BONCINELLI: UNA VIA COMUNE PER LA SCIENZA - L'IPOCRISIA DEL CONCORSO - TOCCI: UNIVERSITÀ, COSÌ NON VA - ATENEI, PIÙ ISCRITTI E ABBANDONI - LA SCUOLA DEI DISPERSI E DEI BOCCIATI - PROFESSORI, IL BACO DELL'UNIVERSITÀ - ADEGUATI GLI STIPENDI PERI DOCENTI +2,23% - ALBI, REGIA ANCHE ALL'UNIVERSITÀ - SASSARI: SOSPESI I BANDI PER 19 RICERCATORI - SARDEGNA PENALIZZATA DAGLI INVESTIMENTI - LAUREA COL TRUCCO IN INGEGNERIA "NON DIVENTEREMO ARCHITETTI" - LA FORMAZIONE È A METÀ STRADA - ======================================================= UNIVERSITARI E OSPEDALIERI AZIENDA MISTA CON PARI DIGNITÀ - MEDICI PREOCCUPATI PER L'INTRAMURARIA - CORSI SANITARI: RECORD DI RICHIESTE - PERCHÉ NON SOSTITUIRE IL MEDICO CON UN ROBOT? - SANITÀ INTESA MINISTERO-REGIONI PER UNA "ROAD MAP" - PRIMO SÌ AL PIANO SANITARIO: È POLEMICA - OSPEDALI, SCONTRO SUL TRASFERIMENTO - OSPEDALI POCO AMATI - PUBBLICATO IL MANUALE PER AFFRONTARE IL DOLORE - DIABETE: IL GRANDE AFFARE - ACCANIMENTO TERAPEUTICO IN CORSIA - LA TERAPIA GENICA CURA LA PELLE - NUOVO FARMACO PER IL TUMORE DELLA MAMMELLA - FIBROMIALGIA: CONVEGNO A MILANO SULLA PATOLOGIA DEL SUPER-DOLORE - LA FEDELTÀ È UN LUSSO COSTOSO - MICROCRISTALLI BIOLOGICI CONTROLLANO I PIÙ INSIDIOSI BATTERI DEL CAVO ORALE - DENTI RINNOVABILI ANCHE PER I MAMMIFERI? - LA MEDICINA CLANDESTINA - NUOVO METODO PER LA CURA DEL FEGATO - È IN CONTINUO AUMENTO L'OSTEOPOROSI MASCHILE - IL FARMACO ERUDISCE L'RNA - L'ANTICANCRO IMPERFETTO - LA MOLECOLA DELLA GIOVENTÙ - PIÙ VARIABILE DEL PREVISTO IL DNA - DEGENERAZIONE MACULARE SENILE: TROVATO IL GENE DELLA FORMA AGGRESSIVA - SVELATO L' EFFETTO «NOCEBO» - ======================================================= _____________________________________ Corriere della Sera 25 nov. ’06 BONCINELLI: UNA VIA COMUNE PER LA SCIENZA di EDOARDO BONCINELLI La ricerca scientifica e il progresso tecnologico sono autentici valori de ha cultura del nostro tempo. Per quanto riguarda in particolare i codici e le regole della ricerca in medicina, che non può non essere considerata oggi una risorsa di primaria importanza, occorre trovare un'intesa con le più, alte autorità religiose; un'intesa che deve riguardare anche i più importanti temi della bioetica. Questo ha detto in sostanza il presidente Napolitano intervenendo ad una cerimonia che ha avuto luogo al Quirinale nel quadro della Giornata per la ricerca sul cancro. A questo impegno sono dedicate in tutta Italia le giornate di ieri e di oggi. L'evento di quest'anno è centrato. su due temi, uno più importante dell'altro: il ruolo dei geni nella diagnosi e nella terapia del tumore, e la possibilità dischiusasi molto di recente di analizzare e trattare ogni individuo secondo le sue caratteristiche biologiche squisitamente personali e sostanzialmente irripetibili. Stiamo vivendo un momento esaltante per quanto riguarda la scienza della genetica della biomedicina in generale e la lotta ai tumori in particolare. Si tratta di raccogliere i primi frutti pratici di anni di progresso delle conoscenze e per la prima volta c'è la fondata speranza di vincere questa battaglia epocale. Lo ha fatto notare Umberto Veronesi che ha anche accennato alla necessità di difendere la scienza e le sue metodologie dagli attacchi delle forze irrazionalistiche più diverse, che sembrano prendere sempre più piede e rafforzarsi di pari passo con la moltiplicazione dei trionfi della scienza. 11 clima era quindi il più favorevole ad una ponderata valutazione dell'impresa scientifica, dei suoi canoni e dei suoi limiti. E il presidente della Repubblica ha voluto cogliere questa opportunità e fare una dichiarazione che è importante per almeno due motivi: per l'esaltazione dei valori della scienza e per l'esortazione a trovare su tali temi una via comune con le autorità ecclesiastiche. La scienza è uno strumento potentissimo di conoscenza e una fonte di progresso materiale senza precedenti. 5e da una parte questo non lo nega nessuno, dall'altra c'è una certa resistenza a riconoscere anche un suo valore culturale. In questo Paese la cultura è raramente quella scientifica. Il più spesso è quella letteraria, artistica e filosofica, che per motivi che non mi sono stati mai chiari, viene detta umanistica. Nelle parole di Napolitano la scienza e il progresso hanno trovato anche una cittadinanza nella «cultura del nostro tempo». Riconoscere questo e dargli la dovuta importanza crea le premesse per dischiudere le porte ad un dialogo e una concertazione con le istanze religiose. Quello del presidente Napolitano è un chiaro invito alle autorità ecclesiastiche e rappresenta una dichiarazione di disponibilità, scevra da ogni atteggiamento parrocchiale di arroccamento e di chiusura. A nessuno potrebbe dispiacere un accordo, anche solo di massima, fra chi gestisce il patrimonio della fede e della spiritualità dei cittadini e chi ha le responsabilità della salute e del benessere materiale degli stessi. Non si tratta di operare una mediazione fra scienza ed etica, ho sempre sostenuto, ma di avviare un dialogo fra visioni etiche diverse una delle quali è certamente quella rappresentata dalla Chiesa Cattolica. Qualora dal dialogo si giungesse ad una intesa e ad una normativa anche soltanto di principio, la scienza e la medicina non potrebbero che adeguarsi, rallegrarsene e proseguire con più lena e più passione lungo il travagliato cammino della ricerca. Speriamo di poterci presto tutti rallegrare. ______________________________________________ Corriere della Sera 21 nov. ’06 L'IPOCRISIA DEL CONCORSO PER RECLUTARE SERVONO STRUMENTI NUOVI di PIETRO ICHINO Sul Corriere del 14 novembre Francesco Giavazzi ha indicato nelle «regole di reclutamento» attuali uno dei quattro difetti fondamentali del nostro sistema universitario. Lo stesso potrebbe dirsi in riferimento all’intera nostra amministrazione pubblica. Ma è un discorso difficile, perché porta a mettere in discussione niente meno che una regola contenuta nella Costituzione (articolo 97): «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». IL concorso dovrebbe garantire la scelta imparziale della persona migliore tra le disponibili. Ma l'esperienza insegna che nella maggior parte dei casi le cose non vanno affatto così; al punto che molti esperti considerano il metodo del concorso come un ostacolo alla scelta migliore. II problema - va subito chiarito non è costituito soltanto dalla frequenza con cui accade che l'esito del concorso sia inquinato da clientelismi baronali, politici, sindacali o di altro genere. Il fatto su cui occorre riflettere è che il concorso si rivela come un metodo cattivo di scelta anche quando esso si svolge rigorosamente secondo le regole. In primo luogo perché l’idoneità di una persona a un determinato ruolo dipende per lo più da un insieme di qualità e attitudini molto più complesso di quanto si possa accertare e verbalizzare con una procedura concorsuale: questo vale per tutte le figure professionali, dal docente al giovane ricercatore, dal dirigente al fattorino. Quand'anche, poi, le prove concorsuali consentissero di accertare le qualità che veramente contano per la funzione specifica, resterebbe il fatto che la commissione giudicatrice non risponde per nulla della bontà della scelta. Svolto il compito, essa si scioglie; é se il vincitore si rivelerà inidoneo al ruolo, nessuno ne chiederà mai conto ai commissari. IL metodo del concorso è legato all'idea ottocentesca dell'amministrazione pubblica come luogo dove i comportamenti sono soggetti al controllo ex ante di legittimità, ma non al controllo ex post dei risultati prodotti. Oggi sperimentiamo che questo sistema non soltanto non garantisce il risultato ex post, ma di fatto non riesce a garantire neppure un tasso accettabile di legittimità sostanziale, sotto la scorza della (apparente). legittimità formale. Sono davvero pochissimi i concorsi nei quali non vi sia un vincitore designato ben conoscibile già prima del bando. E in qualche caso - occorre dirlo - non è neppure male che le cose vadano così. Ma allora non sarebbe meglio, là dove è possibile attivare un sistema di controllo rigoroso dei risultati, abbandonare questo ferro vecchio, eredità di un sistema amministrativo superato? Così, almeno, chi continuerà a praticare il clientelismo baronale, politico o sindacale, rischierà lo stipendio. Per esempio: pensiamo a un sistema universitario nel quale sia abolito il valore legale della laurea (dove cioè siano abrogate tutte le norme che richiedono quel titolo di studio per accedere a qualsivoglia posto, funzione o beneficio)' e nel quale lo Stato non finanzi direttamente gli atenei, ma dia a ogni diciottenne l’80% del necessario per l'iscrizione a una facoltà universitaria liberamente scelta, a suo rischio. A quel punto potremmo lasciare altrettanto libera ogni facoltà di assumere il personale docente e amministrativo secondo le procedure che essa preferisce: se sceglierà male, gli studenti andranno altrove ed essa dovrà chiudere. Forse, paradossalmente, sarà la prima volta che vedremo dei concorsi veri: magari con minor dispendio di verbali e ceralacca, ma con un impegno sostanziale assai maggiore a selezionare le persone più capaci e più adatte, rispetto alle specifiche esigenze effettive., ______________________________________________ Europa 23 nov. ’06 TOCCI: UNIVERSITÀ, COSÌ NON VA IL CASO• PESANTE J'ACCUSE DEL RESPONSABILE UNIVERSITÀ DEI DS CHE, !N UNA NEWSLETTER, SPIEGA LE RAGIONI DELL'ADDIO. NON SOLO I TAGLI IN FINANZIARIA Tocci sbatte la porta e si dimette, in polemica con Mussi GIOVANNI COCCONI Cari compagni, me ne vado. Lo ha scritto nero, su bianco nella newsletter elettronica dei Ds. Da ieri Walter Tocci non è più il responsabile università e ricerca del partito. Deluso per quello che il governo ha fatto e, soprattutto, non ha fatto. Niente di così grave se non fosse che la lettera di congedo suona come un missile contro il ministro e collega di partito Fabio Mussi, che proprio ieri ha presentato il rapporto sullo stato dell’università italiana. «Gli obiettivi del nostro programma elettorale erano ben diversi» ricorda severo Tocà. «I nostri propositi erano e devono rimanere ambiziosi. In pochi anni enti e università dovrebbero diventare le migliori istituzioni del paese e collocarsi nei punti alti del confronto internazionale. È una delle poche carte che Y Italia può giocare per la crescita civile ed economica. Essa comporta però un grande coraggio riformatore. Non è il tempo dei pannicelli caldi. È necessaria una trasformazione profonda delle regole, delle strutture e della mentalità consolidata negli enti e nelle università». Il bersaglio dell'onorevole Ds non sono solo i tagli in Finanziaria. «Avevamo individuato nella valutazione la leva capace di spezzare l’alleanza perversa tra i vizi e le virtù della nostra accademia, in modo da liberare le migliori energie che oggi sono ingabbiate e favorire un ricambio generazionale basato sul merito. Si tratta di un nuovo approccio che non può convivere con la vecchia logica burocratica ed implica dunque non tanto l’approvazione di nuove leggi quanto la cancellazione di quelle inutili. Se non vuole rimanere un vezzo retorico il primato della valutazione de ve comportare una rivoluzione copernicana nel governo del sistema: si tratta di eliminare l’apparato di controllo normativo e passare alla verifica dei risultati. Solo per questa via la sacrosanta Autonomia potrà finalmente conciliarsi con la sorella smarrita che si chiama Responsabilità». Il j'accuse di Tocci tocca un nervo scoperto. I:Unione in campagna elettorale aveva sventolato la nuova agenzia di valutazione nazionale come l’architrave della riforma universitaria. Più autonomia agli atenei ma anche più responsabilità, e fondi pubblici distribuiti non più solo a pioggia. Ma l’agenzia per ora resta una scatola vuota. «In queste settimane ho lavorato intensamente alla camera per portare correzioni profonde alla Finanziaria, - scrive ancora Tocci - ma il risultato è insoddisfacente. Rimango però fiducioso che al senato si potranno determinare ulteriori miglioramenti». Nella newsletter precedente Tocci puntava il dito anche contro «la parte normativa della Finanziaria, inadeguata perché scritta con la classica mentalità burocratica di codici e codicilli volti a complicare la gestione fino al parossismo... La norma andrebbe citata nei manuali di diritto come esempio di come non si devono fare le leggi, inutilmente complicata, creatrice di stupida burocrazia, inefficace per il controllo della spesa pubblica in quanto si tratta di assunzioni con fondi propri degli enti che non richiedono ulteriori stanziamenti statali». E ancora, «tutte queste norme appartengono ad una vecchia impo-stazione che si poteva ormai superare, avendo scelto la strada,della valutazione. Una volta che si verificano i risultati di enti e università, infatti, dovrebbe diventare inutile scrivere regole tanto complicate. Ma evidentemente l’istituzione dell’apposita agenzia è ancora una semplice aggiunta al vecchio sistema burocratico». E pensare che la strada per cambiare ci sarebbe, scrive Tocci: quella del merito: «Non solo sarebbe la più adatta a governare lo specifico della ricerca, ma sarebbe anche la più semplice da attuare». Resta da capire se Mussi sia d'accordo. «Gli obiettivi del nostro programma elettorale erano ben diversi. Il nuovo approccio non può convivere con la vecchia logica burocratica» «La valutazione è rimasta lettera morta così come il ricambio generazionale basato sul merito. Serve una rivoluzione copernicana» ______________________________________________ Il Sole24Ore 23 nov. ’06 ATENEI, PIÙ ISCRITTI E ABBANDONI Formazione. Oltre 300mila lauree nel 2005 ma uno studente su cinque lascia dopo il primo anno Per il Comitato di valutazione «troppi corsi e poche risorse» Alessia Tripodi ROMA Sempre più giovani scelgono di proseguire gli studi dopo il diploma e nel 2005 i laureati hanno sfiorato quota 301mila. Ma solo uno studente su due è in corso e la percentuale di abbandoni è tornata al livello pre riforma. Resta alta l'età media dei docenti, mentre il numero degli ordinari ha superato quello degli associati. È il ritratto disegnato dal settimo "Rapporto sullo stato del sistema universitario" del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu), presentato ieri a Roma dal ministro dell'Università, Fabio Mussi, insieme con il presidente del Comitato, Luigi Biggeri. Un quadro che descrive «un'università troppo vecchia, statica e localista» ha detto Mussi, puntando il dito contro la moltiplicazione dei corsi, la scarsa mobilità degli studenti e l'invecchiamento dei professori. Secondo il rapporto, a tre anni dalla riforma del "3+2" il sistema «si è stabilizzato»: matricole in leggero calo (332mila nel 2004-2005, contro le 338mìla dell'anno accademico precedente), ma la percentuale di diplomati che si iscrive a un corso di laurea è passata dal 62% del 2001 al 74% del 2005. Dopo la flessione post riforma, il tasso di abbandono è risalito: più di uno studente su cinque (20,7%) non si iscrive al secondo anno. E negli atenei risultano ancora 500mila fuori corso iscritti al vecchio ordinamento (cioè prima del 2001. Nel 2005 sono 130mila i giovani che hanno conseguito una laurea triennale: il 35% nei tempi previsti, il 40% con un anno di ritardo e il 5,1% in anticipo sulla durata legale del corso. L'offerta formativa ha registrato un vero e proprio boom (+86i corsi attivati nel 2004-2005 rispetto all'anno precedente) e per ogni 100 percorsi triennali ne sono partiti 67 del biennio specialistico. Un fenomeno da tenere d'occhio perché «i corsi specialistici - dice il Cnvsu dovrebbero essere attivati solo negli atenei dove l'attività di ricerca è particolarmente sviluppata». Il Comitato rivela che è ormai operativa l'anagrafe dei dottorati di ricerca e che questi ultimi sono aumentati (2.1244 corsi nel 2003-2004 contro i 1.729 del 2000 - 2001 e spesso sono organizzati in consorzi con istituzioni estere. Ma ì dottorandi stranieri iscritti ai nostri corsi rappresentano appena il 3,2% del totale. Il 45% delle borse di studio è finanziata dal ministero, il 39% dall'ateneo che organizza il dottorato e solo il 6% da privati. Più in generale, nel 2004 le università hanno po tuto disporre di risorse pari a quasi11 miliardi di euro, il 4,6% in più rispetto al 2003. Cresce di quasi il 3% il costo del personale e del 5% la spesa per interventi a favore degli studenti, mentre l'incidenza dei finanziamenti ministeriali scende dal 67 al 63%, anche per l'accresciuta capacità degli atenei di attrarre risorse dall'esterno. Negli ultimi 7 anni, poi, i docenti sono aumentati di 11.235 unità (+22,5%) e gli ordinari (19.411) sono diventati più numerosi degli associati (18.982). L'età media supera i 51 anni e l'ingresso in ruolo per un ordinario è ritardato di 6 anni e mezzo rispetto al 1998. Entro dieci anni, dice il Cnvsu, usciranno dal sistema 30mila docenti su un organico attuale pari a 61.167 unità. «Bisogna correggere ciò che non funziona senza ricominciare tutto da capo - ha dichiarato Mussi - e aumentare progressivamente la quota dei fondi ripartiti in base alla valutazione, grazie anche al lavoro della nuova Agenzia prevista in Finanziaria». Ma proprio nella manovra «restano zoo milioni di euro di tagli per università e ricerca -ha detto il ministro - ma finché c'è discussione c'è speranza». _________________________________________________________ La Repubblica 22 nov. ’06 LA SCUOLA DEI DISPERSI E DEI BOCCIATI Per la prima volta il ministero fornisce le cifre sui cosiddetti 'insuccessi' L'indagine campionaria sull'anno 2005-2006 per capire cosa succede in Italia l'istruzione perde 130mila studenti di SALVO INTRAVAIA Oltre 100 mila alunni abbandonano i banchi ad anno scolastico iniziato e 300 mila ragazzi rimediano una sonora bocciatura a giugno. Sono questi, in sintesi, i numeri della cosiddetta dispersione scolastica in Italia. Il ministero della Pubblica istruzione per la prima volta ha reso noto un quadro abbastanza completo sull'insuccesso scolastico. Lo ha fatto attraverso un'indagine campionaria sugli esiti dell'anno appena concluso (il 2005/2006) che ha il merito di fornire, oltre ai già noti tassi di bocciatura, anche le percentuali dei ritirati, il nocciolo duro della cosiddetta 'dispersione scolastica'. "Per approfondire il tema della dispersione scolastica e descriverne le dinamiche evolutive il ministero della Pubblica istruzione ha condotto un'indagine campionaria sugli esiti degli scrutini nelle scuole secondarie di primo e secondo grado statali e non statali paritarie su tutto il territorio nazionale". Lo studio illustra la dispersione attraverso semplici percentuali che tradotte in numeri danno un'idea abbastanza precisa del fenomeno su cui il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, si è soffermato più volte in questi primi sei mesi di legislatura. La dispersione. Oggi, gli esperti preferiscono parlare di insuccesso scolastico. Si tratta di un fenomeno dagli elevati costi economici e sociali come ha avuto modo di dire recentemente il Commissario europeo per l'istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Jan Figel: "Se dimentichiamo la dimensione sociale dell'istruzione e della formazione, rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative". Rientrano nella contabilità dei 'dispersi' i bocciati, coloro che abbandonano le aule scolastiche a metà anno e i cosiddetti evasori, coloro che pur essendo in età scolare (in alcuni casi addirittura in 'obbligo scolastico') non si sono mai iscritti a scuola o non hanno frequentato neppure un giorno di lezione. Nella statistica ministeriale è l'unica voce che manca all'appello. Nel computo dell'insuccesso scolastico, al superiore, rientrano anche gli ex rimandati, ora promossi con debito. I dati. Secondo l'indagine effettuata su un campione di 2.305 scuole italiane (1.279 scuole medie e 1.026 superiori), nell'anno scolastico 2005/2006, 7 ragazzini della media su mille hanno preferito abbandonare gli studi a metà anno e il 3 per cento non è riuscito ad ottenere la promozione. Ma la lettura del successo scolastico, alla media, passa anche attraverso l'esito dell'esame finale. Il 63 per cento è stato promosso con votazioni medio-basse e addirittura uno su tre (il 37 per cento) col minimo: 'sufficiente'. La situazione peggiora al superiore dove i 'non ammessi' (i bocciati) schizzano all'11,6 per cento e i ritirati al 4,2. Enorme anche il numero di studenti che se ci fossero ancora gli esami di riparazione a settembre dovrebbe ancora conquistarsi la promozione all'anno successivo. Il 42,1 per cento dei ragazzi dei primo quattro anni è promossa con debito. Si tratta di percentuali che tradotte in numeri portano a oltre 100 mila ritirati (12 mila alla media e 90 mila al superiore) e 300 mila bocciati: 51 mila alla media e 250 mila al superiore. Quasi un milione i ragazzi del superiore 'promossi con debito'. Ma quali sono gli scogli più difficili da superare? Alla scuola media è il secondo anno il più ostico da affrontare e al superiore il primo. In Italia, sono le regioni del Sud, con in testa le Isole, a fare registrare i livelli più alti di dispersione. I dati confermano anche la maggiore bravura delle ragazze nei confronti dei compagni di sesso maschile. Ma anche la dimensione della scuola ha la sua importanza: alla media, il numero di bocciati e ritirati aumentano al crescere del numero di alunni che frequentano la scuola. Al superiore sono i ragazzi dei licei i più bravi, con meno bocciati e 'pochì promossi con debito. Dall'indagine condotta da viale Trastevere fanno un figurone gli istituti privati. Mediamente per le medie e superiori paritarie si registrano tassi di bocciatura e di abbandono pari alla metà dei corrispondenti valori delle scuole statali. Prof più bravi e più accondiscendenti? I costi. Se un ragazzo si ritira al terzo anno del superiore brucia oltre 15 mila euro. Costo che per ogni bocciatura cala a circa 5.100 euro. A conti fatti la dispersione scolastica costa al sistema Paese qualcosa come 3,5 miliardi di euro l'anno. Una cifra che, da sola, sfiora il 10 per cento dell'intero bilancio del ministero della Pubblica istruzione. ______________________________________________ Europa 21 nov. ’06 PROFESSORI, IL BACO DELL'UNIVERSITÀ Il voto di laurea ha perso il ruolo di meccanismo segnalatore della qualità dello studente: le aziende non lo utilizzano più Un sistema di reclutamento della classe docente è finito nelle mani di gruppi di potere Di università e di ricerca parlano tutti: sui giornali e nei dibattiti televisivi imperversano opinionisti, giornalisti, politici, imprenditori, professori che discutono di un binomio dato oramai per acquisito: declino della competitività del sistema Italia penuria di fondi per la ricerca. La base di questa convinzione è solida: appena l’1,1 per cento del Pil italiano è destinato alla ricerca, valore ben lontano da quello programmato nell’agenda di Lisbona per il 2010 (3 per cento) e da quelli degli altri paesi europei. Questo dibattito, denso spesso di luoghi comuni, e assenza di azioni concrete hanno contribuito a svilire il contenuto stesso delle parole ricerca/università nella percezione degli italiani: negli ultimi vent’anni, a causa soprattutto delle carenze del sistema universitario, si è fatta avanti l’idea che i professori universitari siano dei fannulloni interessati a preservare i loro privilegi, e in alcuni casi persone di malaffare, più in generale l’idea che Yaccre5cimento della conoscenza sia un valore ha subito un evidente appannamento. Come spesso succede: se se ne parla tanto e non si agisce, allora significa che non è poi così importante. Se gettassimo uno sguardo sull’università di oggi, scopriremmo che in molti casi i luoghi comuni forniscono una immagine falsata e che le risorse limitate rappresentano sì un problema ma non sono né runico né forse il più importante dei problemi. Negli ultimi venti anni, uri ampia autonomia è stata riconosciuta agli atenei, autonomia che ha riguardato sia gli ordinamenti didattici sia gli aspetti finanziari. Lo stato può indirizzare il comportamento delle università controllando il processo con cui si giunge a produrre formazione o controllando i risultati. Il baco dell'evoluzione dell'università negli ultimi vent’anni sta tutto nell'aver voluto controllare il processo e non i risultati e nell’aver approntato meccanismi di controllo inefficaci che sono divenuti ostaggio dei controllati: la classe docente. La classe docente non è un’accolita di persone di malaffare e di fannulloni, semplicemente controlla se stessa. La normativa ha concesso ampia autonomia alle università in merito a corsi da attivare, definizione degli organici ecc.'. Il ministero ha controllato il sistema principalmente tramite tre strumenti: a) fondi trasferiti agli atenei in misura indistinta senza meccanismi premianti la qualità, b) riforma degli ordinamenti che ha sostituito la vecchia laurea con una laurea di primo livello (3) ed una di secondo livello (+2), la cosiddetta riforma del 3+2, riforma che ha tentato di ridurre i tempi di laurea e di rendere il primo livello di studi vicino al mondo del lavoro, c) nuove norme per la selezione del corpo docente. Il risultato di un sistema di allocazione dei fondi non premiante le scelte di qualità, dell'autonomia finanziaria e di una riforma del 3+2 mal concepita e affidata completamente alla cura della classe docente è stata una perversa corsa al ribasso nella qualità dei corsi di studi: impoverimento dei programmi, compressione delle materie formative a vantaggio di quelle professionalizzanti, voti degli esami e della laurea elevati, proliferazione dei corsi di studi (passati da 2.444 nel 2000 a 5.434 nel 2005), di sedi locali e di atenei (passati da 41 ad 80 in sette anni), riconoscimento di crediti con manica larga tramite convenzioni ad hoc, assenza di percorsi di eccellenza per quelli che intendono impegnarsi in un progetto formativo su 5 anni con un impoverimento della formazione degli studenti più in gamba, progetti di laurea di secondo livello mal formulati, elevato numero di studenti che proseguono gli studi dopo la laurea di primo livello (79 per cento), il sistema di reclutamento della classe docente è finito nelle mani di gruppi di potere e ha generato cose che tutti conosciamo: nepotismo, assenza di meritocrazia e corruzione. Le responsabilità di questa evoluzione è in larga misura da attribuire alla classe docente che gode di un potere quasi insindacabile in materia di didattica e reclutamento. Autoreferenzialità e modesta accountability della classe docente sono il problema. I dati a livello aggregato confermano un bilancio non esaltante: dopo l'adozione del 3+2 si è registrato. un aumento degli immatricolati, passati da 295.000 nel 2000 a 350.000 nel 2004 (valori comunque simili a quelli osservati nei primi anni '90), e dei laureati, passati da 161.000 nel 2000 a 300.000 nel 2005, ma abbiamo anche registrato un aumento dei fuori corsi ed un tasso costante di abbandono di studenti tra il primo e il secondo anno. Anche a seguito di questa evoluzione, il titolo di studio ha perso di valore negli ultimi anni. In particolare il voto di laurea ha perso il ruolo di meccanismo segnalatore della qualità dello studente: l’appiattimento verso il massimo dei voti ha fatto sì che le imprese non lo utilizzino più come discriminante. Questo fenomeno non ci può rallegrare: sì è ridotto il ruolo che l’educazione può avere per introdurre elementi di mobilità sociale: uno studente di valore proveniente da una famiglia meno abbiente non potrà sfruttare come un tempo l’occasione offerta dall'università. Rischio opportunità: il sistema non offre opportunità a chi vuole assumersi rischi. Cosa occorre fare? Aumentare le risorse destinate all'università non risolve tutti i problemi in quanto non affronta gli aspetti strutturali che sono il vero baco del sistema universitario. Urge una operazione Eurostar: come le Ferrovie dello stato hanno fatto introducendo gli eurostar e declassando di fatto gli intercity, occorre costruire su una realtà che oramai si compone di circa 80 sedi universitarie. Dobbiamo prendere atto della liceizzazione della laurea di primo livello e del fatto che le università sono in ogni capoluogo di provincia e crea re un numero limitato di centri di eccellenza a livello di +2 e di dottorato di ricerca concentrando su questi sedi un maggior flusso di risorse. Questa prospettiva non è di destra, come spesso si sente dire, cerca piuttosto di riposizionare l’università rispetto a quelle funzioni che istituzionalmente gli sono state riconosciute. Per fare funzionare il sistema occorre intervenire sulla governance del sistema universitario agendo in quattro direzioni: a) Introdurre un sistema di valutazione non solo della ricerca ma anche della didattica degli atenei. La proposta di una autorità indipendente in materia deve essere resa operativa. Condizionare parte dei fondi trasferiti dallo Stato agli atenei a queste valutazioni. b) Rendere effettiva l’autonomia stabilendo regole chiare riguardo ai trasferimenti dallo Stato agli atenei onde evitare l’intervento ex post del ministero per sanare situazioni fallimentari dovute a mala gestione. c) togliere il potere esclusivo in materia di didattica, ma anche di risorse finanziarie, ai docenti introducendo figure separate dai docenti responsabili del buon funzionamento dei programmi. d) istituire un sistema di borse di studio (o prestiti d'onore) che permetta agli studenti di muoversi alla ricerca dei progetti formativi più interessanti. Questi punti sono la chiave di volta per far ripartire il sistema universitario italiano. Senza queste innovazioni, qualsiasi altro tentativo di riforma sarebbe destinato al fallimento ed un incremento dei fondi produrrebbe effetti limitati. Il tema dell'università non occupa il primo posto nell’agenda di un politico in quanto gli elettori potenzialmente interessati sono limitati e i frutti si vedono nel lungo periodo ma questi temi debbono essere al centro dell'agire di una classe politica responsabile. Dobbiamo una risposta agli studenti che ogni anno si affacciano nelle aule universitarie: chiediamo loro di assumersi dei rischi, di credere nel loro futuro, l’università e la società devono rispondere offrendo delle opportunità. ______________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’06 ADEGUATI GLI STIPENDI PERI DOCENTI +2,23% Una lezione universitaria Adeguati (+2,23%) gli stipendi di universitari e vertici di Polizia ;Stipendi adeguati automaticamente per i docenti e i ricercatori universitari, per il personale dirigente della Polizia di Stato e i gradi di qualifiche corrispondenti, i corpi di Polizia civili e militari, i colonnelli e i generali delle Forze armate. E stato pubblicato, infatti, sulla «Gazzetta ufficiale» n. 270 di ieri, 20 novembre, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 ottobre 2006 che dispone l'adeguamento annuale della retribuzione di questi lavoratori non contrattualizzati. Gli stipendi, l'indennità integrativa speciale, gli assegni fissi e continuativi di queste categorie di personale, in godimento il gennaio 2005, sono aumentati, a partire dal 1 gennaio 2006, del 2,23 per cento. Secondo l'articolo 24 comma 1, della legge 448/98;: la retribuzione dei lavoratori, non contrattualizzati è adeguata di diritto, annualmente, in base agli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati L'onere che deriva per lo Stato da questi aumenti è 'a carico dei relativi capitoli di bilancio delle amministrazioni interessate. ______________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’06 ALBI, REGIA ANCHE ALL'UNIVERSITÀ La riforma degli Ordini. Il Guardasigilli Mastella ha presentato la versione aggiornata del progetto Toccherà a Mussi raccordare titoli di studio e abilitazione Laura Cavestri MILANO Poche correzioni che, nella sostanza, dribblano gli emendamenti ricevuti da Ordini e associazioni, ma sanciscono il ruolo imprescindibile del ministero dell'Università nel collegamento tra la disciplina universitaria e quella professionale, ricucendo la questione di competenza con la Giustizia (si veda «II Sole-z4Ore» dell'u novembre). E questa la novità più evidente dello schema di disegno di legge delega per il riordino delle professioni, illustrato ieri sera dal Guardasigilli, Clemente Mastella ai vertici di Ordini e associazioni, a una settimana dalla scadenza dei termini per la consegna delle proposte di emendamenti, che, per la maggior parte, non hanno trovato accoglimento. ««II testo-ha spiegato Mastella- è frutto di un'ampia intesa con gli altri ministeri. In mattinata (di oggi, ndr) il testo sarà consegnato al presidente del Consiglio». Se non ci saranno intoppi, potrebbe essere al vaglio di Palazzo Chigi entro venerdì. Resta infatti la trattativa con l'Università e con la Sanità sulla tenuta del registro delle associazioni (su cui, per alcuni settori, si starebbe valutando una "gestione condivisa"). Gli articoli passano da otto a nove. L'articolo 5 conferisce al ministro dell'Università un ruolo insostituibile nell'emanazione dei decreti di coordinamento tra la normativa universitaria e quella libero-professionale, «procedendo, ove necessario, alla revisione delle norme sulle classi di laurea». Si prevede anche la possibilità di svolgere il tirocinio presso un professionista con almeno quattro anni di anzianità in Albo e, in parte, durante l'università ma anche di istituire sezioni degli Ordini riservate «ai titolari di laurea» triennale o specialistica Solo le associazioni iscritte nel Registro, infine, potranno rilasciare attestati di competenza. Resta la previsione di una società ad hoc per le professioni ordinistiche e si apre la strada a «strumenti societari temporanei» per coagulare competenze finalizzate a specifici progetti. Ribadito il no alle società miste con i "senza Albel", l'apertura al socio di capitale è garantita ai profili non regolamentati e alle sole "società tecniche", come già prevede la legge io9/94. Delusi Ordini e associazioni per il mancato accoglimento degli emendamenti, riconoscono però il testo come «un punto di partenza» migliorabile. E si danno appuntamento alla Camera dove Giuseppe Lupoi (Colap) spera che «il provvedimento sia incardinato prima possibile e approvato, almeno da un ramo, entro Carnevale». Raffaele Sirica (Cup) si dice «deluso per il mancato recepimento delle proposte degli Ordini» e rimarca «l'eccesso di delega nelle mani del Governo a fronte di una mancata concertazione». Insoddisfatta per l'assenza di modifiche anche l'avvocatura. Per Marina Calderone (consulenti del lavoro) va tutelata la tipicità degli Ordini quali «enti pubblici non economici». Per dottori commercialisti e ragionieri «si continua a non capire la differenza tra Ordini e associazioni, che vanno riconosciute solo se non si sovrappongono alle attività degli iscritti in Albi». Rassicura Gaetano Stella (Confprofessioni) «la centralità degli Ordini e il riconoscimento di associazioni che dovranno dare garanzie di rappresentatività», mentre per Giorgio Berloffa (Assoprofessioni) «il testo è molto positivo». Infine, Ennio Lucarelli (Confindustria-Servizi innovativi) non nasconde amarezza sul fronte delle società: «invece di aprire le professioni ordinistiche all'apporto del capitale, delineando le eccezioni, lo si preclude a tutte: a danno della competitività». LA CONCERTAZIONE Categorie deluse per il mancato accoglimento delle proposte di modifica Il testo pronto per essere inviato a Palazzo Chigi LE PRINCIPALI NOVITÀ , IL RACCORDO CON L'UNIVERSITÀ . I decreti legislativi sul coordinamento tra la normativa degli studi universitari e la disciplina delle professioni intellettuali sono emanati su proposta del ministro dell'Università e della ricerca, di concerto con la Giustizia e del ministro competente per il singolo settore LA MAPPA DEGLI ORDINI L'istituzione di sezioni di Ordini, Albi e Collegi sarà effettuata con provvedimenti emanati su proposta dei ministri dell'Università e della Giustizia, di concerto con il ministro competente per il singolo settore. I criteri direttivi: istituire sezioni degli Ordini; Albi e Collegi riservate ai titolari di laurea e di laurea magistrale o specialistica; determinare t'ambito di attività professionale il cui esercizio è consentito per effetto dell'iscrizione nella sezione IL TIROCINIO Il dominus del praticante dovrà possedere un'anzianità di iscrizione di almeno quattro anni. 5iprevedono inoltre, per il tirocinio, attività formative organizzate dalle università, con la possibilità di effettuare parzialmente il tirocinio contemporaneamente all'ultima fase degli studi universitari ASSOCIAZIONI TEMPORANEE D'IMPRESA Le società tra professionisti possono essere temporanee, garantendo l'esistenza di un centro di imputazione di interessi in relazione a uno scopo determinato ______________________________________________ La Nuova Sardegna 19 nov. ’06 SASSARI: SOSPESI I BANDI PER 19 RICERCATORI Università, i sindacati sul sentiero di guerra SASSARI. Come un fulmine a ciel sereno, gli organi accademici dell'università hanno deciso all'ultimo momento di sospendere i bandi di concorso per 19 ricercatori da inserire nell'organico. Una decisione presa poche ore prima dello scadere dei termini utili per l'inclusione nelle procedure ministeriali della terza tornata nazionale del 2005 per i concorsi per ricercatore e che ha quindi impedito qualsiasi intervento correttivo. Un impoverimento per l'ateneo sassarese in un momento di difficoltà anche a causa del proliferare di altre facoltà e dell'arrivo di ingenti finanziamenti nell'università di Cagliari. Una decisione che ha fatto scattare immediatamente la mobilitazione. Il sindacato Flc-Cgil ha convocato per lunedi 20 alle ore 15,30, nella sede di via Rockfeller 35, gli iscritti e tutti i docenti e tecnici amministrativi interessati al problema per fare un'approfondita analisi del problema e valutare le iniziative da intraprendere. All'incontro hanno assicurato la partecipazione anche alcuni componenti del Consiglio d'amministrazione dell'ateneo sassarese. La decisione degli organi accademici dell'università ha improvvisamente riproposto alcune tematiche particolarmente rilevanti quali la situazione del precariato, il corretto rapporto fra gli organi di consultazione, gestione e amministrazione dell'Università e la trasparenza delle attività di programmazione e, infine, l'utilizzazione delle risorse. ______________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’06 SARDEGNA PENALIZZATA DAGLI INVESTIMENTI I programmi. Si cercano sinergie fra Università e centri di ricerca Non solo Poligoni militari in rete, ma Università e Centri di Ricerca per le sperimentazioni nel settore aero-spaziale. Il generale Landi parla da manager dual use più che da ex comandante del Poligono. «La realizzazione di un complesso per la sperimentazione aerospaziale avrebbe effetti positivi sulle attività e sullo sviluppo delle facoltà scientifiche delle Università sarde e dei centri di ricerca come Polaris. Si pensi a quanto si potrebbe fare utilizzando una piccola flotta di velivoli dotati di apposita strumentazione su cui provare in volo tecnologie e apparati realizzati in Sardegna». La scure dei tagli, che si è abbattuta anche sulla Difesa, non dovrebbe, a detta del generale Landi, compromettere il progetto. «Se si creano i presupposti di un clima di collaborazione, le industrie porteranno in Sardegna i propri tecnici per sperimentare i nuovi velivoli e sistemi spaziali civili. Viene da chiedersi come mai l'industria aerospaziale nazionale limiti la sua presenza in Sardegna a pochi tecnici, mentre i grandi investimenti ricadono sul Nord o su poche regioni del sud Italia». __________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 23 nov. '06 LAUREA COL TRUCCO IN INGEGNERIA "NON DIVENTEREMO ARCHITETTI" Università. Affollata assemblea in piazza d'Armi: la facoltà non garantisce la specialistica Studenti in rivolta "Ci hanno preso in giro, ci hanno nascosto che questo titolo non vale" Niente specialistica. E quindi nessuna possibilità di accedere all'esame di stato per l'iscrizione all'albo degli ingegneri e degli architetti per gli scritti alle lauree triennali di Architettura e Ingegneria edile e Ingegneria edile-architettura. O almeno non c' È la "certezza" di avere la specialistica, anche se, urlano infuriati centinaia di studenti, "in segretaria al momento dell'iscrizione ci era stato detto il contrario". ASSEMBLEA MOVIMENTATA ieri nell'aula magna della facoltà di Ingegneria. Il tam tam sul futuro della spendibilità delle loro lauree ha serpeggiato a lezione, nel piazzale e nei corridoi della facoltà. Fino all'a ssemblea di ieri. Fino al confronto con il preside di Ingegneria Francesco Ginesu e Carlo Aymerich, docente della neonata facoltà di Architettura. "Abbiamo difficoltà a garantire la specialistica", ammette Ginesu, "per i corsi triennali di Ingegneria edile e Edilizia e Tecnologie per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali in Architettura. Faremo comunque il possibile per avviare un dialogo col Rettore per vedere se esistono le risorse (fondi e docenti) per istituire le specialistiche". Senza le quali gli studenti non possono iscriversi all'albo professionale. "Purtroppo", ha ammesso poi Aymerich, "c'era la necessità di far partire subito Architettura perch‚ l'approvazione imminente della finanziaria avrebbe bloccato l'istituzione di nuove facoltà. Architettura invece serviva assolutamente per Cagliari e per la Sardegna". Secondo il docente tutto era chiaro già dall'inizio: "Sarebbe stato sufficiente leggere con attenzione il manifesto degli studenti pubblicato on-line". Ma gli studenti non ci stanno e accusano e uno alla volta s'impossessano del microfono e passano al contrattacco. "Mi È stato dato prima il bando di selezione e in merito non c'era scritto nulla sulla specialistica in forse ", denuncia un futuro (forse) ingegnere, "così come nel manifesto e nel libretto che ci hanno consegnato. Ora dovrei passare a Ingegneria civile mi accettano solo tre esami. Mi secca dover perdere un anno". E gi— applausi. "Avete detto che Cagliari e la Sardegna avevano bisogno di Architettura, ma come mai allora", chiede una studentessa, "le materie sono le stesse di Ingegneria? Non È che si tratta solo di una manovra?". Ancora applausi. Insomma anche i prof sono costretti ad ammettere che si tratta di disguidi fisiologici di una fase transitoria. Per gli studenti ora la speranza È che Ginesu riesca a far partire le specialistiche. Centinaia di studenti lo aspettano al varco. Ennio Neri ______________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’06 LA FORMAZIONE È A METÀ STRADA Michele Colasanto Università Cattolica di Milano Quest'anno il Rapporto Isfol traccia dieci anni di ~:bilancio per la formazione, che cosa ne esce? Dal 1997 e dal «pacchetto Treu» il sistema complessivamente si è implementato: dieci anni fa si parlava di «formazione che non c'è», adesso la formazione continua c'è, i fondi interprofessionali ci sono, la formazione professionale è un po' più sviluppata. Manca una legge quadro, una struttura di accreditamento, bisogna lavorare all'analisi dei fabbisogni a a cultura della qualificazione professionale è cresciuta comunque. Però leggendo il rapporto si ha l'impressione di un'Italia in bilico tra opportunità aperte e il rischio di fermarsi. È vero, un po' questa sensazione c'è: in parte è legata all'evoluzione complessiva del sistema scolastico, che purtroppo è la base su cui si costruisce ma, nonostante questo, la formazione professionale ha dimostrato una capacità di compensazione dove la scuola produceva dispersione. Dove c'è, la formazione professionale comincia a funzionare. È passata al vaglio del Fondo sociale europeo, c'è stato un innalzamento della qualità legato alle azioni di sistema, non è più quella degli scandali di dieci anni fa per quel che riguarda la formazione iniziale. Sulla formazione continua, la qualità non è ancora perfettamente monitorata. Si può dire che comincia a esserci un avvio di sistema. Nella formazione degli adulti ci sono elementi di crescita. I rischi invece sono legati al fatto che ci si fermi, che l'investimento in formazione, nonostante quel che si dice continuamente, resti in secondo piano, soprattutto gli investimenti di tipo innovativo. Occorrono modalità nuove di organizzazione dell'offerta formativa in filiere organizzate rispetto ai, comparti per far sì che l'investimento sia più efficace. Si devono creare campus, poli di eccellenza, perché le politiche dei fattori da sole pagano sì, ma in tempi relativamente lunghi: Sarebbe meglio che ci fossero punti di finalizzazione. Alcune regioni lo stanno facendo. Un esempio sono i poli del mare. Parliamo degli Ifts? Finora la qualità c'è stata, quindi vanno consolidati. Alcune di queste esperienza vanno incorporate meglio in situazioni di comparto, integrate con sistema scolastico da una parte e formazione professionale dall'altra. I fondi inter professionali sono ancora poco conosciuti. La sfida è una loro integrazione con le politiche regionali. Le parti sociali hanno centralizzato la gestione ma le loro competenze vanno incrociate con la competenza della programmazione che è delle Regioni. Però anche lo spezzettamento in tanti sottosistemi quante sono le Regioni non è un pericolo? E uno dei problemi che hanno impedito di avere un sistema di ' certificazione delle competenze e politiche del lavoro unitarie. Da un po' di tempo la conferenza Stato-Regioni lavora meglio, ci sono i primi accordi standard. Il punto è decidere cosa le Regioni devono fare la parte della formazione professionale è già loro competenza, ma nessuna Regione è in grado di fare una gestione integrata dell'offerta formativa anche perchè non ha strumenti amministrativi. Sull'apprendistato il Rapporto pone grandi aspettative Quello su cui si punta è l'apprendistato professionalizzante, non quello diritto-dovere. Una via alla prima qualificazione tramite l’appendistato va ripensata. Ci sono speranze per il professionalizzante se si recupera la direzione formativa. L'alto apprendistato comincia a funzionare, è un segnale confortante. Ma qual è il suo giudizio finale ? Trovo che il Rapporto registri bene i progressi e la strada fatta. Forse si ferma un po' di fronte alla frontiera, la formazione professionale deve integrarsi di più e meglio con le politiche del lavoro, sociali e il nuovo welfare. R.San. ======================================================= __________________________________________________ Unione Sarda 22 nov. '06 UNIVERSITARI E OSPEDALIERI AZIENDA MISTA CON PARI DIGNITÀ Rosa Ermini* Il previsto avvio dell'Azienda mista ospedaliero-universitaria sta avvenendo in ritardo. Siamo l'unica Regione in Italia che non l'ha costituita, non senza polemiche e indubbiamente senza un adeguato coinvolgimento di tutte le componenti nella discussione e nelle decisioni. Eppure a settembre 2004, in ottemperanza al Decreto legislativo del 30 dicembre 92, numero 502, e al successivo numero 517 del 1999 È stato stipulato un protocollo d'intesa che impegna la Regione e le Università degli studi di Cagliari e di Sassari alla programmazione concertata delle attività assistenziali anche tenendo conto delle attività di didattica e di ricerca nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia attraverso la costituzione di una Azienda Ospedaliero - Universitaria. La finalità dell'Azienda mista È dunque quella di promuovere e disciplinare l'integrazione dell'attività assistenziale, formativa e di ricerca tra il Servizio sanitario regionale e le Università della Sardegna. In tale occasione si È puntualizzato che le parti si impegnano ad operare per giungere ad una ottimale integrazione tra le attività istituzionali e quelle assistenziali e al rispetto della normativa sulle pari opportunità di trattamento in materia di lavoro. Nel Protocollo d'intesa vengono chiaramente precisati i criteri e le modalità di costituzione della futura Azienda, il cui modello di gestione È quello dipartimentale. Invece, nonostante le ripetute assicurazioni da parte del rettore e del preside della Facoltà di Medicina e chirurgia di Sassari per il coinvolgimento della componente ospedaliera, sui media e sui mezzi di stampa È comparsa una dichiarazione del Preside nella quale si affermava che, nella costituenda Azienda mista, non doveva esserci una pari dignità e opportunità di lavoro fra la componente ospedaliera e quella universitaria. Al contrario il principio del Protocollo d'intesa, e della Legge nazionale, È quello di considerare equamente le risorse e di distribuire gli incarichi sia alla componente universitaria che a quella ospedaliera, poich‚ entrambe contribuiscono a conseguire l'obiettivo aziendale che È quello dell'organizzazione dell'assistenza e della sua integrazione con la formazione e la ricerca. Se questi principi non saranno salvaguardati, non potrà nascere un'azienda che sia in grado di ottemperare ai compiti a cui È preposta e che risponda ai requisiti che le norme europee impongono. Su queste basi il personale ospedaliero non potrà confluire in una Azienda che non ne rispetta e ne riconosca il ruolo. Ô chiaro quindi che il Protocollo d'intesa deve essere rispettato e applicato in ogni sua parte e che i ruoli delle due componenti ospedaliera e universitaria debbano essere assolutamente paritari e senza alcuna marginalizzazione o subordinazione di una componente a vantaggio dell'altra. I medici ospedalieri già operanti nell'Università auspicano che queste istanze vengano recepite dalle parti interessate e dalle Istituzioni e che si apra un dialogo costruttivo fra le parti allo scopo di contribuire attivamente alla nascita nella nostra Regione di due strutture nuove che migliorino la qualità dell'assistenza per il cittadino e garantiscano una adeguata formazione sanitaria, nel rispetto di tutte le componenti che andranno a farne parte. *Presidente segretario Ass. dei Medici Ospedalieri operanti in ambito universitario __________________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. '06 MEDICI PREOCCUPATI PER L'INTRAMURARIA Attività in studio. Serve la proroga ROMA Prove tecniche di dialogo tra il ministro della Salute e i medici ospedalieri sulla libera professione nel Ssn. Dopo il vertice di lunedì con le Regioni, Livia Turco ha incontrato ieri tutte le sigle sindacali di categoria. Che hanno un assillo: come esercitare la libera professione dopo il 31 luglio del 2007, quando scadrà la possibilità di svolgerla dentro gli studi professionali. Il ministro ha rassicurato la categoria, che per• attende le Regioni alla prova dei fatti: la realizzazione di spazi "interni" alle aziende e la promessa (da mantenere) di trovare locali in affitto. Solo un primo approccio, quello di ieri. Che non ha affrontato il tema della governance sanitaria (in particolare: l'esclusiva obbligatoria, per tutta la durata del contratto, per i primari) ma che, non solo incidentalmente, ha riguardato l'opzione dell'esclusività del rapporto col Ssn: il termine scade il 30 novembre, tra soli otto giorni, e comunque tra un anno, se le cose non cambieranno, si riproporrà. I medici fremono, ma per il ministero qualsiasi problema potrà essere risolto prima del 31 luglio 2007. Con la necessità, peraltro, di arrivare a una nuova legge. Per non dire della capacità in sede locale di spendere tutte le risorse (826 milioni) stanziati per la realizzazione delle strutture interne per la libera professione: finora È stato speso appena il 60% dei fondi, con i soliti gap regionali. "La libera professione È un diritto e un'esigenza anche per il Ssn", È la tesi del ministero che È piaciuta ai sindacati. La possibilità affiorata È che comunque dopo il 31 luglio del prossimo anno, se non ci saranno gli sazi "interni", sarà data la possibilità di esercitare la libera professione in poliambulatori organizzati ad hoc. I sindacati aspettano i prossimi passi. "Ô una buona partenza per un percorso da compiere insieme. Poi vedremo in concreto le proposte", afferma con cautela Carlo Lusenti, segretario nazionale dell'Anaao. Intramoenia a parte, la "questione medica" impazza. Su un fronte, quanto meno: quello dell'Ecm (formazione continua) che rischia di bloccarsi e sulla quale la Turco ha già annunciato una proroga di sette mesi dell'attuale fase sperimentale. Sempre l'Anaao e anche la Fimmg (medici di famiglia) hanno chiesto ieri di non sospendere il cantiere della formazione sottolineando l'utilità del ruolo delle industrie farmaceutiche. ______________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’06 CORSI SANITARI: RECORD DI RICHIESTE Università. Sono 80mila le domande di iscrizione alle lauree a fronte di 25mila posti disponibili Chi consegue il titolo triennale trova lavoro dopo sei Paolo Del Bufalo Area sanitaria: è boom di richieste per l'iscrizione ai corsi di laurea 2006- 2007. Le professioni sanitarie (infermieri, ostetriche e tecnici) sono le più gettonate: circa 8omila domande (l'anno scorso non raggiungevano le 76mila) per 25.048 posti. Ma anche medicina e odontoiatria non scherzano. In questo caso i posti a bando sono diminuiti per la razionalizzazione chiesta dagli Ordini come arma contro la disoccupazione e, soprattutto, la sottoccupazione. Ma i giovani non sembrano avere dubbi: sale del 13% il numero delle domande per medicina, da 47mila a oltre 53mila domande per 7.400 posti e del 18% quello delle domande per odontoiatria, da i4mila a i6mila, su 820 posti a bando. E sulla scena fanno il loro ingresso anche due nuove facoltà di medicina a Salerno e Campobasso, che però non hanno aumentato il numero di posti: i loro 115 bandi sono stati detratti dalle Università di Roma, Napoli e Chieti. Il dato emerge dalla rilevazione effettuata dalla Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, che ogni anno traccia il bilancio delle nuove iscrizioni. Tuttavia per i medici, secondo la Federazione nazionale degli Ordini, rispetto all'attuale situazione di "pletora", comincia a farsi strada anche la teoria che l'effetto dell'incrocio di un turnover medio di8mila dottori l'anno con il ridotto numero di medici in formazione, porterà tra il 2014 e il 2026 allaperditadicirca7omila unità, concentrate soprattutto nella medicina generale, che, quindi, dovrà essere del tutto riorganizzata: $Per gli odontoiatri invece sono proprio i rappresentanti ordinistici a lanciare una proposta provocatoria per non, lasciare "senza clienti" molti dentisti: «Da tempo chiediamo - dice Giuseppe Renzo,presidente del la commissione odontoiatri della Fnomceo - di chiudere almeno il 5o% dei corsi di laurea, spesso inadeguati e non in grado di garantire il tirocinio pratico». Grande richiesta e nessun problema occupazionale, invece, per le 22 professioni sanitarie, che consentono l'accesso al lavoro dopo circa sei mesi dal titolo. Per loro, rispetto allo scorso anno sono aumentati anche i corsi da 443 a 466 (+5%) e le sedi formative da 721 a 789 (+9%). Le professioni più ambite sono quelle di fisioterapista, con 10 domande per ogni posto a bando,logopedista con nove domande per posto e dietista, con 6,5 domande. Poi, ci sono tecnico di radiologia (5 domande per posto), ostetrica (4), terapista della neuropsicomotricità nell'età evolutiva (3,3) e infermiere pediatrico (3,0). Nella parte "bassa" della classifica restano: tecnico della riabilitazione psichiatrica (2,4) e infermiere, che però per la prima volta raggiunge le due domande per posto. Seguono il tecnico di laboratorio e di fisiopatologia cardiocircolatoria (1,7),l’ortottista e il tecnico della prevenzione O,5), il podologo (1,3), l'educatore professionale e il terapista occupazionale (1,2), il tecnico di neurofisiopatologia 1,1, quello ortopedico e l’audioprotesista 1. Chiudono la classifica il tecnico audiometrista (0,5) e l'assistente sanitario con appena 0,4 domande per un posto. «Rispetto allo scorso anno – spiega Angelo Mastrillo, segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie -resta ancora eccessivo il divario di programmazione tra Regioni e categorie e per quanto riguarda le Università, ci sono ancora dubbi su alcune sedi per le quali il ministero dovrebbe attivare maggiori controlli per autorizzare solo quelle in possesso di tutti i requisiti di idoneità delle strutture, evitando di attivare i corsi con palesi carenze di personale e dei laboratori necessari alle attività minime di tirocinio». __________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. '06 SANITÀ INTESA MINISTERO-REGIONI PER UNA "ROAD MAP" Nuova strategia sulle liste d'attesa Entro luglio arriverà lo stop all'intramoenia dei medici Asl Roberto Turno ROMA Una nuova road map per le liste d'attesa. Conferma assoluta dei tempi (31 luglio 2007) per l'abolizione dell'attività intramoenia dei medici del Ssn nei propri studi e ancora due mesi di tempo alle Regioni (fino al 31 gennaio) per adottare i piani di applicazione del "decreto Bersani", la cosiddetta manovrina di luglio. Regole "sperimentali" per la formazione continua (Ecm) prorogate di sei mesi, fino al 30 giugno 2007. Livia Turco e le Regioni scendono a patti. Nel lungo e fruttuoso vertice di ieri al ministero della Salute, è stato trovato un primo accordo - ora tutto da realizzare concretamente - per trovare soluzioni almeno parziali ad alcuni dei problemi che angustiano la Sanità pubblica. Questioni affrontate con l'urgenza di scadenze imminenti. E che ancora oggi, nell'incontro che la Turco avrà con medici e operatori del Ssn, affioreranno in ben altro modo che non nel rapporto istituzionale di ieri tra Governo e Regioni. Un vertice, peraltro, quello di ieri, "benedetto" dagli assessori, che hanno riscontrato, come ha fatto notare Enrico Rossi (Toscana, capofila degli assessori alla Sanità o Salute che dir si voglia), l'inversione di tendenza nel rapporto col ministero rispetto a un passato vicinissimo. "Un clima molto buono", ha confermato Giovanni Bissoni (Emilia Romagna). L'intesa, le soluzioni concordate, piacciono in sede locale, tanto che a lungo s' È discusso dell'applicazione del "Patto per la salute", trasposizione di gran parte delle norme contenute nella Finanziaria per il 2007. La pre-intesa di ieri sulle liste d'attesa, È un esempio eloquente di quello che le Regioni considerano un successo. Nel merito, ma anche nella sostanza che si attende. Vale a dire il passo indietro rispetto all'intesa mal digerita del marzo scorso. Dai tempi massimi (90 giorni) per un pacchetto di un centinaio di prestazioni da applicare pressoch‚ subito, s' È deciso di seguire un percorso pi— ragionato. E cio È: i tempi massimi per ottenere una prestazione sanitaria (diritto assoluto dei cittadini) saranno legati a un pacchetto legato al "percorso terapeutico" per la patologie gravi. Due esempi fatti ieri riguardano i tumori e le patologie cardiovascolari. Il tutto, dentro un percorso che prevede entro la metà di dicembre l'indicazione delle patologie gravi e delle relative prestazioni da garantire, con tanto di tempi massimi. Poi, la messa a punto dei piani regionali per il 31 gennaio 2007 e, dopo altri 60 giorni, dei singoli piani delle aziende sanitarie. Contando nel rafforzamento dei Cup (centri unici di prenotazione) e avendo come base di riferimento l'area aziendale, quella provinciale e, in ultima istanza, quella regionale. Sperando sempre che il Sud, il maggior "esportatore" di pazienti, riesca a stare dietro un impegno che in molti casi sarà improbo. Altro capitolo caldissimo: l'attività intramoenia dei medici Ssn negli studi. La decisione concordata, come ha fatto notare l'assessore veneto Flavio Tosi, È di decretare definitivamente lo stop alla libera professione negli studi privati prevista dal "decreto Bersani": le Asl appronteranno gli spazi interni all'azienda, altrimenti affitteranno locali esterni ad hoc. Entro il 31 gennaio, comunque, le Regioni dovranno adottare i piani per applicare lo stop all'intramoenia negli studi dal 31 luglio 2007. __________________________________________________ Unione Sarda 24nov. '06 PRIMO SÌ AL PIANO SANITARIO: È POLEMICA Sacrifici soprattutto per le Asl di Cagliari e Sassari. In progetto cinque nuove case di cura, mentre a Ittiri e Thiesi nasce l'ospedale "leggero" - Maratona nella notte, la minoranza abbandona la commissione Il primo effetto del piano sanitario regionale sarà combattere l'insonnia, almeno quella dei consiglieri regionali. L'approvazione in commissione È arrivata infatti alle quattro del mattino di ieri, dopo diverse giornate di lavori concluse a notte fonda. Ma proprio sul primo voto favorevole al documento (atteso ora dall'esame dell'aula) si arroventa la polemica tra i due poli: alle critiche sul merito, anticipate mercoledì, l'opposizione aggiunge l'accusa all'Unione di aver forzato i tempi con un blitz notturno, dopo che la Cdl aveva abbandonato la commissione Sanità per un contrasto sulla gestione dei lavori. "Ma quale blitz", replica Pierangelo Masia (Sdi), presidente della commissione: "Il piano ci era stato trasmesso un anno fa, e c' È l'esigenza di trasformarlo in legge entro la fine del 2006. Sono loro che hanno lasciato il campo". il votoE il passaggio di ieri sembra davvero aprire le porte a una rapida approvazione definitiva. Col sì della commissione il piano sanitario regionale (dopo il parere del Consiglio delle autonomie locali) potrà essere iscritto all'ordine del giorno dei lavori dell'aula. Presumibilmente, l'assemblea inizierà a discuterlo attorno al 12 dicembre. A meno di assalti alla diligenza dalla stessa maggioranza, il voto finale potrebbe arrivare a ridosso di Natale. Sarà colmato così un vuoto durato oltre vent'anni, quelli trascorsi dall'ultima programmazione complessiva dei servizi sanitari nell'Isola. l'unioneOvviamente soddisfatta la maggioranza, a partire dall'assessore Nerina Dirindin: "Finalmente sarà fissato un sistema di regole, da troppo tempo assenti in Sardegna. La commissione Sanità ha lavorato intensamente, dando importanti contributi al testo". E ieri mattina i commissari di maggioranza, dopo poche ore di sonno, erano nuovamente tutti in Consiglio regionale per dire, in una conferenza stampa, tutti i loro motivi: "Stiamo colmando un arretrato pesantissimo", ricorda il diessino Nazareno Pacifico, relatore del provvedimento, "senza trascurare il parere dell'opposizione. Si tagliano posti letto, ma siamo l'ultima Regione ad adeguarsi ai parametri nazionali. Non farlo significa perdere risorse". Un altro diessino, Silvio Lai, ricorda che "non si chiudono i piccoli ospedali, ma alcuni vengono riconvertiti in strutture di degenza per la fase postacuta. E il servizio per i cittadini sarà ancora migliore, perch‚ andare in un reparto in cui va un paziente alla settimana È anche pericoloso". Secondo Mario Bruno (Progetto Sardegna) "si rafforza il metodo della programmazione: questo È un piano concreto, non un libro dei sogni", mentre per Tore Serra dei Comunisti italiani saranno eliminate "sacche di inefficienza, amministrativa o sanitaria ". la cdlL'opposizione, naturalmente, canta un'altra canzone. "Una simile arroganza non l'avevo mai vista", tuona Antonello Liori (An) dopo l'approvazione in piena notte. La minoranza ha abbandonato la commissione (lasciando cinquanta emendamenti, esaminati e bocciati dall'Unione) nella tarda sera di mercoledì, proprio contro le marce forzate imposte dal centrosinistra. Stava iniziando la discussione sulla rete ospedaliera: "Quando la facemmo con l'assessore Paolo Fadda - prosegue Liori - ci lavorammo per mesi. Non si possono esaminare in poche ore norme che incidono pesantemente sui servizi ai cittadini. La sensazione È che abbiano fatto i tagli ai nemici, premiando gli amici". In aula il centrodestra si prepara alla battaglia: "Abbiamo preferito - spiega l'Udc Roberto Capelli - rinunciare allo scontro in commissione per rendere pubblico, in Consiglio, tutto quel che c' È dietro questo piano sanitario. Che, tra l'altro, È arrivato in commissione in un modo ma È stato poi trasformato dalla stessa Giunta". Piergiorgio Massidda, coordinatore di Forza Italia e vicepresidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul servizio sanitario, teme che sia "un piano molto velleitario, che penalizzerà i cittadini. Se la Finanziaria nazionale confermerà il trasferimento alla Regione della spesa sanitaria, per far quadrare i conti bisognerà tagliare i servizi". Infine Pierpaolo Vargiu, capogruppo dei Riformatori e di fatto il leader dell'opposizione sul tema: "Ô un piano che sembra uscito da Scherzi a parte. Non dà nessuna risposta ai problemi della salute, finge di volare in alto, elenca un migliaio di obiettivi (due righe non si negano a nessuno, senza un centesimo di nuovi finanziamenti)". Di concreto, secondo Vargiu, c' È solo "un centinaio di nuove commissioni tecniche e consulte pronte ad accontentare migliaia di amici, sodali e clientes". Giuseppe Meloni Meno posti letto, tagli anche ai privati Nasceranno cinque nuovi ospedali, ma alcuni di quelli esistenti saranno chiusi e altri riconvertiti. Il piano sanitario passato in commissione, interviene profondamente sulla rete e sui reparti. E su questi aspetti si incentrerà il dibattito anche in aula. Ma il testo contiene anche importanti previsioni sugli obiettivi di salute, ossia le malattie da combattere con maggior intensità. nuovi ospedaliSono previsti a Cagliari, Sassari, Olbia, Alghero e San Gavino. Talvolta per• serviranno per accorpare strutture che cambieranno destinazione d'uso: È il caso del capoluogo regionale e di Alghero. Non scompaiono i presìdi sanitari di Muravera, Isili, Sorgono e La Maddalena: hanno meno di 100 posti letto, ma sono isolati. Invece Ittiri e Thiesi diventano "ospedali di comunità": una struttura leggera, che ospiterà i pazienti nella fase "post-acuta" dopo i primi giorni di ricovero "acuto" in un grande ospedale. posti lettoCalano complessivamente di 722 unità, quasi il 10 per cento di quelli attuali. Sacrificio dettato dai parametri nazionali: il tetto di legge È di 4,5 posti ogni 1000 abitanti, di cui 3,5 per i ricoveri in fase acuta e uno per quella post-acuta (riabilitazione, lungodegenze). In Sardegna siamo oggi al 4,7 totale, e i posti per post-acuti sono quasi inesistenti. Questi ultimi, nella previsione del piano, cresceranno. Ci perderà il pubblico ma anche i privati, per cui sono previsti circa 300 posti in meno: praticamente tutti su Cagliari. Ma anche Oristano cala da 177 a 110: "E vorrei capire perch‚", protesta il consigliere regionale di Forza Italia Mimmo Licandro, "nel momento in cui Olbia, col San Raffaele di don Verz‚, passa da zero a 150. L'Oristanese È pi— popoloso della Gallura". Sempre su quella provincia, per altro, l'esponente azzurro contesta i dati della Giunta: "Dicono che i posti letto complessivi passano da 528 a 600, ma stando ai nostri calcoli ora sono 606". Secondo la tabella approvata dalla commissione, i sacrifici principali li faranno le Asl di Cagliari e Sassari. Cala un po' anche il Sulcis, stabile l'Ogliastra, crescono tutte le altre. Soprattutto Olbia, oggi drammaticamente indietro. Rispetto alla tabella approvata dalla Giunta, la commissione ha fatto poche correzioni: l'unica sostanziale riguarda il Medio Campidano, che guadagna il 10 per cento dei posti letto (da 226 passa a 250). le disciplineFarà discutere anche la distribuzione delle specialità. Saranno presenti in tutte le Asl le terapie intensive e le unità coronariche: lo sviluppo della rete contro le cardiopatie È uno degli obiettivi del piano. Arriverà la radioterapia a Sassari, secondo polo nell'Isola, mentre l'oncologia, a prescindere dalla presenza in molte Asl, sarà organizzata attorno a tre centri: Cagliari, Sassari, Nuoro. obiettivi di saluteDiabete, talassemie, Alzheimer, malattie reumatiche e cardiovascolari: sono alcune delle patologie contro cui il piano sanitario vuol puntare la prua con particolare intensità. Per potenziare la prevenzione e la rete di assistenza. Il problema, sottolinea la maggioranza, sarà ora trovare adeguate risorse nella Finanziaria regionale per coprire interventi concreti. "Altro aspetto rilevante - sottolinea Paola Lanzi, di Rifondazione - È l'attenzione alla persona, per i pazienti ma anche gli operatori. Vogliamo attuare una progressiva riduzione del precariato nella sanità". A questo proposito, un emendamento voluto dalla maggioranza prevede che la Regione o le Asl possano aprire una procedura d'infrazione verso chi non applica i contratti di lavoro del settore o non paga regolarmente stipendi e contributi. (g. m.) "Anche il Civile È a rischio L'università al Microcitemico" Centrodestra. Le tesi del Riformatore Pierpaolo Vargiu Pierpaolo Vargiu (Riformatori), perch‚ sostiene che a Cagliari chiudono quattro ospedali, forse cinque? Sicuro? "Ô un fatto incontrovertibile". Il Piano sanitario parla solo di Marino, Santissima Trinità e Inrca e dice che i primi due saranno chiusi solo dopo la costruzione di un nuovo ospedale. "Santissima Trinità e Marino sono quasi 600 posti. Mi devono spiegare dove andranno a farsi curare i cagliaritani, nella 554?, dove ci sono già altri ospedali?". Il centrosinistra sostiene che non È detto che il nuovo ospedale si faccia fuori. "Tutti sanno che È il contrario. Poi c' È un altro problema". Quale? "Che da qui a quando si farà il nuovo ospedale non si investirà pi— in tecnologia e per anni non si progredirà. Con quali conseguenze?". Lei dice che potrebbe chiudere anche il San Giovanni di Dio. Ma di questo nel piano non c' È traccia. "Secondo fonti ben informate ci sarebbe un tentativo di trasferire i reparti universitari al microcitemico e superare il San Giovanni di Dio. Un fatto che crea inquietudine". Chi lo avrebbe deciso? "Ci• avverrebbe sulla base di un'intuizione di Soru. Se È così dico che francamente di queste intuizioni ci siamo stufati. Non si pu• continuare a sostenere che nessuno degli ospedali cagliaritani vada bene. Possibile che siano tutti da ridimensionare o cancellare?, possibile che la soluzione di tutto sia costruire un ospedale fuori Cagliari?, possibile che il San Giovanni non possa diventare un centro ad alta specializzazione?". Ma in 23 anni, cio È da quando manca un piano sanitario, un po' di cose sono cambiate e gli ospedali sono vecchi, inadeguati e hanno troppi posti letto. Bisognava intervenire o no? "Certo, e fino a che È stato possibile abbiamo collaborato, ad esempio votando la legge sui servizi alla persona, a dimostrazione che il nostro non È un atteggiamento pregiudiziale". Per•? "Per• ritengo che sulla sanità ci sia stato, soprattutto da parte dell'assessore, un atteggiamento estremista. Su ogni proposta di centrodestra e centrosinistra c'era diffidenza, la cultura del sospetto ha impedito di ragionare lucidamente, si È rifiutato il confronto. A questi livelli È meglio non fare politica sanitaria. Pensi al Brotzu". Che c'entra il Brotzu: nel nuovo piano rimarrà un ospedale ad alta specializzazione. "Invece c' È un forte pregiudizio nei confronti un ospedale eccellente. Ricordo che 19 primari su 32 qualche mese fa espressero pubblicamente la loro preoccupazione per il blocco degli investimenti, per il fatto che un ospedale eccellente non fosse considerato nella politica sanitaria". Ma il piano prevede la valorizzazione del Brotzu. "L'assessore Dirindin sostiene che la Sardegna non si pu• permettere un'azienda autonoma". Lei dice che il Binaghi sarà ridotto a un poliambulatorio. "Mi limito ai fatti: hanno trasferito la chirurgia generale, entro febbraio trasferiranno la chirurgia toracica al Businco, hanno previsto di insediare il Centro donna, che si occuperà di pap test e cose simili e il Centro vista". La maggioranza sostiene che il 90% degli interventi di chirurgia toracica riguardano tumori, dunque sia corretto trasferirla all'oncologico. "Senza la chirurgia toracica, la pneumologia non si regge". Condivide l'esigenza di tagliare posti letto? "Si ma i conti sono stati fatti sulla base di parametri a noi ignoti. Avevano fretta, non ci hanno voluto spiegare molte cose". Saranno tagliati posti di lavoro? "Non È questo il problema. Il problema È la stabilizzazione di centinaia di medici precari che fanno lo stesso lavoro degli altri per poche lire e aspettano da anni di essere inseriti in organico". (f. ma.) Il nuovo ospedale fuori città? "E chi l'ha detto. Parliamone" Centrosinistra. Come cambia la geografia della salute Perch‚ avete deciso di cancellare gli ospedali cagliaritani? Alessandro Frau (Progetto Sardegna). "Riconversione non significa chiusura. Ricordo che il Santissima Trinità e il Marino erano nati con altri scopi (uno era una caserma, l'altro un albergo, ndr), hanno molti punti critici e non hanno alcuna possibilità di migliorare". Quindi meglio chiuderli? Frau. "Abbiamo pensato che fosse opportuno smettere di spendere decine di milioni di euro per ristrutturarli e che fosse meglio restituirli alla città per sostituirli con un ospedale nuovo e moderno. Nazareno Pacifico (Ds): "Con i 200 milioni di euro spesi per ristrutturazioni avremmo già costruito uno o due ospedali". Quanto tempo ci vorrà? Frau. "Vorrei che fosse chiaro che prima si costruisce il nuovo ospedale, poi si trasferiscono i pazienti dai vecchi ospedali. Per capirci: nessuno sarà ricoverato per strada". Il nuovo ospedale sarà fuori Cagliari? Pacifico. "Non c' È scritto da nessuna parte che deve essere realizzato fuori Cagliari. Ci sono ragioni per farlo in città e ci sono sollecitazioni dai sindaci dell'hinterland perch‚ si faccia fuori". Il presidente Soru si È pronunciato per l'hinterland. Giomaria Uggias (Dl). "Ricordo che tutti i comuni d'Italia nei loro piani urbanistici prevedono gli ospedali in periferia". Avete provato a sentire le ragioni della città? Pierangelo Masia (Sdi). "Il piano È in discussione da 9 mesi. Ne abbiamo discusso con amministratori locali, rettori, sindacati abbiamo approfondito tutti gli aspetti, tenuto conto del parere di tutti nel limite del possibile". Per• negli ultimi 15 giorni c' È stata un'ondata di modifiche. Pacifico: "Vero, ma migliorative". Il Comune di Cagliari sarà spettatore o protagonista? Pacifico: "Ô chiaro che sarà coinvolto nelle decisioni, anzi avrà un ruolo decisivo. Ricordo che siamo nella prima fase e che stiamo parlando di una prospettiva a lungo termine. Floris ci dica se ha aree a disposizione e quali". Ridurrete il Binaghi a poliambulatorio? Mariuccia Cocco (Progetto Sardegna). "Ô esattamente il contrario. Non solo il Binaghi continuerà ad esistere, ma sarà un centro di eccellenza per la pneumologia". Nel centrodestra si dice che senza la chirurgia toracica, la pneumologia È monca. Mondino Ibba (Sdi): "La chirurgia toracica oggi È prevalentemente oncologica ed È giusto che vada al Businco. Ma il Binaghi non sarà ridimensionato: avrà la possibilità di specializzarsi meglio nelle malattie respiratorie emergenti, come la tubercolosi, che si diffonderà perch‚ legata all'immigrazione, farà meglio l'endoscopia toracica e mediastinica e altro". Ô vero che c' È stato il tentativo di chiudere il Binaghi? Mariuccia Cocco. "C' È chi lo pensava, ma abbiamo lottato per fargli cambiare idea". Chi? Cocco: "Non si dice". Ô vero che c' È un'ipotesi che prevede la chiusura del San Giovanni di Dio? Pacifico: "No, ma È un ospedale che nonostante numerosi lavori di ristrutturazione È pieno di barriere architettoniche". vero che chiuderete il centro per l'autismo del Brotzu? Pacifico. "Falso, sarà inglobato nella neuropsichiatria infantile". Nel piano È scritto che dovete tagliare 700 posti letto. Perch‚? Pacifico: "Perch‚ non sono necessari e perch‚ dobbiamo raggiungere il parametro di 4,5 posti letto per mille abitanti: oggi a Cagliari sono otto, troppi". Taglierete posti di lavoro? Pacifico: "Non sarà perso un posto". (f. ma.) __________________________________________________ Unione Sarda 23 nov. '06 OSPEDALI, SCONTRO SUL TRASFERIMENTO Il caso. Che cosa cambia nel panorama cittadino con il nuovo piano sanitario regionale e il confronto tra i Poli - Entro 5 anni sede alternativa a Is Mirrionis e al Marino La notizia È nota da marzo, da quando la giunta ha approvato il piano sanitario che in questi giorni innervosisce maggioranza e opposizione che ne discutono in consiglio regionale: l'ospedale Marino e il Santissima Trinità saranno cancellati dalla geografia della città. Si sa che i reparti saranno trasferiti in un nuovo ospedale pi— decentrato, probabilmente sulla 554, come ha detto Renato Soru un mese fa al sindaco di Quartu Gigi Ruggeri, che ha proposto la candidatura della sua città a ospitare il presidio. E si sa che il nuovo ospedale - che nella migliore delle ipotesi sarà pronto tra cinque anni - costerà pi— o meno 170 milioni di euro e avrà circa 550 posti letto, pi— della somma (517) dei posti dell'ex albergo del Poetto (169) e dell'ex caserma di Is Mirrionis (348). la novitàLa novità È che oggi, con l'avvicinarsi delle decisioni definitive, la politica si agita. E agitandosi polemizza. E polemizzando turba la serenità dei 483.392 cittadini-pazienti che fanno capo ai sei ospedali di Cagliari. Dice Pierpaolo Vargiu, Riformatori sardi, medico: "Vogliono chiudere il Marino e il Santissima Trinità, forse anche il San Giovanni di Dio, ridimensionare il Brotzu, cancellando alcuni reparti, e il Binaghi". La gente sente e pensa: ci tagliano 517 posti letto, dove andr• se sto male? Dice Nazareno Pacifico, diessino, relatore del Piano sanitario regionale, medico anche lui: "Non chiudiamo nulla, razionalizziamo: facciamo un nuovo ospedale e dopo che lo facciamo chiudiamo gli altri e li destiniamo ad altro". E il cittadino-paziente È pi— sereno. Qual È la verità? il piano sanitarioIl piano sanitario regionale, da giorni all'esame della commissione sanità dell'assemblea legislativa di via Roma, parte da alcuni ragionamenti: in Sardegna ci sono 7824 posti letto a fronte di un fabbisogno stimato di 7375; ci sono troppi posti per malati acuti e pochi per i post acuti, il tasso di occupazione dei letti È del 68,6% mentre dovrebbe essere del 75%. Complessivamente ci sono 8 posti letto per abitante mentre l'intesa Stato- Regioni stabilisce che entro il 2007 deve essere di 4,5. E dal raggiungimento di questi obiettivi, dipendono i finanziamenti futuri. In generale, posto che "i servizi ospedalieri attuali sono frutto di scelte effettuate negli anni '80 e '90", e che nel frattempo sono cambiate esigenze e malattie, "la rete ospedaliera va riorganizzata". Come? che cosa cambiaIl Binaghi dovrebbe cedere la chirurgia toracica al Businco e quella generale al Policlinico universitario, continuare ad essere un punto di riferimento per la pneumologia e le terapie semintensive respiratorie, continuare ad ospitare il Centro trapianti di midollo osseo e il Centro per le cellule staminali e ospitare un Centro vista e un Centro donna. Il Brotzu potrebbe perdere il Centro per l'autismo, voluto dall'ex direttore generale Franco Meloni, e ospitarlo in un reparto ampliato di Neuropsichiatria infantile. Secondo il centrodestra, perderebbe anche la cardiologia pediatrica. Il centrosinistra smentisce. L'Inrca, sigla di Istituto nazionale di ricovero e cura anziani, secondo l'opposizione chiuderà, secondo la maggioranza non si sa. I Riformatori sostengono che anche il San Giovanni di Dio È a rischio. Per giunta e centrosinistra È un'informazione falsa. chiusure anticipateQuanto ai due ospedali destinati all'eutanasia, i problemi probabilmente sono altri. Sui principi nessuno discute: un nuovo ospedale moderno, bello e tecnologicamente avanzato È meglio di due ospedali vecchi. Così come È positivo risparmiare sulle inefficienze e investire ci• che si spreca in cure migliori. Interessante anche il futuro ipotizzato per le due strutture: il Marino, rimediando a un clamoroso errore, tornerebbe ad essere un albergo (questa, peraltro, È la destinazione prevista nel Piano urbanistico), il Santissima Trinità, che nasce come caserma, ospiterebbe appartamenti low cost per la classe media che emigra. O forse una cittadella universitaria. Tre problemi su tutti. Il primo: È opportuno rinunciare a un ospedale al centro della città come Is Mirrionis per farne uno in periferia? Il secondo: quanto costa? Ancora: perch‚ trasferirli se in questi anni per il Marino e per Is Mirrions sono stati spesi quasi 27 milioni di euro? i numeriSindacati, i medici, infermieri e personale amministrativo dei due ospedali sono in apprensione da un anno: a Is Mirrionis lavorano 892 dipendenti (214 medici), 367 (97 medici) al Poetto. Per migliorare In Mirrionis, secondo dati Asl 8, sono stati spesi negli ultimi dieci anni 24 milioni di euro. Due milioni e quattro per il Marino (ristrutturazione e ampliamento del pronto soccorso, costruzione di sale operatorie e di un blocco per la rianimazione). Le stesse ragioni che per la giunta regionale giustificano un nuovo ospedale, per sindacati, medici e infermieri portano a una conclusione opposta. Ancora: un nuovo presidio sanitario significa strade, servizi, sottoservizi, spostamenti di traffico e di equilibri urbanistici. Ecco perch‚ il preventivo va molto al di là di quello dell'opera (170 milioni). sostenibile, tutto questo? Il dibattito È aperto. Fabio Manca 23/11/2006 Ô al calor bianco la polemica sul decollo del piano sanitario regionale, che prevede un nuovo grande ospedale al posto di quelli di Is Mirrionis e del Marino. Posti letto ridotti, niente licenziamenti. __________________________________________________ Panorama 30 nov. '06 OSPEDALI POCO AMATI Per un sondaggio, i medici sbagliano in un caso su cinque: media europea e italiana. Nella percezione dei pazienti gli errori medici colpiscono un europeo su cinque. Ô quanto emerge da un sondaggio Eurobarometro svolto nei 25 paesi Ue. Stando alle rilevazioni, il 18 per cento degli europei afferma di "avere avuto esperienza diretta di un errore medico in ospedale", mentre l'11 per cento ritiene di essere stato curato con un farmaco inadatto. L'Italia È in linea con la media europea: sostiene di aver subito un grave errore medico il 18 per cento degli intervistati. Le lamentele sono pi— diffuse in Lettonia: gli episodi di errori gravi in ospedale raggiungerebbero il 32 per cento, le prescrizioni di medicinali sbagliati il 23. Alta la percentuale anche in Danimarca (rispettivamente 29 e 21 per cento). Pi— fortunati si dicono tedeschi e austriaci: parla di errori clinici circa il 10 per cento dei pazienti. In generale gli europei mostrano di credere ampiamente nelle capacità dei professionisti sanitari: la fiducia È pi— alta nei confronti dei dentisti (74 per cento), ma anche verso medici (69 per cento) e staff clinico (68 per cento). (Anna Maria Angelone) ______________________________________________ Libero 21 nov. ’06 PUBBLICATO IL MANUALE PER AFFRONTARE IL DOLORE Si intitola "Terapia dei sintomi e delle complicanze in oncologia" l'agile manuale realizzato dalla Fon dazione Associazione Italiana di Oncologia medica, in collaborazione con il Centro studi Mundipharma e rivolto agli oncologi. La pubblicazione, coordinata dal professor Roberto Labianca presidente della Fondazione Aiom, è stata presentata ieri durante una conferenza stampa presso il Circolo della Stampa di Milano. Il libro affronta in maniera chiara e completa tutti i principali sintomi correlati alla presenza di neoplasia. ______________________________________________ MontHly 21 nov. ’06 DIABETE: IL GRANDE AFFARE Gli esperti lo definiscono l'epidemia del Terzo Millennio, con una previsione di sei malati ogni cento persone. E un costo per la collettività di 400 miliardi di dollari Un mercato ricco per le big pharma: in prima fila Eli Lilly, che sta creando in Italia la fabbrica europea dell'insulina «Questa penna è la mia vita. Per questo la tengo sempre appuntata sul petto: è un po' il mio secondo cuore». A parlare così dell’inseparabile siringa di insulina è Nicole Johnson, Miss America 1999, che ormai da 14 anni convive con il diabete e gira il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica su una malattia definita dagli esperti l'epidemia del Terzo millennio. «Quando ho scoperto di avere il diabete i medici mi avevano fatto capire che non sarei riuscita a realizzare i miei sogni: diventare una brava giornalista, partecipare al concorso di reginetta Usa e avere dei figli». E invece Nicole, grazie a una straordinaria forza di volontà, e aiutata dalla medicina, ha vinto la sua sfida. Oggi conduce un programma sulla Cnbc e ha una splendida bambina di sette mesi (quando era incinta è arrivata a pungersi anche 15 volte al giorno per misurare il tasso di glicemia nel sangue). La determinazione di Nicole, però, non è stata tutto. Se finora è riuscita a condurre una vita normale lo deve soprattutto alle scoperte della ricerca biotech e alla commercializzazione dell'insulina artificiale> i cui tempi di reazione si avvicinano molto ai tempi dì quella prodotta dal pancreas. É dagli Anni 20 - e cioè da quando la Eh Lilly introdusse per la prima volta l'insulina - che il mercato dei farmaci contro il diabete non conosce crisi. La società di Indianapolis, come altri colossi farmaceutici, sta investendo massicciamente su questa patologia, nel campo della ricerca come in quel lo delle infrastrutture, per soddisfare la crescente domanda di farmaci. Il numero degli ammalati - così come emerso all'ultimo congresso di Copenhagen dell'European Association for the Study of Diabetes (il più grande appuntamento scientifico al mondo) - è infatti destinato ad aumentare drammaticamente: fra 20 anni i diabeti ci saranno 350 milioni contro gli attuali 230 (vale adire il5,7% della popolazione mondiale).Intanto, a Sesto Fiorentino (nei pressi di Firenze) nascerà il più grande stabilimento di farmaci biotech d’Italia per volere della Eli Lilly: 250 milioni di euro per realizzare un complesso che dal 2008 produrrà solo insuline e analoghi per il mercato italiano, europeo e non solo. L’investimento è ingente, ma se le stime dovessero rivelarsi malauguratamente esatte, il tornaconto lo sarà ancora di più. Persino il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha sentito il bisogno dire la sua su questa piaga, auspicando che la salute non sia più vista come una benedizione ma come un diritto dell'uomo per il quale lottare».Da questo monito è nata l'iniziativa Uniti per il diabete, volta a incoraggiare i governi ai intervenire presso l’Onu affinché adottino un piano per frenarne la diffusione. «In Italia - spiega Umberto Valentini, presidente di Diabete Italia, consorzio tra la Società di diabetologia e l'Associazione medici diabetologi - la malattia colpisce il 5-6% della popolazione, mentre solo dieci anni fa interessava quattro italiani su 100. In termini economici un diabetico costa allo Stato mediamente 3.100 euro l'anno». L’Oms ha stimato che per i malati di diabete i governi spendono fino al 15% del budget sanitario. Nel 2007, a fronte di 3,5 milioni di morti nel mondo per cause legate al diabete, la spesa per i costi della malattia e delle sue complicanze oscillerà tra 215 e 375 miliardi di dollari. È evidente che, se si vuole contenere al massimo la spesa pubblica, l'unica soluzione percorribile è la prevenzione. Alquanto preoccupante è il fatto che il diabete si stia diffondendo con più rapidità proprio nei Paesi economicamente in via di sviluppo (sette delle dieci nazioni con il più alto numero di ammalati appartengono a questa categoria). Oggi, ogni dieci secondi una persona muore per cause legate al diabete. E si prevede che l'indice di mortalità crescerà ancora de125% entro la fine del prossimo decennio. Eppure, anche se la guarigione assoluta è praticamente impossibile, circa l’80% dei casi di diabete di tipo 2 (quando l'insulina prodotta non è sufficiente o è male utilizzata dall'organismo) può essere curato migliorando lo stile di vita, con una dieta sana e un'appropriata attività fisica. Peccato che una grandissima fetta della popolazione ignori di avere il diabete: nove volte su dieci, infatti, la scoperta avviene con l'insorgere di altre patologie collegate (come una disfunzione all'apparato cardiaco). Se in tutti questi casi, le iniezioni di insulina non sono necessarie, prima o dopo, arriva un momento in cui l'appuntamento con la siringa non può più essere eluso, perché i farmaci per via orale perdono di efficacia. Da poco, però, negli Usa è in commercio (in Europa è in dirittura d'arrivo) un prodotto derivato dalla saliva di un lucertolone che abita le pianure del Sud dell'America, il Gila Monster, che grazie al suo metabolismo perfetto ha bisogno di alimentarsi una sola volta l'anno. Byetta, questo il nome del farmaco, è in grado di allontanare la fase di insulino- dipendenza. Inoltre è l'unico farmaco per il diabete di tipo 2 capace di far perdere peso e di spezzare il binomio diabete-obesità (tanto che sempre più frequentemente si parla di diabesi ty). Le vendite negli Usa hanno già superato le attese e gli analisti sono convinti che entro il 2010 si attesteranno a due miliardi di dollari l'anno. Solo nel 2005 i farmaci per il diabete hanno fatto incassare al gruppo Eli Lilly qualcosa come 2,80 miliardi di dollari (il 7% in più rispetto all'anno precedente), a fronte di un fatturato complessivo di 14 miliardi di dollari. Anche gli altri big del pharma hanno riscontrato un netto aumento delle vendite derivanti dalla rapida diffusione dell'epidemia del terzo Millennio: Novo Nordisk, a esempio, ha chiuso il primo semestre dei 2006 con un fatturato in salita del 20%, laddove le vendite di insulina sono schizzate del 59% (in totale i prodotti del diabete hanno incassato 3,2 miliardi di euro, in crescita del 17%). La svizzera Roche nella prima metà dell'anno ha registrato un giro d'affari di 12,6 miliardi con il diabete che, da solo, le ha portato quasi un miliardo. Pfizer, invece, ha deciso di battere strade nuove: a gennaio ha acquistato per 1,3 miliardi di dollari il residuo 50% della join venture con Sanofi Aventis per la produzione di Fxubera, un tipo di insulina da assumere per via aerea salutato come la primavera novità nel trattamento da circa 80 anni. Secondo gli analisti di Morgan Stanley, per il 2008, la polverina secca» dovrebbe fruttare aPfizer 1,5 miliardi di dollari. II Gila Monster, Heloderma suspecfum, è una delle poche specie di lucertole velenose al mondo. Lungo fino a 60 centimetri, popola in pochi esemplari un'area a cavallo tra il Sud degli Usa e il Nord del Messico. Dalla sintesi della sua saliva, Eli Lilly insieme alla Amylin hanno prodotto un innovativo farmaco per via orale, il Byetta, in commercio da quest'anno. FARMACO GENERICO, SUPERSTAR DELLA MUTUA A STELLE E STRISCE Mitch Blashinsky, in giugno, con pochi semplici comandi al pc, è riuscito a dare il via a un risparmio di centinaia di milioni di dollari per la sua azienda, Medco Health Solutions, maggiore assicurazione sanitaria privata Usa. Dopo la scadenza del brevetto dello Zocor di Merck, il più venduto farmaco anticolesterolo, a Blashinsky è bastato lanciare il software che, in automatico, lo ha sostituito all'istante in milioni di ricette mediche con l'assai più economica versione generica. Saranno circa `Farmaci senza copyright 70, entro il 2011, i farmaci di mari brevetti in scadenza per i cinque blockbuster ca trai più venduti che perderanno la protezione del brevetto. L'immissione sul mercato dei generici di bestseller come il Lipitor o l’Effexor Xr potrà ridurre di quasi 50 miliardi il conto delle prescrizioni in Usa nel prossimo lustro. Un evento epocale, che sta spingendo le big pharma a produrre in casa il generico di bestseller con brevetto in scadenza. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 19 nov. ’06 PERCHÉ NON SOSTITUIRE IL MEDICO CON UN ROBOT? risponde Riccardo Renzi Troppi errori, certo. Ma la diagnosi non è solo la somma dei sintomi Mi colpisce il fatto che la maggior parte degli errori medici in ospedale, secondo le statistiche che sono state diffuse, riguardano errori diagnostici. Io sono ingegnere e mi sembra incredibile che si commettano tanti errori : ci sono linee guida , si possono fare dei consulti, ci sono i computer. Come è possibile sbagliare così tanto? Tanto varrebbe sostituire il medico con un robot. Sulla validità assai scarsa dei dati statistici che sono stati diffusi s' è già detto. Ma è comunque probabile che, in caso di errore, la causa possa essere individuata proprio nella diagnosi, che è da sempre il primo problema del medico. Ora, secondo lei, i medici oggi avrebbero i mezzi per sbagliare di meno. Ma le linee guida sono appunto «guide», quindi di carattere generale e solo in parte applicabili al singolo caso. Per quel che riguarda i consulti, si tratta di un problema soprattutto organizzativo ed è infatti uno dei punti in cui si può intervenire (e in qualche caso si interviene) per migliorare la situazione: ma occorre il tempo e la volontà di farlo. Per quel che riguarda i computer, è appena stato pubblicato sul New England un curioso studio, che ha dimostrato che le ricerche su Internet possono essere un «valido aiuto» per i medici: si è valutato che inserendo su Google, il più usato motore di ricerca, cinque termini chiave riguardanti i sintomi del paziente si ottiene una diagnosi esatta nel 60 per cento dei casi. Ora questo ci dà probabilmente la misura della percentuale delle diagnosi «facili», di quelle che qualsiasi medico (e probabilmente anche alcuni pazienti informati) è in grado di formulare correttamente. Il problema è il restante 40 per cento. Per tutti questi casi occorre la testa pensante di un uomo, il medico preparato è insostituibile. Solo lui potrà ipotizzare, per esempio, che i diversi sintomi possano avere non una sola causa, ma segnalare problemi diversi. Solo lui potrà ricostruire il quadro completo e soprattutto correlarlo con il paziente, con la persona che ha davanti, con la sua storia e le sue caratteristiche individuali. Proprio perché non si tratta di una semplice somma di sintomi, la diagnosi è talvolta difficile e non basterà mai nessun robot, nessun Google, nessun computer. Certo potranno essere d' aiuto. Ma il nostro tanto bistrattato medico, dobbiamo tenercelo. Preoccupandoci casomai che sia ben preparato e messo nelle condizioni di esercitare la professione al meglio. Parto-analgesia 1 Siamo sicuri che non costerà? Ho letto con particolare interesse la lettera dell' ostetrica Licia Pia Porro e la sua risposta sulle pagine di Salute del Corriere del 12 novembre. In realtà credo che il pensiero della signora Porro, pur essendo espresso con posizione estremista, qualche fondatezza condivisibile la contenga. La campagna mediatica espone al rischio di produrre disinformazione: assolutamente in buona fede, ma questa distorsione informativa potrà portare ad errate convinzioni e, perché no, a sostanziosi contenziosi. Sarà non facile far capire che il controllo del dolore da parto potrebbe non essere ottimale poiché, in una buona percentuale, si riduce senza scomparire completamente; sarà ancora più arduo far capire che una certa aliquota di partorienti non potrà ricevere la peridurale, o epidurale che dir si voglia, per precise controindicazioni; sarà un percorso molto disagiato spiegare alle partorienti le potenziali complicanze - in genere rarissime, ma che possono essere anche pesantemente invalidanti - e la maggiore incidenza di parti operativi (applicazione di ventosa o forcipe), soprattutto per équipe non proprio «allenate» alla parto-analgesia mediante peridurale. Inoltre, per chi, come me, vive la realtà assistenziale, è davvero difficile ipotizzare che la diffusione della partoanalgesia con la peridurale possa attuarsi a «costo zero», così come previsto dal disegno di legge: secondo il progetto le risorse saranno recuperate dalla chiusura di quelle strutture che, allo stato, non eseguono più di 300 parti annui. Ma davvero siamo convinti che nella nostra attuale realtà detto disegno, cioè la chiusura di queste mini-unità di ostetricia e ginecologia, sarà attuato ed in tempi tanto brevi da far partire a «costo zero» la parto-analgesia per tutte? Mi sia consentito un sano scetticismo. Prof. ordinario di anestesia e rianimazione, Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università di Napoli Federico II Parto-analgesia 2 Poca coalizione tra le donne Mi piacerebbe pensare che la lettera dell' ostetrica pubblicata il 12 novembre sia inventata, ma so che può essere vera e conferma la non coalizione fra noi donne. Mi auguro che l' ostetrica non lavori in ospedale: il pensiero di incontrarla in sala parto, dove - mi si permetta il termine - sembra «godere» vedendo altre soffrire, mi angoscia. Anzi, mi deprime, se penso ai passi indietro che farebbe fare alle donne. Mi auguro che il Ministero della salute continui a farci partorire con serenità e con meno dolore. Milano *** Risponde RICCARDO RENZI* *** * responsabile redazione Corriere Salute Renzi Riccardo ______________________________________________ La Repubblica 23 nov. ’06 ACCANIMENTO TERAPEUTICO IN CORSIA Una ricerca sui medici. Uno su quattro: routine la sedazione terminale ROMA- Conoscono il dolore, la sofferenza di chi non ce la fa più a resistere in un letto di ospedale. Sono i medici oncologi e soprattutto quelli che passano giorni e notti nei reparti di rianimazione, accanto ai malati nel momento più difficile: il 57% di loro racconta di aver assistito frequentemente a casi di accanimento terapeutico, il26 ammette che in caso di morte inevitabile e in tempi brevi, l'accelerazione del decesso è una pratica di routine. Non solo: sul testamento biologico solo il 10% è contrario, il50% invece è favorevole alla possibilità che per legge il paziente dia indicazioni sulle cure alle quali non vuole sottoporsi nel caso non possa farlo di persona quando sarà il momento. E il 45,9% vorrebbe che fosse obbligatorio seguire quelle volontà del malato. A dare per la prima volta uno quadro nazionale delle posizioni del mondo medico su testamento biologico e accanimento terapeutico, è una ricerca coordinata dal professor Enzo Campelli dell'Università La Sapienza che verrà presentata oggi al convegno «La politica e il dolore» organizzata da «A buon diritto, associazione per 1e libertà». Al dibattito partecipano il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, tra i primi negli anni `90 a presentare un progetto di legge sul testamento biologico, ' il ministro della Salute Livia Turco, Ignazio Marino presidente ' della commissione Sanità del Senato ed Edoardo Arcuri dell'istituto tumori Regina Elena. «La ricerca l'abbiamo fatta con questionari di 50 domande a 300 medici oncologi e di rianimazione di centri di ricerca e di cura da Caltagirone ad Udine», spiega il professor Campelli, e il quadro che emerge è complesso, ricco di sfumature difficili da sintetizzare. Se da un lato in materia di testamento biologico i medici dicono di non essere molto informati (42%), sull'argomento non c'è un netto pregiudizio visto che solo il10 per cento farebbe obiezione di coscienza se fosse legge. Le posizioni si dividono tra chi lo vuole solo come strumento orientativo, perché «con atteggiamento un po' paternalistico» pensa che il paziente non abbia gli strumenti per decidere con consapevolezza, e chi vuole sia vincolante; ma tutti i medici chiedono comunque leggi, linee guida, protocolli chiari in materia per timore di rischi legali. Le differenze di posizione non sono, come si potrebbe pensare, tra religiosi e laici. «Anzi, davanti al dolore del paziente le posizioni ideologiche sembrano sfumare», dice il professor Campelli a proposito di quel 26% di medici che davanti a una situazione di diagnosi infausta e morte in tempi brevi giudica routine la sedazione terminale con la morfina, ma il 60% non la considera eutanasia. La vera differenza si nota soprattutto tra gli oncologi e chi lavora nei reparti di rianimazione. «Questi ultimi hanno maggior consapevolezza perché sono in prima linea e si sentono un po' dei persecutori per conto terzi: costretti a rianimare e fronteggiare il dolore del paziente quando è inutile e senza speranza». I medici Esistono situazioni in cui è giustificato parlare dì accanimento (terapeutico)? II 26% dei medici intervistati nell'indagine nazionale giudica pratica di routine la sedazione terminale di malati giudicati senza speranza, che soffrono e la cui morte è solo questione di giorni II 50% dei medici intervistati è favorevole al testamento biologico, il 46% vorrebbe fosse obbligatorio seguire le volontà del paziente. Un medico su dieci è contrario al testamento biologico Oncologi e rianimatori, per il 57% i pazienti sono "prigionieri" delle cure in ospedale Nutrizione e idratazione per un medico su due sono da considerarsi trattamenti medici. Ai quali quindi si può chiedere di rinunciare indicandolo nel testamento biologico ______________________________________________ Il Sole24Ore 23 nov. ’06 LA TERAPIA GENICA CURA LA PELLE Cellule staminali dell'epidermide sono state prelevate da un uomo affetto da una malattia genetica che provoca il distacco della pelle, curate in laboratorio, fatte aumentare di numero e poi usate per "rifoderare" le gambe del malato. Sembra fantascienza, eppure è il risultato di una terapia genica associata all'uso di staminali realizzata all'Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con la Fondazione Banca degli occhi del Veneto. Il paziente, un uomo di 36 anni, sta bene e nelle zone dove è stata trapiantata l'epidermide corretta geneticamente (mediante l'inserimento di un vettore retrovirale contenente la versione sana del gene "malato") il tessuto si è rigenerato completamente e non presenta più le lesioni Uollose caratteristiche della malattia: l’epidermolisi bollosa (nella sua forma non letale), un patologia che provoca il distacco dello strato superficiale, l'epidermide, da quello più profondo, il derma. Il lavoro, pubblicato online su «Nature Medicine», è stato realizzato grazie a un finanziamento di Telethon ed è opera di un gruppo di ricercatori coordinati da Michele De Luca, professore di biochimica presso il dipartimento di Scienze biomediche dell'ateneo modenese e direttore scientifico della Fondazione Banca degli occhi del Veneto, e da Fulvio Mavilio, professore di Biologia molecolare della stessa università. Dal 1993 i due hanno ricevuto numerosi finanziamenti Telethon. Altri fondi sono stati messi a disposizione dall'Association francaise contre les myopathies, dalla Comunità europea con il «Progetto Skin Therapy» del VI Programma Quadro, dall'Università di Modena e dalla Fondazione Banca degli occhi. «Il paziente è stato trapiantato un anno fa - dice De Luca-. L'epidermide si rigenera completamente ogni mese, dunque sono passati oltre ra cicli, possiamo dire con certezza che le staminali corrette geneticamente hanno attecchito e garantiscono il rinnovo del tessuto. L'epidermide, che misura circa due metri quadrati, non è come un organo che va trapiantato tutto intero. E un'operazione di questo tipo sarebbe troppo gravosa per il paziente. Poiché si trattava del primo intervento al mondo, abbiamo deciso di trapiantare solo due zone simmetriche degli arti inferiori particolarmente suscettibili a infezioni, ma avremmo potuto trapiantare una parte maggiore. Nel giro dei prossimi due anni contiamo di sostituire tutto il tessuto malato». Le cellule sono state "geneticamente corrette" da Graziella Pellegrini, professore di Biologia cellulare presso l'Università di Modena e direttore del Laboratorio del Centro ricerche sulle cellule staminali epiteliali di Fondazione Banca degli occhi del Veneto. «È la prima volta - prosegue De Luca - che una malattia genetica degli epiteli viene curata grazie a un intervento che unisce la terapia genica alla terapia cellulare. Dopo aver concluso questo studio clinico (ora in fase I/II, ndr), il prossimo passo sarà estendere il trattamento a diverse malattie genetiche della pelle, come le altre forme di epidermolisi Uollosa o l’ittiosi lamellare, e a malattie di differenti epiteli, come per esempio le distrofie della cornea, malattie invalidanti che portano a cecità». La terapia genica è un settore in cui la ricerca italiana è all'avanguardia. «Un gruppo del Tiget, l’Istituto Telethon di terapia genica del San Raffaele ha finora curato, primo al mondo, nove bambini affetti da una grave malattia genetica del sistema immunitario, l'Ada Scid - spiega Alberto Auricchio, professore di genetica medica all'Università Federico II di Napoli e ricercatore del Tigem, l'Istituto Telethon di genetica e medicina -. Sempre al Tiget sono vicini alla sperimentazione nell'uomo di una terapia genica per curare la leucodistrofia metacromatica. Il mio gruppo, con Enrico Surace, dovrebbe iniziare l'anno prossimo una sperimentazione clinica per trattare alcune malattie ereditarie della retina, come l'amaurosi congenita di Leber. I risultati negli animali sono promettenti: abbiamo introdotto nella retina vettori virali che portavano nelle cellule copie sane del gene malato. Così i fotorecettori hanno iniziato a produrre la proteina mancante e gli animali hanno recuperato la vista in parte o totalmente». LARA RICCI ______________________________________________ La Repubblica 23 nov. ’06 NUOVO FARMACO PER IL TUMORE DELLA MAMMELLA un nuovo farmaco che si prende per bocca è la nuova speranza per una parte delle 360.000 donne europee (oltre 3G.ooo in Italia) che ogni anno scoprono di avere un carcinoma mammario. Messo a punto dai laboratori di ricerca di Glaxo Smith Kline, La patinib, questo il nome della molecola, è un inibitore della tirosinlanasi e si è dimostrato efficace in un tipo particolarmente aggressivo di tumore al seno: quello connesso a un gene specifico, l'Human Epidermal Growth Factor receptor 2 (HER2). L'HERa, che troviamo nel 253o% dei tumori della mammella, rappresenta un fattore prognostico altamente sfavorevole: in sua presenza la malattia tende infatti a metastatizzare più facilmente. Lapatinib, in associazione con un altro chemioterapico, la capecitabina, ha dimostrato in uno studio di fase III di raddoppiare (da 4 a oltre 8 mesi) il tempo di progressione della malattia, rallentandone cioè il decorso, nelle donne con tumore metastatico HERa positivo, già sottoposte a precedenti terapie, compreso il trastuzumab, il farmaco standard per questo tipo di neoplasia. Lo studio in questione, denominato EGFzooy, ha arruolato 324 donne con le caratteristiche elencate sopra, ed ha valutato l'efficacia di lapatinìb e capeatabina rispetto alla capecitabina in monoterapia. Come detto, la combinazione dei due farmaci ha fatto registrare un tempo medio di progressione di 36,7 settimane contro le i9,i settimane della terapia su gola. Alla luce dei dati raccolti è stato chiesto all'EMEA l'approvazione del cocktail lapatinib - capecitabina con questa indicazione. La richiesta arriva circa un mese dopo l'analoga domanda sottoposta alla FDA americana. In Europa si diagnosticano ogni anno più di 360.000 nuovi casi di tumore della mammella e nonostante i trattamenti circa il 5o% delle pazienti svilupperà una metastasi. La percentuale è molto alta ed è da mettere in relazione con diagnosi non precoci, fatte quando il tumore ha avuto il tempo di diffondersi. _____________________________________ Libero 24 nov. ’06 FIBROMIALGIA: CONVEGNO A MILANO SULLA PATOLOGIA DEL SUPER-DOLORE (r.s.) Un super-dolore diffuso e persistente, che si dirama in tutto il corpo lungo 18 stazioni nevralgiche e si intreccia con ansia e depressione nell’80% dei pazienti. È la fibromialgia, sofferenza muscolo-scheletrica che colpisce 4 italiani su 100 in gran parte donne, causando un'ipersensibilità anomala al dolore. E tutti i rimedi (cortisone, aspirina, massaggio, agopuntura) sembrano inutili. A descrivere la malattia è Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Psichiatria dell'ospedale Fate bene fratelli di Milano, dove un convegno sul tema ha riunito neurologi, psichiatri, fisiatri e reumatologi. _____________________________________ Libero 24 nov. ’06 LA FEDELTÀ È UN LUSSO COSTOSO Anche gli animali monogami tradiscono per migliorare la specie Contro la tentazione, certi topi maltrattano le femmine estranee ROBERTO MANZOCCO Considerata dalla maggior parte delle culture umane un valore da difendere, nel regno animale la fedeltà - e con essa la monogamia - è un fenomeno piuttosto raro. Su circa cinquemila specie diverse di mammiferi, solo il tre/cinque per cento di esse tende ad intrecciare relazioni di coppia destinate a durare tutta la vita; a questo ristretto gruppo appartengono, tra gli altri, i castori, le lontre, i lupi, alcuni tipi di pipistrelli, di volpi e di mammiferi ungulati. Questi animali, noti per la stabilità dei loro legami, talvolta si concedono, tuttavia, delle "scappatelle". In sostanza la moderna etologia ha messo in luce come per essi mantenersi fedeli al partner rappresenti un'impresa piuttosto difficoltosa; anche quelle specie ritenute tradizionalmente modelli di fedeltà - come i cigni o i gibboni - hanno dimostrato di essere in grado di tradire il "coniuge", di abbandonarlo e persino di "divorziare" da esso. In altre parole, arrivano a sciogliere il legame in questione consensualmente. Il fenomeno dell'infedeltà sarebbe stato indotto principalmente da esigenze di tipo riproduttivo (cioè l'evoluzione lo avrebbe favorito per permettere alle specie - e in particolar modo ai maschi - di massimizzare la diffusione del proprio patrimonio genetico); in pratica la monogamia e la fedeltà sarebbero - da un punto di vista evolutivo - piuttosto costose, perché obbligherebbero i membri di una certa specie a investire tutte le loro energie su un solo partner, con tutti i rischi del caso. A detta di molti studiosi le relazioni monogamiche stabili insorgono solo quando la prole richiede un lungo periodo di svezzamento (come nel caso degli esseri umani) e ha bisogno quindi della presenza di entrambi i genitori. Ciò accade anche tra alcune varietà di uccelli - come gli avvoltoi - le cui uova richiedono un'incubazione costante. L'analisi delle poche specie che sono più o meno rigidamente monogamiche ha permesso alla scienza di esaminare le basi biologiche della fedeltà. E in questo senso uno degli animali più studiati è il topo di campagna; questo roditore si attacca per tutta la vita - in un modo che potremmo definire addirittura morboso - alla femmina con cui perde la verginità, e la sua fedeltà arriva a un punto tale che l'animale finisce con lo scacciare in modo anche brutale tutte le altre femmine che gli capita di incontrare. Ricerche effettuate sul topo di campagna hanno evidenziato che tale legame ossessivo con il partner dipenderebbe dalla produzione di alcuni specifici neuro trasmettitori nel cervello dell'animale, tra cui la dopamina, la quale è curiosamente coinvolta anche nello sviluppo della tossicodipendenza. Si tratta di un particolare che permette agli studiosi di realizzare una fin troppo facile comparazione tra l'amore e la droga. Escluse le specie monogamiche appena citate pare comunque che il modello della coppia eterosessuale unita per la vita (tipico di quasi tutte le società umane) rappresenti nel mondo animale una vera rarità. _____________________________________ Libero 24 nov. ’06 NUOVO METODO PER LA CURA DEL FEGATO II segreto é colpire il sistema immunitario MARIO GALVANI Al San Raffaele di Milano propongono un nuovo metodo per vincere le malattie epatiche: anziché colpire i virus (alla base per esempio di patologie come le epatiti) si va a colpire il sistema immunitario. In particolare gli studiosi hanno verificato che nel caso di infezioni ad opera di virus, non sono tanto i microrganismi in sé a causare l'infiammazione, quanto i leucociti del sistema immunitario che, aggredendo questi ultimi, interferiscono negativamente sulla salute dell'organo. A lungo andare, quando l'infiammazione diventa cronica, il sistema immunitario diventa quindi una specie di arma a doppio taglio: predisposto per soccorrere l'organismo in difficoltà, finisce col provocare danni irreversibili. Ciò accade per esempio quando si ha la cirrosi epatica. Gli scienziati hanno pensato di agire sul substrato che consente ai leucociti di rimanere ancorati all'organo epatico e scatenare l'infiammazione. Il substrato (che in pratica funge da collante) è composto - e in questo risiede la vera scoperta degli studiosi di Milano -- dalle piastrine. Queste componenti del flusso ematico, di solito messe in relazione esclusivamente alla capacità di far coagulare il sangue, in realtà hanno anche un'altra funzione: aderire ai vasi sanguigni, "appiccicare" i leucociti al fegato e indirettamente provocare l'infiammazione cronica. Ora il problema sarà quello di scoprire un metodo per inibire l'azione delle piastrine perché così facendo l'attività del sistema immunitario verrebbe meno e con essa anche l'infiammazione. Sui topi l’azione di farmaci antipiastrinici (utilizzati nell'uomo per altre patologie che non hanno nulla a che vedere con il fegato) ha già dato risultati incoraggianti. A questo risultato gli scienziati sono giunti riflettendo sul fatto che le terapie antivirali adottate fino a oggi per tenere a bada i virus, per esempio quelli dell'epatite A e B, sono poco efficaci. Si stima che il 50 - 70 per cento dei pazienti malati di fegato trattati con i metodi tradizionali non ricavino grandi benefici dalle cure. _____________________________________ Ledt 24 nov. ’06 LA MEDICINA CLANDESTINA Il 26 per cento dei camici bianchi ammette che l'accelerazione di un decesso, comunque inevitabile, è praticata di routine. Lo rivela anche uno studio dell'Università La Sapienza Il caso di Piergiorgio Welby ha riacceso il confronto su un novero di problemi di difficile soluzione. Che, in riferimento alle sue condizioni di vita e di malattia, possono essere ricondotti alla questione eutanasica; e che pure, nel loro senso più profondo, alimentano una sfera ben più ampia di interro gativi. II continuo progresso delle scienze mediche e delle biotecnologie rende spesso impalpabile il confine tra cura doverosa e accanimento terapeutico; e quel confine sfugge, in genere, alla capacità di conoscenza e di controllo del diretto interessato: il paziente. È in virtù di questo progresso e di questa "sottrazione di autonomia" che nascono casi quali quelli impugnati dall'associazione Luca Coscioni. E per quanto atroce possa essere la situazione di Welby costretto alla ventilazione polmonare assistita, se ne possono determinare di ancor più svilenti, di ancor più degradanti. Oggi sappiamo che il cuore può continuare a battere anche quando è sopravvenuta la morte cerebrale; e sappiamo che si può sopravvivere per dieci o vent'anni in stato vegetativo permanente. Sappiamo, in sostanza, che - grazie a macchine sofisticate - la persistenza della vita non corrisponde sempre all'esistenza di una persona, dotata di intelligenza e di volontà, capace di esperienza, rapporto, comunicazione. In un'epoca che vede crescere la potenza delle biotecnologie, capaci dì intervenire sulla "materia vivente" e, dunque, sui tempi e sulle forme della nascita e della malattia, della sofferenza e della morte; in un'epoca in cui si è fatto arduo rispondere a domande che, fino a ieri, sembravano elementari come «cos'è la morte?», è opportuno fissare un limite al protrarsi della vita?; qual è il ruolo della volontà individuale, del titolare del corpo malato, nell'indicare quel limite? La politica stenta a occuparsi di quanto di più umano vi sia: il dolore. E il vuoto normativo che rende irrisolvibile un caso come quello di Eluana Englaro, da 14 anni in stato vegetativo permanente, con suo padre che continua a battersi affinché quella donna sia "lasciata morire", segnala come, nel nostro Paese, sia divenuta improcrastinabile una legge sul testamento biologico. Cosa sia questo strumento ormai è piuttosto noto: il testamento biologico, o living will, è una dichiarazione scritta (una dichiarazione anticipata di volontà) attraverso la quale è possibile esprimere le proprie direttive in merito a come si vuole essere curati in caso di emergenza medica e di situazione terminale; ovvero, un istituto giuridico che riconosce il diritto dell'individuo a scegliere, in coscienza e autonomia, le cure cui sottoporsi in caso di malattia; che consente a ciascuno, nel pieno possesso delle sue facoltà, di dare disposizioni riguardo a quei trattamenti sanitari cui potrebbe essere sottoposto quando la sua capacità di giudizio e di scelta fosse gravemente ridotta o annullata. Si tratta dunque, e soprattutto, di uno strumento inteso a proteggere l'individuo dall'accanimento terapeutico e in grado di disporre l'astensione da cure dolorose o superflue, qualora la patologia si rivelasse irreversibile e gravemente lesiva della dignità della persona. L’accanimento terapeutico è già da tempo espressamente condannato dal codice deontologico medico; tuttavia, le condizioni d'incertezza che caratterizzano molte diagnosi rende quella condanna ambigua e potenzialmente in conflitto con il giuramento d'Ippocrate. A Buon Diritto, associazione per le libertà, ha chiesto a Enzo Campelli e a Enza Lucia Vaccaro, dell'Università La Sapienza di Roma, di realizzare la prima indagine nazionale sul parere della classe medica nei confronti del testamento biologico. Ne sono emersi dati preziosi e, per molti aspetti, sorprendenti. In primis, i medici intervistati (un panel amplissimo, 266 medici, per lo più oncologi e anestesisti - rianimatori, distribuiti in 19 diversi ospedali della penisola) dichiarano di non avere una conoscenza approfondita del tema: ì142,1 per cento di loro ritiene "scarso" il proprio grado di cognizione dell'argomento. A meno della metà degli intervistati (il47,5 per cento) è capitato di affrontare il tema delle dichiarazioni anticipate di trattamento nel corso di discussioni con colleghi, mentre solo il 19,6 per cento di essi ha avuto occasione di partecipare a riunioni o convegni scientifici in cui si è parlato di dichiarazioni anticipate di trattamento. Si rileva, in altri termini> un grado di "socializzazione professionale" al tema assai basso. Per contro, il35 per cento del campione (circa un medico su tre) dice di essersi trovato "qualche volta" nella situazione in cui il paziente avrebbe voluto formulare il proprio testamento biologico se la legge lo avesse consentito; e l’8 per cento degli intervistati afferma di essersi trovato spesso in tale situazione. In altri termini, a oltre il40 per cento dei medici italiani capita, più o meno frequentemente, dì registrare un bisogno che, a fronte dello scarso grado d'informazione pubblica sul tema, appare fortissimo. E la loro esperienza di prassi clinica conferma quanto sia urgente una norma in tal senso: il 57 per cento dei medici ammette che nella pratica clinica concreta è "frequente" osservare situazioni di accanimento terapeutico (per il 36 per cento si tratta si una eventualità "poco frequente"-, solo per il 2 per cento non si verificano "mai o quasi mai" situazioni di accanimento terapeutico). Non sorprende, pertanto, che il 50 per cento del campione si dichiari espressamente favorevole all'istituto del testamento biologico; e che gli apertamente contrari siano solo il10,2 percento. Le "pieghe" della ricerca, poi, mostrano in ogni suo aspetto il grado di complessità (e talvolta di controversia) del tema. Il 35,75 per cento degli intervistati sostiene che il testamento biologico debba essere applicato solo in caso di stato vegetativo permanente; il28,6 per cento in relazione all'eventuale perdita di coscienza in seguito a patologie inguaribili; il 10,9 per cento in tutti i casi di incapacità del paziente; e il 12,5 per cento in tutti quei casi di patologia prefigurabile dal paziente. I medici, poi, sono stati interrogati sulla questione dell'alimentazione e idratazione artificiali: se a loro parere si tratti di "trattamenti medici", potenzialmente oggetto di dichiarazioni anticipate, oppure se siano da considerarsi "pratiche di tipo assistenziale e non terapeutico", dunque irrinunciabili. Il campione è apparso letteralmente spaccato in due: circa il50 per cento opta per la prima risposta, una percentuale di poco inferiore per la seconda. Come si vede, a fronte di un consenso piuttosto chiaro nei confronti dell'introduzione del testamento biologico nel nostro ordinamento - a fronte di un'emergenza segnalata tanto dai dati sull'atteggiamento dei pazienti quanto da quelli sulla consistenza delle pratiche accanitive - le opinioni sulle caratteristiche e sull'utilità che debbono essere ascritte alle dichiarazioni anticipate sono di non semplice interpretazione. Quello che invece appare, senza mezzi termini, dirompente e drammatico È che il 26 per cento degli intervistati dichiari che l'accelerazione di un decesso, comunque inevitabile in tempi brevi, è praticata di routine. IL26 per cento dei medici intervistati ammette la pratica clandestina dell'eutanasia. Che l'introduzione del testamento potrebbe sensibilmente contribuire a ridurre. WELBYS L'EUTANASIA È UN ATTO TERAPEUTICO «La vita non può essere solo respirazione e pulsazioni cardiache, lasciatemi morire». Con queste parole Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare e ormai allo stato terminale, chiede l'eutanasia. Lo fa attraverso un libro drammatico e importante intitolato, appunto, La sciatemi morire, appena uscito da Rizzoli. II software di un computer, infatti, è oramai il ' suo unico strumento dì rapporto con gli altri perchè Welby, che ha 51 anni e da oltre 30 respira grazie alla tracheotomia e un ventilatore polmonare. Ed è per questo che vuole morire, perché la sua, scrive, «non è più vita». Ma la richiesta di Welby non trova risposta perché la legge italiana vieta al medico di praticare una sedazione terminale a chi lo richiede non avendo più nessuna possibilità di guarire. Se lo facesse rischierebbe una pena dai 6 ai 15 anni di reclusione. «La vita - scrive Welby- non è una astrazione da laboratorio alchemico, la vita è relazione, parola, ricerca dell'altro con l'altro, la vita è una ricerca ininterrotta di impossibili e possibili» Vita - scriveva Welby nella lettera al presidente della Repubblica Napolitano -è la donna che ti ama, il vento nei capelli, il sole sul viso, una passeggiata notturna con un amico. Vita è la donna che ti lascia in un giorno di pioggia, l'amico che ti delude. lo non sono né malinconico né un maniaco depresso, morire mi fa orrore ma quella che mi è rimasta non è più vita». Tutto questo, denuncia Weiby, è negato dall'attuale legislazione, un groviglio di norme improntate a luoghi comuni alimentati dall'opportunità politica e dal dogmatismo religioso. Solo così si spiega «lo strabismo ideologico praticato da cattolici e politici quando a comando vedono il far west dove non c'è e ignorano il far west che regna per l'assenza di una legge che regolamenti gli ultimi giorni di vita di malati terminali». Ultimi giorni che possono durare anche anni nei quali si affievolisce sempre più per il malato terminale la possibilità di godere degli affetti, dei ricordi, della creatività, di tutto quello, cioè, che per Welby dà senso alla vita umana. «Quando un malato terminale chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente "biologica" io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che è la forza e la coerenza del pensiero laico». Parole fortissime quelle di Welby, che argomenta il suo discorso, con il coraggio di chi consapevolmente usa la propria malattia per una conquista di diritti civili per tutti: «Se è vero che è compito del medico aumentare la quantità di vita e migliorarne la qualità bisogna capire quando si è giunti alla fine della strada. Se aumentare la vita non è più possibile perché i giorni, le ore e i minuti portano al malato solo dolore, il medico consapevole e umano deve volgersi al secondo obiettivo, cioè quello di migliorare la qualità della vita a costo di abbreviarla. È omicidio? - si domanda Weiby-. Certamente no. La professionalità del medico non consiste nel mantenere in vita il paziente a ogni costo e anzi, se lo fa, manca proprio al dovere deontologico di non far soffrire. Quando sia rispettata la libera scelta del paziente, non esiste alcun valido motivo per costringere una persona a prolungare una sofferenza che reputa inutile e disumana». E aggiunge: «Chi vuole suicidarsi lo fa per i cavoli suoi coma e quando vuole, mentre l'eutanasia è l'estremo e generoso aiuto che il medico può offrire per interrompere un percorso di morte». «Ho chiesto al mio pneumologo conclude Welby-,un medico cha da anni si occupa di distrofici, cosa pensasse dell'eutanasia. Ci ha pensato un po' e mi ha risposto che in certi casi potrebbe rappresentare un atto... terapeutico». Un estremo atto terapeutico. ________________________________________________ il Giornale 25 nov. ’06 MICROCRISTALLI BIOLOGICI CONTROLLANO I PIÙ INSIDIOSI BATTERI DEL CAVO ORALE Gianni Clerici Il laboratorio di strutturistica chimica, ambientale e biologica dell'Università di Bologna ha condotto una ricerca scientifica che ha messo in evidenza le proprietà delle microparticelle di idrossiapatite attive biologicamente nella cura dei denti. Per merito di questa ricerca, sono stati brevettati i «Microrepair», che sono microcristalli di un composto chimico chiamato carbonato-idrossiapatite-zinco. Per composizione e struttura, tali microcristalli assomigliano molto ai cristalli ottenuti dal tessuto osseo nella dentina e nello smalto. Essendo bio- assorbibili vengono gradualmente dissolti nei liquidi fisiologici ed esercitano proprietà antisettiche. La presenza di zinco nella regione orale ostacola la formazione del tartaro e di eventuali placche batteriche. Spiega il professor Norberto Roveri; che dirige il laboratorio dì strutturìstica chimica, ambientale e biologica dell'ateneo bolognese: «Già trent'anni fa il professor Alberto Ripamonti cominciò a studiare con tecniche basate sui raggi X i tessuti biologici calcificati. Allora non veniva ancora accettata la chimica dei sistemi biologici. Noi suoi allievi abbiamo continuato gli studi (da lui iniziati) del ;tessuto osseo e dei processi di mineralizzazione». I risultati sono stati sorprendenti, nel senso che i ricercatori guidati dal professor Roveri hanno ottenuto biomateriali altamente innovativi nei seguenti campi: ortopedia, odontoiatria, chirurgia maxillo-facciale. Recente- ' mente i nano cristalli ottenuti in quel laboratorio sono stati addirittura impiegati per somministrare in maniera mirata alcuni farmaci antitumorali. I microcristalli bioattivi di Microrepair, spiega il professor Roveri, sono in grado di legarsi superficialmente allo smalto dei denti, riparando e talvolta «ricostruendo» minuscoli difetti estetici. Per questa proprietà sono in grado di combattere efficacemente la placca batterica e la carie, rafforzando la «barriera» dentale. Ciò spiega la loro utilizzazione nella produzione di dentifrici innovativi e di altri prodotti destinati all'igiene orale. _______________________________________________________________ Le Scienze 22 nov. ’06 DENTI RINNOVABILI ANCHE PER I MAMMIFERI? La capacità di sostituire i denti caduti è in natura tipica dei soli vertebrati inferiori In molti vertebrati la crescita dei denti è continua, una volta che un dente è caduto viene rimpiazzato da uno nuovo. I mammiferi, tuttavia, hanno denti che vengono sostituiti una volta soltanto quando si perdono i denti “da latte”. Ricercatori dell’Istituto di biotecnologie dell’Università di Helsinki, in collaborazione con ricercatori delle Università di Berlino e di Tokio, hanno ora dimostrato che la crescita continua dei denti può essere indotta anche nei mammiferi. Come viene descritto in un articolo apparso sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) essi sono riusciti ad attivare in un gruppo di topi la via del segnale Wnt, una delle vie utilizzate dalla comunicazione cellulare, che ha un rilevante ruolo nello sviluppo embrionale. In conseguenza di questa stimolazione un topo ha sviluppato una decina di nuovi molari, la cui unica differenza rispetto a quelli normali era data dal fatto che la corona invece di avere una complessa forma a cuspidi, era semplice e conica. Dall’esame delle colture tissutali ricavate, è emerso che si trattava di una germinazione a partire dai denti sviluppati precedentemente, esattamente come avviene nei vertebrati inferiori. I topi hanno dunque conservato, sia pure allo stato latente, la potenzialità di generazione continua dei denti. Forse, hanno osservato i ricercatori, in futuro i dentisti potranno sfruttare questa antichissima potenzialità rigenerativa per rimpiazzare ai pazienti i denti perduti. _____________________________________ Libero 25 nov. ’06 È IN CONTINUO AUMENTO L'OSTEOPOROSI MASCHILE A smentire l'opinione diffusa che l'osteoporosi sia una patologia prevalentemente femminile, arriva un dato diffuso dal congresso nazionale della Siommms in corso a Pisa: un femore rotto può avere più conseguenze irrimediabili proprio tra gli uomini. In Italia l'osteoporosi maschile riguarda 1,1 milioni di individui (contro 3,6 milioni di donne). Il fenomeno, a lungo sottovalutato, è in effetti in progressiva emersione in parallelo all'invecchiamento della popolazione. Vivendo di più, anche gli uomini finiscono per presentare degenerazioni dello scheletro. __________________________________________________ MF 21 nov. '06 IL FARMACO ERUDISCE L'RNA Medicina Una nuova molecola testata in fase II fa reagire le cellule malate come se fossero sane L'applicazione sulla fibrosi cistica, malattia genetica monogenica, È incoraggiante Silvia Fabiole Nicoletto Con l'aiuto di un nuovo farmaco le cellule con una mutazione genica si comportano come quelle sane dando origine a proteine funzionanti pur partendo da un tratto di Dna alterato. Indicata con la sigla Ptc124, la molecola È prodotta dall'azienda biotecnologica americana Ptc Therapeutics e in due studi clinici di fase II ha dato risultati incoraggianti. Questa nuova terapia genica testimonia l'interesse crescente nei confronti dell'Rna, il "cugino" del pi— noto Dna che fa da tramite tra questo e le proteine ed È il bersaglio di Ptc124. La proteina riattivata si chiama Cftr e la sua funzione sembra migliorare dopo un breve trattamento con il farmaco in alcuni pazienti con fibrosi cistica; quest'ultima È una malattia genetica monogenica, dipendente cio È dall'alterazione di un solo gene che si chiama appunto Cftr: la proteina omonima regola il trasporto di cloro nelle cellule delle vie respiratorie e del tratto gastrointestinale. Se non funziona a dovere, lo squilibrio dei livelli di cloro nella cellula provoca una secrezione anomala: il muco È pi— denso e viscoso e pu• provocare frequenti ostruzioni polmonari e intestinali. Il 70% dei malati ha la stessa mutazione sul gene che dà origine a una proteina che potrebbe funzionare quasi normalmente se riuscisse a raggiungere la superficie della cellula. La proteina mutata, invece, resta intrappolata all'interno ed È degradata prima di raggiungere la sua corretta destinazione. La ricerca in questo settore È piuttosto attiva e indirizzata su pi— fronti, dalla terapia genica e proteica a quella antibiotica. Quella con Ptc124 È un tipo innovativo di terapia genica perch‚ ha come bersaglio l'Rna alterato e fa sì che la cellula produca una proteina comunque funzionante pur partendo da uno "stampo" scorretto. Per attivare un gene, infatti, le cellule copiano la sequenza di Dna in Rna, che funge da stampo per la proteina; un certo segnale presente sull'Rna segnala quale debba essere la parte terminale della proteina. In alcuni pazienti con fibrosi cistica le istruzioni per la proteina Cftr comprendono per• un segnale di "stop" situato nel mezzo anzich‚ alla fine: ne risulta che l'Rna È distrutto oppure produce una proteina pi— corta del normale che non funziona come dovrebbe. Il farmaco Ptc124, che si assume per via orale, fa si che il macchinario cellulare deputato alla produzione delle proteine ignori del tutto il segnale errato di "stop" e produca quindi una proteina della lunghezza corretta. I classici tentativi di correggere le mutazioni genetiche si avvalgono di solito di costrutti grandi e complessi, difficili da indirizzare all'interno delle cellule; Ptc124, invece, ha il vantaggio di essere una piccola molecola che È facilmente assorbita dall'organismo. Dopo la terapia, durata sole due settimane e con dosi crescenti di farmaco, alcuni pazienti hanno mostrato segni evidenti di un ripristino della funzionalità della proteina e alcuni hanno sperimentato un miglioramento dei sintomi (per esempio una sensibile riduzione della tosse). I risultati, annunciati di recente in occasione del conferenza sulla fibrosi cistica di Denver (Colorado), si riferiscono a due studi che hanno coinvolto un totale di 42 pazienti adulti in Usa e Israele. Ora serviranno studi di dimensioni maggiori per confermare l'efficacia del farmaco e l'eventuale presenza di effetti collaterali a lungo termine. Va inoltre precisato che la nuova molecola È diretta contro un unico tipo di mutazione genetica, ci• significa che non potrà essere d'aiuto a tutti i pazienti con fibrosi cistica. Lo stesso tipo di mutazione È tuttavia collegata anche ad altri disturbi di origine genetica come la distrofia muscolare di Duchenne, tant' È che studi di fase II sono già in corso anche per questa malattia. __________________________________________________ Repubblica 23 nov. '06 L'ANTICANCRO IMPERFETTO Previene, ma mette a rischio il cuore: gli studi RISULTATI E I MECCANISMI DEGLI ANTINFIAMMATORI DI ULTIMA GENERAZIONE NEI TUMORI DEL COLON-RETTO: Ô L'ALTRA FACCIA, "POSITIVA", DEI "COXIB" Gli antinfiammatori sono tra i farmaci con pi— ampie applicazioni e maggior diffusione. Gli inibitoli selettivi di COX-2 (i coxib) furono originariamente sviluppati per diminuire gli effetti collaterali, soprattutto a carico dell'apparato gastro-intestinale, dei farmaci antinfiammatori non steroidei noti col nome di FANS, tra cui si annoverano acido acetìl salicilico, nimesulide, ibuprofen, acetaminofene, pi— conosciuti coi loro nomi commerciali (aspirina, aulin, etc). Nonostante l'enorme entusiasmo che ha accompagnato inizialmente l'introduzione nel mondo scientifico e poi sul mercato dei coxib, qualcosa di imprevisto si verific•, portando a riflessioni e difficili decisioni farmaceutiche e mediche. Due anni fa, nel settembre 2004, la Merck aj; Co annunciava infatti di aver ritirato volontariamente il farmaco rofecoxib (anche noto come Vioxx) a causa di un riscontrato effetto collaterale di aumentato rischio cardiovascolare. Poco dopo, nel febbraio 2005, la rivista medica britannica The Lancet pubblicava lo studio sul Vioxx coordinato da David Graham, ricercatore della Fda, che aveva fatto esplodere il problema della sicurezza dei farmaci. Graham rivelava che in una sperimentazione condotta su pazienti seguiti dalle assicurazioni Kaiser Permanente, su due milioni di persone, si erano verificati 8143 casi di seri danni coronarici di cui 2210 (27.1%) erano stati con esito letale. Allargando le indagini ad una pi— ampia casistica di pazienti americani curati col Vioxx, risult• che i colpiti da eventi cardiaci gravi erano valutabili tra gli 80.000 e i 140.000, con un rischio maggiore del 34% rispetto ai pazienti curati con gli antinfiammatori non steroidei. Un altro studio, dovuto a Robert Bresalier e ai ricercatori del Department of Gastrointestinal Medicine and Nutrition, M.D. Anderson Cancer Center, Houston USA, pubblicato su New England Journal of Medicine, rivelava un aumento di eventi cardiovascolari associati a rofecoxib, in uno studio dinico di chemioprevenzione degli adenomi colorettali, designato con la sigla "APPROVe". Nonostante l'indagine di Graham suggerisse che il maggior competitore di rofecoxib, il celecoxib (Cerebrex), portava un minor numero di complicanze, e non d fossero disponibili dati certi di danno, come misura precauzionale, la farmaceutica Pfizer dedse di interrompere uno studio dinico di chemioprevenzione molto promettente, chiamato APC (Adenoma Prevention with Cdecoxib), in cui si valutava l'efficacia di celecoxib nella prevenzione del carcinoma del colon in individui a rischio. Alcune importanti pubblicazioni uscite in queste settimane su New England Journal of Medicine confermano che celecoxib È un ottimo chemiopreventivo per il cancro, ma le complicanze cardiovascolari si verificano anche in questo caso. Dunque interromperlo era stato un gesto tempestivo della Pfizer, anche se fermare un trial dai risultati incoraggianti È una scelta difficile. Celecoxib dimostra in questi giorni la doppia faccia di una medaglia: protettivo dai tumori, pericoloso per il cuore se assunto per periodi prolungati. * Poh Scientifico/ Tecnologico IRCCS Multìmedica, Milano __________________________________________________ MF 24 nov. '06 LA MOLECOLA DELLA GIOVENTÙ Salute In fase sperimentale un nuovo farmaco che combatte i disturbi legati alla menopausa Riduce il rischio di malattie cardiovascolari ed evita l'aumento di peso Giovanni Domina I disturbi legati alla menopausa hanno finalmente trovato una soluzione definitiva: È infatti disponibile una nuova terapia ormonale capace sia di ridurre i rischi cardiovascolari, prima causa di morte nelle donne, sia di evitare l'aumento di peso, classico effetto collaterale delle cure tradizionali. La dimostrazione arriva dallo studio sperimentale sul farmaco Angeliq, presentato al Congresso mondiale di ginecologia e ostetricia Figo 2006. Il lavoro, coordinato dal professor Andrea Genazzani, ordinario di ostetricia e ginecologia dell'università di Pisa, evidenzia che il trattamento con il drospirenone, l'ormone con il profilo farmacologico pi— simile al progesterone naturale, consente di prevenire la ritenzione idrica e di sodio riducendo il volume dei liquidi nel sangue. Ci• aiuta ad abbassare la pressione sanguigna e a diminuire così il rischio di malattie cardiovascolari nei soggetti che lo assumono. Un aspetto molto importante, questo, soprattutto per chi soffre di ipertensione, malattia che provoca il 40% degli infarti e il 25% delle patologie cardiovascolari. "La riduzione del rischio di sviluppare queste patologie grazie alla terapia ormonale a base di Angeliq È di estrema importanza", afferma il professor Rogerio Lobo, ordinario di ostetricia e ginecologia alla Columbia university di New York, "perch‚ queste rappresentano la causa di morte per una donna su tre". Grazie alla sua capacità di prevenire la ritenzione idrica, inoltre, il drospirenone È l'unica molecola che permette di non acquisire peso corporeo. Infatti, i pi— recenti studi clinici hanno dimostrato come donne che hanno assunto Angeliq per un anno hanno mantenuto invariato il loro peso o sono addirittura dimagrite. Viene meno, quindi, un effetto collaterale diffuso e importante che finora ha indotto molte donne a interrompere o a non iniziare nemmeno la terapia. Il drospirenone, poi, sembra risultare particolarmente efficace come strumento di prevenzione e cura dell'osteoporosi (l'80% delle persone colpite da questa malattia È costituito da donne in post menopausa), dato che rallenta il processo disgregativo dell'osso. "In particolare", spiega il professor David Archer, ordinario di ostetricia e ginecologia alla Eastern Virginia medical school di Norfolk, Virginia, "il rallentamento del processo disgregativo dell'osso risulta pi— significativo in caso di trattamento con il drospirenone rispetto a quanto accade con le altre terapie ormonali in menopausa". Il farmaco Angeliq, infine, È privo di qualsiasi attività estrogenica, androgenica o glucocorticoide. Ed È in grado di offrire, quindi, importanti vantaggi clinici come, per esempio, una reale protezione contro il tumore dell'endometrio, oltre a effetti positivi sui livelli di colesterolo e di lipidi. A fronte di questi importanti vantaggi, il rischio di sviluppare un tumore al seno a seguito di una terapia ormonale per il trattamento dei disturbi della menopausa, un'eventualità che tanto spaventa le pazienti, È contenuto: aumenta, infatti, dal 2,8 al 3,5%, a fronte della migliore qualità di vita di cui possono godere le donne in menopausa, mature ma ancora relativamente giovani, che si potranno così liberare da vampate, sbalzi d'umore e problemi di insonnia. _______________________________________________________________ Le Scienze 24 nov. ’06 PIÙ VARIABILE DEL PREVISTO IL DNA E' probabile che ciò sia l'effetto del rimescolamento di geni che ha luogo durante la meiosi Il codice genetico dell’essere umano ha una variabilità individuale di cui finora non si era a conoscenza. Lo ha rivelato un’attenta analisi del DNA di 270 persone svolta dal Wellcome Trust Sanger Institute e ora pubblicata sulle riviste “Nature”, “Nature Genetics” e “Genome Research” (l’articolo di "Nature" è disponibile on line). Da quanto si legge negli articoli, lunghe sequenze di DNA possono essere doppie o assenti. Finora gli studi sul genoma umano si sono focalizzati su variazioni molto piccole, quelle che riguardano poche coppie di basi che possono avere effetti deleteri sul macchinario biochimico delle cellule. A un livello dimensionale superiore, invece, da molti anni si studiano i difetti cromosomici. Solo in anni recenti tuttavia, i ricercatori hanno sviluppato strumenti molecolari per arrivare a studiare le variazioni a una scala intermedia, di qualche migliaio di basi. E da questo tipo di studi, e in particolare dal conteggio delle cosiddette variazioni del numero di copie (CNV). Queste ultime sono definite come segmenti di DNA di lunghezza di almeno 1 kb (chilobasi) che si presentano in un numero di copie variabile rispetto a un genoma di riferimento. Una CNV può avere una struttura semplice, come nel caso delle sequenze tandem, o può coinvolgere complesse duplicazioni e delezioni di sequenze omologhe in numerosi siti del genoma. Rispetto alle CNV sono emerse ora alcune importanti novità: che confuterebbero l’ipotesi che il 99,9 per cento del genoma umano sia comune a tutti gli individui. I ricercatori sono rimasti stupefatti dal localizzare 1447 CNV in circa 2.900 geni, 285 circa delle quali sono associate a patologie. "Ciascuno di noi ha uno schema unico di acquisizioni o perdite di intere sezioni di DNA,” ha commentato Matthew Hurles, del Wellcome Trust Sanger Institute. "Una delle maggiori sorprese di questi risultati di constatare in che misura il nostro DNA vari nel numero di copie: facendo i conti si tratta di almeno il 12 per cento del genoma.” I ricercatori non sanno spiegare in che modo agisca questa variabilità, ma con tutta probabilità si tratta dell’effetto del rimescolamento di geni che ha luogo durante la meiosi, un processo in cui gli errori sono molto probabili. _______________________________________________________________ Le Scienze 24 nov. ’06 DEGENERAZIONE MACULARE SENILE: TROVATO IL GENE DELLA FORMA AGGRESSIVA È la prima causa di cecità nelle persone over 50 Una variante di un gene aumenta il rischio di sviluppare la forma “umida” della degenerazione maculare senile, che rappresenta la più importante causa di cecità nella popolazione ultracinquantenne. La scoperta è stata fatta da ricercatori della Yale School of Medicine, che ne danno notizia sull’ultimo numero di “Science”. La degenerazione maculare, che porta a una progressiva perdita della visione centrale, si presenta in due forme: quella “secca”, che progredisce lentamente nel corso di molti anni, e quella “umida” che è molto più aggressiva. Lo scorso anno lo stesso gruppo di ricerca diretto da Josephine Hoh aveva identificato un gene legato alla forma secca e scoperto che entrambe le forme erano correlate a una variante nel gene CFH (complement factor H), che esprime una molecola coinvolta nella risposta infiammatoria dell’organismo ad agenti patogeni. Nel nuovo studio Hoh e collaboratori hanno scoperto che il rischio di sviluppare la malattia nella sua forma più grave è fortemente condizionato dalla presenza di un polimorfismo a singolo nucleotide (ossia nel cambiamento di una sola base nucleotidica nella sequenza del gene) a carico del gene HTRA1 presente sul cromosoma 10. In particolare, mentre la variante del gene CFH porta alla lenta formazione a livello retinico di depositi di materiali metabolici di scarto, la proteina espressa dal gene HTRA1 influenza lo sviluppo dei vasi sanguigni nella retina, il carattere distintivo della foma umida della maculopatia. La compresenza di entrambi i meccanismi, pur alquanto rara, porta alle forme più complesse della patologia. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 22 nov. ’06 SVELATO L' EFFETTO «NOCEBO» Corpo e psiche Come la paura di soffrire diventa dolore La paura di soffrire scatena un meccanismo ansioso che fa sentire ancora più intensamente il dolore: è l' effetto «nocebo», di cui si comincia finalmente a capire qualcosa dopo tanta enfasi e studi sul suo opposto, il placebo, fenomeno che rende in qualche modo efficace anche una pillola «finta» (a base di zucchero, ad esempio) se chi la prende è assolutamente convinto di avere a che fare con un farmaco vero. Suggestione efficace, quanto transitoria. Il passo avanti importante nella comprensione dell' effetto «nocebo» viene da un esperimento di Fabrizio Benedetti, del Dipartimento di neuroscienze dell' università di Torino, appena pubblicato sulla rivista Journal of Neuroscience. Ad un gruppo di volontari è stato procurato un forte dolore ad un braccio, bloccando la circolazione nell' arto. A questo punto a tutti i partecipanti è stata data una compressa «finta» dicendo loro che, purtroppo, avrebbe intensificato il dolore. «Come previsto, il dolore in queste persone è effettivamente aumentato», spiega Benedetti. Fin qui, nulla di nuovo: basta annunciare che il dolore sarà più intenso perché aumenti davvero. Oggi sappiamo che l' ansia attiva una serie di circuiti nervosi che dall' ipotalamo passano all' ipofisi e da qui arrivano alla ghiandola surrenale, sfociando nella produzione degli ormoni tipici dello stress; cortisolo in testa, ben noto e studiato. Un meccanismo potente, ma abbastanza aspecifico. Ma ecco il colpo di scena: ad un altro gruppo di persone sottoposte allo stesso trattamento il dolore non è aumentato. Come mai questa strana analgesia? «La spiegazione c' è - risponde l' esperto - . A questi soggetti abbiamo dato una sostanza che blocca i recettori della colecistochinina, ormone che oltre a dare il senso della sazietà si è rivelato avere un ruolo centrale nell' effetto nocebo». Ruolo centrale confermato da questa osservazione: la colecistochina riesce a trasformare l' ansia di soffrire in un vero e proprio dolore agendo su circuiti cerebrali specifici, le vie nervose del «nocebo». La scoperta affascinante sotto il profilo della ricerca, potrebbe trovare in futuro anche una ricaduta pratica. Prospettive di cura significative che ci fa intravedere Fabrizio Benedetti: «È importante mettere a punto farmaci capaci di bloccare i recettori per questa sostanza. Queste nuove molecole, già in fase di sperimentazione, date insieme a potenti narcotici come la morfina, potrebbero migliorare ulteriormente il controllo del dolore, agendo anche su quello più sfuggente e difficile da trattare perché di origine psicologica». Luca Carra Carra Luca