regione e l'altra. Secondo le stime, questa malattia in Italia colpisce ogni anno circa 270 mila persone con proiezioni che parlano di 400 mila casi nel 2010. I risultati della ricerca sperimentale, i progressi della diagnostica, della medicina e della chirurgia, le nuove terapie mostrano effetti positivi sul decorso della malattia e allungano, anche sensibilmente, la vita dei malati. Molto può essere fatto soprattutto nella fase di prevenzione con dei vantaggi non solo per il decorso della malattia stessa, ma anche per la spesa sanitaria. «L'integrazione dei percorsi terapeutici», spiega Paolo Manente, presidente della Sit, «può dar luogo a risparmi considerevoli. Nella cura del tumore del retto, per esempio, grazie a questo approccio la degenza risulta dimezzata. Dunque l'integrazione consente non solo di dare il meglio al paziente, ma aiuta anche a calmierare le spese». «Di qui a dieci anni», spiega Manente, «i farmaci chemioterapici verranno completamente sostituiti da farmaci a bersaglio molecolare. Ma si tratta di medicinali che costano molto, e questo potrebbe dar vita a sostanziali differenze tra una regione e l'altra del paese. Questo però non vuol dire che la diffusione dei nuovi farmaci aumenterà le distanze tra Nord e Sud. A guardar bene, infatti, ci sono regioni del Meridione che hanno una spesa farmaceutica procapite molto più alta di altre regioni del Nord». ____________________________________________________ L’Unione Sarda 8 nov. ’06 CLINICA OSTETRICA: «COSÌ SALVIAMO I BIMBI DAL DIABETE» Decisivo lo screening Il direttore: «In quindici anni siamo riusciti a ridurre drasticamente la mortalità» Ogni anno si potrebbero salvare 400 bambini sardi dal diabete gestazionale. «Basterebbe che la Regione investisse più sui servizi di assistenza quotidiana e meno sulle strutture sanitarie non assistenziali». È il messaggio lanciato da Gian Benedetto Melis, direttore della clinica ostetrica dell'Università di Cagliari, nell'ospedale San Giovanni di Dio, da poco eletto presidente della Società europea di endoscopia ginecologica. «Grazie allo screening ginecologico - spiega Melis - è possibile scoprire le donne portatrici di diabete gestazionale, malattia che fa nascere bambini malati, con gravi conseguenze, che arrivano fino alla morte. In quindici anni, nella nostra clinica, abbiamo ridotto la mortalità del tre per cento: in un anno abbiamo circa 1500 parti, dunque salviamo circa 45 nascituri. Se in tutti i centri dell'Isola si rendesse obbligatorio lo screening, verrebbero salvati 300-400 bambini su dieci mila. Sono scelte e decisioni che spettano alla Regione che sembra preferire cospicui investimenti per le strutture che si occupano di malattie genetiche rare, che daranno risultati, se li daranno, solo tra trent'anni». È stato lo staff clinico guidato da Melis a dimostrare che le donne sarde sono maggiormente a rischio (tre volte di più) nella contrazione del diabete gestazionale, rispetto alle altre donne italiane ed europee. Solo alcune popolazioni del nord Europa avrebbero le stesse caratteristiche. I dati sono allarmanti: su dieci due hanno il diabete gestazionale. Altra malattia che sta crescendo è l'endometriosi: colpisce le donne giovani e causa dolori che possono portare alla sterilità. In pratica il tessuto dell'utero si trasferisce in altre parti (vagina, retto, vescica, ma anche polmoni e ombelico) facendole sanguinare. «Abbiamo circa duecento casi all'anno - spiega Melis - di questa patologia in costante aumento e che sarebbe causata anche dall'inquinamento, soprattutto da diossina». Sono diversi gli studi condotti dalla clinica ostetrica ginecologica dell'Università che, per quantità e qualità delle produzioni scientifiche (oltre duecento, un numero che assegna al gruppo guidato da Melis il primo posto in Italia e un piazzamento tra i primi cinque in Europa), è al top mondiale. Tra le altre punte d'eccellenza i lavori nella chirurgia ginecologica, negli studi sulla contraccezione e sulla menopausa, e nelle tecnologie per effettuare ecografie. «Siamo un centro - riassume Melis - che offre molteplici servizi e che garantisce un'assistenza a totale al paziente». Matteo Vercelli ___________________________________________________ La Repubblica 6 nov. ’06 UN LEGAME PREOCCUPANTE TRA FARMACI ANTI-AIDS E LEBBRA di DONALD G. McNEIL Jr. Con la diffusione in molti Paesi poveri di farmaci per la cura dell'Aids a prezzi accessibili, affermano gli esperti, è emerso un effetto collaterale sorprendente e preoccupante: in alcuni pazienti sotto terapia si evidenzia un'infezione da lebbra, prima nascosta. Le dimensioni del problema sono sconosciute. In letteratura sono stati descritti solo una dozzina di casi dalla scoperta del primo, a Londra nel 2003. Ma gli esperti di Aids in Brasile, India, Africa, nei Caraibi e altrove comunicano che alcuni pazienti che assumono farmaci salva vita antiretrovirali presentano dolorose ulcere al volto o una perdita di sensibilità alle dita delle mani e dei piedi. E nei Paesi del Terzo mondo dove lo scorso anno sono stati scoperti 300.000 nuovi casi di lebbra e 38 milioni di persone sono infette dal virus dell'Aids il problema, a detta degli esperti, inevitabilmente si andrà aggravando. "E' solo la punta di un iceberg", dice il dottor William Levis, che cura i pazienti affetti da lebbra al Bellevue hospital di New York. "Il fenomeno è agli inizi. La maggior parte dei medici non pensa neppure lontanamente alla lebbra, ma è probabile che i casi siano molti di più". Concorda la dottoressa Gilla Kaplan, docente all'Università di medicina e odontoiatria del New Jersey, trai pionieri dello studio dei rapporti tra Aids e lebbra. La terapia antiretrovirale, afferma, "fa emergere l'infezione latente rendendola sintomatica". Poiché la lebbra, una patologia su base batterica, può essere curata con antibiotici specifici forniti gratuitamente dalla casa farmaceutica Novartis, l'eventualità di un'epidemia mondiale o di grandi numeri di decessi è remota. Il problema è poco noto e spesso i medici impiegano settimane a scoprire quale nuova patologia affligga i pazienti in terapia per l’Aids. Gli esperti affermano che il problema sorge quando i farmaci antì-Aids agiscono sul sistema immunitario ripristinandone la funzionalità. Esso produce nuovi globuli bianchi che trasportano i batteri della lebbra, contratta in passato, alla pelle del volto, delle mani e dei piedi. I sintomi della lebbra vengono talvolta confusi con quelli dell'artrite o del lupus. Curarsi in città come New York e Londra è relativamente semplice, ma i problemi veri, dicono gli esperti, sorgeranno nei Paesi poveri afflitti da doppia epidemia. L'India è la realtà che più preoccupa gli esperti. Fino a poco tempo fa vi si registrava il70 per cento dei casi mondiali di lebbra. La casistica attuale è piuttosto misteriosa. Dopo un'aggressiva campagna ventennale per diagnosticare e curare i nuovi casi lo scorso anno l'India ha dichiarato ufficialmente la lebbra "eliminata come problema sanitario". Ma la formula è stata studiata con cura. Significa che la media nazionale è inferiore ad un caso su 10.000 cittadini, i nuovi casi in un anno potrebbero quindi essere anche 100.000. AL contempo, con circa 5,2 milioni di persone contagiate dal virus l'India si avvia a superare il Sudafrica come Paese che registra il maggior numero di vittime dell'Aids. L'epidemia però è iniziata molto più tardi rispetto al Sudafrica, o al Brasile, e l'India è stata lenta a immettere sul mercato farmaci ali Con l'estendersi della terapia potrebbero aumentare i casi di lebbra. Altri Paesi con un numero elevato di malati di lebbra sono il Myanmar, il Madagascar, il Nepal e il Mozambico. Ma esistono anche grandi incognite. "Dipende dalla qualità del sistema sanitario", dice la dottoressa Diana N. Lockwood, esperta di lebbra alla London school of hygiene and tropical medicine. "Ad esempio, lo scorso anno in Congo sono stati scoperti 11.000 nuovi casi". LA LOTTA ALL'AIDS E LO SPETTRO DELLA LEBBRA Ci sono indicazioni secondo le quali i farmaci antiretrovirali usati per combattere I'Aids potrebbero far manifestare nei pazienti casi di infezione latente da lebbra. Secondo gli esperti, man mano che farmaci anti-Aids a prezzi sostenibili raggiungono i Paesi poveri con un'alta incidenza di infezioni da lebbra, potrebbero manifestarsi migliaia di nuovi casi. ___________________________________________________ L’Unità 6 nov. ’06 CON IL VINO ROSSO IL TOPO GRASSO VIVE DI PIÙ Proprietà antinvecchiamento di una molecola Il topo mangia molti grassi. Molti più della quantità consigliata per rimanere in buona salute. Diventa obeso e tuttavia non si ammala di diabete, né di malattie cardiovascolari, né di altre patologie correlate con l'obesità. Il segreto sta in una piccola molecola, chiamata resveratrol, che si trova nel vino rosso. I ricercatori dell’Harvard Medical school e del National Institute of Aging degli Stati Uniti hanno fatto una scoperta che potrebbe avere conseguenze interessanti per milioni di persone nel mondo affette da obesità. La riporta la rivista inglese «Nature». L'esperimento è stato condotto su tre gruppi di topi. Il primo gruppo ha seguito una dieta normale. ll secondo gruppo una dieta ipercalorica. Il terzo gruppo ha seguito la stessa dieta ipercalorica, ma è stato trattato con resveratrol. I ricercatori hanno stabilito che la molecola ha ridotto il rischio di morte per i topi «obesi» del 31 %. Non solo. I topi trattati con resveratrol erano anche più attivi e si muovevano meglio. ___________________________________________________ La Repubblica 6 nov. ’06 DENTI SIMILI AI VERI CREATI AL COMPUTER Agli italiani adulti ne mancano due, tredici a 65 anni e diciannove nei soggetti più anziani di Annamaria Messa Gli italiani ai denti e al bel sorriso ci tengono: otto su dieci li vogliono bianchi, belli e tutti. Però tra i 35 e 44 anni mancano quasi due denti, fino ai 65 ne mancano 13,4, dopo quasi 19. In bocca di 18 adulti su 100 non c'è neanche un dente come per 240 milioni di persone nel mondo. I dati (OMS e Soc. Ital. Parodontologia) dicono che gli over 65 edentuli di casa nostra sono il 18%, in Scandinavia il 30%, nel Regno Unito il 60%. Ma solo 13 su 100 ricorrono a protesi e 3 su 100 agli impianti. L'Italia ha un primato mondiale: un milione di impianti su oltre 400mila pazienti. I dati vengono dal recente convegno di Rimini con la presenza di 1.200 dentisti, tappa italiana del World Tour 2006 promosso da Nobel Biocare, l'azienda svedese attiva nell'estetica dentale che ha messo a punto il programma "Denti belli in un'ora". Un sistema integrato per denti "identici" a quelli naturali, in materiali biocompatibili, sottostruttura in ceramica invece che in metallo, studiati e personalizzati al pc "come un abito di sartoria". Possibilità di riabilitarsi anche per gli invalidi dentali (chi non ha più denti in bocca) e per chi ha problemi sistemici, hanno confermato in conferenza stampa Luca Francetti (Istituto Galeazzi, Università di Milano) e Roberto Scotti, Università di Bologna. «Visita, rilievo delle impronte, una Tac con la protesi bastano per pianificare con lo specifico software che fa vedere lo scenario tridimensionale del paziente l'intervento, senza incisioni e suture. Si fissa la protesi tagliando appena la gengiva solo nel forellino dove andrà l'impianto», spiega Francetti. La tecnica si pratica da un anno e mezzo al Galeazzi di Bologna, si va lentamente diffondendo. A Udine, Bollate (Mi), Verona, Rimini, Napoli, Alpignano (To) i Centri Nobel Biocare certificati a oggi:. oltre all'assistenza ai pazienti, provvedono alla formazione degli specialisti Info: www.nobelsmile.com • ____________________________________________________ Corriere della Sera 5 nov. ’06 DENTI PIÙ BIANCHI SENZA FRETTA Vorrei sottopormi a un trattamento per sbiancare i denti, soprattutto perché alcuni sono «macchiati». Posso contare su dei buoni risultati? Sono tecniche sicure? Angela P., Verona Negli ultimi anni lo sviluppo di nuovi materiali e di nuove tecniche ha consentito all' odontoiatria di ampliare le sue procedure operative in due nuovi ambiti: l' odontoiatria estetica e l' odontoiatria cosmetica. Mentre la prima (estetica) si fa carico di risolvere problemi legati a determinate patologie dentali mediante metodiche che sono in grado di assicurare livelli di elevato valore estetico e non solamente funzionale, la seconda (cosmetica) si occupa di modificare l' aspetto del paziente anche in assenza di precise patologie. Al campo dell' odontoiatria cosmetica appartengono le tecniche cosiddette di «sbiancamento», obiettivo delle quali è modificare il colore dei denti naturali, rendendoli appunto più «bianchi», o eliminare eventuali macchie presenti. L' odontoiatra deve innanzitutto mettere a punto, col paziente, delle meticolose misure di igiene orale professionale e domiciliare e solo dopo potrà fare uso di sostanze sbiancanti. Il dentista costruirà appositi supporti che fornirà, unitamente ad una piccola scorta del materiale adatto, al paziente che provvederà ad applicarlo per alcune notti sulle arcate dentarie. La durata del trattamento varia in rapporto alla concentrazione del principio attivo nel prodotto e al grado di sbiancamento necessario per raggiungere i risultati concordati. Un altro sistema è costituito da metodiche applicate direttamente dal dentista. Tali tecniche, che si avvalgono anche di apposite sorgenti luminose, sono in grado di ottenere ottimi risultati in tempi molto rapidi: ma, attenzione, sono risultati con una durata molto più ridotta nel tempo, e che rischiano, con maggiore frequenza , di produrre una grave sensibilità termica (al freddo) rispetto alle altre tecniche. In conclusione si tratta di metodi efficaci e sicuri, purché non si abbia fretta, e si rispettino con attenzione i principi che stanno alla base di ogni terapia medica: anamnesi, diagnosi, scelta della terapia più adatta al singolo paziente. Direttore Clinica Odontoiatrica dell' Università degli Studi di Milano Weinstein Roberto ___________________________________________________ Panorama 16 nov. ’06 TUMORE AL SENO, CHE RISCHIO C'È PILLOLA NUOVA ANALISI I contraccettivi aumentano, anche se di poco, il pericolo di cancro. Si potrebbe pensare che la questione se i contraccettivi orali aumentino il rischio di tumore al seno sia ormai stata chiarita una volta per tutte, visto che le donne hanno iniziato a usare la pillola negli anni 60. Invece, come osserva un editoriale che accompagna un nuovo studio sugli effetti e i rischi dei contraccettivi orali, pubblicato sui Proceedings della Mayo Clinic, non è così. La metanalisi conferma che l'assunzione della pillola è associata a un rischio aumentato dì tumore della mammella in giovane età, anche se abbastanza piccolo. Del resto proprio l'anno scorso l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione aveva innalzato il livello di rischio dei contraccettivi orali, includendoli nel gruppo 1, quello delle sostanze più carcinogeniche per gli esseri umani. Lo studio ha poi individuato il gruppo che rischia di più: le donne che hanno preso la pillola prima di portare a termine una gravidanza. In quelle che hanno assunto contraccettivi orali dopo aver già partorito un figlio il rischio è minore. Nel corso di quattro decenni di utilizzo è cambiata la formulazione delle pillole, con meno estrogeni rispetto a quelle di prima generazione, e sono stati introdotti nuovi progestinici, ma è cambiato anche il modo di assunzione: sempre più donne la prendono, per intervalli sempre più lunghi, Come comportarsi di fronte ai nuovi dati? Secondo James Cerhan, l'epidemiologo della Mayo Clinic che ha firmato l'editoriale, i rischi devono essere valutati nel complesso, considerando la sua efficacia come metodo contraccettivo e il rapporto tra benefici ed effetti collaterali, per esempio casi rari di trombosi venosa e ictus. Il rischio di cancro al seno esiste, ma sembra abbastanza piccolo, e in compenso la pillola sembra diminuire quello di tumore all'endometrio e all'ovaio. ____________________________________________________ Le Scienze 10 nov. ’06 TERAPIA GENICA PER PREVENIRE L'EPILESSIA Nel modello sperimentale ha portato a una maggiore espressione di una proteina utile a inibire l'eccessiva attivazione dei neuroni Per la prima volta un gruppo di ricercatori del The Children's Hospital di Philadelphia è riuscito, nel modello animale costituito dal topo, a bloccare lo sviluppo dell’epilessia dopo una lesione cerebrale. Il risultato è stato ottenuto con la terapia genica, che ha consentito di modificare il percorso dei segnali nervosi nel cervello. "Abbiamo dimostrato che esiste una ‘finestra’ d’intervento dopo un danno cerebrale in grado di ridurre il rischio di sviluppare epilessia” ha dichiarato Amy R. Brooks-Kayal, firmatario dell’articolo apparso sul Journal of Neuroscience in cui viene descritto lo studio. I ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sul giro dentato e in particolare sui recettori di tipo A delle cellule del sistema GABAergico che vi si trovano. Quando questi recettori per il neurotrasmettitore GABA sono attivati, inibiscono l’eccessiva, ripetitiva attivazione dei neuroni, tipica delle crisi epilettiche, legate a uno squilibrio fra l’attività di due tipi di neurotrasmettitori, l’acido glutammico (eccitatorio) e, appunto, il GABA (inibitorio). Il gruppo di ricerca di Brooks-Kayal, dopo aver dimostrato che nel topo l’epilessia è legata a una bassa espressione di una sub-unità del recettore, la proteina alpha1, ha “rifornito” le cellule cerebrali di topi epilettici con un ulteriore gene per l’espressione di quella proteina, utilizzando come vettore un adenovirus privato del proprio genoma. I topi così trattati mostravano di resistere alla successiva somministrazione di farmaci epilettogeni. Ulteriori studi hanno mostrato che il tempestivo trattamento di topi sottoposti a una lesione in grado di indurre l’epilessia, non sviluppavano la malattia o comunque la sviluppavano in modo più lieve rispetto ai topi non trattati. ____________________________________________________ Le Scienze 10 nov. ’06 BIOMARCATORI PER IL LUPUS La scoperta conferma l'importanza dell'uso degli inibitori della istone deacetilasi Biologi della Wake Forest University School of Medicine hanno identificato un gruppo di biomarcatori del lupus eritematoso sistemico (LES), che potrebbe avere un ruolo chiave nello sviluppo della patologia. Si tratta – come hanno riferito i ricercatori al convegno dell’ American College of Rheumatology in corso a Washington – di alcuni micro-RNA, una classe di piccole catene di acido ribonucleico che ha una importante funzione regolatoria nell’organismo, soprattutto come silenziatori di geni (in generale l’RNA ha il compito di tradurre in geni in proteine). "È la prima volta – ha osservato Nilamadhab Mishra, che ha diretto lo studio – che nel lupus umano si rileva un problema con questi micro-RNA. “ Nel corso della ricerca sono stati osservati 40 micro-RNA i cui livello erano 1?5 volte superiori al normale, cinque che erano tre volte sopra la norma, mentre per uno, chiamato miR 95, i livelli erano un terzo del normale. Proprio questa ridotta quantità di miR 95, ha osservato Mishra, "dà luogo a una aberrante espressione dei geni nei pazienti affetti da lupus”. Dato che i micro-RNA sono associati all’enzima istone deacetilasi, ha aggiunto Mishra, “la scoperta fornisce un ulteriore razionale per l’uso degli inibitori della istone deacetilasi nel trattamento della patologia”. I ricercatorti hanno infatti dimostrato che due di questi farmaci – la tricostatina A (TSA) e il SAHA (suberoylanilide hydroxamic acid) – sono in grado di regolarizzare le modificazioni istoniche con risultati positivi sui sintomi dei pazienti. ____________________________________________________ Corriere della Sera 5 nov. ’06 SANITÀ: I NOSTRI ERRORI? ECCO PERCHÉ SBAGLIAMO Sanità La ricerca, pubblicata sugli Annali dell' Istituto Superiore di Sanità, ha coinvolto gli specialisti di un ospedale di Roma Per la prima volta i medici si «confessano» e chiedono i correttivi Tutti i medici possono sbagliare, ma non tutti sono disposti a parlarne. Eppure anche una «sconfitta» si può trasformare in un' occasione di crescita professionale. In quest' ottica è stata condotta una ricerca che ha saggiato, con un questionario, le opinioni sull' errore nella pratica clinica di 173 medici che lavorano in un ospedale romano con più di 500 posti letto. La ricerca è stata condotta grazie al lavoro di un' équipe composta da Sabina Gainotti e Maria Rosaria Spedicato dell' Istituto di igiene dell' Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, da Carlo Petrini dell' Unità di bioetica del Centro nazionale di epidemiologia dell' Istituto Superiore di Sanità, da Pierluigi Paparella della Clinica Columbus, esperto in risk management applicato alla ginecologia ed ostetricia. Sotto esame il numero degli errori, le loro cause, i rimedi, il vissuto dei medici e le conseguenze sulla professionalità e sulle conoscenze in Medicina. La maggior parte dei medici intervistati (53%) esercita da più di 20 anni ed è di sesso maschile (65%). I medici intervistati lavorano in sala operatoria e terapia intensiva (34,7%), nelle degenze mediche e chirurgiche (43%) e nei servizi (20,8%). In molti - il 33% - ammettono di aver commesso errori, o di aver assistito ad errori almeno 1-6 volte l' anno (il 29,6%, addirittura 6-12 volte l' anno), mentre sono pochissimi quelli che sostengono di sbagliare meno di una volta l' anno, solo il 4 per cento. «Va precisato - sottolineano i ricercatori - che a essere presa in esame è solo la percezione soggettiva degli errori da parte dei medici e i dati non sono dunque confrontabili con prove oggettive come osservazione diretta, revisione delle cartelle cliniche, o segnalazione da parte dei pazienti». Gli errori indicati dai medici come «abbastanza o molto frequenti» riguardano le diagnosi (per il 52,6%), la richiesta di esami inutili (50,3%), la prescrizione non adeguata di farmaci (47,4%). I medici esperti segnalano soprattutto errori di diagnosi; i più giovani soprattutto la richiesta di esami inutili, interventi inadeguati, sbagli di prescrizione. Le cause principali di errore? Il troppo lavoro, la mancanza di comunicazione tra colleghi e tra specialità diverse, la superficialità di alcuni operatori. Meno influenti sono giudicati complessivamente il malfunzionamento o l' inadeguata manutenzione delle apparecchiature. C' è, però, da sottolineare che i medici intervistati non cercano «scappatoie»: il 70,5% ritiene importante la responsabilità individuale. Interessante in merito alle cause di errore, le differenze tra i medici più esperti (15-25 anni di servizio) e i più giovani (5-15 anni di servizio). I primi sottolineano soprattutto il poco tempo da dedicare ai pazienti, la complessità delle cure, i conflitti tra colleghi, ma anche la noia. I più giovani chiamano in causa in maniera più rilevante la struttura ospedaliera, il troppo lavoro, la scarsa comunicazione. Per quanto riguarda i rimedi per evitare errori, i medici che lavorano nei servizi, molto sensibili agli sbagli legati a una cattiva organizzazione, sono più interessati degli altri a innovazioni tecnologiche, come l' informatizzazione della cartella clinica e della prescrizione di farmaci. I colleghi che lavorano in sala operatoria, invece, sono più sensibili all' aumento della supervisione sugli operatori e sugli specializzandi. «Per ridurre il numero di errori - sostiene la dottoressa Sabina Gainotti - si dovrebbe soprattutto migliorare lo spirito di gruppo, adottare protocolli condivisi e fare più attività formativa. Nell' assistenza i problemi umani e comunicativi sono più importanti di quelli strumentali». «Anche le conseguenze psicologiche degli errori - sottolinea Gainotti - possono avere un impatto notevole: alcuni medici dopo un errore sostengono di pensarci continuamente (70%), specie i più giovani e quelli che lavorano a stretto contatto con i pazienti. Ma la possibilità di elaborare gli errori parlandone con i colleghi o con i pazienti è ostacolata dalla paura di ripercussioni a livello legale o di carriera». Secondo la ricerca, la maggior parte dei medici si critica aspramente dopo aver sbagliato (66%). Più a disagio i medici esperti rispetto ai colleghi giovani, che però ammettono di ripensare di più all' errore e di consultare più spesso i superiori. «Queste differenze emozionali e comunicative - commentano i ricercatori - sono in linea con l' atteggiamento più conservatore e scettico dei medici più anziani, e con la maggior insicurezza e il bisogno di parlare dell' errore per elaborarlo dei medici più giovani». Tutti, medici maschi e femmine, temono comunque di sentirsi sotto accusa e hanno paura delle conseguenze. Rita ProtoQuante volte *** Il 33% dei medici intervistati ammette di aver commesso errori, o di averli visti, almeno 1-6 volte l' anno Proto Rita